29 aprile 2009

Ecco come l'impero tesse la sua ragnatela

eva-gollinger

Intervista a Eva Gollinger
«L'ingerenza Usa in Venezuela assumerà forme più insidiose: la nuova amministrazione ha già aumentato del 35% il finanziamento alla Usaid e alla Ned». Al centro sociale milanese Vittoria, l'avvocata statunitense-venezuelana Eva Golinger parla senza illusioni del nuovo governo Obama. Da anni, indaga il lato occulto di organizzazioni e fondazioni come l'United States Agency for International Development (Usaid), o la National Endowment for Democracy (il fondo nazionale per la democrazia, la Ned). L'ultimo suo libro in tema, scritto con il giornalista Romani Migus, s'intitola La teleraña imperial (La ragnatela dell'impero). Dopo Il codice Chavez «un'enciclopedia dell'ingerenza e della sovversione». Non si tratta però di un libro «di complotti - spiega l'autrice al manifesto -, ma di una mappa interattiva della complessa rete di fondazioni, imprese, forze armate, mezzi di comunicazione, organizzazioni non governative che difendono le classi dominanti: il lato oscuro del capitale. Stiamo organizzando - aggiunge - un centro di studi strategici, si accettano suggerimenti (fundacioncese@gmail.com)»

Come si evidenzia la ragnatela?

Nel direttivo di grandi multinazionali come Chevron o Carlyle Group figurano membri di organismi che si dicono indipendenti come Human Rights watch, Ford foundation, Freedom house, National endowment for democracy. Vi si ritrovano alti funzionari della Cia, del Dipartimento di stato, del Pentagono, che utilizzano ong come Sumate in Venezuela o altri partiti politici per i loro piani destabilizzanti, e li finanziano attraverso i loro alleati: l'Istituto repubblicano internazionale (Iri), la Fondazione Konrad Adenauer in Germania, la Fondacion Faes in Spagna... Istituti e agenzie come Usaid e Ned filtrano denaro a diversi gruppi in Venezuela, Bolivia, Ecuador e in oltre 70 paesi del mondo. In Venezuela oltre 350 organizzazioni, partiti politici, ong ricevono finanziamenti.

Dieci anni di governo Chavez e un nuovo corso per l'America latina. Cosa farà Obama?

Nel libro precedente ho mostrato le responsabilità di Washington nel colpo di stato dell'11 aprile 2002 in Venezuela. Nel 2004, gli Usa finanziarono con 10 milioni di dollari il referendum contro il presidente Chavez, che però vinse con un ampio margine. Perciò, nel 2005 Washington modificò la propria strategia, che oggi si basa su tre assi principali: politico, psicologico e militare. L'asse politico dell'ingerenza poggia sul cosiddetto sviluppo della democrazia: la Ned crea il movimento mondiale per la democrazia, e dentro una gran quantità di organizzazioni spagnole, tedesche, norvegesi portano avanti il loro lavoro di sovversione. Il secondo aspetto poggia sulla guerra mediatica: demonizzare Chavez serve a preparare l'opinione pubblica a un'eventuale aggressione militare. Contro il Venezuela in soli 4 anni di questa strategia, a forza di titoloni sui giornali, Chavez risulta un «dittatore», dagli Usa all'Europa. Nel 2008, Bush voleva inserire il Venezuela fra i paesi canaglia, ma c'era un problema serio: il petrolio. Il terzo aspetto è quello militare: l'anno scorso gli Usa hanno riattivato la Quarta flotta, un comando regionale che non era più presente dal 1950. Nel rapporto del nuovo capo della Cia, nominato da Obama, il Venezuela resta una minaccia.

Contro il Venezuela - lei scrive - gli Usa stanno organizzando un «golpe suave», un golpe morbido. In che modo?

Il modello è quello della rivoluzione arancione, inaugurata in Serbia, ripetuta in Georgia, in Ucraina, in Libano, tentata senza successo in Bielorussia nel 2007. Un processo di più lunga durata in cui attori e scopi non si identificano subito. In Serbia è comparso a un certo punto un simpatico movimento di giovani che lottava per la libertà e la democrazia, il gruppo si chiamava Otpor, Resistenza, ed era finanziato dalla Ned, la Usaid, l'Iri, l'Ndi, la Cia. C'era anche la Albert Einstein Institution (Aei), fondata da Gene Sharp, autore di libri sulla non-violenza. Solo che il direttore della fondazione è un colonnello dell'esercito Usa. Alcuni giovani venezuelani della classe medio-alta nel 2008 sono andati in Bolivia a sostenere il referendum separatista contro Morales a Santa Cruz. Poi comparve un gruppo simile alla Otpor anche in Venezuela: dietro, sempre Usaid, Ned e altre istituzioni europee come la Faes, vicina ad Aznar, a finanziare una massiccia strategia di marketing «giovane».

Anche Obama vuole balcanizzare l'America latina?

Il golpe morbido viene portato avanti sempre in paesi che hanno importanti risorse naturali, soffiando sul fuoco di conflitti regionali preesistenti, fomentando i separatismi, come nella ex-Yugoslavia. Nel caso del Venezuela, questa strategia si è concentrata nello stato petrolifero dello Zulia, il bastione dell'opposizione, e lì c'è un movimento indipendentista. In Bolivia nella zona della mezzaluna dove si trova Santa Cruz e sono concentrate tutte le risorse di gas e di acqua. In Ecuador il movimento separatista è a Guayaquil, sede del potere economico.



Perché il Venezuela resta una minaccia per gli Usa?

Perché possiede la maggior riserva petrolifera al mondo. Perché la politica estera del Venezuela è basata su integrazione, cooperazione e solidarietà e non sullo sfruttamento modello Fmi. Perché, come dice Chomsky, è la minaccia del buon esempio: in Venezuela milioni di invisibili oggi si fanno sentire.

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29 aprile 2009

Ecco come l'impero tesse la sua ragnatela

eva-gollinger

Intervista a Eva Gollinger
«L'ingerenza Usa in Venezuela assumerà forme più insidiose: la nuova amministrazione ha già aumentato del 35% il finanziamento alla Usaid e alla Ned». Al centro sociale milanese Vittoria, l'avvocata statunitense-venezuelana Eva Golinger parla senza illusioni del nuovo governo Obama. Da anni, indaga il lato occulto di organizzazioni e fondazioni come l'United States Agency for International Development (Usaid), o la National Endowment for Democracy (il fondo nazionale per la democrazia, la Ned). L'ultimo suo libro in tema, scritto con il giornalista Romani Migus, s'intitola La teleraña imperial (La ragnatela dell'impero). Dopo Il codice Chavez «un'enciclopedia dell'ingerenza e della sovversione». Non si tratta però di un libro «di complotti - spiega l'autrice al manifesto -, ma di una mappa interattiva della complessa rete di fondazioni, imprese, forze armate, mezzi di comunicazione, organizzazioni non governative che difendono le classi dominanti: il lato oscuro del capitale. Stiamo organizzando - aggiunge - un centro di studi strategici, si accettano suggerimenti (fundacioncese@gmail.com)»

Come si evidenzia la ragnatela?

Nel direttivo di grandi multinazionali come Chevron o Carlyle Group figurano membri di organismi che si dicono indipendenti come Human Rights watch, Ford foundation, Freedom house, National endowment for democracy. Vi si ritrovano alti funzionari della Cia, del Dipartimento di stato, del Pentagono, che utilizzano ong come Sumate in Venezuela o altri partiti politici per i loro piani destabilizzanti, e li finanziano attraverso i loro alleati: l'Istituto repubblicano internazionale (Iri), la Fondazione Konrad Adenauer in Germania, la Fondacion Faes in Spagna... Istituti e agenzie come Usaid e Ned filtrano denaro a diversi gruppi in Venezuela, Bolivia, Ecuador e in oltre 70 paesi del mondo. In Venezuela oltre 350 organizzazioni, partiti politici, ong ricevono finanziamenti.

Dieci anni di governo Chavez e un nuovo corso per l'America latina. Cosa farà Obama?

Nel libro precedente ho mostrato le responsabilità di Washington nel colpo di stato dell'11 aprile 2002 in Venezuela. Nel 2004, gli Usa finanziarono con 10 milioni di dollari il referendum contro il presidente Chavez, che però vinse con un ampio margine. Perciò, nel 2005 Washington modificò la propria strategia, che oggi si basa su tre assi principali: politico, psicologico e militare. L'asse politico dell'ingerenza poggia sul cosiddetto sviluppo della democrazia: la Ned crea il movimento mondiale per la democrazia, e dentro una gran quantità di organizzazioni spagnole, tedesche, norvegesi portano avanti il loro lavoro di sovversione. Il secondo aspetto poggia sulla guerra mediatica: demonizzare Chavez serve a preparare l'opinione pubblica a un'eventuale aggressione militare. Contro il Venezuela in soli 4 anni di questa strategia, a forza di titoloni sui giornali, Chavez risulta un «dittatore», dagli Usa all'Europa. Nel 2008, Bush voleva inserire il Venezuela fra i paesi canaglia, ma c'era un problema serio: il petrolio. Il terzo aspetto è quello militare: l'anno scorso gli Usa hanno riattivato la Quarta flotta, un comando regionale che non era più presente dal 1950. Nel rapporto del nuovo capo della Cia, nominato da Obama, il Venezuela resta una minaccia.

Contro il Venezuela - lei scrive - gli Usa stanno organizzando un «golpe suave», un golpe morbido. In che modo?

Il modello è quello della rivoluzione arancione, inaugurata in Serbia, ripetuta in Georgia, in Ucraina, in Libano, tentata senza successo in Bielorussia nel 2007. Un processo di più lunga durata in cui attori e scopi non si identificano subito. In Serbia è comparso a un certo punto un simpatico movimento di giovani che lottava per la libertà e la democrazia, il gruppo si chiamava Otpor, Resistenza, ed era finanziato dalla Ned, la Usaid, l'Iri, l'Ndi, la Cia. C'era anche la Albert Einstein Institution (Aei), fondata da Gene Sharp, autore di libri sulla non-violenza. Solo che il direttore della fondazione è un colonnello dell'esercito Usa. Alcuni giovani venezuelani della classe medio-alta nel 2008 sono andati in Bolivia a sostenere il referendum separatista contro Morales a Santa Cruz. Poi comparve un gruppo simile alla Otpor anche in Venezuela: dietro, sempre Usaid, Ned e altre istituzioni europee come la Faes, vicina ad Aznar, a finanziare una massiccia strategia di marketing «giovane».

Anche Obama vuole balcanizzare l'America latina?

Il golpe morbido viene portato avanti sempre in paesi che hanno importanti risorse naturali, soffiando sul fuoco di conflitti regionali preesistenti, fomentando i separatismi, come nella ex-Yugoslavia. Nel caso del Venezuela, questa strategia si è concentrata nello stato petrolifero dello Zulia, il bastione dell'opposizione, e lì c'è un movimento indipendentista. In Bolivia nella zona della mezzaluna dove si trova Santa Cruz e sono concentrate tutte le risorse di gas e di acqua. In Ecuador il movimento separatista è a Guayaquil, sede del potere economico.



Perché il Venezuela resta una minaccia per gli Usa?

Perché possiede la maggior riserva petrolifera al mondo. Perché la politica estera del Venezuela è basata su integrazione, cooperazione e solidarietà e non sullo sfruttamento modello Fmi. Perché, come dice Chomsky, è la minaccia del buon esempio: in Venezuela milioni di invisibili oggi si fanno sentire.

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