31 agosto 2010

Perché la seconda guerra mondiale ebbe fine con la bomba atomica



65 anni fa, 6 e 9 agosto: Hiroshima e Nagasaki

“Lunedì, 6 agosto, 1945, alle 8.15, la bomba nucleare ‘Little Boy’ fu lanciata su Hirosima dal bomber americano B-29, Enola Gay, uccidendo direttamente 80.000 persone. Entro la fine dell’anno, ferite e radiazioni causarono in totale dalle 90.000 alle 140.000 vittime”.[1]

“Il 9 agosto 1945, Nagasaki fu l’obiettivo del secondo attacco nucleare del mondo alle 11.02, quando il nord della città fu distrutto e circa 40.000 persone vennero uccise dalla bomba soprannominata ‘Fat Man’. La bomba atomica provocò la morte di 73.884 persone, altri 74.909 furono i feriti, e diverse centinaia di migliaia di persone si ammalarono e morirono a causa della pioggia radioattiva e di altre malattie dovute alle radiazioni”.
[2]

Nella foto: L'equipaggio americano del B-29 'Bockscar' che lanciò la bomba atomica su Nagasaki il 9 agosto 1945

Sullo scenario europeo, la Seconda Guerra Mondiale terminò i primi di maggio del 1945 con la resa della Germania nazista. I “Tre Grandi” dalla parte dei vincitori – Gran Bretagna, Stati Uniti e Unione Sovietica – dovettero allora affrontare la complessa questione della riorganizzazione postbellica dell’Europa. Gli Stati Uniti entrarono in guerra piuttosto tardi, nel dicembre del 1941, e solo nel giugno del 1944, appena un anno prima della fine delle ostilità, avevano cominciato ad apportare un contributo militare significativo alla vittoria degli Alleati sulla Germania, con lo sbarco in Normandia. Tuttavia, quando finì la guerra contro la Germania, Washington sedette sicura e fiduciosa al tavolo dei vincitori, determinata a raggiungere quelli che potremmo chiamare i suoi “obiettivi di guerra”.

L’Unione Sovietica, Paese che apportò il contributo più grande e subì le perdite più ingenti nella lotta contro il comune nemico nazista, pretese un risarcimento maggiore e la protezione contro potenziali attacchi futuri, con l’installazione in Germania, in Polonia e negli altri Paesi dell’Europa dell’Est di governi non ostili ai sovietici, come prima dello scoppio della guerra. Anche Mosca esigeva una ricompensa per le perdite territoriali subite dall’Unione Sovietica ai tempi della Rivoluzione e della Guerra Civile, e in ultimo i sovietici pensavano che, con la terribile esperienza della guerra alle spalle, sarebbero stati in grado di riprendere i lavori del progetto per costruire una società socialista. I leader americani e britannici conoscevano gli obiettivi dei sovietici e ne avevano riconosciuto, in maniera esplicita o implicita, la legittimità, per esempio in occasione delle conferenze dei Tre Grandi a Teheran e a Yalta. Questo non vuol dire che Washington e Londra fossero entusiaste che l’Unione Sovietica ricevesse tale ricompensa per il suo contributo in guerra; e senza dubbio c’era in agguato un potenziale conflitto con il principale obiettivo di Washington, cioè la creazione di un “libero accesso” per le esportazioni e gli investimenti americani nell’Europa occidentale, nella Germania sconfitta e nell’Europa centrale e orientale, liberate dall’Unione Sovietica. In ogni caso, anche le richieste più banali dell’Unione Sovietica avevano riscosso poco consenso, e ancor meno simpatia, presso i leader americani dell’industria e della politica – incluso Harry Truman, che successe a Franklin D. Roosevelt in qualità di Presidente nella primavera del 1945. Questi leader aborrivano il pensiero che l’Unione Sovietica potesse ricevere questo notevole risarcimento dalla Germania, perché tale salasso avrebbe escluso la Germania come potenziale mercato estremamente redditizio per le esportazioni e gli investimenti americani. Invece, i risarcimenti avrebbero dato ai sovietici la possibilità di riprendere in mano e portare a compimento, probabilmente con successo, il progetto di costruire una società comunista, una sorta di “controsistema” al sistema capitalista internazionale di cui gli Stati Uniti erano diventati grandi campioni. In America, l’élite politica ed economica era perfettamente consapevole che i risarcimenti tedeschi ai sovietici implicavano che gli stabilimenti delle sedi in Germania delle corporazioni americane come Ford e GM, che durante la guerra avevano prodotto ogni tipo di arma per i nazisti (e avevano ricavato tantissimo denaro da questa produzione [3]), avrebbero cominciato a produrre a beneficio dei sovietici invece di continuare ad arricchire i proprietari e gli azionisti americani.

Le trattative fra i Tre Grandi non portarono mai al ritiro dell’Armata Rossa dalla Germania e dall’Europa dell’Est prima che gli obiettivi sovietici riguardo alla sicurezza e ai risarcimenti fossero almeno in parte raggiunti. Tuttavia, il 25 aprile 1945, Truman apprese che gli Stati Uniti avrebbero presto disposto di una nuova potentissima arma, la bomba atomica. Il possesso di quest’arma aprì ogni sorta di prospettive, estremamente favorevoli ma prima impensabili, e non sorprende affatto che il nuovo presidente e i suoi consiglieri subirono il fascino di quella che l’insigne storico americano William Appleman Williams ha chiamato “visione di onnipotenza” [4]. Di sicuro non si ritenne più necessario impegnarsi in trattative difficili con i sovietici: grazie alla bomba atomica, era possibile costringere Stalin, malgrado i precedenti accordi, a ritirare l’Armata Rossa dalla Germania e proibirgli di avere voce in capitolo riguardo alla situazione tedesca dopo la guerra, installare regimi “pro-Occidente” e addirittura anti-sovietici in Polonia e altrove nell’Europa dell’Est e addirittura aprire l’Unione Sovietica agli investimenti di capitale americano e all’influenza economica e politica dell’America, riportando così l’eresia comunista in seno alla chiesa capitalista universale.

Al tempo della resa tedesca nel maggio 1945, la bomba atomica era in parte completata, ma non ancora pronta. Così Truman temporeggiò il più a lungo possibile prima di dare finalmente il suo consenso a partecipare alla conferenza dei Tre Grandi a Potsdam nell’estate del 1945, quando sarebbe stato deciso il destino dell’Europa postbellica. Il presidente era stato informato che la bomba molto probabilmente sarebbe stata pronta per quel momento – pronta, cioè, per essere usata come “un martello”, come dichiarò egli stesso in un’occasione, che avrebbe sventolato “sulle teste di quei ragazzi del Cremlino” [5]. Alla Conferenza di Potsdam, che durò dal 17 luglio al 2 agosto del 1945, Truman aveva difatti ricevuto la notizia a lungo attesa che la bomba atomica era stata testata con successo nel Nuovo Messico il 16 luglio. Da allora, non si preoccupò delle effettive proposte di Stalin, al contrario fece ogni tipo di richiesta; allo stesso tempo respinse tutte le offerte dei sovietici, per quanto riguarda per esempio i risarcimenti tedeschi, comprese le ragionevoli richieste basate sui precedenti accordi tra gli Alleati. Stalin, tuttavia, non dimostrò di volersi arrendere, nemmeno quando Truman tentò di intimidirlo sussurrandogli minaccioso all’orecchio che l’America aveva acquisito una nuova incredibile arma. La sfinge sovietica, che era già stata sicuramente informata della bomba atomica americana, ascoltò glaciale in silenzio. Alquanto perplesso, Truman concluse che solo una dimostrazione effettiva della bomba atomica avrebbe persuaso Stalin a cedere. Di conseguenza, a Potsdam nessun accordo comune fu raggiunto. Infatti, là fu deciso poco o niente di concreto. “Il risultato principale della conferenza”, ha scritto lo storico Gar Alperovitz, “fu una serie di decisioni su cui dissentire fino alla conferenza successiva” [6].

Nel frattempo, i giapponesi continuavano a combattere nell’Estremo Oriente, sebbene la loro situazione fosse totalmente senza speranza. Infatti questi erano preparati alla resa ma insistevano su una condizione, cioè l’immunità per l’Imperatore Hirohito. Questo andava contro le pretese degli americani che esigevano una resa incondizionata. Nonostante ciò sarebbe stato possibile mettere fine alla guerra tenendo conto delle richieste nipponiche. Infatti, la resa della Germania, tre mesi prima a Reims, non era stata del tutto incondizionata. (Gli americani avevano dato il loro consenso ad una condizione dei tedeschi, in modo che l’armistizio entrasse in vigore con un ritardo di 45 ore, un ritardo che avrebbe permesso a quante più unità armate tedesche possibili di fuggire dal fronte occidentale per arrendersi agli americani o agli inglesi; molte di queste unità furono in effetti tenute pronte – in uniforme, armate e sotto il comando dei loro ufficiali – per un eventuale uso contro l’Armata Rossa, come ammise Churchill dopo la guerra [7]). In ogni caso, l’unica condizione di Tokyo non era affatto essenziale. Infatti, più tardi – dopo la resa incondizionata strappata ai giapponesi – gli americani non disturbarono più Hirohito e fu grazie a Washington che questi restò imperatore per molti altri decenni. [8]

I giapponesi pensavano di poter ancora permettersi il lusso di dettare condizioni sulla loro resa perché il nucleo principale delle loro unità armate era rimasto intatto, in Cina, dove si combatterono la maggior parte delle battaglie. Tokyo pensò di poter utilizzare queste armate per difendere lo stesso Giappone e così far pagare agli americani un prezzo alto per la loro vittoria finale, chiaramente inevitabile. Ma questo schema avrebbe funzionato solo se l’Unione Sovietica fosse rimasta fuori dal conflitto nell’Estremo Oriente; l’entrata in guerra dei sovietici, d’altro canto, avrebbe inevitabilmente bloccato le forze nipponiche in territorio cinese. La neutralità sovietica, in altre parole, lasciava a Tokyo un briciolo di speranza; speranza non di una vittoria, ovviamente, ma di un consenso americano riguardo alla loro condizione sull’imperatore. Fino a un certo punto la guerra con il Giappone si trascinò in quanto l’Unione Sovietica non vi era ancora coinvolta. Già alla Conferenza dei Tre Grandi a Teheran nel 1943, Stalin aveva promesso di dichiarare guerra al Giappone entro tre mesi dalla resa della Germania e aveva ripetuto questo impegno il 17 luglio del 1945 a Potsdam. Di conseguenza, Washington contava su un attacco sovietico al Giappone, sapeva così fin troppo bene che la situazione dei giapponesi sarebbe stata senza speranza. (“Fini Japs when that comes about” [Fine dei giapponesi quando accadrà, ndt], questo scrisse Truman nel suo diario riferendosi all’entrata in guerra della Russia nell’Estremo Oriente [9]). Inoltre, la marina americana garantiva a Washington di poter prevenire un trasferimento delle forze armate giapponesi dal territorio cinese, ordinato allo scopo di difendersi contro un’invasione degli americani. Tuttavia, dal momento che la marina statunitense era in grado di mettere in ginocchio i giapponesi attraverso un blocco, un’invasione non era nemmeno necessaria. Privati della possibilità di importare beni di prima necessità, come cibo e carburante, presto o tardi i giapponesi avrebbero ceduto alla richiesta di una resa incondizionata.

Per mettere fine alla guerra con i giapponesi, Truman aveva dinanzi a sé diverse opzioni allettanti. Poteva accettare la banale condizione dei giapponesi riguardo all’immunità per il loro imperatore; poteva allo stesso modo attendere l’attacco dell’Armata Rossa contro i giapponesi stanziati in Cina, forzando così Tokyo alla resa incondizionata; oppure poteva far morire di fame i giapponesi attraverso il blocco navale che avrebbe costretto Tokyo, presto o tardi, a sollecitare la pace. In ogni caso, Truman e i suoi consiglieri non scelsero nessuna di queste opzioni; decisero, invece, di distruggere il Giappone con la bomba atomica. Questa decisione fatale, che avrebbe spezzato le vite di centinaia di migliaia di persone, soprattutto donne e bambini, offriva considerevoli vantaggi agli americani. Innanzitutto, la bomba avrebbe costretto Tokyo alla resa prima che i sovietici fossero coinvolti nella guerra in Asia, così facendo si evitava la necessità, a guerra finita, di concedere a Mosca voce in capitolo nelle decisioni riguardo al Giappone, ai territori occupati dal Giappone (Corea e Manciuria), all’Estremo Oriente e alle regioni del Pacifico in generale. Gli Stati Uniti avrebbero goduto di una completa egemonia in quella parte del mondo, e questo poteva essere lo scopo vero (sebbene taciuto) dell’entrata in guerra di Washington contro il Giappone. Fu alla luce di queste considerazioni che l’ipotesi di costringere Tokyo alla resa attraverso il blocco venne respinta, poiché la resa sarebbe stata ottenuta solo dopo – e forse molto dopo – l’entrata in guerra dell’Unione Sovietica. (Dopo la guerra, lo US Strategic Bombing Survey [indagine statunitense sui bombardamenti strategici, ndt] dichiarò che “il Giappone si sarebbe sicuramente arreso prima del 31 dicembre 1945, anche senza il lancio delle due bombe atomiche”). [10]

I leader americani erano preoccupati che l’entrata in guerra dei sovietici nell’Estremo Oriente facesse raggiungere alla Russia lo stesso vantaggio che gli Stati Uniti avevano guadagnato entrando relativamente tardi nel conflitto, e cioè un posto alla tavola dei vincitori con cui imporre la propria volontà al nemico battuto, ritagliarsi zone da occupare al di fuori del proprio territorio, modificare i confini, determinare le strutture politiche e socioeconomiche dopo la fine della guerra e, in tal modo, trarre per se stessi prestigio e notevoli benefici. Washington era assolutamente contraria alla possibilità che i sovietici potessero godere di questo tipo di opportunità. Gli americani erano sul punto di battere il Giappone, loro grande rivale in quella parte del mondo. Non gradivano l’idea di vedersi affibbiato un nuovo potenziale concorrente, la cui invisa ideologia comunista avrebbe potuto influenzare pericolosamente molti Paesi asiatici.

La bomba atomica era stata messa a punto appena prima che i sovietici fossero coinvolti nel conflitto nell’Estremo Oriente. Ciononostante, la polverizzazione nucleare di Hiroshima, il 6 agosto del 1945, arrivò troppo tardi per prevenire l’entrata in guerra della Russia contro il Giappone. Tokyo non gettò la spugna immediatamente, come avevano sperato gli americani, e l’8 agosto del 1945 – esattamente tre mesi dopo la resa tedesca a Berlino – i sovietici dichiararono guerra al Giappone. Il giorno dopo, 9 agosto, l’Armata Rossa attaccò le truppe giapponesi stanziate nel nord della Cina. La stessa Washington aveva richiesto l’intervento russo, ma quando tale intervento si verificò, Truman e i suoi consiglieri non erano affatto contenti che Stalin avesse mantenuto la promessa. I sovrani del Giappone non risposero subito al bombardamento con la resa incondizionata, forse perché non riuscirono a comprendere immediatamente che un solo aereo e una sola bomba avessero causato così tanti danni. (Molti bombardamenti convenzionali avevano prodotto risultati ugualmente catastrofici; un attacco da parte di migliaia di bombardieri sulla capitale giapponese il 9 e il 10 marzo del 1945 aveva in effetti causato più vittime dell’attacco a Hiroshima). In ogni caso, ci volle un po’ di tempo prima di poter prevedere una resa incondizionata, e sulla base di questo ritardo i russi furono coinvolti nella guerra contro il Giappone. Questo rese Washington estremamente impaziente: il giorno dopo della dichiarazione di guerra dei russi, il 9 agosto del 1945, fu lanciata una seconda bomba, questa volta sulla città di Nagasaki. Un ex cappellano militare americano più tardi dichiarò: “Sono dell’opinione che questa guerra fu una delle ragioni principali per cui fu lanciata quella seconda bomba, perché era una corsa all’ultimo minuto. Volevano che il Giappone capitolasse prima della comparsa dei russi” [11]. (Il cappellano poteva essere più o meno consapevole che tra le 75.000 vittime che furono “incenerite, carbonizzate ed evaporate all’istante” a Nagasaki c’erano molti giapponesi cattolici e un numero imprecisato di detenuti nei campi per i prigionieri di guerra degli alleati, la cui presenza era stata riportata al comando aereo, invano) [12]. Ci vollero altri cinque giorni perché i giapponesi si arrendessero. Nel frattempo l’Armata Rossa aveva fatto notevoli progressi, con il sommo dispiacere di Truman e dei suoi consiglieri.

Così gli americani si ritrovarono accanto all’alleato russo in Estremo Oriente. Oppure no? Truman fece in modo che non venisse considerato tale, ignorando i precedenti stabiliti prima nel rispetto della cooperazione fra i Tre Grandi. Già il 15 agosto del 1945, Washington respinse la richiesta di una zona d’occupazione russa nel territorio sconfitto del sol levante. E quando il 2 settembre del 1945 il generale MacArthur accettò la resa giapponese sulla Missouri, nave corazzata americana, nella Baia di Tokyo, la presenza dei rappresentanti dell’Unione Sovietica – e degli altri alleati in Estremo Oriente, come Gran Bretagna, Francia, Australia e Paesi Bassi – fu ammessa in via del tutto straordinaria, come spettatori irrilevanti. A differenza della Germania, il Giappone non fu ripartito in zone d’occupazione. Il rivale sconfitto dell’America doveva essere occupato solo dagli americani e, in qualità di “viceré” americano a Tokyo, il generale MacArthur, senza alcun riguardo verso gli altri Alleati e il loro contributo alla vittoria comune, si sarebbe assicurato che nessun’altra potenza avesse avuto voce in capitolo nelle questioni del Giappone dopo la fine del conflitto.

Sessantacinque anni fa, Truman non aveva bisogno di sganciare la bomba atomica per ridurre il Giappone in ginocchio, ma aveva le sue ragioni per farlo. La bomba atomica permise agli americani di costringere il Giappone alla resa incondizionata, di tenere i russi alla larga dall’Estremo Oriente e – ultimo ma non per importanza – di imporre la volontà di Washington sul Cremlino anche in Europa. Hiroshima e Nagasaki furono distrutte per questi motivi e molti storici americani lo sanno bene; ad esempio, Sean Dennis Cashman scrive:

Con il passare del tempo, molti storici hanno concluso che la bomba venne usata anche per motivi politici… Vannevar Bush (il capo dell’American center for scientific research) dichiarò che la bomba venne usata in tempo, affinché non ci fosse la necessità di fare concessione alcuna alla Russia alla fine della guerra”. Il Segretario di Stato James F. Byrnes (Segretario di Stato di Truman) non ha mai smentito una dichiarazione a lui attribuita che la bomba fosse stata usata per dimostrare il potere degli americani all’Unione Sovietica, al fine di renderla più gestibile in Europa. [13]

Lo stesso Truman, tuttavia, in maniera ipocrita dichiarò all’epoca che lo scopo dei due bombardamenti nucleari era quello di “riportare i ragazzi a casa” e cioè mettere rapidamente fine alla guerra senza ulteriore perdite di vite sul fronte americano. Tale spiegazione fu acriticamente diffusa dai media americani e divenne un mito propagato scrupolosamente dalla maggior parte degli storici e dei media statunitensi e lungo tutto il mondo “occidentale”. Questo mito, che, per inciso, serve anche a giustificare potenziali futuri attacchi nucleari contro obiettivi quali l’Iran e la Corea del Nord, è ancora molto in voga – basta dare un’occhiata ai principali quotidiani il 6 e il 9 agosto!
di Jacques R. Pauwels


Fonte: www.globalresearch.ca

Nessuno dice basta?

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Basterebbe ricordare (con memoria corta, di pochi mesi) tutte le alte cariche italiane volate negli Usa. Certo, vi è andato anche Berlusconi, ma sono ormai quasi quotidiani gli attacchi alla sua cosiddetta amicizia con Putin e Gheddafi, all’asse economico (e non solo) Eni-Gazprom, agli ultimi importanti affari della Finmeccanica (prima imbastiti quasi solo con gli Usa). Attacchi rivolti dalla stampa di sinistra, di centro, di destra (cosiddetta finiana), sempre conditi da qualche non ufficiale (a volte riportata) dichiarazione dell’ambasciatore statunitense o di settori dell’establishment d’oltreoceano e delle loro “ramificazioni” inglesi (ben trincerati dietro l’Economist o il Financial Times o il Wall Street Journal, ecc.).
Questo vale però per Berlusconi, non per le altre alte cariche volate negli Usa, ben coccolate e vezzeggiate. Si riesce a capirne il perché? Si afferra il gioco che si sta giocando? Di fronte ad una simile situazione – di fronte cioè alla dimostrazione del basso servilismo di gruppi vari della sedicente politica italiana, sicari di marci ambienti dell’industria e finanza parassite, rappresentati dai vertici di Confindustria e ABI – non si deve cadere nella tentazione di rivalutare oltre ogni limite il personale politico della prima Repubblica (mai veramente superata; parlo comunque di quella precedente il ’92-’93). Allora esisteva il mondo bipolare. Il centrosinistra di prima di “mani pulite” si permetteva continue manovre di vertice (mascherate da discussioni parlamentari), cambiava i governi ogni secondo momento (salvo un’eccezione con Craxi), si permetteva – perché, tutto sommato, i “padroni” d’oltreatlantico lo consentivano – di attuare qualche mossa meglio azzeccata di politica estera. Alla fin fine, quello schieramento politico si spartiva il potere e le alleanze con il mondo industrial-finanziario, mentre il Pci, ormai connivente a tutti gli effetti (pur se spesso in contrasto con i “cugini” socialisti), veniva ufficialmente tenuto “fuori della porta”, ma era nei fatti pienamente dentro la corruzione del “Palazzo”.
Caduto il “socialismo”, e fatta fuori l’Urss con la complicità (si pensa solo oggettiva) di Gorbaciov, gli americani preferirono – con il pieno accordo (quello concesso ai servi) della Confindustria ingolosita dalla prospettiva di papparsi tutta l’industria “pubblica” – cambiare il regime per affidarlo ai rinnegati del Pci, ormai vendutisi dietro promessa di essere salvati per affidare loro tutto il secondario potere nelle istituzioni; secondario quanto a capacità decisionale, spettante a Usa e in subordine alla Confindustria, ma più che sufficiente per divorare tutto ciò che era umanamente possibile (per usare il titolo di un film: “come rubare un milione di dollari e vivere contenti e felici”).
Sappiamo come andò a finire. Intervenne Berlusconi – apparentemente per interessi propri, in realtà anche come rappresentante di certi settori economici, “pubblici” e privati, che non trovarono altro modo per esercitare un minimo di resistenza al loro totale annientamento – e il piano fallì; ma solo parzialmente. Soprattutto non fu mai accantonato perché le forze ad esso contrarie, quelle della blanda resistenza trinceratasi dietro Berlusconi, non erano attrezzate a condurre quest’ultima sino in fondo, non potendo (e nemmeno volendo) opporsi in modo netto e reciso all’invadenza statunitense. Allora però, caduta l’Urss, sembrava iniziare un lungo periodo di monocentrismo americano; i più ottusi fra i servi preconizzarono un XXI.mo secolo guidato dagli Usa (Occhetto, a nome dei rinnegati, si lanciò nel demenziale annuncio di “un secolo di pace e prosperità futura”, mascherando la pace e prosperità per chi si vende dietro quella, inesistente, dell’“universo-mondo”).
Tutto ciò è finito proprio con l’inizio del secolo. Si è dissolto il predominio incontrastato degli Stati Uniti; è venuta meno la funzione e l’utilità dei sicari comprati per “due soldi”, come si comprano del resto tutti i “fondi di magazzino” (del fu “socialismo reale”); ha mostrato la corda la solo blanda resistenza agli Usa e ai suoi lacchè della Confindustria, rafforzata ormai dalla finanza “weimariana” creatasi con la svendita delle aziende IRI attuata dalla finta sinistra – “laica” (Ciampi, Amato, ecc.) e “cattolica” (Prodi, ecc.) – in ottemperanza agli ordini impartiti nella riunione sul Panfilo “Britannia” (2 giugno 1992).
Con l’avanzata verso la fase storica multipolare (e policentrica), è ormai indispensabile un totale mutamento delle forze in campo; la situazione di compromesso – perché è tale malgrado l’aspra conflittualità solo personale – esistente in Italia non fa che rendere il paese sempre più arretrato in vista della competizione nell’attuale fase storica. La politica è infatti sparita e si è timorosamente nascosta dietro una diatriba apparentemente incentrata soltanto su una persona: Berlusconi. E’ tuttavia ben noto che non vi è simmetria tra affermazione e negazione. Se dico “bianco”, l’affermazione ha un senso preciso e definito. Se dico “non bianco”, si rimane nell’indefinito, giacché vi è un cumulo (spesso pasticciato) di colori che “non è il bianco”.
Questo è quanto accade in Italia. E’ certo limitativo e meschino affermare: “Berlusconi deve restare al potere”, dato che non si indica con precisione per quale politica deve restarci (a parte le chiacchiere e gli inutili peana al suo ministro Tremonti che ci avrebbe salvato dalla crisi; e si vedrà fra non molto il significato del condizionale). Dire però “Berlusconi non deve restare al potere” – e per realizzare tale obiettivo progettare la riunione della più putrida e verminosa ammucchiata che sia dato di immaginare, una vera cloaca, patrocinata dalla “vetta” delle istituzioni con devastazione e totale sputtanamento di queste ultime – è molto peggio, anzi è un vero salto di qualità nel pessimo.
Mi sembra evidente che anche il “bianco” è rappresentato da un coacervo di gruppi e individui poco omogeneo. L’unica coerenza sembra quella di trincerarsi dietro Berlusconi; nel mentre però si trama continuamente alle sue spalle, poiché in tale coacervo si fanno sentire i fautori di un allineamento totale e passivo agli Usa nel confronto mondiale ormai pluridirezionale. Inoltre, in quella che viene denominata destra, senza più nessun reale riferimento storico-politico, si notano carenze culturali evidenti, anzi quasi il disprezzo per la cultura; e quando non vi è disprezzo, siamo allora all’incredibile senso di inferiorità verso l’altra parte, anch’essa indicata con un nome, la sinistra, del tutto privo di richiamo ad una vera tradizione, ad una storia; giacché non è storia quella di un ammasso di individui uniti solo dal rinnegamento della loro appartenenza (al Pci, soprattutto, e alla Dc e Psi) e dal loro svendersi agli interessi degli Usa e dei loro scherani industrial-finanziari in Italia.
La “sinistra” è l’insieme dei miserabili uniti appunto dal “non bianco”; il compito per cui si sono svenduti è stato ostacolato da chi si è trincerato dietro un individuo, Berlusconi appunto, ed essi hanno quindi ormai perso di vista persino quel compito, si limitano ad inveire ed agitarsi scompostamente contro questo individuo, intendono riunirsi solo per eliminarlo dalla scena, confidando soprattutto nell’avere al loro fianco la magistratura. Il ceto intellettuale legato a questa abominevole ammucchiata ha conquistato – in altra epoca e in altro contesto appena un po’ meno putrido, pur sempre tramite il coagularsi di una serie di piccole e grandi “mafie” – il 90% delle posizioni nei media, nell’editoria, nel “fare opinione” e nell’accreditare ciò che è cultura e ciò che non lo è, ciò che è “politicamente corretto” e ciò che non lo è. Adesso sfrutta queste posizioni, ma nel contesto degenerato dell’opposizione ad una sola persona. Fa specie vedere individui, trattati un tempo da “grandi intellettuali”, ormai ridotti a “cloni” di ciò che furono; cloni mal costruiti, con circuiti cerebrali lesi dall’accanimento antiberlusconiano. Eppure la “destra” – questa destra, che è anch’essa un assembramento senza tradizioni né storia – non sa opporre nulla di nulla a simili orrendi “aggeggi”; anzi li accredita essa stessa quali intellettuali.
Vano è affannarsi a riformare scuola e Università, se prima non si capisce che si tratta di luoghi dove agiscono i suddetti “cloni”, che stanno appiattendo ogni forma di ragionamento tramite una sola ossessione: uniamoci “anche con il diavolo” pur di distruggere Berlusconi. Qui non c’è cultura, ma solo abbrutimento e annientamento di ogni barlume di ciò che si chiama “pensare”. Eppure, anche a “destra” ci si fa dettare l’“agenda” di questo appiattimento da chi ha ormai solo il camuffamento dell’intellettuale. Non si andrà da nessuna parte se non “nasce qualcuno” (un gruppo politico ovviamente) in grado di dire finalmente basta! La prima mossa non può più essere se non la radicale bonifica di quella parte, di pseudopolitici e pseudointellettuali, che viene detta “sinistra”, la parte del “non bianco”, della pura negazione senza più la menoma capacità di affermare, di dare cioè indicazioni in positivo. In un mondo che si avvia rapidamente (una rapidità in senso “storico”) verso il confronto/scontro pluridirezionale, in cui si deve agire con agilità e sveltezza nel campo del conflitto, la bonifica non può attendere i tempi di una “nuova illuminazione” culturale. La politica, quella vera, deve intanto agire con i suoi metodi più radicali, quelli del risanamento di uno “spazio infetto”. Non a caso, parlo di bonifica, che mi pare termine chiaro ed espressivo.
Ovviamente, si deve condurre nel frattempo anche una battaglia culturale contro i “cloni” dell’ammucchiata di “sinistra”, cui segua l’indicazione dell’“impreparazione” dell’altro coacervo (la “destra”) ad un simile compito. Tuttavia, i “nuovi intellettuali”, di cui pur c’è bisogno, devono avere consapevolezza dell’insufficienza di una battaglia culturale per entrare rapidamente in “assetto di conflitto” nel mondo multipolare. A tal proposito, va segnalato il narcisismo di certuni che pretenderebbero d’essere questi nuovi intellettuali. Li si smaschera del resto abbastanza facilmente, poiché sono quelli che tentano di ingannare ancora i presunti “incolti”, verso cui manifestano sommo disprezzo e senso di superiorità, per convincerli ad appoggiare la loro battaglia solo culturale, tramite la quale rendono manifesta la loro meschina intenzione di formare ulteriori piccole cosche “mafiose” per farsi accettare nell’establishment giornalistico, editoriale, ecc. Questi intellettuali vanno presi a calci nei denti, sono eguali agli altri, più disgustosi degli altri poiché si limitano a “bussare alla porta” per poter entrare in quello che, nella loro stupidità di intellettuali “puri”, credono sia l’Olimpo dei “grandi pensatori”. Bisogna far capire che verrà invece loro riservata una bella “foiba”, in cui scaraventare il loro ributtante atteggiamento da “esseri superiori”.
A tutti questi cialtroni, che ancora popolano il mondo europeo, ma ancor più l’italiano, è ora di dire basta! E’ indispensabile la bonifica da parte di una nuova e autentica politica, che deve trovare i suoi portatori soggettivi. L’attesa non può tuttavia essere troppo lunga; altrimenti, ci si rassegni ad “uscire dalla storia” nell’ormai prossimo conflitto plurimo.

PS Politicanti rinnegati senza più radici né storia, giornalacci degli industrial-finanziari parassiti (la GFeID), intellettuali vendutisi a questi ultimi, si stanno stracciando le vesti e disperando per la visita di Gheddafi in Italia e la sua presunta amicizia con il premier. Se arrivasse Putin si reciterebbe la stessa pantomima. Sono rimbambiti o ipocriti e farabutti. Per quanto concerne i politicanti e i giornalacci (e coloro che li finanziano) sappiamo scegliere senza esitazioni tra le due alternative; per gli intellettuali è più difficile pur se, in entrambi i casi, è chiaro che sono privi di intelletto. Tutta questa gentaglia, ormai intollerabile, viene definita “sinistra”. In effetti, è una denominazione di origine incontrollata. Se vogliono però essere indicati così, nessun problema. Diciamo senza tante perifrasi che la vergogna di coloro che ci governano è di non avere ancora eliminato radicalmente la “sinistra” dalla scena nazionale. Fin quando non si troverà, in questo paese, “qualcuno” in grado di far sparire questa gentaccia, non diventeremo un paese “normale”.
Non è possibile che una qualsiasi società possa funzionare se lascia liberamente circolare simile pattume. Sia chiaro: in un’epoca storica in cui andiamo verso il confronto multipolare, non sorprende che vi siano frazioni politiche convinte della bontà di alleanze diverse, con l’uno o con l’altro dei diversi poli d’influenza. E’ però inammissibile che al posto di frazioni politiche vi siano ghenghe di miserabili accattoni; una delle quali è però chiaramente pagata da chi lede gli interessi del nostro paese e si appropria del prodotto di coloro che veramente lavorano. La GFeID, e i politicanti e intellettuali al suo seguito, rappresentano appunto le mignatte attaccate al “corpo” della popolazione lavoratrice. Si conceda pure loro, per semplice misericordia, di (soprav)vivere in questo paese, ma restando in silenzio e lavorando duro. I politicanti e intellettuali vadano ad ingrossare l’esercito dei precari stagionali (e soprattutto nei lavori più pesanti). I membri della GFeID vengano espropriati con processo inverso a quello verificatosi dopo le decisioni prese sul Panfilo “Britannia”. Hanno già i loro capitali all’estero; e lì vadano a passare il resto dei loro giorni.
Si tratta di soluzioni incruente, in fondo dolci. Del resto vengono anche incontro alle richieste di molti di questi fottuti denominati come “sinistra”, i quali continuano a manifestare la volontà di andarsene all’estero piuttosto che vivere in un paese come il nostro. Li si accontenti infine. Naturalmente, per chi non ha modo di sostentarsi in altro paese si aprano i suddetti lavori precari; se non gli piacciono, lo si avvii allora a quelli forzati. E’ ora che “qualcuno” risolva il problema; non è igienico lasciare “per le strade” questo letamaio.
di Gianfranco La Grassa

30 agosto 2010

No al governo dei tecnici e delle banche!

Al rientro dalle vacanze gli italiani si troveranno a fronteggiare la peggiore crisi economica dal 1923, paragonabile alla Germania di Weimar perché la ricetta della Banca Centrale Europea e della Federal Reserve è la stessa di allora: stampare denaro per rifinanziare trilioni di dollari di titoli tossici (legati ai mutui subprime, ai derivati) imponendo misure draconiane di austerità per salvare un sistema fallito. Non a caso la finanza ha sperimentato una "ripresa", mentre l'economia reale continua a crollare. Si prospetta una nuova ondata di licenziamenti in settembre; le nostre piccole e medie imprese rischiano di chiudere per mancanza di credito. E mentre sta per colpire la "botta grossa", come l'ha definita l'economista e leader politico americano Lyndon LaRouche, la strategia della finanza oligarchica è chiara per chi la vuole vedere: fare di tutto per mantenere in piedi la bolla speculativa dei derivati, che è dieci volte il PIL mondiale, imponendo una riduzione massiccia del tenore di vita della popolazione. Naturalmente le resistenze saranno grosse, e la protesta dilaga già tra la gente. L'impopolarità crescente di Obama, ad esempio, è il risultato dell'assenza di una risposta seria alla crisi, con milioni di disoccupati e di pignoramenti irrisolti, non certamente della moschea vicina a Ground Zero. Lo tengano presente i nostri politici quando devono scegliere se piegarsi alle pressioni: gli italiani si aspettano soluzioni, e se le aspettano adesso, non dopo altri mesi. Seguire le stesse ricette che hanno provocato la crisi potrà solo accelerare il processo di crollo.

Con la minaccia che l'Italia potrebbe "fare la fine della Grecia" rischiamo infatti di accettare la stessa ricetta mortale imposta dall'Unione Europea alla Grecia: distruggere l'economia reale, il lavoro e i livelli di vita della popolazione per salvare le banche e la Goldman Sachs, la banca d'affari che ha provocato la crisi greca coi suoi "consigli" sul debito. Non è un caso che i nomi che emergono per la guida di un "governo dei tecnici" siano Mario Draghi e Luca Cordero di Montezemolo; l'unico scopo di un tale esecutivo di emergenza sarebbe quello di salvare il sistema attuale a spese di noi contribuenti e svendendo ENI, ENEL ed altre risorse pubbliche, esattamente come fece Draghi all'epoca del vertice sul panfilo Britannia, nel 1992, quando era direttore generale del Tesoro.

La soluzione alla crisi c'è, e chi segue il nostro sito ed il movimento di LaRouche la conosce da molti anni: un nuovo sistema finanziario e creditizio, che metta fine alla bolla dei derivati e degli hedge fund, separando banche commerciali e banche d'affari come fece Roosevelt nel 1933, mettendo fine al crac del 1929 con la riforma Glass-Steagall, e garantendo solo le banche che finanziano l'economia reale, e non quelle che speculano. Grandi progetti infrastrutturali, come il progetto NAWAPA negli Stati Uniti/Canada e Messico, il corrispettivo odierno della Tennessee Valley Authority dei tempi di Roosevelt, o altri progetti simili in Europa ed Africa, come il progetto Transaqua per imbrigliare le acque dei fiumi, rendendoli navigabili ed irrigando i campi (vedi "L'alternativa: la pace attraverso lo sviluppo"). Invece di preoccuparsi di "restare in Europa" il governo italiano dovrebbe preoccuparsi di entrare a far parte della potenziale alleanza tra le quattro potenze (Stati Uniti, Russia, India e Cina) in funzione di tale riorganizzazione del sistema finanziario e creditizio, e di tali grandi progetti, gli unici che potranno rilanciare l'occupazione e l'economia. Come dichiarò mesi or sono il ministro Tremonti, ignorare il problema della speculazione finanziaria, "significa solo provocare la prossima crisi". È quanto ha fatto l'amministrazione Obama, è quanto ha fatto l'Unione Europea, ed ora siamo alla prossima crisi, che era prevedibile. Non ripetiamo l'errore del 2008: ristabiliamo il principio della sovranità nazionale in politica economica, come ha fatto il governo tedesco mesi fa decidendo di vietare certi tipi di derivati contro la volontà dell'UE. La Banca Centrale Europea continua a ripetere che non gradisce alcuna riforma Glass-Steagall perché interferisce con la libertà delle banche d'affari di succhiare il sangue all'economia reale. Lo ha fatto più volte negli scorsi mesi, anche rispondendo a domande del nostro movimento: ebbene, se questa è l'Europa, l'Europa delle banche d'affari, usciamo dal sistema dell'Euro e diamo vita a quella Nuova Bretton Woods proposta da LaRouche ed invocata da più parti, anche nel nostro Parlamento. Intorno a queste proposte, per risolvere la crisi e rilanciare l'occupazione, sarà possibile creare un'intesa tra i partiti ed evitare un governo tecnocratico delle banche
di Liliana Gorini

29 agosto 2010

Verso una III guerra mondiale? Il ruolo d'Israele



Lo stoccaggio e la distribuzione di avanzati sistemi di armi contro l'Iran ha avuto inizio subito dopo i bombardamenti e l'invasione dell'Iraq del 2003. Fin dall'inizio, questi piani di guerra sono stati guidati dagli Stati Uniti, in collegamento con la NATO e Israele.

Dopo l' invasione dell'Iraq, l'amministrazione Bush identificò l'Iran e la Siria, come la fase successiva della " Road map per la guerra ".

Fonti militari statunitensi dichiararono che un attacco aereo contro l'Iran avrebbe potuto comportare uno schieramento su larga scala paragonabile ai bombardamenti "colpisci e terrorizza" degli Stati Uniti sull'Iraq del marzo 2003 :

"attacchi aerei americani contro l'Iran avrebbero una portata di gran lunga superiore a quella dell'attacco israeliano del 1981 al centro nucleare di Osiraq in Iraq, e si avvicinerebbero di più ai giorni di apertura della campagna aerea del 2003 contro l'Iraq. (Vedi Globalsecurity )

"Teatro Iran vicino al termine "

„ Nominate in codice dai pianificatori militari degli Stati Uniti come TIRANNT, “Theater Iran near the Term-Teatro Iran vicino al termine„, simulazioni di un attacco all'Iran sono iniziate nel maggio 2003 “quando i modellatori e gli esperti di intelligence hanno raccolto i dati necessari per l'analisi del piano d'azione su grande scala per l'Iran" (William Arkin, Washington Post, 16 April 2006).

Le analisi hanno identificato parecchie migliaia di obiettivi all'interno dell'Iran come parte di una guerra lampo del tipo " Colpisci e terrorizza" :

"L'analisi , denominata TIRANNT , per " Teatro Iran vicino al termine ", era accompagnata da un finto scenario per una invasione del corpo dei marines e una simulazione della forza missilistica iraniana. I pianificatori americani e britannici hanno condotto un'esercitazione di guerra nel Mar Caspio più o meno nello stesso periodo. E Bush ha ordinato al Comando Strategico Usa di elaborare un piano di guerra globale per un attacco contro le armi di distruzione di massa iraniane. Tutto questo alla fine confluirà in un piano di nuova guerra per "più importanti operazioni di combattimento" contro l' Iran che fonti militari confermano ora [ Aprile 2006] esiste in forma di progetto.

... Sotto TIRANNT , Esercito e pianificatori del Comando Centrale degli Stati Uniti hanno esaminato scenari di guerra con l'Iran sia a breve termine che entro l'anno, compresi tutti gli aspetti di un'operazione di combattimento importante, dalla mobilitazione e dispiegamento di forze fino alle operazioni di stabilità nel dopoguerra dopo il cambiamento di regime ". (William Arkin, Washington Post, 16 aprile 2006)

Erano stati previsti diversi "scenari" per un attacco globale contro l'Iran: "l'esercito USA, la Marina, l'aeronautica e i marines hanno tutti preparato piani di battaglia e hanno trascorso quattro anni a costruire basi e corsi di formazione per una "Operation Iranian Freedom". L'ammiraglio Fallon, il nuovo capo del comando centrale USA, ha ereditato piani computerizzati sotto il nome TIRANNT (teatro Iran Near Term)." (New Statesman, 19 febbraio 2007)

Nel 2004, ispirandosi agli scenari di guerra iniziale sotto TIRANNT, il Vice Presidente Dick Cheney ha incaricato USSTRATCOM di elaborare un "piano di emergenza" per un'operazione militare su larga scala diretta contro l'Iran "puo essere impiegato in risposta ad un altro attacco terroristico tipo 9/11 contro gli Stati Uniti" sulla presunzione che il governo di Teheran sarebbe dietro la trama terroristica. Nel piano è incluso l'uso preventivo di armi nucleari contro uno Stato nucleare:

"Il piano include un attacco aereo su larga scala sull'Iran impiegando armi nucleari sia convenzionali che tattiche. In Iran ci sono più di 450 obiettivi strategici principali, tra cui numerosi siti sospettati di sviluppare il programma di armi nucleari. Molti degli obiettivi sono insensibili o sono nelle profondità sotterranee e potrebbero non essere colpiti da armi convenzionali, quindi l'opzione nucleare. Come nel caso dell'Iraq, la risposta non è condizionata al fatto che l''Iran sia effettivamente coinvolto nell'atto di terrorismo, diretto contro gli Stati Uniti. Diversi alti ufficiali dell'aeronautica coinvolti nella pianificazione, secondo qanto riferito, sono sgomenti per le implicazioni di ciò che stanno facendo — che l'Iran sia designato per un attacco nucleare non provocato — ma nessuno è disposto a danneggiare la sua carriera, ponendo obiezioni. " (Philip Giraldi, Deep Background,The American Conservative agosto 2005)

La tabella di marcia militare: "prima l'Iraq, poi l'Iran"

La decisione di colpire l'Iran sotto TIRANNT era parte del più ampio processo di pianificazione e sequenza delle operazioni militari. Già sotto l'amministrazione Clinton, il Comando Centrale USA(USCENTCOM) aveva formulato "nei piani dello scenario di guerra" di invadere prima l'Iraq e poi l'Iran. L'accesso al petrolio del Medio Oriente era l'obiettivo strategico:

"I chiari interessi di sicurezza nazionale e gli obiettivi espressi nella strategia di sicurezza nazionale (NSS) del Presidente e nella strategia militare nazionale (NMS) del Presidente costituiscono il fondamento della strategia dello scenario del comando centrale USA. La NSS presenta l'attuazione di una strategia di contenimento duale degli Stati canaglia Iraq ed Iran, nel caso tali Stati costituiscano una minaccia per gli interessi degli USA, per gli altri Stati della regione e per i loro cittadini. Il doppio contenimento è progettato per mantenere l'equilibrio di potere nella regione senza che questo dipenda dall'Iraq o dall'Iran. La strategia USCENTCOM è basata sugli interessi e centrata sulla minaccia. Lo scopo dell'impegno degli USA, come esposto nell'NSS, è di tutelare gli interessi vitali degli Stati Uniti nella regione - il continuo, sicuro accesso al petrolio del Golfo."
(USCENTCOM,http://www.milnet.com/milnet/pentagon/centcom/chap1/stratgic.htm#USPolicy, il collegamento non è più attivo, archiviato presso http://tinyurl.com/37gafu9)

La guerra contro l'Iran è stata considerata come parte di una successione di operazioni militari. Secondo l'ex comandante NATO generale Wesley Clark, la road-map militare del Pentagono consisteva in una sequenza di paesi: "[il] piano di campagna quinquennale [include]... un totale di sette paesi, cominciando con l'Iraq, poi Siria, Libano, Libia, Iran, Somalia e Sudan." In "Winning Modern Wars" (pagina 130) il generale Clark afferma quanto segue:

"Quando tornai al Pentagono nel novembre 2001, uno degli ufficiali dirigenti militari aveva tempo per una chiacchierata. Sì, eravamo ancora in pista per andare contro l'Iraq, disse. Ma c'era di più. Questo era stato discusso nell'ambito di un piano di campagna quinquennale, disse, e c'erano un totale di sette paesi, cominciando con l'Iraq, poi Siria, Libano, Libia, Iran, Somalia e Sudan. (Vedi Secret 2001 Pentagon Plan to Attack Lebanon, Global Research, 23 luglio 2006)

Il ruolo di Israele

Si è discusso molto sul ruolo di Israele nell'innesco di un attacco contro l'Iran.

Israele è parte di un'alleanza militare. Tel Aviv non è un promotore. Non ha un'agenda militare distinta e separata.

Israele è integrato nel "piano di guerra per le principali operazioni di combattimento" contro l'Iran formulato nel 2006 dal Comando Strategico USA (USSTRATCOM). Nel contesto delle operazioni militari su larga scala, un'azione militare unilaterale non coordinata da parte di un solo partner della coalizione, cioè Israele, è da un punto di vista strategico e militare, quasi impossibile. Israele è un membro de facto della NATO. Qualsiasi azione da parte di Israele richiederebbe una "luce verde" da Washington.

Un attacco da parte di Israele potrebbe, tuttavia, essere utilizzato come "il meccanismo d'innesco", che scatenerebbe una guerra totale contro l'Iran, come pure la ritorsione da parte dell'Iran nei confronti di Israele.

A questo proposito, vi sono indizi che Washington potrebbe prevedere la possibilità di iniziale attacco (sostenuto dagli US) da parte di Israele, piuttosto che una pura e semplice operazione militare contro l'Iran guidata dagli USA. L'attacco israeliano--anche se condotto in stretto collegamento con il Pentagono e la NATO--verrebbe presentato all'opinione pubblica come una decisione unilaterale di Tel Aviv. Sarebbe quindi utilizzato da Washington per giustificare, agli occhi dell'opinione mondiale, un intervento militare degli Stati Uniti e della NATO per "difendere Israele", invece di attaccare l'Iran. Nell'ambito degli accordi di cooperazione militare esistenti, sia gli Stati Uniti che la NATO sarebbero "obbligati" a "difendere Israele" contro l'Iran e la Siria.

Vale la pena notare, a questo proposito, che fin dall'inizio del secondo mandato di Bush, (l'ex) Vice Presidente Dick Cheney accennò, in termini di certezza, che l'Iran era "proprio in cima alla lista" dei nemici "canaglia" dell'America, e che Israele, per così dire, "bombarderebbe per noi", senza coinvolgimento militare degli Stati Uniti e senza che noi esercitiamo pressioni su di loro "per farlo" (vedi Michel Chossudovsky, Planned US-Israeli Attack on Iran, Global Research, 1 maggio 2005): Secondo Cheney:

"Una delle preoccupazioni della gente è che Israele potrebbe farlo senza che gli venga chiesto... Dato che l'Iran ha una politica dichiarata secondo cui il suo obiettivo è la distruzione di Israele, gli israeliani potrebbero decidere di agire per primi e lasciare il resto del mondo a preoccuparsi di ripulire il pasticcio diplomatico che seguirebbe,"(Dick Cheney, citato da un'intervista di MSNBC, gennaio 2005)

Commentando l'affermazione del Vicepresidente, l'ex consigliere per la sicurezza nazionale Zbigniew Brzezinski in un'intervista su PBS, ha confermato con qualche apprensione, sì: Cheney vuole che il primo ministro Ariel Sharon agisca per conto dell'America e "lo faccia" per noi:

"Credo che l'Iran sia più ambiguo. E il problema esistente non è certamente la tirannia; ma le armi nucleari. E il vice Presidente oggi in una sorta di una strana istruzione parallela a questa dichiarazione di libertà ha suggerito che gli israeliani possono farlo e infatti ha usato un linguaggio che suona come una giustificazione o anche un incoraggiamento per gli israeliani a farlo."

Quello di cui ci stiamo occupando è un'operazione militare congiunta U.S.-NATO-Israele per bombardare l'Iran, che è stata in fase di pianificazione attiva dal 2004. Il funzionari del Dipartimento della difesa, sotto Bush e Obama, hanno lavorato assiduamente con i loro omologhi militari e di intelligence israeliani, identificando attentamente obiettivi dentro l'Iran. In termini pratici militari, qualsiasi azione da parte di Israele avrebbe dovuto essere pianificata e coordinata ai livelli più alti della coalizione guidata dagli Stati Uniti.

Un attacco da parte di Israele richiederebbe anche un coordinato sostegno logistico U.S. -europa-NATO, in particolare con riguardo al sistema di difesa aerea di Israele, che da gennaio 2009 è completamente integrato in quello degli Stati Uniti e della NATO. (Vedere Michel Chossudovsky, Unusually Large U.S. Weapons Shipment to Israel: Are the US and Israel Planning a Broader Middle East War? Global Research, 11 gennaio, 2009)

Il sistema radar a banda X di Israele installato all'inizio del 2009 con il supporto tecnico degli Stati Uniti ha "integrato le difese antimissile di Israele con la rete globale americana di rilevamento antimissile [nello spazio], che include satelliti, navi Aegis sul Mediterraneo, Golfo Persico e Mar Rosso e radars Patriot e missili intercettori a terra." (Defense Talk.com, January 6, 2009,)

Ciò significa che Washington, in definitiva, invita a colpire. Gli Stati Uniti piuttosto che Israele controllano il sistema di difesa aerea: '' 'Questo è e rimarrà un sistema radar degli Stati Uniti,' ha dichiarato il portavoce del Pentagono Geoff Morrell. "Così questo non è qualcosa che noi stiamo dando o vendendo agli israeliani ed è qualcosa che richiederà probabilmente personale degli Stati Uniti in loco per funzionare." " (Citato nel notiziario di Israele, 9 gennaio 2009).

Le forze armate USA sovrintendono al sistema di Difesa Aerea di Israele, che è integrato nel sistema globale del Pentagono. In altre parole, Israele non può avviare una guerra contro l'Iran senza il consenso di Washington. Da qui l'importanza della legislazione cosiddetta "Luce Verde" sponsorizzata al Congresso dal partito repubblicano nell'ambito della House Resolution 1553, che supporta in modo esplicito un attacco israeliano all'Iran:

"La misura, introdotta dal repubblicano del Texas Louie Gohmert e 46 dei suoi colleghi, appoggia l'uso da parte di Israele di "tutti i mezzi necessari "contro l'Iran" compreso l'uso della forza militare."... "Siamo stati costretti ad arrivare a questo. Abbiamo bisogno di mostrare il nostro sostegno ad Israele. Abbiamo bisogno di smettere di giocare con questo alleato critico in un settore difficile."" (Vedere Webster Tarpley, Fidel Castro Warns of Imminent Nuclear War; Admiral Mullen Threatens Iran; US-Israel Vs. Iran-Hezbollah Confrontation Builds On, Global Research, August 10, 2010)

In pratica, la proposta di legge è una "Luce Verde" per la casa bianca e il Pentagono, piuttosto che per Israele. Essa costituisce un'approvazione senza discussione per una guerra contro l'Iran sponsorizzata dagli USA che utilizza Israele come un conveniente trampolino di lancio militare. Essa serve anche come una giustificazione per fare la guerra a difesa di Israele.
In questo contesto, Israele potrebbe infatti fornire il pretesto per fare la guerra, in risposta a presunti attacchi di Hamas o Hezbollah e/o l'attivazione delle ostilità sul confine di Israele con il Libano. È fondamentale comprendere che un "incidente" minore potrebbe essere utilizzato come pretesto per innescare una grande operazione militare contro l'Iran.
Come sanno i pianificatori militari degli Stati Uniti, Israele (piuttosto che gli Stati Uniti) sarebbe il primo obiettivo di rappresaglia militare da parte dell'Iran. In linea generale, gli israeliani sarebbero vittime di macchinazioni di Washington e del loro stesso governo. È, a questo riguardo, assolutamente fondamentale che gli israeliani si oppongano con forza a qualsiasi azione da parte del governo di Netanyahu per attaccare l'Iran.

Guerra globale: Il ruolo del comando strategico degli Stati Uniti (USSTRATCOM)

Le operazioni militari globali sono coordinate dalle Sedi Centrali del Comando Strategico USA (USSTRATCOM) presso la base aerea militare di Offutt nel Nebraska, in collegamento con i comandi regionali combattenti unificati (ad esempio. Comando centrale USA in Florida, che è responsabile per il Medio Oriente-regione Asia Centrale, vedi mappa qui sotto) così come le unità di comando della coalizione in Israele, Turchia, Golfo Persico e la base militare di Diego Garcia nell'Oceano Indiano. La pianificazione militare e il processo decisionale a livello di paese di singoli alleati NATO-U.S. così come "i paesi partner" sono integrati in un disegno militare globale, compresa la militarizzazione dello spazio.

Sotto il suo nuovo mandato, USSTRATCOM ha la responsabilità di "soprintendere ad un piano di attacco globale" con armi nucleari e convenzionali. In gergo militare, è previsto che svolga il ruolo di "integratore globale con missioni di Operazioni Spaziali; operazioni di informazione; Difesa Antimissile Integrata; Comando& Controllo Globale; Intelligence, sorveglianza e ricognizione; Attacco Globale; e deterrenza strategica.... "

Le responsabilità USSTRATCOM includono: "direzione, pianificazione ed esecuzione di operazioni di deterrenza strategica "a livello mondiale, "sincronizzazione delle operazioni e dei piani di difesa missilistica globale", "sincronizzazione dei piani regionali di combattimenti", etc. USSTRATCOM è la principale Agenzia nel coordinamento della guerra moderna.

Nel gennaio 2005, USSTRATCOM fin dall'inizio del dispiegamento militare e stoccaggio diretti contro l'Iran, è stato identificato come "il Comando Combattente leader per l'integrazione e la sincronizzazione degli sforzi a livello del DoD nella lotta contro le armi di distruzione di massa." (Michel Chossudovsky, guerra nucleare contro l'Iran, Global Research, 3 gennaio 2006).

Ciò significa che il coordinamento di un attacco su larga scala contro l'Iran, compresi i vari scenari di escalation all'interno ed oltre la più vasta Regione Asiatica del Medio Oriente dovrebbe essere coordinato da USSTRATCOM.

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Mappa: Area di competenza Comando Centrale degli Stati Uniti

Armi nucleari tattiche contro l'Iran

Confermato da documenti militari come pure da dichiarazioni ufficiali, sia negli Stati Uniti che in Israele è contemplato l'uso di armi nucleari contro l'Iran. Nel 2006, l'US Strategic Command (USSTRATCOM) ha annunciato che aveva raggiunto una capacità operativa per colpire rapidamente destinazioni in tutto il mondo utilizzando armi nucleari o convenzionali. Questo annuncio è stato fatto dopo lo svolgimento di simulazioni militari USA riguardanti un attacco nucleare contro un paese immaginario. (David Ruppe, Preemptive Nuclear War in a State of Readiness: U.S. Command Declares Global Strike Capability, Global Security Newswire, 2 dicembre 2005)

Continuità nei confronti dell'era Bush-Cheney: il Presidente Obama in gran parte ha approvato la dottrina dell'uso preventivo di armi nucleari formulata dalla precedente amministrazione. Sotto il Nuclear Posture Review del 2010, l'amministrazione Obama ha confermato che "essa si riserva il diritto di usare armi nucleari contro l'Iran" per la sua inadempienza verso gli Stati Uniti per quanto riguarda il suo programma di sviluppo di presunte armi nucleari (inesistente). (Opzione nucleare degli Stati Uniti sull'Iran collegata alla minaccia di attacchi israeliani - ipsnews.net IPS, 23 aprile 2010). L'amministrazione Obama ha anche fatto intendere che si potrebbero usare armi nucleari nel caso di una risposta iraniana ad un attacco israeliano contro l'Iran. (Ibid.). Israele ha elaborato i propri "piani segreti" anche per bombardare l'Iran con armi nucleari tattiche:

"I comandanti militari israeliani credono che gli attacchi convenzionali non possono più bastare per annientare le strutture di arricchimento dell'uranio sempre più protette. Molte sono state costruite sotto almeno 70 piedi di calcestruzzo e roccia. Tuttavia, i bunker busters nucleari verrebbero utilizzati solo se fosse escluso un attacco convenzionale e se gli Stati Uniti rifiutassero di intervenire, hanno dichiarato fonti di alto livello." (Revealed: Israel plans nuclear strike on Iran - Times Online, January 7, 2007)

Le istruzioni di Obama sull'uso di armi nucleari contro l'Iran e la Corea del Nord sono coerenti con la dottrina USA post 9/11, che consente l'uso di armi nucleari tattiche in un teatro di guerra convenzionale.

Attraverso una campagna di propaganda che ha ottenuto il sostegno di "autorevoli" scienziati nucleari, le mini-bombe atomiche vengono sostenute come strumento di pace, vale a dire un mezzo per la lotta contro "il terrorismo islamico" e l'installazione della "democrazia" di stile occidentale in Iran. Le armi nucleari a basso potenziale sono stata liquidate come "per utilizzo sul campo di battaglia". Si prevede che vengano utilizzate contro l'Iran e la Siria nella fase successiva della "guerra al terrorismo" dell'America insieme ad armi convenzionali.

"I funzionari dell'Amministrazione sostengono che le armi nucleari a basso potenziale sono necessarie come credibile deterrente contro gli Stati canaglia. [Corea del Nord, Iran, Siria] La loro logica è che le armi nucleari esistenti sono troppo distruttive per essere utilizzate, tranne in una guerra nucleare su vasta scala. Potenziali nemici potrebbero rendersi conto di questo, così che non considererebbero la minaccia di ritorsioni nucleari come credibile. Tuttavia, armi nucleari a basso potenziale sono meno distruttive, quindi presumibilmente potrebbero essere utilizzate. Questo le renderà più efficaci come deterrente." (Opponents Surprised By Elimination of Nuke Research Funds Defense News November 29, 2004)

Le armi nucleari da utilizzare preferibilmente contro l'Iran sono le armi nucleari tattiche
(Made in America), vale a dire bombe bunker buster con testate nucleari (ad es. B61.11), con una capacità esplosiva tra un terzo fino a sei volte una bomba di Hiroshima. Il B61-11 è la versione"nucleare" della "convenzionale" BLU 113. o la Guided Bomb Unit GBU-28. Può essere lanciata in modo molto simile alla bomba bunker buster convenzionale. (Vedi Michel Chossudovsky,http://www.globalresearch.ca/articles/CHO112C.html, vedi anche http://www.thebulletin.org/article_nn.php?art_ofn=jf03norris)
Mentre gli Stati Uniti non contemplano l'uso di armi termonucleari strategiche contro l'Iran, l'arsenale nucleare di Israele è in gran parte composto da bombe termonucleari che vengono impiegate e potrebbero essere utilizzate in una guerra con l'Iran. Nell'ambito del sistema missilistico Jericho‐III con una gittata tra i 4.800 km ed i 6.500 km, tutto l'Iran sarebbe entro la portata. di Israele

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Bomba bunker buster convenzionale Guided Bomb Unit GBU-27
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B61 bomba bunker buster

Ricaduta radioattiva

Il problema della ricaduta e contaminazione radiottiva, mentre casualmente viene respinto dagli analisti militari NATO-U.S., sarebbe devastante, potenzialmente interesserebbe una vasta area del Medio Oriente (Israele compreso) e la regione dell'Asia centrale.

In una logica assolutamente contorta, le armi nucleari sono presentate come un mezzo per costruire la pace e prevenire "danni collaterali". Le armi nucleari inesistenti dell'Iran sono una minaccia per la sicurezza globale, mentre quelle degli Stati Uniti e di Israele sono strumenti di pace "innocui per la popolazione civile circostante ".

"La madre di tutte le bombe" (MOAB) prevista per essere utilizzata contro l'Iran

Di importanza militare all'interno dell'arsenale di armi convenzionali USA l'"arma mostro" di 21.500-libbre soprannominata la "madre di tutte le bombe" La GBU-43/B or Massive Ordnance Air Blast bomb (MOAB) è stata classificata "come l'arma non-nucleare più potente mai progettata" con la resa più grande nell'arsenale convenzionale USA. Il MOAB è stato testato prima di essere distribuito nel teatro di guerra Iraq all'inizio del marzo 2003. Stando alle fonti militari statunitensi, I Capi di Stato Maggiore Riuniti avevano informato il governo di Saddam Hussein prima di lanciare l'attacco del 2003 che la "madre di tutte le bombe" doveva essere utilizzata contro l'Iraq. (Ci sono stati rapporti non confermati che sia stata utilizzata in Iraq).

Il Dipartimento della difesa ha confermato nell'ottobre del 2009 che intende utilizzare la "madre di tutte le bombe" (MOAB) contro l'Iran. Il MOAB è considerato "ideale per colpire profondamente impianti nucleari interrati come Natanz o Qom in Iran" (Jonathan Karl, Is the U.S. Preparing to Bomb Iran? ABC News, October 9, 2009). La verità è che il MOAB, data la sua capacità esplosiva, comporterebbe perdite civili estremamente grandi. Si tratta di una convenzionale "macchina per uccidere" con una nube a forma di fungo di tipo nucleare.

L'approvvigionamento di quattro MOABs fu commissionato nell'ottobre 2009 al notevole costo di 58,4 milioni di dollari, (14,6 milioni di dollari per ogni bomba). Tale importo comprende i costi di sviluppo e test, nonché integrazione delle bombe MOAB su bombardieri stealth B-2. (Ibid.). Questa acquisizione è direttamente collegata ai preparativi di guerra in relazione all'Iran. La notifica era contenuta a pagina-93 del "promemoria per la riprogrammazione" che comprendeva le seguenti istruzioni:

"Il Dipartimento ha un urgente bisogno operativo (UON-Urgent Operational Need) di acquisire la capacità di colpire obiettivi duri e profondamente interrati in ambienti ad alta minaccia. Il MOP [Mother of All Bombs-la madre di tutte le bombe] è l'arma di scelta per soddisfare i requisiti della UON [Urgent Operational Need]." Precisa inoltre che la richiesta è approvata dal Pacific Command (che ha responsabilità sulla Corea del Nord) e dal comando centrale (che ha la responsabilità sull'Iran)." (ABC News, op cit, enfasi aggiunta). Per consultare la richiesta di riprogrammare (pdf) clicca qui

Il Pentagono sta pianificando un processo di vasta distruzione delle infrastrutture e incidenti di massa tra i civili attraverso l'uso combinato di armi nucleari tattiche e mostruose bombe convenzionali con nubi a forma di fungo, compreso il MOAB e il più grande GBU-57A/B o Massive Ordinance Penetrator (MOP), che sorpassa il MOAB in termini di capacità esplosiva.
Il MOP è descritto come "una nuova potente bomba diretta agli impianti nucleari sotterranei dell'Iran e Corea del Nord. La bomba gigantesca — più di 11 persone in piedi spalla a spalla [vedi immagine qui sotto] o più di 20 piedi dalla base alla punta "(vedi Edwin Black, "Super Bunker-Buster Bombs Fast-Tracked for Possible Use Against Iran and North Korea Nuclear Programs", Cutting Edge, September 21 2009)
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"Madre di tutte le bombe" (MOAB)
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GBU-57A/B messa Ordnance Penetrator (MOP)

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MOAB: le schermate del test: esplosione e nube a fungo

Stato di avanzamento degli armamenti: "Guerra resa Possible attraverso nuove tecnologie"

Il processo decisionale dei militari USA in relazione all'Iran è sostenuto da Star Wars, la militarizzazione dello spazio e la rivoluzione nelle comunicazioni e sistemi di informazione. Dati i progressi della tecnologia militare e lo sviluppo di nuovi sistemi di armamenti, un attacco contro l'Iran potrebbe essere notevolmente diverso in termini di una combinazione di sistemi di armi, rispetto alla guerra lampo del marzo 2003 lanciata contro l'Iraq. L'operazione Iran prevede l'utilizzo dei più avanzati sistemi di armi a sostegno delle sue incursioni aeree. Con ogni probabilità, saranno testati nuovi sistemi di armi.

Il Progetto per un Nuovo Secolo Americano del 2000 (PNAC) intitolato Ricostruire le Difese dell'America, ha delineato il mandato dei militari americani in termini di Guerre su larga scala, per essere condotte simultaneamente in diverse regioni del mondo:

"Combattere e conquistare decisamente multipli, simultanei teatri di guerra".

Tale formulazione equivale ad una guerra globale di conquista da parte di un'unica superpotenza imperiale. Il documento PNAC viene chiamato anche la "rivoluzione negli affari militari", per la trasformazione delle forze da sfruttare, vale a dire l'attuazione della "guerra resa possibile grazie alle nuove tecnologie". (Vedere il progetto per un nuovo secolo americano, Ricostruire le Difese dell' America Washington DC, settembre 2000, pdf). Quest'ultimo consiste nello sviluppare e perfezionare lo stato dell'arte globale di una macchina per uccidere basata su un arsenale di nuove armi sofisticate, che alla fine potrebbero sostituire i modelli esistenti.

"Così, si può prevedere che il processo di trasformazione sarà infatti un processo in due fasi: prima di transizione, quindi di trasformazione più approfondita. Il punto di rottura ci sarà quando una preponderanza di nuovi sistemi di armamenti comincerà ad entrare in servizio, forse quando, ad esempio, veicoli aerei senza equipaggio inizieranno ad essere numerosi come gli aerei con equipaggio. A questo proposito, il Pentagono dovrebbe essere molto cauto nel fare grandi investimenti in nuovi programmi – carri armati, aerei, portaerei, ad esempio – che impegnerebbero le forze americane in attuali modelli di guerra per molti decenni a venire. (Idem, enfasi aggiunta )

La guerra contro l'Iran potrebbe davvero segnare questo cruciale punto di rottura, con nuovi sistemi di armi spaziali applicate al fine di disattivare un nemico che ha significative capacità militari convenzionali, tra cui più di mezzo milione di forze di terra.

Armi elettromagnetiche

Armi Elettromagnetiche potrebbero essere utilizzate per destabilizzare i sistemi di comunicazione dell'Iran, disattivare i generatori di energia elettrica, minare e destabilizzare comando e controllo, infrastrutture governative, trasporti, energia, ecc.. All'interno della stessa famiglia di armi, tecniche di modifiche ambientali (ENMOD) (guerra Meteo) sviluppate all'interno del programma HAARP potrebbero anche essere applicate. (Vedere Michel Chossudovsky, "Owning the Weather" for Military Use, Global Research, September 27, 2004). Questi sistemi di armi sono pienamente operativi. In questo contesto, il documento dell'aviazione militare AF 2025 ha riconosciuto esplicitamente applicazioni militari di tecnologie di modificazione Meteo:

"La Modifica del tempo diventerà parte della sicurezza nazionale e internazionale e potrebbe essere eseguita unilateralmente... Essa potrebbe avere applicazioni offensive e difensive ed essere utilizzata anche per scopi di dissuasione. La capacità di generare pioggia, nebbia e tempeste sulla terra o di modificare il tempo nello spazio, migliorare le comunicazioni attraverso modifiche della ionosfera (l'uso di specchi nella ionosfera), e la produzione di Meteo artificiale fanno tutti parte di un insieme integrato di tecnologie che possono fornire una sostanziale crescita negli Stati Uniti, o degrado della capacità di un avversario, per raggiungere consapevolezza globale, capacità, e potere. " (Air Force 2025 Final Report, Vedi anche US Air Force: Weather as a Force Multiplier: Owning the Weather in 2025, AF2025 v3c15-1 | Weather as a Force Multiplier: Owning... | (Ch 1) a www.fas.org).

Radiazioni elettromagnetiche che rendono possibile "danneggiare la salute da remoto" potrebbero anche essere previste nel teatro di guerra. (Vedi Mojmir Babacek, Electromagnetic and Informational Weapons:, Global Research, August 6, 2004). A sua volta, nuovi impieghi di armi biologiche da parte dei militari statunitensi potrebbero anche essere previsti come suggerito dal PNAC: "Avanzate forme di guerra biologica adatta a "colpire" specifici genotipi possono trasformare la guerra biologica dal Regno del terrore in uno strumento politicamente utile." (PNAC, op. cit., p. 60).

Le capacità militari dell'Iran: missili a medio e lungo raggio

L'Iran ha avanzate capacità militari, tra cui missili a medio e a lungo raggio in grado di raggiungere obiettivi in Israele e negli Stati del Golfo. Quindi l'accento dell'Alleanza Israele-U.S.-NATO sull'uso di armi nucleari, che sono previste per essere utilizzate sia preventivamente che in risposta ad un attacco missilistico iraniano di ritorsione.

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Gittata dei missili Shahab dell'Iran. Copyright Washington Post

Nel novembre 2006, tests dell'Iran con missili superficie 2 sono stati caratterizzati da una pianificazione precisa in un'operazione allestita con cura. Secondo un autorevole esperto di missili americano (citato da Debka), "Gli iraniani hanno dimostrato una tecnologia moderna nel lancio di missili che l'Occidente non aveva mai saputo possedesse". (Vedere Michel Chossudovsky, Iran's "Power of Deterrence" Global Research, November 5, 2006) Israele ha riconosciuto che "Shehab-3, la cui gittata è 2.000-km rende Israele, Medio Oriente ed Europa a portata di mano" (Debka, 5 novembre 2006)

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Secondo Uzi Rubin, ex capo del programma di missili anti-balistici di Israele, "l'intensità dell'esercitazione militare era senza precedenti... Essa è stata pensata per fare impressione--e ha fatto impressione". (www.cnsnews.com 3 novembre 2006)

Le esercitazioni del 2006, mentre creavano agitazione negli Stati Uniti e Israele, non hanno modificato in alcun modo la determinazione U.S.-NATO-Israele a scatenarsi sull'Iran.

Teheran ha confermato in diverse dichiarazioni che risponderà se verrà attaccato. Israele sarebbe immediatamente oggetto di attacchi missilistici iraniani come confermato dal governo iraniano. La questione del sistema di difesa aerea di Israele è pertanto cruciale. USA e strutture militari alleate negli Stati del Golfo, Turchia, Arabia Saudita, Afghanistan e Iraq potrebbero anche essere prese di mira da parte dell'Iran.

Forze di terra dell'Iran

Mentre l'Iran è circondato dagli Stati Uniti e da basi militari alleate, la Repubblica islamica ha notevoli capacità militari. (Vedere mappe qui sotto) Ciò che è importante riconoscere sono le grandi dimensioni delle forze di terra iraniane in termini di personale (esercito, Marina, aviazione) se paragonate alle forze degli Stati Uniti e della NATO impegnate in Afghanistan e in Iraq.

Di fronte ad un'insurrezione ben organizzata, le forze della coalizione sono già sovrautilizzate in Afghanistan e in Iraq. Queste forze sarebbero in grado di far fronte se le forze terrestri iraniane si inserissero nel campo di battaglia esistente in Iraq e in Afghanistan? Il potenziale del movimento di resistenza agli Stati Uniti ed all'occupazione degli alleati inevitabilmente ne risentirebbe.

Le forze terrestri iraniane sono dell'ordine di 700.000 di cui 130.000 sono soldati professionisti, 220.000 sono i militari di leva e 350.000 sono riservisti. (Vedere esercito Repubblica islamica dell'Iran - Wikipedia). Ci sono 18.000 militari nella marina dell'Iran e 52.000 nella forza aerea. Secondo l'Istituto internazionale di studi strategici, "la guardia rivoluzionaria ha un personale di 125.000 stimato in cinque rami: la Marina, l'aeronautica e le forze di terra; e la Quds Force (forze speciali)." Secondo il CISS, Basij la forza paramilitare del volontariato dell'Iran controllata da guardie rivoluzionarie "ha una stima di 90.000 elementi in uniforme attivi a tempo pieno, 300.000 reservisti e un totale di 11 milioni di uomini che possono essere mobilitati se necessario" (forze armate della Repubblica islamica dell'Iran - Wikipedia), in altre parole, l'Iran può mobilitare fino a mezzo milione di truppe regolari e diversi milioni appartenenti alla milizia. Le forze speciali di al-Quds sono già operanti all'interno dell'Iraq.
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Strutture Militari USA e degli alleati circondano l'Iran

Per diversi anni l'Iran ha condotto i suoi addestramenti e le sue esercitazioni di guerra. Mentre la sua forza aerea ha delle debolezze, i suoi missili a lunga e media gittata sono pienamente operativi. La forza militare dell'Iran è in uno stato di allerta. Concentrazioni di truppe iraniane sono attualmente a pochi chilometri dei confini afghani e iracheni e nelle vicinanze del Kuwait. La Marina iraniana è distribuita nel Golfo Persico nelle vicinanze di USA e strutture militari degli alleati negli Emirati Arabi Uniti.
Vale la pena notare che in risposta all'accumulo militare dell'Iran, gli Stati Uniti hanno trasferito grandi quantità di armi ai loro alleati non-NATO del Golfo Persico compreso il Kuwait e l'Arabia Saudita.

Mentre le armi avanzate dell'Iran non si possono paragonare a quelle degli Stati Uniti e della NATO, le forze iraniane sarebbero in grado di infliggere perdite sostanziali alle forze della coalizione in un teatro di guerra convenzionale, sul terreno di Iraq o Afghanistan. Le truppe di terra iraniane ed i carri armati nel dicembre 2009 attraversarono la frontiera per entrare in Iraq senza essere affrontati o contestati dalle forze alleate e occuparono un territorio conteso nel settore orientale del giacimento petrolifero Maysan.

Anche nel caso di un'efficace guerra lampo, diretta contro strutture militari dell'Iran, i suoi sistemi di comunicazione, ecc attraverso massicci bombardamenti aerei, utilizzando i missili da crociera, bombe convenzionali bunker buster ed armi nucleari tattiche, una guerra con l'Iran, una volta avviata, alla fine potrebbe condurre ad una guerra di terra. Questo è qualcosa che i pianificatori militari degli Stati Uniti senza dubbio hanno contemplato nel loro scenari di guerra simulata.

Un'operazione di questo tipo comporterebbe notevoli vittime militari e civili, in particolare se venissero utilizzate armi nucleari.

Anche il bilancio aumentato per la guerra in Afghanistan, attualmente in discussione al Congresso è destinato ad essere utilizzato nell'eventualità di un attacco contro l'Iran.

All'interno di uno scenario di escalation, truppe iraniane potrebbero attraversare la frontiera in Iraq e in Afghanistan.

A sua volta, l'escalation militare usando armi nucleari potrebbe portarci in uno scenario di III guerra mondiale, che si estenderebbe oltre la regione dell'Asia centrale del Medio Oriente.

In un senso molto reale, questo progetto militare, che è sul tavolo da disegno del Pentagono da più di cinque anni, minaccia il futuro dell'umanità.

In questo saggio ci siamo concentrati sui preparativi di guerra. Il fatto che i preparativi di guerra siano in uno stato avanzato non implica che tali piani di guerra saranno effettuati.

L'Alleanza U.S.-NATO-Israele si rende conto che il nemico ha notevoli capacità di risposta e di ritorsione. Questo fattore di per sé è stato cruciale negli ultimi cinque anni negli Stati Uniti e nei paesi alleati per la decisione di rinviare l'attacco all'Iran.

Un altro fattore cruciale è la struttura delle alleanze militari. Considerando che la NATO è diventata una formidabile forza, l'organizzazione di cooperazione Shanghai (SCO), che costituisce un'alleanza tra Russia e Cina e un certo numero di ex repubbliche sovietiche è stata notevolmente indebolita.

Le minacce militari degli Stati Uniti nei confronti di Cina e Russia sono destinate ad indebolire la SCO e scoraggiare qualsiasi forma di azione militare degli alleati dell'Iran nel caso di un attacco america-NATO-israele.

Quali sono le forze compensative che potrebbero impedire il verificarsi di questa guerra? Ci sono numerose forze in sviluppo che lavorano all'interno dell'apparato di stato americano, il Congresso degli Stati Uniti, il Pentagono e la NATO.

La forza principale nell'impedire che si verifichi una guerra, in definitiva, proviene dalla base della società, che richiede un'azione energica anti-guerra da parte di centinaia di milioni di persone su tutta la terra, a livello nazionale ed internazionale.

Le persone devono mobilitarsi non solo contro questa agenda militare diabolica, devono essere contestati anche le autorità ed i funzionari di stato.

Questa guerra può essere evitata se le persone affronteranno con forza i loro governi, faranno pressione sui loro rappresentanti eletti, si organizzeranno a livello locale in città, villaggi e comuni, diffonderanno la parola, informeranno i loro concittadini sulle implicazioni di una guerra nucleare, avvieranno dibattiti e discussioni all'interno delle forze armate.

Lo svolgimento di manifestazioni di massa e proteste antiguerra non sono sufficienti. È necessario lo sviluppo di una rete antiguerra su una base ampia e ben organizzata che sfida le strutture di potere e autorità.

Ciò che serve è un movimento di massa di persone che contestano con forza la legittimità della guerra, un movimento di persone a livello globale che criminalizza la guerra.


di Michel Chossudovsky



Fonte: www.globalresearch.ca/

28 agosto 2010

Quando Feltri picchiava Berlusconi








A scartabellare vecchi giornali viene il magone, soprattutto se vi si è lavorato, ma si trovano a volte delle cose divertenti oltre che istruttive. Leggete qui: “Diconsi quattordici anni. Durante i quali la Rai ha mantenuto gli antichi privilegi (canone, diretta, deficit ripianato dallo Stato) e la Fininvest ne ha scippati vari per sé, complici i partiti, la Dc, il Pri, il Psdi, il Pli e il Pci, con la loro stolida inerzia, e il Psi con il suo attivismo furfantesco, cui si deve tra l’altro la perla denominata ‘decreto Berlusconi’ cioè la scappatoia che consente all’intestatario di fare provvisoriamente i propri comodi in attesa che possa farseli definitivamente. Decreto elaborato in fretta e furia nel 1984 ad opera di Craxi in persona, decreto in sospetta posizione di fuorigioco costituzionale, decreto che perfino in una repubblica delle banane avrebbe suscitato scandalo e sarebbe stato cancellato dalla magistratura in un soprassalto di dignità e che invece in Italia è ancora spudoratamente in vigore senza che i suoi genitori siano morti suicidi per la vergogna. Niente.

Non soltanto non sono morti, ma sono ancora lì, in piena salute, a far danni alla collettività, col pretesto di curarne gli interessi, interessi che sarebbero gli stessi, secondo loro, del dottor Silvio di Milano due, il quale pretende tre emittenti, pubblicità pressoché illimitata, la Mondadori, un quotidiano e alcuni periodici. Poca roba .Perché non dargli anche un paio di stazioni radiofoniche, il Bollettino dei naviganti e la Gazzetta Ufficiale, così almeno le leggi se le fa sul bancone della tipografia? Poiché nemmeno il garofano, pur desiderandolo, ha osato chiedere tanto per l’amico antennuto, cosa che avrebbe impedito ogni spartizione per esaurimento del materiale da spartire, eccoci giunti allo sgradito momento della resa dei conti: il varo dei capolavori di Mammì, che non è il titolo di una canzonetta, ma il ministro delle Poste, colui che ha scritto sotto dettatura il testo per la disciplina dell’etere
(L’Europeo, 2 agosto 1990).

Quando Vittorio faceva l’anarchico

Di chi è questa prosa scintillante e allegramente e ferocemente antiberlusconiana e anticraxiana? Di Vittorio Feltri. Era quello il Feltri che amavo, anarchico di destra, certamente, ma sul quale non era ancora passato il berlusconismo, col quale ho vissuto due stagioni straordinarie all’Europeo e all’Indipendente. Siamo due calciatori che hanno lo stesso linguaggio tecnico, anche se in ruoli diversi, e che si intendono a meraviglia. Anche quando lasciò l’Indipendente per il Giornale, e io l’avevo trattato ripetutamente da “traditore”, da “canaglia”, da “furfante” (e lui è permalosissimo, come una donna) tutte le volte che ho avuto bisogno di piazzare un pezzo che nessun altro giornale avrebbe osato pubblicare ho chiesto ospitalità a Feltri. Perché tutto si può dire di Vittorio tranne che non abbia l’intuitaccio del giornalista, quello delle Fallaci, dei Montanelli, dei Malaparte, insomma dei grandi e dei grandissimi del nostro mestiere.
La stagione veramente indimenticabile è stata quella dell’Indi. Nel giro di un anno e mezzo, dal marzo del ‘92 all’autunno del ‘93, passammo, sotto la sua direzione, dalle 19500 copie cui l’aveva lasciato l’ectoplasma similanglosassone Ricardo Franco Levi alle 120 mila, una cavalcata che non ha precedenti nella storia del giornalismo italiano (speriamo che il record possa essere superato dal Fatto, che per molti versi, anche se qualcuno storcerà il naso, si apparenta a quell’Indipendente. Travaglio dice che ci siamo vicini, ma sull’entusiasmo di Marco bisogna fare sempre un po’ di tara).

L’avventura de “L’indipendente”

Gli inizi furono difficilissimi. Si diceva che il giornale avrebbe chiuso ad aprile, dopo un mese. Ma vennero le elezioni del 5 aprile con la travolgente avanzata della Lega. E sia Feltri che io, quando stavamo ancora all’Europeo, eravamo stati fra i pochissimi giornalisti, con Giorgio Bocca, a guardare il fenomeno Lega con quell’attenzione che sempre si dovrebbe alla realtà senza pregiudizi e sciocche demonizzazioni, e ci trovammo quindi in “pole position”. La vittoria della Lega scatenò Mani Pulite e Mani Pulite scatenò l’Indi, anche perché gli altri giornali, tutti compromessi col vecchio regime, avevano il freno a mano tirato. Inoltre, con la caduta della Prima Repubblica, molti lettori avevano perso i loro punti di riferimento e venivano da noi. Così potevamo scrivere le cose che gli piaceva sentirsi dire ma anche le cose che non gli piaceva sentirsi dire.
Il giornale era tendenzialmente liberista ma io vi scrivevo i miei pezzi anti-mercato e antindustrialisti e questo portava un altro tipo di lettori. Arrivarono editorialisti da ogni dove, di destra e di sinistra. Fare parte del giro dell’Indi era diventata una moda. Feltri orchestrò magistralmente questa polifonia di voci. Il giornale manteneva una sua fisionomia inconfondibile: quella del suo direttore, che si era inventato il “feltrismo”. Davanti a noi si stendevano praterie. Se Montanelli veniva via dal Giornale (col quale eravamo già in fase di sorpasso), come pareva inevitabile, ci sarebbero arrivati altri 30 o 40 mila lettori senza colpo ferire. Feltri si lamentava che Zanussi non era un vero editore, che non capiva nulla, che non gli dava i rinforzi necessari. Io replicavo che l’assoluta libertà di cui godevamo (quando fu arrestato l’amministratore del nostro giornale sparammo la notizia in testa alla prima pagina) era un “fattore del prodotto” più importante dei rinforzi. Eravamo un po’ sgangherati, certo, ma liberi.
E questo il lettore lo percepiva e ci passava sopra. Insomma, per parafrasare l’Hemingway di Festa mobile, quelli erano “i bei tempi andati, quando eravamo molto poveri e molto felici”. E lo era anche Vittorio che pur, di suo, ha una natura profondamente melanconica.

La tentazione del “Giornale”

Ma qualcosa cominciò a scricchiolare già nell’agosto del ‘93 quando Feltri mi invitò a cena e mi pose la terrificante domanda: “Se vado al Giornale vieni con me?”. Cercai di spiegargli che era un errore, sia in termini generali sia per lui (cosa che successivamente, dopo che ad ogni incontro lo ulceravo con questa questione, ha finito, sia pur a denti stretti, per ammettere). Finimmo quella cena un po’ brilli di vino bianco e col suo grido: “In culo al Berlusca, restiamo all’Indi!”. Questa scena si ripeté almeno altre due o tre volte. Il giorno dopo l’ultima, conclusasi con lo stesso rituale, firmava per Berlusconi. Dopo è cambiato tutto. Era stato un fan senza riserve di Antonio Di Pietro (che chiamava affettuosamente “Tonino”) e di Mani Pulite, con eccessi, lui sì, forcaioli, e divenne nemico acerrimo della Magistratura. Non c’era errore, vero o presunto, di magistrato fosse stato commesso pure in Nuova Zelanda (non dico per dire, c’è stato anche questo) che non fosse sbattuto in prima pagina con critiche feroci e sarcastiche. Divenne un “garantista” a 24 carati (salvo dimenticarsi bellamente di ogni garantismo ora che, per ragioni di scuderia, ha scatenato la “caccia all’uomo” nei confronti di Gianfranco Fini). Era stato un sostenitore appassionato della Lega e le voltò da un giorno all’altro le spalle quando Bossi nel ‘94 abbatté il governo Berlusconi con quello che resta il suo miglior discorso in Parlamento. Mi ricordo che dopo quell’avvenimento ci trovammo insieme a un dibattito a Bergamo con una platea zeppa di leghisti che lo attaccavano pesantemente come “traditore” e “voltagabbana”.

La seconda vita da craxiano

Io lo difesi a spada tratta ricordando a quella gente che comunque aveva un debito di riconoscenza con Feltri che aveva difeso la Lega in tempi difficili. E Vittorio, di nascosto, sotto il tavolo, mi prese la mano in segno di riconoscenza. Era anticraxiano e, in omaggio ai trascorsi del Capo, divenne filocraxiano. Insomma nella seconda parte della sua vita ha sconfessato tutta la prima. Uno sfacelo.

Io ho affetto per Vittorio Feltri e lo considero il miglior direttore di giornale della sua generazione e anche di un paio precedenti. E mi fa male al cuore vederlo ridotto a un pitbull di Berlusconi, senza una vera ragione (perché Feltri, checché se ne pensi, non è un vero cinico, alla Giuliano Ferrara per intenderci), vederlo sprecare il suo grande talento per un uomo che non lo merita e non lo vale. Ma così è. Così è la vita che ti costringe, via via, a lasciare anche i compagni che ti sono stati più cari.
di Massimo Fini

27 agosto 2010

Come i ricchi speculatori traggono profitto dai disastri



Le calamità naturali danno ad alcuni capitalisti l’opportunità di trarre massimi profitti dalla carenza di beni alimentari

Quando la terra cuoce, i mercati vanno a fuoco.

Il caldo intenso e la più rigida siccità degli ultimi cent’anni hanno bruciato una enorme fetta di terra coltivabile in Russia che va dal Mar Nero alla Siberia, distruggendo la raccolta di grano e portando il governo di Medvedev a bloccare le esportazioni nel tentativo di assicurare le scorte.

Come conseguenza, i prezzi sono lievitati dappertutto nel resto del mondo. In Europa sono aumentati dell’80% nelle scorse sei settimane, mentre i mercati del grano a Chicago hanno visto un aumento del 25% in una settimana. Chi ha comprato il grano a prezzo fissato in anticipo ha incassato una fortuna, mentre i contadini in Russia si trovano davanti alla prospettiva di impoverimento e disperazione.

I paesi importatori e le multinazionali di beni alimentari si sono rivolti agli Stati Uniti, Australia, Argentina e alla UE. Il Financial Times commenta: “C'è abbastanza stock per coprire il buco ma manca un cuscino di sicurezza. In altre parole, le condizioni climatiche da qui alla raccolta di dicembre dovranno essere perfette”.

I consumatori devono aspettarsi di pagare di più per il pane e altri beni essenziali entro la fine dell’anno. In seguito, se il tempo non migliora, pagheranno molto di più.

Continua il FT: “I dirigenti delle aziende agricole e gli analisti dicono che la crisi probabilmente accelererà il consolidamento dell’agricoltura russa, permettendo alle grandi aziende di colpire i piccoli agricoltori che combattono”.

Per ogni cento milioni di perdenti nella lotteria dell’economia globale, c'è sempre qualche migliaio di vincitori. Uno dei più grandi a vincere recentemente è stato l’affarista londinese Anthony Ward.

Nell’ottobre del 2009 ha iniziato a stipulare contratti per iniziare la distribuzione del cacao del mese scorso. Cinque settimane fa, il suo hedge fund, Armajaro, ha preso in consegna 240,100 tonnellate, circa il 7% della produzione annuale mondiale. L’effetto è stato l’aumento dei prezzi ai livelli più alti da 30 anni, con enormi profitti per il signor Ward e i suoi investitori.

Le pagine finanziarie suggeriscono che i profitti potranno lievitare verso cime vertiginose se in Ottobre il raccolto della Costa d’Avorio andrà male così come sperano gli affaristi. In quel caso, i prezzi nel paese crolleranno – verso lo zero, secondo un commentatore – creando le condizioni per un altro lucrativo accaparramento di terre.

La Banca Mondiale affermava nei primi giorni di Agosto che “gli investitori mirano ai paesi con leggi deboli, comprano terre coltivabili a prezzi ridotti e non mantengono le promesse fatte”. Circa 124 milioni di acri di terreni coltivabili appartengono agli hedge funds.

Gli hedge funds – “macchine designate per saccheggiare navi naufragate”, secondo la memorabile definizione di un banchiere – si sono rivolti al settore del cibo, dei terreni coltivabili e delle ricchezze minerali del sud del mondo dal momento che le ricche risorse del settore immobiliare si sono prosciugate.

Il secondo più grande hedge fund del mondo, Paulson and Co., ha guadagnato miliardi scommettendo sul collasso del mercato dei subprime negli Stati Uniti. Quando il collasso è avvenuto, buttando fuori casa centinaia di migliaia di famiglie, il capo del fund, John Paulson, ha personalmente guadagnato 3.3 miliardi di dollari. Ora è accreditato come il quarantacinquesimo uomo più ricco al mondo.

Al lato di Paulson, in modo discreto, si trova l’azienda di trasporti di beni Glencore, che fa affari con terreni, grano, zucchero, zinco, gas naturale, ecc., e opera in tutto il pianeta. Anch’essa è nata dal crollo immobiliare in modo prepotente e l’anno scorso ha avuto un utile netto di 2.8 miliardi di dollari dalle sue nuove operazioni.

I prodotti delle aziende agricole di proprietà delle banche e degli hedge funds non sono destinati alle popolazioni locali ma ai mercati internazionali.

A questo fine, l’azienda londinese Central African Mining and Exploration, per esempio, ha appena acquistato 75,000 acri di terra fertile nel Mozambico per creare biocombustibile da esportare. La popolazione locale aveva capito che la terra doveva essere data o concessa in prestito a mille famiglie di coltivatori dislocate dopo che il parco nazionale era stato costituito con l’obiettivo di attrarre turisti.

Un rappresentante del governo spiega che quella gente era “confusa”. Senza dubbio.

Ciò che colpisce di queste operazioni – ce ne sono a centinaia – è l’impatto che possono avere sulla vita quotidiana di un vasto numero di persone, pur rimanendo virtualmente anonime e rimanere totalmente esenti da responsabilità.

L’idea che il profitto è l’unica cosa che conta quando si parla di produzione di alimenti potrà sembrare distorta e perfino immorale. Ma è strettamente in linea con l’etica dell’economia di mercato. Quando una piccola parte del mondo degli affari ha espresso il proprio malcontento per la monopolizzazione del mercato del cacao da parte di Anthony Ward, il Financial Times è corso in suo aiuto con un energico editoriale in cui si metteva in evidenza che egli “non ha infranto alcuna legge”.

Certamente non l’ha fatto. Sono le stesse leggi a truccare il gioco, è lo stesso sistema a generare le ingiustizie.

Titolo originale: "Fat cats profiting off disaster "

Fonte: http://www.belfasttelegraph.co.uk


di Eamonn McCann -

31 agosto 2010

Perché la seconda guerra mondiale ebbe fine con la bomba atomica



65 anni fa, 6 e 9 agosto: Hiroshima e Nagasaki

“Lunedì, 6 agosto, 1945, alle 8.15, la bomba nucleare ‘Little Boy’ fu lanciata su Hirosima dal bomber americano B-29, Enola Gay, uccidendo direttamente 80.000 persone. Entro la fine dell’anno, ferite e radiazioni causarono in totale dalle 90.000 alle 140.000 vittime”.[1]

“Il 9 agosto 1945, Nagasaki fu l’obiettivo del secondo attacco nucleare del mondo alle 11.02, quando il nord della città fu distrutto e circa 40.000 persone vennero uccise dalla bomba soprannominata ‘Fat Man’. La bomba atomica provocò la morte di 73.884 persone, altri 74.909 furono i feriti, e diverse centinaia di migliaia di persone si ammalarono e morirono a causa della pioggia radioattiva e di altre malattie dovute alle radiazioni”.
[2]

Nella foto: L'equipaggio americano del B-29 'Bockscar' che lanciò la bomba atomica su Nagasaki il 9 agosto 1945

Sullo scenario europeo, la Seconda Guerra Mondiale terminò i primi di maggio del 1945 con la resa della Germania nazista. I “Tre Grandi” dalla parte dei vincitori – Gran Bretagna, Stati Uniti e Unione Sovietica – dovettero allora affrontare la complessa questione della riorganizzazione postbellica dell’Europa. Gli Stati Uniti entrarono in guerra piuttosto tardi, nel dicembre del 1941, e solo nel giugno del 1944, appena un anno prima della fine delle ostilità, avevano cominciato ad apportare un contributo militare significativo alla vittoria degli Alleati sulla Germania, con lo sbarco in Normandia. Tuttavia, quando finì la guerra contro la Germania, Washington sedette sicura e fiduciosa al tavolo dei vincitori, determinata a raggiungere quelli che potremmo chiamare i suoi “obiettivi di guerra”.

L’Unione Sovietica, Paese che apportò il contributo più grande e subì le perdite più ingenti nella lotta contro il comune nemico nazista, pretese un risarcimento maggiore e la protezione contro potenziali attacchi futuri, con l’installazione in Germania, in Polonia e negli altri Paesi dell’Europa dell’Est di governi non ostili ai sovietici, come prima dello scoppio della guerra. Anche Mosca esigeva una ricompensa per le perdite territoriali subite dall’Unione Sovietica ai tempi della Rivoluzione e della Guerra Civile, e in ultimo i sovietici pensavano che, con la terribile esperienza della guerra alle spalle, sarebbero stati in grado di riprendere i lavori del progetto per costruire una società socialista. I leader americani e britannici conoscevano gli obiettivi dei sovietici e ne avevano riconosciuto, in maniera esplicita o implicita, la legittimità, per esempio in occasione delle conferenze dei Tre Grandi a Teheran e a Yalta. Questo non vuol dire che Washington e Londra fossero entusiaste che l’Unione Sovietica ricevesse tale ricompensa per il suo contributo in guerra; e senza dubbio c’era in agguato un potenziale conflitto con il principale obiettivo di Washington, cioè la creazione di un “libero accesso” per le esportazioni e gli investimenti americani nell’Europa occidentale, nella Germania sconfitta e nell’Europa centrale e orientale, liberate dall’Unione Sovietica. In ogni caso, anche le richieste più banali dell’Unione Sovietica avevano riscosso poco consenso, e ancor meno simpatia, presso i leader americani dell’industria e della politica – incluso Harry Truman, che successe a Franklin D. Roosevelt in qualità di Presidente nella primavera del 1945. Questi leader aborrivano il pensiero che l’Unione Sovietica potesse ricevere questo notevole risarcimento dalla Germania, perché tale salasso avrebbe escluso la Germania come potenziale mercato estremamente redditizio per le esportazioni e gli investimenti americani. Invece, i risarcimenti avrebbero dato ai sovietici la possibilità di riprendere in mano e portare a compimento, probabilmente con successo, il progetto di costruire una società comunista, una sorta di “controsistema” al sistema capitalista internazionale di cui gli Stati Uniti erano diventati grandi campioni. In America, l’élite politica ed economica era perfettamente consapevole che i risarcimenti tedeschi ai sovietici implicavano che gli stabilimenti delle sedi in Germania delle corporazioni americane come Ford e GM, che durante la guerra avevano prodotto ogni tipo di arma per i nazisti (e avevano ricavato tantissimo denaro da questa produzione [3]), avrebbero cominciato a produrre a beneficio dei sovietici invece di continuare ad arricchire i proprietari e gli azionisti americani.

Le trattative fra i Tre Grandi non portarono mai al ritiro dell’Armata Rossa dalla Germania e dall’Europa dell’Est prima che gli obiettivi sovietici riguardo alla sicurezza e ai risarcimenti fossero almeno in parte raggiunti. Tuttavia, il 25 aprile 1945, Truman apprese che gli Stati Uniti avrebbero presto disposto di una nuova potentissima arma, la bomba atomica. Il possesso di quest’arma aprì ogni sorta di prospettive, estremamente favorevoli ma prima impensabili, e non sorprende affatto che il nuovo presidente e i suoi consiglieri subirono il fascino di quella che l’insigne storico americano William Appleman Williams ha chiamato “visione di onnipotenza” [4]. Di sicuro non si ritenne più necessario impegnarsi in trattative difficili con i sovietici: grazie alla bomba atomica, era possibile costringere Stalin, malgrado i precedenti accordi, a ritirare l’Armata Rossa dalla Germania e proibirgli di avere voce in capitolo riguardo alla situazione tedesca dopo la guerra, installare regimi “pro-Occidente” e addirittura anti-sovietici in Polonia e altrove nell’Europa dell’Est e addirittura aprire l’Unione Sovietica agli investimenti di capitale americano e all’influenza economica e politica dell’America, riportando così l’eresia comunista in seno alla chiesa capitalista universale.

Al tempo della resa tedesca nel maggio 1945, la bomba atomica era in parte completata, ma non ancora pronta. Così Truman temporeggiò il più a lungo possibile prima di dare finalmente il suo consenso a partecipare alla conferenza dei Tre Grandi a Potsdam nell’estate del 1945, quando sarebbe stato deciso il destino dell’Europa postbellica. Il presidente era stato informato che la bomba molto probabilmente sarebbe stata pronta per quel momento – pronta, cioè, per essere usata come “un martello”, come dichiarò egli stesso in un’occasione, che avrebbe sventolato “sulle teste di quei ragazzi del Cremlino” [5]. Alla Conferenza di Potsdam, che durò dal 17 luglio al 2 agosto del 1945, Truman aveva difatti ricevuto la notizia a lungo attesa che la bomba atomica era stata testata con successo nel Nuovo Messico il 16 luglio. Da allora, non si preoccupò delle effettive proposte di Stalin, al contrario fece ogni tipo di richiesta; allo stesso tempo respinse tutte le offerte dei sovietici, per quanto riguarda per esempio i risarcimenti tedeschi, comprese le ragionevoli richieste basate sui precedenti accordi tra gli Alleati. Stalin, tuttavia, non dimostrò di volersi arrendere, nemmeno quando Truman tentò di intimidirlo sussurrandogli minaccioso all’orecchio che l’America aveva acquisito una nuova incredibile arma. La sfinge sovietica, che era già stata sicuramente informata della bomba atomica americana, ascoltò glaciale in silenzio. Alquanto perplesso, Truman concluse che solo una dimostrazione effettiva della bomba atomica avrebbe persuaso Stalin a cedere. Di conseguenza, a Potsdam nessun accordo comune fu raggiunto. Infatti, là fu deciso poco o niente di concreto. “Il risultato principale della conferenza”, ha scritto lo storico Gar Alperovitz, “fu una serie di decisioni su cui dissentire fino alla conferenza successiva” [6].

Nel frattempo, i giapponesi continuavano a combattere nell’Estremo Oriente, sebbene la loro situazione fosse totalmente senza speranza. Infatti questi erano preparati alla resa ma insistevano su una condizione, cioè l’immunità per l’Imperatore Hirohito. Questo andava contro le pretese degli americani che esigevano una resa incondizionata. Nonostante ciò sarebbe stato possibile mettere fine alla guerra tenendo conto delle richieste nipponiche. Infatti, la resa della Germania, tre mesi prima a Reims, non era stata del tutto incondizionata. (Gli americani avevano dato il loro consenso ad una condizione dei tedeschi, in modo che l’armistizio entrasse in vigore con un ritardo di 45 ore, un ritardo che avrebbe permesso a quante più unità armate tedesche possibili di fuggire dal fronte occidentale per arrendersi agli americani o agli inglesi; molte di queste unità furono in effetti tenute pronte – in uniforme, armate e sotto il comando dei loro ufficiali – per un eventuale uso contro l’Armata Rossa, come ammise Churchill dopo la guerra [7]). In ogni caso, l’unica condizione di Tokyo non era affatto essenziale. Infatti, più tardi – dopo la resa incondizionata strappata ai giapponesi – gli americani non disturbarono più Hirohito e fu grazie a Washington che questi restò imperatore per molti altri decenni. [8]

I giapponesi pensavano di poter ancora permettersi il lusso di dettare condizioni sulla loro resa perché il nucleo principale delle loro unità armate era rimasto intatto, in Cina, dove si combatterono la maggior parte delle battaglie. Tokyo pensò di poter utilizzare queste armate per difendere lo stesso Giappone e così far pagare agli americani un prezzo alto per la loro vittoria finale, chiaramente inevitabile. Ma questo schema avrebbe funzionato solo se l’Unione Sovietica fosse rimasta fuori dal conflitto nell’Estremo Oriente; l’entrata in guerra dei sovietici, d’altro canto, avrebbe inevitabilmente bloccato le forze nipponiche in territorio cinese. La neutralità sovietica, in altre parole, lasciava a Tokyo un briciolo di speranza; speranza non di una vittoria, ovviamente, ma di un consenso americano riguardo alla loro condizione sull’imperatore. Fino a un certo punto la guerra con il Giappone si trascinò in quanto l’Unione Sovietica non vi era ancora coinvolta. Già alla Conferenza dei Tre Grandi a Teheran nel 1943, Stalin aveva promesso di dichiarare guerra al Giappone entro tre mesi dalla resa della Germania e aveva ripetuto questo impegno il 17 luglio del 1945 a Potsdam. Di conseguenza, Washington contava su un attacco sovietico al Giappone, sapeva così fin troppo bene che la situazione dei giapponesi sarebbe stata senza speranza. (“Fini Japs when that comes about” [Fine dei giapponesi quando accadrà, ndt], questo scrisse Truman nel suo diario riferendosi all’entrata in guerra della Russia nell’Estremo Oriente [9]). Inoltre, la marina americana garantiva a Washington di poter prevenire un trasferimento delle forze armate giapponesi dal territorio cinese, ordinato allo scopo di difendersi contro un’invasione degli americani. Tuttavia, dal momento che la marina statunitense era in grado di mettere in ginocchio i giapponesi attraverso un blocco, un’invasione non era nemmeno necessaria. Privati della possibilità di importare beni di prima necessità, come cibo e carburante, presto o tardi i giapponesi avrebbero ceduto alla richiesta di una resa incondizionata.

Per mettere fine alla guerra con i giapponesi, Truman aveva dinanzi a sé diverse opzioni allettanti. Poteva accettare la banale condizione dei giapponesi riguardo all’immunità per il loro imperatore; poteva allo stesso modo attendere l’attacco dell’Armata Rossa contro i giapponesi stanziati in Cina, forzando così Tokyo alla resa incondizionata; oppure poteva far morire di fame i giapponesi attraverso il blocco navale che avrebbe costretto Tokyo, presto o tardi, a sollecitare la pace. In ogni caso, Truman e i suoi consiglieri non scelsero nessuna di queste opzioni; decisero, invece, di distruggere il Giappone con la bomba atomica. Questa decisione fatale, che avrebbe spezzato le vite di centinaia di migliaia di persone, soprattutto donne e bambini, offriva considerevoli vantaggi agli americani. Innanzitutto, la bomba avrebbe costretto Tokyo alla resa prima che i sovietici fossero coinvolti nella guerra in Asia, così facendo si evitava la necessità, a guerra finita, di concedere a Mosca voce in capitolo nelle decisioni riguardo al Giappone, ai territori occupati dal Giappone (Corea e Manciuria), all’Estremo Oriente e alle regioni del Pacifico in generale. Gli Stati Uniti avrebbero goduto di una completa egemonia in quella parte del mondo, e questo poteva essere lo scopo vero (sebbene taciuto) dell’entrata in guerra di Washington contro il Giappone. Fu alla luce di queste considerazioni che l’ipotesi di costringere Tokyo alla resa attraverso il blocco venne respinta, poiché la resa sarebbe stata ottenuta solo dopo – e forse molto dopo – l’entrata in guerra dell’Unione Sovietica. (Dopo la guerra, lo US Strategic Bombing Survey [indagine statunitense sui bombardamenti strategici, ndt] dichiarò che “il Giappone si sarebbe sicuramente arreso prima del 31 dicembre 1945, anche senza il lancio delle due bombe atomiche”). [10]

I leader americani erano preoccupati che l’entrata in guerra dei sovietici nell’Estremo Oriente facesse raggiungere alla Russia lo stesso vantaggio che gli Stati Uniti avevano guadagnato entrando relativamente tardi nel conflitto, e cioè un posto alla tavola dei vincitori con cui imporre la propria volontà al nemico battuto, ritagliarsi zone da occupare al di fuori del proprio territorio, modificare i confini, determinare le strutture politiche e socioeconomiche dopo la fine della guerra e, in tal modo, trarre per se stessi prestigio e notevoli benefici. Washington era assolutamente contraria alla possibilità che i sovietici potessero godere di questo tipo di opportunità. Gli americani erano sul punto di battere il Giappone, loro grande rivale in quella parte del mondo. Non gradivano l’idea di vedersi affibbiato un nuovo potenziale concorrente, la cui invisa ideologia comunista avrebbe potuto influenzare pericolosamente molti Paesi asiatici.

La bomba atomica era stata messa a punto appena prima che i sovietici fossero coinvolti nel conflitto nell’Estremo Oriente. Ciononostante, la polverizzazione nucleare di Hiroshima, il 6 agosto del 1945, arrivò troppo tardi per prevenire l’entrata in guerra della Russia contro il Giappone. Tokyo non gettò la spugna immediatamente, come avevano sperato gli americani, e l’8 agosto del 1945 – esattamente tre mesi dopo la resa tedesca a Berlino – i sovietici dichiararono guerra al Giappone. Il giorno dopo, 9 agosto, l’Armata Rossa attaccò le truppe giapponesi stanziate nel nord della Cina. La stessa Washington aveva richiesto l’intervento russo, ma quando tale intervento si verificò, Truman e i suoi consiglieri non erano affatto contenti che Stalin avesse mantenuto la promessa. I sovrani del Giappone non risposero subito al bombardamento con la resa incondizionata, forse perché non riuscirono a comprendere immediatamente che un solo aereo e una sola bomba avessero causato così tanti danni. (Molti bombardamenti convenzionali avevano prodotto risultati ugualmente catastrofici; un attacco da parte di migliaia di bombardieri sulla capitale giapponese il 9 e il 10 marzo del 1945 aveva in effetti causato più vittime dell’attacco a Hiroshima). In ogni caso, ci volle un po’ di tempo prima di poter prevedere una resa incondizionata, e sulla base di questo ritardo i russi furono coinvolti nella guerra contro il Giappone. Questo rese Washington estremamente impaziente: il giorno dopo della dichiarazione di guerra dei russi, il 9 agosto del 1945, fu lanciata una seconda bomba, questa volta sulla città di Nagasaki. Un ex cappellano militare americano più tardi dichiarò: “Sono dell’opinione che questa guerra fu una delle ragioni principali per cui fu lanciata quella seconda bomba, perché era una corsa all’ultimo minuto. Volevano che il Giappone capitolasse prima della comparsa dei russi” [11]. (Il cappellano poteva essere più o meno consapevole che tra le 75.000 vittime che furono “incenerite, carbonizzate ed evaporate all’istante” a Nagasaki c’erano molti giapponesi cattolici e un numero imprecisato di detenuti nei campi per i prigionieri di guerra degli alleati, la cui presenza era stata riportata al comando aereo, invano) [12]. Ci vollero altri cinque giorni perché i giapponesi si arrendessero. Nel frattempo l’Armata Rossa aveva fatto notevoli progressi, con il sommo dispiacere di Truman e dei suoi consiglieri.

Così gli americani si ritrovarono accanto all’alleato russo in Estremo Oriente. Oppure no? Truman fece in modo che non venisse considerato tale, ignorando i precedenti stabiliti prima nel rispetto della cooperazione fra i Tre Grandi. Già il 15 agosto del 1945, Washington respinse la richiesta di una zona d’occupazione russa nel territorio sconfitto del sol levante. E quando il 2 settembre del 1945 il generale MacArthur accettò la resa giapponese sulla Missouri, nave corazzata americana, nella Baia di Tokyo, la presenza dei rappresentanti dell’Unione Sovietica – e degli altri alleati in Estremo Oriente, come Gran Bretagna, Francia, Australia e Paesi Bassi – fu ammessa in via del tutto straordinaria, come spettatori irrilevanti. A differenza della Germania, il Giappone non fu ripartito in zone d’occupazione. Il rivale sconfitto dell’America doveva essere occupato solo dagli americani e, in qualità di “viceré” americano a Tokyo, il generale MacArthur, senza alcun riguardo verso gli altri Alleati e il loro contributo alla vittoria comune, si sarebbe assicurato che nessun’altra potenza avesse avuto voce in capitolo nelle questioni del Giappone dopo la fine del conflitto.

Sessantacinque anni fa, Truman non aveva bisogno di sganciare la bomba atomica per ridurre il Giappone in ginocchio, ma aveva le sue ragioni per farlo. La bomba atomica permise agli americani di costringere il Giappone alla resa incondizionata, di tenere i russi alla larga dall’Estremo Oriente e – ultimo ma non per importanza – di imporre la volontà di Washington sul Cremlino anche in Europa. Hiroshima e Nagasaki furono distrutte per questi motivi e molti storici americani lo sanno bene; ad esempio, Sean Dennis Cashman scrive:

Con il passare del tempo, molti storici hanno concluso che la bomba venne usata anche per motivi politici… Vannevar Bush (il capo dell’American center for scientific research) dichiarò che la bomba venne usata in tempo, affinché non ci fosse la necessità di fare concessione alcuna alla Russia alla fine della guerra”. Il Segretario di Stato James F. Byrnes (Segretario di Stato di Truman) non ha mai smentito una dichiarazione a lui attribuita che la bomba fosse stata usata per dimostrare il potere degli americani all’Unione Sovietica, al fine di renderla più gestibile in Europa. [13]

Lo stesso Truman, tuttavia, in maniera ipocrita dichiarò all’epoca che lo scopo dei due bombardamenti nucleari era quello di “riportare i ragazzi a casa” e cioè mettere rapidamente fine alla guerra senza ulteriore perdite di vite sul fronte americano. Tale spiegazione fu acriticamente diffusa dai media americani e divenne un mito propagato scrupolosamente dalla maggior parte degli storici e dei media statunitensi e lungo tutto il mondo “occidentale”. Questo mito, che, per inciso, serve anche a giustificare potenziali futuri attacchi nucleari contro obiettivi quali l’Iran e la Corea del Nord, è ancora molto in voga – basta dare un’occhiata ai principali quotidiani il 6 e il 9 agosto!
di Jacques R. Pauwels


Fonte: www.globalresearch.ca

Nessuno dice basta?

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Basterebbe ricordare (con memoria corta, di pochi mesi) tutte le alte cariche italiane volate negli Usa. Certo, vi è andato anche Berlusconi, ma sono ormai quasi quotidiani gli attacchi alla sua cosiddetta amicizia con Putin e Gheddafi, all’asse economico (e non solo) Eni-Gazprom, agli ultimi importanti affari della Finmeccanica (prima imbastiti quasi solo con gli Usa). Attacchi rivolti dalla stampa di sinistra, di centro, di destra (cosiddetta finiana), sempre conditi da qualche non ufficiale (a volte riportata) dichiarazione dell’ambasciatore statunitense o di settori dell’establishment d’oltreoceano e delle loro “ramificazioni” inglesi (ben trincerati dietro l’Economist o il Financial Times o il Wall Street Journal, ecc.).
Questo vale però per Berlusconi, non per le altre alte cariche volate negli Usa, ben coccolate e vezzeggiate. Si riesce a capirne il perché? Si afferra il gioco che si sta giocando? Di fronte ad una simile situazione – di fronte cioè alla dimostrazione del basso servilismo di gruppi vari della sedicente politica italiana, sicari di marci ambienti dell’industria e finanza parassite, rappresentati dai vertici di Confindustria e ABI – non si deve cadere nella tentazione di rivalutare oltre ogni limite il personale politico della prima Repubblica (mai veramente superata; parlo comunque di quella precedente il ’92-’93). Allora esisteva il mondo bipolare. Il centrosinistra di prima di “mani pulite” si permetteva continue manovre di vertice (mascherate da discussioni parlamentari), cambiava i governi ogni secondo momento (salvo un’eccezione con Craxi), si permetteva – perché, tutto sommato, i “padroni” d’oltreatlantico lo consentivano – di attuare qualche mossa meglio azzeccata di politica estera. Alla fin fine, quello schieramento politico si spartiva il potere e le alleanze con il mondo industrial-finanziario, mentre il Pci, ormai connivente a tutti gli effetti (pur se spesso in contrasto con i “cugini” socialisti), veniva ufficialmente tenuto “fuori della porta”, ma era nei fatti pienamente dentro la corruzione del “Palazzo”.
Caduto il “socialismo”, e fatta fuori l’Urss con la complicità (si pensa solo oggettiva) di Gorbaciov, gli americani preferirono – con il pieno accordo (quello concesso ai servi) della Confindustria ingolosita dalla prospettiva di papparsi tutta l’industria “pubblica” – cambiare il regime per affidarlo ai rinnegati del Pci, ormai vendutisi dietro promessa di essere salvati per affidare loro tutto il secondario potere nelle istituzioni; secondario quanto a capacità decisionale, spettante a Usa e in subordine alla Confindustria, ma più che sufficiente per divorare tutto ciò che era umanamente possibile (per usare il titolo di un film: “come rubare un milione di dollari e vivere contenti e felici”).
Sappiamo come andò a finire. Intervenne Berlusconi – apparentemente per interessi propri, in realtà anche come rappresentante di certi settori economici, “pubblici” e privati, che non trovarono altro modo per esercitare un minimo di resistenza al loro totale annientamento – e il piano fallì; ma solo parzialmente. Soprattutto non fu mai accantonato perché le forze ad esso contrarie, quelle della blanda resistenza trinceratasi dietro Berlusconi, non erano attrezzate a condurre quest’ultima sino in fondo, non potendo (e nemmeno volendo) opporsi in modo netto e reciso all’invadenza statunitense. Allora però, caduta l’Urss, sembrava iniziare un lungo periodo di monocentrismo americano; i più ottusi fra i servi preconizzarono un XXI.mo secolo guidato dagli Usa (Occhetto, a nome dei rinnegati, si lanciò nel demenziale annuncio di “un secolo di pace e prosperità futura”, mascherando la pace e prosperità per chi si vende dietro quella, inesistente, dell’“universo-mondo”).
Tutto ciò è finito proprio con l’inizio del secolo. Si è dissolto il predominio incontrastato degli Stati Uniti; è venuta meno la funzione e l’utilità dei sicari comprati per “due soldi”, come si comprano del resto tutti i “fondi di magazzino” (del fu “socialismo reale”); ha mostrato la corda la solo blanda resistenza agli Usa e ai suoi lacchè della Confindustria, rafforzata ormai dalla finanza “weimariana” creatasi con la svendita delle aziende IRI attuata dalla finta sinistra – “laica” (Ciampi, Amato, ecc.) e “cattolica” (Prodi, ecc.) – in ottemperanza agli ordini impartiti nella riunione sul Panfilo “Britannia” (2 giugno 1992).
Con l’avanzata verso la fase storica multipolare (e policentrica), è ormai indispensabile un totale mutamento delle forze in campo; la situazione di compromesso – perché è tale malgrado l’aspra conflittualità solo personale – esistente in Italia non fa che rendere il paese sempre più arretrato in vista della competizione nell’attuale fase storica. La politica è infatti sparita e si è timorosamente nascosta dietro una diatriba apparentemente incentrata soltanto su una persona: Berlusconi. E’ tuttavia ben noto che non vi è simmetria tra affermazione e negazione. Se dico “bianco”, l’affermazione ha un senso preciso e definito. Se dico “non bianco”, si rimane nell’indefinito, giacché vi è un cumulo (spesso pasticciato) di colori che “non è il bianco”.
Questo è quanto accade in Italia. E’ certo limitativo e meschino affermare: “Berlusconi deve restare al potere”, dato che non si indica con precisione per quale politica deve restarci (a parte le chiacchiere e gli inutili peana al suo ministro Tremonti che ci avrebbe salvato dalla crisi; e si vedrà fra non molto il significato del condizionale). Dire però “Berlusconi non deve restare al potere” – e per realizzare tale obiettivo progettare la riunione della più putrida e verminosa ammucchiata che sia dato di immaginare, una vera cloaca, patrocinata dalla “vetta” delle istituzioni con devastazione e totale sputtanamento di queste ultime – è molto peggio, anzi è un vero salto di qualità nel pessimo.
Mi sembra evidente che anche il “bianco” è rappresentato da un coacervo di gruppi e individui poco omogeneo. L’unica coerenza sembra quella di trincerarsi dietro Berlusconi; nel mentre però si trama continuamente alle sue spalle, poiché in tale coacervo si fanno sentire i fautori di un allineamento totale e passivo agli Usa nel confronto mondiale ormai pluridirezionale. Inoltre, in quella che viene denominata destra, senza più nessun reale riferimento storico-politico, si notano carenze culturali evidenti, anzi quasi il disprezzo per la cultura; e quando non vi è disprezzo, siamo allora all’incredibile senso di inferiorità verso l’altra parte, anch’essa indicata con un nome, la sinistra, del tutto privo di richiamo ad una vera tradizione, ad una storia; giacché non è storia quella di un ammasso di individui uniti solo dal rinnegamento della loro appartenenza (al Pci, soprattutto, e alla Dc e Psi) e dal loro svendersi agli interessi degli Usa e dei loro scherani industrial-finanziari in Italia.
La “sinistra” è l’insieme dei miserabili uniti appunto dal “non bianco”; il compito per cui si sono svenduti è stato ostacolato da chi si è trincerato dietro un individuo, Berlusconi appunto, ed essi hanno quindi ormai perso di vista persino quel compito, si limitano ad inveire ed agitarsi scompostamente contro questo individuo, intendono riunirsi solo per eliminarlo dalla scena, confidando soprattutto nell’avere al loro fianco la magistratura. Il ceto intellettuale legato a questa abominevole ammucchiata ha conquistato – in altra epoca e in altro contesto appena un po’ meno putrido, pur sempre tramite il coagularsi di una serie di piccole e grandi “mafie” – il 90% delle posizioni nei media, nell’editoria, nel “fare opinione” e nell’accreditare ciò che è cultura e ciò che non lo è, ciò che è “politicamente corretto” e ciò che non lo è. Adesso sfrutta queste posizioni, ma nel contesto degenerato dell’opposizione ad una sola persona. Fa specie vedere individui, trattati un tempo da “grandi intellettuali”, ormai ridotti a “cloni” di ciò che furono; cloni mal costruiti, con circuiti cerebrali lesi dall’accanimento antiberlusconiano. Eppure la “destra” – questa destra, che è anch’essa un assembramento senza tradizioni né storia – non sa opporre nulla di nulla a simili orrendi “aggeggi”; anzi li accredita essa stessa quali intellettuali.
Vano è affannarsi a riformare scuola e Università, se prima non si capisce che si tratta di luoghi dove agiscono i suddetti “cloni”, che stanno appiattendo ogni forma di ragionamento tramite una sola ossessione: uniamoci “anche con il diavolo” pur di distruggere Berlusconi. Qui non c’è cultura, ma solo abbrutimento e annientamento di ogni barlume di ciò che si chiama “pensare”. Eppure, anche a “destra” ci si fa dettare l’“agenda” di questo appiattimento da chi ha ormai solo il camuffamento dell’intellettuale. Non si andrà da nessuna parte se non “nasce qualcuno” (un gruppo politico ovviamente) in grado di dire finalmente basta! La prima mossa non può più essere se non la radicale bonifica di quella parte, di pseudopolitici e pseudointellettuali, che viene detta “sinistra”, la parte del “non bianco”, della pura negazione senza più la menoma capacità di affermare, di dare cioè indicazioni in positivo. In un mondo che si avvia rapidamente (una rapidità in senso “storico”) verso il confronto/scontro pluridirezionale, in cui si deve agire con agilità e sveltezza nel campo del conflitto, la bonifica non può attendere i tempi di una “nuova illuminazione” culturale. La politica, quella vera, deve intanto agire con i suoi metodi più radicali, quelli del risanamento di uno “spazio infetto”. Non a caso, parlo di bonifica, che mi pare termine chiaro ed espressivo.
Ovviamente, si deve condurre nel frattempo anche una battaglia culturale contro i “cloni” dell’ammucchiata di “sinistra”, cui segua l’indicazione dell’“impreparazione” dell’altro coacervo (la “destra”) ad un simile compito. Tuttavia, i “nuovi intellettuali”, di cui pur c’è bisogno, devono avere consapevolezza dell’insufficienza di una battaglia culturale per entrare rapidamente in “assetto di conflitto” nel mondo multipolare. A tal proposito, va segnalato il narcisismo di certuni che pretenderebbero d’essere questi nuovi intellettuali. Li si smaschera del resto abbastanza facilmente, poiché sono quelli che tentano di ingannare ancora i presunti “incolti”, verso cui manifestano sommo disprezzo e senso di superiorità, per convincerli ad appoggiare la loro battaglia solo culturale, tramite la quale rendono manifesta la loro meschina intenzione di formare ulteriori piccole cosche “mafiose” per farsi accettare nell’establishment giornalistico, editoriale, ecc. Questi intellettuali vanno presi a calci nei denti, sono eguali agli altri, più disgustosi degli altri poiché si limitano a “bussare alla porta” per poter entrare in quello che, nella loro stupidità di intellettuali “puri”, credono sia l’Olimpo dei “grandi pensatori”. Bisogna far capire che verrà invece loro riservata una bella “foiba”, in cui scaraventare il loro ributtante atteggiamento da “esseri superiori”.
A tutti questi cialtroni, che ancora popolano il mondo europeo, ma ancor più l’italiano, è ora di dire basta! E’ indispensabile la bonifica da parte di una nuova e autentica politica, che deve trovare i suoi portatori soggettivi. L’attesa non può tuttavia essere troppo lunga; altrimenti, ci si rassegni ad “uscire dalla storia” nell’ormai prossimo conflitto plurimo.

PS Politicanti rinnegati senza più radici né storia, giornalacci degli industrial-finanziari parassiti (la GFeID), intellettuali vendutisi a questi ultimi, si stanno stracciando le vesti e disperando per la visita di Gheddafi in Italia e la sua presunta amicizia con il premier. Se arrivasse Putin si reciterebbe la stessa pantomima. Sono rimbambiti o ipocriti e farabutti. Per quanto concerne i politicanti e i giornalacci (e coloro che li finanziano) sappiamo scegliere senza esitazioni tra le due alternative; per gli intellettuali è più difficile pur se, in entrambi i casi, è chiaro che sono privi di intelletto. Tutta questa gentaglia, ormai intollerabile, viene definita “sinistra”. In effetti, è una denominazione di origine incontrollata. Se vogliono però essere indicati così, nessun problema. Diciamo senza tante perifrasi che la vergogna di coloro che ci governano è di non avere ancora eliminato radicalmente la “sinistra” dalla scena nazionale. Fin quando non si troverà, in questo paese, “qualcuno” in grado di far sparire questa gentaccia, non diventeremo un paese “normale”.
Non è possibile che una qualsiasi società possa funzionare se lascia liberamente circolare simile pattume. Sia chiaro: in un’epoca storica in cui andiamo verso il confronto multipolare, non sorprende che vi siano frazioni politiche convinte della bontà di alleanze diverse, con l’uno o con l’altro dei diversi poli d’influenza. E’ però inammissibile che al posto di frazioni politiche vi siano ghenghe di miserabili accattoni; una delle quali è però chiaramente pagata da chi lede gli interessi del nostro paese e si appropria del prodotto di coloro che veramente lavorano. La GFeID, e i politicanti e intellettuali al suo seguito, rappresentano appunto le mignatte attaccate al “corpo” della popolazione lavoratrice. Si conceda pure loro, per semplice misericordia, di (soprav)vivere in questo paese, ma restando in silenzio e lavorando duro. I politicanti e intellettuali vadano ad ingrossare l’esercito dei precari stagionali (e soprattutto nei lavori più pesanti). I membri della GFeID vengano espropriati con processo inverso a quello verificatosi dopo le decisioni prese sul Panfilo “Britannia”. Hanno già i loro capitali all’estero; e lì vadano a passare il resto dei loro giorni.
Si tratta di soluzioni incruente, in fondo dolci. Del resto vengono anche incontro alle richieste di molti di questi fottuti denominati come “sinistra”, i quali continuano a manifestare la volontà di andarsene all’estero piuttosto che vivere in un paese come il nostro. Li si accontenti infine. Naturalmente, per chi non ha modo di sostentarsi in altro paese si aprano i suddetti lavori precari; se non gli piacciono, lo si avvii allora a quelli forzati. E’ ora che “qualcuno” risolva il problema; non è igienico lasciare “per le strade” questo letamaio.
di Gianfranco La Grassa

30 agosto 2010

No al governo dei tecnici e delle banche!

Al rientro dalle vacanze gli italiani si troveranno a fronteggiare la peggiore crisi economica dal 1923, paragonabile alla Germania di Weimar perché la ricetta della Banca Centrale Europea e della Federal Reserve è la stessa di allora: stampare denaro per rifinanziare trilioni di dollari di titoli tossici (legati ai mutui subprime, ai derivati) imponendo misure draconiane di austerità per salvare un sistema fallito. Non a caso la finanza ha sperimentato una "ripresa", mentre l'economia reale continua a crollare. Si prospetta una nuova ondata di licenziamenti in settembre; le nostre piccole e medie imprese rischiano di chiudere per mancanza di credito. E mentre sta per colpire la "botta grossa", come l'ha definita l'economista e leader politico americano Lyndon LaRouche, la strategia della finanza oligarchica è chiara per chi la vuole vedere: fare di tutto per mantenere in piedi la bolla speculativa dei derivati, che è dieci volte il PIL mondiale, imponendo una riduzione massiccia del tenore di vita della popolazione. Naturalmente le resistenze saranno grosse, e la protesta dilaga già tra la gente. L'impopolarità crescente di Obama, ad esempio, è il risultato dell'assenza di una risposta seria alla crisi, con milioni di disoccupati e di pignoramenti irrisolti, non certamente della moschea vicina a Ground Zero. Lo tengano presente i nostri politici quando devono scegliere se piegarsi alle pressioni: gli italiani si aspettano soluzioni, e se le aspettano adesso, non dopo altri mesi. Seguire le stesse ricette che hanno provocato la crisi potrà solo accelerare il processo di crollo.

Con la minaccia che l'Italia potrebbe "fare la fine della Grecia" rischiamo infatti di accettare la stessa ricetta mortale imposta dall'Unione Europea alla Grecia: distruggere l'economia reale, il lavoro e i livelli di vita della popolazione per salvare le banche e la Goldman Sachs, la banca d'affari che ha provocato la crisi greca coi suoi "consigli" sul debito. Non è un caso che i nomi che emergono per la guida di un "governo dei tecnici" siano Mario Draghi e Luca Cordero di Montezemolo; l'unico scopo di un tale esecutivo di emergenza sarebbe quello di salvare il sistema attuale a spese di noi contribuenti e svendendo ENI, ENEL ed altre risorse pubbliche, esattamente come fece Draghi all'epoca del vertice sul panfilo Britannia, nel 1992, quando era direttore generale del Tesoro.

La soluzione alla crisi c'è, e chi segue il nostro sito ed il movimento di LaRouche la conosce da molti anni: un nuovo sistema finanziario e creditizio, che metta fine alla bolla dei derivati e degli hedge fund, separando banche commerciali e banche d'affari come fece Roosevelt nel 1933, mettendo fine al crac del 1929 con la riforma Glass-Steagall, e garantendo solo le banche che finanziano l'economia reale, e non quelle che speculano. Grandi progetti infrastrutturali, come il progetto NAWAPA negli Stati Uniti/Canada e Messico, il corrispettivo odierno della Tennessee Valley Authority dei tempi di Roosevelt, o altri progetti simili in Europa ed Africa, come il progetto Transaqua per imbrigliare le acque dei fiumi, rendendoli navigabili ed irrigando i campi (vedi "L'alternativa: la pace attraverso lo sviluppo"). Invece di preoccuparsi di "restare in Europa" il governo italiano dovrebbe preoccuparsi di entrare a far parte della potenziale alleanza tra le quattro potenze (Stati Uniti, Russia, India e Cina) in funzione di tale riorganizzazione del sistema finanziario e creditizio, e di tali grandi progetti, gli unici che potranno rilanciare l'occupazione e l'economia. Come dichiarò mesi or sono il ministro Tremonti, ignorare il problema della speculazione finanziaria, "significa solo provocare la prossima crisi". È quanto ha fatto l'amministrazione Obama, è quanto ha fatto l'Unione Europea, ed ora siamo alla prossima crisi, che era prevedibile. Non ripetiamo l'errore del 2008: ristabiliamo il principio della sovranità nazionale in politica economica, come ha fatto il governo tedesco mesi fa decidendo di vietare certi tipi di derivati contro la volontà dell'UE. La Banca Centrale Europea continua a ripetere che non gradisce alcuna riforma Glass-Steagall perché interferisce con la libertà delle banche d'affari di succhiare il sangue all'economia reale. Lo ha fatto più volte negli scorsi mesi, anche rispondendo a domande del nostro movimento: ebbene, se questa è l'Europa, l'Europa delle banche d'affari, usciamo dal sistema dell'Euro e diamo vita a quella Nuova Bretton Woods proposta da LaRouche ed invocata da più parti, anche nel nostro Parlamento. Intorno a queste proposte, per risolvere la crisi e rilanciare l'occupazione, sarà possibile creare un'intesa tra i partiti ed evitare un governo tecnocratico delle banche
di Liliana Gorini

29 agosto 2010

Verso una III guerra mondiale? Il ruolo d'Israele



Lo stoccaggio e la distribuzione di avanzati sistemi di armi contro l'Iran ha avuto inizio subito dopo i bombardamenti e l'invasione dell'Iraq del 2003. Fin dall'inizio, questi piani di guerra sono stati guidati dagli Stati Uniti, in collegamento con la NATO e Israele.

Dopo l' invasione dell'Iraq, l'amministrazione Bush identificò l'Iran e la Siria, come la fase successiva della " Road map per la guerra ".

Fonti militari statunitensi dichiararono che un attacco aereo contro l'Iran avrebbe potuto comportare uno schieramento su larga scala paragonabile ai bombardamenti "colpisci e terrorizza" degli Stati Uniti sull'Iraq del marzo 2003 :

"attacchi aerei americani contro l'Iran avrebbero una portata di gran lunga superiore a quella dell'attacco israeliano del 1981 al centro nucleare di Osiraq in Iraq, e si avvicinerebbero di più ai giorni di apertura della campagna aerea del 2003 contro l'Iraq. (Vedi Globalsecurity )

"Teatro Iran vicino al termine "

„ Nominate in codice dai pianificatori militari degli Stati Uniti come TIRANNT, “Theater Iran near the Term-Teatro Iran vicino al termine„, simulazioni di un attacco all'Iran sono iniziate nel maggio 2003 “quando i modellatori e gli esperti di intelligence hanno raccolto i dati necessari per l'analisi del piano d'azione su grande scala per l'Iran" (William Arkin, Washington Post, 16 April 2006).

Le analisi hanno identificato parecchie migliaia di obiettivi all'interno dell'Iran come parte di una guerra lampo del tipo " Colpisci e terrorizza" :

"L'analisi , denominata TIRANNT , per " Teatro Iran vicino al termine ", era accompagnata da un finto scenario per una invasione del corpo dei marines e una simulazione della forza missilistica iraniana. I pianificatori americani e britannici hanno condotto un'esercitazione di guerra nel Mar Caspio più o meno nello stesso periodo. E Bush ha ordinato al Comando Strategico Usa di elaborare un piano di guerra globale per un attacco contro le armi di distruzione di massa iraniane. Tutto questo alla fine confluirà in un piano di nuova guerra per "più importanti operazioni di combattimento" contro l' Iran che fonti militari confermano ora [ Aprile 2006] esiste in forma di progetto.

... Sotto TIRANNT , Esercito e pianificatori del Comando Centrale degli Stati Uniti hanno esaminato scenari di guerra con l'Iran sia a breve termine che entro l'anno, compresi tutti gli aspetti di un'operazione di combattimento importante, dalla mobilitazione e dispiegamento di forze fino alle operazioni di stabilità nel dopoguerra dopo il cambiamento di regime ". (William Arkin, Washington Post, 16 aprile 2006)

Erano stati previsti diversi "scenari" per un attacco globale contro l'Iran: "l'esercito USA, la Marina, l'aeronautica e i marines hanno tutti preparato piani di battaglia e hanno trascorso quattro anni a costruire basi e corsi di formazione per una "Operation Iranian Freedom". L'ammiraglio Fallon, il nuovo capo del comando centrale USA, ha ereditato piani computerizzati sotto il nome TIRANNT (teatro Iran Near Term)." (New Statesman, 19 febbraio 2007)

Nel 2004, ispirandosi agli scenari di guerra iniziale sotto TIRANNT, il Vice Presidente Dick Cheney ha incaricato USSTRATCOM di elaborare un "piano di emergenza" per un'operazione militare su larga scala diretta contro l'Iran "puo essere impiegato in risposta ad un altro attacco terroristico tipo 9/11 contro gli Stati Uniti" sulla presunzione che il governo di Teheran sarebbe dietro la trama terroristica. Nel piano è incluso l'uso preventivo di armi nucleari contro uno Stato nucleare:

"Il piano include un attacco aereo su larga scala sull'Iran impiegando armi nucleari sia convenzionali che tattiche. In Iran ci sono più di 450 obiettivi strategici principali, tra cui numerosi siti sospettati di sviluppare il programma di armi nucleari. Molti degli obiettivi sono insensibili o sono nelle profondità sotterranee e potrebbero non essere colpiti da armi convenzionali, quindi l'opzione nucleare. Come nel caso dell'Iraq, la risposta non è condizionata al fatto che l''Iran sia effettivamente coinvolto nell'atto di terrorismo, diretto contro gli Stati Uniti. Diversi alti ufficiali dell'aeronautica coinvolti nella pianificazione, secondo qanto riferito, sono sgomenti per le implicazioni di ciò che stanno facendo — che l'Iran sia designato per un attacco nucleare non provocato — ma nessuno è disposto a danneggiare la sua carriera, ponendo obiezioni. " (Philip Giraldi, Deep Background,The American Conservative agosto 2005)

La tabella di marcia militare: "prima l'Iraq, poi l'Iran"

La decisione di colpire l'Iran sotto TIRANNT era parte del più ampio processo di pianificazione e sequenza delle operazioni militari. Già sotto l'amministrazione Clinton, il Comando Centrale USA(USCENTCOM) aveva formulato "nei piani dello scenario di guerra" di invadere prima l'Iraq e poi l'Iran. L'accesso al petrolio del Medio Oriente era l'obiettivo strategico:

"I chiari interessi di sicurezza nazionale e gli obiettivi espressi nella strategia di sicurezza nazionale (NSS) del Presidente e nella strategia militare nazionale (NMS) del Presidente costituiscono il fondamento della strategia dello scenario del comando centrale USA. La NSS presenta l'attuazione di una strategia di contenimento duale degli Stati canaglia Iraq ed Iran, nel caso tali Stati costituiscano una minaccia per gli interessi degli USA, per gli altri Stati della regione e per i loro cittadini. Il doppio contenimento è progettato per mantenere l'equilibrio di potere nella regione senza che questo dipenda dall'Iraq o dall'Iran. La strategia USCENTCOM è basata sugli interessi e centrata sulla minaccia. Lo scopo dell'impegno degli USA, come esposto nell'NSS, è di tutelare gli interessi vitali degli Stati Uniti nella regione - il continuo, sicuro accesso al petrolio del Golfo."
(USCENTCOM,http://www.milnet.com/milnet/pentagon/centcom/chap1/stratgic.htm#USPolicy, il collegamento non è più attivo, archiviato presso http://tinyurl.com/37gafu9)

La guerra contro l'Iran è stata considerata come parte di una successione di operazioni militari. Secondo l'ex comandante NATO generale Wesley Clark, la road-map militare del Pentagono consisteva in una sequenza di paesi: "[il] piano di campagna quinquennale [include]... un totale di sette paesi, cominciando con l'Iraq, poi Siria, Libano, Libia, Iran, Somalia e Sudan." In "Winning Modern Wars" (pagina 130) il generale Clark afferma quanto segue:

"Quando tornai al Pentagono nel novembre 2001, uno degli ufficiali dirigenti militari aveva tempo per una chiacchierata. Sì, eravamo ancora in pista per andare contro l'Iraq, disse. Ma c'era di più. Questo era stato discusso nell'ambito di un piano di campagna quinquennale, disse, e c'erano un totale di sette paesi, cominciando con l'Iraq, poi Siria, Libano, Libia, Iran, Somalia e Sudan. (Vedi Secret 2001 Pentagon Plan to Attack Lebanon, Global Research, 23 luglio 2006)

Il ruolo di Israele

Si è discusso molto sul ruolo di Israele nell'innesco di un attacco contro l'Iran.

Israele è parte di un'alleanza militare. Tel Aviv non è un promotore. Non ha un'agenda militare distinta e separata.

Israele è integrato nel "piano di guerra per le principali operazioni di combattimento" contro l'Iran formulato nel 2006 dal Comando Strategico USA (USSTRATCOM). Nel contesto delle operazioni militari su larga scala, un'azione militare unilaterale non coordinata da parte di un solo partner della coalizione, cioè Israele, è da un punto di vista strategico e militare, quasi impossibile. Israele è un membro de facto della NATO. Qualsiasi azione da parte di Israele richiederebbe una "luce verde" da Washington.

Un attacco da parte di Israele potrebbe, tuttavia, essere utilizzato come "il meccanismo d'innesco", che scatenerebbe una guerra totale contro l'Iran, come pure la ritorsione da parte dell'Iran nei confronti di Israele.

A questo proposito, vi sono indizi che Washington potrebbe prevedere la possibilità di iniziale attacco (sostenuto dagli US) da parte di Israele, piuttosto che una pura e semplice operazione militare contro l'Iran guidata dagli USA. L'attacco israeliano--anche se condotto in stretto collegamento con il Pentagono e la NATO--verrebbe presentato all'opinione pubblica come una decisione unilaterale di Tel Aviv. Sarebbe quindi utilizzato da Washington per giustificare, agli occhi dell'opinione mondiale, un intervento militare degli Stati Uniti e della NATO per "difendere Israele", invece di attaccare l'Iran. Nell'ambito degli accordi di cooperazione militare esistenti, sia gli Stati Uniti che la NATO sarebbero "obbligati" a "difendere Israele" contro l'Iran e la Siria.

Vale la pena notare, a questo proposito, che fin dall'inizio del secondo mandato di Bush, (l'ex) Vice Presidente Dick Cheney accennò, in termini di certezza, che l'Iran era "proprio in cima alla lista" dei nemici "canaglia" dell'America, e che Israele, per così dire, "bombarderebbe per noi", senza coinvolgimento militare degli Stati Uniti e senza che noi esercitiamo pressioni su di loro "per farlo" (vedi Michel Chossudovsky, Planned US-Israeli Attack on Iran, Global Research, 1 maggio 2005): Secondo Cheney:

"Una delle preoccupazioni della gente è che Israele potrebbe farlo senza che gli venga chiesto... Dato che l'Iran ha una politica dichiarata secondo cui il suo obiettivo è la distruzione di Israele, gli israeliani potrebbero decidere di agire per primi e lasciare il resto del mondo a preoccuparsi di ripulire il pasticcio diplomatico che seguirebbe,"(Dick Cheney, citato da un'intervista di MSNBC, gennaio 2005)

Commentando l'affermazione del Vicepresidente, l'ex consigliere per la sicurezza nazionale Zbigniew Brzezinski in un'intervista su PBS, ha confermato con qualche apprensione, sì: Cheney vuole che il primo ministro Ariel Sharon agisca per conto dell'America e "lo faccia" per noi:

"Credo che l'Iran sia più ambiguo. E il problema esistente non è certamente la tirannia; ma le armi nucleari. E il vice Presidente oggi in una sorta di una strana istruzione parallela a questa dichiarazione di libertà ha suggerito che gli israeliani possono farlo e infatti ha usato un linguaggio che suona come una giustificazione o anche un incoraggiamento per gli israeliani a farlo."

Quello di cui ci stiamo occupando è un'operazione militare congiunta U.S.-NATO-Israele per bombardare l'Iran, che è stata in fase di pianificazione attiva dal 2004. Il funzionari del Dipartimento della difesa, sotto Bush e Obama, hanno lavorato assiduamente con i loro omologhi militari e di intelligence israeliani, identificando attentamente obiettivi dentro l'Iran. In termini pratici militari, qualsiasi azione da parte di Israele avrebbe dovuto essere pianificata e coordinata ai livelli più alti della coalizione guidata dagli Stati Uniti.

Un attacco da parte di Israele richiederebbe anche un coordinato sostegno logistico U.S. -europa-NATO, in particolare con riguardo al sistema di difesa aerea di Israele, che da gennaio 2009 è completamente integrato in quello degli Stati Uniti e della NATO. (Vedere Michel Chossudovsky, Unusually Large U.S. Weapons Shipment to Israel: Are the US and Israel Planning a Broader Middle East War? Global Research, 11 gennaio, 2009)

Il sistema radar a banda X di Israele installato all'inizio del 2009 con il supporto tecnico degli Stati Uniti ha "integrato le difese antimissile di Israele con la rete globale americana di rilevamento antimissile [nello spazio], che include satelliti, navi Aegis sul Mediterraneo, Golfo Persico e Mar Rosso e radars Patriot e missili intercettori a terra." (Defense Talk.com, January 6, 2009,)

Ciò significa che Washington, in definitiva, invita a colpire. Gli Stati Uniti piuttosto che Israele controllano il sistema di difesa aerea: '' 'Questo è e rimarrà un sistema radar degli Stati Uniti,' ha dichiarato il portavoce del Pentagono Geoff Morrell. "Così questo non è qualcosa che noi stiamo dando o vendendo agli israeliani ed è qualcosa che richiederà probabilmente personale degli Stati Uniti in loco per funzionare." " (Citato nel notiziario di Israele, 9 gennaio 2009).

Le forze armate USA sovrintendono al sistema di Difesa Aerea di Israele, che è integrato nel sistema globale del Pentagono. In altre parole, Israele non può avviare una guerra contro l'Iran senza il consenso di Washington. Da qui l'importanza della legislazione cosiddetta "Luce Verde" sponsorizzata al Congresso dal partito repubblicano nell'ambito della House Resolution 1553, che supporta in modo esplicito un attacco israeliano all'Iran:

"La misura, introdotta dal repubblicano del Texas Louie Gohmert e 46 dei suoi colleghi, appoggia l'uso da parte di Israele di "tutti i mezzi necessari "contro l'Iran" compreso l'uso della forza militare."... "Siamo stati costretti ad arrivare a questo. Abbiamo bisogno di mostrare il nostro sostegno ad Israele. Abbiamo bisogno di smettere di giocare con questo alleato critico in un settore difficile."" (Vedere Webster Tarpley, Fidel Castro Warns of Imminent Nuclear War; Admiral Mullen Threatens Iran; US-Israel Vs. Iran-Hezbollah Confrontation Builds On, Global Research, August 10, 2010)

In pratica, la proposta di legge è una "Luce Verde" per la casa bianca e il Pentagono, piuttosto che per Israele. Essa costituisce un'approvazione senza discussione per una guerra contro l'Iran sponsorizzata dagli USA che utilizza Israele come un conveniente trampolino di lancio militare. Essa serve anche come una giustificazione per fare la guerra a difesa di Israele.
In questo contesto, Israele potrebbe infatti fornire il pretesto per fare la guerra, in risposta a presunti attacchi di Hamas o Hezbollah e/o l'attivazione delle ostilità sul confine di Israele con il Libano. È fondamentale comprendere che un "incidente" minore potrebbe essere utilizzato come pretesto per innescare una grande operazione militare contro l'Iran.
Come sanno i pianificatori militari degli Stati Uniti, Israele (piuttosto che gli Stati Uniti) sarebbe il primo obiettivo di rappresaglia militare da parte dell'Iran. In linea generale, gli israeliani sarebbero vittime di macchinazioni di Washington e del loro stesso governo. È, a questo riguardo, assolutamente fondamentale che gli israeliani si oppongano con forza a qualsiasi azione da parte del governo di Netanyahu per attaccare l'Iran.

Guerra globale: Il ruolo del comando strategico degli Stati Uniti (USSTRATCOM)

Le operazioni militari globali sono coordinate dalle Sedi Centrali del Comando Strategico USA (USSTRATCOM) presso la base aerea militare di Offutt nel Nebraska, in collegamento con i comandi regionali combattenti unificati (ad esempio. Comando centrale USA in Florida, che è responsabile per il Medio Oriente-regione Asia Centrale, vedi mappa qui sotto) così come le unità di comando della coalizione in Israele, Turchia, Golfo Persico e la base militare di Diego Garcia nell'Oceano Indiano. La pianificazione militare e il processo decisionale a livello di paese di singoli alleati NATO-U.S. così come "i paesi partner" sono integrati in un disegno militare globale, compresa la militarizzazione dello spazio.

Sotto il suo nuovo mandato, USSTRATCOM ha la responsabilità di "soprintendere ad un piano di attacco globale" con armi nucleari e convenzionali. In gergo militare, è previsto che svolga il ruolo di "integratore globale con missioni di Operazioni Spaziali; operazioni di informazione; Difesa Antimissile Integrata; Comando& Controllo Globale; Intelligence, sorveglianza e ricognizione; Attacco Globale; e deterrenza strategica.... "

Le responsabilità USSTRATCOM includono: "direzione, pianificazione ed esecuzione di operazioni di deterrenza strategica "a livello mondiale, "sincronizzazione delle operazioni e dei piani di difesa missilistica globale", "sincronizzazione dei piani regionali di combattimenti", etc. USSTRATCOM è la principale Agenzia nel coordinamento della guerra moderna.

Nel gennaio 2005, USSTRATCOM fin dall'inizio del dispiegamento militare e stoccaggio diretti contro l'Iran, è stato identificato come "il Comando Combattente leader per l'integrazione e la sincronizzazione degli sforzi a livello del DoD nella lotta contro le armi di distruzione di massa." (Michel Chossudovsky, guerra nucleare contro l'Iran, Global Research, 3 gennaio 2006).

Ciò significa che il coordinamento di un attacco su larga scala contro l'Iran, compresi i vari scenari di escalation all'interno ed oltre la più vasta Regione Asiatica del Medio Oriente dovrebbe essere coordinato da USSTRATCOM.

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Mappa: Area di competenza Comando Centrale degli Stati Uniti

Armi nucleari tattiche contro l'Iran

Confermato da documenti militari come pure da dichiarazioni ufficiali, sia negli Stati Uniti che in Israele è contemplato l'uso di armi nucleari contro l'Iran. Nel 2006, l'US Strategic Command (USSTRATCOM) ha annunciato che aveva raggiunto una capacità operativa per colpire rapidamente destinazioni in tutto il mondo utilizzando armi nucleari o convenzionali. Questo annuncio è stato fatto dopo lo svolgimento di simulazioni militari USA riguardanti un attacco nucleare contro un paese immaginario. (David Ruppe, Preemptive Nuclear War in a State of Readiness: U.S. Command Declares Global Strike Capability, Global Security Newswire, 2 dicembre 2005)

Continuità nei confronti dell'era Bush-Cheney: il Presidente Obama in gran parte ha approvato la dottrina dell'uso preventivo di armi nucleari formulata dalla precedente amministrazione. Sotto il Nuclear Posture Review del 2010, l'amministrazione Obama ha confermato che "essa si riserva il diritto di usare armi nucleari contro l'Iran" per la sua inadempienza verso gli Stati Uniti per quanto riguarda il suo programma di sviluppo di presunte armi nucleari (inesistente). (Opzione nucleare degli Stati Uniti sull'Iran collegata alla minaccia di attacchi israeliani - ipsnews.net IPS, 23 aprile 2010). L'amministrazione Obama ha anche fatto intendere che si potrebbero usare armi nucleari nel caso di una risposta iraniana ad un attacco israeliano contro l'Iran. (Ibid.). Israele ha elaborato i propri "piani segreti" anche per bombardare l'Iran con armi nucleari tattiche:

"I comandanti militari israeliani credono che gli attacchi convenzionali non possono più bastare per annientare le strutture di arricchimento dell'uranio sempre più protette. Molte sono state costruite sotto almeno 70 piedi di calcestruzzo e roccia. Tuttavia, i bunker busters nucleari verrebbero utilizzati solo se fosse escluso un attacco convenzionale e se gli Stati Uniti rifiutassero di intervenire, hanno dichiarato fonti di alto livello." (Revealed: Israel plans nuclear strike on Iran - Times Online, January 7, 2007)

Le istruzioni di Obama sull'uso di armi nucleari contro l'Iran e la Corea del Nord sono coerenti con la dottrina USA post 9/11, che consente l'uso di armi nucleari tattiche in un teatro di guerra convenzionale.

Attraverso una campagna di propaganda che ha ottenuto il sostegno di "autorevoli" scienziati nucleari, le mini-bombe atomiche vengono sostenute come strumento di pace, vale a dire un mezzo per la lotta contro "il terrorismo islamico" e l'installazione della "democrazia" di stile occidentale in Iran. Le armi nucleari a basso potenziale sono stata liquidate come "per utilizzo sul campo di battaglia". Si prevede che vengano utilizzate contro l'Iran e la Siria nella fase successiva della "guerra al terrorismo" dell'America insieme ad armi convenzionali.

"I funzionari dell'Amministrazione sostengono che le armi nucleari a basso potenziale sono necessarie come credibile deterrente contro gli Stati canaglia. [Corea del Nord, Iran, Siria] La loro logica è che le armi nucleari esistenti sono troppo distruttive per essere utilizzate, tranne in una guerra nucleare su vasta scala. Potenziali nemici potrebbero rendersi conto di questo, così che non considererebbero la minaccia di ritorsioni nucleari come credibile. Tuttavia, armi nucleari a basso potenziale sono meno distruttive, quindi presumibilmente potrebbero essere utilizzate. Questo le renderà più efficaci come deterrente." (Opponents Surprised By Elimination of Nuke Research Funds Defense News November 29, 2004)

Le armi nucleari da utilizzare preferibilmente contro l'Iran sono le armi nucleari tattiche
(Made in America), vale a dire bombe bunker buster con testate nucleari (ad es. B61.11), con una capacità esplosiva tra un terzo fino a sei volte una bomba di Hiroshima. Il B61-11 è la versione"nucleare" della "convenzionale" BLU 113. o la Guided Bomb Unit GBU-28. Può essere lanciata in modo molto simile alla bomba bunker buster convenzionale. (Vedi Michel Chossudovsky,http://www.globalresearch.ca/articles/CHO112C.html, vedi anche http://www.thebulletin.org/article_nn.php?art_ofn=jf03norris)
Mentre gli Stati Uniti non contemplano l'uso di armi termonucleari strategiche contro l'Iran, l'arsenale nucleare di Israele è in gran parte composto da bombe termonucleari che vengono impiegate e potrebbero essere utilizzate in una guerra con l'Iran. Nell'ambito del sistema missilistico Jericho‐III con una gittata tra i 4.800 km ed i 6.500 km, tutto l'Iran sarebbe entro la portata. di Israele

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Bomba bunker buster convenzionale Guided Bomb Unit GBU-27
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B61 bomba bunker buster

Ricaduta radioattiva

Il problema della ricaduta e contaminazione radiottiva, mentre casualmente viene respinto dagli analisti militari NATO-U.S., sarebbe devastante, potenzialmente interesserebbe una vasta area del Medio Oriente (Israele compreso) e la regione dell'Asia centrale.

In una logica assolutamente contorta, le armi nucleari sono presentate come un mezzo per costruire la pace e prevenire "danni collaterali". Le armi nucleari inesistenti dell'Iran sono una minaccia per la sicurezza globale, mentre quelle degli Stati Uniti e di Israele sono strumenti di pace "innocui per la popolazione civile circostante ".

"La madre di tutte le bombe" (MOAB) prevista per essere utilizzata contro l'Iran

Di importanza militare all'interno dell'arsenale di armi convenzionali USA l'"arma mostro" di 21.500-libbre soprannominata la "madre di tutte le bombe" La GBU-43/B or Massive Ordnance Air Blast bomb (MOAB) è stata classificata "come l'arma non-nucleare più potente mai progettata" con la resa più grande nell'arsenale convenzionale USA. Il MOAB è stato testato prima di essere distribuito nel teatro di guerra Iraq all'inizio del marzo 2003. Stando alle fonti militari statunitensi, I Capi di Stato Maggiore Riuniti avevano informato il governo di Saddam Hussein prima di lanciare l'attacco del 2003 che la "madre di tutte le bombe" doveva essere utilizzata contro l'Iraq. (Ci sono stati rapporti non confermati che sia stata utilizzata in Iraq).

Il Dipartimento della difesa ha confermato nell'ottobre del 2009 che intende utilizzare la "madre di tutte le bombe" (MOAB) contro l'Iran. Il MOAB è considerato "ideale per colpire profondamente impianti nucleari interrati come Natanz o Qom in Iran" (Jonathan Karl, Is the U.S. Preparing to Bomb Iran? ABC News, October 9, 2009). La verità è che il MOAB, data la sua capacità esplosiva, comporterebbe perdite civili estremamente grandi. Si tratta di una convenzionale "macchina per uccidere" con una nube a forma di fungo di tipo nucleare.

L'approvvigionamento di quattro MOABs fu commissionato nell'ottobre 2009 al notevole costo di 58,4 milioni di dollari, (14,6 milioni di dollari per ogni bomba). Tale importo comprende i costi di sviluppo e test, nonché integrazione delle bombe MOAB su bombardieri stealth B-2. (Ibid.). Questa acquisizione è direttamente collegata ai preparativi di guerra in relazione all'Iran. La notifica era contenuta a pagina-93 del "promemoria per la riprogrammazione" che comprendeva le seguenti istruzioni:

"Il Dipartimento ha un urgente bisogno operativo (UON-Urgent Operational Need) di acquisire la capacità di colpire obiettivi duri e profondamente interrati in ambienti ad alta minaccia. Il MOP [Mother of All Bombs-la madre di tutte le bombe] è l'arma di scelta per soddisfare i requisiti della UON [Urgent Operational Need]." Precisa inoltre che la richiesta è approvata dal Pacific Command (che ha responsabilità sulla Corea del Nord) e dal comando centrale (che ha la responsabilità sull'Iran)." (ABC News, op cit, enfasi aggiunta). Per consultare la richiesta di riprogrammare (pdf) clicca qui

Il Pentagono sta pianificando un processo di vasta distruzione delle infrastrutture e incidenti di massa tra i civili attraverso l'uso combinato di armi nucleari tattiche e mostruose bombe convenzionali con nubi a forma di fungo, compreso il MOAB e il più grande GBU-57A/B o Massive Ordinance Penetrator (MOP), che sorpassa il MOAB in termini di capacità esplosiva.
Il MOP è descritto come "una nuova potente bomba diretta agli impianti nucleari sotterranei dell'Iran e Corea del Nord. La bomba gigantesca — più di 11 persone in piedi spalla a spalla [vedi immagine qui sotto] o più di 20 piedi dalla base alla punta "(vedi Edwin Black, "Super Bunker-Buster Bombs Fast-Tracked for Possible Use Against Iran and North Korea Nuclear Programs", Cutting Edge, September 21 2009)
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"Madre di tutte le bombe" (MOAB)
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GBU-57A/B messa Ordnance Penetrator (MOP)

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MOAB: le schermate del test: esplosione e nube a fungo

Stato di avanzamento degli armamenti: "Guerra resa Possible attraverso nuove tecnologie"

Il processo decisionale dei militari USA in relazione all'Iran è sostenuto da Star Wars, la militarizzazione dello spazio e la rivoluzione nelle comunicazioni e sistemi di informazione. Dati i progressi della tecnologia militare e lo sviluppo di nuovi sistemi di armamenti, un attacco contro l'Iran potrebbe essere notevolmente diverso in termini di una combinazione di sistemi di armi, rispetto alla guerra lampo del marzo 2003 lanciata contro l'Iraq. L'operazione Iran prevede l'utilizzo dei più avanzati sistemi di armi a sostegno delle sue incursioni aeree. Con ogni probabilità, saranno testati nuovi sistemi di armi.

Il Progetto per un Nuovo Secolo Americano del 2000 (PNAC) intitolato Ricostruire le Difese dell'America, ha delineato il mandato dei militari americani in termini di Guerre su larga scala, per essere condotte simultaneamente in diverse regioni del mondo:

"Combattere e conquistare decisamente multipli, simultanei teatri di guerra".

Tale formulazione equivale ad una guerra globale di conquista da parte di un'unica superpotenza imperiale. Il documento PNAC viene chiamato anche la "rivoluzione negli affari militari", per la trasformazione delle forze da sfruttare, vale a dire l'attuazione della "guerra resa possibile grazie alle nuove tecnologie". (Vedere il progetto per un nuovo secolo americano, Ricostruire le Difese dell' America Washington DC, settembre 2000, pdf). Quest'ultimo consiste nello sviluppare e perfezionare lo stato dell'arte globale di una macchina per uccidere basata su un arsenale di nuove armi sofisticate, che alla fine potrebbero sostituire i modelli esistenti.

"Così, si può prevedere che il processo di trasformazione sarà infatti un processo in due fasi: prima di transizione, quindi di trasformazione più approfondita. Il punto di rottura ci sarà quando una preponderanza di nuovi sistemi di armamenti comincerà ad entrare in servizio, forse quando, ad esempio, veicoli aerei senza equipaggio inizieranno ad essere numerosi come gli aerei con equipaggio. A questo proposito, il Pentagono dovrebbe essere molto cauto nel fare grandi investimenti in nuovi programmi – carri armati, aerei, portaerei, ad esempio – che impegnerebbero le forze americane in attuali modelli di guerra per molti decenni a venire. (Idem, enfasi aggiunta )

La guerra contro l'Iran potrebbe davvero segnare questo cruciale punto di rottura, con nuovi sistemi di armi spaziali applicate al fine di disattivare un nemico che ha significative capacità militari convenzionali, tra cui più di mezzo milione di forze di terra.

Armi elettromagnetiche

Armi Elettromagnetiche potrebbero essere utilizzate per destabilizzare i sistemi di comunicazione dell'Iran, disattivare i generatori di energia elettrica, minare e destabilizzare comando e controllo, infrastrutture governative, trasporti, energia, ecc.. All'interno della stessa famiglia di armi, tecniche di modifiche ambientali (ENMOD) (guerra Meteo) sviluppate all'interno del programma HAARP potrebbero anche essere applicate. (Vedere Michel Chossudovsky, "Owning the Weather" for Military Use, Global Research, September 27, 2004). Questi sistemi di armi sono pienamente operativi. In questo contesto, il documento dell'aviazione militare AF 2025 ha riconosciuto esplicitamente applicazioni militari di tecnologie di modificazione Meteo:

"La Modifica del tempo diventerà parte della sicurezza nazionale e internazionale e potrebbe essere eseguita unilateralmente... Essa potrebbe avere applicazioni offensive e difensive ed essere utilizzata anche per scopi di dissuasione. La capacità di generare pioggia, nebbia e tempeste sulla terra o di modificare il tempo nello spazio, migliorare le comunicazioni attraverso modifiche della ionosfera (l'uso di specchi nella ionosfera), e la produzione di Meteo artificiale fanno tutti parte di un insieme integrato di tecnologie che possono fornire una sostanziale crescita negli Stati Uniti, o degrado della capacità di un avversario, per raggiungere consapevolezza globale, capacità, e potere. " (Air Force 2025 Final Report, Vedi anche US Air Force: Weather as a Force Multiplier: Owning the Weather in 2025, AF2025 v3c15-1 | Weather as a Force Multiplier: Owning... | (Ch 1) a www.fas.org).

Radiazioni elettromagnetiche che rendono possibile "danneggiare la salute da remoto" potrebbero anche essere previste nel teatro di guerra. (Vedi Mojmir Babacek, Electromagnetic and Informational Weapons:, Global Research, August 6, 2004). A sua volta, nuovi impieghi di armi biologiche da parte dei militari statunitensi potrebbero anche essere previsti come suggerito dal PNAC: "Avanzate forme di guerra biologica adatta a "colpire" specifici genotipi possono trasformare la guerra biologica dal Regno del terrore in uno strumento politicamente utile." (PNAC, op. cit., p. 60).

Le capacità militari dell'Iran: missili a medio e lungo raggio

L'Iran ha avanzate capacità militari, tra cui missili a medio e a lungo raggio in grado di raggiungere obiettivi in Israele e negli Stati del Golfo. Quindi l'accento dell'Alleanza Israele-U.S.-NATO sull'uso di armi nucleari, che sono previste per essere utilizzate sia preventivamente che in risposta ad un attacco missilistico iraniano di ritorsione.

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Gittata dei missili Shahab dell'Iran. Copyright Washington Post

Nel novembre 2006, tests dell'Iran con missili superficie 2 sono stati caratterizzati da una pianificazione precisa in un'operazione allestita con cura. Secondo un autorevole esperto di missili americano (citato da Debka), "Gli iraniani hanno dimostrato una tecnologia moderna nel lancio di missili che l'Occidente non aveva mai saputo possedesse". (Vedere Michel Chossudovsky, Iran's "Power of Deterrence" Global Research, November 5, 2006) Israele ha riconosciuto che "Shehab-3, la cui gittata è 2.000-km rende Israele, Medio Oriente ed Europa a portata di mano" (Debka, 5 novembre 2006)

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Secondo Uzi Rubin, ex capo del programma di missili anti-balistici di Israele, "l'intensità dell'esercitazione militare era senza precedenti... Essa è stata pensata per fare impressione--e ha fatto impressione". (www.cnsnews.com 3 novembre 2006)

Le esercitazioni del 2006, mentre creavano agitazione negli Stati Uniti e Israele, non hanno modificato in alcun modo la determinazione U.S.-NATO-Israele a scatenarsi sull'Iran.

Teheran ha confermato in diverse dichiarazioni che risponderà se verrà attaccato. Israele sarebbe immediatamente oggetto di attacchi missilistici iraniani come confermato dal governo iraniano. La questione del sistema di difesa aerea di Israele è pertanto cruciale. USA e strutture militari alleate negli Stati del Golfo, Turchia, Arabia Saudita, Afghanistan e Iraq potrebbero anche essere prese di mira da parte dell'Iran.

Forze di terra dell'Iran

Mentre l'Iran è circondato dagli Stati Uniti e da basi militari alleate, la Repubblica islamica ha notevoli capacità militari. (Vedere mappe qui sotto) Ciò che è importante riconoscere sono le grandi dimensioni delle forze di terra iraniane in termini di personale (esercito, Marina, aviazione) se paragonate alle forze degli Stati Uniti e della NATO impegnate in Afghanistan e in Iraq.

Di fronte ad un'insurrezione ben organizzata, le forze della coalizione sono già sovrautilizzate in Afghanistan e in Iraq. Queste forze sarebbero in grado di far fronte se le forze terrestri iraniane si inserissero nel campo di battaglia esistente in Iraq e in Afghanistan? Il potenziale del movimento di resistenza agli Stati Uniti ed all'occupazione degli alleati inevitabilmente ne risentirebbe.

Le forze terrestri iraniane sono dell'ordine di 700.000 di cui 130.000 sono soldati professionisti, 220.000 sono i militari di leva e 350.000 sono riservisti. (Vedere esercito Repubblica islamica dell'Iran - Wikipedia). Ci sono 18.000 militari nella marina dell'Iran e 52.000 nella forza aerea. Secondo l'Istituto internazionale di studi strategici, "la guardia rivoluzionaria ha un personale di 125.000 stimato in cinque rami: la Marina, l'aeronautica e le forze di terra; e la Quds Force (forze speciali)." Secondo il CISS, Basij la forza paramilitare del volontariato dell'Iran controllata da guardie rivoluzionarie "ha una stima di 90.000 elementi in uniforme attivi a tempo pieno, 300.000 reservisti e un totale di 11 milioni di uomini che possono essere mobilitati se necessario" (forze armate della Repubblica islamica dell'Iran - Wikipedia), in altre parole, l'Iran può mobilitare fino a mezzo milione di truppe regolari e diversi milioni appartenenti alla milizia. Le forze speciali di al-Quds sono già operanti all'interno dell'Iraq.
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Strutture Militari USA e degli alleati circondano l'Iran

Per diversi anni l'Iran ha condotto i suoi addestramenti e le sue esercitazioni di guerra. Mentre la sua forza aerea ha delle debolezze, i suoi missili a lunga e media gittata sono pienamente operativi. La forza militare dell'Iran è in uno stato di allerta. Concentrazioni di truppe iraniane sono attualmente a pochi chilometri dei confini afghani e iracheni e nelle vicinanze del Kuwait. La Marina iraniana è distribuita nel Golfo Persico nelle vicinanze di USA e strutture militari degli alleati negli Emirati Arabi Uniti.
Vale la pena notare che in risposta all'accumulo militare dell'Iran, gli Stati Uniti hanno trasferito grandi quantità di armi ai loro alleati non-NATO del Golfo Persico compreso il Kuwait e l'Arabia Saudita.

Mentre le armi avanzate dell'Iran non si possono paragonare a quelle degli Stati Uniti e della NATO, le forze iraniane sarebbero in grado di infliggere perdite sostanziali alle forze della coalizione in un teatro di guerra convenzionale, sul terreno di Iraq o Afghanistan. Le truppe di terra iraniane ed i carri armati nel dicembre 2009 attraversarono la frontiera per entrare in Iraq senza essere affrontati o contestati dalle forze alleate e occuparono un territorio conteso nel settore orientale del giacimento petrolifero Maysan.

Anche nel caso di un'efficace guerra lampo, diretta contro strutture militari dell'Iran, i suoi sistemi di comunicazione, ecc attraverso massicci bombardamenti aerei, utilizzando i missili da crociera, bombe convenzionali bunker buster ed armi nucleari tattiche, una guerra con l'Iran, una volta avviata, alla fine potrebbe condurre ad una guerra di terra. Questo è qualcosa che i pianificatori militari degli Stati Uniti senza dubbio hanno contemplato nel loro scenari di guerra simulata.

Un'operazione di questo tipo comporterebbe notevoli vittime militari e civili, in particolare se venissero utilizzate armi nucleari.

Anche il bilancio aumentato per la guerra in Afghanistan, attualmente in discussione al Congresso è destinato ad essere utilizzato nell'eventualità di un attacco contro l'Iran.

All'interno di uno scenario di escalation, truppe iraniane potrebbero attraversare la frontiera in Iraq e in Afghanistan.

A sua volta, l'escalation militare usando armi nucleari potrebbe portarci in uno scenario di III guerra mondiale, che si estenderebbe oltre la regione dell'Asia centrale del Medio Oriente.

In un senso molto reale, questo progetto militare, che è sul tavolo da disegno del Pentagono da più di cinque anni, minaccia il futuro dell'umanità.

In questo saggio ci siamo concentrati sui preparativi di guerra. Il fatto che i preparativi di guerra siano in uno stato avanzato non implica che tali piani di guerra saranno effettuati.

L'Alleanza U.S.-NATO-Israele si rende conto che il nemico ha notevoli capacità di risposta e di ritorsione. Questo fattore di per sé è stato cruciale negli ultimi cinque anni negli Stati Uniti e nei paesi alleati per la decisione di rinviare l'attacco all'Iran.

Un altro fattore cruciale è la struttura delle alleanze militari. Considerando che la NATO è diventata una formidabile forza, l'organizzazione di cooperazione Shanghai (SCO), che costituisce un'alleanza tra Russia e Cina e un certo numero di ex repubbliche sovietiche è stata notevolmente indebolita.

Le minacce militari degli Stati Uniti nei confronti di Cina e Russia sono destinate ad indebolire la SCO e scoraggiare qualsiasi forma di azione militare degli alleati dell'Iran nel caso di un attacco america-NATO-israele.

Quali sono le forze compensative che potrebbero impedire il verificarsi di questa guerra? Ci sono numerose forze in sviluppo che lavorano all'interno dell'apparato di stato americano, il Congresso degli Stati Uniti, il Pentagono e la NATO.

La forza principale nell'impedire che si verifichi una guerra, in definitiva, proviene dalla base della società, che richiede un'azione energica anti-guerra da parte di centinaia di milioni di persone su tutta la terra, a livello nazionale ed internazionale.

Le persone devono mobilitarsi non solo contro questa agenda militare diabolica, devono essere contestati anche le autorità ed i funzionari di stato.

Questa guerra può essere evitata se le persone affronteranno con forza i loro governi, faranno pressione sui loro rappresentanti eletti, si organizzeranno a livello locale in città, villaggi e comuni, diffonderanno la parola, informeranno i loro concittadini sulle implicazioni di una guerra nucleare, avvieranno dibattiti e discussioni all'interno delle forze armate.

Lo svolgimento di manifestazioni di massa e proteste antiguerra non sono sufficienti. È necessario lo sviluppo di una rete antiguerra su una base ampia e ben organizzata che sfida le strutture di potere e autorità.

Ciò che serve è un movimento di massa di persone che contestano con forza la legittimità della guerra, un movimento di persone a livello globale che criminalizza la guerra.


di Michel Chossudovsky



Fonte: www.globalresearch.ca/

28 agosto 2010

Quando Feltri picchiava Berlusconi








A scartabellare vecchi giornali viene il magone, soprattutto se vi si è lavorato, ma si trovano a volte delle cose divertenti oltre che istruttive. Leggete qui: “Diconsi quattordici anni. Durante i quali la Rai ha mantenuto gli antichi privilegi (canone, diretta, deficit ripianato dallo Stato) e la Fininvest ne ha scippati vari per sé, complici i partiti, la Dc, il Pri, il Psdi, il Pli e il Pci, con la loro stolida inerzia, e il Psi con il suo attivismo furfantesco, cui si deve tra l’altro la perla denominata ‘decreto Berlusconi’ cioè la scappatoia che consente all’intestatario di fare provvisoriamente i propri comodi in attesa che possa farseli definitivamente. Decreto elaborato in fretta e furia nel 1984 ad opera di Craxi in persona, decreto in sospetta posizione di fuorigioco costituzionale, decreto che perfino in una repubblica delle banane avrebbe suscitato scandalo e sarebbe stato cancellato dalla magistratura in un soprassalto di dignità e che invece in Italia è ancora spudoratamente in vigore senza che i suoi genitori siano morti suicidi per la vergogna. Niente.

Non soltanto non sono morti, ma sono ancora lì, in piena salute, a far danni alla collettività, col pretesto di curarne gli interessi, interessi che sarebbero gli stessi, secondo loro, del dottor Silvio di Milano due, il quale pretende tre emittenti, pubblicità pressoché illimitata, la Mondadori, un quotidiano e alcuni periodici. Poca roba .Perché non dargli anche un paio di stazioni radiofoniche, il Bollettino dei naviganti e la Gazzetta Ufficiale, così almeno le leggi se le fa sul bancone della tipografia? Poiché nemmeno il garofano, pur desiderandolo, ha osato chiedere tanto per l’amico antennuto, cosa che avrebbe impedito ogni spartizione per esaurimento del materiale da spartire, eccoci giunti allo sgradito momento della resa dei conti: il varo dei capolavori di Mammì, che non è il titolo di una canzonetta, ma il ministro delle Poste, colui che ha scritto sotto dettatura il testo per la disciplina dell’etere
(L’Europeo, 2 agosto 1990).

Quando Vittorio faceva l’anarchico

Di chi è questa prosa scintillante e allegramente e ferocemente antiberlusconiana e anticraxiana? Di Vittorio Feltri. Era quello il Feltri che amavo, anarchico di destra, certamente, ma sul quale non era ancora passato il berlusconismo, col quale ho vissuto due stagioni straordinarie all’Europeo e all’Indipendente. Siamo due calciatori che hanno lo stesso linguaggio tecnico, anche se in ruoli diversi, e che si intendono a meraviglia. Anche quando lasciò l’Indipendente per il Giornale, e io l’avevo trattato ripetutamente da “traditore”, da “canaglia”, da “furfante” (e lui è permalosissimo, come una donna) tutte le volte che ho avuto bisogno di piazzare un pezzo che nessun altro giornale avrebbe osato pubblicare ho chiesto ospitalità a Feltri. Perché tutto si può dire di Vittorio tranne che non abbia l’intuitaccio del giornalista, quello delle Fallaci, dei Montanelli, dei Malaparte, insomma dei grandi e dei grandissimi del nostro mestiere.
La stagione veramente indimenticabile è stata quella dell’Indi. Nel giro di un anno e mezzo, dal marzo del ‘92 all’autunno del ‘93, passammo, sotto la sua direzione, dalle 19500 copie cui l’aveva lasciato l’ectoplasma similanglosassone Ricardo Franco Levi alle 120 mila, una cavalcata che non ha precedenti nella storia del giornalismo italiano (speriamo che il record possa essere superato dal Fatto, che per molti versi, anche se qualcuno storcerà il naso, si apparenta a quell’Indipendente. Travaglio dice che ci siamo vicini, ma sull’entusiasmo di Marco bisogna fare sempre un po’ di tara).

L’avventura de “L’indipendente”

Gli inizi furono difficilissimi. Si diceva che il giornale avrebbe chiuso ad aprile, dopo un mese. Ma vennero le elezioni del 5 aprile con la travolgente avanzata della Lega. E sia Feltri che io, quando stavamo ancora all’Europeo, eravamo stati fra i pochissimi giornalisti, con Giorgio Bocca, a guardare il fenomeno Lega con quell’attenzione che sempre si dovrebbe alla realtà senza pregiudizi e sciocche demonizzazioni, e ci trovammo quindi in “pole position”. La vittoria della Lega scatenò Mani Pulite e Mani Pulite scatenò l’Indi, anche perché gli altri giornali, tutti compromessi col vecchio regime, avevano il freno a mano tirato. Inoltre, con la caduta della Prima Repubblica, molti lettori avevano perso i loro punti di riferimento e venivano da noi. Così potevamo scrivere le cose che gli piaceva sentirsi dire ma anche le cose che non gli piaceva sentirsi dire.
Il giornale era tendenzialmente liberista ma io vi scrivevo i miei pezzi anti-mercato e antindustrialisti e questo portava un altro tipo di lettori. Arrivarono editorialisti da ogni dove, di destra e di sinistra. Fare parte del giro dell’Indi era diventata una moda. Feltri orchestrò magistralmente questa polifonia di voci. Il giornale manteneva una sua fisionomia inconfondibile: quella del suo direttore, che si era inventato il “feltrismo”. Davanti a noi si stendevano praterie. Se Montanelli veniva via dal Giornale (col quale eravamo già in fase di sorpasso), come pareva inevitabile, ci sarebbero arrivati altri 30 o 40 mila lettori senza colpo ferire. Feltri si lamentava che Zanussi non era un vero editore, che non capiva nulla, che non gli dava i rinforzi necessari. Io replicavo che l’assoluta libertà di cui godevamo (quando fu arrestato l’amministratore del nostro giornale sparammo la notizia in testa alla prima pagina) era un “fattore del prodotto” più importante dei rinforzi. Eravamo un po’ sgangherati, certo, ma liberi.
E questo il lettore lo percepiva e ci passava sopra. Insomma, per parafrasare l’Hemingway di Festa mobile, quelli erano “i bei tempi andati, quando eravamo molto poveri e molto felici”. E lo era anche Vittorio che pur, di suo, ha una natura profondamente melanconica.

La tentazione del “Giornale”

Ma qualcosa cominciò a scricchiolare già nell’agosto del ‘93 quando Feltri mi invitò a cena e mi pose la terrificante domanda: “Se vado al Giornale vieni con me?”. Cercai di spiegargli che era un errore, sia in termini generali sia per lui (cosa che successivamente, dopo che ad ogni incontro lo ulceravo con questa questione, ha finito, sia pur a denti stretti, per ammettere). Finimmo quella cena un po’ brilli di vino bianco e col suo grido: “In culo al Berlusca, restiamo all’Indi!”. Questa scena si ripeté almeno altre due o tre volte. Il giorno dopo l’ultima, conclusasi con lo stesso rituale, firmava per Berlusconi. Dopo è cambiato tutto. Era stato un fan senza riserve di Antonio Di Pietro (che chiamava affettuosamente “Tonino”) e di Mani Pulite, con eccessi, lui sì, forcaioli, e divenne nemico acerrimo della Magistratura. Non c’era errore, vero o presunto, di magistrato fosse stato commesso pure in Nuova Zelanda (non dico per dire, c’è stato anche questo) che non fosse sbattuto in prima pagina con critiche feroci e sarcastiche. Divenne un “garantista” a 24 carati (salvo dimenticarsi bellamente di ogni garantismo ora che, per ragioni di scuderia, ha scatenato la “caccia all’uomo” nei confronti di Gianfranco Fini). Era stato un sostenitore appassionato della Lega e le voltò da un giorno all’altro le spalle quando Bossi nel ‘94 abbatté il governo Berlusconi con quello che resta il suo miglior discorso in Parlamento. Mi ricordo che dopo quell’avvenimento ci trovammo insieme a un dibattito a Bergamo con una platea zeppa di leghisti che lo attaccavano pesantemente come “traditore” e “voltagabbana”.

La seconda vita da craxiano

Io lo difesi a spada tratta ricordando a quella gente che comunque aveva un debito di riconoscenza con Feltri che aveva difeso la Lega in tempi difficili. E Vittorio, di nascosto, sotto il tavolo, mi prese la mano in segno di riconoscenza. Era anticraxiano e, in omaggio ai trascorsi del Capo, divenne filocraxiano. Insomma nella seconda parte della sua vita ha sconfessato tutta la prima. Uno sfacelo.

Io ho affetto per Vittorio Feltri e lo considero il miglior direttore di giornale della sua generazione e anche di un paio precedenti. E mi fa male al cuore vederlo ridotto a un pitbull di Berlusconi, senza una vera ragione (perché Feltri, checché se ne pensi, non è un vero cinico, alla Giuliano Ferrara per intenderci), vederlo sprecare il suo grande talento per un uomo che non lo merita e non lo vale. Ma così è. Così è la vita che ti costringe, via via, a lasciare anche i compagni che ti sono stati più cari.
di Massimo Fini

27 agosto 2010

Come i ricchi speculatori traggono profitto dai disastri



Le calamità naturali danno ad alcuni capitalisti l’opportunità di trarre massimi profitti dalla carenza di beni alimentari

Quando la terra cuoce, i mercati vanno a fuoco.

Il caldo intenso e la più rigida siccità degli ultimi cent’anni hanno bruciato una enorme fetta di terra coltivabile in Russia che va dal Mar Nero alla Siberia, distruggendo la raccolta di grano e portando il governo di Medvedev a bloccare le esportazioni nel tentativo di assicurare le scorte.

Come conseguenza, i prezzi sono lievitati dappertutto nel resto del mondo. In Europa sono aumentati dell’80% nelle scorse sei settimane, mentre i mercati del grano a Chicago hanno visto un aumento del 25% in una settimana. Chi ha comprato il grano a prezzo fissato in anticipo ha incassato una fortuna, mentre i contadini in Russia si trovano davanti alla prospettiva di impoverimento e disperazione.

I paesi importatori e le multinazionali di beni alimentari si sono rivolti agli Stati Uniti, Australia, Argentina e alla UE. Il Financial Times commenta: “C'è abbastanza stock per coprire il buco ma manca un cuscino di sicurezza. In altre parole, le condizioni climatiche da qui alla raccolta di dicembre dovranno essere perfette”.

I consumatori devono aspettarsi di pagare di più per il pane e altri beni essenziali entro la fine dell’anno. In seguito, se il tempo non migliora, pagheranno molto di più.

Continua il FT: “I dirigenti delle aziende agricole e gli analisti dicono che la crisi probabilmente accelererà il consolidamento dell’agricoltura russa, permettendo alle grandi aziende di colpire i piccoli agricoltori che combattono”.

Per ogni cento milioni di perdenti nella lotteria dell’economia globale, c'è sempre qualche migliaio di vincitori. Uno dei più grandi a vincere recentemente è stato l’affarista londinese Anthony Ward.

Nell’ottobre del 2009 ha iniziato a stipulare contratti per iniziare la distribuzione del cacao del mese scorso. Cinque settimane fa, il suo hedge fund, Armajaro, ha preso in consegna 240,100 tonnellate, circa il 7% della produzione annuale mondiale. L’effetto è stato l’aumento dei prezzi ai livelli più alti da 30 anni, con enormi profitti per il signor Ward e i suoi investitori.

Le pagine finanziarie suggeriscono che i profitti potranno lievitare verso cime vertiginose se in Ottobre il raccolto della Costa d’Avorio andrà male così come sperano gli affaristi. In quel caso, i prezzi nel paese crolleranno – verso lo zero, secondo un commentatore – creando le condizioni per un altro lucrativo accaparramento di terre.

La Banca Mondiale affermava nei primi giorni di Agosto che “gli investitori mirano ai paesi con leggi deboli, comprano terre coltivabili a prezzi ridotti e non mantengono le promesse fatte”. Circa 124 milioni di acri di terreni coltivabili appartengono agli hedge funds.

Gli hedge funds – “macchine designate per saccheggiare navi naufragate”, secondo la memorabile definizione di un banchiere – si sono rivolti al settore del cibo, dei terreni coltivabili e delle ricchezze minerali del sud del mondo dal momento che le ricche risorse del settore immobiliare si sono prosciugate.

Il secondo più grande hedge fund del mondo, Paulson and Co., ha guadagnato miliardi scommettendo sul collasso del mercato dei subprime negli Stati Uniti. Quando il collasso è avvenuto, buttando fuori casa centinaia di migliaia di famiglie, il capo del fund, John Paulson, ha personalmente guadagnato 3.3 miliardi di dollari. Ora è accreditato come il quarantacinquesimo uomo più ricco al mondo.

Al lato di Paulson, in modo discreto, si trova l’azienda di trasporti di beni Glencore, che fa affari con terreni, grano, zucchero, zinco, gas naturale, ecc., e opera in tutto il pianeta. Anch’essa è nata dal crollo immobiliare in modo prepotente e l’anno scorso ha avuto un utile netto di 2.8 miliardi di dollari dalle sue nuove operazioni.

I prodotti delle aziende agricole di proprietà delle banche e degli hedge funds non sono destinati alle popolazioni locali ma ai mercati internazionali.

A questo fine, l’azienda londinese Central African Mining and Exploration, per esempio, ha appena acquistato 75,000 acri di terra fertile nel Mozambico per creare biocombustibile da esportare. La popolazione locale aveva capito che la terra doveva essere data o concessa in prestito a mille famiglie di coltivatori dislocate dopo che il parco nazionale era stato costituito con l’obiettivo di attrarre turisti.

Un rappresentante del governo spiega che quella gente era “confusa”. Senza dubbio.

Ciò che colpisce di queste operazioni – ce ne sono a centinaia – è l’impatto che possono avere sulla vita quotidiana di un vasto numero di persone, pur rimanendo virtualmente anonime e rimanere totalmente esenti da responsabilità.

L’idea che il profitto è l’unica cosa che conta quando si parla di produzione di alimenti potrà sembrare distorta e perfino immorale. Ma è strettamente in linea con l’etica dell’economia di mercato. Quando una piccola parte del mondo degli affari ha espresso il proprio malcontento per la monopolizzazione del mercato del cacao da parte di Anthony Ward, il Financial Times è corso in suo aiuto con un energico editoriale in cui si metteva in evidenza che egli “non ha infranto alcuna legge”.

Certamente non l’ha fatto. Sono le stesse leggi a truccare il gioco, è lo stesso sistema a generare le ingiustizie.

Titolo originale: "Fat cats profiting off disaster "

Fonte: http://www.belfasttelegraph.co.uk


di Eamonn McCann -