Esorcismi
R
agionamento:
1. Le lotte contro le misure antipopolari, che in questo periodo stanno
prendendo i vari governi europei, hanno sempre una dimensione
nazionale, mai una dimensione europea.
2. Al contrario, l'azione
dei rappresentanti politici dell'attuale capitalismo regressivo (volta a
“riportare la lancetta della storia a prima del 1929, a cancellare lo
stato sociale e abrogare il compromesso fra capitale e lavoro”) ha una
dimensione sovranazionale.
3. D'altronde, è un fatto che “l'unica
leva di potere cui la sinistra può (…) puntare è il controllo
dell'apparato dello stato nazionale”.
4. Inoltre, “l'euro è una
moneta unica che paradossalmente ha diviso invece di unire: ha esaltato
le differenze e le irriducibilità fra i vari paesi rendendo più
difficile concordare le iniziative fra le diverse sinistre”.
Fin qui D'Eramo. Queste analisi sono ampiamente condivisibili. Quali
conclusioni trarne? Chi legge questo blog conosce le nostre posizioni:
occorre riconquistare la sovranità nazionale, e quindi anche economica, e
usare il potere dello Stato per ricostruire la giustizia e la coesione
sociale che trent'anni di neoliberismo hanno cancellato.
Come si
può intuire (dopotutto, stiamo parlando di un editoriale del
“Manifesto”), non è questa la conclusione che trae D'Eramo. La sua
conclusione è che “quella nazionalistica è una tentazione illusoria e
vana”. Occorre invece, sembra dire D'Eramo, che le sinistre portino la
battaglia sul terreno dell'intera Unione Europea, per esempio
organizzando uno sciopero generale europeo e invadendo le piazze
dell'intera Unione.
Ora, noi riteniamo che la proposta di D'Eramo
sia, essa sì, una “tentazione illusoria e vana”. Ma poiché essa
rappresenta una idea di fondo condivisa, in una forma o nell'altra, da
tutta o quasi la sinistra, ci sembra valga la pena di discuterla
seriamente. E l'unico modo di discutere seriamente una tesi è prenderla
sul serio. Prendiamo allora sul serio la tesi di D'Eramo. Egli chiede
una lotta sociale e popolare a livello europeo contro le politiche
economiche neoliberiste e antipopolari. Se questa proposta è una
proposta seria, essa deve far riferimento ad un soggetto sociale che sia
l'attore di questa lotta europea. Come già avevamo indicato in un saggio
scritto assieme a Fabrizio Tringali, questa proposta richiede in
sostanza che esista qualcosa come un “popolo europeo” che sia l'attore
di una lotta popolare europea. A seconda delle preferenze ideologiche,
al posto di “popolo europeo” si può naturalmente parlare di
“proletariato europeo”, di “classe operaia europea”, di “ceti subalterni
europei”: dal punto di vista del nostro ragionamento, non cambia molto.
Ma cosa significa “popolo europeo”? Quali sono le condizioni
almeno necessarie (e forse nemmeno sufficienti) perché si possa parlare
di “popolo europeo”? Proviamo ad elencarne qualcuna:
1.Una
lingua comune. I vari soggetti di uno stesso popolo devono avere la
possibilità di comunicare fra loro, con immediatezza, in una lingua
comprensibile a tutti e che tutti padroneggiano.
2.Mescolanza di
popolazioni: vi devono essere dei movimenti migratori diffusi che
mescolino le varie popolazioni, in maniera che ci sia la possibilità di
conoscenza reciproca a livello “molecolare” e si diffondano la
solidarietà e la fiducia reciproca, anche attraverso il lavoro comune e
la comune lotta contro le avversità. Basti pensare a come
centocinquant'anni di storia italiana hanno portato gente del sud a
vivere al nord e viceversa, cementando il senso di appartenenza comune.
3.Mezzi di informazione comuni: vi deve essere una base comune di
conoscenza, di informazione, di giudizio sui fatti politici, e questa è
possibile solo grazie a mezzi di informazione che siano letti o
ascoltati da tutti (e per questo c'è ovviamente bisogno della lingua
comune di cui al primo punto).
Perché è necessario un “popolo
europeo” per concretizzare la proposta di D'Eramo? Perché, in sua
mancanza, succede esattamente quello che egli descrive. Succede cioè che
ciascun popolo europeo si muove e lotta per proprio conto, ed è
inevitabile che sia così. Vi è infatti un ostacolo fortissimo contro la
prospettiva, indicata da D'Eramo, di una lotta popolare europea, ed è il
fatto che le misure regressive del governo portoghese, per fare un
esempio, toccano ovviamente solo i portoghesi, non i francesi o i
tedeschi o gli italiani. Questi ultimi non hanno quindi uno stimolo
“materiale” diretto a lottare contro le misure regressive del governo
portoghese. Il discorso può ovviamente esser ripetuto per tutti i
diversi paesi. In ognuno di essi la crisi ha tempi specifici, e questo
facilita la diffusione dell'idea che la crisi di ciascun paese sia solo
sua. Oltre a questo, vi è la contrapposizione fra i paesi “virtuosi” del
nord e quelli “viziosi” del sud, che sembra essere penetrata nel senso
comune e rende ancora più difficile la formazione di una coscienza
popolare europea.
Tutte queste difficoltà possono essere superate
solo in presenza di una profonda solidarietà fra i popoli europei, e
questo può avvenire solo grazie ad una autentica conoscenza reciproca,
che non deriva da slogan o da iniziative superficiali e spettacolari
come feste o manifestazioni, ma può essere solo il prodotto di una
storia che abbia portato appunto a una lingua comune e a una certa
mescolanza di popolazioni.
Se dunque la proposta di D'Eramo deve
essere presa sul serio, essa può essere interpretata come la proposta
della creazione di un popolo europeo, e quindi della realizzazione delle
condizioni sopra descritte (ripetiamolo: condizioni necessarie ma forse
nemmeno sufficienti). Ma si capisce bene che una simile proposta non è
una proposta politica attuale: la creazione di un popolo europeo
sufficientemente unito può essere forse un nobile ideale culturale sul
quale iniziare oggi a lavorare, ma ovviamente rappresenta un prospettiva
lontana nel futuro di almeno qualche decennio se non di qualche secolo.
Nel frattempo, di fronte all'attacco spaventoso scatenato dai
ceti dirigenti europei contro i popoli europei, in attesa che si formi
il popolo europeo in grado di battersi per i propri diritti a livello
europeo, cosa si fa? Si fanno, ovviamente, le uniche cose che si possono
fare: le lotte a livello nazionale, che è l'unico livello al quale vi
siano oggi soggetti popolari in grado di lottare. Ma poiché il livello
nazionale è perdente all'interno dell'euro e dell'UE, per i motivi che
anche D'Eramo spiega, ecco che l'unica proposta concreta ed effettiva
per lottare contro l'attacco capitalista è oggi l'uscita da euro e UE e
il recupero della sovranità nazionale.
La sostanza della
questione è piuttosto facile da capire, e per renderla ancora più chiara
basta un semplice esperimento mentale: immaginiamo che una forza
politica ispirata alle tesi che qui sosteniamo si presenti alle elezioni
e le vinca col 98% dei voti, e possa quindi governare per una intera
legislatura. Essa cercherà naturalmente di mettere in atto l'uscita da
euro e UE. Nel fare questo si scontrerà contro grosse difficoltà, dovrà
lottare e potrà essere sconfitta. Questo è quello che ovviamente può
succedere ad ogni proposta politica seria.
Immaginiamo invece che
a vincere le elezioni col 98% dei voti sia una forza politica ispirata
alle idee di D'Eramo. Cosa farà? Nulla. Anche vincendo le elezioni col
98% dei voti, se si prendono sul serio le idee di D'Eramo, e dei tanti
che la pensano come lui, non si può fare nulla, perché se non si vuole
uscire da euro e UE il governo nazionale non ha praticamente strumenti
per una politica anticapitalistica. L'unica cosa che il partito ispirato
da D'Eramo, una volta al potere col 98% dei voti, può fare, è
sollecitare l'azione del popolo europeo contro i ceti dirigenti europei.
E poiché tale popolo non c'è e bisogna crearlo, un governo “deramista”
dovrà impostare una serie di azioni politico-culturali che favoriscano
la creazione del “popolo europeo” e aspettare, diciamo, una cinquantina
d'anni perché tali azioni portino frutti.
Si vede con chiarezza
che le tesi di D'Eramo semplicemente non rappresentano una proposta
politica. Esse appartengono piuttosto alla categoria degli esorcismi. La
sinistra “critica”, “radicale”, “non conformista” ecc. ecc. che ha nel
“Manifesto” uno dei suoi punti di riferimento, rifiuta con drammatica
ostinazione la necessità di mettere in primo piano, nel nostro paese, la
questione della sovranità nazionale. Non avendo argomenti razionali
contro la tesi della necessità del recupero della sovranità nazionale, è
condannata a ripetere vuoti esorcismi come quello qui esaminato. E
poiché la questione della sovranità nazionale è oggi uno dei due o tre
temi politici fondamentali per una politica anticapitalista, chiudendosi
nell'esorcismo la sinistra “radicale” si condanna alla più totale
impotenza politica.
di Marino Badiale
Esorcismi
R
agionamento:
1. Le lotte contro le misure antipopolari, che in questo periodo stanno
prendendo i vari governi europei, hanno sempre una dimensione
nazionale, mai una dimensione europea.
2. Al contrario, l'azione
dei rappresentanti politici dell'attuale capitalismo regressivo (volta a
“riportare la lancetta della storia a prima del 1929, a cancellare lo
stato sociale e abrogare il compromesso fra capitale e lavoro”) ha una
dimensione sovranazionale.
3. D'altronde, è un fatto che “l'unica
leva di potere cui la sinistra può (…) puntare è il controllo
dell'apparato dello stato nazionale”.
4. Inoltre, “l'euro è una
moneta unica che paradossalmente ha diviso invece di unire: ha esaltato
le differenze e le irriducibilità fra i vari paesi rendendo più
difficile concordare le iniziative fra le diverse sinistre”.
Fin qui D'Eramo. Queste analisi sono ampiamente condivisibili. Quali
conclusioni trarne? Chi legge questo blog conosce le nostre posizioni:
occorre riconquistare la sovranità nazionale, e quindi anche economica, e
usare il potere dello Stato per ricostruire la giustizia e la coesione
sociale che trent'anni di neoliberismo hanno cancellato.
Come si
può intuire (dopotutto, stiamo parlando di un editoriale del
“Manifesto”), non è questa la conclusione che trae D'Eramo. La sua
conclusione è che “quella nazionalistica è una tentazione illusoria e
vana”. Occorre invece, sembra dire D'Eramo, che le sinistre portino la
battaglia sul terreno dell'intera Unione Europea, per esempio
organizzando uno sciopero generale europeo e invadendo le piazze
dell'intera Unione.
Ora, noi riteniamo che la proposta di D'Eramo
sia, essa sì, una “tentazione illusoria e vana”. Ma poiché essa
rappresenta una idea di fondo condivisa, in una forma o nell'altra, da
tutta o quasi la sinistra, ci sembra valga la pena di discuterla
seriamente. E l'unico modo di discutere seriamente una tesi è prenderla
sul serio. Prendiamo allora sul serio la tesi di D'Eramo. Egli chiede
una lotta sociale e popolare a livello europeo contro le politiche
economiche neoliberiste e antipopolari. Se questa proposta è una
proposta seria, essa deve far riferimento ad un soggetto sociale che sia
l'attore di questa lotta europea. Come già avevamo indicato in un saggio
scritto assieme a Fabrizio Tringali, questa proposta richiede in
sostanza che esista qualcosa come un “popolo europeo” che sia l'attore
di una lotta popolare europea. A seconda delle preferenze ideologiche,
al posto di “popolo europeo” si può naturalmente parlare di
“proletariato europeo”, di “classe operaia europea”, di “ceti subalterni
europei”: dal punto di vista del nostro ragionamento, non cambia molto.
Ma cosa significa “popolo europeo”? Quali sono le condizioni
almeno necessarie (e forse nemmeno sufficienti) perché si possa parlare
di “popolo europeo”? Proviamo ad elencarne qualcuna:
1.Una
lingua comune. I vari soggetti di uno stesso popolo devono avere la
possibilità di comunicare fra loro, con immediatezza, in una lingua
comprensibile a tutti e che tutti padroneggiano.
2.Mescolanza di
popolazioni: vi devono essere dei movimenti migratori diffusi che
mescolino le varie popolazioni, in maniera che ci sia la possibilità di
conoscenza reciproca a livello “molecolare” e si diffondano la
solidarietà e la fiducia reciproca, anche attraverso il lavoro comune e
la comune lotta contro le avversità. Basti pensare a come
centocinquant'anni di storia italiana hanno portato gente del sud a
vivere al nord e viceversa, cementando il senso di appartenenza comune.
3.Mezzi di informazione comuni: vi deve essere una base comune di
conoscenza, di informazione, di giudizio sui fatti politici, e questa è
possibile solo grazie a mezzi di informazione che siano letti o
ascoltati da tutti (e per questo c'è ovviamente bisogno della lingua
comune di cui al primo punto).
Perché è necessario un “popolo
europeo” per concretizzare la proposta di D'Eramo? Perché, in sua
mancanza, succede esattamente quello che egli descrive. Succede cioè che
ciascun popolo europeo si muove e lotta per proprio conto, ed è
inevitabile che sia così. Vi è infatti un ostacolo fortissimo contro la
prospettiva, indicata da D'Eramo, di una lotta popolare europea, ed è il
fatto che le misure regressive del governo portoghese, per fare un
esempio, toccano ovviamente solo i portoghesi, non i francesi o i
tedeschi o gli italiani. Questi ultimi non hanno quindi uno stimolo
“materiale” diretto a lottare contro le misure regressive del governo
portoghese. Il discorso può ovviamente esser ripetuto per tutti i
diversi paesi. In ognuno di essi la crisi ha tempi specifici, e questo
facilita la diffusione dell'idea che la crisi di ciascun paese sia solo
sua. Oltre a questo, vi è la contrapposizione fra i paesi “virtuosi” del
nord e quelli “viziosi” del sud, che sembra essere penetrata nel senso
comune e rende ancora più difficile la formazione di una coscienza
popolare europea.
Tutte queste difficoltà possono essere superate
solo in presenza di una profonda solidarietà fra i popoli europei, e
questo può avvenire solo grazie ad una autentica conoscenza reciproca,
che non deriva da slogan o da iniziative superficiali e spettacolari
come feste o manifestazioni, ma può essere solo il prodotto di una
storia che abbia portato appunto a una lingua comune e a una certa
mescolanza di popolazioni.
Se dunque la proposta di D'Eramo deve
essere presa sul serio, essa può essere interpretata come la proposta
della creazione di un popolo europeo, e quindi della realizzazione delle
condizioni sopra descritte (ripetiamolo: condizioni necessarie ma forse
nemmeno sufficienti). Ma si capisce bene che una simile proposta non è
una proposta politica attuale: la creazione di un popolo europeo
sufficientemente unito può essere forse un nobile ideale culturale sul
quale iniziare oggi a lavorare, ma ovviamente rappresenta un prospettiva
lontana nel futuro di almeno qualche decennio se non di qualche secolo.
Nel frattempo, di fronte all'attacco spaventoso scatenato dai
ceti dirigenti europei contro i popoli europei, in attesa che si formi
il popolo europeo in grado di battersi per i propri diritti a livello
europeo, cosa si fa? Si fanno, ovviamente, le uniche cose che si possono
fare: le lotte a livello nazionale, che è l'unico livello al quale vi
siano oggi soggetti popolari in grado di lottare. Ma poiché il livello
nazionale è perdente all'interno dell'euro e dell'UE, per i motivi che
anche D'Eramo spiega, ecco che l'unica proposta concreta ed effettiva
per lottare contro l'attacco capitalista è oggi l'uscita da euro e UE e
il recupero della sovranità nazionale.
La sostanza della
questione è piuttosto facile da capire, e per renderla ancora più chiara
basta un semplice esperimento mentale: immaginiamo che una forza
politica ispirata alle tesi che qui sosteniamo si presenti alle elezioni
e le vinca col 98% dei voti, e possa quindi governare per una intera
legislatura. Essa cercherà naturalmente di mettere in atto l'uscita da
euro e UE. Nel fare questo si scontrerà contro grosse difficoltà, dovrà
lottare e potrà essere sconfitta. Questo è quello che ovviamente può
succedere ad ogni proposta politica seria.
Immaginiamo invece che
a vincere le elezioni col 98% dei voti sia una forza politica ispirata
alle idee di D'Eramo. Cosa farà? Nulla. Anche vincendo le elezioni col
98% dei voti, se si prendono sul serio le idee di D'Eramo, e dei tanti
che la pensano come lui, non si può fare nulla, perché se non si vuole
uscire da euro e UE il governo nazionale non ha praticamente strumenti
per una politica anticapitalistica. L'unica cosa che il partito ispirato
da D'Eramo, una volta al potere col 98% dei voti, può fare, è
sollecitare l'azione del popolo europeo contro i ceti dirigenti europei.
E poiché tale popolo non c'è e bisogna crearlo, un governo “deramista”
dovrà impostare una serie di azioni politico-culturali che favoriscano
la creazione del “popolo europeo” e aspettare, diciamo, una cinquantina
d'anni perché tali azioni portino frutti.
Si vede con chiarezza
che le tesi di D'Eramo semplicemente non rappresentano una proposta
politica. Esse appartengono piuttosto alla categoria degli esorcismi. La
sinistra “critica”, “radicale”, “non conformista” ecc. ecc. che ha nel
“Manifesto” uno dei suoi punti di riferimento, rifiuta con drammatica
ostinazione la necessità di mettere in primo piano, nel nostro paese, la
questione della sovranità nazionale. Non avendo argomenti razionali
contro la tesi della necessità del recupero della sovranità nazionale, è
condannata a ripetere vuoti esorcismi come quello qui esaminato. E
poiché la questione della sovranità nazionale è oggi uno dei due o tre
temi politici fondamentali per una politica anticapitalista, chiudendosi
nell'esorcismo la sinistra “radicale” si condanna alla più totale
impotenza politica.
di Marino Badiale
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