10 maggio 2012
Sta arrivando la rivoluzione
Un italiano su tre spera in una rivoluzione. Il sondaggio che qualche giorno fa mi è capitato tra le mani era stato commissionato dalle Acli, dalle associazioni cattoliche dei lavoratori, un’associazione moderata. Per questo l’ho conservato.
Inquietudine - Certo, i sondaggi rivelano tutto e rivelano nulla però fotografano comunque uno stato d’animo. E qual è lo stato d’animo degli italiani? Inquieto. Perché? Perché sono stati illusi e traditi. Illusi da chi quella rivoluzione l’aveva promessa senza arrivare a nulla che non fosse la conservazione dello stato attuale di cose. Forse per questo la domanda di rivoluzione resta immutata. Vale la pena chiarirsi sul significato di rivoluzione.
Non è certo rivoluzionario entrare in un ufficio di Agenzia delle Entrate armato fino ai denti e pretendere di essere ascoltati. Però è rivoluzionario pretendere da quello stesso Stato una lealtà che oggi non mantiene. Abbiamo scritto mille volte di questo tema, tuttavia siccome quei signori non ci sentono ribadiamo il concetto. Se un lavoratore svolge un lavoro per la Pubblica Amministrazione, la Pubblica Amministrazione non può protrarre il pagamento a date indegne: annunciare il pagamento del dovuto a qualche anno di distanza (nonostante un richiamo ufficiale che arriva da quella Europa verso la quale ci inginocchiamo ripetutamente) fa venire meno gli equilibri del mercato.
Soprusi - Il famoso mugnaio tedesco trovò soddisfazione in un giudice a Berlino contro i soprusi di un nobile; gli imprenditori edili con annessa la filiera della cantieristica e dei lavori pubblici, a Roma, non hanno trovato ancora quel giudice perché la giustizia italiana ha tempi che concorrono con la lentezza della Pubblica amministrazione nei pagamenti. Idem con patate se a non pagare è il privato: fammi causa, ti dicono certi di smontare ogni illusione di giustizia. Fisco e in-giustizia: con questo uno-due stanno finendo al tappeto molte imprese italiane, che oltre al danno di non essere pagate in tempi ragionevoli si ritrovano a doversi leccare le ferite per la beffa. Non è infatti una beffa che lo stesso Stato, arrogante nel pagare quando ha voglia, pretenda il pagamento di tasse (sempre di più) e gabelle varie altrimenti sguinzaglia Equitalia coi suoi metodi sbrigativi? Domando: è equo l’aggio del 9 per cento? Domando ancora: cosa c’è di lodevole nell’iniziativa strombazzata da Befera (doppio incarico e doppio stipendione; a questa gente evidentemente un incarico solo fa schifo) dello sportello amico? Visto che le parole sono importanti, Befera sta ammettendo implicitamente che prima lo sportello era nemico. E ha ragione, se anche ieri nel Napoletano un altro signore si è sparato per una cartella esattoriale di 15 mila euro. Ha ragione se la solidarietà a Martinelli, l’imprenditore della bergamasca che s’era asserragliato armato nella sede locale di Agenzia delle Entrate, è rivendicata con orgoglio non solo dai suoi compaesani. «Non era un folle, è un povero cristo come tutti noi».
Coraggio - Befera rivendica le proprie ragioni? Bene, però lo faccia guardando negli occhi i piccoli imprenditori, le famiglie, le persone reali. Finora quel coraggio non l’ha avuto: solo gran monologhi. Invece di guardare la punta del proprio naso, Befera provi ad alzare lo sguardo, provi a scandagliare nei fondali della crisi e dovrà ammettere che c’è una gran differenza tra morosi ed evasori. I grandi evasori non hanno paura di Befera formato sceriffo fiscale e delle sue retate show.
Rabbia - Nel Paese sta crescendo un disagio misto a rabbia. Non è rivoluzionario suicidarsi, ma lo Stato dovrebbe alzare le antenne se non vuole che prima o poi il suicidio evolva in atto kamikaze o se il colpo di pistola alla tempia di un artigiano si trasformi nella pistolettata di Sarajevo che scatena guerre. Non dico affatto che siamo vicini a scenari del genere, però sarebbe folle - questo sì - alzare le spalle sperando che la soluzione caschi dal cielo.
Rivolta - La voglia di rivoluzione che anima il Paese può ancora significare voglia di cambiamento radicale. Certo, l’arroganza di questo governo non aiuta. Né aiutano le manfrine di chi lo sostiene (o dentro o fuori!). Monti rifiuta ogni confronto che non sia coi mercati (almeno servisse a qualcosa…). La signora so-tutto-io Fornero quando incontra i lavoratori lo fa col piglio di chi non ha nulla da imparare ma solo da insegnare. E che dire delle decisioni prese per salvare le banche e quanti hanno fascicoli delle procure aperte per sospette evasioni? O delle nomine strappa-risate di Bondi («Diteci via mail quali sono gli sprechi») e di Amato...
Rispetto - Per chiudere. Se chi rappresenta lo Stato pretende il rispetto dai cittadini, è bene che lo Stato sia leale con i cittadini. Le tasse non servono per far quadrare i conti, le tasse si pagano per ricevere in cambio servizi pubblici almeno sufficienti. La qual cosa non accade. Tant’è che basta un Grillo per seminare il panico.
di Gianluigi Paragone
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10 maggio 2012
Sta arrivando la rivoluzione
Un italiano su tre spera in una rivoluzione. Il sondaggio che qualche giorno fa mi è capitato tra le mani era stato commissionato dalle Acli, dalle associazioni cattoliche dei lavoratori, un’associazione moderata. Per questo l’ho conservato.
Inquietudine - Certo, i sondaggi rivelano tutto e rivelano nulla però fotografano comunque uno stato d’animo. E qual è lo stato d’animo degli italiani? Inquieto. Perché? Perché sono stati illusi e traditi. Illusi da chi quella rivoluzione l’aveva promessa senza arrivare a nulla che non fosse la conservazione dello stato attuale di cose. Forse per questo la domanda di rivoluzione resta immutata. Vale la pena chiarirsi sul significato di rivoluzione.
Non è certo rivoluzionario entrare in un ufficio di Agenzia delle Entrate armato fino ai denti e pretendere di essere ascoltati. Però è rivoluzionario pretendere da quello stesso Stato una lealtà che oggi non mantiene. Abbiamo scritto mille volte di questo tema, tuttavia siccome quei signori non ci sentono ribadiamo il concetto. Se un lavoratore svolge un lavoro per la Pubblica Amministrazione, la Pubblica Amministrazione non può protrarre il pagamento a date indegne: annunciare il pagamento del dovuto a qualche anno di distanza (nonostante un richiamo ufficiale che arriva da quella Europa verso la quale ci inginocchiamo ripetutamente) fa venire meno gli equilibri del mercato.
Soprusi - Il famoso mugnaio tedesco trovò soddisfazione in un giudice a Berlino contro i soprusi di un nobile; gli imprenditori edili con annessa la filiera della cantieristica e dei lavori pubblici, a Roma, non hanno trovato ancora quel giudice perché la giustizia italiana ha tempi che concorrono con la lentezza della Pubblica amministrazione nei pagamenti. Idem con patate se a non pagare è il privato: fammi causa, ti dicono certi di smontare ogni illusione di giustizia. Fisco e in-giustizia: con questo uno-due stanno finendo al tappeto molte imprese italiane, che oltre al danno di non essere pagate in tempi ragionevoli si ritrovano a doversi leccare le ferite per la beffa. Non è infatti una beffa che lo stesso Stato, arrogante nel pagare quando ha voglia, pretenda il pagamento di tasse (sempre di più) e gabelle varie altrimenti sguinzaglia Equitalia coi suoi metodi sbrigativi? Domando: è equo l’aggio del 9 per cento? Domando ancora: cosa c’è di lodevole nell’iniziativa strombazzata da Befera (doppio incarico e doppio stipendione; a questa gente evidentemente un incarico solo fa schifo) dello sportello amico? Visto che le parole sono importanti, Befera sta ammettendo implicitamente che prima lo sportello era nemico. E ha ragione, se anche ieri nel Napoletano un altro signore si è sparato per una cartella esattoriale di 15 mila euro. Ha ragione se la solidarietà a Martinelli, l’imprenditore della bergamasca che s’era asserragliato armato nella sede locale di Agenzia delle Entrate, è rivendicata con orgoglio non solo dai suoi compaesani. «Non era un folle, è un povero cristo come tutti noi».
Coraggio - Befera rivendica le proprie ragioni? Bene, però lo faccia guardando negli occhi i piccoli imprenditori, le famiglie, le persone reali. Finora quel coraggio non l’ha avuto: solo gran monologhi. Invece di guardare la punta del proprio naso, Befera provi ad alzare lo sguardo, provi a scandagliare nei fondali della crisi e dovrà ammettere che c’è una gran differenza tra morosi ed evasori. I grandi evasori non hanno paura di Befera formato sceriffo fiscale e delle sue retate show.
Rabbia - Nel Paese sta crescendo un disagio misto a rabbia. Non è rivoluzionario suicidarsi, ma lo Stato dovrebbe alzare le antenne se non vuole che prima o poi il suicidio evolva in atto kamikaze o se il colpo di pistola alla tempia di un artigiano si trasformi nella pistolettata di Sarajevo che scatena guerre. Non dico affatto che siamo vicini a scenari del genere, però sarebbe folle - questo sì - alzare le spalle sperando che la soluzione caschi dal cielo.
Rivolta - La voglia di rivoluzione che anima il Paese può ancora significare voglia di cambiamento radicale. Certo, l’arroganza di questo governo non aiuta. Né aiutano le manfrine di chi lo sostiene (o dentro o fuori!). Monti rifiuta ogni confronto che non sia coi mercati (almeno servisse a qualcosa…). La signora so-tutto-io Fornero quando incontra i lavoratori lo fa col piglio di chi non ha nulla da imparare ma solo da insegnare. E che dire delle decisioni prese per salvare le banche e quanti hanno fascicoli delle procure aperte per sospette evasioni? O delle nomine strappa-risate di Bondi («Diteci via mail quali sono gli sprechi») e di Amato...
Rispetto - Per chiudere. Se chi rappresenta lo Stato pretende il rispetto dai cittadini, è bene che lo Stato sia leale con i cittadini. Le tasse non servono per far quadrare i conti, le tasse si pagano per ricevere in cambio servizi pubblici almeno sufficienti. La qual cosa non accade. Tant’è che basta un Grillo per seminare il panico.
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