31 luglio 2010

LA VERA STORIA DELLA CRISI DEL DEBITO EUROPEO




I caffè di Atene sono pieni, frotte di turisti visitano ancora il Partenone e saltano da un’isola all’altra nel favoloso Egeo. Ma sotto la facciata estiva, c’è confusione, rabbia e disperazione mentre il paese precipita nella sua peggiore crisi degli ultimi decenni.

I media mondiali hanno presentato la Grecia, la piccola Grecia, come l’epicentro della seconda fase della crisi finanziaria internazionale, allo stesso modo in cui ha ritratto Wall Street come il ground zero della sua prima fase.

Tuttavia, si riscontra un’interessante differenza nelle storie che girano attorno a questi due episodi.

Storie in conflitto

Le attività sregolate delle istituzioni finanziarie, che hanno creato strumenti ancora più complessi per moltiplicare magicamente il denaro, hanno portato al crollo di Wall Street che si è trasformato nella crisi finanziaria globale.

Con la Grecia, tuttavia, la narrazione popolare recita così: questo paese ha raggiunto un insostenibile livello di indebitamento per costruire uno stato di welfare che non poteva permettersi, ed ora è visto come lo spendaccione che deve stringere al cinghia. Bruxelles, Berlino e le banche sono gli austeri puritani che esigono una penitenza dagli edonisti del Mediterraneo per aver vissuto al di là delle loro possibilità e per aver peccato d’orgoglio ospitando le costose Olimpiadi del 2004.

Questa penitenza arriva sotto forma di un programma dell’UE e del FMI che prevederà l’aumento del tasso nazionale dell’IVA al 23%, l’estensione dell’età di pensionamento a 65 anni, sia per gli uomini che per le donne, dei tagli profondi alle pensioni ed ai salari del settore pubblico e l’eliminazione delle pratiche che promuovono la sicurezza di lavoro. Lo scopo apparente di questa mossa è di snellire lo stato di welfare e lasciare che i greci vivano nell’ambito delle loro possibilità.

Sebbene la storia dello stato di welfare presenti degli sprazzi di verità, è fondamentalmente scorretta. La crisi greca ha essenzialmente origine dallo stesso impulso frenetico del capitale finanziario di trarre profitto dalla massiccia ed indiscriminata estensione del credito che ha portato all’implosione di Wall Street. La crisi greca rientra nel modello disegnato da Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff nel loro libro This Time Is Different: Eight Centuries of Financial Folly [“Stavolta è Diverso: Otto Secoli di Follia Finanziaria”, ndt] – periodi di prestiti sfrenati e speculativi seguiti inesorabilmente da default dei debiti pubblici, o quasi default. Come la crisi del debito del Terzo Mondo negli anni ’80 e quella finanziaria in Asia negli ultimi anni ’90, il cosiddetto problema del debito pubblico di paesi come la Grecia, la Spagna ed il Portogallo è principalmente una crisi determinata dall’offerta, non dalla domanda.

Nel loro impeto di aumentare sempre più i profitti facendo prestiti, le banche europee hanno versato circa 2.5 trilioni di dollari alle economie europee che ora si trovano nei guai: Irlanda, Grecia, Belgio, Portogallo e Spagna. Le banche tedesche e francesi trattengono il 70% del debito di 400 miliardi di dollari della Grecia. Le banche tedesche sono state grandi compratrici di patrimoni di subprime dalle istituzioni finanziarie americane ed hanno applicato la stessa mancanza di discriminazione nel comprare i bond del governo greco. Da parte loro, le banche francesi, secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali, hanno aumentato i loro prestiti alla Grecia del 23%, alla Spagna dell’11%, al Portogallo del 26%.

La frenetica scena del credito greco non ha avuto come protagonisti i soli attori finanziari europei. La squadra della Goldman Sachs di Wall Street ha mostrato alle autorità finanziarie greche come degli strumenti finanziari, conosciuti come derivati, potevano essere usati per far “scomparire” grosse parti del debito, quindi far risultare buoni i conti nazionali a bancari impazienti di concedere ancora più prestiti. Poi, la stessa azienda ha fatto marcia indietro e, tramite un tipo di strumenti derivati commerciali conosciuti come “credit default swap” [sorta di assicurazione che il possessore di una obbligazione può contrarre per mettere al riparo l’importo investito, ndt], hanno scommesso sulla possibilità che la Grecia sarebbe venuta meno al pagamento, aumentando il tasso di interesse del paese dalle banche, ma ricavandone un piccolo profitto per se stessa.

Se c’è mai stata una crisi creata dalla finanza globale, la Grecia ne sta soffrendo proprio ora.

Dirottare la storia

Ci sono due motivi chiave per cui la storia della Grecia è diventata un racconto di ammonimento consumato dal tempo, che parla di persone che vivono al di là delle loro possibilità, piuttosto che un caso di irresponsabilità finanziaria da parte di investitori e bancari.

Prima di tutto, le istituzioni finanziarie hanno dirottato con successo la storia della crisi per il loro tornaconto personale. Le grandi banche ora sono davvero preoccupate delle terribili condizioni dei loro stati patrimoniali, indeboliti come sono dai patrimoni tossici di subprime che si sono accollati e rendendosi conto di aver sovraesteso gravemente le loro operazioni di prestito. Il modo principale con il quale cercano di ricostruire i loro stati patrimoniali è generare nuovi capitali usando i loro debitori come pedine. Come colonna portante di questa tragedia, le banche cercano di persuadere le autorità pubbliche a finanziarle ancora una volta, come fecero nella prima fase della crisi sotto forma di fondi di soccorso e tassi ufficiali di sconto ridotti.

Le banche erano fiduciose che i governi dominanti dell’Eurozona non avrebbero mai permesso il default alla Grecia ed agli altri paesi europei altamente indebitati, in quanto avrebbe portato al collasso dell’Euro. Con i mercati che scommettevano contro la Grecia ed il suo aumento del tasso di interesse, le banche sapevano che i governi dell’Eurozona sarebbero ricorsi a pacchetti di finanziamenti, la maggior parte dei quali sarebbero andanti incontro al pagamento degli interessi del debito greco. Promosso come un soccorso alla Grecia, il massiccio pacchetto di 100 miliardi di Euro, messo insieme dai governi dominanti dell’Eurozona e dal FMI, andrà per lo più in soccorso alle banche per la loro irresponsabile e sregolata smania dei prestiti.

Le banche e le istituzioni finanziarie internazionali hanno giocato lo stesso vecchio gioco della fiducia con i debitori nei paesi in via di sviluppo durante la crisi del debito del Terzo Mondo negli anni ’80, come anche in Thailandia ed Indonesia durante la crisi finanziaria in Asia negli anni ’90. Le stesse misure di austerità – conosciute poi come regolazioni strutturali – sono state la conseguenza dell’esagerazione dei prestiti delle banche del nord e degli speculatori. E c’è stato lo stesso scenario: addossare la colpa sulle vittime facendole apparire come persone che vivono al di là delle loro possibilità, fare in modo che le agenzie pubbliche vengano in soccorso con pagamenti anticipati ed accollare alla gente il terribile compito di ripagare il prestito impegnando una massiccia parte dei loro flussi di credito presenti e futuri come pagamenti alle agenzie di credito.

Senza dubbio le autorità stanno preparando simili massici pacchetti di soccorso da miliardi di Euro per le banche che si sono sovraestese in Spagna, Portogallo e Irlanda.

Riversare la colpa

Il secondo motivo per promuovere la storia del “vivere al di là delle loro possibilità”, nel caso della Grecia a degli altri paesi gravemente indebitati, è quello di deviare la pressione da una regolamentazione finanziaria più rigida, proveniente dai cittadini ed i governi dall’inizio della crisi. Le banche vogliono la botte piena e la moglie ubriaca. Hanno assicurato fondi di finanziamento dai governi nella prima fase della crisi, ma non vogliono rispettare quello che i governi hanno presentato ai loro cittadini come parte essenziale dell’accordo: il rafforzamento della regolamentazione finanziaria.

I governi, dagli USA alla Cina e la Grecia, sono ricorsi a massicci programmi di politiche fiscali per prevenire il collasso dell’economia reale durante la prima fase della sua crisi. Promuovendo una storia che sposta l’attenzione dalla mancanza di regolamentazione finanziaria alle ingenti spese statali come problema chiave dell’economia globale, le banche cercano di prevenire l’imposizione di un severo regime normativo.

Ma questo è giocare con il fuoco. Il vincitore del Premio Nobel Paul Krugman ed altri avevano avvertito che se questa versione dei fatti avesse avuto successo, la mancanza di nuovi programmi di politica fiscale e severe normative bancarie avrebbero provocato una profonda recessione, se non una vera e propria depressione. Sfortunatamente, come suggerito dal recente meeting del G20 a Toronto, i governi dell’Europa e degli USA stanno cedendo all’agenda poco lungimirante delle banche, che hanno l’appoggio di ideologi neo-liberali irriducibili che continuano a vedere lo stato interventista ed attivista come il problema di fondo. Questi ideologi credono che una profonda recessione – e persino una depressione – sia il processo naturale tramite il quale un’economia si stabilizza e che questo modo keynesiano di spendere per evitare il collasso servirà solo a rimandare l’inevitabile.

Resistenza: farà la differenza?

I greci non stanno di certo a guardare. Lo scorso 8 luglio, l’approvazione del pacchetto UE-FMI da parte del parlamento greco è stata accolta con enormi proteste. In una precedente protesta, molto più estesa, lo scorso 5 maggio, 400.000 persone si sono unite nella più grande dimostrazione dai tempi della caduta della dittatura militare del 1974. Eppure, le proteste in strada sembrano servire poco ad evitare la catastrofe sociale che il programma UE-FMI scatenerà. L’economia è tale da contrarsi del 4% nel 2010. Secondo Alexis Tsipras, presidente della coalizione di sinistra del parlamento (Synapsismos), è probabile che il tasso di disoccupazione aumenti dal 15% al 20% in due anni, con un tasso del 30% previsto tra i giovani.

Come anche per la povertà, un recente sondaggio congiunto del Kapa Research e la London School of Economics ha rivelato che, anche prima della crisi attuale, quasi un terzo degli 11 milioni di greci vivevano sull’orlo della miseria. Questo processo di creare un “terzo mondo” all’interno della Grecia sarà accelerato dal programma di assestamento dell’UE e del FMI.

Ironicamente, questo assestamento è presieduto da un governo socialista, capeggiato da Georges Papandreou, eletto alla carica lo scorso ottobre per annullare la corruzione della precedente amministrazione conservatrice e gli effetti nocivi delle sue economie politiche. “All’interno del partito di Papandreou c’è resistenza nei confronti del piano dell’UE-FMI”, ammette Paulina Lampsa, il segretario internazionale del partito. Ma la sensazione schiacciante all’interno del contingente parlamentare del partito è, usando una famosa espressione di Margaret Thatcher, “TINA: There Is No Alternative” [Non ci sono alternative, ndt].

Le conseguenze dell’obbedienza

Di fronte alle conseguenze selvagge del programma, un numero sempre crescente di greci parla di adottare la strategia di minacciare il default o un radicale riduzione unilaterale del debito. Un tale approccio potrebbe essere coordinato, dice Tsipras, con gli altri paesi europei oppressi dai debiti, come il Portogallo e la Spagna. L’Argentina potrebbe fare da modello: ha dato un taglio alla percentuale dei suoi creditori nel 2003, pagando solo 25 cent per ogni dollaro che gli doveva. Non solo l’Argentina se l’è cavata così, ma le risorse che altrimenti avrebbero costituito interessi del debito che il paese doveva pagare sono state incanalate nell’economia domestica, dando il via ad una crescita economica media annuale del 10% tra il 2003 ed il 2008.

La “Soluzione Argentina” è di certo piena di rischi. Ma arrendersi ha delle conseguenze dolorosamente chiare, se si esaminano i registri dei paesi che hanno sottoscritto il programma di assestamento del FMI. Sganciando annualmente circa il 25-30% del bilancio statale per i creditori stranieri, le Filippine sono entrate in un decennio di inattività nella metà degli anni ’80, dalla quale non si sono mai riprese e che l’hanno condannate ad un tasso permanente di povertà di più del 30%. Spremuto da misure di assestamento draconiane, il Messico è stato risucchiato in vent’anni di continua crisi economica, con conseguenze come il dilagante narcotraffico che l’ha portato sul punto di essere uno stato fallito. L’attuale stato della guerra di classe virtuale in Thailandia può essere in parte fatto risalire alle ricadute politiche della sofferenza economica imposte dal programma di austerità del FMI dieci anni fa.

L’assestamento della Grecia da parte di Bruxelles e del FMI mostra che il capitalismo finanziario alle prese con la crisi non rispetta più la divisione tra Nord e Sud. I cinici direbbero: “Benvenuta nel Terzo Mondo, Grecia”.

Ma questo non è il momento per il cinismo. Piuttosto, è un momento chiave per la solidarietà globale. Ci siamo tutti dentro, adesso.
DI WALDEN BELLO

Titolo originale: "Greek Mythology: The Real Story of the European Debt Crisis"

Fonte: http://www.yesmagazine.org

30 luglio 2010

Wikileaks cancella le omissioni

Se qualcuno sottovaluta l’oscuro potere omissivo di non dare le notizie, anche quelle certe e documentate, nascondendole dietro la cortina (quasi) impenetrabile del “top secret”, invocando (a sproposito) la “sicurezza nazionale”, egli è un suddito che accetta che la propria nazione agisca, come gli USA in Afghanistan, al di fuori di tutte le convenzioni internazionali, dove le torture, gli squadroni della morte, i bombardamenti sui civili, i suicidi dei soldati impegnati in queste porcherie, sono fatti da secretare come se non fossero mai accaduti.

Il sito wikileaks (leaks: falla, fuga, trapelare) ha pubblicato documenti relativi a tali informazioni. e quindi è solo grazie ad internet che abbiamo la certezza di queste notizie, che gettano pesantissimi dubbi sul fatto che gli USA siano una democrazia, visto che è il Pentagono a decidere la prosecuzione di una guerra, feroce, fuori da ogni controllo internazionale (dov’è l’ONU?), nascondendo ai contribuenti americani che, dopo 8 anni e spese enormi, la partita è quasi sicuramente perduta, omettendo di dare notizie vere sull’ andamento del conflitto e quindi ritenendo i cittadini americani dei sudditi a cui dare solo le notizie gradite all’apparato militare.

Il fastidio con cui anche il presidente Obama ha reagito alla pubblicazione dei documenti su Wikileaks, dimostra che il suo potere non è grande come quello del Pentagono, tanto è vero che, invece di porre immediatamente fine a questa aggressione voluta da Bush, risparmiando vite e denaro, pensa addirittura ad un aumento del numero di soldati per una (impossibile) “vittoria”. Nemmeno di fronte ad una precisa documentazione del fallimento di questa guerra, ad una constatazione dei metodi terroristici usati dai mercenari del Pentagono, alle cifre sul numero dei morti e dei costi economici, ai suicidi e ai mutilati che, ritornati in patria, impazziscono e sparano nel mucchio, un Presidente americano è in grado di dare ordini al Pentagono (e quindi alla lobby degli armamenti), e far finire immediatamente questa follia.

La grande democrazia americana, nel caso che un presidente fermi il Pentagono, prevede la sola opzione di fermare il presidente, con una bella pallottola. Obama lo sa bene e si sdegna per la fuga di notizie, che naturalmente “mettono a rischio la sicurezza nazionale”.

Ecco la formula salvavita che protegge i politici dal potere del Pentagono e del “complesso militare industriale”, che è di gran lunga il primo potere americano, che ben ricorda il DNA di questa nazione, nata rubando la terra ai nativi, sterminandoli e, successivamente, basando il suo sviluppo sullo sfruttamento bestiale della schiavitù, il tutto a mano armata, Il litio, il rame, l’oro che sono abbondanti nel sottosuolo dell’Afghanistan, sono il vero scopo e la “lotta al terrorismo” e “l’esportazione della democrazia” sono le balle che i sudditi americani si bevono senza reagire. Ancora più paradossale appare la partecipazione dell’Italia, che, mentre perde uomini e soldi per compiacere il grande fratello USA, continua a sostenere che il mattatoio afgano è una missione di pace.

di Paolo De Gregorio

La morte della cartamoneta






Mentre si preparano per la lettura estiva in Toscana, i banchieri della City stanno facendo incetta delle rare copie di un testo oscuro sulla meccanica dell’inflazione durante la Repubblica di Weimar pubblicato nel 1974.

Ebay offre un volume letto e riletto di ‘Dying of Money : Lessons of the Great German and American Inflations’ ad un prezzo d’offerta iniziale di $699 dollari (senza spese di spedizione… grazie tante).

Il punto cruciale arriva al capitolo 17 intitolato ‘Velocity’. Ogni grande inflazione -- sia quella dei primi anni ’20 in Germania, che quella della guerra contro la Corea o il Vietnam negli Stati Uniti -- inizia con un’espansione passiva della quantità denaro. Che rimane inerte per un periodo sorprendentemente lungo. I prezzi delle azioni possono salire, ma l’inflazione latente dei prezzi è camuffata. L’effetto è simile a quello di una ricarica per accendini su un falò prima che sia stato ancora acceso il fiammifero.



La volontà delle persone di detenere il denaro può cambiare improvvisamente per una ‘ragione psicologica e spontanea’, provocando una punta della velocità [di circolazione] monetaria. Invariabilmente, i cambiamenti colgono gli economisti di sorpresa. Aspettano troppo per drenare l’eccesso di denaro.

‘La velocità è salita quasi ad angolo retto nell’estate del 1922’, ha detto il sig. O Parsson. I funzionari della Reichsbank erano perplessi. Non riuscivano a capacitarsi del perché i tedeschi avessero iniziato a comportarsi in modo diverso quasi due anni dopo che la banca aveva già aumentato la fornitura di denaro. Sostiene che la pazienza del pubblico è saltata di colpo nel momento in cui la gente ha perso fiducia ed ha incominciato a ‘sentire puzza di bruciato nel governo’.

Qualcuno sorride di fronte alla ‘sorpresa’ della Banca d’Inghilterra per il recente aumento dell’inflazione in Gran Bretagna. Dall’altra parte dell’Atlantico i critici della Fed dicono che la crescita della base monetaria degli USA da $871 bilioni di dollari a $2024 bilioni di dollari in due soli anni è una pira incendiaria che prenderà fuoco non appena la velocità del denaro negli USA tornerà alla normalità.

La Morgan Stanley si aspetta una carneficina delle obbligazioni quando questa raggiungerà la Fed, predicendo che il rendimenti dei buoni del tesoro americani saliranno al 5,5 per cento. Questo non è mai successo finora. I rendimenti di 10 anni sono scesi al 3 per cento, e la velocità dell’aggregato monetario M2 è rimasta ai minimi storici di 1,72.

Come appartenente alla fazione della deflazione, credo che la Banca e la Fed abbiano ragione a mantenere i nervi saldi e a ritardare la sospensione dello stimolo -- anche se è una tesi più facile da sostenere negli Stati Uniti dove l’inflazione core è scesa al minimo dalla metà degli anni ’60. Ma il fatto che il libro di O Parsson sia improvvisamente richiesto nei circoli elitari dei banchieri è in sé un segno del genere di cambiamento del comportamento che può diventare fine a se stesso[1] .

Per l’appunto, un altro libro degli anni ’70 intitolato ‘When Money Dies : the Nightmare of the Weimar Hyper-Inflation’ è stato appena ristampato. Scritto dall’ex parlamentare europeo conservatore Adam Fergusson -- e consigliato da Warren Buffett come un libro da leggere assolutamente -- si tratta di un vivido resoconto tratto dai diari di coloro che hanno vissuto durante il fermento in Germania, in Austria e in Ungheria mentre gli imperi andavano smembrandosi.

La vicina guerra civile tra città e campagna era un tratto comune in questo crollo dell’ordine sociale. Frotte di cittadini mezzi morti di fame e vendicativi invadevano i villaggi per sottrarre cibo agli allevatori, accusati di accaparrarselo. Il diario di una ragazza ha descritto la scena nella fattoria di suo cugino. Ha scritto: ‘nella carretta ho visto tre maiali macellati. La stalla era tutta bagnata di sangue. Una vacca era stata macellata lì dove si trovava e le era stata strappata la carne dalle ossa. Quei mostri avevano tagliato la mammella della miglior mucca da latte, così che l’abbiamo dovuta sopprimere immediatamente. Nel granaio uno straccio bagnato di benzina bruciava ancora, a dimostrazione di quello che queste bestie avrebbero voluto fare’.

I pianoforti a coda divennero una sorta di moneta di scambio mentre i membri impoveriti delle elite dei funzionari pubblici barattavano i simboli del loro vecchio status con un sacco di patate o con un pezzo di pancetta. C’è un momento straziante in cui ciascuna famiglia borghese inizia a capire che i loro titoli di prim’ordine e il loro ‘war loan’, (il prestito di guerra) non riprenderanno mai più. Li aspetta la rovina irreversibile. Delle coppie di anziani si sono suicidate con il gas nei loro appartamenti. Gli stranieri con i dollari, le sterline, i franchi svizzeri o le corone ceche vivevano nell’opulenza. Venivano odiati. ‘I tempi che corrono ci hanno reso cinici. Tutti vedono il nemico in tutti gli altri’, ha detto Erna von Pustau, figlia di un mercante di pesce di Amburgo.

Un gran numero di persone non hanno intuito quello che sarebbe successo. ‘i miei conoscenti e i miei amici erano degli stupidi. Non capivano cosa volesse dire l’inflazione. E i nostri avvocati non erano di meglio. Il direttore di banca di mia madre le ha dato dei consigli terribili’ ha detto una signora con conoscenze influenti.

‘Si vedeva gradualmente cambiare l’aspetto dei loro appartamenti. Ci si ricordava dove una volta c’era stato un quadro o un tappeto, o un secretaire. Alla fine le loro stanze erano quasi del tutto vuote. Alcuni di loro chiedevano l’elemosina -- non per le strade -- ma facendo visite casuali. Si sapeva fin troppo bene per che cosa erano venuti’.

La corruzione divenne incontrollata. La gente per strada veniva derubata del cappotto e delle scarpe con il coltello puntato. I vincitori erano quelli che -- per sorte o per piano -- avevano ottenuto ingenti prestiti dalle banche per investire su beni concreti, o conglomerati industriali che avevano emesso obbligazioni. Ci fu un grande trasferimento di ricchezza da risparmiatore a debitore, nonostante il Reichstag abbia in seguito approvato una legge che legava i vecchi contratti al prezzo dell’oro. I creditori hanno recuperato qualcosa.

Prese piede una teoria di cospirazione che l’inflazione fosse un complotto degli ebrei per rovinare la Germania. La valuta venne definita ‘Judenfetzen’ (coriandoli – ebrei), accennando alla catena di eventi che avrebbero portato dieci anni dopo alla Kristallnacht.

Se la storia di Weimar è uno studio senza tempo di disintegrazione sociale, non può far molta luce sugli eventi del giorno d’oggi. La causa scatenante finale del crollo del 1923 fu l’occupazione francese della Ruhr, che ha strappato un grosso pezzo dell’industria tedesca, innescando una resistenza di massa.

Lloyd George sospettava che i Francesi stessero cercando di far precipitare la disintegrazione della Germania sostenendo lo stato secessionista della Renania (come effettivamente facevano). Per un breve periodo i ribelli hanno formato un governo separatista a Dusseldorf. Con giustizia poetica, la crisi si è ritorta contro Parigi ed ha distrutto il franco.

La pace cartaginese di Versailles aveva a quel punto già avvelenato tutto. Era un dovere patriottico non pagare le tasse che sarebbero state sequestrate per i pagamenti delle riparazioni di guerra al nemico. Influenzata dai bolsceviti, la Germania era diventata un calderone comunista. Gli spartachisti hanno cercato di prendere il controllo di Berlino. I ‘soviet’ lavoratori proliferavano. Gli scaricatori di porto e i lavoratori marittimi occuparono le centrali di polizia ed eressero barricate ad Amburgo. Centinaia di comunisti rossi combatterono battaglie letali contro le milizie di destra.

I nostalgici complottavano per la ristorazione della monarchia di Baviera dei Wittelsbach e della vecchia valuta, il tallero sostenuto dall’oro. Il senato di Brema emise le proprie banconote legate all’oro. Altri emisero valute legate al prezzo della segale.

Questo non è il quadro dell’America, della Gran Bretagna, né dell’Europa del 2010. Ma dovremmo stare attenti a non abbracciare la teoria opposta e troppo rassicurante che questa non sia altro che una lieve ripetizione della “decade persa” del Giappone, ossia uno scivolamento lento ed ampiamente benevolo nella deflazione, mentre il deleveraging del debito esercita la sua disciplina.

Il Giappone era il maggior creditore esterno del mondo quando la bolla del Nikkei è scoppiata vent’anni fa. Aveva un tasso di risparmio privato pari al 15 per cento del PIL. I Giapponesi hanno gradualmente ridotto questo tasso al 2 per cento, attutendo gli effetti della lunga depressione. Ma gli anglosassoni non hanno questa possibilità.

C’è la chiara tentazione per l’Occidente di districarsi dagli errori della bolla degli asset di Greenspan, della bolla del credito di Brown, e dalla bolla sovrana dell’UME automaticamente attraverso l’inflazione. Ma questo rappresenta un pericolo per gli anni a venire. Per prima cosa abbiamo lo shock della deflazione della vita. Dopo -- e solo a questo punto -- le banche centrali saranno disposte a rischiare di perdere il controllo del loro esperimento di stampa, mentre decolla la velocità. Un problema alla volta per favore.

di Ambrose Evans-Pritchard

Fonte: www.telegraph.co.uk

29 luglio 2010

Wikileaks e le stragi ingestibili



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Sul'onda delle rivelazioni clamorose di Wikileaks di questi giorni, riproponiamo un articolo pubblicato lo scorso 7 aprile dopo un altro massiccio "sgocciolamento" di notizie "scomode". Il pezzo cercava di ricordare perché le rivelazioni vanno inquadrate all'interno di determinate congiunture storiche che le rendono possibili. Il fatto che nel frattempo il «Washington Post» si sia anch'esso svegliato dal trentennale torpore è una conferma: sulle questioni militari, ai piani alti del mondo, c'è maretta.

La strage indiscriminata compiuta dal cielo sopra Baghdad non sembra perdersi nel grande e indistinto bagno di sangue mesopotamico. Stavolta si nota subito che quel che vediamo è insolito. Incontriamo da vicino il punto di vista sbrigativo e crudele degli occupanti statunitensi, sentiamo le loro parole irridenti mentre demoliscono ogni ipocrisia sulle “regole d'ingaggio”. Merito di Wikileaks, un sito che fa trapelare molte verità scomode, con una cadenza ormai così fitta da spingere il Pentagono a brigare per chiuderlo: il web è un fronte primario della lotta fra guerra e verità.

E mentre il giornalismo alla «Washington Post» vive ancora della rendita d'immagine del Watergate, uno scoop di oltre trent'anni fa, Wikileaks in tre anni di vita ha inanellato una serie impressionante di rivelazioni. In genere si tratta di dossier confidenziali ben documentati e sottoposti a preliminare verifica da parte di centinaia di collaboratori. Fra gli scoop: il ruolo della banca svizzera Julius Baer nel riciclaggio internazionale, il manuale delle procedure a Guantanamo, i negoziati segreti sul trattato dei diritti d'autore, i dettagli su Scientology, i retroscena del crac finanziario islandese, ecc. E ora lo "snuff movie" dell'invasione irachena.

Le fonti delle notizie trapelate sono i cosiddetti «whistleblowers». La parola non ne ha una che combaci nella nostra lingua. Letteralmente sarebbero coloro che fischiano e lanciano un allarme per via di una condotta illegale o minacciosa di un'organizzazione di cui fanno parte. Si tratta di funzionari, avvocati, impiegati, o anche semplici cittadini che si trovano fra le mani informazioni sensibili e decidono di farle conoscere. Nel farlo rivestono un ruolo misto fra “confidenti”, “obiettori di coscienza” e “attivisti politici”, mentre Wikileaks assicura loro un totale anonimato attraverso un sistema di codificazione dei dati. Una comunità di circa 800 giornalisti, informatici, matematici e attivisti cerca i riscontri alle informazioni e infine le pubblica sul sito.

Ovviamente siamo abbastanza grandicelli per comprendere come un tale sistema possa servire a certe cordate dei servizi segreti in lotta fra loro per guidare i meccanismi dell'informazione, con rivelazioni strategiche.

Anche il Watergate - che nell'interpretazione corrente è il trionfo del libero giornalismo anglosassone a guardia del potere – in realtà fu pilotato da “gole profonde” che davano voce a quella parte dell'establishment USA che voleva chiudere con la presidenza Nixon e la sua gestione della guerra del Vietnam. I funzionari che oggi sono così generosi di dossier a favore di Wikileaks sono espressione di una lotta di potere acuta, viste le difficoltà attuali sui fronti di guerra. Così come non è da sottovalutare la preoccupazione di militari che paventano l'ingestibile catastrofe etica della forza occupante, con soldati che dimenticano di non essere in un videogame, non usano la "forza minima necessaria" e attaccano chi soccorre i feriti. Così piovono dossier, denunce, filmati.

Il sito, con un modesto bilancio di 600mila dollari, addirittura non riesce a smaltire la tanta immondezza che gli viene riversata e raccontata in migliaia di files e schedature, tanto da scusarsene in homepage. Vagliare l'informazione costa tempo, denaro e risorse umane. Siamo esattamente agli antipodi di «Libero», il giornalismo emblema ormai planetario della notizia totalmente falsa.

Al di là degli usi strumentali possibili, questo porto franco dell'informazione, su cui transitano comunque documenti veri e verificati, preoccupa chi pianifica le guerre. Potremmo definirla una metarivelazione: Wikileaks il 5 aprile ha pubblicato un documento segreto proveniente da un'agenzia del Dipartimento della Difesa statunitense che indicava il sito come una «minaccia per la US Army». Nelle sue 32 pagine, dopo l'analisi sul rischio sicurezza addebitato a Wikileaks, il documento raccomandava di identificare e assicurare alla giustizia chi dà informazioni al sito, sputtanarlo con il massimo clamore, in modo da spezzare il rapporto di fiducia basato sul criptaggio promesso da Wikileaks.

Julian Assange, uno dei responsabili del portale delle soffiate, è tuttavia fiducioso: «ci sono tanti amici che ci vogliono bene» nel cuore dell'intelligence. Tanto che finora «nessuna fonte è stata rivelata dal momento della creazione del sito», nel dicembre 2006.

Se non interverrà il pugno di ferro, altre rivelazioni e immagini cruente seguiranno, come ad esempio i filmati dell'attacco aereo USA in Afghanistan del 7 maggio 2009, che uccise 97 civili.

La frontiera del nuovo giornalismo passerà anche su questi video.

di Pino Cabras

28 luglio 2010

Ungheria. Ue e Fmi invocano la ”lesa maestà”…









Un oltraggio inqualificabile. Anzi: un delitto di Lesa Maestà.
E’ più o meno questo, come riferisce il paludato – però, soltanto a volte – The Times, il sentimento di fastidio e, di più, di irritazione, verso Budapest che aleggia da qualche giorno a Bruxelles e a Washington. Figuriamoci.
Come i lettori di Rinascita sanno, il primo ministro magiaro, Viktor Orbán, si è permesso di rinviare al mittente, pensate voi…, le nuove Direttive Lacrime e Sangue, la terapia d’urto sociale immaginata per rendere più “austero” il bilancio pubblico ungherese.
Un vero e proprio affronto.
I monetaristi lamentano un tale attacco e lo descrivono come “irresponsabilità fiscale”.
Invece di “tagliare” servizi pubblici, assistenza sociale e benessere, la minuscola Ungheria si è permessa di dire “no” alle sagge proposte di “austerità” immaginate per lei dai banksters dell’Ue e del Fmi. Rischiando addirittura la non “concessione” del rimanente terzo di aiuti (20 miliardi di euro in tutto) che le due istituzioni usuraie avevano stanziato a suo tempo per “liberalizzare”, “privatizzare”, “strangolare il fiorino e la società magiara.
Chi legge Rinascita, dicevamo, queste cose le sa da una settimana. Quella che invece è una novità è il tono del “Times”. L’opinionista Adam LeBor, infatti, nel descrivere l’evento, nell’edizione di ieri, sembra aver letto il nostro povero quotidiano. LeBor non lesina infatti due o tre sintomatici aggettivi qualificativi-dispregiativi per descrivere la supponenza dell’Ue o del Fmi verso le sovranità nazionali dei singoli Stati.
E ricorda pure che Commissione Ue, Fmi, agenzie di rating e quant’altro (Bce inclusa, anche se non è nominata) sono organismi “non eletti” dai popoli – ergo: non… democratici – al soldo della globalizzazione finanziaria.
Chi legge Rinascita sa anche che il Parlamento di Budapest è oggi per due terzi rappresentato dalla destra (il Fidesz: una sorta di ex An) e da un folto gruppo nazionalista – lo Jobbik – che è diventato la vera opposizione (o comunque la spina nel fianco) al partito di maggioranza di Orbán.
Chi legge Rinascita ha anche preso ben nota che, invece di procedere a tagli di pensioni, stipendi o ad aumenti di imposte sui redditi dei cittadini e dei produttori, il governo magiaro ha deciso di tassare, ahiahiahi.., le banche. Lo 0,5 dell’attivo dichiarato dagli istituti bancari al 31 dicembre 2009, andrà a finire nelle casse dello Stato.
Come scrive l’anomalo Adam LeBor, i mutui a tassi variabili che, introdotti dalle banche, hanno invaso l’Ungheria nel nome della “globalizzazione”, data un’unità di misura 100.000 (euro) sono ora lievitati a 140.000, con poche possibilità di essere coperti dai contraenti.
E sempre come scrive l’opinionista del Times “nel 1956 gli ungheresi si sollevarono contro la tirannia sovietica, sperando di innescare una reazione a catena… chissà se sollevandosi contro i despoti del capitalismo ci riusciranno”.
Auguri al popolo ungherese.
di Ugo Gaudenzi -

Fiat. Dove sbaglia Giorgio Bocca?







Nell’ultimo numero de “l’Espresso”, intitolando “dove sbaglia Marchionne”, Giorgio Bocca appare spiazzato e smarrito di fronte alla nuova strategia americana e ricattatoria della FIAT, inaccettabile da gente come lui che ha visto i rapporti industriali e la democrazia in eterno “progress”, e ora si trova con la logica della globalizzazione e una democrazia trasformata in dittatura da chi possiede i media.
La illusione di vedere un capitalismo regionale e civile traspare tutta da questa frase di Bocca: “Marchionne è certamente un manager intelligente, come lo fu prima di lui Cesare Romiti, e magari i toni ricattatori e autoritari possono servire nel tempo breve, ma non alla creazione di una durevole crescita civile”.
Si dà il caso che un manager pagato dagli azionisti Fiat ha come missione quella di aumentare i profitti, e se ne sbatte della crescita civile, dunque se in Serbia o in Polonia produce di più con meno costi la scelta è obbligata.

E’ la globalizzazione, che è stata accettata dagli industriali e dalla politica, che detta le leggi delle delocalizzazioni, del libero movimento dei capitali, e in questo regime è impossibile dare regole alla economia, né pretendere sensibilità, scrupoli o patriottismi per la crescita civile italiana.
La logica oggi in atto, quella del mercato che premia chi produce a costi minori, nel medio periodo è letale per i paesi cosiddetti avanzati e, se oggi contano ancora e tengono certi segmenti di tecnologia avanzata, presto le economie cinesi, indiane, coreane, brasiliane, ecc., vinceranno anche in quei settore e qui lasceranno solo disoccupazione o una occupazione decurtata di diritti, nociva alla salute, con ritmi di lavoro alti e poco riposo, niente sindacati né politica, salari bassi.

Quando si arriverà a questo bisognerà scegliere e decidere se questa maledetta globalizzazione ci conviene, ci fa vivere meglio, o se opportuno uscirne, riconvertire l’economia per i consumi interni, impedire ai capitali qualunque trasmigrazione, creare l’autosufficienza energetica con il sole, creare l’autosufficienza alimentare con una agricoltura tutta biologica, abolire l’esercito e le enormi spese militari, creare una guardia civile di sola difesa, uscire dall’Europa.
Caro Bocca, se tu misurassi l’etica civile degli industriali attraverso il metodo con cui smaltiscono i rifiuti delle loro produzioni, affidandoli a camorristi o mafiosi che li disperdono nell’ambiente con malati e morti, saresti un po’ meno ottimista e ci aiuteresti a passare ad una economia delle REGOLE, della legalità, del rispetto assoluto dell’ambiente e della salute delle persone.
di Paolo De Gregorio

27 luglio 2010

I file segreti sull’Afghanistan: com’è facile manipolare i media…


afghanistanLo scoop di Wikileaks che poche ore fa ha diffuso 92mila file segreti del Pentagono dimostra che per sei anni il governo americano ha mentito ai media.

Sia chiaro: nessuno si aspetta che dalle autorità trapeli sempre la verità, ma qui siamo di fronte a una colossale manipolazione della realtà. Scopriamo stragi di civili fatte passare sotto silenzio, collusioni imbarazzanti dei servizi pakistani con Al Qaida, missili americani Stinger, che erano stati forniti a Bin Laden negli anni Ottana e poi usati contro le forze americane. Veniamo a sapere che la situazione sul terreno è molto peggiore di quanto avessero ammesso ovvero che i talebani controllano zone molto ampie del territorio afghano e che la formazione delle forze di sicurezza di Karzai è poco più che una farsa; dunque che la missione internazionale è servita a poco.

A essere danneggiata è, innanzitutto, la reputazione degli Stati Uniti, che viene messa per la seconda volta fortemente in dubbio. Dopo le frottole sull’Irak ecco quelle sull’Afghanistan. Chi crederà ancora alla loro parola?

Da notare, a conferma di una tesi sostenuta da tempo su questo blog, che con Obama non è cambiato nulla: mente come mentiva Bush.

Durante i miei corsi universitari, incentrati sullo spin, evidenzio come sia possibile orientare l’insieme dei media. Sapendo che l’80% delle notizie è di fonte istituzionale, la qualità dell’informazione dipende non solo dai giornalisti, ma innanzitutto dalla correttezza e dalla trasparenza di chi opera all’interno delle istituzioni.

Se il governo o, nel caso specifico, la Casa Bianca e il Pentagono decidono una linea e riescono a imporre una disciplina ai propri funzionari, dunque a evitare fughe di notizie sgradite, riescono a orientare non un giornale, ma l’insieme dei media.

Una delle tesi, provocatorie, che sostengo è che gli scoop siano sovente illusori, in quanto impiantati ad arte da chi detiene il potere. La vicenda di Wikileaks rafforza questa mia convinzione: per sei anni il Pentagono ha nascosto notizie colossali. Non una, ma tante, tantissime; in teoria sarebbe stato facile venirne a conoscenza, perlomeno in parte, considerata anche la lunghezza del periodo. Invece nessun giornalista, nemmeno d’inchiesta è riuscito a bucare la ferrea disciplina dell’ufficio comunicazione di Pentagono e Casa Bianca.

Periodo nel quale all’opinione pubblica, americana e internazionale, sono state propinate tantissime frottole.

Come non indignarsi?


di Marcello Foa

26 luglio 2010

Fiat: cavallo di troia degli americani





La Fiat sta bluffando e pratica la ritorsione contro il governo italiano dopo che quest’ultimo si è rifiutato di estendere gli incentivi sulla rottamazione anche per il 2010.
Da un punto di vista oggettivo si materializza quella funzione antinazionale del Gruppo torinese della quale abbiamo sempre detto e che ora genera danni anche sui livelli occupazionali e sulla gestione delle relazioni industriali nel nostro paese. Del resto, nonostante si faccia un gran parlare di ritorno alle logiche del libero scambio e di un ripristino di competitività non assistita dallo Stato, attraverso innovazioni e razionalizzazione dei processi, sono ancora gli aiuti pubblici a tenere in piedi il Lingotto. E’ questa la vera ed unica delocalizzazione realizzata da Fiat nel mercato globale: se prima era l’Italia a foraggiare direttamente Torino adesso ci pensano Obama e gli Stati dell’UE che godono delle agevolazioni comunitarie. Anche in Serbia, dove l’azienda ha annunciato che produrrà la nuova Musa sottraendola a Mirafiori, l’impegno fattivo di Fiat sarà di circa 1/3 dei fondi, il resto lo metterà il governo serbo e la BEI. C’è poi la questione dei bassi salari e dei vantaggi fiscali ma qui Marchionne, come giustamente ricordato da Luciano Gallino, ha fatto la figura dello smemorato poiché quattro anni fa aveva detto che "il costo del lavoro rappresenta il 7-8 per cento, dunque è inutile picchiare su chi sta alla linea di montaggio pensando di risolvere i problemi”. Già, il manager italo - canadese ci avrà ripensato guardando ai dati del mercato europeo del primo semestre 2010 che mettono Fiat con le spalle al muro. Torino perde in Europa il 20,8%, nessuno ha fatto peggio. La sua quota di mercato è appena del 7,4%, sesta Casa automobilistica nel vecchio continente. I numeri impietosi testimoniano che le macchine dell’azienda italiana non sono all’altezza di quelle prodotte dai suoi competitors e addirittura sono molto al di sotto degli standard di qualità delle altre case automobilistiche. “A Torino sono poco competitivi in termini di capacità progettuale e commerciale. Da anni, lo sanno tutti”, dice Bankomat su Dagospia. Ed è un fatto che abbiamo rimarcato anche noi riportando più volte le statistiche su ricerca e sviluppo, con Fiat che spende poco e male su questo versante. Renault, Volkswagen, Toyota lavorano meglio della Fabbrica Italiana Automobili Torino per questo trovano consensi tra i consumatori e riescono a mantenere un livello di vendite accettabili. E persino Ford produce autovetture di migliori caratteristiche pur concedendo poco allo stile e al design. Non dimentichiamo inoltre che la Ford ha deciso di camminare sulle proprie gambe da molto tempo, rifiutando di accedere ai finanziamenti statali che pure Obama aveva messo a sua disposizione per affrontare la crisi, proprio mentre le omologhe GM e Chrysler si attaccavano come idrovore alla mammella pubblica. Resta da valutare con attenzione questo ruolo di pedina che la Fiat americanizzata gioca nel contesto italiano. Il suo potere di ricatto è elevato e può agire su qualsiasi governo non allineato ai diktat occidentali semplicemente innescando una caduta occupazionale, preludio ad una successiva quanto indotta crisi sociale. Il caos è lo strumento attraverso il quale i nemici della nazione, ovvero quei poteri internazionali che vogliono il paese succube di precisi orientamenti filo-atlantici, s’insinueranno maggiormente nella vita politica e istituzionale del paese per irretirlo nella maglie di una predominanza sempre più asfissiante e debilitante. Nonchè per privarlo di qualsivoglia autonomia decisionale. La Fiat è uno dei cavalli di troia per soggiogare il nostro Stato e solo per questa finalità gli americani l’hanno “comprata”.

di Gianni Petrosillo

25 luglio 2010

Un campo di battaglia tra bande mercenarie legate allo straniero





Premessa indispensabile

Ci sono quelli che pretendono di squalificare ogni analisi non piatta e conformista come tendenza a “vedere complotti”; per di più, anzi, un complotto diretto da una Mente diabolica. Essendo di derivazione marxista, mai sono stato incline a simili sciocchezze. Devo però a volte “soggettivare” (o perfino assegnare il nome di un dato personaggio a) certe tendenze, che si affermano in campo storico per il concorso congiunto di numerose circostanze sociali, tra cui scelgo quelle che, in base alle ipotesi che reggono il mio discorso, ritengo essere le più fondamentali e produttive di effetti.
Così pure, quando parlo di un dato “corpo organizzato” (ad es. la magistratura o un partito che ha “cambiato campo”, ecc.) in quanto soggetto di date azioni, non intendo affatto sostenere che esso è un reale soggetto; so benissimo che è composto di molti individui, ognuno con la sua storia personale, le sue inclinazioni, magari la sua buona fede nell’uso che fa degli strumenti a sua disposizione. Tuttavia, sempre per il concorso di specifiche contingenze storiche (ad es. il crollo del “socialismo reale” o l’attuale fine del monocentrismo statunitense con l’avvio di una fase multipolare, ecc.), l’azione di quel “corpo organizzato” presenta una sua direzione prevalente rispetto alle altre; e questa direzione diventa una ben precisa funzione che quel (solo ideale) soggetto svolge nell’ambito della particolare congiuntura storica venutasi a creare.
Quando però scrivo un articolo (che è già lungo di per suo) non posso ad ogni rigo ricordare quanto precede. Lo si tenga sempre ben presente nella lettura del testo. Nessun complotto particolare, ma comunque andamento perverso (dal mio punto di vista ovviamente) delle azioni compiute dai “soggetti” oggi in vista nel campo economico, politico, ideologico, ecc. E, logicamente, illustrazione delle supposizioni circa la funzione svolta da altri “soggetti”, che si occultano dietro le quinte in quanto registi e suggeritori degli attori (scadenti, dei veri guitti) in recita sul palcoscenico.

*****

Da mesi si sta discutendo se la stagione attuale assomigli o meno a quella di “mani pulite”. Si discute però di questioni del tutto marginali e svianti, lasciando accuratamente da parte la sostanza del problema: da quasi vent’anni, da quando si decise di far fuori il “vecchio regime” Dc-Psi, non si dibatte più in termini politici, bensì cianciando solo di giustizia, di moralità, di decenza (puramente formale), ecc. Valori, e soprattutto programmi e progetti fra loro alternativi, sono pure chiacchiere generiche, condotte senza alcuna convinzione. Non si combatte l’avversario cercando di dimostrare che si è più congrui di lui per governare; l’importante è delegittimarlo in qualsiasi modo. Se costui dice bianco, è necessario far credere che il giusto sta nel nero; se invece cambia opinione e dice nero, allora è indispensabile sostenere che il giusto si trova “incontestabilmente” nel bianco. L’importante è il “gioco di rimessa”, accompagnato da un’“opportuna” campagna scandalistica condotta con mezzi che nulla hanno a che vedere con quello che normalmente si intende per confronto (e scontro) politico.
Vi è una parte “politica” (ma che tutto fa tranne che politica) definita “sinistra” solo perché il suo nucleo fondamentale deriva da quello che fu il Pci; i comunisti, quando erano effettivamente tali, combattevano però la sinistra come uno degli attori nella “recita” della democrazia definita borghese. Quando abiurarono il loro passato – e furono per ciò stesso designati a rappresentare gli interessi di quelli che formalmente erano stati loro nemici fino al giorno prima: l’“imperialismo” americano e il “grande capitale” – divennero “sinistra” essi stessi. Quelli che si opposero loro per pura difesa e per non essere annientati, ereditando quella quota di popolazione che aveva sempre appoggiato Dc e Psi e dunque avversato il Pci, furono denominati “la destra”. La “sinistra” – quella divenuta tale dopo il “crollo del muro” – continuò a pescare per un certo periodo di tempo nei ceti popolari, in particolare in quelli di tipologia operaia. Oggi nemmeno questo è più vero o quanto meno è sempre meno vero. Così com’è sempre più problematico vedere nella “destra” la difesa del lavoro detto “autonomo”, della piccola imprenditoria, ecc. Se non altro perché la stessa “destra”, nel mentre la sedicente “sinistra” marcisce con progressione inarrestabile, si è ora divisa in parti contrapposte; ancora una volta su questioni puramente formali, senza che si veda un qualsiasi coerente progetto, sia di politica estera che interna.
Non essendovi battaglia di tipo politico in senso proprio, tutto è spostato sul terreno della delegittimazione dell’avversario perfino alla semplice esistenza. Gli uni vengono presentati come ancora comunisti mascherati; il presunto comunismo – identificato in modo rozzo e semplicistico con i paesi detti “socialisti” – è stato battuto, si è sbriciolato; e tuttavia, essendo stato abile ad infiltrarsi in un dato corpo dello Stato, la magistratura, continuerebbe subdolamente a sopravvivere in Italia. Gli altri (la “destra”) – poiché non si può più attaccarli, come solitamente faceva il Pci nel mondo bipolare, in quanto rappresentanti di “imperialismo” e “grande capitale” – sono trattati da semplici banditi, mafiosi, comunque moralmente corrotti o corruttibili. Poiché in effetti la magistratura – non perché infiltrata da “comunisti”, bensì perché risponde a determinati “poteri forti”, di tipo interno e soprattutto internazionale – usa i mezzi a sua disposizione secondo “due pesi e due misure”, favo-rendo sempre la “sinistra” contro la “destra”, è facile per quest’ultima attaccarla e dimostrare che la sua “giustizia” è pura e semplice partigianeria, faziosità; perché questo è in effetti il suo peculiare modo d’agire in Italia.
Così la politica è sparita ed è subentrata una lotta intorno ai temi della moralità, della decenza (formale), della corruzione o meno, di ciò che sarebbe “giusto” o “ingiusto”. Qualche volta, costretti dall’attacco degli avversari, certi media della “destra” – ecco perché è più facile per noi citare questi piuttosto che gli altri organi di (dis)informazione – mettono in luce come magistratura, e giornali ad essa strettamente collegati (quasi un corpo unico), siano manovrati da ampi settori dei “poteri forti” di tipo interno; a volte questi ultimi vengono anche nominativamente indicati e denunciati quali gruppi interessati a delegittimare la “destra” in quanto meno consona al loro predominio incontra-stato. Tuttavia, ci si ferma a mezza strada, anzi perfino ad un quarto, nella denuncia di tali settori di “devastazione nazionale”. Il quadro della lotta ne risulta stravolto, illeggibile nei suoi effettivi termini. E’ del tutto incomprensibile come decisivi settori di grande industria e finanza si servano di magistratura e partiti di tipo ancora “comunista”; soprattutto tenendo conto che il mondo definito (sia pure del tutto impropriamente) comunista è crollato, che la Cina detta ancora comunista viene indicata come paese ormai in preda ad uno sviluppo capitalistico e quindi sedotto dal suo (presunto) nemico.
Insomma, tutto è letto in modo distorto, in base a categorie vecchie e consunte; e soprattutto errate in radice, perfino se ci si riferisce all’interpretazione di eventi e di un mondo ormai (tra)passati. Resta il fatto che indubbiamente in Italia – ma perché proprio da noi? Perché non rispondere a questa domanda? – la magistratura è un corpo eversivo. Lo è però dal ’92-93. Essa favorisce certamente la “sinistra”, la quale è tuttavia nata da un’abiura, dal “passaggio di campo” di un partito, senza dubbio salvato dal fallimento generale del “socialismo reale”. Però, appunto, perché è stato salvato da questo fallimento? E per quali motivi la magistratura è stata in grado di devastare il quadro istituzionale italiano, aggredendo un’intera parte politica (e di questa parte, si sta cercando di salvare dall’azione giudiziaria una certa quota purché “tradisca”)? La magistratura sarà anche formata in prevalenza da individui di un certo orientamento politico; essa ha però potuto sviluppare una determinata azione, che ha sostituito completamente quella specificamente politica, perché si sono verificate in Italia – ma soprattutto continuano a verificarsi – contingenze assai particolari.
E’ ovvio che siamo in una situazione del tutto anomala da vent’anni. Nessuna forza politica ha valenza nazionale; si tratta di “bande mercenarie” che, nella loro maggioranza schiacciante, sono legate ad ambiti “atlantici” (quindi dominati dagli Stati Uniti). Di questa schiacciante predominanza degli ambiti suddetti approfittano, in “conflittuale cooperazione” (questo è un ossimoro del tutto ordinario in un sistema capitalistico), ambienti industriali e finanziari di particolare osservanza servile nei confronti del sistema statunitense. Tali ambienti hanno una preferenza evidente e netta per forze sedicenti politiche nate dal rinnegamento del precedente schieramento (ideale e materiale; e, nel mondo bipolare, anche internazionale); le quali, per ciò stesso, sono legate mani e piedi – e ricattabili non appena osassero disobbedire – al compito loro assegnato di sicari pronti a tutto senza tante esitazioni o dubbi. Coloro che si sono difesi dall’attacco di questi parassiti (quelli da me denominati GFeID, grande finanza e industria decotta) – si tratta di alcuni spezzoni dell’impresa già “pubblica”, dell’imprenditorialità di piccole, in alcuni casi anche medio-grandi, dimensioni appartenenti a settori nati all’ombra del vecchio regime abbattuto da “mani pulite” – sono evidentemente concorrenti della GFeID; e sono stati troppo direttamente, e quindi scopertamente, rappresentati da un imprenditore.
Da tale configurazione particolare assunta dal sistema economico-politico italiano è derivata la sua congenita debolezza in fatto di perseguimento di interessi nazionali. Anche chi si è difeso dall’attacco della GFeID – e dalle forze dell’abiura e rinnegamento del proprio passato, con il mas-siccio impiego di un corpo dello Stato che ha danneggiato irreparabilmente il complessivo assetto istituzionale del paese – ha fatto tutto il possibile per dimostrare ai predominanti d’oltreoceano d’essere a loro fedele, pur essendo costretto, ma appunto per sole ragioni difensive, ad avere rapporti del tutto minori con “l’altra parte del mondo”, quella in cui sono venute emergendo negli ultimi anni alcune potenze in competizione con gli Usa.

*****

Per me (per noi) la situazione è ormai perfettamente chiara; ma è invece del tutto oscura per la stragrande maggioranza della popolazione che non ha tempo né strumenti per seguire queste trame nascoste guidate dall’estero e appoggiate da gruppi (sub)dominanti felloni e proni di fronte ai (pre)dominanti statunitensi.
Nel 1992-93 fu tentato un autentico colpo di Stato, eliminando forze fedeli nella sostanza all’atlantismo, ma con un minimo di gioco autonomo in quanto favorite dall’esistenza del mondo bipolare. Si ritenne di poterle sostituire con degli aperti rinnegati pronti ad ogni tradimento pur di salvarsi dal crollo di quella parte di mondo dove erano un tempo riposte le loro aspirazioni “sociali-stiche”. Tuttavia, dei rinnegati e venduti di questa fatta non potevano svolgere alcuna politica di ri-cambio pronta per un paese vissuto per decenni nella convinzione, nutrita dalla maggioranza della popolazione, che il “comunismo” fosse il Male pressoché assoluto (in ogni caso, in “quei paesi” le condizioni di vita erano assai inferiori alle nostre). Fu dunque necessario spostare l’asse della lotta dalla politica alla “Giustizia”, utilizzando un corpo dello Stato che ha da quel momento assunto un’oggettiva valenza eversiva e si è mosso sconvolgendo l’ordinamento istituzionale del paese.
La sedicente “sinistra” – solo forze del tradimento “comunistico” rafforzate da spezzoni di de-mocristiani e socialisti altrettanto traditori per salvarsi dal naufragio del regime abbattuto mediante opera giudiziaria – non ha mai avuto una politica che sia una. L’unica strada battuta è stata l’antiberlusconismo. Si è creata, grazie al controllo degli apparati culturali e del meschino ceto in-tellettuale che ben conosciamo, un’ideologia del “politicamente corretto” e del bon ton, secondo la quale Berlusconi impersona la volgarità e il contrasto più netto con lo chic dei “salotti buoni” dei dominanti spostati sulla “sinistra”. La “classe” operaia è stata lasciata perdere e ci si è dedicati alla conquista soprattutto dei notabili dell’apparato pubblico, in quanto ossatura di nuovi clientelismi; questi però ben protetti dalla Magistratura che non è mai andata a fondo – solo per citare pochi e-sempi – su scandali come quelli della sanità pugliese, della Banca 121 del Salento, dell’eolico in Calabria (al contrario di quello sardo, in cui si possono indagare i “destri”), ecc. ecc. Esattamente come, per fare un solo esempio, “mani pulite” si disinteressò del miliardo di Gardini arrivato fino alle Botteghe Oscure, in base al principio – ammesso solo per quelli di “sinistra” – che i vertici del Pci “potevano non sapere” dove fossero finiti quei soldi.
Tuttavia, la sola ideologia non è sufficiente a battere quei settori, rappresentatisi in Berlusconi, che hanno resistito alla buriana di “mani pulite” e hanno quindi, sempre per fare un esempio, salvato dalla completa privatizzazione Eni, Enel e Finmeccanica. Per continuare l’opera di “mani pulite” i rinnegati del piciismo e il loro ignobile e farsesco ceto intellettuale non bastano certamente. E’ stata dunque proseguita l’opera giudiziaria pur se in tono minore e con tempi più lunghi adeguati alla nuova situazione internazionale creatasi in base alla dissoluzione dell’Urss e al progressivo sposta-mento dei paesi europei orientali verso uno smaccato filo-americanismo. Per 10-12 anni sembrò che ci si fosse ormai addentrati nel monocentrismo fondato sul predominio statunitense. Era dunque possibile attendere tempi più lunghi per perfezionare definitivamente il colpo di Stato di “mani puli-te”. La lotta continuò comunque ad allontanarsi sempre più dalla politica (pur perseguendo obiettivi del tutto politici); fu sempre diretta contro una persona, Berlusconi, in quanto volgare e bandito.
Almeno a partire dal 2003 divenne evidente la rinascita della Russia, evento che ha fatto precipi-tare una nuova “congiuntura” internazionale; molto più che non la presunta potenza cinese, sempre esistita anche dopo il “crollo del muro”. C’è chi si ostina a non vedere questa realtà: non è stata la Cina a preoccupare nuovamente gli Usa, ma il risorgere della Russia, per null’affatto comunista. Si è poi aggiunta la crisi del 2008 che, malgrado i peana di ottimismo, non è destinata a finire presto. E anche qui ci si ostina a voler calcare la mano sul suo aspetto finanziario. In questo modo si alternano gli entusiasmi dei “crollisti” (schematici anticapitalisti) e di quelli che invece intravedono l’uscita dal tunnel. Come non è stata la Cina, bensì la rinascita russa, a impensierire gli strateghi statunitensi, così non è la crisi finanziaria l’oggetto precipuo dell’attenzione di questi ultimi, bensì la netta sensazione di una lunga crisi strisciante legata ad un mondo fattosi “più stretto” in quanto incamminatosi verso il multipolarismo.
Finito in pratica il monocentrismo Usa e rimessasi vivacemente in movimento la politica inter-nazionale, basata sul conflitto, di una incipiente nuova fase storica, ecco allora che ci si avvicina in Italia all’ultimo atto. Politicamente non esistono forze adeguate a sostenere la colonizzazione statu-nitense, con l’appoggio dei lacchè costituiti dalla GFeID. La “sinistra” è sempre più sfatta; anche quelle poche riserve – costituite da coloro che avevano finto di restare “comunisti” per tenere ag-ganciate piccole quote elettorali di “nostalgici” – sono state esaurite. Il “centro” è quello che è; la “destra responsabile”, cioè giustizialista e antiberlusconiana, serve a scompaginare lo schieramento avversario, non certo a formulare una qualsiasi politica. Ormai dentro l’antiberlusconismo c’è tutto e il contrario di tutto; soprattutto personaggi di uno squallore cavernoso. Quindi è necessario accen-tuare nuovamente al massimo grado l’azione giudiziaria. Si troveranno “pentiti” a iosa. Non importa se, com’è accaduto di recente con Mannino e Formica (rispettivamente, dopo 16 e 17 anni), salterà fuori che non avevano commesso nulla (almeno di quanto gli era stato contestato). Quel che conta è il risultato immediato: l’eliminazione di ogni forma di resistenza, l’allineamento di quelle poche aziende parzialmente “pubbliche” ai voleri americani (e dei loro lacchè italiani), la fine di ogni ten-tativo di fare qualche affare verso est e verso sud. L’Italia deve essere totalmente succube degli a-mericani, in modo da costituire fra l’altro una loro testa di ponte nella stessa Unione Europea.
Una vera resistenza a questo ormai finale tentativo non sussiste, non può sussistere. Una resi-stenza siffatta non riesce a vivere di improvvisazione, di qualche contatto o mediazione verso la Russia; per di più cercando negli ultimi mesi di attenuare tale politica il più possibile per non indi-spettire chi ti sta conculcando e stringendo viepiù il cappio al collo. Chi agnello si fa, il lupo se lo mangia. Cedere è il modo migliore per consegnarsi senza più difese a chi ti vuol distruggere. Ma resistere significherebbe, a questo punto, cambiare totalmente “sinfonia”, dire con chiarezza che cos’è in gioco e quale partita si sta giocando e con quali protagonisti. Bisognerebbe smascherare gli americani, attaccare brutalmente la GFeID indicandola come un gruppo di traditori degli interessi del paese. E’ senza dubbio urgente tagliare le unghie a questa Magistratura; non però perché comu-nista, di sinistra, o altre sciocchezze simili. Essa va invece indicata quale esecutrice di un colpo di Stato strisciante organizzato dalla tanto evocata, ma mai attaccata fino in fondo, “manina d’oltreoceano”.
Insomma, occorrerebbe tornare alla politica, alla grande politica che si nutre di forti conflitti, in un mondo nuovamente multipolare, in cui una media potenza come l’Italia potrebbe avere un suo ruolo, agendo però con chiarezza di intenti, individuando senza più infingimenti i suoi nemici, quelli che stanno organizzando la nostra “colonizzazione” aggirando nuovamente il discorso politico e anzi attaccando “la Casta” (tutta corrotta), mentre solo i golpisti si ergono a Supremi Giudici del Bene e del Male. Berlusconi ha ormai fallito un benché minimo obiettivo nazionale; perché non se l’è mai veramente posto. Si è così circondato di uomini pronti a tradirlo alla prima occasione. Lui li ha por-tati in alto sempre per tenere buoni gli Usa, per trasmettere loro un messaggio rassicurante circa le sue intenzioni di restare fedele alla vocazione atlantica. Tuttavia, non poteva non differenziarsi dalla GFeID, dai suoi scherani preferiti (innanzitutto di “sinistra”, ma poi anche di “centro”, di “destra”, a seconda delle varie occasioni). Non poteva non difendere qualche spezzone della vecchia guardia dell’industria “pubblica”, del ceto piccolo-medio imprenditoriale, ecc. Così si è sempre trovato alla fine abbandonato ora da questo ora da quello degli spinti filoamericani da lui stesso nominati a posti di vertice.
Occorre la formazione di ben altro gruppo organizzato che parli chiaro, che riporti tutto sul piano della politica e di ciò che si sta giocando nella lotta multipolare in cui l’Italia è invischiata pie-namente, più di ogni altro paese europeo. Un’epoca è già finita (ne riparleremo in altra occasione). Si deve tornare alla lotta politica. Si deve senza alcun dubbio denunciare la magistratura quale agente di sovversione; ma non raccontando menzogne sul suo “comunismo”, bensì indicando chi la muove, chi se se ne serve per fini suoi propri in contrasto con quelli di indipendenza nazionale.
Andando avanti così, a breve salterà fuori un nuovo “pentito Buscetta” (questa volta Spatuzza), si discuterà di tutto salvo che di politica e a Berlusconi resterà la scelta. Fare come Andreotti, che accettò di essere eliminato dalla scena politica e impiegò i successivi 10 anni a dimostrare l’insussistenza o non provabilità dei fatti ascrittigli. Così evitò qualsiasi discussione intorno alle sue azioni politiche, che sono in genere trattate con benevolenza e considerate la dimostrazione della sua “fine” intelligenza. Oppure fare come Craxi, opponendosi e agitandosi invano, sempre minacciando di rivelare i veri motivi per cui fu perseguito e sconfitto politicamente senza in realtà mai farlo; per cui passa ancor oggi come ladrone presso gran parte dell’opinione pubblica.
Riprenderemo l’argomento perché rivelatore della vera anomalia italiana: assenza di una politica nazionale condotta con coerenza e stabilità. Da troppo tempo ormai siamo semplicemente un campo di battaglia tra bande mercenarie legate allo straniero.
di Gianfranco La Grassa

23 luglio 2010

Appello ai divoratori di futuro



Durante il suo breve tempo sulla Terra, la specie umana ha mostrato una notevole capacità di auto-distruggersi. I Cro-Magnon hanno mandato al creatore i pacifici Neanderthal. I conquistadores, con l’aiuto del vaiolo, hanno decimato le popolazioni native delle Americhe. La moderna guerra industriale del 20° secolo ha tolto circa 100 milioni di vite, per lo più civili. Ed ora stiamo seduti passivi ed ottusi, mentre le società ed i leaders delle nazioni industrializzate garantiscono che il cambiamento climatico sarà così veloce da comportare l’estinzione della nostra specie. Come sottolineato dal biologo Tim Flannery, gli homo sapiens sono i “divoratori del futuro”. In passato, quando una civiltà andava a gambe all’aria per l’avidità, la cattiva amministrazione e l’esaurimento delle risorse naturali, gli esseri umani migravano da qualche altra parte per ricominciare il saccheggio. Ma stavolta i giochi sono finiti. Non c’è nessun altro posto dove andare.

Le nazioni industrializzate hanno passato l’ultimo secolo usurpando metà del pianeta e dominando la maggior parte dell’altra metà. Abbiamo esaurito il nostro patrimonio naturale in maniera vertiginosa, soprattutto i combustibili fossili, per prendere parte ad un’orgia di consumismo e spreco che ha avvelenato la Terra ed ha attaccato l’ecosistema dal quale dipende la vita umana. È stata quasi una festa per i membri dell’elite industrializzata. Ma è stata alquanto stupida.

Stavolta il collasso sarà globale. Ci disintegreremo insieme. E non c’è via di scampo. L’esperimento di vita sedentaria durato 10.000 anni sta per arrivare ad una tremenda fine. Ed il genere umano, convinto di avere il dominio sulla Terra e su tutti gli essere viventi, riceverà una dolorosa lezione sulla necessità di equilibrio, ritegno ed umiltà. Non esiste alcun monumento o rovina che risalga a più di 5.000 anni fa. Come nota Ronald Wright nel suo A Short History Of Progress [“Breve Storia del Progresso”, ndt], la civiltà “occupa un mero 0.2% dei 2 milioni e mezzo di anni da che il nostro primo avo ha affilato una pietra”. Addio Parigi. Addio New York. Addio Tokyo. Benvenuti alla nuova esperienza dell’esistenza umana, dove il prerequisito per la sopravvivenza è rovistare alla ricerca di cibo nelle isole delle latitudini del nord. Ci consideriamo creature razionali. Ma è razionale aspettare come pecore in un ovile mentre le compagnie del petrolio ed del gas naturale, le compagnie del carbone, le industrie chimiche, le fabbriche di plastica, l’industria automobilistica, le fabbriche di armi ed i leader del mondo industriale, come hanno fatto a Copenhagen, ci conducono verso l’estinzione di massa? È troppo tardi per prevenire un profondo cambiamento del clima. Ma perché aggiungere benzina sul fuoco? Perché permettere alla nostra élite regnante, guidata dalla brama del profitto, di accelerare questa spirale mortale? Perché continuare ad obbedire alle leggi ed alle regole dei nostri carnefici? Brutte notizie. La disintegrazione del ghiaccio del Mare Artico in accelerazione significa che probabilmente il ghiaccio estivo scomparirà nell’arco dei prossimi dieci anni. Gli oceani assorbiranno ancor più radiazioni solari, facendo aumentare in modo notevole il tasso di surriscaldamento globale. La terra di ghiaccio della Siberia scomparirà, provocando l’esalazione di fumi di metano dal sottosuolo. Lo strato di ghiaccio della Groenlandia ed i ghiacciai dell’Himalaya e del Tibet si scioglieranno. Nel dicembre 2007, Jay Zwally, scienziato climatico presso la NASA, ha dichiarato: “Spesso ci si riferisce all’Artide come al canarino nelle miniere di carbone per il cambiamento climatico. Ora, come segno di tale cambiamento, il canarino è morto. È il momento di cominciare ad uscire fuori dalle miniere di carbone”. Ma raramente la realtà costituisce un impedimento alla follia umana. I gas serra del mondo hanno continuato a crescere dopo la dichiarazione di Zwally. Dal 2000, le emissioni globali di anidride carbonica (CO2) da combustibili fossili sono aumentate del 3% all’anno. A questo ritmo, le emissioni annuali si raddoppieranno ogni 25 anni. James Hansen, capo del Goddard Institute for Space Studies presso la NASA, nonché uno dei principali esperti sul clima, ha avvertito che continuare a surriscaldare il pianeta sarà “la ricetta per il disastro globale”. Come stimato da Hansen, il livello di sicurezza di CO2 nell’atmosfera deve essere inferiore alle 350 parti per milione (ppm). Il livello attuale di CO2 è di 385 ppm ed è in continua crescita. Già questo garantisce conseguenze terribili, anche se agissimo immediatamente sul taglio delle emissioni di CO2. Per 3 milioni di anni, il ciclo naturale del carbone ha assicurato che l’atmosfera contenesse meno di 300 ppm di CO2, dando sostentamento all’ampia varietà di forme di vita del pianeta. L’idea che oggi viene difesa dall’élite aziendale, o almeno la parte in contatto con la realtà del surriscaldamento globale, è quella di oltrepassare intenzionalmente i 350 ppm e poi tornare ad un clima più sicuro attraverso un taglio rapido e drammatico delle emissioni. Ovviamente, questa è una teoria pensata per assolvere l’élite dal loro attuale non agire. Ma come scrive Clive Hamilton nel suo libro Requiem for a Species: Why We Resist the Truth About Climate Change [“Requiem per una Specie: Perché Resistiamo alla Verità sul Cambiamento Climatico”, ndt], anche “se le concentrazioni di anidride carbonica raggiungessero i 550 ppm e dopo di che le emissioni scendessero a zero, le temperature globali continuerebbero comunque a crescere per almeno un altro secolo”. Copenhagen probabilmente è stata l’ultima occasione che avevamo per salvarci. Barack Obama e gli altri leader delle nazioni industrializzate l’hanno sprecata. Un cambiamento climatico radicale è sicuro. Ora si tratta solo di vedere quanto sarà negativo. I meccanismi del cambiamento del clima, avvertono gli scienziati, creeranno presto un effetto domino che potrebbe spingere la Terra in uno stato caotico per migliaia di anni prima di poter riacquistare il suo equilibrio. “Se gli esseri umani saranno ancora una forza del pianeta, o se riusciranno a sopravvivere, è una questione inutile”, scrive Hamilton. “Una cosa è certa: saremo molti di meno”. Siamo diventati preda dell’illusione che siamo in grado di controllare e modificare il nostro ambiente, che l’ingenuità umana garantisca l’inevitabilità del progresso umano e che il nostro dio secolare della scienza ci salverà. “L’intossicante convinzione che possiamo conquistare qualsiasi cosa si sta scontrando con una forza più grande, la Terra stessa”, scrive Hamilton. “La prospettiva di scampare il cambiamento climatico sfida la nostra insolenza tecnologica, la nostra fede illuminista nella ragione e l’intero progetto modernista. La Terra potrebbe presto dimostrare che, alla fine dei conti, non può essere domata e che la brama dell’uomo di controllare la natura ha solo fatto risvegliare una bestia assopita”. Siamo di fronte ad una terribile verità politica. Coloro che detengono il potere non agiranno con l’urgenza richiesta per proteggere la vita dell’uomo e dell’ecosistema. Le decisioni sul destino del pianeta e della civiltà umana sono in mano a dei troll etici ed intellettuali come Tony Haward della BP. Questi padroni della politica e delle aziende sono guidati da un codardo desiderio di accumulare ricchezza a spese della vita umana. Lo fanno nel Golfo del Messico. Lo fanno nella provincia meridionale cinese di Guangdong, dove l’industria dell’export sta prosperando. La trasformazione della Cina in un capitalismo totalitario, fatta in modo da inondare i mercati mondiali con merci a basso costo, sta contribuendo alla drammatica crescita delle emissioni di anidride carbonica, di cui si prevede un raddoppiamento del tasso in Cina entro il 2030, da poco più di 5 miliardi di tonnellate quadrate a poco meno di 12 miliardi. Questo degrado del pianeta da parte delle società è accompagnata da un degrado dell’essere umano. Nelle fabbriche di Guangdong vediamo il nostro avversario negli occhi. Il sociologo Ching Kwan ha trovato “fabbriche sataniche”, nella zona industriale a sud-est della Cina, che “vanno ad un ritmo talmente snervante che i limiti fisici e la forza corporea dei lavoratori vengono messi a dura prova ogni giorno”. Alcuni impiegati hanno giornate lavorative dalle 14 alle 16 ore, senza un momento di pausa durante il mese fino al giorno di paga. In queste fabbriche, per un impiegato è del tutto normale lavorare 400 ore o più al mese, soprattutto nell’industria tessile. La maggior parte dei lavoratori, osserva Lee, sopportano salari non pagati, deduzioni illegali e tassi salariali sotto la norma. Vengono spesso abusati fisicamente e non ricevono indennizzo se infortunati sul lavoro. Ogni anno una dozzina o più di lavoratori muore per il troppo lavoro solo nella zona di Shenzhen. Con le parole di Lee, le condizioni di lavoro “vanno oltre la nozione marxista di sfruttamento ed alienazione”. Un sondaggio pubblicato nel 2003 dall’agenzia di stampa ufficiale cinese, [Chine News Agency, ndt], citato nel libro di Lee Against the Law: Labor Protests in China’s Rustbelt and Sunbelt [“Contro la Legge: Proteste sul Lavoro nelle Rustbelt e Sunbelt della Cina”, ndt], osserva che 3 lavoratori immigrati su 4 hanno problemi a mettere insieme il salario. Ogni anno, scrive Lee, una ventina di lavoratori minaccia di commettere suicidio buttandosi di sotto o dandosi fuoco per i salari non pagati. “Se pagare il lavoro di un individuo è un assioma fondamentale dei rapporti di lavoro del capitalismo, molti impiegati cinesi non sono ancora lavoratori in senso stretto”, scrive Lee. I leader di queste società oggi determinano il nostro destino. Non sono dotati di decenza o compassione umane. Eppure, i loro lobbisti fanno le leggi. Le loro aziende di pubbliche relazioni modellano la propaganda e la banalità pompate attraverso sistemi di comunicazione di massa. Il loro denaro determina le elezioni. La loro avarizia trasforma i lavoratori in servi globali ed il nostro pianeta in una terra desolata. Con l’avanzamento del cambiamento climatico, ci ritroveremo di fronte ad un scelta tra l’obbedire alle regole imposte dalle aziende e la ribellione. I nemici sono coloro che fanno lavorare degli uomini fino alla morte in fabbriche sovraffollate in Cina e trasformano il Golfo del Messico in una zona morta. Non meritano riforma o fiducia. La crisi climatica è una crisi politica. O sconfiggeremo l’élite aziendale, il che significherebbe la disobbedienza civile, un rifiuto della politica tradizionale in favore di un neo-radicalismo e la sistematica violazione delle leggi, oppure ci vedremo consumarci. Il tempo non è dalla nostra parte. Più aspettiamo, più la nostra distruzione è garantita. Il futuro, se restiamo passivi, ci verrà strappato via dagli eventi. Il nostro obbligo morale non è verso le strutture di potere, ma verso la vita.
Fonte: www.truthdig.com
di Chris Hedges

22 luglio 2010

La “legittimità” capitalistica delle crisi cicliche




Fra sdegno panico, nausea cosmica e pietas scientifica vanno ricercate le cause di un mio lungo silenzio circa lo stato di salute di quel “malato terminale” che è il capitalismo globalizzato. Ma d’altronde è ben dal 2005, in un saggio su “il Ponte” - raccolto poi tra il materiale con cui ho arricchito la seconda edizione del mio “Globalizzazione Scientificamente infondata” (2008) – che disegnavo lo scenario della implosione necessaria della globalizzazione insieme al lungo periodo di stagnazione che la avrebbe successivamente accompagnata. E tutto si va svolgendo secondo quella impietosa diagnosi.
Molti economisti(ci) reagendo scompostamente all’ennesimo sbugiardamento della loro “disciplina” indisciplinatamente tramutati in talent scout hanno giocato a scovare tra loro i pochi guru “formato Otelma” che avrebbero preconizzato i precisi tempi della crisi globale. Ciò costituirebbe poco scandalo qualora si trattasse di gazzettieri in cerca di scoop, per definizione alieni dalla conoscenza degli arcani della “scienza economica” che con fortunosa preveggenza Carlyle ebbe a definire “scienza triste”. In realtà quella definizione era fortunosa (emotivamente indotta dalla lettura del saggio sulla popolazione di Malthus che scontava inconsistenti e infondati esiti pessimistici circa il rapporto popolazione/ risorse per sfamare tutti), come dire “letteraria”. Infatti scientificamente parlando la “tristezza” di quella “scienza” è diventata praticamente infinita dovendola annoverare fra gli orrori della così detta “civiltà del capitalismo” e dei suoi supporter ed esegeti: gli economisti(ci).
All’interno di questa che può definirsi sicuramente come una cosca, in alcune sue celebratissime “logge” si pretende dalla economics la sua capacità di prevedere le crisi economiche così come è lecito chiedere a scienze di tipo deterministico tipo l’astronomia. Abbiamo a suo tempo indicato il professor Perotti - della Bocconi e dalle pagine del Sole24ore che non hanno mai visto una smentita a tale assurda presa di posizione - dopo tanto pellegrinaggio ed esperienze “amerikani” sposare un tale punto di vista: la scienza economica in quanto scienza dovrebbe poter prevedere giorno e modalità (dies certus an certus quando) delle crisi cicliche. A nulla valendo l’insegnamento di Schumpeter - per altro a ogni piè sospinto citato e osannato almeno quanto del tutto incompreso- che ha per sempre sancito “a futura memoria” il fatto che le crisi economiche nel capitalismo si presentano con irregular regularity , cioè in altri termini in modo “regolarmente irregolare” nel tempo, che è come dire in maniera imprevedibile smentendo Perotti, e l’intero codazzo dei suoi silenti colleghi in proposito.
Quando la calura e le molte angosce umane e sociali dei tempi che corrono ce lo permetteranno torneremo su questi aspetti che ben valgono maggiore insistenza di analisi e denuncia.
Al momento quel che vorremmo ricordare agli economisti(ci) è che la loro totale ignoranza sulla “legittimità” capitalistica delle crisi cicliche si mostra nel fatto che, al di là della richiesta di rigorosa prevedibilità di queste ultime nel senso “perottiano”- che “non sta né in cielo né in terra”- il fatto che non se ne sappia venire minimamente a capo in termini terapeutici è il vero segnale della permanente crisi scientifica della “scienza triste” anzi tristissima in sé per il suo permanente stato abortivo contrabbandato come scienza.
Ebbene dalla mia personale impostazione del problema - di cui sarà prima o poi il caso di dare una versione accessibile a un pubblico attento e non condizionato dai “professori ufficiali” - ne deriva invece una precisa cura o exit strategy che evidentemente non è concepibile neanche lontanamente con i magrissimi strumenti del mestiere degli economisti(ci). Questo non può sfuggire a chi dovesse studiare con serietà le cose che ho scritto in materia nell’ultimo quarto di secolo comunicandole senza smentite ai massimi livelli internazionali.
Con molta modestia e con un briciolo di imperdonabile romanticismo ho creduto di poter notificare questi ultimi aspetti all’attuale ministro dell’Economia di quel che resta della Repubblica Italiana. Ritenendo che, se certamente non alla sua portata i titoli e la materia propostagli gli suggerissero almeno di sottoporla a più attenti e acculturati collaboratori. Ma una tale sensibilità da parte di “Chance the Gardner” è stata parte di una mia sopravalutazione di uomini e cose che è tra i vizi meno paganti e appaganti della mia vita. Purtroppo avere a suo tempo soprannominato Tremonti “Chance the Gardner” alludendo al capolavoro interpretato da Peter Sellers nel film “Oltre il Giardino” non era una butade o una licenza poetico-giornalistica, ma una denuncia che va rilanciata con un pizzico di autocritica: più che un giardiniere Tremonti è un “contadino” di quelli a cui i fitofarmaci e la passivizzante tecnologia delle multinazionali Usa (e getta) hanno espunto nel tempo “il cervello fino” lasciandogli solo le “scarpe grosse”. In un’intervista alla stampa di domenica 18 Luglio, esprimendosi a proposito dell’ennesima cloaca venuta alla luce intorno al potere berlusconiano, Tremonti ha fatto il verso al suo padrone traducendone in versione bucolica la sentenza da questi emessa circa “ i quattro sfigati pensionati” della così detta P3. Per Tremonti, Verdini, Dell’Utri, Lombardi, Carboni, Cosentino & company sarebbero “una cassetta di mele marce pur scaturendo da un albero sano”. L’eresia botanica è palese (reiterati raccolti marci nel tempo impongono la segatura del relativo albero) e le cassette di mele dove il marciume passa da una alle altre è mera “sapienza” da fruttivendoli.
P.S.
Nella stessa occasione la su ricordata “Chance” ha detto che non v’è alternativa al suo attuale padrone. E rivelando che senza padroni non sa immaginare il proprio ruolo - com’era tipico del contadiname tardo medievale - il tributarista di Sondrio sempre sollecitato a esprimere un giudizio su un eventuale mutamento del quadro di governo in Italia ha rivelato che la cosa non sarebbe peraltro gradita dalla Ue. Con il che è chiara la piramide dei poteri che hanno affossato ogni anelito di indipendenza della nostra nazione. Se l’Europa ritiene indispensabile il nostro “piccolo Cesare” allora v’è il fondato sospetto che al posto di statisti di alto profilo il nostro continente sia nelle mani della “banda Bassotti” che invidia alla sua branche italica di essersi fusa con “zio Paperone” in un unico sodalizio.
di Vittorangelo Orati

21 luglio 2010

È cominciata la partita finale

Sin dalla mia previsione del 1956 su una forte e improvvisa recessione che sarebbe scoppiata tra il febbraio e marzo 1957, non ho mai pubblicato una previsione sull'economia USA che non si sia avverata così come io l'avevo formulata. Il motivo di questa distinzione tra me e tutti i miei cosiddetti rivali in questa materia è che essi hanno fatto affidamento su linee di tendenza statistico/monetariste, che sono inerentemente incompetenti per la stessa natura del metodo adottato.

Così, il risultato della mia serie di previsioni per gli USA negli anni sessanta condusse alla previsione di un probabile crollo del sistema di Bretton Woods nell'intervallo tra la fine degli anni sessanta e l'inizio dei settanta. Lo stesso si può dire per le mie varie previsioni nel corso degli anni '80, nel 1992, nel 1996-98, nel 2001, 2004 e della fine di luglio 2007.

Dunque, non ho mai fatto le previsioni che fanno i venali statistici; lascio tali sciocchezze ai giocatori di cavalli e di Wall Street; io prevedo intervalli di crisi che richiedono decisioni correttive, come faccio qui ed ora.

Spiego di che si tratta.


Già nel 1984, al tempo in cui il futuro presidente del Federal Reserve System Alan Greenspan stava ancora complottando per distruggere le protezioni assicurate all'economia americana dalla legge Glass-Steagall, quando il miserabile era funzionario della banca JP Morgan per conto dei mercati londinesi, il processo di bancarotta del mondo attraverso l'abrogazione di Glass-Steagall era già in corso.

La successiva abrogazione di Glass-Steagall, nel 1999, compiuta da infestazioni verminose come il complice di Greenspan Larry Summers, ha scatenato negli ultimi due decenni la più grande iperinflazione globale della storia mondiale.

Ora ci troviamo in un momento in cui l'economia della sezione transatlantica dell'economia mondiale sta inclinandosi in una crisi peggiore persino di quella iperinflazionistica di Weimar nell'autunno 1923, più modesta di quella odierna.

La forma di questa crisi è iperinflazionistica nello stesso senso della fase che la crisi di Weimar raggiunse dalla primavera all'autunno 1923; ma l'attuale caso è già, immediatamente, molto peggiore di quanto si conosca nella storia moderna dalla Pace di Westfalia del 1648. Infatti, l'intenzione britannica nel ruolo di punta che essa svolge come fattrice del collasso imminente, eseguita col concorso di rilevanti creduloni in Germania e altrove, è quella di "porre fine al sistema di Westfalia".

L'aspetto più critico degli sviluppi post-2001 incentrati sui mercati finanziari transatlantici è un collasso dell'economia reale allo stesso tempo che l'espansione di titoli puramente fittizi, nominali, come quelli associati ai mercati finanziari derivati, si è impennata oltre tutte le stime possibili fino a raggiungere la dimensione di oltre un quadrilione (un milione di miliardi, ndt.) di dollari USA nominali, in ciò che sono gli attuali titoli finanziari senza valore che inquinano i conti dei mercati di Wall Street e del Commonwealth britannico. Il tasso di aumento del rapporto tra il capitale finanziario puramente fittizio e il capitale produttivo definito da un metro Glass-Steagall per l'attivitá bancaria commerciale, è ora pienamente iperbolico.

Il mondo nel suo insieme, specialmente la regione transatlantica, è così attualmente sull'orlo di un collasso globale che trasformerà tutte le forme di denaro nominale di ogni nazione in uno stato di inutilità su tutti i mercati internazionali. In breve, una crisi generale da collasso globale, che sta colpendo il mondo transatlantico più direttamente ma che ben presto inghiottirà l'intero pianeta.

Per questa situazione c'è solo un rimedio; tutte le altre alternative vanno ritenute clinicamente folli. Tale rimedio è l'applicazione immediata dello standard rigoroso del 1933 per una legge Glass-Steagall condivisa da un concerto di grandi nazioni, che comprendano la nazione statunitense libera dalla marionetta britannica Obama, per stabilire una solida rete di sistemi bancari commerciali nazionali che operino secondo tali strette regole.

A questo scopo, ho prescritto un nucleo composto dall'alleanza tra USA senza Obama, Russia, Cina e India, una "iniziativa delle quattro potenze" mirante a coinvolgere numerose altre nazioni del mondo in una forma di sistema globale a tassi di cambio fissi.

Stiamo ora entrando in una fase della attuale situazione globale, in cui presto arriveremo al punto in cui ci sarà un collasso dell'intero pianeta, con effetti genocidi che dureranno alcune generazioni, a meno che non agiamo per imporre il repentino rimedio , ben prima del settembre 2010, di una riforma globale Glass-Steagall tra la maggior parte delle potenze mondiali tranne quei casi attualmente incurabili come il sistema del Commonwealth britannico (pur tuttavia, sarei lieto di accogliere un Regno Unito che opti per la più prudente alternativa di accettare il mio disegno).

Due generazioni sotto gli effetti di una tale crisi da collasso sarebbero sufficienti, si stima, per ridurre la popolazione mondiale dai circa 6,8 miliardi – specialmente la parte più povera della popolazione – all'obiettivo del principe Filippo d'Inghilterra e del suo World Wildlife Fund: meno di 2 miliardi, per la maggior parte esemplari di una specie rozza e miserabile.

La questione dei tempi

Non è affatto difficile presentare una stima credibile di quando sarà raggiunto il punto di non ritorno.

Stimate sia l'ordine di grandezza del rapporto definito dall'aumento di debito finanziario senza valore, associato ai derivati finanziari e simili (massa finanziaria "A") e la porzione attualmente crollante di flussi monetari che corrispondono alla caratteristica di uno standard Glass-Steagall (massa finanziaria "B"). Il rapporto è iperbolico (coloro che non ne riconoscono la natura iperbolica chiudano gentilmente il becco). Come mostrano i costi dei "salvataggi" USA dall'agosto 2007, se paragonati a simili tendenze in Europa occidentale, c'è un insieme di tendenze che mostra chiaramente perché il Gruppo bancario Inter-Alpha, che rappresenta a tutti gli effetti il 70% delle banche ufficiali del mondo, è già irrimediabilmente in bancarotta, se si considerano le due categorie di titoli finanziari nominali. La tendenza che abbiamo visto nello stesso periodo in cui la fantasia dell'Euro è stata imposta in tutta l'Europa centrale e occidentale, significa che attualmente ci troviamo già sul fronte di un'onda d'urto, un punto in cui non ci sono speranze per la continua esistenza civile dell'umanità su questo pianeta, a meno che lo standard Glass-Steagall non sia imposto in modo immediato ed efficace.

by Movisol

31 luglio 2010

LA VERA STORIA DELLA CRISI DEL DEBITO EUROPEO




I caffè di Atene sono pieni, frotte di turisti visitano ancora il Partenone e saltano da un’isola all’altra nel favoloso Egeo. Ma sotto la facciata estiva, c’è confusione, rabbia e disperazione mentre il paese precipita nella sua peggiore crisi degli ultimi decenni.

I media mondiali hanno presentato la Grecia, la piccola Grecia, come l’epicentro della seconda fase della crisi finanziaria internazionale, allo stesso modo in cui ha ritratto Wall Street come il ground zero della sua prima fase.

Tuttavia, si riscontra un’interessante differenza nelle storie che girano attorno a questi due episodi.

Storie in conflitto

Le attività sregolate delle istituzioni finanziarie, che hanno creato strumenti ancora più complessi per moltiplicare magicamente il denaro, hanno portato al crollo di Wall Street che si è trasformato nella crisi finanziaria globale.

Con la Grecia, tuttavia, la narrazione popolare recita così: questo paese ha raggiunto un insostenibile livello di indebitamento per costruire uno stato di welfare che non poteva permettersi, ed ora è visto come lo spendaccione che deve stringere al cinghia. Bruxelles, Berlino e le banche sono gli austeri puritani che esigono una penitenza dagli edonisti del Mediterraneo per aver vissuto al di là delle loro possibilità e per aver peccato d’orgoglio ospitando le costose Olimpiadi del 2004.

Questa penitenza arriva sotto forma di un programma dell’UE e del FMI che prevederà l’aumento del tasso nazionale dell’IVA al 23%, l’estensione dell’età di pensionamento a 65 anni, sia per gli uomini che per le donne, dei tagli profondi alle pensioni ed ai salari del settore pubblico e l’eliminazione delle pratiche che promuovono la sicurezza di lavoro. Lo scopo apparente di questa mossa è di snellire lo stato di welfare e lasciare che i greci vivano nell’ambito delle loro possibilità.

Sebbene la storia dello stato di welfare presenti degli sprazzi di verità, è fondamentalmente scorretta. La crisi greca ha essenzialmente origine dallo stesso impulso frenetico del capitale finanziario di trarre profitto dalla massiccia ed indiscriminata estensione del credito che ha portato all’implosione di Wall Street. La crisi greca rientra nel modello disegnato da Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff nel loro libro This Time Is Different: Eight Centuries of Financial Folly [“Stavolta è Diverso: Otto Secoli di Follia Finanziaria”, ndt] – periodi di prestiti sfrenati e speculativi seguiti inesorabilmente da default dei debiti pubblici, o quasi default. Come la crisi del debito del Terzo Mondo negli anni ’80 e quella finanziaria in Asia negli ultimi anni ’90, il cosiddetto problema del debito pubblico di paesi come la Grecia, la Spagna ed il Portogallo è principalmente una crisi determinata dall’offerta, non dalla domanda.

Nel loro impeto di aumentare sempre più i profitti facendo prestiti, le banche europee hanno versato circa 2.5 trilioni di dollari alle economie europee che ora si trovano nei guai: Irlanda, Grecia, Belgio, Portogallo e Spagna. Le banche tedesche e francesi trattengono il 70% del debito di 400 miliardi di dollari della Grecia. Le banche tedesche sono state grandi compratrici di patrimoni di subprime dalle istituzioni finanziarie americane ed hanno applicato la stessa mancanza di discriminazione nel comprare i bond del governo greco. Da parte loro, le banche francesi, secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali, hanno aumentato i loro prestiti alla Grecia del 23%, alla Spagna dell’11%, al Portogallo del 26%.

La frenetica scena del credito greco non ha avuto come protagonisti i soli attori finanziari europei. La squadra della Goldman Sachs di Wall Street ha mostrato alle autorità finanziarie greche come degli strumenti finanziari, conosciuti come derivati, potevano essere usati per far “scomparire” grosse parti del debito, quindi far risultare buoni i conti nazionali a bancari impazienti di concedere ancora più prestiti. Poi, la stessa azienda ha fatto marcia indietro e, tramite un tipo di strumenti derivati commerciali conosciuti come “credit default swap” [sorta di assicurazione che il possessore di una obbligazione può contrarre per mettere al riparo l’importo investito, ndt], hanno scommesso sulla possibilità che la Grecia sarebbe venuta meno al pagamento, aumentando il tasso di interesse del paese dalle banche, ma ricavandone un piccolo profitto per se stessa.

Se c’è mai stata una crisi creata dalla finanza globale, la Grecia ne sta soffrendo proprio ora.

Dirottare la storia

Ci sono due motivi chiave per cui la storia della Grecia è diventata un racconto di ammonimento consumato dal tempo, che parla di persone che vivono al di là delle loro possibilità, piuttosto che un caso di irresponsabilità finanziaria da parte di investitori e bancari.

Prima di tutto, le istituzioni finanziarie hanno dirottato con successo la storia della crisi per il loro tornaconto personale. Le grandi banche ora sono davvero preoccupate delle terribili condizioni dei loro stati patrimoniali, indeboliti come sono dai patrimoni tossici di subprime che si sono accollati e rendendosi conto di aver sovraesteso gravemente le loro operazioni di prestito. Il modo principale con il quale cercano di ricostruire i loro stati patrimoniali è generare nuovi capitali usando i loro debitori come pedine. Come colonna portante di questa tragedia, le banche cercano di persuadere le autorità pubbliche a finanziarle ancora una volta, come fecero nella prima fase della crisi sotto forma di fondi di soccorso e tassi ufficiali di sconto ridotti.

Le banche erano fiduciose che i governi dominanti dell’Eurozona non avrebbero mai permesso il default alla Grecia ed agli altri paesi europei altamente indebitati, in quanto avrebbe portato al collasso dell’Euro. Con i mercati che scommettevano contro la Grecia ed il suo aumento del tasso di interesse, le banche sapevano che i governi dell’Eurozona sarebbero ricorsi a pacchetti di finanziamenti, la maggior parte dei quali sarebbero andanti incontro al pagamento degli interessi del debito greco. Promosso come un soccorso alla Grecia, il massiccio pacchetto di 100 miliardi di Euro, messo insieme dai governi dominanti dell’Eurozona e dal FMI, andrà per lo più in soccorso alle banche per la loro irresponsabile e sregolata smania dei prestiti.

Le banche e le istituzioni finanziarie internazionali hanno giocato lo stesso vecchio gioco della fiducia con i debitori nei paesi in via di sviluppo durante la crisi del debito del Terzo Mondo negli anni ’80, come anche in Thailandia ed Indonesia durante la crisi finanziaria in Asia negli anni ’90. Le stesse misure di austerità – conosciute poi come regolazioni strutturali – sono state la conseguenza dell’esagerazione dei prestiti delle banche del nord e degli speculatori. E c’è stato lo stesso scenario: addossare la colpa sulle vittime facendole apparire come persone che vivono al di là delle loro possibilità, fare in modo che le agenzie pubbliche vengano in soccorso con pagamenti anticipati ed accollare alla gente il terribile compito di ripagare il prestito impegnando una massiccia parte dei loro flussi di credito presenti e futuri come pagamenti alle agenzie di credito.

Senza dubbio le autorità stanno preparando simili massici pacchetti di soccorso da miliardi di Euro per le banche che si sono sovraestese in Spagna, Portogallo e Irlanda.

Riversare la colpa

Il secondo motivo per promuovere la storia del “vivere al di là delle loro possibilità”, nel caso della Grecia a degli altri paesi gravemente indebitati, è quello di deviare la pressione da una regolamentazione finanziaria più rigida, proveniente dai cittadini ed i governi dall’inizio della crisi. Le banche vogliono la botte piena e la moglie ubriaca. Hanno assicurato fondi di finanziamento dai governi nella prima fase della crisi, ma non vogliono rispettare quello che i governi hanno presentato ai loro cittadini come parte essenziale dell’accordo: il rafforzamento della regolamentazione finanziaria.

I governi, dagli USA alla Cina e la Grecia, sono ricorsi a massicci programmi di politiche fiscali per prevenire il collasso dell’economia reale durante la prima fase della sua crisi. Promuovendo una storia che sposta l’attenzione dalla mancanza di regolamentazione finanziaria alle ingenti spese statali come problema chiave dell’economia globale, le banche cercano di prevenire l’imposizione di un severo regime normativo.

Ma questo è giocare con il fuoco. Il vincitore del Premio Nobel Paul Krugman ed altri avevano avvertito che se questa versione dei fatti avesse avuto successo, la mancanza di nuovi programmi di politica fiscale e severe normative bancarie avrebbero provocato una profonda recessione, se non una vera e propria depressione. Sfortunatamente, come suggerito dal recente meeting del G20 a Toronto, i governi dell’Europa e degli USA stanno cedendo all’agenda poco lungimirante delle banche, che hanno l’appoggio di ideologi neo-liberali irriducibili che continuano a vedere lo stato interventista ed attivista come il problema di fondo. Questi ideologi credono che una profonda recessione – e persino una depressione – sia il processo naturale tramite il quale un’economia si stabilizza e che questo modo keynesiano di spendere per evitare il collasso servirà solo a rimandare l’inevitabile.

Resistenza: farà la differenza?

I greci non stanno di certo a guardare. Lo scorso 8 luglio, l’approvazione del pacchetto UE-FMI da parte del parlamento greco è stata accolta con enormi proteste. In una precedente protesta, molto più estesa, lo scorso 5 maggio, 400.000 persone si sono unite nella più grande dimostrazione dai tempi della caduta della dittatura militare del 1974. Eppure, le proteste in strada sembrano servire poco ad evitare la catastrofe sociale che il programma UE-FMI scatenerà. L’economia è tale da contrarsi del 4% nel 2010. Secondo Alexis Tsipras, presidente della coalizione di sinistra del parlamento (Synapsismos), è probabile che il tasso di disoccupazione aumenti dal 15% al 20% in due anni, con un tasso del 30% previsto tra i giovani.

Come anche per la povertà, un recente sondaggio congiunto del Kapa Research e la London School of Economics ha rivelato che, anche prima della crisi attuale, quasi un terzo degli 11 milioni di greci vivevano sull’orlo della miseria. Questo processo di creare un “terzo mondo” all’interno della Grecia sarà accelerato dal programma di assestamento dell’UE e del FMI.

Ironicamente, questo assestamento è presieduto da un governo socialista, capeggiato da Georges Papandreou, eletto alla carica lo scorso ottobre per annullare la corruzione della precedente amministrazione conservatrice e gli effetti nocivi delle sue economie politiche. “All’interno del partito di Papandreou c’è resistenza nei confronti del piano dell’UE-FMI”, ammette Paulina Lampsa, il segretario internazionale del partito. Ma la sensazione schiacciante all’interno del contingente parlamentare del partito è, usando una famosa espressione di Margaret Thatcher, “TINA: There Is No Alternative” [Non ci sono alternative, ndt].

Le conseguenze dell’obbedienza

Di fronte alle conseguenze selvagge del programma, un numero sempre crescente di greci parla di adottare la strategia di minacciare il default o un radicale riduzione unilaterale del debito. Un tale approccio potrebbe essere coordinato, dice Tsipras, con gli altri paesi europei oppressi dai debiti, come il Portogallo e la Spagna. L’Argentina potrebbe fare da modello: ha dato un taglio alla percentuale dei suoi creditori nel 2003, pagando solo 25 cent per ogni dollaro che gli doveva. Non solo l’Argentina se l’è cavata così, ma le risorse che altrimenti avrebbero costituito interessi del debito che il paese doveva pagare sono state incanalate nell’economia domestica, dando il via ad una crescita economica media annuale del 10% tra il 2003 ed il 2008.

La “Soluzione Argentina” è di certo piena di rischi. Ma arrendersi ha delle conseguenze dolorosamente chiare, se si esaminano i registri dei paesi che hanno sottoscritto il programma di assestamento del FMI. Sganciando annualmente circa il 25-30% del bilancio statale per i creditori stranieri, le Filippine sono entrate in un decennio di inattività nella metà degli anni ’80, dalla quale non si sono mai riprese e che l’hanno condannate ad un tasso permanente di povertà di più del 30%. Spremuto da misure di assestamento draconiane, il Messico è stato risucchiato in vent’anni di continua crisi economica, con conseguenze come il dilagante narcotraffico che l’ha portato sul punto di essere uno stato fallito. L’attuale stato della guerra di classe virtuale in Thailandia può essere in parte fatto risalire alle ricadute politiche della sofferenza economica imposte dal programma di austerità del FMI dieci anni fa.

L’assestamento della Grecia da parte di Bruxelles e del FMI mostra che il capitalismo finanziario alle prese con la crisi non rispetta più la divisione tra Nord e Sud. I cinici direbbero: “Benvenuta nel Terzo Mondo, Grecia”.

Ma questo non è il momento per il cinismo. Piuttosto, è un momento chiave per la solidarietà globale. Ci siamo tutti dentro, adesso.
DI WALDEN BELLO

Titolo originale: "Greek Mythology: The Real Story of the European Debt Crisis"

Fonte: http://www.yesmagazine.org

30 luglio 2010

Wikileaks cancella le omissioni

Se qualcuno sottovaluta l’oscuro potere omissivo di non dare le notizie, anche quelle certe e documentate, nascondendole dietro la cortina (quasi) impenetrabile del “top secret”, invocando (a sproposito) la “sicurezza nazionale”, egli è un suddito che accetta che la propria nazione agisca, come gli USA in Afghanistan, al di fuori di tutte le convenzioni internazionali, dove le torture, gli squadroni della morte, i bombardamenti sui civili, i suicidi dei soldati impegnati in queste porcherie, sono fatti da secretare come se non fossero mai accaduti.

Il sito wikileaks (leaks: falla, fuga, trapelare) ha pubblicato documenti relativi a tali informazioni. e quindi è solo grazie ad internet che abbiamo la certezza di queste notizie, che gettano pesantissimi dubbi sul fatto che gli USA siano una democrazia, visto che è il Pentagono a decidere la prosecuzione di una guerra, feroce, fuori da ogni controllo internazionale (dov’è l’ONU?), nascondendo ai contribuenti americani che, dopo 8 anni e spese enormi, la partita è quasi sicuramente perduta, omettendo di dare notizie vere sull’ andamento del conflitto e quindi ritenendo i cittadini americani dei sudditi a cui dare solo le notizie gradite all’apparato militare.

Il fastidio con cui anche il presidente Obama ha reagito alla pubblicazione dei documenti su Wikileaks, dimostra che il suo potere non è grande come quello del Pentagono, tanto è vero che, invece di porre immediatamente fine a questa aggressione voluta da Bush, risparmiando vite e denaro, pensa addirittura ad un aumento del numero di soldati per una (impossibile) “vittoria”. Nemmeno di fronte ad una precisa documentazione del fallimento di questa guerra, ad una constatazione dei metodi terroristici usati dai mercenari del Pentagono, alle cifre sul numero dei morti e dei costi economici, ai suicidi e ai mutilati che, ritornati in patria, impazziscono e sparano nel mucchio, un Presidente americano è in grado di dare ordini al Pentagono (e quindi alla lobby degli armamenti), e far finire immediatamente questa follia.

La grande democrazia americana, nel caso che un presidente fermi il Pentagono, prevede la sola opzione di fermare il presidente, con una bella pallottola. Obama lo sa bene e si sdegna per la fuga di notizie, che naturalmente “mettono a rischio la sicurezza nazionale”.

Ecco la formula salvavita che protegge i politici dal potere del Pentagono e del “complesso militare industriale”, che è di gran lunga il primo potere americano, che ben ricorda il DNA di questa nazione, nata rubando la terra ai nativi, sterminandoli e, successivamente, basando il suo sviluppo sullo sfruttamento bestiale della schiavitù, il tutto a mano armata, Il litio, il rame, l’oro che sono abbondanti nel sottosuolo dell’Afghanistan, sono il vero scopo e la “lotta al terrorismo” e “l’esportazione della democrazia” sono le balle che i sudditi americani si bevono senza reagire. Ancora più paradossale appare la partecipazione dell’Italia, che, mentre perde uomini e soldi per compiacere il grande fratello USA, continua a sostenere che il mattatoio afgano è una missione di pace.

di Paolo De Gregorio

La morte della cartamoneta






Mentre si preparano per la lettura estiva in Toscana, i banchieri della City stanno facendo incetta delle rare copie di un testo oscuro sulla meccanica dell’inflazione durante la Repubblica di Weimar pubblicato nel 1974.

Ebay offre un volume letto e riletto di ‘Dying of Money : Lessons of the Great German and American Inflations’ ad un prezzo d’offerta iniziale di $699 dollari (senza spese di spedizione… grazie tante).

Il punto cruciale arriva al capitolo 17 intitolato ‘Velocity’. Ogni grande inflazione -- sia quella dei primi anni ’20 in Germania, che quella della guerra contro la Corea o il Vietnam negli Stati Uniti -- inizia con un’espansione passiva della quantità denaro. Che rimane inerte per un periodo sorprendentemente lungo. I prezzi delle azioni possono salire, ma l’inflazione latente dei prezzi è camuffata. L’effetto è simile a quello di una ricarica per accendini su un falò prima che sia stato ancora acceso il fiammifero.



La volontà delle persone di detenere il denaro può cambiare improvvisamente per una ‘ragione psicologica e spontanea’, provocando una punta della velocità [di circolazione] monetaria. Invariabilmente, i cambiamenti colgono gli economisti di sorpresa. Aspettano troppo per drenare l’eccesso di denaro.

‘La velocità è salita quasi ad angolo retto nell’estate del 1922’, ha detto il sig. O Parsson. I funzionari della Reichsbank erano perplessi. Non riuscivano a capacitarsi del perché i tedeschi avessero iniziato a comportarsi in modo diverso quasi due anni dopo che la banca aveva già aumentato la fornitura di denaro. Sostiene che la pazienza del pubblico è saltata di colpo nel momento in cui la gente ha perso fiducia ed ha incominciato a ‘sentire puzza di bruciato nel governo’.

Qualcuno sorride di fronte alla ‘sorpresa’ della Banca d’Inghilterra per il recente aumento dell’inflazione in Gran Bretagna. Dall’altra parte dell’Atlantico i critici della Fed dicono che la crescita della base monetaria degli USA da $871 bilioni di dollari a $2024 bilioni di dollari in due soli anni è una pira incendiaria che prenderà fuoco non appena la velocità del denaro negli USA tornerà alla normalità.

La Morgan Stanley si aspetta una carneficina delle obbligazioni quando questa raggiungerà la Fed, predicendo che il rendimenti dei buoni del tesoro americani saliranno al 5,5 per cento. Questo non è mai successo finora. I rendimenti di 10 anni sono scesi al 3 per cento, e la velocità dell’aggregato monetario M2 è rimasta ai minimi storici di 1,72.

Come appartenente alla fazione della deflazione, credo che la Banca e la Fed abbiano ragione a mantenere i nervi saldi e a ritardare la sospensione dello stimolo -- anche se è una tesi più facile da sostenere negli Stati Uniti dove l’inflazione core è scesa al minimo dalla metà degli anni ’60. Ma il fatto che il libro di O Parsson sia improvvisamente richiesto nei circoli elitari dei banchieri è in sé un segno del genere di cambiamento del comportamento che può diventare fine a se stesso[1] .

Per l’appunto, un altro libro degli anni ’70 intitolato ‘When Money Dies : the Nightmare of the Weimar Hyper-Inflation’ è stato appena ristampato. Scritto dall’ex parlamentare europeo conservatore Adam Fergusson -- e consigliato da Warren Buffett come un libro da leggere assolutamente -- si tratta di un vivido resoconto tratto dai diari di coloro che hanno vissuto durante il fermento in Germania, in Austria e in Ungheria mentre gli imperi andavano smembrandosi.

La vicina guerra civile tra città e campagna era un tratto comune in questo crollo dell’ordine sociale. Frotte di cittadini mezzi morti di fame e vendicativi invadevano i villaggi per sottrarre cibo agli allevatori, accusati di accaparrarselo. Il diario di una ragazza ha descritto la scena nella fattoria di suo cugino. Ha scritto: ‘nella carretta ho visto tre maiali macellati. La stalla era tutta bagnata di sangue. Una vacca era stata macellata lì dove si trovava e le era stata strappata la carne dalle ossa. Quei mostri avevano tagliato la mammella della miglior mucca da latte, così che l’abbiamo dovuta sopprimere immediatamente. Nel granaio uno straccio bagnato di benzina bruciava ancora, a dimostrazione di quello che queste bestie avrebbero voluto fare’.

I pianoforti a coda divennero una sorta di moneta di scambio mentre i membri impoveriti delle elite dei funzionari pubblici barattavano i simboli del loro vecchio status con un sacco di patate o con un pezzo di pancetta. C’è un momento straziante in cui ciascuna famiglia borghese inizia a capire che i loro titoli di prim’ordine e il loro ‘war loan’, (il prestito di guerra) non riprenderanno mai più. Li aspetta la rovina irreversibile. Delle coppie di anziani si sono suicidate con il gas nei loro appartamenti. Gli stranieri con i dollari, le sterline, i franchi svizzeri o le corone ceche vivevano nell’opulenza. Venivano odiati. ‘I tempi che corrono ci hanno reso cinici. Tutti vedono il nemico in tutti gli altri’, ha detto Erna von Pustau, figlia di un mercante di pesce di Amburgo.

Un gran numero di persone non hanno intuito quello che sarebbe successo. ‘i miei conoscenti e i miei amici erano degli stupidi. Non capivano cosa volesse dire l’inflazione. E i nostri avvocati non erano di meglio. Il direttore di banca di mia madre le ha dato dei consigli terribili’ ha detto una signora con conoscenze influenti.

‘Si vedeva gradualmente cambiare l’aspetto dei loro appartamenti. Ci si ricordava dove una volta c’era stato un quadro o un tappeto, o un secretaire. Alla fine le loro stanze erano quasi del tutto vuote. Alcuni di loro chiedevano l’elemosina -- non per le strade -- ma facendo visite casuali. Si sapeva fin troppo bene per che cosa erano venuti’.

La corruzione divenne incontrollata. La gente per strada veniva derubata del cappotto e delle scarpe con il coltello puntato. I vincitori erano quelli che -- per sorte o per piano -- avevano ottenuto ingenti prestiti dalle banche per investire su beni concreti, o conglomerati industriali che avevano emesso obbligazioni. Ci fu un grande trasferimento di ricchezza da risparmiatore a debitore, nonostante il Reichstag abbia in seguito approvato una legge che legava i vecchi contratti al prezzo dell’oro. I creditori hanno recuperato qualcosa.

Prese piede una teoria di cospirazione che l’inflazione fosse un complotto degli ebrei per rovinare la Germania. La valuta venne definita ‘Judenfetzen’ (coriandoli – ebrei), accennando alla catena di eventi che avrebbero portato dieci anni dopo alla Kristallnacht.

Se la storia di Weimar è uno studio senza tempo di disintegrazione sociale, non può far molta luce sugli eventi del giorno d’oggi. La causa scatenante finale del crollo del 1923 fu l’occupazione francese della Ruhr, che ha strappato un grosso pezzo dell’industria tedesca, innescando una resistenza di massa.

Lloyd George sospettava che i Francesi stessero cercando di far precipitare la disintegrazione della Germania sostenendo lo stato secessionista della Renania (come effettivamente facevano). Per un breve periodo i ribelli hanno formato un governo separatista a Dusseldorf. Con giustizia poetica, la crisi si è ritorta contro Parigi ed ha distrutto il franco.

La pace cartaginese di Versailles aveva a quel punto già avvelenato tutto. Era un dovere patriottico non pagare le tasse che sarebbero state sequestrate per i pagamenti delle riparazioni di guerra al nemico. Influenzata dai bolsceviti, la Germania era diventata un calderone comunista. Gli spartachisti hanno cercato di prendere il controllo di Berlino. I ‘soviet’ lavoratori proliferavano. Gli scaricatori di porto e i lavoratori marittimi occuparono le centrali di polizia ed eressero barricate ad Amburgo. Centinaia di comunisti rossi combatterono battaglie letali contro le milizie di destra.

I nostalgici complottavano per la ristorazione della monarchia di Baviera dei Wittelsbach e della vecchia valuta, il tallero sostenuto dall’oro. Il senato di Brema emise le proprie banconote legate all’oro. Altri emisero valute legate al prezzo della segale.

Questo non è il quadro dell’America, della Gran Bretagna, né dell’Europa del 2010. Ma dovremmo stare attenti a non abbracciare la teoria opposta e troppo rassicurante che questa non sia altro che una lieve ripetizione della “decade persa” del Giappone, ossia uno scivolamento lento ed ampiamente benevolo nella deflazione, mentre il deleveraging del debito esercita la sua disciplina.

Il Giappone era il maggior creditore esterno del mondo quando la bolla del Nikkei è scoppiata vent’anni fa. Aveva un tasso di risparmio privato pari al 15 per cento del PIL. I Giapponesi hanno gradualmente ridotto questo tasso al 2 per cento, attutendo gli effetti della lunga depressione. Ma gli anglosassoni non hanno questa possibilità.

C’è la chiara tentazione per l’Occidente di districarsi dagli errori della bolla degli asset di Greenspan, della bolla del credito di Brown, e dalla bolla sovrana dell’UME automaticamente attraverso l’inflazione. Ma questo rappresenta un pericolo per gli anni a venire. Per prima cosa abbiamo lo shock della deflazione della vita. Dopo -- e solo a questo punto -- le banche centrali saranno disposte a rischiare di perdere il controllo del loro esperimento di stampa, mentre decolla la velocità. Un problema alla volta per favore.

di Ambrose Evans-Pritchard

Fonte: www.telegraph.co.uk

29 luglio 2010

Wikileaks e le stragi ingestibili



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Sul'onda delle rivelazioni clamorose di Wikileaks di questi giorni, riproponiamo un articolo pubblicato lo scorso 7 aprile dopo un altro massiccio "sgocciolamento" di notizie "scomode". Il pezzo cercava di ricordare perché le rivelazioni vanno inquadrate all'interno di determinate congiunture storiche che le rendono possibili. Il fatto che nel frattempo il «Washington Post» si sia anch'esso svegliato dal trentennale torpore è una conferma: sulle questioni militari, ai piani alti del mondo, c'è maretta.

La strage indiscriminata compiuta dal cielo sopra Baghdad non sembra perdersi nel grande e indistinto bagno di sangue mesopotamico. Stavolta si nota subito che quel che vediamo è insolito. Incontriamo da vicino il punto di vista sbrigativo e crudele degli occupanti statunitensi, sentiamo le loro parole irridenti mentre demoliscono ogni ipocrisia sulle “regole d'ingaggio”. Merito di Wikileaks, un sito che fa trapelare molte verità scomode, con una cadenza ormai così fitta da spingere il Pentagono a brigare per chiuderlo: il web è un fronte primario della lotta fra guerra e verità.

E mentre il giornalismo alla «Washington Post» vive ancora della rendita d'immagine del Watergate, uno scoop di oltre trent'anni fa, Wikileaks in tre anni di vita ha inanellato una serie impressionante di rivelazioni. In genere si tratta di dossier confidenziali ben documentati e sottoposti a preliminare verifica da parte di centinaia di collaboratori. Fra gli scoop: il ruolo della banca svizzera Julius Baer nel riciclaggio internazionale, il manuale delle procedure a Guantanamo, i negoziati segreti sul trattato dei diritti d'autore, i dettagli su Scientology, i retroscena del crac finanziario islandese, ecc. E ora lo "snuff movie" dell'invasione irachena.

Le fonti delle notizie trapelate sono i cosiddetti «whistleblowers». La parola non ne ha una che combaci nella nostra lingua. Letteralmente sarebbero coloro che fischiano e lanciano un allarme per via di una condotta illegale o minacciosa di un'organizzazione di cui fanno parte. Si tratta di funzionari, avvocati, impiegati, o anche semplici cittadini che si trovano fra le mani informazioni sensibili e decidono di farle conoscere. Nel farlo rivestono un ruolo misto fra “confidenti”, “obiettori di coscienza” e “attivisti politici”, mentre Wikileaks assicura loro un totale anonimato attraverso un sistema di codificazione dei dati. Una comunità di circa 800 giornalisti, informatici, matematici e attivisti cerca i riscontri alle informazioni e infine le pubblica sul sito.

Ovviamente siamo abbastanza grandicelli per comprendere come un tale sistema possa servire a certe cordate dei servizi segreti in lotta fra loro per guidare i meccanismi dell'informazione, con rivelazioni strategiche.

Anche il Watergate - che nell'interpretazione corrente è il trionfo del libero giornalismo anglosassone a guardia del potere – in realtà fu pilotato da “gole profonde” che davano voce a quella parte dell'establishment USA che voleva chiudere con la presidenza Nixon e la sua gestione della guerra del Vietnam. I funzionari che oggi sono così generosi di dossier a favore di Wikileaks sono espressione di una lotta di potere acuta, viste le difficoltà attuali sui fronti di guerra. Così come non è da sottovalutare la preoccupazione di militari che paventano l'ingestibile catastrofe etica della forza occupante, con soldati che dimenticano di non essere in un videogame, non usano la "forza minima necessaria" e attaccano chi soccorre i feriti. Così piovono dossier, denunce, filmati.

Il sito, con un modesto bilancio di 600mila dollari, addirittura non riesce a smaltire la tanta immondezza che gli viene riversata e raccontata in migliaia di files e schedature, tanto da scusarsene in homepage. Vagliare l'informazione costa tempo, denaro e risorse umane. Siamo esattamente agli antipodi di «Libero», il giornalismo emblema ormai planetario della notizia totalmente falsa.

Al di là degli usi strumentali possibili, questo porto franco dell'informazione, su cui transitano comunque documenti veri e verificati, preoccupa chi pianifica le guerre. Potremmo definirla una metarivelazione: Wikileaks il 5 aprile ha pubblicato un documento segreto proveniente da un'agenzia del Dipartimento della Difesa statunitense che indicava il sito come una «minaccia per la US Army». Nelle sue 32 pagine, dopo l'analisi sul rischio sicurezza addebitato a Wikileaks, il documento raccomandava di identificare e assicurare alla giustizia chi dà informazioni al sito, sputtanarlo con il massimo clamore, in modo da spezzare il rapporto di fiducia basato sul criptaggio promesso da Wikileaks.

Julian Assange, uno dei responsabili del portale delle soffiate, è tuttavia fiducioso: «ci sono tanti amici che ci vogliono bene» nel cuore dell'intelligence. Tanto che finora «nessuna fonte è stata rivelata dal momento della creazione del sito», nel dicembre 2006.

Se non interverrà il pugno di ferro, altre rivelazioni e immagini cruente seguiranno, come ad esempio i filmati dell'attacco aereo USA in Afghanistan del 7 maggio 2009, che uccise 97 civili.

La frontiera del nuovo giornalismo passerà anche su questi video.

di Pino Cabras

28 luglio 2010

Ungheria. Ue e Fmi invocano la ”lesa maestà”…









Un oltraggio inqualificabile. Anzi: un delitto di Lesa Maestà.
E’ più o meno questo, come riferisce il paludato – però, soltanto a volte – The Times, il sentimento di fastidio e, di più, di irritazione, verso Budapest che aleggia da qualche giorno a Bruxelles e a Washington. Figuriamoci.
Come i lettori di Rinascita sanno, il primo ministro magiaro, Viktor Orbán, si è permesso di rinviare al mittente, pensate voi…, le nuove Direttive Lacrime e Sangue, la terapia d’urto sociale immaginata per rendere più “austero” il bilancio pubblico ungherese.
Un vero e proprio affronto.
I monetaristi lamentano un tale attacco e lo descrivono come “irresponsabilità fiscale”.
Invece di “tagliare” servizi pubblici, assistenza sociale e benessere, la minuscola Ungheria si è permessa di dire “no” alle sagge proposte di “austerità” immaginate per lei dai banksters dell’Ue e del Fmi. Rischiando addirittura la non “concessione” del rimanente terzo di aiuti (20 miliardi di euro in tutto) che le due istituzioni usuraie avevano stanziato a suo tempo per “liberalizzare”, “privatizzare”, “strangolare il fiorino e la società magiara.
Chi legge Rinascita, dicevamo, queste cose le sa da una settimana. Quella che invece è una novità è il tono del “Times”. L’opinionista Adam LeBor, infatti, nel descrivere l’evento, nell’edizione di ieri, sembra aver letto il nostro povero quotidiano. LeBor non lesina infatti due o tre sintomatici aggettivi qualificativi-dispregiativi per descrivere la supponenza dell’Ue o del Fmi verso le sovranità nazionali dei singoli Stati.
E ricorda pure che Commissione Ue, Fmi, agenzie di rating e quant’altro (Bce inclusa, anche se non è nominata) sono organismi “non eletti” dai popoli – ergo: non… democratici – al soldo della globalizzazione finanziaria.
Chi legge Rinascita sa anche che il Parlamento di Budapest è oggi per due terzi rappresentato dalla destra (il Fidesz: una sorta di ex An) e da un folto gruppo nazionalista – lo Jobbik – che è diventato la vera opposizione (o comunque la spina nel fianco) al partito di maggioranza di Orbán.
Chi legge Rinascita ha anche preso ben nota che, invece di procedere a tagli di pensioni, stipendi o ad aumenti di imposte sui redditi dei cittadini e dei produttori, il governo magiaro ha deciso di tassare, ahiahiahi.., le banche. Lo 0,5 dell’attivo dichiarato dagli istituti bancari al 31 dicembre 2009, andrà a finire nelle casse dello Stato.
Come scrive l’anomalo Adam LeBor, i mutui a tassi variabili che, introdotti dalle banche, hanno invaso l’Ungheria nel nome della “globalizzazione”, data un’unità di misura 100.000 (euro) sono ora lievitati a 140.000, con poche possibilità di essere coperti dai contraenti.
E sempre come scrive l’opinionista del Times “nel 1956 gli ungheresi si sollevarono contro la tirannia sovietica, sperando di innescare una reazione a catena… chissà se sollevandosi contro i despoti del capitalismo ci riusciranno”.
Auguri al popolo ungherese.
di Ugo Gaudenzi -

Fiat. Dove sbaglia Giorgio Bocca?







Nell’ultimo numero de “l’Espresso”, intitolando “dove sbaglia Marchionne”, Giorgio Bocca appare spiazzato e smarrito di fronte alla nuova strategia americana e ricattatoria della FIAT, inaccettabile da gente come lui che ha visto i rapporti industriali e la democrazia in eterno “progress”, e ora si trova con la logica della globalizzazione e una democrazia trasformata in dittatura da chi possiede i media.
La illusione di vedere un capitalismo regionale e civile traspare tutta da questa frase di Bocca: “Marchionne è certamente un manager intelligente, come lo fu prima di lui Cesare Romiti, e magari i toni ricattatori e autoritari possono servire nel tempo breve, ma non alla creazione di una durevole crescita civile”.
Si dà il caso che un manager pagato dagli azionisti Fiat ha come missione quella di aumentare i profitti, e se ne sbatte della crescita civile, dunque se in Serbia o in Polonia produce di più con meno costi la scelta è obbligata.

E’ la globalizzazione, che è stata accettata dagli industriali e dalla politica, che detta le leggi delle delocalizzazioni, del libero movimento dei capitali, e in questo regime è impossibile dare regole alla economia, né pretendere sensibilità, scrupoli o patriottismi per la crescita civile italiana.
La logica oggi in atto, quella del mercato che premia chi produce a costi minori, nel medio periodo è letale per i paesi cosiddetti avanzati e, se oggi contano ancora e tengono certi segmenti di tecnologia avanzata, presto le economie cinesi, indiane, coreane, brasiliane, ecc., vinceranno anche in quei settore e qui lasceranno solo disoccupazione o una occupazione decurtata di diritti, nociva alla salute, con ritmi di lavoro alti e poco riposo, niente sindacati né politica, salari bassi.

Quando si arriverà a questo bisognerà scegliere e decidere se questa maledetta globalizzazione ci conviene, ci fa vivere meglio, o se opportuno uscirne, riconvertire l’economia per i consumi interni, impedire ai capitali qualunque trasmigrazione, creare l’autosufficienza energetica con il sole, creare l’autosufficienza alimentare con una agricoltura tutta biologica, abolire l’esercito e le enormi spese militari, creare una guardia civile di sola difesa, uscire dall’Europa.
Caro Bocca, se tu misurassi l’etica civile degli industriali attraverso il metodo con cui smaltiscono i rifiuti delle loro produzioni, affidandoli a camorristi o mafiosi che li disperdono nell’ambiente con malati e morti, saresti un po’ meno ottimista e ci aiuteresti a passare ad una economia delle REGOLE, della legalità, del rispetto assoluto dell’ambiente e della salute delle persone.
di Paolo De Gregorio

27 luglio 2010

I file segreti sull’Afghanistan: com’è facile manipolare i media…


afghanistanLo scoop di Wikileaks che poche ore fa ha diffuso 92mila file segreti del Pentagono dimostra che per sei anni il governo americano ha mentito ai media.

Sia chiaro: nessuno si aspetta che dalle autorità trapeli sempre la verità, ma qui siamo di fronte a una colossale manipolazione della realtà. Scopriamo stragi di civili fatte passare sotto silenzio, collusioni imbarazzanti dei servizi pakistani con Al Qaida, missili americani Stinger, che erano stati forniti a Bin Laden negli anni Ottana e poi usati contro le forze americane. Veniamo a sapere che la situazione sul terreno è molto peggiore di quanto avessero ammesso ovvero che i talebani controllano zone molto ampie del territorio afghano e che la formazione delle forze di sicurezza di Karzai è poco più che una farsa; dunque che la missione internazionale è servita a poco.

A essere danneggiata è, innanzitutto, la reputazione degli Stati Uniti, che viene messa per la seconda volta fortemente in dubbio. Dopo le frottole sull’Irak ecco quelle sull’Afghanistan. Chi crederà ancora alla loro parola?

Da notare, a conferma di una tesi sostenuta da tempo su questo blog, che con Obama non è cambiato nulla: mente come mentiva Bush.

Durante i miei corsi universitari, incentrati sullo spin, evidenzio come sia possibile orientare l’insieme dei media. Sapendo che l’80% delle notizie è di fonte istituzionale, la qualità dell’informazione dipende non solo dai giornalisti, ma innanzitutto dalla correttezza e dalla trasparenza di chi opera all’interno delle istituzioni.

Se il governo o, nel caso specifico, la Casa Bianca e il Pentagono decidono una linea e riescono a imporre una disciplina ai propri funzionari, dunque a evitare fughe di notizie sgradite, riescono a orientare non un giornale, ma l’insieme dei media.

Una delle tesi, provocatorie, che sostengo è che gli scoop siano sovente illusori, in quanto impiantati ad arte da chi detiene il potere. La vicenda di Wikileaks rafforza questa mia convinzione: per sei anni il Pentagono ha nascosto notizie colossali. Non una, ma tante, tantissime; in teoria sarebbe stato facile venirne a conoscenza, perlomeno in parte, considerata anche la lunghezza del periodo. Invece nessun giornalista, nemmeno d’inchiesta è riuscito a bucare la ferrea disciplina dell’ufficio comunicazione di Pentagono e Casa Bianca.

Periodo nel quale all’opinione pubblica, americana e internazionale, sono state propinate tantissime frottole.

Come non indignarsi?


di Marcello Foa

26 luglio 2010

Fiat: cavallo di troia degli americani





La Fiat sta bluffando e pratica la ritorsione contro il governo italiano dopo che quest’ultimo si è rifiutato di estendere gli incentivi sulla rottamazione anche per il 2010.
Da un punto di vista oggettivo si materializza quella funzione antinazionale del Gruppo torinese della quale abbiamo sempre detto e che ora genera danni anche sui livelli occupazionali e sulla gestione delle relazioni industriali nel nostro paese. Del resto, nonostante si faccia un gran parlare di ritorno alle logiche del libero scambio e di un ripristino di competitività non assistita dallo Stato, attraverso innovazioni e razionalizzazione dei processi, sono ancora gli aiuti pubblici a tenere in piedi il Lingotto. E’ questa la vera ed unica delocalizzazione realizzata da Fiat nel mercato globale: se prima era l’Italia a foraggiare direttamente Torino adesso ci pensano Obama e gli Stati dell’UE che godono delle agevolazioni comunitarie. Anche in Serbia, dove l’azienda ha annunciato che produrrà la nuova Musa sottraendola a Mirafiori, l’impegno fattivo di Fiat sarà di circa 1/3 dei fondi, il resto lo metterà il governo serbo e la BEI. C’è poi la questione dei bassi salari e dei vantaggi fiscali ma qui Marchionne, come giustamente ricordato da Luciano Gallino, ha fatto la figura dello smemorato poiché quattro anni fa aveva detto che "il costo del lavoro rappresenta il 7-8 per cento, dunque è inutile picchiare su chi sta alla linea di montaggio pensando di risolvere i problemi”. Già, il manager italo - canadese ci avrà ripensato guardando ai dati del mercato europeo del primo semestre 2010 che mettono Fiat con le spalle al muro. Torino perde in Europa il 20,8%, nessuno ha fatto peggio. La sua quota di mercato è appena del 7,4%, sesta Casa automobilistica nel vecchio continente. I numeri impietosi testimoniano che le macchine dell’azienda italiana non sono all’altezza di quelle prodotte dai suoi competitors e addirittura sono molto al di sotto degli standard di qualità delle altre case automobilistiche. “A Torino sono poco competitivi in termini di capacità progettuale e commerciale. Da anni, lo sanno tutti”, dice Bankomat su Dagospia. Ed è un fatto che abbiamo rimarcato anche noi riportando più volte le statistiche su ricerca e sviluppo, con Fiat che spende poco e male su questo versante. Renault, Volkswagen, Toyota lavorano meglio della Fabbrica Italiana Automobili Torino per questo trovano consensi tra i consumatori e riescono a mantenere un livello di vendite accettabili. E persino Ford produce autovetture di migliori caratteristiche pur concedendo poco allo stile e al design. Non dimentichiamo inoltre che la Ford ha deciso di camminare sulle proprie gambe da molto tempo, rifiutando di accedere ai finanziamenti statali che pure Obama aveva messo a sua disposizione per affrontare la crisi, proprio mentre le omologhe GM e Chrysler si attaccavano come idrovore alla mammella pubblica. Resta da valutare con attenzione questo ruolo di pedina che la Fiat americanizzata gioca nel contesto italiano. Il suo potere di ricatto è elevato e può agire su qualsiasi governo non allineato ai diktat occidentali semplicemente innescando una caduta occupazionale, preludio ad una successiva quanto indotta crisi sociale. Il caos è lo strumento attraverso il quale i nemici della nazione, ovvero quei poteri internazionali che vogliono il paese succube di precisi orientamenti filo-atlantici, s’insinueranno maggiormente nella vita politica e istituzionale del paese per irretirlo nella maglie di una predominanza sempre più asfissiante e debilitante. Nonchè per privarlo di qualsivoglia autonomia decisionale. La Fiat è uno dei cavalli di troia per soggiogare il nostro Stato e solo per questa finalità gli americani l’hanno “comprata”.

di Gianni Petrosillo

25 luglio 2010

Un campo di battaglia tra bande mercenarie legate allo straniero





Premessa indispensabile

Ci sono quelli che pretendono di squalificare ogni analisi non piatta e conformista come tendenza a “vedere complotti”; per di più, anzi, un complotto diretto da una Mente diabolica. Essendo di derivazione marxista, mai sono stato incline a simili sciocchezze. Devo però a volte “soggettivare” (o perfino assegnare il nome di un dato personaggio a) certe tendenze, che si affermano in campo storico per il concorso congiunto di numerose circostanze sociali, tra cui scelgo quelle che, in base alle ipotesi che reggono il mio discorso, ritengo essere le più fondamentali e produttive di effetti.
Così pure, quando parlo di un dato “corpo organizzato” (ad es. la magistratura o un partito che ha “cambiato campo”, ecc.) in quanto soggetto di date azioni, non intendo affatto sostenere che esso è un reale soggetto; so benissimo che è composto di molti individui, ognuno con la sua storia personale, le sue inclinazioni, magari la sua buona fede nell’uso che fa degli strumenti a sua disposizione. Tuttavia, sempre per il concorso di specifiche contingenze storiche (ad es. il crollo del “socialismo reale” o l’attuale fine del monocentrismo statunitense con l’avvio di una fase multipolare, ecc.), l’azione di quel “corpo organizzato” presenta una sua direzione prevalente rispetto alle altre; e questa direzione diventa una ben precisa funzione che quel (solo ideale) soggetto svolge nell’ambito della particolare congiuntura storica venutasi a creare.
Quando però scrivo un articolo (che è già lungo di per suo) non posso ad ogni rigo ricordare quanto precede. Lo si tenga sempre ben presente nella lettura del testo. Nessun complotto particolare, ma comunque andamento perverso (dal mio punto di vista ovviamente) delle azioni compiute dai “soggetti” oggi in vista nel campo economico, politico, ideologico, ecc. E, logicamente, illustrazione delle supposizioni circa la funzione svolta da altri “soggetti”, che si occultano dietro le quinte in quanto registi e suggeritori degli attori (scadenti, dei veri guitti) in recita sul palcoscenico.

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Da mesi si sta discutendo se la stagione attuale assomigli o meno a quella di “mani pulite”. Si discute però di questioni del tutto marginali e svianti, lasciando accuratamente da parte la sostanza del problema: da quasi vent’anni, da quando si decise di far fuori il “vecchio regime” Dc-Psi, non si dibatte più in termini politici, bensì cianciando solo di giustizia, di moralità, di decenza (puramente formale), ecc. Valori, e soprattutto programmi e progetti fra loro alternativi, sono pure chiacchiere generiche, condotte senza alcuna convinzione. Non si combatte l’avversario cercando di dimostrare che si è più congrui di lui per governare; l’importante è delegittimarlo in qualsiasi modo. Se costui dice bianco, è necessario far credere che il giusto sta nel nero; se invece cambia opinione e dice nero, allora è indispensabile sostenere che il giusto si trova “incontestabilmente” nel bianco. L’importante è il “gioco di rimessa”, accompagnato da un’“opportuna” campagna scandalistica condotta con mezzi che nulla hanno a che vedere con quello che normalmente si intende per confronto (e scontro) politico.
Vi è una parte “politica” (ma che tutto fa tranne che politica) definita “sinistra” solo perché il suo nucleo fondamentale deriva da quello che fu il Pci; i comunisti, quando erano effettivamente tali, combattevano però la sinistra come uno degli attori nella “recita” della democrazia definita borghese. Quando abiurarono il loro passato – e furono per ciò stesso designati a rappresentare gli interessi di quelli che formalmente erano stati loro nemici fino al giorno prima: l’“imperialismo” americano e il “grande capitale” – divennero “sinistra” essi stessi. Quelli che si opposero loro per pura difesa e per non essere annientati, ereditando quella quota di popolazione che aveva sempre appoggiato Dc e Psi e dunque avversato il Pci, furono denominati “la destra”. La “sinistra” – quella divenuta tale dopo il “crollo del muro” – continuò a pescare per un certo periodo di tempo nei ceti popolari, in particolare in quelli di tipologia operaia. Oggi nemmeno questo è più vero o quanto meno è sempre meno vero. Così com’è sempre più problematico vedere nella “destra” la difesa del lavoro detto “autonomo”, della piccola imprenditoria, ecc. Se non altro perché la stessa “destra”, nel mentre la sedicente “sinistra” marcisce con progressione inarrestabile, si è ora divisa in parti contrapposte; ancora una volta su questioni puramente formali, senza che si veda un qualsiasi coerente progetto, sia di politica estera che interna.
Non essendovi battaglia di tipo politico in senso proprio, tutto è spostato sul terreno della delegittimazione dell’avversario perfino alla semplice esistenza. Gli uni vengono presentati come ancora comunisti mascherati; il presunto comunismo – identificato in modo rozzo e semplicistico con i paesi detti “socialisti” – è stato battuto, si è sbriciolato; e tuttavia, essendo stato abile ad infiltrarsi in un dato corpo dello Stato, la magistratura, continuerebbe subdolamente a sopravvivere in Italia. Gli altri (la “destra”) – poiché non si può più attaccarli, come solitamente faceva il Pci nel mondo bipolare, in quanto rappresentanti di “imperialismo” e “grande capitale” – sono trattati da semplici banditi, mafiosi, comunque moralmente corrotti o corruttibili. Poiché in effetti la magistratura – non perché infiltrata da “comunisti”, bensì perché risponde a determinati “poteri forti”, di tipo interno e soprattutto internazionale – usa i mezzi a sua disposizione secondo “due pesi e due misure”, favo-rendo sempre la “sinistra” contro la “destra”, è facile per quest’ultima attaccarla e dimostrare che la sua “giustizia” è pura e semplice partigianeria, faziosità; perché questo è in effetti il suo peculiare modo d’agire in Italia.
Così la politica è sparita ed è subentrata una lotta intorno ai temi della moralità, della decenza (formale), della corruzione o meno, di ciò che sarebbe “giusto” o “ingiusto”. Qualche volta, costretti dall’attacco degli avversari, certi media della “destra” – ecco perché è più facile per noi citare questi piuttosto che gli altri organi di (dis)informazione – mettono in luce come magistratura, e giornali ad essa strettamente collegati (quasi un corpo unico), siano manovrati da ampi settori dei “poteri forti” di tipo interno; a volte questi ultimi vengono anche nominativamente indicati e denunciati quali gruppi interessati a delegittimare la “destra” in quanto meno consona al loro predominio incontra-stato. Tuttavia, ci si ferma a mezza strada, anzi perfino ad un quarto, nella denuncia di tali settori di “devastazione nazionale”. Il quadro della lotta ne risulta stravolto, illeggibile nei suoi effettivi termini. E’ del tutto incomprensibile come decisivi settori di grande industria e finanza si servano di magistratura e partiti di tipo ancora “comunista”; soprattutto tenendo conto che il mondo definito (sia pure del tutto impropriamente) comunista è crollato, che la Cina detta ancora comunista viene indicata come paese ormai in preda ad uno sviluppo capitalistico e quindi sedotto dal suo (presunto) nemico.
Insomma, tutto è letto in modo distorto, in base a categorie vecchie e consunte; e soprattutto errate in radice, perfino se ci si riferisce all’interpretazione di eventi e di un mondo ormai (tra)passati. Resta il fatto che indubbiamente in Italia – ma perché proprio da noi? Perché non rispondere a questa domanda? – la magistratura è un corpo eversivo. Lo è però dal ’92-93. Essa favorisce certamente la “sinistra”, la quale è tuttavia nata da un’abiura, dal “passaggio di campo” di un partito, senza dubbio salvato dal fallimento generale del “socialismo reale”. Però, appunto, perché è stato salvato da questo fallimento? E per quali motivi la magistratura è stata in grado di devastare il quadro istituzionale italiano, aggredendo un’intera parte politica (e di questa parte, si sta cercando di salvare dall’azione giudiziaria una certa quota purché “tradisca”)? La magistratura sarà anche formata in prevalenza da individui di un certo orientamento politico; essa ha però potuto sviluppare una determinata azione, che ha sostituito completamente quella specificamente politica, perché si sono verificate in Italia – ma soprattutto continuano a verificarsi – contingenze assai particolari.
E’ ovvio che siamo in una situazione del tutto anomala da vent’anni. Nessuna forza politica ha valenza nazionale; si tratta di “bande mercenarie” che, nella loro maggioranza schiacciante, sono legate ad ambiti “atlantici” (quindi dominati dagli Stati Uniti). Di questa schiacciante predominanza degli ambiti suddetti approfittano, in “conflittuale cooperazione” (questo è un ossimoro del tutto ordinario in un sistema capitalistico), ambienti industriali e finanziari di particolare osservanza servile nei confronti del sistema statunitense. Tali ambienti hanno una preferenza evidente e netta per forze sedicenti politiche nate dal rinnegamento del precedente schieramento (ideale e materiale; e, nel mondo bipolare, anche internazionale); le quali, per ciò stesso, sono legate mani e piedi – e ricattabili non appena osassero disobbedire – al compito loro assegnato di sicari pronti a tutto senza tante esitazioni o dubbi. Coloro che si sono difesi dall’attacco di questi parassiti (quelli da me denominati GFeID, grande finanza e industria decotta) – si tratta di alcuni spezzoni dell’impresa già “pubblica”, dell’imprenditorialità di piccole, in alcuni casi anche medio-grandi, dimensioni appartenenti a settori nati all’ombra del vecchio regime abbattuto da “mani pulite” – sono evidentemente concorrenti della GFeID; e sono stati troppo direttamente, e quindi scopertamente, rappresentati da un imprenditore.
Da tale configurazione particolare assunta dal sistema economico-politico italiano è derivata la sua congenita debolezza in fatto di perseguimento di interessi nazionali. Anche chi si è difeso dall’attacco della GFeID – e dalle forze dell’abiura e rinnegamento del proprio passato, con il mas-siccio impiego di un corpo dello Stato che ha danneggiato irreparabilmente il complessivo assetto istituzionale del paese – ha fatto tutto il possibile per dimostrare ai predominanti d’oltreoceano d’essere a loro fedele, pur essendo costretto, ma appunto per sole ragioni difensive, ad avere rapporti del tutto minori con “l’altra parte del mondo”, quella in cui sono venute emergendo negli ultimi anni alcune potenze in competizione con gli Usa.

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Per me (per noi) la situazione è ormai perfettamente chiara; ma è invece del tutto oscura per la stragrande maggioranza della popolazione che non ha tempo né strumenti per seguire queste trame nascoste guidate dall’estero e appoggiate da gruppi (sub)dominanti felloni e proni di fronte ai (pre)dominanti statunitensi.
Nel 1992-93 fu tentato un autentico colpo di Stato, eliminando forze fedeli nella sostanza all’atlantismo, ma con un minimo di gioco autonomo in quanto favorite dall’esistenza del mondo bipolare. Si ritenne di poterle sostituire con degli aperti rinnegati pronti ad ogni tradimento pur di salvarsi dal crollo di quella parte di mondo dove erano un tempo riposte le loro aspirazioni “sociali-stiche”. Tuttavia, dei rinnegati e venduti di questa fatta non potevano svolgere alcuna politica di ri-cambio pronta per un paese vissuto per decenni nella convinzione, nutrita dalla maggioranza della popolazione, che il “comunismo” fosse il Male pressoché assoluto (in ogni caso, in “quei paesi” le condizioni di vita erano assai inferiori alle nostre). Fu dunque necessario spostare l’asse della lotta dalla politica alla “Giustizia”, utilizzando un corpo dello Stato che ha da quel momento assunto un’oggettiva valenza eversiva e si è mosso sconvolgendo l’ordinamento istituzionale del paese.
La sedicente “sinistra” – solo forze del tradimento “comunistico” rafforzate da spezzoni di de-mocristiani e socialisti altrettanto traditori per salvarsi dal naufragio del regime abbattuto mediante opera giudiziaria – non ha mai avuto una politica che sia una. L’unica strada battuta è stata l’antiberlusconismo. Si è creata, grazie al controllo degli apparati culturali e del meschino ceto in-tellettuale che ben conosciamo, un’ideologia del “politicamente corretto” e del bon ton, secondo la quale Berlusconi impersona la volgarità e il contrasto più netto con lo chic dei “salotti buoni” dei dominanti spostati sulla “sinistra”. La “classe” operaia è stata lasciata perdere e ci si è dedicati alla conquista soprattutto dei notabili dell’apparato pubblico, in quanto ossatura di nuovi clientelismi; questi però ben protetti dalla Magistratura che non è mai andata a fondo – solo per citare pochi e-sempi – su scandali come quelli della sanità pugliese, della Banca 121 del Salento, dell’eolico in Calabria (al contrario di quello sardo, in cui si possono indagare i “destri”), ecc. ecc. Esattamente come, per fare un solo esempio, “mani pulite” si disinteressò del miliardo di Gardini arrivato fino alle Botteghe Oscure, in base al principio – ammesso solo per quelli di “sinistra” – che i vertici del Pci “potevano non sapere” dove fossero finiti quei soldi.
Tuttavia, la sola ideologia non è sufficiente a battere quei settori, rappresentatisi in Berlusconi, che hanno resistito alla buriana di “mani pulite” e hanno quindi, sempre per fare un esempio, salvato dalla completa privatizzazione Eni, Enel e Finmeccanica. Per continuare l’opera di “mani pulite” i rinnegati del piciismo e il loro ignobile e farsesco ceto intellettuale non bastano certamente. E’ stata dunque proseguita l’opera giudiziaria pur se in tono minore e con tempi più lunghi adeguati alla nuova situazione internazionale creatasi in base alla dissoluzione dell’Urss e al progressivo sposta-mento dei paesi europei orientali verso uno smaccato filo-americanismo. Per 10-12 anni sembrò che ci si fosse ormai addentrati nel monocentrismo fondato sul predominio statunitense. Era dunque possibile attendere tempi più lunghi per perfezionare definitivamente il colpo di Stato di “mani puli-te”. La lotta continuò comunque ad allontanarsi sempre più dalla politica (pur perseguendo obiettivi del tutto politici); fu sempre diretta contro una persona, Berlusconi, in quanto volgare e bandito.
Almeno a partire dal 2003 divenne evidente la rinascita della Russia, evento che ha fatto precipi-tare una nuova “congiuntura” internazionale; molto più che non la presunta potenza cinese, sempre esistita anche dopo il “crollo del muro”. C’è chi si ostina a non vedere questa realtà: non è stata la Cina a preoccupare nuovamente gli Usa, ma il risorgere della Russia, per null’affatto comunista. Si è poi aggiunta la crisi del 2008 che, malgrado i peana di ottimismo, non è destinata a finire presto. E anche qui ci si ostina a voler calcare la mano sul suo aspetto finanziario. In questo modo si alternano gli entusiasmi dei “crollisti” (schematici anticapitalisti) e di quelli che invece intravedono l’uscita dal tunnel. Come non è stata la Cina, bensì la rinascita russa, a impensierire gli strateghi statunitensi, così non è la crisi finanziaria l’oggetto precipuo dell’attenzione di questi ultimi, bensì la netta sensazione di una lunga crisi strisciante legata ad un mondo fattosi “più stretto” in quanto incamminatosi verso il multipolarismo.
Finito in pratica il monocentrismo Usa e rimessasi vivacemente in movimento la politica inter-nazionale, basata sul conflitto, di una incipiente nuova fase storica, ecco allora che ci si avvicina in Italia all’ultimo atto. Politicamente non esistono forze adeguate a sostenere la colonizzazione statu-nitense, con l’appoggio dei lacchè costituiti dalla GFeID. La “sinistra” è sempre più sfatta; anche quelle poche riserve – costituite da coloro che avevano finto di restare “comunisti” per tenere ag-ganciate piccole quote elettorali di “nostalgici” – sono state esaurite. Il “centro” è quello che è; la “destra responsabile”, cioè giustizialista e antiberlusconiana, serve a scompaginare lo schieramento avversario, non certo a formulare una qualsiasi politica. Ormai dentro l’antiberlusconismo c’è tutto e il contrario di tutto; soprattutto personaggi di uno squallore cavernoso. Quindi è necessario accen-tuare nuovamente al massimo grado l’azione giudiziaria. Si troveranno “pentiti” a iosa. Non importa se, com’è accaduto di recente con Mannino e Formica (rispettivamente, dopo 16 e 17 anni), salterà fuori che non avevano commesso nulla (almeno di quanto gli era stato contestato). Quel che conta è il risultato immediato: l’eliminazione di ogni forma di resistenza, l’allineamento di quelle poche aziende parzialmente “pubbliche” ai voleri americani (e dei loro lacchè italiani), la fine di ogni ten-tativo di fare qualche affare verso est e verso sud. L’Italia deve essere totalmente succube degli a-mericani, in modo da costituire fra l’altro una loro testa di ponte nella stessa Unione Europea.
Una vera resistenza a questo ormai finale tentativo non sussiste, non può sussistere. Una resi-stenza siffatta non riesce a vivere di improvvisazione, di qualche contatto o mediazione verso la Russia; per di più cercando negli ultimi mesi di attenuare tale politica il più possibile per non indi-spettire chi ti sta conculcando e stringendo viepiù il cappio al collo. Chi agnello si fa, il lupo se lo mangia. Cedere è il modo migliore per consegnarsi senza più difese a chi ti vuol distruggere. Ma resistere significherebbe, a questo punto, cambiare totalmente “sinfonia”, dire con chiarezza che cos’è in gioco e quale partita si sta giocando e con quali protagonisti. Bisognerebbe smascherare gli americani, attaccare brutalmente la GFeID indicandola come un gruppo di traditori degli interessi del paese. E’ senza dubbio urgente tagliare le unghie a questa Magistratura; non però perché comu-nista, di sinistra, o altre sciocchezze simili. Essa va invece indicata quale esecutrice di un colpo di Stato strisciante organizzato dalla tanto evocata, ma mai attaccata fino in fondo, “manina d’oltreoceano”.
Insomma, occorrerebbe tornare alla politica, alla grande politica che si nutre di forti conflitti, in un mondo nuovamente multipolare, in cui una media potenza come l’Italia potrebbe avere un suo ruolo, agendo però con chiarezza di intenti, individuando senza più infingimenti i suoi nemici, quelli che stanno organizzando la nostra “colonizzazione” aggirando nuovamente il discorso politico e anzi attaccando “la Casta” (tutta corrotta), mentre solo i golpisti si ergono a Supremi Giudici del Bene e del Male. Berlusconi ha ormai fallito un benché minimo obiettivo nazionale; perché non se l’è mai veramente posto. Si è così circondato di uomini pronti a tradirlo alla prima occasione. Lui li ha por-tati in alto sempre per tenere buoni gli Usa, per trasmettere loro un messaggio rassicurante circa le sue intenzioni di restare fedele alla vocazione atlantica. Tuttavia, non poteva non differenziarsi dalla GFeID, dai suoi scherani preferiti (innanzitutto di “sinistra”, ma poi anche di “centro”, di “destra”, a seconda delle varie occasioni). Non poteva non difendere qualche spezzone della vecchia guardia dell’industria “pubblica”, del ceto piccolo-medio imprenditoriale, ecc. Così si è sempre trovato alla fine abbandonato ora da questo ora da quello degli spinti filoamericani da lui stesso nominati a posti di vertice.
Occorre la formazione di ben altro gruppo organizzato che parli chiaro, che riporti tutto sul piano della politica e di ciò che si sta giocando nella lotta multipolare in cui l’Italia è invischiata pie-namente, più di ogni altro paese europeo. Un’epoca è già finita (ne riparleremo in altra occasione). Si deve tornare alla lotta politica. Si deve senza alcun dubbio denunciare la magistratura quale agente di sovversione; ma non raccontando menzogne sul suo “comunismo”, bensì indicando chi la muove, chi se se ne serve per fini suoi propri in contrasto con quelli di indipendenza nazionale.
Andando avanti così, a breve salterà fuori un nuovo “pentito Buscetta” (questa volta Spatuzza), si discuterà di tutto salvo che di politica e a Berlusconi resterà la scelta. Fare come Andreotti, che accettò di essere eliminato dalla scena politica e impiegò i successivi 10 anni a dimostrare l’insussistenza o non provabilità dei fatti ascrittigli. Così evitò qualsiasi discussione intorno alle sue azioni politiche, che sono in genere trattate con benevolenza e considerate la dimostrazione della sua “fine” intelligenza. Oppure fare come Craxi, opponendosi e agitandosi invano, sempre minacciando di rivelare i veri motivi per cui fu perseguito e sconfitto politicamente senza in realtà mai farlo; per cui passa ancor oggi come ladrone presso gran parte dell’opinione pubblica.
Riprenderemo l’argomento perché rivelatore della vera anomalia italiana: assenza di una politica nazionale condotta con coerenza e stabilità. Da troppo tempo ormai siamo semplicemente un campo di battaglia tra bande mercenarie legate allo straniero.
di Gianfranco La Grassa

23 luglio 2010

Appello ai divoratori di futuro



Durante il suo breve tempo sulla Terra, la specie umana ha mostrato una notevole capacità di auto-distruggersi. I Cro-Magnon hanno mandato al creatore i pacifici Neanderthal. I conquistadores, con l’aiuto del vaiolo, hanno decimato le popolazioni native delle Americhe. La moderna guerra industriale del 20° secolo ha tolto circa 100 milioni di vite, per lo più civili. Ed ora stiamo seduti passivi ed ottusi, mentre le società ed i leaders delle nazioni industrializzate garantiscono che il cambiamento climatico sarà così veloce da comportare l’estinzione della nostra specie. Come sottolineato dal biologo Tim Flannery, gli homo sapiens sono i “divoratori del futuro”. In passato, quando una civiltà andava a gambe all’aria per l’avidità, la cattiva amministrazione e l’esaurimento delle risorse naturali, gli esseri umani migravano da qualche altra parte per ricominciare il saccheggio. Ma stavolta i giochi sono finiti. Non c’è nessun altro posto dove andare.

Le nazioni industrializzate hanno passato l’ultimo secolo usurpando metà del pianeta e dominando la maggior parte dell’altra metà. Abbiamo esaurito il nostro patrimonio naturale in maniera vertiginosa, soprattutto i combustibili fossili, per prendere parte ad un’orgia di consumismo e spreco che ha avvelenato la Terra ed ha attaccato l’ecosistema dal quale dipende la vita umana. È stata quasi una festa per i membri dell’elite industrializzata. Ma è stata alquanto stupida.

Stavolta il collasso sarà globale. Ci disintegreremo insieme. E non c’è via di scampo. L’esperimento di vita sedentaria durato 10.000 anni sta per arrivare ad una tremenda fine. Ed il genere umano, convinto di avere il dominio sulla Terra e su tutti gli essere viventi, riceverà una dolorosa lezione sulla necessità di equilibrio, ritegno ed umiltà. Non esiste alcun monumento o rovina che risalga a più di 5.000 anni fa. Come nota Ronald Wright nel suo A Short History Of Progress [“Breve Storia del Progresso”, ndt], la civiltà “occupa un mero 0.2% dei 2 milioni e mezzo di anni da che il nostro primo avo ha affilato una pietra”. Addio Parigi. Addio New York. Addio Tokyo. Benvenuti alla nuova esperienza dell’esistenza umana, dove il prerequisito per la sopravvivenza è rovistare alla ricerca di cibo nelle isole delle latitudini del nord. Ci consideriamo creature razionali. Ma è razionale aspettare come pecore in un ovile mentre le compagnie del petrolio ed del gas naturale, le compagnie del carbone, le industrie chimiche, le fabbriche di plastica, l’industria automobilistica, le fabbriche di armi ed i leader del mondo industriale, come hanno fatto a Copenhagen, ci conducono verso l’estinzione di massa? È troppo tardi per prevenire un profondo cambiamento del clima. Ma perché aggiungere benzina sul fuoco? Perché permettere alla nostra élite regnante, guidata dalla brama del profitto, di accelerare questa spirale mortale? Perché continuare ad obbedire alle leggi ed alle regole dei nostri carnefici? Brutte notizie. La disintegrazione del ghiaccio del Mare Artico in accelerazione significa che probabilmente il ghiaccio estivo scomparirà nell’arco dei prossimi dieci anni. Gli oceani assorbiranno ancor più radiazioni solari, facendo aumentare in modo notevole il tasso di surriscaldamento globale. La terra di ghiaccio della Siberia scomparirà, provocando l’esalazione di fumi di metano dal sottosuolo. Lo strato di ghiaccio della Groenlandia ed i ghiacciai dell’Himalaya e del Tibet si scioglieranno. Nel dicembre 2007, Jay Zwally, scienziato climatico presso la NASA, ha dichiarato: “Spesso ci si riferisce all’Artide come al canarino nelle miniere di carbone per il cambiamento climatico. Ora, come segno di tale cambiamento, il canarino è morto. È il momento di cominciare ad uscire fuori dalle miniere di carbone”. Ma raramente la realtà costituisce un impedimento alla follia umana. I gas serra del mondo hanno continuato a crescere dopo la dichiarazione di Zwally. Dal 2000, le emissioni globali di anidride carbonica (CO2) da combustibili fossili sono aumentate del 3% all’anno. A questo ritmo, le emissioni annuali si raddoppieranno ogni 25 anni. James Hansen, capo del Goddard Institute for Space Studies presso la NASA, nonché uno dei principali esperti sul clima, ha avvertito che continuare a surriscaldare il pianeta sarà “la ricetta per il disastro globale”. Come stimato da Hansen, il livello di sicurezza di CO2 nell’atmosfera deve essere inferiore alle 350 parti per milione (ppm). Il livello attuale di CO2 è di 385 ppm ed è in continua crescita. Già questo garantisce conseguenze terribili, anche se agissimo immediatamente sul taglio delle emissioni di CO2. Per 3 milioni di anni, il ciclo naturale del carbone ha assicurato che l’atmosfera contenesse meno di 300 ppm di CO2, dando sostentamento all’ampia varietà di forme di vita del pianeta. L’idea che oggi viene difesa dall’élite aziendale, o almeno la parte in contatto con la realtà del surriscaldamento globale, è quella di oltrepassare intenzionalmente i 350 ppm e poi tornare ad un clima più sicuro attraverso un taglio rapido e drammatico delle emissioni. Ovviamente, questa è una teoria pensata per assolvere l’élite dal loro attuale non agire. Ma come scrive Clive Hamilton nel suo libro Requiem for a Species: Why We Resist the Truth About Climate Change [“Requiem per una Specie: Perché Resistiamo alla Verità sul Cambiamento Climatico”, ndt], anche “se le concentrazioni di anidride carbonica raggiungessero i 550 ppm e dopo di che le emissioni scendessero a zero, le temperature globali continuerebbero comunque a crescere per almeno un altro secolo”. Copenhagen probabilmente è stata l’ultima occasione che avevamo per salvarci. Barack Obama e gli altri leader delle nazioni industrializzate l’hanno sprecata. Un cambiamento climatico radicale è sicuro. Ora si tratta solo di vedere quanto sarà negativo. I meccanismi del cambiamento del clima, avvertono gli scienziati, creeranno presto un effetto domino che potrebbe spingere la Terra in uno stato caotico per migliaia di anni prima di poter riacquistare il suo equilibrio. “Se gli esseri umani saranno ancora una forza del pianeta, o se riusciranno a sopravvivere, è una questione inutile”, scrive Hamilton. “Una cosa è certa: saremo molti di meno”. Siamo diventati preda dell’illusione che siamo in grado di controllare e modificare il nostro ambiente, che l’ingenuità umana garantisca l’inevitabilità del progresso umano e che il nostro dio secolare della scienza ci salverà. “L’intossicante convinzione che possiamo conquistare qualsiasi cosa si sta scontrando con una forza più grande, la Terra stessa”, scrive Hamilton. “La prospettiva di scampare il cambiamento climatico sfida la nostra insolenza tecnologica, la nostra fede illuminista nella ragione e l’intero progetto modernista. La Terra potrebbe presto dimostrare che, alla fine dei conti, non può essere domata e che la brama dell’uomo di controllare la natura ha solo fatto risvegliare una bestia assopita”. Siamo di fronte ad una terribile verità politica. Coloro che detengono il potere non agiranno con l’urgenza richiesta per proteggere la vita dell’uomo e dell’ecosistema. Le decisioni sul destino del pianeta e della civiltà umana sono in mano a dei troll etici ed intellettuali come Tony Haward della BP. Questi padroni della politica e delle aziende sono guidati da un codardo desiderio di accumulare ricchezza a spese della vita umana. Lo fanno nel Golfo del Messico. Lo fanno nella provincia meridionale cinese di Guangdong, dove l’industria dell’export sta prosperando. La trasformazione della Cina in un capitalismo totalitario, fatta in modo da inondare i mercati mondiali con merci a basso costo, sta contribuendo alla drammatica crescita delle emissioni di anidride carbonica, di cui si prevede un raddoppiamento del tasso in Cina entro il 2030, da poco più di 5 miliardi di tonnellate quadrate a poco meno di 12 miliardi. Questo degrado del pianeta da parte delle società è accompagnata da un degrado dell’essere umano. Nelle fabbriche di Guangdong vediamo il nostro avversario negli occhi. Il sociologo Ching Kwan ha trovato “fabbriche sataniche”, nella zona industriale a sud-est della Cina, che “vanno ad un ritmo talmente snervante che i limiti fisici e la forza corporea dei lavoratori vengono messi a dura prova ogni giorno”. Alcuni impiegati hanno giornate lavorative dalle 14 alle 16 ore, senza un momento di pausa durante il mese fino al giorno di paga. In queste fabbriche, per un impiegato è del tutto normale lavorare 400 ore o più al mese, soprattutto nell’industria tessile. La maggior parte dei lavoratori, osserva Lee, sopportano salari non pagati, deduzioni illegali e tassi salariali sotto la norma. Vengono spesso abusati fisicamente e non ricevono indennizzo se infortunati sul lavoro. Ogni anno una dozzina o più di lavoratori muore per il troppo lavoro solo nella zona di Shenzhen. Con le parole di Lee, le condizioni di lavoro “vanno oltre la nozione marxista di sfruttamento ed alienazione”. Un sondaggio pubblicato nel 2003 dall’agenzia di stampa ufficiale cinese, [Chine News Agency, ndt], citato nel libro di Lee Against the Law: Labor Protests in China’s Rustbelt and Sunbelt [“Contro la Legge: Proteste sul Lavoro nelle Rustbelt e Sunbelt della Cina”, ndt], osserva che 3 lavoratori immigrati su 4 hanno problemi a mettere insieme il salario. Ogni anno, scrive Lee, una ventina di lavoratori minaccia di commettere suicidio buttandosi di sotto o dandosi fuoco per i salari non pagati. “Se pagare il lavoro di un individuo è un assioma fondamentale dei rapporti di lavoro del capitalismo, molti impiegati cinesi non sono ancora lavoratori in senso stretto”, scrive Lee. I leader di queste società oggi determinano il nostro destino. Non sono dotati di decenza o compassione umane. Eppure, i loro lobbisti fanno le leggi. Le loro aziende di pubbliche relazioni modellano la propaganda e la banalità pompate attraverso sistemi di comunicazione di massa. Il loro denaro determina le elezioni. La loro avarizia trasforma i lavoratori in servi globali ed il nostro pianeta in una terra desolata. Con l’avanzamento del cambiamento climatico, ci ritroveremo di fronte ad un scelta tra l’obbedire alle regole imposte dalle aziende e la ribellione. I nemici sono coloro che fanno lavorare degli uomini fino alla morte in fabbriche sovraffollate in Cina e trasformano il Golfo del Messico in una zona morta. Non meritano riforma o fiducia. La crisi climatica è una crisi politica. O sconfiggeremo l’élite aziendale, il che significherebbe la disobbedienza civile, un rifiuto della politica tradizionale in favore di un neo-radicalismo e la sistematica violazione delle leggi, oppure ci vedremo consumarci. Il tempo non è dalla nostra parte. Più aspettiamo, più la nostra distruzione è garantita. Il futuro, se restiamo passivi, ci verrà strappato via dagli eventi. Il nostro obbligo morale non è verso le strutture di potere, ma verso la vita.
Fonte: www.truthdig.com
di Chris Hedges

22 luglio 2010

La “legittimità” capitalistica delle crisi cicliche




Fra sdegno panico, nausea cosmica e pietas scientifica vanno ricercate le cause di un mio lungo silenzio circa lo stato di salute di quel “malato terminale” che è il capitalismo globalizzato. Ma d’altronde è ben dal 2005, in un saggio su “il Ponte” - raccolto poi tra il materiale con cui ho arricchito la seconda edizione del mio “Globalizzazione Scientificamente infondata” (2008) – che disegnavo lo scenario della implosione necessaria della globalizzazione insieme al lungo periodo di stagnazione che la avrebbe successivamente accompagnata. E tutto si va svolgendo secondo quella impietosa diagnosi.
Molti economisti(ci) reagendo scompostamente all’ennesimo sbugiardamento della loro “disciplina” indisciplinatamente tramutati in talent scout hanno giocato a scovare tra loro i pochi guru “formato Otelma” che avrebbero preconizzato i precisi tempi della crisi globale. Ciò costituirebbe poco scandalo qualora si trattasse di gazzettieri in cerca di scoop, per definizione alieni dalla conoscenza degli arcani della “scienza economica” che con fortunosa preveggenza Carlyle ebbe a definire “scienza triste”. In realtà quella definizione era fortunosa (emotivamente indotta dalla lettura del saggio sulla popolazione di Malthus che scontava inconsistenti e infondati esiti pessimistici circa il rapporto popolazione/ risorse per sfamare tutti), come dire “letteraria”. Infatti scientificamente parlando la “tristezza” di quella “scienza” è diventata praticamente infinita dovendola annoverare fra gli orrori della così detta “civiltà del capitalismo” e dei suoi supporter ed esegeti: gli economisti(ci).
All’interno di questa che può definirsi sicuramente come una cosca, in alcune sue celebratissime “logge” si pretende dalla economics la sua capacità di prevedere le crisi economiche così come è lecito chiedere a scienze di tipo deterministico tipo l’astronomia. Abbiamo a suo tempo indicato il professor Perotti - della Bocconi e dalle pagine del Sole24ore che non hanno mai visto una smentita a tale assurda presa di posizione - dopo tanto pellegrinaggio ed esperienze “amerikani” sposare un tale punto di vista: la scienza economica in quanto scienza dovrebbe poter prevedere giorno e modalità (dies certus an certus quando) delle crisi cicliche. A nulla valendo l’insegnamento di Schumpeter - per altro a ogni piè sospinto citato e osannato almeno quanto del tutto incompreso- che ha per sempre sancito “a futura memoria” il fatto che le crisi economiche nel capitalismo si presentano con irregular regularity , cioè in altri termini in modo “regolarmente irregolare” nel tempo, che è come dire in maniera imprevedibile smentendo Perotti, e l’intero codazzo dei suoi silenti colleghi in proposito.
Quando la calura e le molte angosce umane e sociali dei tempi che corrono ce lo permetteranno torneremo su questi aspetti che ben valgono maggiore insistenza di analisi e denuncia.
Al momento quel che vorremmo ricordare agli economisti(ci) è che la loro totale ignoranza sulla “legittimità” capitalistica delle crisi cicliche si mostra nel fatto che, al di là della richiesta di rigorosa prevedibilità di queste ultime nel senso “perottiano”- che “non sta né in cielo né in terra”- il fatto che non se ne sappia venire minimamente a capo in termini terapeutici è il vero segnale della permanente crisi scientifica della “scienza triste” anzi tristissima in sé per il suo permanente stato abortivo contrabbandato come scienza.
Ebbene dalla mia personale impostazione del problema - di cui sarà prima o poi il caso di dare una versione accessibile a un pubblico attento e non condizionato dai “professori ufficiali” - ne deriva invece una precisa cura o exit strategy che evidentemente non è concepibile neanche lontanamente con i magrissimi strumenti del mestiere degli economisti(ci). Questo non può sfuggire a chi dovesse studiare con serietà le cose che ho scritto in materia nell’ultimo quarto di secolo comunicandole senza smentite ai massimi livelli internazionali.
Con molta modestia e con un briciolo di imperdonabile romanticismo ho creduto di poter notificare questi ultimi aspetti all’attuale ministro dell’Economia di quel che resta della Repubblica Italiana. Ritenendo che, se certamente non alla sua portata i titoli e la materia propostagli gli suggerissero almeno di sottoporla a più attenti e acculturati collaboratori. Ma una tale sensibilità da parte di “Chance the Gardner” è stata parte di una mia sopravalutazione di uomini e cose che è tra i vizi meno paganti e appaganti della mia vita. Purtroppo avere a suo tempo soprannominato Tremonti “Chance the Gardner” alludendo al capolavoro interpretato da Peter Sellers nel film “Oltre il Giardino” non era una butade o una licenza poetico-giornalistica, ma una denuncia che va rilanciata con un pizzico di autocritica: più che un giardiniere Tremonti è un “contadino” di quelli a cui i fitofarmaci e la passivizzante tecnologia delle multinazionali Usa (e getta) hanno espunto nel tempo “il cervello fino” lasciandogli solo le “scarpe grosse”. In un’intervista alla stampa di domenica 18 Luglio, esprimendosi a proposito dell’ennesima cloaca venuta alla luce intorno al potere berlusconiano, Tremonti ha fatto il verso al suo padrone traducendone in versione bucolica la sentenza da questi emessa circa “ i quattro sfigati pensionati” della così detta P3. Per Tremonti, Verdini, Dell’Utri, Lombardi, Carboni, Cosentino & company sarebbero “una cassetta di mele marce pur scaturendo da un albero sano”. L’eresia botanica è palese (reiterati raccolti marci nel tempo impongono la segatura del relativo albero) e le cassette di mele dove il marciume passa da una alle altre è mera “sapienza” da fruttivendoli.
P.S.
Nella stessa occasione la su ricordata “Chance” ha detto che non v’è alternativa al suo attuale padrone. E rivelando che senza padroni non sa immaginare il proprio ruolo - com’era tipico del contadiname tardo medievale - il tributarista di Sondrio sempre sollecitato a esprimere un giudizio su un eventuale mutamento del quadro di governo in Italia ha rivelato che la cosa non sarebbe peraltro gradita dalla Ue. Con il che è chiara la piramide dei poteri che hanno affossato ogni anelito di indipendenza della nostra nazione. Se l’Europa ritiene indispensabile il nostro “piccolo Cesare” allora v’è il fondato sospetto che al posto di statisti di alto profilo il nostro continente sia nelle mani della “banda Bassotti” che invidia alla sua branche italica di essersi fusa con “zio Paperone” in un unico sodalizio.
di Vittorangelo Orati

21 luglio 2010

È cominciata la partita finale

Sin dalla mia previsione del 1956 su una forte e improvvisa recessione che sarebbe scoppiata tra il febbraio e marzo 1957, non ho mai pubblicato una previsione sull'economia USA che non si sia avverata così come io l'avevo formulata. Il motivo di questa distinzione tra me e tutti i miei cosiddetti rivali in questa materia è che essi hanno fatto affidamento su linee di tendenza statistico/monetariste, che sono inerentemente incompetenti per la stessa natura del metodo adottato.

Così, il risultato della mia serie di previsioni per gli USA negli anni sessanta condusse alla previsione di un probabile crollo del sistema di Bretton Woods nell'intervallo tra la fine degli anni sessanta e l'inizio dei settanta. Lo stesso si può dire per le mie varie previsioni nel corso degli anni '80, nel 1992, nel 1996-98, nel 2001, 2004 e della fine di luglio 2007.

Dunque, non ho mai fatto le previsioni che fanno i venali statistici; lascio tali sciocchezze ai giocatori di cavalli e di Wall Street; io prevedo intervalli di crisi che richiedono decisioni correttive, come faccio qui ed ora.

Spiego di che si tratta.


Già nel 1984, al tempo in cui il futuro presidente del Federal Reserve System Alan Greenspan stava ancora complottando per distruggere le protezioni assicurate all'economia americana dalla legge Glass-Steagall, quando il miserabile era funzionario della banca JP Morgan per conto dei mercati londinesi, il processo di bancarotta del mondo attraverso l'abrogazione di Glass-Steagall era già in corso.

La successiva abrogazione di Glass-Steagall, nel 1999, compiuta da infestazioni verminose come il complice di Greenspan Larry Summers, ha scatenato negli ultimi due decenni la più grande iperinflazione globale della storia mondiale.

Ora ci troviamo in un momento in cui l'economia della sezione transatlantica dell'economia mondiale sta inclinandosi in una crisi peggiore persino di quella iperinflazionistica di Weimar nell'autunno 1923, più modesta di quella odierna.

La forma di questa crisi è iperinflazionistica nello stesso senso della fase che la crisi di Weimar raggiunse dalla primavera all'autunno 1923; ma l'attuale caso è già, immediatamente, molto peggiore di quanto si conosca nella storia moderna dalla Pace di Westfalia del 1648. Infatti, l'intenzione britannica nel ruolo di punta che essa svolge come fattrice del collasso imminente, eseguita col concorso di rilevanti creduloni in Germania e altrove, è quella di "porre fine al sistema di Westfalia".

L'aspetto più critico degli sviluppi post-2001 incentrati sui mercati finanziari transatlantici è un collasso dell'economia reale allo stesso tempo che l'espansione di titoli puramente fittizi, nominali, come quelli associati ai mercati finanziari derivati, si è impennata oltre tutte le stime possibili fino a raggiungere la dimensione di oltre un quadrilione (un milione di miliardi, ndt.) di dollari USA nominali, in ciò che sono gli attuali titoli finanziari senza valore che inquinano i conti dei mercati di Wall Street e del Commonwealth britannico. Il tasso di aumento del rapporto tra il capitale finanziario puramente fittizio e il capitale produttivo definito da un metro Glass-Steagall per l'attivitá bancaria commerciale, è ora pienamente iperbolico.

Il mondo nel suo insieme, specialmente la regione transatlantica, è così attualmente sull'orlo di un collasso globale che trasformerà tutte le forme di denaro nominale di ogni nazione in uno stato di inutilità su tutti i mercati internazionali. In breve, una crisi generale da collasso globale, che sta colpendo il mondo transatlantico più direttamente ma che ben presto inghiottirà l'intero pianeta.

Per questa situazione c'è solo un rimedio; tutte le altre alternative vanno ritenute clinicamente folli. Tale rimedio è l'applicazione immediata dello standard rigoroso del 1933 per una legge Glass-Steagall condivisa da un concerto di grandi nazioni, che comprendano la nazione statunitense libera dalla marionetta britannica Obama, per stabilire una solida rete di sistemi bancari commerciali nazionali che operino secondo tali strette regole.

A questo scopo, ho prescritto un nucleo composto dall'alleanza tra USA senza Obama, Russia, Cina e India, una "iniziativa delle quattro potenze" mirante a coinvolgere numerose altre nazioni del mondo in una forma di sistema globale a tassi di cambio fissi.

Stiamo ora entrando in una fase della attuale situazione globale, in cui presto arriveremo al punto in cui ci sarà un collasso dell'intero pianeta, con effetti genocidi che dureranno alcune generazioni, a meno che non agiamo per imporre il repentino rimedio , ben prima del settembre 2010, di una riforma globale Glass-Steagall tra la maggior parte delle potenze mondiali tranne quei casi attualmente incurabili come il sistema del Commonwealth britannico (pur tuttavia, sarei lieto di accogliere un Regno Unito che opti per la più prudente alternativa di accettare il mio disegno).

Due generazioni sotto gli effetti di una tale crisi da collasso sarebbero sufficienti, si stima, per ridurre la popolazione mondiale dai circa 6,8 miliardi – specialmente la parte più povera della popolazione – all'obiettivo del principe Filippo d'Inghilterra e del suo World Wildlife Fund: meno di 2 miliardi, per la maggior parte esemplari di una specie rozza e miserabile.

La questione dei tempi

Non è affatto difficile presentare una stima credibile di quando sarà raggiunto il punto di non ritorno.

Stimate sia l'ordine di grandezza del rapporto definito dall'aumento di debito finanziario senza valore, associato ai derivati finanziari e simili (massa finanziaria "A") e la porzione attualmente crollante di flussi monetari che corrispondono alla caratteristica di uno standard Glass-Steagall (massa finanziaria "B"). Il rapporto è iperbolico (coloro che non ne riconoscono la natura iperbolica chiudano gentilmente il becco). Come mostrano i costi dei "salvataggi" USA dall'agosto 2007, se paragonati a simili tendenze in Europa occidentale, c'è un insieme di tendenze che mostra chiaramente perché il Gruppo bancario Inter-Alpha, che rappresenta a tutti gli effetti il 70% delle banche ufficiali del mondo, è già irrimediabilmente in bancarotta, se si considerano le due categorie di titoli finanziari nominali. La tendenza che abbiamo visto nello stesso periodo in cui la fantasia dell'Euro è stata imposta in tutta l'Europa centrale e occidentale, significa che attualmente ci troviamo già sul fronte di un'onda d'urto, un punto in cui non ci sono speranze per la continua esistenza civile dell'umanità su questo pianeta, a meno che lo standard Glass-Steagall non sia imposto in modo immediato ed efficace.

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