Un nuovo principe per un nuovo principio nazionale
Pochi giorni di campagna elettorale
sono bastati per intuire che i partiti e i candidati, vecchi e
nuovisti (nuovi è parola impropria), non hanno la minima percezione
della situazione reale in cui ci troviamo e giocano ai piccoli chimici
per invertire la tendenza dei sondaggi, o sventolare i propri tendaggi
di scena (un tempo, tali insegne si sarebbero chiamate bandiere ma,
dopo la presunta fine delle ideologie, sono scomparsi i grandi
confronti e non sono rimasti nemmeno i corti orizzonti, al di là del
vergognoso spettacolo delle opposte tifoserie da stadio), per
recuperare/incrementare consensi.
La fase politica è talmente grave che ci vorrebbe una nuova formazione politica (della quale non c’è evidenza, altro che Grillo
e il suo movimento “irretito” nella rete) con le idee chiare
sull’avvenire dell’Italia e sulle sorti geopolitiche del Paese, al fine
di rifondare lo Stato e ridare speranza ai cittadini. E’ questo il
compito storico che abbiamo di fronte, generazione di un altro Stato e
dei suoi compiti, tattici e strategici, nonché riconfigurazione del
corpo collettivo nazionale intorno a queste priorità epocali. I nostri
sono tempi eccezionali che richiedono soluzioni straordinarie e chiunque
si limiti ad amministrare l’esistente, o a cimentarsi nel piccolo
cabotaggio politicistico, è complice di un sabotaggio pubblico
devastante.
Anziché tutto ciò, dunque, qui si continua
traccheggiare, a discutere se sia opportuno o meno imbarcare il Centro
nella Sinistra, la Lega nel Centro-destra e le ali estreme dappertutto,
purché in posizione di complemento, per impedire all’altro
schieramento di spuntarla, in quanto se vince Bersani sarà schiavo del
soviettismo (?) di Vendola, se vince Berlusconi prevarrà il razzismo
leghista e storaciano, mentre, se l’ago della bilancia dovesse essere
la lista “cinica” di Monti perderebbero tutti, prelati e finanzieri
esclusi. Nel frattempo, restiamo incatenati all’idiozia ragionieristica
di questi inetti che da vent’anni dimostrano di essere dei marziani a
Roma. Costoro fanno calcoli sul vuoto che non contemplano programmi di
cambiamento e piani di rigenerazione dello spirito sociale, ormai
polverizzato da lustri di abusi, sotto specie di soprusi partitocratici
interni e razzie speculative esterne. Insomma, la democrazia ridotta a
votificio per scegliere incompetenti, la cui unica aspirazione è
quella di fare le mezze maniche dell’Ue, i passacarte degli organismi
internazionali, tanto politici che economici, e gli interessi della
propria miserabile bottega.
Al punto in cui siamo giunti, piuttosto, dovremmo chiudere con questi principianti e ricompattarci intorno ad un “Principe figlio di un principio collettivo”
che si dimostri in grado di spazzare via i parassiti da ogni sfera
sociale e di ricostituire gli apparati statali, predisponendoli ai duri
confronti internazionali, alle sfide globali e alle istanze autoctone
che decreteranno la posizione, di subordinazione o di indipendenza (o
almeno di autonomia), sullo scacchiere mondiale di ogni singolo Paese o
area di Paesi, per i prossimi anni. Una sfida enorme sulla quale ci
giochiamo la libertà duratura o la sottomissione permanente.
So
che molti storceranno il naso nel sentir parlare di Principe e
grideranno al fascismo, ma non di questo si tratta, sebbene si
renderanno obbligatori atti di “potenza” e di “prepotenza” per
scrollarsi di dosso i saprofiti che hanno prosciugato il sangue del
popolo. La violenza sarà nelle stesse decisioni trasformative (e non in
azioni d’imperio autoreferenziali, come nei dispostimi) che andranno
prese per raschiare il marciume e la muffa incrostatisi, da tanti
decenni, sulla vita sociale italiana.
Penso, solo per fare un esempio, all’interruzione di quell’emorragia di fondi pubblici, dirottati per lunghe annate, verso le Imprese Decotte di precedenti ondate tecnologiche (definitivamente esauritesi) e la Grande Finanza
parassitaria, acciocché venisse garantita la sopravvivenza di gruppi
banco-industriali in stretto collegamento con i vertici politici, che
non portavano sviluppo all’Italia e sottraevano risorse per i settori
più innovativi e strategici.
I veri sperperi di denaro dei
contribuenti sono questi, prim’ancora delle ruberie della cosiddetta
“casta” e dei trasferimenti statali ai servizi generali che
costituiscono il cuore del Welfare State. Sicuramente,
anche in quest’ultimo campo sono stati compiuti degli eccessi ed
occorrerà razionalizzare e modernizzare ma non si può arrivare al
paradosso di tagliare lo Stato Sociale, lasciando inalterate le citate
regalie private, danneggiando così due volte i cittadini, prima con il
foraggiamento, coi soldi di tutti, di aziende che, nonostante i sussidi
non riusciranno a restare sul mercato, e poi restringendo il campo
della gratuità e dell’efficienza delle prestazioni istituzionali nella
sanità, nell’istruzione, nell’occupazione ecc. ecc. a svantaggio della
comunità. Quindi, finché non vi saranno Agende o dichiarazioni
programmatiche che conterranno queste richieste inaggirabili, ogni
discorso sarà, e delle due l’una, o una presa in giro o un friggimento
di aria da parte di uomini che si danno delle arie non avendo altro nel
cervello.
Tornando alla disquisizione sul Principe e chiarendone meglio il significato citeremo Antonio Gramsci,
affinché si possa comprendere la portata dell’affermazione: “Il
moderno principe… non può essere una persona reale, un individuo
concreto, può essere solo un organismo; un elemento di società
complesso nel quale abbia inizio il concretarsi di una volontà
collettiva riconosciuta e affermatasi parzialmente nell’azione.”
Il
grande politico sardo, dunque, non concede nulla al fanatismo
carismatico e leaderistico che rappresenta, al più, una reazione
emotiva, di labile durata, ai drammi della fase storica, la quale, et
pour cause, sfocia nella restaurazione o nella mera riorganizzazione
formale degli apparati statali (soprattutto di quelli corazzati di
coercizione) non risolutiva dei problemi reali. Gramsci crede, invece,
in qualcosa di più consistente ed adeguato ai tempi che si esprime in
maniera vasta ed organica, al fine di assicurare la rifondazione della
macchina statale, poiché l’obiettivo è, appunto, quello di costruire
diverse strutture nazionali e sociali adatte ad affrontare le
competizioni contemporanee. Nulla a che vedere, pertanto, con le derive
autoritarie che, semmai, appartengono all’attualità tecnocratica, dei
tecnici ma anche dei politici. Occorre, in sostanza, rifare l’Italia con
un atto creativo e originale, espressione di una volontà collettiva
generata ex novo da un nuovo blocco sociale incaricatosi, per spinta
d’idee, di proposte e di massa d’urto sociale, di risollevare i destini
dello Stivale, percorrendo strade mai battute e facendo sue iniziative
accantonate da gruppi dirigenti passivi e corrotti.
Questa
volontà collettiva esiste oggi, almeno in nuce? A nostro parere sì e si
intravede, seppur flebile e marginalizzata, in quei comparti che hanno
resistito alla svendita del patrimonio pubblico e delle imprese
strategiche, in quei segmenti della popolazione produttiva che, senza
attaccarsi alla mammella pubblica, mandano avanti l’economia e
lavorano, a testa bassa, nonostante le difficoltà, ai quali manca,
tuttavia, la cultura politica per sentirsi protagonisti di un mutamento
da perseguire. Certo, studiando meglio la struttura economica italiana,
facendo l’analisi storica del passato e del presente politico,
sceverando più perspicuamente la composizione del ceto medio, ora
ridotto ad una categoria ripostiglio indistinta, sarà possibile trovare
e, persino, inventare quelle colleganze indispensabili a far
germogliare il soggetto politico di cui abbisogniamo per l’insorgenza e
la risorgenza nazionale.
“Producendo” teoricamente e scovando
nella prassi politica i punti di contatto, gli anelli di congiunzione
tra sezioni del lavoro autonomo e dipendente, tra piccoli e medi
imprenditori e tra drappelli al timone delle imprese di punta sensibili
all’argomento, questa volontà nazionale forse prenderà tangibilità e
sostanza.
Quelli che ci governano adesso e che si ripropongono
alla guida del Belpaese sono un ostacolo alla palingenesi richiesta e
non comprendono la portata delle minacce planetarie nella presente
epoca multipolare. Anzi, qualcuno lavora apertamente per renderci
succubi di trame “aliene” e di obblighi stranieri, che sono tali perché
loro sono fiacchi ed arrendevoli. Soltanto un moderno Principe, nel
senso qui accennato, ci potrà salvare.
di Gianni Petrosillo
Un nuovo principe per un nuovo principio nazionale
Pochi giorni di campagna elettorale
sono bastati per intuire che i partiti e i candidati, vecchi e
nuovisti (nuovi è parola impropria), non hanno la minima percezione
della situazione reale in cui ci troviamo e giocano ai piccoli chimici
per invertire la tendenza dei sondaggi, o sventolare i propri tendaggi
di scena (un tempo, tali insegne si sarebbero chiamate bandiere ma,
dopo la presunta fine delle ideologie, sono scomparsi i grandi
confronti e non sono rimasti nemmeno i corti orizzonti, al di là del
vergognoso spettacolo delle opposte tifoserie da stadio), per
recuperare/incrementare consensi.
La fase politica è talmente grave che ci vorrebbe una nuova formazione politica (della quale non c’è evidenza, altro che Grillo
e il suo movimento “irretito” nella rete) con le idee chiare
sull’avvenire dell’Italia e sulle sorti geopolitiche del Paese, al fine
di rifondare lo Stato e ridare speranza ai cittadini. E’ questo il
compito storico che abbiamo di fronte, generazione di un altro Stato e
dei suoi compiti, tattici e strategici, nonché riconfigurazione del
corpo collettivo nazionale intorno a queste priorità epocali. I nostri
sono tempi eccezionali che richiedono soluzioni straordinarie e chiunque
si limiti ad amministrare l’esistente, o a cimentarsi nel piccolo
cabotaggio politicistico, è complice di un sabotaggio pubblico
devastante.
Anziché tutto ciò, dunque, qui si continua
traccheggiare, a discutere se sia opportuno o meno imbarcare il Centro
nella Sinistra, la Lega nel Centro-destra e le ali estreme dappertutto,
purché in posizione di complemento, per impedire all’altro
schieramento di spuntarla, in quanto se vince Bersani sarà schiavo del
soviettismo (?) di Vendola, se vince Berlusconi prevarrà il razzismo
leghista e storaciano, mentre, se l’ago della bilancia dovesse essere
la lista “cinica” di Monti perderebbero tutti, prelati e finanzieri
esclusi. Nel frattempo, restiamo incatenati all’idiozia ragionieristica
di questi inetti che da vent’anni dimostrano di essere dei marziani a
Roma. Costoro fanno calcoli sul vuoto che non contemplano programmi di
cambiamento e piani di rigenerazione dello spirito sociale, ormai
polverizzato da lustri di abusi, sotto specie di soprusi partitocratici
interni e razzie speculative esterne. Insomma, la democrazia ridotta a
votificio per scegliere incompetenti, la cui unica aspirazione è
quella di fare le mezze maniche dell’Ue, i passacarte degli organismi
internazionali, tanto politici che economici, e gli interessi della
propria miserabile bottega.
Al punto in cui siamo giunti, piuttosto, dovremmo chiudere con questi principianti e ricompattarci intorno ad un “Principe figlio di un principio collettivo”
che si dimostri in grado di spazzare via i parassiti da ogni sfera
sociale e di ricostituire gli apparati statali, predisponendoli ai duri
confronti internazionali, alle sfide globali e alle istanze autoctone
che decreteranno la posizione, di subordinazione o di indipendenza (o
almeno di autonomia), sullo scacchiere mondiale di ogni singolo Paese o
area di Paesi, per i prossimi anni. Una sfida enorme sulla quale ci
giochiamo la libertà duratura o la sottomissione permanente.
So
che molti storceranno il naso nel sentir parlare di Principe e
grideranno al fascismo, ma non di questo si tratta, sebbene si
renderanno obbligatori atti di “potenza” e di “prepotenza” per
scrollarsi di dosso i saprofiti che hanno prosciugato il sangue del
popolo. La violenza sarà nelle stesse decisioni trasformative (e non in
azioni d’imperio autoreferenziali, come nei dispostimi) che andranno
prese per raschiare il marciume e la muffa incrostatisi, da tanti
decenni, sulla vita sociale italiana.
Penso, solo per fare un esempio, all’interruzione di quell’emorragia di fondi pubblici, dirottati per lunghe annate, verso le Imprese Decotte di precedenti ondate tecnologiche (definitivamente esauritesi) e la Grande Finanza
parassitaria, acciocché venisse garantita la sopravvivenza di gruppi
banco-industriali in stretto collegamento con i vertici politici, che
non portavano sviluppo all’Italia e sottraevano risorse per i settori
più innovativi e strategici.
I veri sperperi di denaro dei
contribuenti sono questi, prim’ancora delle ruberie della cosiddetta
“casta” e dei trasferimenti statali ai servizi generali che
costituiscono il cuore del Welfare State. Sicuramente,
anche in quest’ultimo campo sono stati compiuti degli eccessi ed
occorrerà razionalizzare e modernizzare ma non si può arrivare al
paradosso di tagliare lo Stato Sociale, lasciando inalterate le citate
regalie private, danneggiando così due volte i cittadini, prima con il
foraggiamento, coi soldi di tutti, di aziende che, nonostante i sussidi
non riusciranno a restare sul mercato, e poi restringendo il campo
della gratuità e dell’efficienza delle prestazioni istituzionali nella
sanità, nell’istruzione, nell’occupazione ecc. ecc. a svantaggio della
comunità. Quindi, finché non vi saranno Agende o dichiarazioni
programmatiche che conterranno queste richieste inaggirabili, ogni
discorso sarà, e delle due l’una, o una presa in giro o un friggimento
di aria da parte di uomini che si danno delle arie non avendo altro nel
cervello.
Tornando alla disquisizione sul Principe e chiarendone meglio il significato citeremo Antonio Gramsci,
affinché si possa comprendere la portata dell’affermazione: “Il
moderno principe… non può essere una persona reale, un individuo
concreto, può essere solo un organismo; un elemento di società
complesso nel quale abbia inizio il concretarsi di una volontà
collettiva riconosciuta e affermatasi parzialmente nell’azione.”
Il
grande politico sardo, dunque, non concede nulla al fanatismo
carismatico e leaderistico che rappresenta, al più, una reazione
emotiva, di labile durata, ai drammi della fase storica, la quale, et
pour cause, sfocia nella restaurazione o nella mera riorganizzazione
formale degli apparati statali (soprattutto di quelli corazzati di
coercizione) non risolutiva dei problemi reali. Gramsci crede, invece,
in qualcosa di più consistente ed adeguato ai tempi che si esprime in
maniera vasta ed organica, al fine di assicurare la rifondazione della
macchina statale, poiché l’obiettivo è, appunto, quello di costruire
diverse strutture nazionali e sociali adatte ad affrontare le
competizioni contemporanee. Nulla a che vedere, pertanto, con le derive
autoritarie che, semmai, appartengono all’attualità tecnocratica, dei
tecnici ma anche dei politici. Occorre, in sostanza, rifare l’Italia con
un atto creativo e originale, espressione di una volontà collettiva
generata ex novo da un nuovo blocco sociale incaricatosi, per spinta
d’idee, di proposte e di massa d’urto sociale, di risollevare i destini
dello Stivale, percorrendo strade mai battute e facendo sue iniziative
accantonate da gruppi dirigenti passivi e corrotti.
Questa
volontà collettiva esiste oggi, almeno in nuce? A nostro parere sì e si
intravede, seppur flebile e marginalizzata, in quei comparti che hanno
resistito alla svendita del patrimonio pubblico e delle imprese
strategiche, in quei segmenti della popolazione produttiva che, senza
attaccarsi alla mammella pubblica, mandano avanti l’economia e
lavorano, a testa bassa, nonostante le difficoltà, ai quali manca,
tuttavia, la cultura politica per sentirsi protagonisti di un mutamento
da perseguire. Certo, studiando meglio la struttura economica italiana,
facendo l’analisi storica del passato e del presente politico,
sceverando più perspicuamente la composizione del ceto medio, ora
ridotto ad una categoria ripostiglio indistinta, sarà possibile trovare
e, persino, inventare quelle colleganze indispensabili a far
germogliare il soggetto politico di cui abbisogniamo per l’insorgenza e
la risorgenza nazionale.
“Producendo” teoricamente e scovando
nella prassi politica i punti di contatto, gli anelli di congiunzione
tra sezioni del lavoro autonomo e dipendente, tra piccoli e medi
imprenditori e tra drappelli al timone delle imprese di punta sensibili
all’argomento, questa volontà nazionale forse prenderà tangibilità e
sostanza.
Quelli che ci governano adesso e che si ripropongono
alla guida del Belpaese sono un ostacolo alla palingenesi richiesta e
non comprendono la portata delle minacce planetarie nella presente
epoca multipolare. Anzi, qualcuno lavora apertamente per renderci
succubi di trame “aliene” e di obblighi stranieri, che sono tali perché
loro sono fiacchi ed arrendevoli. Soltanto un moderno Principe, nel
senso qui accennato, ci potrà salvare.
di Gianni Petrosillo
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