26 gennaio 2009

Yehoshua: un insulto a 6 milioni di martiri


Hamas continua a sparare razzi anche e soprattutto perché Gaza è la più grande prigione a cielo aperto del mondo, definita nel 2007 dal sudafricano John Dugard, Special Rapporteur per i Diritti Umani in Palestina dell'ONU, "Apartheid... da sottoporre al giudizio della Corte Internazionale di Giustizia dell'Aja". Perché nell'agosto del 2006 la Banca Mondiale dichiarava che "la povertà a Gaza colpisce i due terzi della popolazione", con povertà definita come un reddito di 2 dollari al giorno pro capite, che è il livello africano ufficialmente registrato. Perché appena dopo le regolari e democratiche elezioni del gennaio 2006 con Hamas vittoriosa, Israele inflisse 1 miliardo e 800 milioni di dollari di danni bombardando la rete elettrica di Gaza e lasciando più di un milione di civili senza acqua potabile. Perché nel 2007 l 'ex ministro inglese per lo Sviluppo Internazionale, Clare Short, dichiarò alla Camera dei Comuni di Londra "sono scioccata dalla chiara creazione da parte di Israele di un sistema di Apartheid, per cui i palestinesi sono rinchiusi in quattro Bantustan, circondati da un muro, e posti di blocco che ne controllano i movimenti dentro e fuori dai ghetti (sic)". Ecco perché. Perché sono 60 anni che Israele strazia i palestinesi con politiche sanguinarie, razziste e fin neonaziste.

A.B.Y. "Ti chiesi allora se ritenevi plausibile che Hamas potesse convincerci adottando un comportamento del genere o se, piuttosto, non avrebbe ottenuto il risultato contrario, e se fosse giusto riaprire le frontiere a chi proclamava apertamente di volerci sterminare."

Arafat riconobbe Israele nel 1993, agì fermamente per reprimere Hamas (come testimoniò Ami Ayalon, ex capo dei servizi segreti Shab'ak israeliani, nel 1998) e cosa ottenne? Barak, Clinton e poi Sharon lo distrussero. Hamas ha dichiarato ufficialmente nel luglio del 2006 con una lettera al Washington Post di riconoscere il diritto degli ebrei all'esistenza in Palestina fianco a fianco dei palestinesi. Nessun media italiano o europeo ha ripreso la notizia. Nessuno.

A.B.Y. "... I valichi, da allora, sono stati riaperti più volte, e richiusi dopo nuovi lanci di razzi. Sfortunatamente, però, non ti ho mai sentito proclamare con fermezza: adesso, gente di Gaza, dopo aver respinto giustamente l’occupazione israeliana, cessate il fuoco..."

Respinto l'occupazione? Sono in una gabbia che li affama, che li fa morire ai posti di blocco, che gli nega l'essenziale per vivere. Di nuovo Dugard: "A tutti gli effetti, a seguito del ritiro israeliano, Gaza è divenuta un territorio chiuso, imprigionato e ancora occupato".

A.B.Y. "Talvolta penso, con rammarico, che forse tu non provi pena per la morte dei bambini di Gaza o di Israele, ma solo per la tua coscienza. Se infatti ti stesse a cuore il loro destino giustificheresti l’attuale operazione militare, intrapresa non per sradicare Hamas da Gaza ma per far capire ai suoi seguaci (e malauguratamente, al momento, è questo l’unico modo per farglielo capire) che è ora di smetterla di sparare razzi su Israele, di immagazzinare armi in vista di una fantomatica e utopica guerra che spazzi via lo Stato ebraico e di mettere in pericolo il futuro dei loro figli in un’impresa assurda e irrealizzabile..."

Questo è il razzismo di questi assassini vestiti da colombe. Vogliono 'educare' gli 'untermenschen' arabi a frustate, "fargli capire", come usava ‘far capire' nei campi di cotone della Louisiana 200 anni fa o nel ghetto di Varsavia, pochi decenni fa. 'Fargli capire' le cose ammazzando i loro bambini? Le loro donne? Questo si chiama massacro, è un crimine contro l'umanità che viola le Convenzioni di Ginevra e i Principi di Norimberga. Questo Abrham B. Yehoshua è un mostro, e lui e i suoi colleghi non hanno appreso alcunché dal nazismo, anzi, hanno solo appreso come replicarlo.

"Oggi, per la prima volta dopo secoli di dominio ottomano, britannico, egiziano, giordano e israeliano, una parte del popolo palestinese ha ottenuto una prima, e spero non ultima, occasione per esercitare un governo pieno e indipendente su una porzione del suo territorio."

Su una porzione del suo territorio... Non c'è limite all'abominio intellettuale di questo scrittore. Gli 'untermenschen' arabi devono essere grati di poter fare la fame su un fazzoletto di terra privo di ogni sbocco economico/commerciale e che è una frazione di quel 22% delle loro terre che gli è rimasto dopo che Israele gli ha rubato il 78% a forza di massacri e pulizia etnica.

"Se intraprendesse opere di ricostruzione e di sviluppo sociale, anche secondo i principi della religione islamica, dimostrerebbe al mondo intero, e soprattutto a noi, di essere disposto a vivere in pace con chi lo circonda, libero ma responsabile delle proprie azioni..."

Come aver detto agli etiopi nel 1984: "Se imparaste a coltivare la terra invece che chiedere l'elemosina all'ONU...".
Questo Abrham B. Yehoshua è, lo ribadisco e me ne assumo la responsabilità, un mostro. Lo è in forma più disgustosa di Sharon, di Olmert, della Livni, poiché traveste la sua perfidia disumana da 'colomba'.
L'ipocrisia della tragedia israelo-palestinese è arrivata a livelli biblici di disgusto. E ricordo, per tornare in Italia, la posizione dei nostri intellettuali di sinistra, ‘colombe’ anch’essi, come esplicitata sul sito http://www.sinistraperisraele.it/home.asp?idtesto=185&idkunta=185, dove campeggia una commemorazione di Uri Grossman, figlio dell’altra ‘colomba’ israeliana di chiara fama, David Grossman, ucciso durante l’invasione israeliana del Libano del 2006. La morte di un figlio è sempre una tragedia immane, e quella morte lo è nel suo aspetto privato. Non oserei profferire parola su questo.
Ma vi è un aspetto pubblico di essa, che stride e che fa ribollire la coscienza: Uri Grossman era un soldato di un esercito invasore, criminale di guerra, oppressore da 60 anni di un intero popolo, e che in Libano ha massacrato oltre 1000 esseri umani innocenti, dopo averne massacrati 19.000 in identiche circostanze nel 1982 e molti altri nel 1978. Uri Grossman era una pedina di una impresa criminale, ma venne commemorato su tutti i media italiani, e ancora lo è sul sito dei nostri ‘intellettuali colombe’.
Dove sono le commemorazioni della montagna di Abdel, Baher, Fuad, Adnan, la cui vita spezzata a due anni, a tredici anni, a trent’anni, e senza aver mai indossato la divisa di un esercito criminale di guerra, ha lasciato il medesimo strazio e il medesimo buio di vivere di “papà, mamma, Yonatan e Ruti” Grossman? Dove sono? Dove?

"Far capire"... "malauguratamente è l'unico modo". Queste parole, Abrham B. Yehoshua, questi 'intellettuali' traditori, la difesa del sionismo e delle condotte militari di Israele dal 1948, sono un insulto a sei milioni di martiri ebrei dell'Olocausto nazista. Lo scrivo, lo dico e mi chiamo Paolo Barnard.

Paolo Barnard

22 gennaio 2009

Il disastro della finanza













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Quale sarà la durata della recessione innescata dalla crisi bancaria globale? Quante persone saranno licenziate? Torneremo agli anni Trenta, quando la recessione degenerò nella Grande Depressione? Fin dove si spingerà la mano pubblica nel turare le falle della finanza privata già colpita dal suo primo suicidio eccellente, quello del miliardario tedesco Adolf Merckle che, travolto dalle speculazioni fallite, si è gettato sotto un treno? Come ne usciremo, alla fine? Nell’ottobre scorso, la Banca d’Inghilterra aveva stimato un impegno di 7 mila miliardi di dollari a carico dei Tesori nazionali per impedire il tracollo dei sistemi bancari. A novembre, soltanto gli Usa hanno aggiunto nuovi programmi d’acquisto di mutui tossici e obbligazioni illiquide per 800 miliardi da eseguire quest’anno. Il 13 gennaio, intervenendo alla London School of Economics, il governatore della Federal Reserve, Ben Bernanke, ha avvertito che i costi dei salvataggi bancari in giro per il mondo sono destinati a crescere ancora. Nell’Occidente avanzato, produzione, commerci e servizi regrediscono intrecciando in una spirale perversa gli effetti della crisi finanziaria a quelli, ancor più drammatici, della crisi dell’economia reale. La Merrill Lynch si aspetta un arretramento dell’economia americana del 2,3% quest’anno e una parvenza di ripresa, non più dello 0,5%, nel 2010, mentre vede Eurolandia a meno 0,6% nel 2009 e a più 1,1% l’anno prossimo. Ma quando i credit default swaps sulle obbligazioni del Tesoro della Corona britannica, il massimo della sicurezza, tripla A per le agenzie di rating, pagano 108 punti base e McDonald’s, una sola A, paga 57 punti base, ogni previsione è un numero al lotto. Le domande sul futuro, pur naturali e diffuse, sono destinate a restare senza risposte attendibili, almeno per un po’. Al contrario, le esperienze fatte, se indagate, possono offrire interessanti suggestioni.

Per cominciare, bisogna chiedersi com’è la finanza globale che è andata spavaldamente incontro al disastro, convinta che la rappresentazione dei risultati del lavoro contenuta nei suoi complicatissimi titoli fosse reale e consistente e non, invece, virtuale e drogata. Secondo il McKinsey Global Institute, nel 2007 la ricchezza finanziaria globale (azioni, obbligazioni private e pubbliche e depositi bancari) valeva 196 mila miliardi di dollari, 3,6 volte il prodotto interno lordo del pianeta. Pur scontando la svalutazione della moneta Usa, nell’ultimo anno «buono » tale ricchezza in larga misura cartacea era aumentata del 12% contro un incremento medio annuale che, a partire dal 1990, si aggirava sul 9%. A trainare questa espansione sempre più marcata dei valori, in un mondo dove il denaro, equivalente universale, circolava sempre più liberamente, sono stati il settore privato e le economie emergenti. Nel 1990, le obbligazioni statali rappresentavano il 18,6% delle attività finanziarie del mondo; diciotto anni dopo erano scese al 14,3%. Nel 2000 erano 11 i Paesi con attività finanziarie pari a 3,5 volte il prodotto interno lordo; nel 2007 gli 11 erano diventati 25, comprendendo nel novero anche giganti come Cina e Brasile.

Gli ormai frenetici flussi finanziari tra un Paese e l’altro sono arrivati a 11.200 miliardi di dollari, con un incremento del 19% rispetto al 2006, e tra questi flussi la parte del leone la fanno i depositi e i prestiti sull’onda dell’internazionalizzazione di banche, assicurazioni, hedge funds e private equity. Privatizzazioni e globalizzazione hanno dunque favorito la finanziarizzazione dell’economia alimentata dal debito: un debito cross-border che, secondo la Banca dei regolamenti internazionali, era per il 65% con scadenza inferiore ai 12 mesi, e dunque fragile perché facilmente revocabile. Particolare interessante, la dinamica del debito èmolto forte nei paesi più avanzati, con l’eccezione della Germania, mentre la crescita delle attività finanziarie delle economie emergenti dipende per lo più dal collocamento in Borsa delle loro grandi aziende più o meno a partecipazione statale.

Negli Stati Uniti, epicentro di tutto, la bolla finanziaria è stata gonfiata della crescita prolungata dei prezzi delle azioni e delle case nonché dall’aumento del deficit della bilancia commerciale che rappresenta la faccia imperiale dell’aumento del prodotto interno lordo pro capite (noi consumiamo e voi pagate). Due economisti americani, Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, hanno constatato come queste tendenze si siano sempre manifestate nell’incubazione delle principali crisi bancarie degli ultimi trent’anni: Spagna (1977), Norvegia (1987), Finlandia e Svezia (1991), Giappone (1992). Negli Stati Uniti, semmai, non si è registrata l’impennata del debito pubblico prima della crisi, ma questo potrebbe spiegarsi con l’accortezza di nasconderne una parte sotto etichette formalmente private come Fannie Mae e Freddie Mac a dimostrazione che il gioco delle tre carte non si fa soltanto a Napoli. Se dunque l’incubazione è stata simile, quali sono le costanti negli esiti delle crisi?

Partiamo dal valore delle case, che da confortevole rifugio sono diventate una trappola mortale. Nelle 22 crisi esaminate da Reinhart e Rogoff, la caduta dei prezzi degli immobili dai massimi ai minimi al netto dell’inflazione èmediamente del 35,5% al netto dell’inflazione e il declino dura 6 anni. Più pronunciato ma meno persistente è il crollo reale delle quotazioni azionarie: mediamente è del 55,9% e si prolunga per 3,4 anni. Il tasso di disoccupazione aumenta di 7 punti percentuali e il declino va avanti per 4,8 anni. Queste tendenze parziali si riflettono in un andamento del Pil, che arretra di 9,3 punti e torna a crescere dopo un anno e nove mesi. Nel suo ultimo World Economic Outlook, il Fondo monetario internazionale ha addirittura comparato 113 episodi di crisi finanziaria in 17 paesi svi luppati, sempre negli ultimi trent’anni. E’ emerso che solo 31 volte le crisi hanno generato recessioni vere e proprie e solo in un numero ancor minore di casi, 17 volte per la precisione, le recessioni sono state preparate da una crisi bancaria. In questi ultimi casi la durata e la profondità delle crisi sono state più che doppie rispetto alle recessioni normali (7,6 trimestri di durata media contro 3,1 trimestri; perdita cumulata di Pil del 19,8% rispetto a un 5,4% se non c’è crisi bancaria). Nessuna di queste crisi, tuttavia, ha avuto l’estensione geografica di quella in corso. Negli Stati Uniti, in 18 mesi di crisi finanziaria, l’indice Dow Jones ha bruciato il 40%, i prezzi delle abitazioni il 28% e nel 2008, anno nel quale complessivamente il Pil è aumentato di circa un punto, oltre 2,5 milioni di persone hanno perso il lavoro. Quali saranno le nuove percentuali a metà 2010 quando, a dar retta a Merrill Lynch piuttosto che al Fondo monetario internazionale l’andamento del Pil dovrebbe invertire la tendenza?

La reazione di Barack Obama si fonda su un aumento della spesa, che si aggiunge al costo delle manovre dell’ultimo Bush. Stiamo parlando di 800 miliardi di dollari di stimolo all’economia oltre la cifra analoga che la Federal Reserve è già impegnata a spendere a sostegno delle banche. Il presidente eletto eredita un Paese che ha un debito totale (imprese, famiglie, settore finanziario ed esteri) di 51.849 miliardi di dollari a fronte di prodotto interno lordo di 14.412. Un debito pari al 359,7% della ricchezza prodotta ogni anno. Nel 2009 la componente pubblica di questo debito è destinata a aumentare allo scopo, se non altro, di contenere quella privata consentendo a famiglie e imprese di sopravvivere. E già oggi, a seconda di come si effettua il conteggio, il debito pubblico americano avvicina o addirittura supera il prodotto interno lordo. Come segnalano Reinhart e Rogoff, del resto, nei tre anni successivi alle crisi bancarie passate il debito pubblico è aumentato dell’ 86%, perché non è con le pur necessarie manovre sui tassi, effettuate dalle banche centrali, che si superano queste crisi così gravi, ma con la spesa pubblica fatalmente finanziata con il debito pubblico. Se però si guarda all’esperienza degli Stati Uniti della Grande Depressione si dovrà andare oltre le rilevazioni dei due economisti. Perché quando, nel 1941, il prodotto interno lordo espresso in moneta corrente tornò finalmente ai livelli pre-crisi del 1929, il debito totale americano si era dimezzato. E tutti sanno che esistono solo quattro modi per tagliare drasticamente un debito: l’insolvenza, la bancarotta, l’inflazione e la cancellazione del debito mediante un Giubileo di biblicamemoria come ironicamente ricorda Niall Ferguson sul Financial Times o attraverso la conversione dei debiti in azioni, come suggeriva Guido Carli all’Italia degli anni Settanta.



di Massimo Mucchetti - 20/01/2009

Israele è riuscito a perdere di nuovo?

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Il quotidiano Haaretz ha riferito oggi che gli alti ufficiali della IDF “credono che Israele dovrebbe sforzarsi di raggiungere un immediato cessate il fuoco con Hamas e non estendere la propria offensiva contro i gruppi islamici palestinesi di Gaza”.

Ciò non dovrebbe essere per noi una grossa sorpresa. Per quanto Israele abbia dimostrato oltre ogni dubbio di essere capace di compiere un genocidio su larga scala, ha anche dimostrato che le sue forze militari non sono in grado di dare una risposta alla resistenza islamica. I capi militari israeliani hanno anche ammesso che “Israele ha già ottenuto diversi giorni fa tutto ciò che poteva ottenere a Gaza”. La IDF, a quanto sembra, ha esaurito il suo compito a Gaza. Ha trasformato i suoi quartieri in mucchi di macerie. Ha anche massacrato, senza sosta, la sua popolazione civile alla luce del sole per mezzo di attacchi aerei e dalle navi da guerra. Le immagini dei proiettili al fosforo bianco che cadono su scuole e ospedali fanno ora parte della nostra memoria collettiva. I carri armati che sparano contro scuole piene di rifugiati in fuga dal bombardamento delle loro case rappresentano adesso l’immagine associata al soldato israeliano; eppure, nonostante questo, Israele non è riuscito a raggiungere nessuno dei suoi obiettivi. Devo ammettere che ci vuole un talento speciale per fare il generale israeliano. Per quanto bravi essi siano nel compiere crimini di guerra, in qualche modo riescono a fallire in ogni altra cosa.

All’inizio i politici israeliani avevano giurato di distruggere Hamas, ma poi avevano abbassato le aspettative, promettendo soltanto di distruggere la capacità di Hamas di lanciare razzi e rassicurando i loro eccitati elettori israeliani che questa volta lo Stato ebraico avrebbe combattuto fino alla fine. A quanto pare le loro promesse sono state ancora una volta tradite.

Hamas è ancora lì; il sostegno di cui gode nelle strade palestinesi è più forte che mai. E non solo nelle strade palestinesi. Il messaggio di sfida di Hamas si sta diffondendo in tutto il mondo musulmano e oltre. La scorsa settimana sono stato ad una manifestazione a Londra insieme ad altri 100.000 partecipanti. Il sostegno a favore di Hamas era dappertutto. Era su cartelli, bandiere, striscioni e altoparlanti. Non solo Hamas è ben lungi dall’essere sconfitta, ma la sua capacità di lanciare razzi appare immutata. Giorno dopo giorno i combattenti di Hamas riescono a ricordare agli israeliani di Ashdod, Ashkelon e Sderot che in questo momento stanno vivendo su terra palestinese trafugata. Date ad Hamas il tempo necessario e il suo messaggio balistico sarà portato in ogni angolo della Palestina rubata.

Israele è alla disperata ricerca di una exit strategy. Oggi ho saputo che il Ministro della Difesa Barak ha chiesto un cessate il fuoco di una settimana per ragioni umanitarie. Vi prego, non restate a bocca aperta, il noto sterminatore di massa non ha cambiato pelle tutto d’un tratto. Essendo un generale veterano, Barak capisce molto bene che i suoi soldati a terra hanno bisogno di una pausa e ne hanno bisogno adesso. Essendo radunati tutti insieme in poche zone devastate e senza riparo, sono adesso esposti ai cecchini e al fuoco dei mortai di Hamas. Negli ultimi giorni tra le forze israeliane si è registrato un numero crescente di perdite. Il tentativo di portare la battaglia nei quartieri di Gaza si è scontrato con una resistenza durissima. L’esercito israeliano si è impantanato ancora una volta.

Se questo non bastasse, tra pochi giorni Obama si insedierà alla Casa Bianca e gli israeliani non sono del tutto convinti che il nuovo presidente americano continuerà a sostenere ciecamente la loro strategia omicida. Il Ministro della Difesa Barak capisce che la sua finestra di opportunità potrebbe essere sul punto di chiudersi. Capisce che i soldati della IDF potrebbero doversi spingere dentro le periferie di Gaza senza raggiungere nessuno degli obiettivi militari della guerra. Barak ha bisogno di qualche giorno di cessate il fuoco per creare una nuova realtà sul terreno. Ovviamente preferisce nascondersi dietro il pretesto umanitario. E’ molto più semplice che ammettere che la IDF, ancora una volta, è stata colta impreparata. Gli aiutanti di Olmert, comunque, sono stati abbastanza stupidi da ammettere la menzogna. Pare che uno di loro stamattina abbia attaccato Barak dicendo che “Hamas osserva la scena e ascolta le voci, questi commenti sono un colpo in canna per Hamas e i suoi leader”.

Per come stanno le cose, i soldati della IDF sono ora allo sbando dentro Gaza. Non fraintendetemi, sono ancora in grado di spargere morte e compiere carneficine, ma non possono vincere questa guerra. Le Forze Aeree Israeliane hanno esaurito i bersagli “militari” una settimana fa e l’artiglieria si trova probabilmente di fronte alla stessa situazione. Dalle notizie che arrivano risulta evidente che non appena i soldati israeliani escono dai veicoli corazzati e dai carri armati Merkava si ritrovano alla mercè di Hamas. Ho letto oggi su Ynet che alcuni soldati della IDF hanno dichiarato: “Non riusciamo a vedere il nemico”, “veniamo colpiti senza sapere da chi e come”.

Per come stanno le cose, Hamas sta diventando un simbolo dell’ostinazione eroica. I suoi combattenti a terra lottano quasi a mani nude contro la più micidiale tecnologia americana. Allo stesso modo, la leadership politica di Hamas è riuscita a proporsi come chiave di ogni possibile soluzione dell’attuale conflitto. La speranza che Hamas sarebbe stato rovesciato o che ne sarebbe uscito screditato si è rivelata essere solo l’ennesimo sogno orgasmico degli ebrei. Hamas sta diventando ora un’entità politica largamente accettata dalla comunità internazionale. E’ visto come l’ingrediente primario di ogni possibile risoluzione. Israele, dall’altro lato, è ora visto per ciò che è realmente, uno Stato assassino e criminale dedito a crimini di genocidio della peggior specie.

Tuttavia c’è un’altra realtà che dobbiamo tenere in mente. La devastazione che Israele si sta lasciando dietro a Gaza è orribile. Ha raso al suolo interi quartieri, ha colpito col fosforo bianco zone densamente popolate. Come se non bastasse, le tonnellate di bombe bunker buster che Israele ha continuato a usare notte e giorno hanno danneggiato le fondamenta di ogni edificio di Gaza e viene da chiedersi se le case di Gaza rimaste in piedi saranno ancora sicure per viverci. I rappresentanti dell’Unione Europea hanno sollevato oggi la questione, chiedendosi chi pagherà per la ricostruzione delle città, dei campi e dei villaggi che sono andati distrutti.

In un mondo ispirato a principi etici ideali, Israele dovrebbe lasciare che gli abitanti di Gaza tornassero alla loro terra. Ma Israele e l’etica sono come rette parallele. In qualche modo non s’incontrano mai. Per quanto sia chiaro che i palestinesi torneranno alla loro terra, non sarà Israele a dare il benvenuto all’inevitabile ritorno dei palestinesi.
Qualcuno dovrà ricostruire Gaza e l’unico nome che viene in mente è quello di Hamas, partito democraticamente eletto. Un così grande progetto, se gestito da Hamas, sarà la giusta risposta alla guerra criminale di Israele e ai suoi obiettivi di sterminio.

di Gilad Atzmon -

Menti consumati dall’odio

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L’organizzazione ebraica «Breaking the silence» (Rompere il silenzio) ha diffuso un opuscolo di cento pagine che contiene interviste a decine di soldati di Tsahal impiegati ad Hebron, la città palestinese di Gaza dove però fra 80 mila palestinesi pretendono di abitare 700 coloni ebraici, che i soldati difendono.

L’agenzia ebraica Ynet.news ha ripreso quattro di queste interviste (1).

Le mani tagliate col filo di ferro

Soldato: «C’era uno matto davvero nella mia unità, gli piaceva torturare. Una volta ha provocato l’amputazione delle mani di un uomo».

Intervistatore: «Cosa è successo?».

Soldato: «Insomma, c’era quell’arabo... il soldato gli ruba una scatola di tabacco. L’arabo si mette a gridare: ‘Ladri, ladri, vi ho visto’. Si avvicina al soldato, e noi lo spingiamo per allontanarlo. Non sapevamo del furto. ‘Il soldato comincia a pestarlo, e tutti noi anche... finisce che l’arabo è stato pestato parecchio. ‘Poi il soldato ha preso un filo di ferro - era molto incazzato - ha afferrato l’arabo e ha cominciato a stringerlielo attorno...».

Intervistatore: «alle mani?».

Soldato: «Già.... gliel’ha stretto molto forte. Te lo giuro, abbiamo cercato di fermarlo. ‘No, non lo lascio andare. Ha alzato le mani contro di me, lo punisco’. E dài a girare, dài a stringere… dopo, quando abbiamo cercato di liberarlo, non ci siamo riusciti, gli aveva fatto proprio un canale nella mano. Era blu. E il tipo gridava: ‘Non sento più la mano’. Abbiamo anche tentato di scavare (tra la carne e il filo metallico) con un coltello, ma non siamo riusciti… Gli abbiamo detto di andare all’ospedale. Niente da fare, non riuscivamo a tagliare il filo. Gli hanno amputato la mano».

Ladri

Soldato: «Abbiamo fatto un bel po’ di ruberie….Una volta siamo entrati in una casa di Hebron, gente ricca. Abbiamo trovato in una scrivania una quantità di dollari. Pazzesco. Il capitano dice ai due secondi in grado dell’unità: bene, ci dividiamo questi soldi. Se li sono spartiti. Ne hanno lasciato un po’, e a me hanno detto: «Se parli, torniamo e ti sgozziamo».

Intervistatore: «Era consueto, il furto?».

Soldato: «Un po’ di saccheggio era normale... Backgammon (sic), sigarette, tutto... Quello che ci piaceva lo prendevamo. Altri ragazzi prendevano regali per le loro ragazze dalle botteghe».

Pestaggi

Soldato: «Eravamo di pattuglia, e vediamo un tipo in un taxi che sembrava nascondere qualcosa. Fermiamo la macchina... C’era appena stato un incidente, un soldato accoltellato o qualcosa del genere».
«Troviamo un coltello... Chiediamo al tizio: «Perchè il coltello?», e lui dice: «E’ per mia madre, per tagliare la verdura». Noi diciamo: «Cosa sei, un idiota? Scherzi? Stai mentendo?». Ci ha fatto proprio incazzare. Lo abbiamo afferrato e l’abbiamo colpito, non in faccia, nelle costole».

«Il resto della pattuglia vede il pestaggio, e ci salta dentro... Tutti a picchiarlo, a picchiarlo di brutto, sul serio. Con bastoni sulla testa. E uno poi comincia a strangolarlo, con le due mani. Aveva 17 o 18 anni e comincia a gridare “Mama, Baba”. Quello continua a strangolarlo, stava diventando blu e perdeva coscienza. Di colpo gli altri ragazzi si rendono conto di quel che succede e cominciano a tirare indietro il soldato. Ma lui non voleva lasciare la presa. Non lasciava, e urlava: «Ci volevi ammazzare, vuoi ammazzarci, volevi pugnalarmi eh? Figlio di puttana, pugnalarmi volevi».
«Era come matto, lo abbiamo tirato indietro per le gambe e la vita. Tutto il suo corpo era sollevato, e noi tiravamo... ma
(il soldato) s’era attaccato all’uomo come un pitbull. Finalmente l’abbiamo staccato».

Soffocamenti

Soldato: «Facevamo ogni genere di esperimento per vedere chi faceva la più bella spaccata a Abu Sneina. Li mettevamo faccia al muro, come per perquisirli, e ordinavamo loro di allargare le gambe. Allarga! Allarga! Allarga! Era la gara per vedere chi allargava di più. Oppure controllavamo chi tratteneva il respiro più a lungo».

Intervistatore: «Come lo controllavate?».

Soldato: «Soffocandoli. Uno di noi faceva finta di perquisirli, ma di colpo urlava qualcosa come se quelli avessero parlato e cominciava a soffocarli... a bloccargli le vie aeree, bisogna premere il pomo d’Adamo. Non è piacevole. Guardi l’orologio mentre lo fai, finoa che quello sviene. Chi ci mette più tempo a svenire, vince».

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L’organizzazione Breaking the Silence dice di aver pubblicato queste interviste per «suscitare un pubblico dibattito sul prezzo morale pagato dalla società israeliana nel suo complesso», per far vedere cosa diventano «giovani soldati obbligati a prendere il controllo di una popolazione civile». Ed è un continuo «degrado morale», e «la società israeliana ha il dovere di ascoltare i soldati e assumersi la responsabilità di ciò che viene fatto in suo nome».

Il testo integrale delle testimonianze può essere letto nel sito dell’organizzazione, www.shovrimshtika.org

Uno dei soldati dice: «Tutti noi sentivamo di fare qualcosa di sbagliato. Almeno, i miei amici sentivano di fare una cosa sbagliata». Ma nessuna resipiscenza tardiva minaccia i «coloni» giudaici di Hebron, che si sono messi lì a Gaza per rivendicare ad Israele le tombe dei Patriarchi, che sorgono lì e sono un luogo di preghiera anche per i musulmani.

Da questo insediamento veniva Baruch Goldstein, che nel ’94 irruppe nella Tombe ammazzando col suo mitragliatore 29 palestinesi e ferendone 150. Goldstein era americano e armato, come tutti i «coloni» di questo avamposto sacro, che è abitato da estremisti seguaci del rabbino Kahane e del partito razzista-religioso Kach. Infatti i coloni hanno sepolto Goldstein (che fu ucciso mentre compiva il massacro) nel loro cimitero che chiamano Kahane Memorial Park.

La lapide sulla tomba dice: «A san Baruch Goldstein, che ha dato la sua vita per il popolo ebraico, la Torà e la nazione di Israele». Parecchi rabbini confermarono che la strage compiuta da Goldsetin era una «mitzvah», un’opera meritevole di fronte a Dio.

Mantenuti dalla diaspora, questi coloni non hanno bisogno di lavorare. Passano il tempo ad angariare i palestinesi a cui hanno rubato i campi, a tirare pietre e ad aggredire gli scolari palestinesi che passano nelle vicinanze per andare a scuola, a sparare sui passanti e ad ubriacarsi. Ebrei ma americani, si sentono come coloni del Far West in territorio Sioux, ma con l’aggiunta «religiosa».

Sono costantemente armati di mitra e pistole, portano con orgoglio la kippà e lunghe barbe da «profeti». Caratteristici gli sguardi carichi d’odio con cui ti squadrano, se non sei ebreo, e gli insulti di cui ti coprono se sei giornalista o fotoreporter.
Le loro donne, in parrucca o foulard ebraico, insultano le donne palestinesi, e quando possono le picchiano. Sotto la protezione costante del glorioso Tsahal.

L’ultima impresa di questi pii ebrei riguarda Hammad Nidar Khadatbh, un ragazzo palestinese di 15 anni, che il 15 aprile era uscito di casa per raccogliere cetrioli, purtroppo nelle vicinanze dell’insediamento illegale (ma protetto) di Al-Hamra. La sera non era tornato, e la famiglia è uscita a cercarlo per ogni dove. Nulla. Il mattino dopo, il padre e i fratelli di Hammad ripartono alla sua ricerca, e lo trovano in una zona dove l’avevano già cercato la sera prima. Evidentemente era stato buttato lì nella notte.

Il corpo del ragazzo era nudo, gonfio, e torturato. La faccia gli era stata spaccata con pietre, il collo rotto, un dito gli era stato troncato. Sul torso aveva numerosi buchi, apparentemente praticati con un oggetto aguzzo e tondo, come una penna. Il corpo è stato portato ad un perito, per l'autopsia, nel settore israeliano di Gerusalemme. I parenti sono convinti che anche quello scempio sul loro figlio sia una delle opere sante dei coloni religiosi.

«Dio della pace,
Volgi verso il Tuo cammino di amore
coloro che hanno il cuore e la mente
consumati dall’odio».
Dalla preghiera del Santo Padre a Ground Zero.

Maurizio Blondet

I carnefici di regimi spiegano...



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Angelo Panebianco sul Corriere di domenica: «Fra le molte asimmetrie del conflitto c’è anche quella rappresentata dal diverso valore attribuito dai contendenti alla vita umana. Per gli uomini di Hamas, come per Hezbollah in Libano, la vita (anche quella degli appartenenti al proprio popolo) vale talmente poco che essi non hanno alcun problema a usare i civili, compresi i bambini e le donne, come scudi umani. Per gli israeliani, le cose stanno differentemente. Cercano di limitare il più possibile le ingiurie alla popolazione civile...».

Quando menzogne così disonorevoli, sputi sulle vittime, vengono scritte sui giornali autorevoli da autorevoli commentatori, chi ha un po’ di esperienza storica sa che qualcosa è successo.

Gli vengono a mente i precedenti: per mezzo secolo, finchè il comunismo sovietico ebbe il favore della intellettualità ebraica, questo tipo di menzogne di sapore inequivocabile – aperte violazioni della verità evidente – erano pane quotidiano sui giornali non solo comunisti, ma progressisti e delle borghesie illuminate d’Europa.

Nel 1932-33, mentre Lazar Moiseyevich Kaganovich, numero 2 del Partito, procedeva alla requisione forzata dei grani in Ucraina, con fucilazioni dei contadini e provocando la morte per fame di 7 milioni di esseri umani, non era raro trovare articoli dove si gettava la colpa sui «kulaki», come «sabotatori» che «sottraevano il grano all’ammasso». Fior di scrittori tornavano dall’URSS magnificando, in articoli estasiati, la felicità e l’abbondanza che il sistema sovietico aveva regalato ai russi.

L’assoluta maggioranza degli intellettuali, non solo comunisti, insorgeva se qualche (rara) voce si alzava a rivelare che in URSS vigeva il Terrore poliziesco e milioni di esseri umani innocenti stavano scomparendo nel vasto arcipelago Gulag, gestito dal capo supremo della repressione, Genrich Yagoda, e da 500 mila ebrei comunisti che avevano trovato un ben pagato lavoro nella Ghepeù, poi NKVD, poi KGB: erano tutte «calunnie» contro lo «Stato dei lavoratori» che aveva «liberato il proletariato»; per adesso in un solo Paese, ma gli intellettuali aperti e progressisti auspicavano che il paradiso sovietico arrivasse al più presto a liberare anche noi.

Solo dopo la denuncia ufficiale di Kruscev lo stesso Corriere osò ammettere i «crimini di Stalin». I crimini di Lazar Moiseyevich Kaganovich non sono mai stati evocati, anche se è stato pari grado di Stalin, l’autore non solo dell’holodmor, del genocidio ucraino, ma della eradicazione del cristianesimo in Russia.

Solo il 26 settembre 1995 il New York Times ha rievocato il commissario Kaganovich mentre, in piedi fra le macerie della cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca, la principale delle chiese che fece distruggere, esclamava ebbro di stupro: «Abbiamo umiliato la Madre Russia; le abbiamo strappato la gonna».

Kaganovich, figlio di ciabattino ebreo, è morto nel 1991 nel suo letto, mai molestato, con la ricca pensione dell’alto funzionario sovietico.

Solo nel 2003 Simon Sebag Montefiore ha rievocato il sadidsmo massacratore di Yagoda, il capo supremo dei Gulag; e di come, dopo aver fatto trucidare Zinov’ev e Kamenev, avesse fatto recuperare i proiettili dal loro cranio per conservarli, puliti e incastonati su piedistalli, insieme alla sua ricca collezione di 3900 foto e 11 film pornografici, 165 pipe e portasigarette ornate di immagini oscene, falli di gomma e montagne di biancheria intima femminile.

Ma nel 1935, quando Yagoda era all’apice del potere, lo scrittore ebreo francese Romain Rolland , premio Nobel, scrisse un inno in lode ed esaltazione del mostro.

Ecco, qualcosa del genere succede adesso. Con Angelo Panebianco e suoi compari nei panni dei Rolland, degli Aragon e dei Sartre, o dei Moravia & C. La sola differenza è che chi diceva la verità allora, era bollato come reazionario e fascista, ridotto allo stato di non-persona; oggi, come anti-semita e criminalizzato. Ma il clima è lo stesso, lo stesso il «sapore» della difesa dello stesso potere, con la stessa impronta.

Solo così si spiega che un Panebianco possa scrivere frasi come: «Richard Falk, il relatore speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi, rappresentante dell’Human Right Council alle Nazioni Unite, sta usando la sua carica e la sponsorizzazione dell’ONU per fare propaganda pro-Hamas e anti-israeliana». (ebreo americano, docente di diritto internazionale a Princeton, Falk è stato respinto alla frontiera da Israele perchè non fosse testimone della verità).

Questo tipo di frasi, per uno della mia età, suona molto «sovietico» . Vuol dire che simili frasi sono state, diciamo, autorizzate.

Quindi solo a futura memoria, non certo per convincere Panebianco (che è ben pagato per fare quello che fa) traduco qui alcune citazioni di capo sionisti famosi, che ci dicono quanto valore essi diano alla vita umana, non solo dei goym, ma anche dei loro ebrei.

David Ben Gurion, durante la guerra: «Se io sapessi che è possibile salvare tutti i figli (ebrei) di Germania trasferendoli in Inghilterra, e solo metà di loro trasferendoli nella terra di Israele, sceglierei la seconda possibilità; perchè di fronte a noi non abbiamo solo il numero di questi figli, ma il progetto storico del popolo di Israele» (Shabtai Teveth, «Ben Gurion», 1988,).

«Dobbiamo usare il terrore, l’assassinio, l’intimidazione, la confisca dei terreni e il taglio di tutti i servizi sociali per liberare la Galilea dalla sua popolazione araba» (David Ben-Gurion, maggio 1948, to the General Staff. Da «Ben-Gurion, A Biography», di y Michael Ben-Zohar, Delacorte, New York 1978).

«Dobbiamo espellere arabi e prendere i loro posti» –(David Ben Gurion, 1937, «Ben Gurion and the Palestine Arabs» Shabtai Teveth, Oxford University Press, 1985).

«Non esiste qualcosa come un popolo palestinese. Non è che siamo venuti, li abbiamo buttati fuori e abbiamo preso il loro paese. Essi non esistevano» (Golda Meir,dichiarazione al The Sunday Times, 15 giugno 1969).

«Come possiamo restituire I territor occupati? Non c’è nessuno a cui restituirli» ( Golda Meir, marzo, 1969).

«...Uscimmo fuori, e Ben Gurion ci accompagnò sulla porta. Allon ripetè la sua domanda: cosa si deve fare con la popolazione palestinese? Ben Gurion scosse la mano con un gesto che diceva: cacciarli fuori». (Yitzhak Rabin,è un passo censurato delle memorie di Rabin, rivelato dal New York Times, 23 ottobrer 1979)

«Saranno create, nel corso dei 10 o 20 anni prossimi, condizioni tali da attrarre la naturale e volontaria emigrazione dei rifugiati da Gaza e dalla Cisgiordania verso la Giordania. Per ottenere questo dobbiamo accordarci con re Hussein e non con Yasser Arafat». (Yitzhak Rabin, citato dn David Shipler sul New York Times, 04/04/1983)

«I palestinesi sono bestie con due zampe» (Menachem Begin,primo ministro di Israele 1977-83, davanti alla Knesset, citato da Amnon Kapeliouk, "Begin and the Beasts", New Statesman, June 25, 1982.)

«La partizione della Palestina è illegale. Non sarà mai riconosciuta... Gerusalenne fu e sarà per sempre la nostra capitale. Eretz Israel sarà restaurato per il popolo d’Israele; tutto e per sempre» (Menachem Begin, il giorno dopo il voto all’Onu per la partizione della Palestina).

«I palestinesi saranno schiacciati come cavallette... le teste spaccate contro le rocce e i muri» ( Yitzhak Shamir, primo ministro in carica, in un discorso ai «coloni» ebraici, New York Times 1 aprile, 1988).

«Israele doveva sfruttare la repressione delle dimostrazioni in Cina (nei giorni di Tienanmen, ndr.) quando l’attenzione del mondo era concentrata su quel paese, per procedere alle espulsioni di massa degli arabi dei territori (occupati)» (Benyamin Netanyahu, all’epoca vice-ministro degli esteri, già primo ministro, davanti agli studenti della t Bar Ilan University; citazione tratta dal giornale isrealiano Hotam, 24 novembre 1989).

«I palestinesi sono come coccodrilli, più carne gli dai e più ne vogliono» (Ehud Barak, primo ministro all’epoca, 28 agosto 2000. Riportato dal Jerusalem Post 30 agosto 2000).

«Se pensassimo che anzichè 200 morti palestinesi, 2 mila morti ponessero fine alla guerriglia in un colpo solo, useremmo molto più forza…» (Ehud Barak, primo ministro, citato dalla Associated Press, 16 novembre 2000).

«Mi sarei arruolato in una organizzazione terroristica»: (risposta di - Ehud Barak a Gideon Levy, il noto giornalista di Ha'aretz che gli aveva domandato cosa avrebbe fatto se fosse nato palestinese)

«C’è un abisso tra noi (ebrei) e i nostri nemici: non solo in capacità ma in moralità, cultura, decenza di vita e coscienza. Sono i nostri vicini, ma è come se non appartenessero al nostro continente, al nostro mondo, ma a una diversa galassia» (Moshe Katsav, presidente di Israele, al Jerusalem Post, 10 maggio 2001. Katsav ha poi dovuto dimettersi per molestie sessuali alle sue segretarie).

«Noi dichiariamo apertamente che gli arabi non hanno alcun diritto di abitare anche in un centimetro di Eretz Israel... Capiscono solo la forza. Noi useremo la forza senza limiti finchè i palestinesi non vengano strisciando a noi» (Rafael Eitan, capo dello stato maggiore di Tsahal, citato da Gad Becker in «Yedioth Ahronot», 13 aprile 1983).

«E’ dovere dei leader israeliani spiegare all’opinione pubblica, con chiarezza e coraggio, alcuni fatti che col tempo sono stati dimenticati. Il primo è: non c’è sionismo, colonizzazione o stato ebraico senza l’espulsione degli arabi e la confisca delle loro terre» (Ariel Sharon, allora ministro degli esteri, ad un discorso tenuto davanti ai militanti del partito di estrema destra Tsomet – Agence France Presse, 15 novembre 1998).

«Ciascuno deve darsi una mossa, correre e arraffare quante più alture possibile per espandere gli insediamenti (ebraici), perchè tutto ciò che prendiamo adesso rimarrà nostro... Tutto ciò che non arraffiamo andrà a loro» (Ariel Sharon, stesso discorso di cui sopra).

«Israele ha il diritto di processare altri, ma nessuno ha il diritto di mettere sotto processo il popolo ebraico e lo Stato di Israele» (Sharon, primo ministro, 25 marzo 2001, BBC Online).

Queste citazioni sono sufficienti a capire qual è lo scopo delle incursioni in corso, e qual è lo scopo di Israele in generale: la pulizia etnica e l’espulsione forzata, a forza di massacri, dei palestinesi dalla «terra santa».

Negli anni ’30, si sarebbero potute estrarre identiche affermazioni (a favore del «socialismo mondiale») dai discorsi di Kaganovic, di Yagoda, di Trotsky-Bronstein; ciò non avrebbe indotto i Panebianco dell’epoca a un ripensamento.

A quell’epoca, gli ebrei erano per il socialismo, e dunque la menzogna più plateale era autorizzata; oggi che sono per il sionismo armato, è autorizzata la menzogna sionista.

Quando Panebianco esalta il superiore «valore della vita» umana che gli ebrei nutrirebbero rispetto ad Hamas, non fa che riecheggiare i discorsi della propaganda ebraica.

Per esempio la replica del rabbino Levi Brackman a Sarah Roy, una docente di Harvard che sul Christian Science Monitor si è chiesta angosciata di fronte ai bombardamenti spietati: «Abbiamo ancora la tradizione etica ebraica? La promessa di santità, così centrale alla nostra esistenza, è oggi oltre la nostra capacità di perseguirla?».

Risponde rabbi Brackman (1): «Sarah Roy scrive che essere ebrei significa ‘testimoniare, sollevarsi davanti all’ingiustizia e rifiutare di tacere. Significa compassione, tolleranza, e soccorso. In assenza di questi imperativi, cessiamo di essere ebrei’. Ma una più profonda lettura dell’ebraismo mostra che sì, gli ebrei sono un popolo definito dalla loro capacità di compassione e tolleranza; ma ci sono momenti in cui ci è vietato di agire secondo questi sentimenti perchè tali azioni sarebbero distruttive. E’ importante sentire compassione per i residenti di Gaza, ma questo sentimento di preoccupazione e simpatia non deve esere confuso con la chiarezza etica e morale. Al contrario, decidere di non montare una difesa contro terroristi omicidi per compassione, non è solo immorale, è anti-ebraico, idiota e profondamente irresponsabile».

Bel discorso, no? Ma anche rabbi Beckman non è l’autore di questo civile ragionamento. Ecco l’originale:

«…Dobbiamo essere onesti, decenti, leali e membri camerateschi verso la nostra stirpe e nessun altro.... Non dobbiamo mai essere duri e spietati quando non è necessario, questo è chiaro. Noi tedeschi, che siamo il solo popolo del mondo che ha un atteggiamento morale verso gli animali, dobbiamo avere un atteggiamento morale anche verso questi animali umani. Ma è un delitto contro il nostro sangue preoccuparsi di loro, se questo causa problemi ai nostri figli e nipoti. Quando qualcuno viene da me e mi dice, “Non posso scavare la trincea anticarro usando donne e bambini, è inumano, li espone alla morte’, io rispondo: ‘Tu sei un assassino del tuo stesso sangue, perchè se la trincea anticarro non è scavata, moriranno soldati tedeschi, e sono figli di madri tedesche, sono il nostro sangue”».

Chi parla? Heinrich Himmler, nel celebre discorso di Posen (Poznan) agli alti ufficiali SS (SS-Gruppenfueher) pronunciato il 4 ottobre 1943 (2).

Si è detto che tutti coloro che in Germania non si opposero al Reich, e magari ne celebrarono le lodi, erano «volonterosi carnefici di Hitler».

Oggi, sul Corriere vantano la superiore moralità ebraica altrettanti volontari carnefici; poichè solo la deplorazione e l’indignazione pubblica, sui media, potrebbe frenare il massacro degli inermi, il pubblico applauso corale dei media occidentali, al contrario, incoreaggia nuove e peggiori imprese SS (soldati sionisti).

E poichè la lode corale va all’attuale ministro della difesa Ehud Barak, converrà ricordare che «Barak» non è il suo vero nome, è un nome di battaglia: significa «Fulmine». In tedesco, Blitz.

Maurizio Blondet

La dittatura della statistica e la cybernetica

La cybernetica, la statistica e il potere sono dei sistemi strettamente connessi, il cui connubio ha dato vita in questo secolo ai crimini più terribili compiuti dall’umanità. Lo stesso piano diabolico di Adolf Hitler, ancora oggetto di indagini e di discussioni da parte degli storici, fu realizzato grazie alla perfetta alleanza tra il Terzo Reicht e la società di elettronica IBM, che ha offerto una preziosa cooperazione attraverso le sue filiali tedesche. Quanto solo sperimentato dal regime nazista di Hitler, viene oggi attuato dal Governo degli Stati Uniti, dall’Unione Europea, dalla Russia, che utilizzando la guerra al terrorismo, hanno introdotto la biometria per individuare, classificare e monitorare la popolazione e le sue risorse.



La rete è divenuta ormai un grande contenitore di informazioni e dati, in cui è possibile trovare tutto niente. Sembra ormai un grande accumulo di merce e rifiuti indifferenziato, dove accanto ai blog dei rivoluzionari part-time, vi sono media, partiti, centri di raccolta di petizioni e firme, catene di Sant’Antonio, comunicati inutili come inutili sono le organizzazioni che le emettono nel tentativo di sensibilizzare le masse. Oramai la disinformazione è di casa, un oceano difficile da contrastare su ogni fronte, nonostante l'impegno di molti ad evidenziare le grande anomalie del sistema. I forum e i gruppi di discussione sono i centri di traffico telematico più affollati, ed è lì che si scatenano "i rossi e i neri", personaggi inutili e frustrati, gli utenti sintetici e i fomentatori. L’Italia, in particolare, conosce tanti rivoluzionari, dagli sconosciuti ai più noti del grande schermo, che hanno organizzato comizi e grandi spettacoli di piazza, hanno raccolto firme telematiche da consegnare al Primo Ministro, per poi rendersi conto che non rimane altro che la Svizzera come "rifugio dalla censura", o dal Fisco. Tutto serve a riempire le pagine della rete, dagli appelli di pace e alle minacce terroristiche emanati dalla propria casa comodamente seduti, dai video di propaganda della rabbia alle riviste di hobbisti: tutto nasce e muore all’interno di questa grande scatola che è il web. Giorno dopo giorno tutti noi contribuiamo a tale grande progetto per creare la massa sintetica, i setteraristi, gli utili idioti che servono a fare movimenti di popolo quando è necessario. Mentre Google o You Tube si arricchiscono, la frustrazione e la rabbia gonfia ancora di più questo popolo della rete, i rivoluzionari del web. Saranno proprio loro a pagare il più alto prezzo della digitalizzazione della informazione, perché saranno i primi ad essere eliminati dalla censura diretta.

Come abbiamo avuto modo di spiegare, la nuova guerra è quella cybernetica, la quale provoca già vittime e vincitori. Il Mossad ora combatte con i propri nemici virtualmente, denunciando l’attacco dei siti israeliani da parte di hackers iraniani; allo stesso modo serbi ed albanesi si scambiano accuse violando i siti delle rispettive istituzioni, distruggendo archivi e web-site di partiti. Tutto questo giro di vite e di personaggi è direttamente strumentale alla produzione di statistiche e di analisi, fonte di potere e di ricchezza per quelle entità che monitorano i server e il traffico della rete. La realtà in cui viviamo è un continuo altalenarsi di dati statistici che mostrano come le società stanno evolvendo o arretrando sulla scala della disumanizzazione e del controllo. Un ragazzo morto mette sotto-sopra uno Stato come la Grecia; a Gaza muoiono 1000 persone sotto i colpi dei raid israeliani: 1 vittima o 1000 morti sono pur sempre una statistica, che è alla base delle nostre leggi e della stessa giustizia.

La cybernetica, la statistica e il potere sono dei sistemi strettamente connessi, il cui connubio hanno dato vita in questo secolo ai crimini più terribili compiuti dall’umanità. Lo stesso piano diabolico di Adolf Hitler, ancora oggetto di indagini e di discussioni da parte degli storici, fu realizzato grazie alla perfetta alleanza tra il Terzo Reicht e la società di elettronica IBM, che ha offerto una preziosa cooperazione attraverso le sue filiali tedesche. La IBM ha infatti contribuito con le sue tecnologie all'individuazione e la catalogazione della popolazione ebrea in Europa, negli anni compresi tra il 1933 e il 1940. Naturalmente in quegli anni non esistevano gli elaboratori (gli attuali computer) ma esisteva la tecnologia "punch card" dell' Hollerith svstems della IBM (nella foto, manifesto della Hollerith) , che non era nient’altro che un sistema cibernetico che attribuiva un numero di serie ad ogni individuo mediante dei codici: le macchine IBM, affittate a costi elevatissimi, hanno creato miliardi di matrici (schede perforate). Grazie ad esse, Hitler è riuscito ad "automatizzare" la ricerca del popolo ebreo, analizzando registri anagrafici, censimenti e banche di dati di tutti i Paesi europei, con una velocità e precisione a dir poco impressionante, che gli storici non sono mai riusciti a spiegare. La tecnologia IBM ha consentito anche l’organizzazione del trasporto ferroviario e dei campi di concentramento all’estero, mentre forniva assistenza, manutenzione e personale in maniera esclusiva. Inoltre la IBM con sede a Berlino ha conservato i duplicati di molti libri di codici, come qualsiasi IBM service bureau, che oggi conserva i dati di backup di server e computer ( Fonte: IBM and The Holocaust di Edwin Black).
La tecnologia IBM e le matrici di identificazione


Quanto solo sperimentato dal regime nazista di Hitler, viene oggi attuato dal Governo degli Stati Uniti e dall’Unione Europea, che utilizzando la guerra al terrorismo, hanno introdotto la biometria per individuare, classificare e monitorare la popolazione e le sue risorse. Quel numero tatuato sul braccio degli ebrei, che ancora oggi viene nascosto come vergogna o paura per i crimini subiti, ci è stato già attribuito dalla biometria, che si ripropone come progetto per la mappatura della popolazione mondiale. Tutto questo è stato realizzato grazie ad Al Qaeda, in nome e per conto della democrazia. Delle entità che non conosciamo si sono appropriate dei dati statistici dei Paesi, violando la sovranità dei popoli e degli speculatori che li utilizzano per propri interessi.
Ogni nostra scelta viene in qualche modo anticipata dall’analisi su grandi numeri della massa di dati che hanno a disposizione. È come giocare una partita di scacchi dove i giocatori conoscono in anticipo le mosse e non è possibile cambiare le regole, pena l’eliminazione dalla gara. Allora, signori della democrazia che viene dal Web, cosa significa per Obama il Ministero della Cibernetica? È la nuova guerra della rete, una guerra invisibile. Tuttavia le masse non capiranno mai cosa stia accadendo attorno a loro, perché sono surrogate dal terrore, indotte a pensare delle cose contro la loro stessa volontà, credendo di vivere in una democrazia, di avere dei diritti. In realtà è solo un concetto astratto. Gli stessi politici che ottengono dai cittadini un mandato a governare sono condizionati da un ricatto eterno. Questo è il nostro fallimento, sul quale si ripropongono come dei rivoluzionari i nuovi leader della cibernetica, che non sono altro che copie contraffatte di un sistema che non esiste più. L'Umanità deve fermarsi e riflettere sui propri errori, rispolverare le carte che uomini di scienza hanno regalato al mondo, e che gli uomini stessi hanno nascosto: gli eserciti dovranno capire che combattono guerre sbagliate contro un nemico sbagliato.

by etleboro

18 gennaio 2009

L'Italia è una repubblica oligarchica fondata sulle rendite




L'Italia è una repubblica oligarchica fondata sulle rendite. La sovranità appartiene al mercato che la esercita a suo piacimento nel pieno disprezzo della Costituzione ufficiale; il lavoro è sottomesso alle decisioni del mercato, anche quelle occulte ed inconfessabili

Sono circa 30 anni che quello sopra riportato è, di fatto, il primo articolo della costituzione reale del nostro paese, nonché il vangelo di Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, Banca per i Regolamenti Internazionali, ecc...

I nostri guai iniziarono nel 1970 con la controrivoluzione “monetarista” di Milton Friedman (1) che ha realizzato una tragica profezia di Kalecki (2).

Entrò pesantemente in vigore:

* in Cile, l’11 settembre 1973 con l’abbattimento del governo democratico di Allende;
* in Argentina, nel 1976 con la dittatura Videla (3);
* negli Stati Uniti, il 6 Agosto 1979 con l'avvento a capo della FED di Paul Volcker (4), recentemente riesumato da Obama (è assai poco probabile che il lupo perda il vizio);
* da noi, nel settembre ’79 con l'avvento a capo di bankitalia di Ciampi, al posto del mai sufficientemente rimpianto Paolo Baffi, caduto politicamente sotto il fuoco incrociato delle brigate rosse e della magistratura deviata (5);
* fortunatamente per loro, in Francia ed in Germania, solo negli anni ’90 col trattato di Maastricht.

Era il mercato e l’esigenza di stare al passo coi tempi che volevano i nostri Tassi Ufficiali di Sconto costantemente superiori all’inflazione (6), portandoci il rapporto debito PIL dal 60 al 124% in pochi anni. Il protagonista politico di questo scempio ne era perfettamente consapevole (7).

Era il mercato e l’esigenza di stare al passo coi tempi che volevano l’abbandono della Politica Monetaria di Einaudi e Menichella caratterizzata da alta Base Monetaria e basso moltiplicatore bancario; quella PM che fece regredire il rapporto debito PIL dal 107,9 del 1943 al 32,5 del 1963 (8).

Era il mercato e l’esigenza di stare al passo coi tempi che volevano l’abbandono della vecchia legge bancaria redatta negli anni ’30 proprio per contrastare gli eccessi che portarono alla crisi del ’29.

Era il mercato e l’esigenza di stare al passo coi tempi che volevano la drastica riduzione dei redditi da lavoro a vantaggio delle rendite; di qui l’esigenza forsennata ed isterica della globalizzazione, costi quel che costi: minor costo del lavoro = maggiore rendita parassitaria.

La lista sarebbe lunghissima; evito di riportarla.

Ovviamente i nostri responsabili del secondo dopoguerra non erano dei fenomeni; erano semplicemente uomini che rispettavano le regole e non baravano.

La Costituzione diceva che la nostra repubblica era fondata sul lavoro? Bene! Operavano in questo senso!

Alzando la Base Monetaria e contraendo il moltiplicatore bancario si favoriva, in solido, il lavoro, l’economia reale, la giustizia sociale che uno Stato può portare con sé; questo non significava che la proprietà e le rendite erano criminalizzate: significava semplicemente che andavano coordinate col lavoro e le altre funzioni sociali essenziali in modo da avere un sistema sostenibile, come ben teorizzato da Keynes e come ben sperimentato in tutto il mondo fino agli anni ‘70. Abbandonando quella Politica Monetaria ed adottando quella monetarista friedmaniana, di fatto, si è introdotto il primato del mercato e delle rendite sul lavoro, addivenendo inevitabilmente a quello squallido primo articolo della costituzione deviata di cui all’inizio di questo intervento; addivenendo inevitabilmente ad una configurazione socio-economica decisamente insostenibile. Solo Brunetta non se ne è ancora accorto (9).
I disastri inflattivi degli anni ’70 erano perfettamente risolvibili nell’ambito della Politica Monetaria keynesiana vigente, senza necessariamente abbandonarla a favore di quella monetarista. Ma le esigenze miopi dell’elite non avevano nessun interesse a far funzionare bene il sistema socio-economico globale; Kalecki docet.

Dalla fine degli anni ’70 siamo stati costantemente traditi, e la nostra Costituzione è stata costantemente tradita, dal Parlamento di turno, dal Governo di turno, dal Presidente della Repubblica di turno, dalla Corte Costituzionale di turno (10).

L’ultimo dell’anno abbiamo subito anche l’inevitabile “beffa” (11).

Ha detto il Capo dello Stato: “Per l'Italia, la prova più alta in cui si riassumono tutte le altre, è quella della nostra capacità di unire le forze, di ritrovare quel senso di un comune destino e quello slancio di coesione nazionale che in altri momenti cruciali della nostra storia abbiamo saputo esprimere. Ci riuscimmo quando dovemmo fare i conti con la terribile eredità della seconda guerra mondiale : potemmo così ricostruire il paese, far rinascere la democrazia, stipulare concordemente quel patto costituzionale che è ancora vivo e operante sessant'anni dopo, creare le condizioni di quella lunga stagione di sviluppo economico e civile che ha trasformato l'Italia.”

È verissimo che con gli strumenti che abbiamo impiegato nel secondo dopoguerra si potrebbe risolvere velocemente la crisi (12). Non si può non concordare, ma bisogna anche abbandonare immediatamente ed al livello planetario la politica monetaria che ci ha portato a questa condizione.

È proprio grazie allo scellerato comportamento trentennale di Parlamento, Governo, Presidente della Repubblica e Corte Costituzionale che non possiamo utilizzare quegli strumenti fondamentali e basilari della Politica Monetaria che ci hanno permesso di risorgere nel secondo dopoguerra. Senza quegli strumenti ci troviamo con le mani legate dietro la schiena, impossibilitati a reagire come si dovrebbe.

Non è possibile ascoltare quelle parole proprio da chi ha operato negli ultimi 30 anni nella direzione opposta, prendendo in giro, fra l’altro, i suoi stessi elettori. La sudditanza al dogma del primato del mercato di Napolitano, Ciampi, Amato, Prodi, D’Alema, Bersani, Brunetta, Martino, Tremonti (fino a pochissimi anni fa), ecc. è stata assoluta.

Sono stati calpestati ed ingannati sia i cittadini che la Costituzione.

Faccia il Presidente della Repubblica il suo dovere e richiami i responsabili politici al rispetto formale e sostanziale della nostra Carta fondamentale a partire dal primo articolo, primo e secondo comma! È vero che l’articolo 117 (13) ci mette nelle mani dell’elite mercatista e lobbista che spadroneggia a Bruxelles (14), ma è anche vero che l’attuale crisi può essere risolta solo col pesante ritorno in campo della Politica. E la Politica può, sia in un’ottica nazionale e limitata, modificare l’art. 117, sia, a più ampio respiro, cambiare registro a Bruxelles, a Francoforte, a Basilea, a Londra ed a Washington. Qualora il Presidente non lo faccia, abbia perlomeno il pudore di evitare l'argomento del nostro sviluppo economico e della crisi.
di Lino Rossi - 18/01/2009

10 gennaio 2009

Il vero obiettivo di Israele non è Hamas...

Il generale in pensione Kürsat Atilgan, deputato per il Partito del Movimento Nazionalista della città turca di Adana, ha condannato l'offensiva mortale di Israele contro la Striscia di Gaza, che finora ha ucciso più di 500 cittadini di Gaza e ne ha feriti più di 2500, e ha sostenuto che il vero obiettivo della campagna sanguinaria di Israele non è quello di stanare i combattenti di Hamas, come sostiene Tel Aviv.

kursat.jpg"Questa guerra è una guerra sproporzionata, scoppiata in conformità con gli sviluppi della politica interna israeliana.
La politica interna israeliana è arrivata a un livello tale per cui quanti più Palestinesi muoiono, tanto più i politici israeliani ricevono appoggio", ha detto Atilgan, intervistato dal giornale Today's Zaman.

L'invasione di Gaza amministrata da Hamas, prevista da tempo, ha fatto seguito a una settimana di bombardamenti israeliani via terra, cielo e mare. Molti civili Palestinesi e combattenti di Hamas sono stati uccisi e feriti mentre i proiettili israeliani colpivano le case e le strade di Gaza. Gli ufficiali israeliani hanno detto che l'offensiva potrebbe durare molti giorni.

"Non c'è mai stata una guerra così sproporzionata al mondo come questa offensiva israeliana contro i Palestinesi. Mentre una parte è equipaggiata di carri armati, aerei da guerra e tecnologia satellitare, l'altra parte è quasi del tutto inerme. Inoltre, la prima parte riceve il supporto di molti paesi e mette a tacere i mass media del mondo. Dall'altra parte, un intera popolazione è obbligata a vivere in povertà in un'area di pochi chilometri quadrati. La Palestina è testimone di una delle guerre più crudeli e sproporzionate del mondo", ha detto Atilgan.

Egli ha anche sottolineato l'importanza che ha la Turchia per spingere verso una cessazione della violenza israeliana nella regione.

"Il nostro primo ministro [Recep Tayyip Erdogan] dovrebbe andare in Israele e dire loro di fermare la guerra. La Turchia ha il potere di fermare la tragedia umanitaria a Gaza. Quello che dice la Turchia sull'argomento verrà preso in considerazione da Israele. Israele non è in una posizione di potersi permettere di mettere a rischio l'amicizia con la Turchia. Non ci sono altri paesi della regione tranne la Turchia che verranno ascoltati. Il senso di umanità è venuto meno nelle genti del Medio Oriente, che stanno subendo una violenza che nessun essere umano può accettare. Ciò nonostante, l'umanità rimane silenziosa davanti a questa violenza e non sta facendo quasi nulla per fermarla.", ha proseguito Atilgan.

Secondo Atilgan sarebbe ora che la Turchia mettesse in discussione il suo ruolo di mediatore tra Israele e la Siria, e ha espresso disappunto per il lancio della massiccia offensiva israeliana contro gli indifesi cittadini di Gaza, subito dopo l'incontro avvenuto tra il Primo Ministro Erdogan e la sua controparte israeliana, Ehud Olmert. Ha anche affermato che non sarà possibile riportare la pace in Medio Oriente fintantochè gli Stati Uniti sosterranno Israele.

"Mentre la Siria e Israele stavano per raggiungere un accordo sul conflitto delle Alture del Golan, nel 1996, questa iniziativa fallì per colpa delle politiche pro-israeliane degli USA. Nè Israele nè gli stati arabi possono riportare la pace nella regione. Fino a che l'odio e la rivalità vengono riversati nella regione, sarà troppo difficile riportare la pace", ha detto.

L'obiettivo di Israele non è Hamas

Atilgan ha sostenuto che l'obiettivo di Israele nell'offensiva non è quello di stanare i combattenti di Hamas. "E' Hamas l'obiettivo di questa offensiva? Non credo. Hamas è stata fondata con il sostegno indiretto di Israele, per combattere le forze di Fatah. Con l'andar del tempo, Hamas è diventata rappresentativa del 70-80% dei Palestinesi. Ma questa realtà viene ignorata da Israele. Loro considerano Hamas come organizzazione terroristica. E questo è quello che pensa anche il mondo. Tuttavia, è una credenza sbagliata", ha sostenuto.

Atilgan ha anche accusato Israele di ingannare il mondo intero, compresa la Turchia, circa la sua offensiva sanguinaria. "Israele ha ricevuto molte informazioni segrete sulla Palestina durante il cessate il fuoco. E adesso stanno bombardando le case di Gaza. Mentre fingevano di discutere la pace, stavano nei fatti decidendo quali erano gli obiettivi da bombardare. Tutti sapevano che la tregua non sarebbe durata a lungo", ha notato.

Atilgan ha anche detto che l'Iran non farà passi concreti per fermare la violenza israeliana. "L'Iran è uno dei paesi chiave del Medio Orriente. Le sue parole sono più grandi del suo potere. Iran non è mai stato attivamente in conflitto con Israele. In questo momento è occupato con la carota che gli viene offerta per il suo programma nucleare. Sta aspettando ansiosamente un pacchetto di proposte sul nucleare dall'amministrazione USA, e non credo che l'Iran si farà coinvolgere nella tragedia Palestinese", ha detto.

Atilgan ha ribadito la sua convinzione che la Turchia abbia il potere di fermare le sofferenze dei Palestinesi. "Non c'è altro paese nella regione, tranne la Turchia, che possa essere ascoltato da Israele. Il potere militare di Israele è sufficiente a distruggere diversi paesi. Israele ha costruito la sua strategia militare per distruggere tutti i fattori che in futuro possano costituire una minaccia per lei. Per questo l'impianto nucleare in Iraq è stato distrutto. Per questo all'Iran non viene permesso di avere tecnologia nucleare. Questa è una strategia pericolosa", ha proseguito.

Ha anche detto che sono stati gli USA a beneficiare più di tutti dell'anti-americanismo in Turchia, aggiungendo che si domandava se l'anti-americanismo in Turchia non sia stato promosso dagli stessi Stati Uniti.

"Non addestriamo piloti israeliani"

Il generale in pensione, che un tempo ha avuto una posizione di alto livello nelle Forze Aeree turche, ha respinto le affermazioni secondo cui i piloti israeliani, che stanno distruggendo Gaza con le bombe in questo momento, siano stati trasferiti in Turchia per essere addestrati.

"La Turchia ha firmato un accordo di cooperazione militare con Israele nel 1996, quando i paesi arabi si schierarono con la Siria per la crisi idrica. Lo scopo di questo accordo era di proteggere la Turchia contro le minacce provenienti da sud. La Turchia non ha accordi militari solo con Israele; abbiamo accordi simili con circa 40 paesi" - ha detto.

Source > Todays Zaman

Io, nell'inferno di Guantanamo per sei anni

guantanamo1Quando ad agosto Muhammad Saad Iqbal è tornato a casa propria, dopo più di sei anni trascorsi nelle mani degli americani, e di cui cinque nel carcere militare di Guantanamo Bay a Cuba, aveva difficoltà nella deambulazione, il suo orecchio sinistro aveva una grave infezione e mostrava segni di dipendenza da un cocktail di antibiotici e antidepressivi. A novembre, un chirurgo pachistano l’ha operato all’orecchio, alcuni fisioterapisti sono intervenuti sui suoi problemi di lombosciatalgia e uno psichiatra ha cercato di ridurre la sua dipendenza dai farmaci, che egli era solito portarsi appresso in un sacchetto di plastica. I suoi problemi, ha detto Iqbal, un lettore professionista del Corano, sono dovuti a una forma di tortura (detta "gantlet", nella quale il prigioniero è costretto a correre tra due file di persone armate di mazze o di fruste), e a un insieme di abusi, carcerazione e interrogatori per i quali il suo legale di Washington ha in mente di citare in giudizio il governo degli Stati Uniti. L’Amministrazione del presidente eletto Barack Osama, che si insedierà di qui a poco, sta valutando se chiudere definitivamente il carcere di Guantanamo, che molti hanno criticato e definito un sistema di detenzione e abusi estraneo a ogni legalità. La storia vissuta da detenuti come Iqbal sta emergendo però soltanto adesso, dopo anni nei quali questi individui sono stati trasportati avanti e indietro in tutto il mondo con quel sistema adottato dall’Amministrazione Bush e denominato "extraordinary rendition", in virtù del quale i prigionieri sospettati di essere terroristi erano interrogati e incarcerati in Paesi stranieri. lontani dalla portata dei tribunali americani. Iqbal non è mai stato riconosciuto colpevole di alcun crimine, né del resto mai imputato di alcun reato. E’ stato rilasciato da Guantanamo senza clamori, con la spiegazione di routine che non è considerato più un "nemico combattente", grazie a un programma varato dall’Amministrazione Bush per ridurre la popolazione carceraria. «Mi vergogno di quello che gli americani mi hanno fatto in quel periodo», rivela Iqbal che, per la prima volta ha voluto far luce sulla sua prigionia. Iqbal era stato arrestato nel 2002 a Giacarta, in Indonesia, dopo essersi vantato coni membri di un gruppo islamico di saper costruire una bomba da nascondere nel tacco delle scarpe, secondo quanto hanno raccontato due fonti americane di alto grado che si trovavano a Giacarta in quel periodo. Oggi Iqbal nega di aver mai fatto una dichiarazione del genere, ma due giorni dopo il suo arresto la Cia lo trasferì in Egitto. In seguito fu trasferito ancora in una prigione americana nella base aerea di Bagram inAfghanistan, per poi approdare al carcere della Baia di Guantanamo. Dopo essere stato catturato a Giacarta e interrogato per due giorni, le fonti americane giunsero alla conclusione che Iqbal era soltanto uno spaccone e che dovesse pertanto essere rilasciato: così ha rivelato una delle fonti americane a Giacarta. «Era un chiacchierone, voleva darsi delle arie ed essere ritenuto più importante di quanto non fosse in realtà» ha detto la fonte. Non ci sono prove che Iqbal abbia mai incontrato Osama Bin Laden o sia mai stato in Afghanistan, ma nell’atmosfera di paura e confusione che regnò nei mesi immediatamente successivi all’11 settembre 2001, Iqbal fu trasferito segretamente in Egitto per essere sottoposto a ulteriori interrogatori. Lui dice di essere stato picchiato, ammanettato strettamente, incappucciato, drogato, sottoposto a scariche elettriche e poiché aveva negato di aver conosciuto Osama bin Laden è stato anche privato del sonno per sei mesi. «Mi hanno accecato e costretto a stare in piedi per giorni interi». Il Pentagono e la Cia per prassi non parlano dei prigionieri, ma un portavoce della Cia, Paul Gimigliano, ha detto che «il programma di detenzione dei terroristi dell’agenzia ha fatto uso di sistemi di interrogatorio leciti. Da quanto so di questo individuo, egli sembra descrivere tecniche molto diverse da quelle in uso», ha aggiunto Gimigliano. «Non ho proprio idea di che cosa stia parlando. Gli Usa non utilizzano né ammettono la tortura». Una volta arrivato a Guantanamo, il 23 marzo 2003, Iqbal è stato trattato come un miserabile dagli altri prigionieri perché secondo un compagno di prigionia, non era stato addestrato nei campi afgani. Iqbal è diventato talmente depresso da cercare di suicidarsi impiccandosi due volte e da effettuare tre scioperi della fame, ha detto Habib. «Un agente della Cia - racconta - mi ha detto: "Ti risparmiamo: ammetti soltanto di aver incontrato Osama Bin Laden". Quando io ho risposto che non era vero e che non avrei ammesso una cosa del genere, dopo che anche i test alla macchina della verità hanno dimostrato che dicevo il vero, mi hanno spostato da una cella all’altra a intervalli regolari e deprivato del sonno per sei mesi». Secondo una dichiarazione dell’aprile 2007 del dottor Ronald L. Sollock, comandante dell’Ospedale della Marina della Baia di Guantanamo, a Iqbal è stata diagnosticata la perforazione del timpano sinistro, un’infiammazione del canale esterno dell’orecchio sinistro, un’infiammazione dell’orecchio medio sinistro. E dal 2003, secondo quanto la Corte ha appurato da Sollock, a Iqbal sono stati prescritti farmaci antibiotici. Quando ha fatto ritorno a casa propria in Pakistan, Iqbal mostrava segni di dipendenza «da un lungo elenco di farmaci», ha detto Mohammad Mujeeb, professore e laringoiatra del Services Hospital di Lahore. «Qui, con la mia famiglia, sono tornato a vivere. E’ stato come nascere una seconda volta - dice Iqbal - non saprei descrivere quella sensazione altrimenti». Il suo caso è attualmente in corso di esame nei tribunali americani: il suo avvocato, Richard L. Cys, dice che si prefigge di citare il governo americano per la detenzione illecita. A Lahore, Iqbal intende adesso tornare a insegnare il Corano: «E’ facile ora per gli Stati Uniti affermare che non sono state trovate accuse a mio carico - conclude - Ma chi è responsabile di questi sette anni della mia vita?».

di Raymond Bonner, Salman Masood, Jane Perlez

La furia cieca israeliana... Pagherà?








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La furia cieca sionista non risparmia niente e nessuno. Anche la scuola di Asma, al campo profughi palestinese di Shati, nella città di Gaza. L'istituto, che era gestito dall'Unrwa, è stato bombardato dall'aviazione israeliana. Come un altro a Khan Younis. Mahmoud Khalil è terrorizzato. Cercava un posto sicuro per i suoi cinque figli e alla fine aveva deciso: la scuola gestita dall'Onu, quello era uno dei pochi luoghi che Tsahal avrebbe lasciato intatti nella Striscia di Gaza. Si sbagliava, Khalil.


Le bombe israeliane non hanno fatto alcuna distinzione, cinque palestinesi sono morti. "Ci uccidono ovunque. Se possono bombardare le moschee, se possono uccidere i bambini più piccoli, se possono far saltare in aria il nostro parlamento, perché dovrebbero avere cura delle scuole? Non si preoccupano di quello che pensa l'Onu, non si preoccupano di quello che pensa il mondo intero", ha dichiarato con rabbia Khalil. Tre palestinesi hanno perso la vita nel raid aereo di Tsahal contro la scuola Asma, nel campo profughi di Shati. Un bilancio che sarebbe potuto essere molto più grave. Secondo il portavoce dell'Onu, Adnane Abu Hasna, 450 persone si erano rifugiate nella scuola per sfuggire ai bombardamenti che avevano colpito altri quartieri della città. E a Khan Younis, nel sud della Striscia, un obice ha colpito l'entrata di una seconda scuola uccidendo due persone la cui identità non è stata ancora stabilita come hanno riferito fonti mediche.


"Eppure le scuole erano chiaramente identificate come edifici dell'Onu", ha chiarito il portavoce delle Nazioni Unite, Christopher Gunnes. "L'Unrwa protesta vigorosamente per queste vittime presso le autorità israeliane e chiede l'apertura di un'inchiesta immediata e imparziale". Un'inchiesta che, c'è da giurarci, si dissolverà nel nulla. Israele è intoccabile e può contare su un numero massiccio di volgari servitori tra diplomatici, governanti, giornalisti e giudici. I bambini di Khalil sono ancora in salvo. "Ma dopo ciò che hanno visto sono terrorizzati", ha spiegato un meccanico palestinese. "Ci sono state esplosioni vicino alla nostra casa. Ogni cosa è in rovina. Israele ha avvertito di fuggire, di trovare riparo, perché bombarderà le nostre case".


Già, fuggire. Ma dove? In altre occasioni, ricorda il Guardian, ci si indirizzava verso il confine, sperando di arrivare sani e salvi. Adesso non si può. Gli abitanti della città di Gaza sono isolati, la loro casa è diventata la loro prigione, non c'è alcuna via di uscita". I bambini di Khalil continueranno a nascondersi nelle scuole dell'Onu, sperando di poter sfuggire alla ferocia dello stato criminale d'Israele. Almeno 17 istituti scolastici della regione sono stati trasformati in un riparo di fortuna per oltre 5.000 palestinesi. Ma non c'è alcuna garanzia: nove di queste si trovano infatti nel campo profughi di Jabaliya, dove i combattimenti sono violentissimi. E poi nella zona di Rafah, dove l'aviazione israeliana continua a bombardare i tunnel, ritenendoli viatici per il contrabbando di armi con l'Egitto. Il governo sionista sta cercando di infliggere al popolo palestinese una punizione durissima per aver osato resistere in questi anni al disegno di cancellazione del loro diritto alla terra, alla pace, alla vita. Israele sta continuando a martellare senza sosta la prigione a cielo aperto di Gaza con la complicità della quasi totalità delle borghesie nazionali arabe, dell’Europa, degli USA.


La maggior parte della stampa e dei mezzi d’informazione di tutto il mondo continua a ripetere la linea di Tel Aviv, ovvero il presunto “diritto” di Israele a “difendersi”. In Italia governo, opposizione, il presidente della Repubblica, i TG, i quotidiani e i tanti strapagati opinionisti da strapazzo hanno espresso il proprio incondizionato appoggio ad Israele e la propria condanna al “terrorismo” di Hamas. I palestinesi uccisi e mutilati dalla pioggia di fuoco dell’aviazione israeliana, per una logica perversa, sarebbero i carnefici, gli ebrei occupanti le vittime. Già all’inizio dell’anno gli israeliani (sostenuti dagli USA) avevano cercato di innescare e fomentare la guerra civile nel tentativo di distruggere Hamas. Poi, durante i mesi di tregua hanno ripetutamente cercato di provocare la reazione palestinese, ma è dal 27 dicembre che hanno dato il via a questo autentico sterminio di massa con l’obiettivo di terrorizzare la popolazione e spingerla contro Hamas, per provocare il rovesciamento “manu militari” dell’attuale e legittimamente eletta leadership palestinese e il ritorno di quella venduta e corrotta che circonda il presidente filo-israeliano e filo-americano, Abu Mazen.


Il tutto con il complice silenzio dell'opinione pubblica internazionale, non meno criminale dell'azione militare israeliana. Si spendono lacrime a fiumi per i “poveri” monaci tibetani oppressi (il cui leader, che tutti fanno a gara ad omaggiare, è stato un risaputo informatore della CIA) ma per i palestinesi nessuna comprensione e sempre lo stesso giudizio: terroristi e provocatori. I commenti di molti nostri colleghi sono semplicemente ridicoli. Sentivo per caso a Prima Pagina di radio tre il direttore della gazzetta di Mantova sostenere, per esempio, che gli israeliani, prima di bombardare la casa di un capo di Hamas, lo avrebbero contattato telefonicamente per avvertirlo. Conclusione: se con il disgraziato dirigente di Hamas è stata uccisa tutta la sua famiglia la colpa è soltanto sua, perchè non avrebbe dato ascolto all'amorevole consiglio sionista! Siamo ben oltre il ridicolo!


Per non parlare poi dell'informazione a senso unico data dalla Rai. Anche se ogni giorno si tocca sempre di più il fondo, a mio avviso, il fondo del fondo è stato toccato l'altro giorno. Telegiornale di Rai2, dopo una breve carrellata sugli edifici sbriciolati e sulle macerie che riempiono le strade di Gaza, il notiziario propone le "scioccanti" immagini che arrivano da Israele, una finestra sventrata, un appartamento a soqquadro, un trasformatore di una centrale elettrica che fuma. Sono le drammatiche e "sanguinose" (ma dov'è il sangue?) conseguenze dei razzi Qassam sparati dai palestinesi. L'imparziale corrispondente italyota, mentre raccoglie i lamenti della popolazione israeliana chiede al solito rabbino di turno cosa ne pensi dell'uccisione di un esponente di Hamas, lo sceicco Nizar Rayan, capo dei martiri islamici, ucciso con 15 dei suoi familiari, mogli e figli, da un missile di una tonnellata di esplosivo. L'austero rabbino esprime tutta la sua soddisfazione sorridendo e dichiara: "Lo sceicco Rayan si considerava un martire, quindi sarà contento, abbiamo mandato in paradiso lui e la sua famiglia". Se a dichiararlo fosse stato un uomo appartenente a qualsiasi altro popolo sarebbe accaduto il finimondo, ma, come molti sanno, il taglietto in quel posto permette questo ed altro...


Siamo ben consci che la nostra voce, a causa dello spesso muro di omertà innalzato dall'informazione omologata, difficilmente varcherà una certa soglia, ma non ci arrenderemo e continueremo ugualmente a raccontare giorno per giorno i crimini sionisti, l’eroica resistenza ed il martirio del popolo palestinese, ancora una volta massacrato impunemente sotto gli occhi colpevoli del mondo. Continueremo a lottare insieme a voi, con gli strumenti che abbiamo a disposizione, compagni e compagne di lotta Gaza, affinché la vostra liberazione nazionale diventi una tappa della liberazione di tutti i popoli dall’oppressione imperialista. Le vostre mani nude contro soldati la cui dotazione è di circa cinquanta chili a testa di strumenti sofisticatissimi ed armi di eccezionale potenza, sono intrise di eroismo e di fiero orgoglio guerriero. L'esito militare appare scontato, quello politico molto di meno.


Di una cosa, però, possiamo essere certi fin d'ora: comunque andranno le cose Israele perderà la battaglia di Gaza. Se vincerà non avrà dimostrato niente, perchè si tratta di una lotta impari tra un superesercito ed una popolazione civile. Tirannie come quelle di Mubarak in Egitto e come quella davvero dei fondamentalisti dell'Arabia Saudita sono destinate ad essere travolte dalla collera popolare. Attorno ad Israele c'è solo l'odio profondo creato dalle sue violenze e dalle sue continue sopraffazioni. Tutto il mondo arabo, sebbene oggi diviso, prima o poi riconsidererà tutta la questione mediorientale e la proposta non sarà la pace ma l'eliminazione dell'illegittimo e razzista stato sionista. Le menzogne che la stampa occidentale propina ogni giorno anche attraverso "autorevoli" opinionisti saranno presto smascherate.


A tal proposito, sono emblematiche le parole di un sacerdote cattolico. Padre Manuel Musallam, sacerdote della parrocchia della Santa Famiglia, unica chiesa cattolica di Gaza ha spiegato come la spietata aggressione sionista abbia reso più compatti e risoluti i palestinesi nella loro legittima resistenza armata. "Centinaia di giovani si stanno arruolando in queste ore nelle file di Hamas", ha dichiarato padre Manuel. "È la reazione di parte della popolazione già provata da mesi di assedio, in un luogo in cui manca tutto; questi sono gli effetti dei bombardamenti israeliani. Nessuno sa dove vogliano arrivare gli israeliani ma se l'obiettivo era quello di distruggere Hamas posso dire che non c'è una sola voce contro Hamas in tutta Gaza e che anzi i bombardamenti, e le vittime e i feriti che hanno causato, stanno spingendo in queste ore centinaia di giovani ad aggregarsi al movimento e prendere le armi. E' gente che ha perso qualcuno, che vede i propri figli piangere, che ha deciso di resistere", ha concluso il sacerdote.

IL VERO SCOPO DEL MASSACRO DI GAZA

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Hamas non può essere sconfitto e quindi deve essere messo in ginocchio

Sin da quando Hamas ha trionfato nelle elezioni palestinesi di quasi tre anni fa, le voci che circolavano in Israele sostenevano che era imminente un’invasione di terra totale della Striscia di Gaza. Ma anche quando l’opinione pubblica era pronta per un attacco decisivo contro Hamas, il governo ha fatto marcia indietro all’idea di un assalto frontale.

Ora il mondo attende che Ehud Barak, il ministro della Difesa, invii i carri armati e i soldati perché la logica di questa operazione sta spingendo inesorabilmente verso una guerra di terra. Tuttavia, i funzionari hanno preso tempo. Notevoli forze di terra sono ammassate sul confine con Gaza, ma in Israele si parla ancora di “strategie di uscita”, tregue e rinnovi del cessate il fuoco.

Anche se i carri armati israeliani si muoveranno con gran fracasso nei territori, avranno il coraggio di muoversi nel vero campo di battaglia del centro di Gaza? Oppure verranno usati semplicemente, come è stato in passato, per terrorizzare la popolazione civile delle periferie?

Gli israeliani sono consapevoli del motivo ufficiale del riserbo di Barak di far seguire ai bombardamenti aerei un attacco di terra totale. E’ stato loro ricordato innumerevoli volte che le peggiori perdite subite dall’esercito nel corso della seconda intifada avvennero nel 2002 durante l’invasione del campo profughi di Jenin.

Gaza, come gli israeliani sanno benissimo, è un campo profughi gigantesco. I suoi stretti vicoli, impossibili da attraversare per i carri armati Merkava, obbligheranno i soldati israeliani a combattere in campo aperto. Gaza, nell’immaginario israeliano, è una trappola mortale.

In modo analogo, nessuno ha dimenticato il pesante dazio pagato dai soldati israeliani durante la guerra di terra con Hezbollah nel 2006. In un paese come Israele, con un esercito cittadino, l’opinione pubblica è diventata indubbiamente ossessionata da una guerra nella quale buona parte dei propri figli verrà messa in prima linea.

Quella paura viene solamente aumentata dalle notizie diffuse dai media israeliani che Hamas sta pregando per avere la possibilità di coinvolgere l’esercito di Israele in un pericoloso combattimento. La decisione di sacrificare numerosi soldati a Gaza non è quella che Barak, leader del Partito Laburista, prenderà così alla leggera, con le elezioni tra sei settimane.

Ma c’è un altro problema che gli sta dando eguale motivo di esitazione.

Nonostante la retorica popolare in Israele, nessun alto funzionario crede realmente che Hamas possa essere sconfitto, sia dal cielo o con battaglioni di soldati. Hamas è semplicemente troppo radicato a Gaza.

Questa conclusione è stata riconosciuta nelle fiacche giustificazioni offerte finora per le operazioni di Israele. “Ristabilire la calma nel sud del paese” e “cambiare l’ambiente di sicurezza” sono stati preferiti alle precedenti dichiarazioni, come “estirpare l’infrastruttura del terrore”.

Un’invasione il cui vero scopo sarebbe il rovesciamento di Hamas richiederebbe, come si rendono conto Barak e i suoi funzionari, una rioccupazione militare permanente di Gaza.
v Ma uno stravolgimento del disimpegno da Gaza – partorito nel 2005 dalla mente di Ariel Sharon, all’epoca primo ministro – comporterebbe un enorme impegno militare e finanziario da parte di Israele. Ancora una volta occorrerebbe assumersi la responsabilità degli aiuti alla popolazione locale, e l’esercito sarebbe obbligato a svolgere pericolose operazione di vigilanza negli accampamenti di Gaza.

In effetti, un’invasione di Gaza per spodestare Hamas rappresenterebbe un’inversione di tendenza nella politica di Israele dagli accordi di Oslo dell’inizio degli anni ’90.

Fu allora che Israele consentì al leader palestinese da tempo in esilio, Yasser Arafat, di ritornare nei territori occupati nel nuovo ruolo di capo dell’Autorità Palestinese. Ingenuamente, Arafat pensava di guidare un governo ombra ma, in verità, diventò il più importante mercenario di Israele.
Arafat fu tollerato nel corso degli anni ’90 perché fece ben poco per fermare l’effettiva annessione di vaste zone della Cisgiordania da parte di Israele, attraverso la rapida espansione degli insediamenti e l’imposizione ai palestinesi di rigide limitazioni sugli spostamenti. Piuttosto Arafat si concentrò nel potenziamento delle forze di sicurezza dei suoi lealisti Fatah, contenendo Hamas e preparando una condizione di Stato che non arrivò mai.

Quando scoppiò la seconda intifada, Arafat dimostrò di non servire più ad Israele e la sua Autorità Palestinese fu via via indebolita.

Dalla morte di Arafat e dal suo disimpegno da Gaza, Israele ha cercato di consolidare la separazione fisica della Striscia dalla molto più ambita Cisgiordania. Anche se in origine non era tra le aspirazioni di Israele, il controllo di Hamas su Gaza ha contribuito in modo significativo a quello scopo.

Israele ora è fronteggiato da due movimenti nazionali palestinesi. Il primo è Fatah, di stanza in Cisgiordania e guidato da un presidente debole, Mahmoud Abbas, ed è ampiamente screditato e sottomesso. L’altro, Hamas, di stanza a Gaza, si è guadagnato sempre maggiore fiducia perché sostiene di essere il vero guardiano della resistenza all’occupazione.

Incapace di distruggere Hamas, Israele ora sta considerando l’idea di vivere a fianco del gruppo armato.
Hamas ha dimostrato di poter imporre il suo predominio su Gaza come fece una volta Arafat su entrambi i territori occupati. Il problema in discussione nel governo israeliano e nella stanza dei bottoni della guerra è se, come Arafat, Hamas può essere colluso con l’occupazione. Si è dimostrato forte, ma può rendersi utile anche ad Israele?

In pratica, questo significherebbe la sottomissione di Hamas piuttosto che il suo annientamento. Mentre Israele sta cercando di potenziare Fatah in Cisgiordania offrendogli una carota, sta utilizzando l’attuale massacro di Gaza come un grosso bastone con cui sottomettere Hamas.

L’obiettivo ultimo è un’altra tregua che fermi il lancio di razzi al di fuori della Striscia, come il cessate il fuoco di sei mesi che è appena terminato, ma a condizioni ancor più favorevoli ad Israele.

Il blocco selvaggio che per molti mesi ha privato la popolazione di Gaza di beni essenziali ha fallito il suo scopo. Piuttosto, Hamas si è rapidamente interessato ai tunnel per il contrabbando che sono diventati un’ancora di salvezza per gli abitanti. I tunnel hanno aumentato, in egual misura, le finanze e la popolarità di Hamas.

Non dovrebbe costituire una sorpresa il fatto che Israele non si sia nemmeno preoccupato di colpire la leadership di Hamas o la sua ala militare. Invece ha bombardato i tunnel, il forziere di Hamas, e ha ucciso un numero considerevole di poliziotti, i garanti della legge e dell’ordine a Gaza. Le ultime voci indicano che Israele sta ora progettando di estendere i bombardamenti aerei alle organizzazione di assistenza di Hamas, gli enti benefici che sono la base della sua popolarità.
La campagna aerea sta intaccando la possibilità di Hamas di ricoprire realmente il ruolo di governante di Gaza. Stanno indebolendo le basi del potere politico di Hamas. La lezione non è che Hamas può essere distrutto militarmente ma che può essere indebolito in patria.

A quanto pare Israele spera di convincere la leadership di Hamas, come ha fatto per diverso tempo con Arafat, che i suoi interessi più importanti saranno raggiunti collaborando con Israele. Il messaggio è: lasciate perdere il vostro mandato popolare di resistere all’occupazione e concentratevi invece sul rimanere al potere con il nostro aiuto.

Nelle nebbie di guerra, gli eventi potrebbero ancora intensificarsi a tal punto che una pericolosa invasione di terra non potrà essere evitata, specialmente se Hamas continuerà a sparare razzi su Israele. Ma qualunque cosa accada, è quasi certo che alla fine Israele e Hamas diranno di sì ad un altro cessate il fuoco.

Il problema sarà se nel farlo Hamas, come Arafat in precedenza, perderà di vista il suo compito principale, quello di obbligare Israele a porre fine alla sua occupazione.

Jonathan Cook è uno scrittore e giornalista e vive a Nazareth, in Israele. Il suo ultimo libro è “Disappearing Palestine: Israel’s Experiments in Human Despair” (Zed Books). Il suo sito web è www.jkcook.net è uno scrittore e giornalista e vive a Nazareth, in Israele. Il suo ultimo libro è “Disappearing Palestine: Israel’s Experiments in Human Despair” (Zed Books). Il suo sito web è www.jkcook.net

26 gennaio 2009

Yehoshua: un insulto a 6 milioni di martiri


Hamas continua a sparare razzi anche e soprattutto perché Gaza è la più grande prigione a cielo aperto del mondo, definita nel 2007 dal sudafricano John Dugard, Special Rapporteur per i Diritti Umani in Palestina dell'ONU, "Apartheid... da sottoporre al giudizio della Corte Internazionale di Giustizia dell'Aja". Perché nell'agosto del 2006 la Banca Mondiale dichiarava che "la povertà a Gaza colpisce i due terzi della popolazione", con povertà definita come un reddito di 2 dollari al giorno pro capite, che è il livello africano ufficialmente registrato. Perché appena dopo le regolari e democratiche elezioni del gennaio 2006 con Hamas vittoriosa, Israele inflisse 1 miliardo e 800 milioni di dollari di danni bombardando la rete elettrica di Gaza e lasciando più di un milione di civili senza acqua potabile. Perché nel 2007 l 'ex ministro inglese per lo Sviluppo Internazionale, Clare Short, dichiarò alla Camera dei Comuni di Londra "sono scioccata dalla chiara creazione da parte di Israele di un sistema di Apartheid, per cui i palestinesi sono rinchiusi in quattro Bantustan, circondati da un muro, e posti di blocco che ne controllano i movimenti dentro e fuori dai ghetti (sic)". Ecco perché. Perché sono 60 anni che Israele strazia i palestinesi con politiche sanguinarie, razziste e fin neonaziste.

A.B.Y. "Ti chiesi allora se ritenevi plausibile che Hamas potesse convincerci adottando un comportamento del genere o se, piuttosto, non avrebbe ottenuto il risultato contrario, e se fosse giusto riaprire le frontiere a chi proclamava apertamente di volerci sterminare."

Arafat riconobbe Israele nel 1993, agì fermamente per reprimere Hamas (come testimoniò Ami Ayalon, ex capo dei servizi segreti Shab'ak israeliani, nel 1998) e cosa ottenne? Barak, Clinton e poi Sharon lo distrussero. Hamas ha dichiarato ufficialmente nel luglio del 2006 con una lettera al Washington Post di riconoscere il diritto degli ebrei all'esistenza in Palestina fianco a fianco dei palestinesi. Nessun media italiano o europeo ha ripreso la notizia. Nessuno.

A.B.Y. "... I valichi, da allora, sono stati riaperti più volte, e richiusi dopo nuovi lanci di razzi. Sfortunatamente, però, non ti ho mai sentito proclamare con fermezza: adesso, gente di Gaza, dopo aver respinto giustamente l’occupazione israeliana, cessate il fuoco..."

Respinto l'occupazione? Sono in una gabbia che li affama, che li fa morire ai posti di blocco, che gli nega l'essenziale per vivere. Di nuovo Dugard: "A tutti gli effetti, a seguito del ritiro israeliano, Gaza è divenuta un territorio chiuso, imprigionato e ancora occupato".

A.B.Y. "Talvolta penso, con rammarico, che forse tu non provi pena per la morte dei bambini di Gaza o di Israele, ma solo per la tua coscienza. Se infatti ti stesse a cuore il loro destino giustificheresti l’attuale operazione militare, intrapresa non per sradicare Hamas da Gaza ma per far capire ai suoi seguaci (e malauguratamente, al momento, è questo l’unico modo per farglielo capire) che è ora di smetterla di sparare razzi su Israele, di immagazzinare armi in vista di una fantomatica e utopica guerra che spazzi via lo Stato ebraico e di mettere in pericolo il futuro dei loro figli in un’impresa assurda e irrealizzabile..."

Questo è il razzismo di questi assassini vestiti da colombe. Vogliono 'educare' gli 'untermenschen' arabi a frustate, "fargli capire", come usava ‘far capire' nei campi di cotone della Louisiana 200 anni fa o nel ghetto di Varsavia, pochi decenni fa. 'Fargli capire' le cose ammazzando i loro bambini? Le loro donne? Questo si chiama massacro, è un crimine contro l'umanità che viola le Convenzioni di Ginevra e i Principi di Norimberga. Questo Abrham B. Yehoshua è un mostro, e lui e i suoi colleghi non hanno appreso alcunché dal nazismo, anzi, hanno solo appreso come replicarlo.

"Oggi, per la prima volta dopo secoli di dominio ottomano, britannico, egiziano, giordano e israeliano, una parte del popolo palestinese ha ottenuto una prima, e spero non ultima, occasione per esercitare un governo pieno e indipendente su una porzione del suo territorio."

Su una porzione del suo territorio... Non c'è limite all'abominio intellettuale di questo scrittore. Gli 'untermenschen' arabi devono essere grati di poter fare la fame su un fazzoletto di terra privo di ogni sbocco economico/commerciale e che è una frazione di quel 22% delle loro terre che gli è rimasto dopo che Israele gli ha rubato il 78% a forza di massacri e pulizia etnica.

"Se intraprendesse opere di ricostruzione e di sviluppo sociale, anche secondo i principi della religione islamica, dimostrerebbe al mondo intero, e soprattutto a noi, di essere disposto a vivere in pace con chi lo circonda, libero ma responsabile delle proprie azioni..."

Come aver detto agli etiopi nel 1984: "Se imparaste a coltivare la terra invece che chiedere l'elemosina all'ONU...".
Questo Abrham B. Yehoshua è, lo ribadisco e me ne assumo la responsabilità, un mostro. Lo è in forma più disgustosa di Sharon, di Olmert, della Livni, poiché traveste la sua perfidia disumana da 'colomba'.
L'ipocrisia della tragedia israelo-palestinese è arrivata a livelli biblici di disgusto. E ricordo, per tornare in Italia, la posizione dei nostri intellettuali di sinistra, ‘colombe’ anch’essi, come esplicitata sul sito http://www.sinistraperisraele.it/home.asp?idtesto=185&idkunta=185, dove campeggia una commemorazione di Uri Grossman, figlio dell’altra ‘colomba’ israeliana di chiara fama, David Grossman, ucciso durante l’invasione israeliana del Libano del 2006. La morte di un figlio è sempre una tragedia immane, e quella morte lo è nel suo aspetto privato. Non oserei profferire parola su questo.
Ma vi è un aspetto pubblico di essa, che stride e che fa ribollire la coscienza: Uri Grossman era un soldato di un esercito invasore, criminale di guerra, oppressore da 60 anni di un intero popolo, e che in Libano ha massacrato oltre 1000 esseri umani innocenti, dopo averne massacrati 19.000 in identiche circostanze nel 1982 e molti altri nel 1978. Uri Grossman era una pedina di una impresa criminale, ma venne commemorato su tutti i media italiani, e ancora lo è sul sito dei nostri ‘intellettuali colombe’.
Dove sono le commemorazioni della montagna di Abdel, Baher, Fuad, Adnan, la cui vita spezzata a due anni, a tredici anni, a trent’anni, e senza aver mai indossato la divisa di un esercito criminale di guerra, ha lasciato il medesimo strazio e il medesimo buio di vivere di “papà, mamma, Yonatan e Ruti” Grossman? Dove sono? Dove?

"Far capire"... "malauguratamente è l'unico modo". Queste parole, Abrham B. Yehoshua, questi 'intellettuali' traditori, la difesa del sionismo e delle condotte militari di Israele dal 1948, sono un insulto a sei milioni di martiri ebrei dell'Olocausto nazista. Lo scrivo, lo dico e mi chiamo Paolo Barnard.

Paolo Barnard

22 gennaio 2009

Il disastro della finanza













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Quale sarà la durata della recessione innescata dalla crisi bancaria globale? Quante persone saranno licenziate? Torneremo agli anni Trenta, quando la recessione degenerò nella Grande Depressione? Fin dove si spingerà la mano pubblica nel turare le falle della finanza privata già colpita dal suo primo suicidio eccellente, quello del miliardario tedesco Adolf Merckle che, travolto dalle speculazioni fallite, si è gettato sotto un treno? Come ne usciremo, alla fine? Nell’ottobre scorso, la Banca d’Inghilterra aveva stimato un impegno di 7 mila miliardi di dollari a carico dei Tesori nazionali per impedire il tracollo dei sistemi bancari. A novembre, soltanto gli Usa hanno aggiunto nuovi programmi d’acquisto di mutui tossici e obbligazioni illiquide per 800 miliardi da eseguire quest’anno. Il 13 gennaio, intervenendo alla London School of Economics, il governatore della Federal Reserve, Ben Bernanke, ha avvertito che i costi dei salvataggi bancari in giro per il mondo sono destinati a crescere ancora. Nell’Occidente avanzato, produzione, commerci e servizi regrediscono intrecciando in una spirale perversa gli effetti della crisi finanziaria a quelli, ancor più drammatici, della crisi dell’economia reale. La Merrill Lynch si aspetta un arretramento dell’economia americana del 2,3% quest’anno e una parvenza di ripresa, non più dello 0,5%, nel 2010, mentre vede Eurolandia a meno 0,6% nel 2009 e a più 1,1% l’anno prossimo. Ma quando i credit default swaps sulle obbligazioni del Tesoro della Corona britannica, il massimo della sicurezza, tripla A per le agenzie di rating, pagano 108 punti base e McDonald’s, una sola A, paga 57 punti base, ogni previsione è un numero al lotto. Le domande sul futuro, pur naturali e diffuse, sono destinate a restare senza risposte attendibili, almeno per un po’. Al contrario, le esperienze fatte, se indagate, possono offrire interessanti suggestioni.

Per cominciare, bisogna chiedersi com’è la finanza globale che è andata spavaldamente incontro al disastro, convinta che la rappresentazione dei risultati del lavoro contenuta nei suoi complicatissimi titoli fosse reale e consistente e non, invece, virtuale e drogata. Secondo il McKinsey Global Institute, nel 2007 la ricchezza finanziaria globale (azioni, obbligazioni private e pubbliche e depositi bancari) valeva 196 mila miliardi di dollari, 3,6 volte il prodotto interno lordo del pianeta. Pur scontando la svalutazione della moneta Usa, nell’ultimo anno «buono » tale ricchezza in larga misura cartacea era aumentata del 12% contro un incremento medio annuale che, a partire dal 1990, si aggirava sul 9%. A trainare questa espansione sempre più marcata dei valori, in un mondo dove il denaro, equivalente universale, circolava sempre più liberamente, sono stati il settore privato e le economie emergenti. Nel 1990, le obbligazioni statali rappresentavano il 18,6% delle attività finanziarie del mondo; diciotto anni dopo erano scese al 14,3%. Nel 2000 erano 11 i Paesi con attività finanziarie pari a 3,5 volte il prodotto interno lordo; nel 2007 gli 11 erano diventati 25, comprendendo nel novero anche giganti come Cina e Brasile.

Gli ormai frenetici flussi finanziari tra un Paese e l’altro sono arrivati a 11.200 miliardi di dollari, con un incremento del 19% rispetto al 2006, e tra questi flussi la parte del leone la fanno i depositi e i prestiti sull’onda dell’internazionalizzazione di banche, assicurazioni, hedge funds e private equity. Privatizzazioni e globalizzazione hanno dunque favorito la finanziarizzazione dell’economia alimentata dal debito: un debito cross-border che, secondo la Banca dei regolamenti internazionali, era per il 65% con scadenza inferiore ai 12 mesi, e dunque fragile perché facilmente revocabile. Particolare interessante, la dinamica del debito èmolto forte nei paesi più avanzati, con l’eccezione della Germania, mentre la crescita delle attività finanziarie delle economie emergenti dipende per lo più dal collocamento in Borsa delle loro grandi aziende più o meno a partecipazione statale.

Negli Stati Uniti, epicentro di tutto, la bolla finanziaria è stata gonfiata della crescita prolungata dei prezzi delle azioni e delle case nonché dall’aumento del deficit della bilancia commerciale che rappresenta la faccia imperiale dell’aumento del prodotto interno lordo pro capite (noi consumiamo e voi pagate). Due economisti americani, Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, hanno constatato come queste tendenze si siano sempre manifestate nell’incubazione delle principali crisi bancarie degli ultimi trent’anni: Spagna (1977), Norvegia (1987), Finlandia e Svezia (1991), Giappone (1992). Negli Stati Uniti, semmai, non si è registrata l’impennata del debito pubblico prima della crisi, ma questo potrebbe spiegarsi con l’accortezza di nasconderne una parte sotto etichette formalmente private come Fannie Mae e Freddie Mac a dimostrazione che il gioco delle tre carte non si fa soltanto a Napoli. Se dunque l’incubazione è stata simile, quali sono le costanti negli esiti delle crisi?

Partiamo dal valore delle case, che da confortevole rifugio sono diventate una trappola mortale. Nelle 22 crisi esaminate da Reinhart e Rogoff, la caduta dei prezzi degli immobili dai massimi ai minimi al netto dell’inflazione èmediamente del 35,5% al netto dell’inflazione e il declino dura 6 anni. Più pronunciato ma meno persistente è il crollo reale delle quotazioni azionarie: mediamente è del 55,9% e si prolunga per 3,4 anni. Il tasso di disoccupazione aumenta di 7 punti percentuali e il declino va avanti per 4,8 anni. Queste tendenze parziali si riflettono in un andamento del Pil, che arretra di 9,3 punti e torna a crescere dopo un anno e nove mesi. Nel suo ultimo World Economic Outlook, il Fondo monetario internazionale ha addirittura comparato 113 episodi di crisi finanziaria in 17 paesi svi luppati, sempre negli ultimi trent’anni. E’ emerso che solo 31 volte le crisi hanno generato recessioni vere e proprie e solo in un numero ancor minore di casi, 17 volte per la precisione, le recessioni sono state preparate da una crisi bancaria. In questi ultimi casi la durata e la profondità delle crisi sono state più che doppie rispetto alle recessioni normali (7,6 trimestri di durata media contro 3,1 trimestri; perdita cumulata di Pil del 19,8% rispetto a un 5,4% se non c’è crisi bancaria). Nessuna di queste crisi, tuttavia, ha avuto l’estensione geografica di quella in corso. Negli Stati Uniti, in 18 mesi di crisi finanziaria, l’indice Dow Jones ha bruciato il 40%, i prezzi delle abitazioni il 28% e nel 2008, anno nel quale complessivamente il Pil è aumentato di circa un punto, oltre 2,5 milioni di persone hanno perso il lavoro. Quali saranno le nuove percentuali a metà 2010 quando, a dar retta a Merrill Lynch piuttosto che al Fondo monetario internazionale l’andamento del Pil dovrebbe invertire la tendenza?

La reazione di Barack Obama si fonda su un aumento della spesa, che si aggiunge al costo delle manovre dell’ultimo Bush. Stiamo parlando di 800 miliardi di dollari di stimolo all’economia oltre la cifra analoga che la Federal Reserve è già impegnata a spendere a sostegno delle banche. Il presidente eletto eredita un Paese che ha un debito totale (imprese, famiglie, settore finanziario ed esteri) di 51.849 miliardi di dollari a fronte di prodotto interno lordo di 14.412. Un debito pari al 359,7% della ricchezza prodotta ogni anno. Nel 2009 la componente pubblica di questo debito è destinata a aumentare allo scopo, se non altro, di contenere quella privata consentendo a famiglie e imprese di sopravvivere. E già oggi, a seconda di come si effettua il conteggio, il debito pubblico americano avvicina o addirittura supera il prodotto interno lordo. Come segnalano Reinhart e Rogoff, del resto, nei tre anni successivi alle crisi bancarie passate il debito pubblico è aumentato dell’ 86%, perché non è con le pur necessarie manovre sui tassi, effettuate dalle banche centrali, che si superano queste crisi così gravi, ma con la spesa pubblica fatalmente finanziata con il debito pubblico. Se però si guarda all’esperienza degli Stati Uniti della Grande Depressione si dovrà andare oltre le rilevazioni dei due economisti. Perché quando, nel 1941, il prodotto interno lordo espresso in moneta corrente tornò finalmente ai livelli pre-crisi del 1929, il debito totale americano si era dimezzato. E tutti sanno che esistono solo quattro modi per tagliare drasticamente un debito: l’insolvenza, la bancarotta, l’inflazione e la cancellazione del debito mediante un Giubileo di biblicamemoria come ironicamente ricorda Niall Ferguson sul Financial Times o attraverso la conversione dei debiti in azioni, come suggeriva Guido Carli all’Italia degli anni Settanta.



di Massimo Mucchetti - 20/01/2009

Israele è riuscito a perdere di nuovo?

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Il quotidiano Haaretz ha riferito oggi che gli alti ufficiali della IDF “credono che Israele dovrebbe sforzarsi di raggiungere un immediato cessate il fuoco con Hamas e non estendere la propria offensiva contro i gruppi islamici palestinesi di Gaza”.

Ciò non dovrebbe essere per noi una grossa sorpresa. Per quanto Israele abbia dimostrato oltre ogni dubbio di essere capace di compiere un genocidio su larga scala, ha anche dimostrato che le sue forze militari non sono in grado di dare una risposta alla resistenza islamica. I capi militari israeliani hanno anche ammesso che “Israele ha già ottenuto diversi giorni fa tutto ciò che poteva ottenere a Gaza”. La IDF, a quanto sembra, ha esaurito il suo compito a Gaza. Ha trasformato i suoi quartieri in mucchi di macerie. Ha anche massacrato, senza sosta, la sua popolazione civile alla luce del sole per mezzo di attacchi aerei e dalle navi da guerra. Le immagini dei proiettili al fosforo bianco che cadono su scuole e ospedali fanno ora parte della nostra memoria collettiva. I carri armati che sparano contro scuole piene di rifugiati in fuga dal bombardamento delle loro case rappresentano adesso l’immagine associata al soldato israeliano; eppure, nonostante questo, Israele non è riuscito a raggiungere nessuno dei suoi obiettivi. Devo ammettere che ci vuole un talento speciale per fare il generale israeliano. Per quanto bravi essi siano nel compiere crimini di guerra, in qualche modo riescono a fallire in ogni altra cosa.

All’inizio i politici israeliani avevano giurato di distruggere Hamas, ma poi avevano abbassato le aspettative, promettendo soltanto di distruggere la capacità di Hamas di lanciare razzi e rassicurando i loro eccitati elettori israeliani che questa volta lo Stato ebraico avrebbe combattuto fino alla fine. A quanto pare le loro promesse sono state ancora una volta tradite.

Hamas è ancora lì; il sostegno di cui gode nelle strade palestinesi è più forte che mai. E non solo nelle strade palestinesi. Il messaggio di sfida di Hamas si sta diffondendo in tutto il mondo musulmano e oltre. La scorsa settimana sono stato ad una manifestazione a Londra insieme ad altri 100.000 partecipanti. Il sostegno a favore di Hamas era dappertutto. Era su cartelli, bandiere, striscioni e altoparlanti. Non solo Hamas è ben lungi dall’essere sconfitta, ma la sua capacità di lanciare razzi appare immutata. Giorno dopo giorno i combattenti di Hamas riescono a ricordare agli israeliani di Ashdod, Ashkelon e Sderot che in questo momento stanno vivendo su terra palestinese trafugata. Date ad Hamas il tempo necessario e il suo messaggio balistico sarà portato in ogni angolo della Palestina rubata.

Israele è alla disperata ricerca di una exit strategy. Oggi ho saputo che il Ministro della Difesa Barak ha chiesto un cessate il fuoco di una settimana per ragioni umanitarie. Vi prego, non restate a bocca aperta, il noto sterminatore di massa non ha cambiato pelle tutto d’un tratto. Essendo un generale veterano, Barak capisce molto bene che i suoi soldati a terra hanno bisogno di una pausa e ne hanno bisogno adesso. Essendo radunati tutti insieme in poche zone devastate e senza riparo, sono adesso esposti ai cecchini e al fuoco dei mortai di Hamas. Negli ultimi giorni tra le forze israeliane si è registrato un numero crescente di perdite. Il tentativo di portare la battaglia nei quartieri di Gaza si è scontrato con una resistenza durissima. L’esercito israeliano si è impantanato ancora una volta.

Se questo non bastasse, tra pochi giorni Obama si insedierà alla Casa Bianca e gli israeliani non sono del tutto convinti che il nuovo presidente americano continuerà a sostenere ciecamente la loro strategia omicida. Il Ministro della Difesa Barak capisce che la sua finestra di opportunità potrebbe essere sul punto di chiudersi. Capisce che i soldati della IDF potrebbero doversi spingere dentro le periferie di Gaza senza raggiungere nessuno degli obiettivi militari della guerra. Barak ha bisogno di qualche giorno di cessate il fuoco per creare una nuova realtà sul terreno. Ovviamente preferisce nascondersi dietro il pretesto umanitario. E’ molto più semplice che ammettere che la IDF, ancora una volta, è stata colta impreparata. Gli aiutanti di Olmert, comunque, sono stati abbastanza stupidi da ammettere la menzogna. Pare che uno di loro stamattina abbia attaccato Barak dicendo che “Hamas osserva la scena e ascolta le voci, questi commenti sono un colpo in canna per Hamas e i suoi leader”.

Per come stanno le cose, i soldati della IDF sono ora allo sbando dentro Gaza. Non fraintendetemi, sono ancora in grado di spargere morte e compiere carneficine, ma non possono vincere questa guerra. Le Forze Aeree Israeliane hanno esaurito i bersagli “militari” una settimana fa e l’artiglieria si trova probabilmente di fronte alla stessa situazione. Dalle notizie che arrivano risulta evidente che non appena i soldati israeliani escono dai veicoli corazzati e dai carri armati Merkava si ritrovano alla mercè di Hamas. Ho letto oggi su Ynet che alcuni soldati della IDF hanno dichiarato: “Non riusciamo a vedere il nemico”, “veniamo colpiti senza sapere da chi e come”.

Per come stanno le cose, Hamas sta diventando un simbolo dell’ostinazione eroica. I suoi combattenti a terra lottano quasi a mani nude contro la più micidiale tecnologia americana. Allo stesso modo, la leadership politica di Hamas è riuscita a proporsi come chiave di ogni possibile soluzione dell’attuale conflitto. La speranza che Hamas sarebbe stato rovesciato o che ne sarebbe uscito screditato si è rivelata essere solo l’ennesimo sogno orgasmico degli ebrei. Hamas sta diventando ora un’entità politica largamente accettata dalla comunità internazionale. E’ visto come l’ingrediente primario di ogni possibile risoluzione. Israele, dall’altro lato, è ora visto per ciò che è realmente, uno Stato assassino e criminale dedito a crimini di genocidio della peggior specie.

Tuttavia c’è un’altra realtà che dobbiamo tenere in mente. La devastazione che Israele si sta lasciando dietro a Gaza è orribile. Ha raso al suolo interi quartieri, ha colpito col fosforo bianco zone densamente popolate. Come se non bastasse, le tonnellate di bombe bunker buster che Israele ha continuato a usare notte e giorno hanno danneggiato le fondamenta di ogni edificio di Gaza e viene da chiedersi se le case di Gaza rimaste in piedi saranno ancora sicure per viverci. I rappresentanti dell’Unione Europea hanno sollevato oggi la questione, chiedendosi chi pagherà per la ricostruzione delle città, dei campi e dei villaggi che sono andati distrutti.

In un mondo ispirato a principi etici ideali, Israele dovrebbe lasciare che gli abitanti di Gaza tornassero alla loro terra. Ma Israele e l’etica sono come rette parallele. In qualche modo non s’incontrano mai. Per quanto sia chiaro che i palestinesi torneranno alla loro terra, non sarà Israele a dare il benvenuto all’inevitabile ritorno dei palestinesi.
Qualcuno dovrà ricostruire Gaza e l’unico nome che viene in mente è quello di Hamas, partito democraticamente eletto. Un così grande progetto, se gestito da Hamas, sarà la giusta risposta alla guerra criminale di Israele e ai suoi obiettivi di sterminio.

di Gilad Atzmon -

Menti consumati dall’odio

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L’organizzazione ebraica «Breaking the silence» (Rompere il silenzio) ha diffuso un opuscolo di cento pagine che contiene interviste a decine di soldati di Tsahal impiegati ad Hebron, la città palestinese di Gaza dove però fra 80 mila palestinesi pretendono di abitare 700 coloni ebraici, che i soldati difendono.

L’agenzia ebraica Ynet.news ha ripreso quattro di queste interviste (1).

Le mani tagliate col filo di ferro

Soldato: «C’era uno matto davvero nella mia unità, gli piaceva torturare. Una volta ha provocato l’amputazione delle mani di un uomo».

Intervistatore: «Cosa è successo?».

Soldato: «Insomma, c’era quell’arabo... il soldato gli ruba una scatola di tabacco. L’arabo si mette a gridare: ‘Ladri, ladri, vi ho visto’. Si avvicina al soldato, e noi lo spingiamo per allontanarlo. Non sapevamo del furto. ‘Il soldato comincia a pestarlo, e tutti noi anche... finisce che l’arabo è stato pestato parecchio. ‘Poi il soldato ha preso un filo di ferro - era molto incazzato - ha afferrato l’arabo e ha cominciato a stringerlielo attorno...».

Intervistatore: «alle mani?».

Soldato: «Già.... gliel’ha stretto molto forte. Te lo giuro, abbiamo cercato di fermarlo. ‘No, non lo lascio andare. Ha alzato le mani contro di me, lo punisco’. E dài a girare, dài a stringere… dopo, quando abbiamo cercato di liberarlo, non ci siamo riusciti, gli aveva fatto proprio un canale nella mano. Era blu. E il tipo gridava: ‘Non sento più la mano’. Abbiamo anche tentato di scavare (tra la carne e il filo metallico) con un coltello, ma non siamo riusciti… Gli abbiamo detto di andare all’ospedale. Niente da fare, non riuscivamo a tagliare il filo. Gli hanno amputato la mano».

Ladri

Soldato: «Abbiamo fatto un bel po’ di ruberie….Una volta siamo entrati in una casa di Hebron, gente ricca. Abbiamo trovato in una scrivania una quantità di dollari. Pazzesco. Il capitano dice ai due secondi in grado dell’unità: bene, ci dividiamo questi soldi. Se li sono spartiti. Ne hanno lasciato un po’, e a me hanno detto: «Se parli, torniamo e ti sgozziamo».

Intervistatore: «Era consueto, il furto?».

Soldato: «Un po’ di saccheggio era normale... Backgammon (sic), sigarette, tutto... Quello che ci piaceva lo prendevamo. Altri ragazzi prendevano regali per le loro ragazze dalle botteghe».

Pestaggi

Soldato: «Eravamo di pattuglia, e vediamo un tipo in un taxi che sembrava nascondere qualcosa. Fermiamo la macchina... C’era appena stato un incidente, un soldato accoltellato o qualcosa del genere».
«Troviamo un coltello... Chiediamo al tizio: «Perchè il coltello?», e lui dice: «E’ per mia madre, per tagliare la verdura». Noi diciamo: «Cosa sei, un idiota? Scherzi? Stai mentendo?». Ci ha fatto proprio incazzare. Lo abbiamo afferrato e l’abbiamo colpito, non in faccia, nelle costole».

«Il resto della pattuglia vede il pestaggio, e ci salta dentro... Tutti a picchiarlo, a picchiarlo di brutto, sul serio. Con bastoni sulla testa. E uno poi comincia a strangolarlo, con le due mani. Aveva 17 o 18 anni e comincia a gridare “Mama, Baba”. Quello continua a strangolarlo, stava diventando blu e perdeva coscienza. Di colpo gli altri ragazzi si rendono conto di quel che succede e cominciano a tirare indietro il soldato. Ma lui non voleva lasciare la presa. Non lasciava, e urlava: «Ci volevi ammazzare, vuoi ammazzarci, volevi pugnalarmi eh? Figlio di puttana, pugnalarmi volevi».
«Era come matto, lo abbiamo tirato indietro per le gambe e la vita. Tutto il suo corpo era sollevato, e noi tiravamo... ma
(il soldato) s’era attaccato all’uomo come un pitbull. Finalmente l’abbiamo staccato».

Soffocamenti

Soldato: «Facevamo ogni genere di esperimento per vedere chi faceva la più bella spaccata a Abu Sneina. Li mettevamo faccia al muro, come per perquisirli, e ordinavamo loro di allargare le gambe. Allarga! Allarga! Allarga! Era la gara per vedere chi allargava di più. Oppure controllavamo chi tratteneva il respiro più a lungo».

Intervistatore: «Come lo controllavate?».

Soldato: «Soffocandoli. Uno di noi faceva finta di perquisirli, ma di colpo urlava qualcosa come se quelli avessero parlato e cominciava a soffocarli... a bloccargli le vie aeree, bisogna premere il pomo d’Adamo. Non è piacevole. Guardi l’orologio mentre lo fai, finoa che quello sviene. Chi ci mette più tempo a svenire, vince».

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L’organizzazione Breaking the Silence dice di aver pubblicato queste interviste per «suscitare un pubblico dibattito sul prezzo morale pagato dalla società israeliana nel suo complesso», per far vedere cosa diventano «giovani soldati obbligati a prendere il controllo di una popolazione civile». Ed è un continuo «degrado morale», e «la società israeliana ha il dovere di ascoltare i soldati e assumersi la responsabilità di ciò che viene fatto in suo nome».

Il testo integrale delle testimonianze può essere letto nel sito dell’organizzazione, www.shovrimshtika.org

Uno dei soldati dice: «Tutti noi sentivamo di fare qualcosa di sbagliato. Almeno, i miei amici sentivano di fare una cosa sbagliata». Ma nessuna resipiscenza tardiva minaccia i «coloni» giudaici di Hebron, che si sono messi lì a Gaza per rivendicare ad Israele le tombe dei Patriarchi, che sorgono lì e sono un luogo di preghiera anche per i musulmani.

Da questo insediamento veniva Baruch Goldstein, che nel ’94 irruppe nella Tombe ammazzando col suo mitragliatore 29 palestinesi e ferendone 150. Goldstein era americano e armato, come tutti i «coloni» di questo avamposto sacro, che è abitato da estremisti seguaci del rabbino Kahane e del partito razzista-religioso Kach. Infatti i coloni hanno sepolto Goldstein (che fu ucciso mentre compiva il massacro) nel loro cimitero che chiamano Kahane Memorial Park.

La lapide sulla tomba dice: «A san Baruch Goldstein, che ha dato la sua vita per il popolo ebraico, la Torà e la nazione di Israele». Parecchi rabbini confermarono che la strage compiuta da Goldsetin era una «mitzvah», un’opera meritevole di fronte a Dio.

Mantenuti dalla diaspora, questi coloni non hanno bisogno di lavorare. Passano il tempo ad angariare i palestinesi a cui hanno rubato i campi, a tirare pietre e ad aggredire gli scolari palestinesi che passano nelle vicinanze per andare a scuola, a sparare sui passanti e ad ubriacarsi. Ebrei ma americani, si sentono come coloni del Far West in territorio Sioux, ma con l’aggiunta «religiosa».

Sono costantemente armati di mitra e pistole, portano con orgoglio la kippà e lunghe barbe da «profeti». Caratteristici gli sguardi carichi d’odio con cui ti squadrano, se non sei ebreo, e gli insulti di cui ti coprono se sei giornalista o fotoreporter.
Le loro donne, in parrucca o foulard ebraico, insultano le donne palestinesi, e quando possono le picchiano. Sotto la protezione costante del glorioso Tsahal.

L’ultima impresa di questi pii ebrei riguarda Hammad Nidar Khadatbh, un ragazzo palestinese di 15 anni, che il 15 aprile era uscito di casa per raccogliere cetrioli, purtroppo nelle vicinanze dell’insediamento illegale (ma protetto) di Al-Hamra. La sera non era tornato, e la famiglia è uscita a cercarlo per ogni dove. Nulla. Il mattino dopo, il padre e i fratelli di Hammad ripartono alla sua ricerca, e lo trovano in una zona dove l’avevano già cercato la sera prima. Evidentemente era stato buttato lì nella notte.

Il corpo del ragazzo era nudo, gonfio, e torturato. La faccia gli era stata spaccata con pietre, il collo rotto, un dito gli era stato troncato. Sul torso aveva numerosi buchi, apparentemente praticati con un oggetto aguzzo e tondo, come una penna. Il corpo è stato portato ad un perito, per l'autopsia, nel settore israeliano di Gerusalemme. I parenti sono convinti che anche quello scempio sul loro figlio sia una delle opere sante dei coloni religiosi.

«Dio della pace,
Volgi verso il Tuo cammino di amore
coloro che hanno il cuore e la mente
consumati dall’odio».
Dalla preghiera del Santo Padre a Ground Zero.

Maurizio Blondet

I carnefici di regimi spiegano...



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Angelo Panebianco sul Corriere di domenica: «Fra le molte asimmetrie del conflitto c’è anche quella rappresentata dal diverso valore attribuito dai contendenti alla vita umana. Per gli uomini di Hamas, come per Hezbollah in Libano, la vita (anche quella degli appartenenti al proprio popolo) vale talmente poco che essi non hanno alcun problema a usare i civili, compresi i bambini e le donne, come scudi umani. Per gli israeliani, le cose stanno differentemente. Cercano di limitare il più possibile le ingiurie alla popolazione civile...».

Quando menzogne così disonorevoli, sputi sulle vittime, vengono scritte sui giornali autorevoli da autorevoli commentatori, chi ha un po’ di esperienza storica sa che qualcosa è successo.

Gli vengono a mente i precedenti: per mezzo secolo, finchè il comunismo sovietico ebbe il favore della intellettualità ebraica, questo tipo di menzogne di sapore inequivocabile – aperte violazioni della verità evidente – erano pane quotidiano sui giornali non solo comunisti, ma progressisti e delle borghesie illuminate d’Europa.

Nel 1932-33, mentre Lazar Moiseyevich Kaganovich, numero 2 del Partito, procedeva alla requisione forzata dei grani in Ucraina, con fucilazioni dei contadini e provocando la morte per fame di 7 milioni di esseri umani, non era raro trovare articoli dove si gettava la colpa sui «kulaki», come «sabotatori» che «sottraevano il grano all’ammasso». Fior di scrittori tornavano dall’URSS magnificando, in articoli estasiati, la felicità e l’abbondanza che il sistema sovietico aveva regalato ai russi.

L’assoluta maggioranza degli intellettuali, non solo comunisti, insorgeva se qualche (rara) voce si alzava a rivelare che in URSS vigeva il Terrore poliziesco e milioni di esseri umani innocenti stavano scomparendo nel vasto arcipelago Gulag, gestito dal capo supremo della repressione, Genrich Yagoda, e da 500 mila ebrei comunisti che avevano trovato un ben pagato lavoro nella Ghepeù, poi NKVD, poi KGB: erano tutte «calunnie» contro lo «Stato dei lavoratori» che aveva «liberato il proletariato»; per adesso in un solo Paese, ma gli intellettuali aperti e progressisti auspicavano che il paradiso sovietico arrivasse al più presto a liberare anche noi.

Solo dopo la denuncia ufficiale di Kruscev lo stesso Corriere osò ammettere i «crimini di Stalin». I crimini di Lazar Moiseyevich Kaganovich non sono mai stati evocati, anche se è stato pari grado di Stalin, l’autore non solo dell’holodmor, del genocidio ucraino, ma della eradicazione del cristianesimo in Russia.

Solo il 26 settembre 1995 il New York Times ha rievocato il commissario Kaganovich mentre, in piedi fra le macerie della cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca, la principale delle chiese che fece distruggere, esclamava ebbro di stupro: «Abbiamo umiliato la Madre Russia; le abbiamo strappato la gonna».

Kaganovich, figlio di ciabattino ebreo, è morto nel 1991 nel suo letto, mai molestato, con la ricca pensione dell’alto funzionario sovietico.

Solo nel 2003 Simon Sebag Montefiore ha rievocato il sadidsmo massacratore di Yagoda, il capo supremo dei Gulag; e di come, dopo aver fatto trucidare Zinov’ev e Kamenev, avesse fatto recuperare i proiettili dal loro cranio per conservarli, puliti e incastonati su piedistalli, insieme alla sua ricca collezione di 3900 foto e 11 film pornografici, 165 pipe e portasigarette ornate di immagini oscene, falli di gomma e montagne di biancheria intima femminile.

Ma nel 1935, quando Yagoda era all’apice del potere, lo scrittore ebreo francese Romain Rolland , premio Nobel, scrisse un inno in lode ed esaltazione del mostro.

Ecco, qualcosa del genere succede adesso. Con Angelo Panebianco e suoi compari nei panni dei Rolland, degli Aragon e dei Sartre, o dei Moravia & C. La sola differenza è che chi diceva la verità allora, era bollato come reazionario e fascista, ridotto allo stato di non-persona; oggi, come anti-semita e criminalizzato. Ma il clima è lo stesso, lo stesso il «sapore» della difesa dello stesso potere, con la stessa impronta.

Solo così si spiega che un Panebianco possa scrivere frasi come: «Richard Falk, il relatore speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi, rappresentante dell’Human Right Council alle Nazioni Unite, sta usando la sua carica e la sponsorizzazione dell’ONU per fare propaganda pro-Hamas e anti-israeliana». (ebreo americano, docente di diritto internazionale a Princeton, Falk è stato respinto alla frontiera da Israele perchè non fosse testimone della verità).

Questo tipo di frasi, per uno della mia età, suona molto «sovietico» . Vuol dire che simili frasi sono state, diciamo, autorizzate.

Quindi solo a futura memoria, non certo per convincere Panebianco (che è ben pagato per fare quello che fa) traduco qui alcune citazioni di capo sionisti famosi, che ci dicono quanto valore essi diano alla vita umana, non solo dei goym, ma anche dei loro ebrei.

David Ben Gurion, durante la guerra: «Se io sapessi che è possibile salvare tutti i figli (ebrei) di Germania trasferendoli in Inghilterra, e solo metà di loro trasferendoli nella terra di Israele, sceglierei la seconda possibilità; perchè di fronte a noi non abbiamo solo il numero di questi figli, ma il progetto storico del popolo di Israele» (Shabtai Teveth, «Ben Gurion», 1988,).

«Dobbiamo usare il terrore, l’assassinio, l’intimidazione, la confisca dei terreni e il taglio di tutti i servizi sociali per liberare la Galilea dalla sua popolazione araba» (David Ben-Gurion, maggio 1948, to the General Staff. Da «Ben-Gurion, A Biography», di y Michael Ben-Zohar, Delacorte, New York 1978).

«Dobbiamo espellere arabi e prendere i loro posti» –(David Ben Gurion, 1937, «Ben Gurion and the Palestine Arabs» Shabtai Teveth, Oxford University Press, 1985).

«Non esiste qualcosa come un popolo palestinese. Non è che siamo venuti, li abbiamo buttati fuori e abbiamo preso il loro paese. Essi non esistevano» (Golda Meir,dichiarazione al The Sunday Times, 15 giugno 1969).

«Come possiamo restituire I territor occupati? Non c’è nessuno a cui restituirli» ( Golda Meir, marzo, 1969).

«...Uscimmo fuori, e Ben Gurion ci accompagnò sulla porta. Allon ripetè la sua domanda: cosa si deve fare con la popolazione palestinese? Ben Gurion scosse la mano con un gesto che diceva: cacciarli fuori». (Yitzhak Rabin,è un passo censurato delle memorie di Rabin, rivelato dal New York Times, 23 ottobrer 1979)

«Saranno create, nel corso dei 10 o 20 anni prossimi, condizioni tali da attrarre la naturale e volontaria emigrazione dei rifugiati da Gaza e dalla Cisgiordania verso la Giordania. Per ottenere questo dobbiamo accordarci con re Hussein e non con Yasser Arafat». (Yitzhak Rabin, citato dn David Shipler sul New York Times, 04/04/1983)

«I palestinesi sono bestie con due zampe» (Menachem Begin,primo ministro di Israele 1977-83, davanti alla Knesset, citato da Amnon Kapeliouk, "Begin and the Beasts", New Statesman, June 25, 1982.)

«La partizione della Palestina è illegale. Non sarà mai riconosciuta... Gerusalenne fu e sarà per sempre la nostra capitale. Eretz Israel sarà restaurato per il popolo d’Israele; tutto e per sempre» (Menachem Begin, il giorno dopo il voto all’Onu per la partizione della Palestina).

«I palestinesi saranno schiacciati come cavallette... le teste spaccate contro le rocce e i muri» ( Yitzhak Shamir, primo ministro in carica, in un discorso ai «coloni» ebraici, New York Times 1 aprile, 1988).

«Israele doveva sfruttare la repressione delle dimostrazioni in Cina (nei giorni di Tienanmen, ndr.) quando l’attenzione del mondo era concentrata su quel paese, per procedere alle espulsioni di massa degli arabi dei territori (occupati)» (Benyamin Netanyahu, all’epoca vice-ministro degli esteri, già primo ministro, davanti agli studenti della t Bar Ilan University; citazione tratta dal giornale isrealiano Hotam, 24 novembre 1989).

«I palestinesi sono come coccodrilli, più carne gli dai e più ne vogliono» (Ehud Barak, primo ministro all’epoca, 28 agosto 2000. Riportato dal Jerusalem Post 30 agosto 2000).

«Se pensassimo che anzichè 200 morti palestinesi, 2 mila morti ponessero fine alla guerriglia in un colpo solo, useremmo molto più forza…» (Ehud Barak, primo ministro, citato dalla Associated Press, 16 novembre 2000).

«Mi sarei arruolato in una organizzazione terroristica»: (risposta di - Ehud Barak a Gideon Levy, il noto giornalista di Ha'aretz che gli aveva domandato cosa avrebbe fatto se fosse nato palestinese)

«C’è un abisso tra noi (ebrei) e i nostri nemici: non solo in capacità ma in moralità, cultura, decenza di vita e coscienza. Sono i nostri vicini, ma è come se non appartenessero al nostro continente, al nostro mondo, ma a una diversa galassia» (Moshe Katsav, presidente di Israele, al Jerusalem Post, 10 maggio 2001. Katsav ha poi dovuto dimettersi per molestie sessuali alle sue segretarie).

«Noi dichiariamo apertamente che gli arabi non hanno alcun diritto di abitare anche in un centimetro di Eretz Israel... Capiscono solo la forza. Noi useremo la forza senza limiti finchè i palestinesi non vengano strisciando a noi» (Rafael Eitan, capo dello stato maggiore di Tsahal, citato da Gad Becker in «Yedioth Ahronot», 13 aprile 1983).

«E’ dovere dei leader israeliani spiegare all’opinione pubblica, con chiarezza e coraggio, alcuni fatti che col tempo sono stati dimenticati. Il primo è: non c’è sionismo, colonizzazione o stato ebraico senza l’espulsione degli arabi e la confisca delle loro terre» (Ariel Sharon, allora ministro degli esteri, ad un discorso tenuto davanti ai militanti del partito di estrema destra Tsomet – Agence France Presse, 15 novembre 1998).

«Ciascuno deve darsi una mossa, correre e arraffare quante più alture possibile per espandere gli insediamenti (ebraici), perchè tutto ciò che prendiamo adesso rimarrà nostro... Tutto ciò che non arraffiamo andrà a loro» (Ariel Sharon, stesso discorso di cui sopra).

«Israele ha il diritto di processare altri, ma nessuno ha il diritto di mettere sotto processo il popolo ebraico e lo Stato di Israele» (Sharon, primo ministro, 25 marzo 2001, BBC Online).

Queste citazioni sono sufficienti a capire qual è lo scopo delle incursioni in corso, e qual è lo scopo di Israele in generale: la pulizia etnica e l’espulsione forzata, a forza di massacri, dei palestinesi dalla «terra santa».

Negli anni ’30, si sarebbero potute estrarre identiche affermazioni (a favore del «socialismo mondiale») dai discorsi di Kaganovic, di Yagoda, di Trotsky-Bronstein; ciò non avrebbe indotto i Panebianco dell’epoca a un ripensamento.

A quell’epoca, gli ebrei erano per il socialismo, e dunque la menzogna più plateale era autorizzata; oggi che sono per il sionismo armato, è autorizzata la menzogna sionista.

Quando Panebianco esalta il superiore «valore della vita» umana che gli ebrei nutrirebbero rispetto ad Hamas, non fa che riecheggiare i discorsi della propaganda ebraica.

Per esempio la replica del rabbino Levi Brackman a Sarah Roy, una docente di Harvard che sul Christian Science Monitor si è chiesta angosciata di fronte ai bombardamenti spietati: «Abbiamo ancora la tradizione etica ebraica? La promessa di santità, così centrale alla nostra esistenza, è oggi oltre la nostra capacità di perseguirla?».

Risponde rabbi Brackman (1): «Sarah Roy scrive che essere ebrei significa ‘testimoniare, sollevarsi davanti all’ingiustizia e rifiutare di tacere. Significa compassione, tolleranza, e soccorso. In assenza di questi imperativi, cessiamo di essere ebrei’. Ma una più profonda lettura dell’ebraismo mostra che sì, gli ebrei sono un popolo definito dalla loro capacità di compassione e tolleranza; ma ci sono momenti in cui ci è vietato di agire secondo questi sentimenti perchè tali azioni sarebbero distruttive. E’ importante sentire compassione per i residenti di Gaza, ma questo sentimento di preoccupazione e simpatia non deve esere confuso con la chiarezza etica e morale. Al contrario, decidere di non montare una difesa contro terroristi omicidi per compassione, non è solo immorale, è anti-ebraico, idiota e profondamente irresponsabile».

Bel discorso, no? Ma anche rabbi Beckman non è l’autore di questo civile ragionamento. Ecco l’originale:

«…Dobbiamo essere onesti, decenti, leali e membri camerateschi verso la nostra stirpe e nessun altro.... Non dobbiamo mai essere duri e spietati quando non è necessario, questo è chiaro. Noi tedeschi, che siamo il solo popolo del mondo che ha un atteggiamento morale verso gli animali, dobbiamo avere un atteggiamento morale anche verso questi animali umani. Ma è un delitto contro il nostro sangue preoccuparsi di loro, se questo causa problemi ai nostri figli e nipoti. Quando qualcuno viene da me e mi dice, “Non posso scavare la trincea anticarro usando donne e bambini, è inumano, li espone alla morte’, io rispondo: ‘Tu sei un assassino del tuo stesso sangue, perchè se la trincea anticarro non è scavata, moriranno soldati tedeschi, e sono figli di madri tedesche, sono il nostro sangue”».

Chi parla? Heinrich Himmler, nel celebre discorso di Posen (Poznan) agli alti ufficiali SS (SS-Gruppenfueher) pronunciato il 4 ottobre 1943 (2).

Si è detto che tutti coloro che in Germania non si opposero al Reich, e magari ne celebrarono le lodi, erano «volonterosi carnefici di Hitler».

Oggi, sul Corriere vantano la superiore moralità ebraica altrettanti volontari carnefici; poichè solo la deplorazione e l’indignazione pubblica, sui media, potrebbe frenare il massacro degli inermi, il pubblico applauso corale dei media occidentali, al contrario, incoreaggia nuove e peggiori imprese SS (soldati sionisti).

E poichè la lode corale va all’attuale ministro della difesa Ehud Barak, converrà ricordare che «Barak» non è il suo vero nome, è un nome di battaglia: significa «Fulmine». In tedesco, Blitz.

Maurizio Blondet

La dittatura della statistica e la cybernetica

La cybernetica, la statistica e il potere sono dei sistemi strettamente connessi, il cui connubio ha dato vita in questo secolo ai crimini più terribili compiuti dall’umanità. Lo stesso piano diabolico di Adolf Hitler, ancora oggetto di indagini e di discussioni da parte degli storici, fu realizzato grazie alla perfetta alleanza tra il Terzo Reicht e la società di elettronica IBM, che ha offerto una preziosa cooperazione attraverso le sue filiali tedesche. Quanto solo sperimentato dal regime nazista di Hitler, viene oggi attuato dal Governo degli Stati Uniti, dall’Unione Europea, dalla Russia, che utilizzando la guerra al terrorismo, hanno introdotto la biometria per individuare, classificare e monitorare la popolazione e le sue risorse.



La rete è divenuta ormai un grande contenitore di informazioni e dati, in cui è possibile trovare tutto niente. Sembra ormai un grande accumulo di merce e rifiuti indifferenziato, dove accanto ai blog dei rivoluzionari part-time, vi sono media, partiti, centri di raccolta di petizioni e firme, catene di Sant’Antonio, comunicati inutili come inutili sono le organizzazioni che le emettono nel tentativo di sensibilizzare le masse. Oramai la disinformazione è di casa, un oceano difficile da contrastare su ogni fronte, nonostante l'impegno di molti ad evidenziare le grande anomalie del sistema. I forum e i gruppi di discussione sono i centri di traffico telematico più affollati, ed è lì che si scatenano "i rossi e i neri", personaggi inutili e frustrati, gli utenti sintetici e i fomentatori. L’Italia, in particolare, conosce tanti rivoluzionari, dagli sconosciuti ai più noti del grande schermo, che hanno organizzato comizi e grandi spettacoli di piazza, hanno raccolto firme telematiche da consegnare al Primo Ministro, per poi rendersi conto che non rimane altro che la Svizzera come "rifugio dalla censura", o dal Fisco. Tutto serve a riempire le pagine della rete, dagli appelli di pace e alle minacce terroristiche emanati dalla propria casa comodamente seduti, dai video di propaganda della rabbia alle riviste di hobbisti: tutto nasce e muore all’interno di questa grande scatola che è il web. Giorno dopo giorno tutti noi contribuiamo a tale grande progetto per creare la massa sintetica, i setteraristi, gli utili idioti che servono a fare movimenti di popolo quando è necessario. Mentre Google o You Tube si arricchiscono, la frustrazione e la rabbia gonfia ancora di più questo popolo della rete, i rivoluzionari del web. Saranno proprio loro a pagare il più alto prezzo della digitalizzazione della informazione, perché saranno i primi ad essere eliminati dalla censura diretta.

Come abbiamo avuto modo di spiegare, la nuova guerra è quella cybernetica, la quale provoca già vittime e vincitori. Il Mossad ora combatte con i propri nemici virtualmente, denunciando l’attacco dei siti israeliani da parte di hackers iraniani; allo stesso modo serbi ed albanesi si scambiano accuse violando i siti delle rispettive istituzioni, distruggendo archivi e web-site di partiti. Tutto questo giro di vite e di personaggi è direttamente strumentale alla produzione di statistiche e di analisi, fonte di potere e di ricchezza per quelle entità che monitorano i server e il traffico della rete. La realtà in cui viviamo è un continuo altalenarsi di dati statistici che mostrano come le società stanno evolvendo o arretrando sulla scala della disumanizzazione e del controllo. Un ragazzo morto mette sotto-sopra uno Stato come la Grecia; a Gaza muoiono 1000 persone sotto i colpi dei raid israeliani: 1 vittima o 1000 morti sono pur sempre una statistica, che è alla base delle nostre leggi e della stessa giustizia.

La cybernetica, la statistica e il potere sono dei sistemi strettamente connessi, il cui connubio hanno dato vita in questo secolo ai crimini più terribili compiuti dall’umanità. Lo stesso piano diabolico di Adolf Hitler, ancora oggetto di indagini e di discussioni da parte degli storici, fu realizzato grazie alla perfetta alleanza tra il Terzo Reicht e la società di elettronica IBM, che ha offerto una preziosa cooperazione attraverso le sue filiali tedesche. La IBM ha infatti contribuito con le sue tecnologie all'individuazione e la catalogazione della popolazione ebrea in Europa, negli anni compresi tra il 1933 e il 1940. Naturalmente in quegli anni non esistevano gli elaboratori (gli attuali computer) ma esisteva la tecnologia "punch card" dell' Hollerith svstems della IBM (nella foto, manifesto della Hollerith) , che non era nient’altro che un sistema cibernetico che attribuiva un numero di serie ad ogni individuo mediante dei codici: le macchine IBM, affittate a costi elevatissimi, hanno creato miliardi di matrici (schede perforate). Grazie ad esse, Hitler è riuscito ad "automatizzare" la ricerca del popolo ebreo, analizzando registri anagrafici, censimenti e banche di dati di tutti i Paesi europei, con una velocità e precisione a dir poco impressionante, che gli storici non sono mai riusciti a spiegare. La tecnologia IBM ha consentito anche l’organizzazione del trasporto ferroviario e dei campi di concentramento all’estero, mentre forniva assistenza, manutenzione e personale in maniera esclusiva. Inoltre la IBM con sede a Berlino ha conservato i duplicati di molti libri di codici, come qualsiasi IBM service bureau, che oggi conserva i dati di backup di server e computer ( Fonte: IBM and The Holocaust di Edwin Black).
La tecnologia IBM e le matrici di identificazione


Quanto solo sperimentato dal regime nazista di Hitler, viene oggi attuato dal Governo degli Stati Uniti e dall’Unione Europea, che utilizzando la guerra al terrorismo, hanno introdotto la biometria per individuare, classificare e monitorare la popolazione e le sue risorse. Quel numero tatuato sul braccio degli ebrei, che ancora oggi viene nascosto come vergogna o paura per i crimini subiti, ci è stato già attribuito dalla biometria, che si ripropone come progetto per la mappatura della popolazione mondiale. Tutto questo è stato realizzato grazie ad Al Qaeda, in nome e per conto della democrazia. Delle entità che non conosciamo si sono appropriate dei dati statistici dei Paesi, violando la sovranità dei popoli e degli speculatori che li utilizzano per propri interessi.
Ogni nostra scelta viene in qualche modo anticipata dall’analisi su grandi numeri della massa di dati che hanno a disposizione. È come giocare una partita di scacchi dove i giocatori conoscono in anticipo le mosse e non è possibile cambiare le regole, pena l’eliminazione dalla gara. Allora, signori della democrazia che viene dal Web, cosa significa per Obama il Ministero della Cibernetica? È la nuova guerra della rete, una guerra invisibile. Tuttavia le masse non capiranno mai cosa stia accadendo attorno a loro, perché sono surrogate dal terrore, indotte a pensare delle cose contro la loro stessa volontà, credendo di vivere in una democrazia, di avere dei diritti. In realtà è solo un concetto astratto. Gli stessi politici che ottengono dai cittadini un mandato a governare sono condizionati da un ricatto eterno. Questo è il nostro fallimento, sul quale si ripropongono come dei rivoluzionari i nuovi leader della cibernetica, che non sono altro che copie contraffatte di un sistema che non esiste più. L'Umanità deve fermarsi e riflettere sui propri errori, rispolverare le carte che uomini di scienza hanno regalato al mondo, e che gli uomini stessi hanno nascosto: gli eserciti dovranno capire che combattono guerre sbagliate contro un nemico sbagliato.

by etleboro

18 gennaio 2009

L'Italia è una repubblica oligarchica fondata sulle rendite




L'Italia è una repubblica oligarchica fondata sulle rendite. La sovranità appartiene al mercato che la esercita a suo piacimento nel pieno disprezzo della Costituzione ufficiale; il lavoro è sottomesso alle decisioni del mercato, anche quelle occulte ed inconfessabili

Sono circa 30 anni che quello sopra riportato è, di fatto, il primo articolo della costituzione reale del nostro paese, nonché il vangelo di Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, Banca per i Regolamenti Internazionali, ecc...

I nostri guai iniziarono nel 1970 con la controrivoluzione “monetarista” di Milton Friedman (1) che ha realizzato una tragica profezia di Kalecki (2).

Entrò pesantemente in vigore:

* in Cile, l’11 settembre 1973 con l’abbattimento del governo democratico di Allende;
* in Argentina, nel 1976 con la dittatura Videla (3);
* negli Stati Uniti, il 6 Agosto 1979 con l'avvento a capo della FED di Paul Volcker (4), recentemente riesumato da Obama (è assai poco probabile che il lupo perda il vizio);
* da noi, nel settembre ’79 con l'avvento a capo di bankitalia di Ciampi, al posto del mai sufficientemente rimpianto Paolo Baffi, caduto politicamente sotto il fuoco incrociato delle brigate rosse e della magistratura deviata (5);
* fortunatamente per loro, in Francia ed in Germania, solo negli anni ’90 col trattato di Maastricht.

Era il mercato e l’esigenza di stare al passo coi tempi che volevano i nostri Tassi Ufficiali di Sconto costantemente superiori all’inflazione (6), portandoci il rapporto debito PIL dal 60 al 124% in pochi anni. Il protagonista politico di questo scempio ne era perfettamente consapevole (7).

Era il mercato e l’esigenza di stare al passo coi tempi che volevano l’abbandono della Politica Monetaria di Einaudi e Menichella caratterizzata da alta Base Monetaria e basso moltiplicatore bancario; quella PM che fece regredire il rapporto debito PIL dal 107,9 del 1943 al 32,5 del 1963 (8).

Era il mercato e l’esigenza di stare al passo coi tempi che volevano l’abbandono della vecchia legge bancaria redatta negli anni ’30 proprio per contrastare gli eccessi che portarono alla crisi del ’29.

Era il mercato e l’esigenza di stare al passo coi tempi che volevano la drastica riduzione dei redditi da lavoro a vantaggio delle rendite; di qui l’esigenza forsennata ed isterica della globalizzazione, costi quel che costi: minor costo del lavoro = maggiore rendita parassitaria.

La lista sarebbe lunghissima; evito di riportarla.

Ovviamente i nostri responsabili del secondo dopoguerra non erano dei fenomeni; erano semplicemente uomini che rispettavano le regole e non baravano.

La Costituzione diceva che la nostra repubblica era fondata sul lavoro? Bene! Operavano in questo senso!

Alzando la Base Monetaria e contraendo il moltiplicatore bancario si favoriva, in solido, il lavoro, l’economia reale, la giustizia sociale che uno Stato può portare con sé; questo non significava che la proprietà e le rendite erano criminalizzate: significava semplicemente che andavano coordinate col lavoro e le altre funzioni sociali essenziali in modo da avere un sistema sostenibile, come ben teorizzato da Keynes e come ben sperimentato in tutto il mondo fino agli anni ‘70. Abbandonando quella Politica Monetaria ed adottando quella monetarista friedmaniana, di fatto, si è introdotto il primato del mercato e delle rendite sul lavoro, addivenendo inevitabilmente a quello squallido primo articolo della costituzione deviata di cui all’inizio di questo intervento; addivenendo inevitabilmente ad una configurazione socio-economica decisamente insostenibile. Solo Brunetta non se ne è ancora accorto (9).
I disastri inflattivi degli anni ’70 erano perfettamente risolvibili nell’ambito della Politica Monetaria keynesiana vigente, senza necessariamente abbandonarla a favore di quella monetarista. Ma le esigenze miopi dell’elite non avevano nessun interesse a far funzionare bene il sistema socio-economico globale; Kalecki docet.

Dalla fine degli anni ’70 siamo stati costantemente traditi, e la nostra Costituzione è stata costantemente tradita, dal Parlamento di turno, dal Governo di turno, dal Presidente della Repubblica di turno, dalla Corte Costituzionale di turno (10).

L’ultimo dell’anno abbiamo subito anche l’inevitabile “beffa” (11).

Ha detto il Capo dello Stato: “Per l'Italia, la prova più alta in cui si riassumono tutte le altre, è quella della nostra capacità di unire le forze, di ritrovare quel senso di un comune destino e quello slancio di coesione nazionale che in altri momenti cruciali della nostra storia abbiamo saputo esprimere. Ci riuscimmo quando dovemmo fare i conti con la terribile eredità della seconda guerra mondiale : potemmo così ricostruire il paese, far rinascere la democrazia, stipulare concordemente quel patto costituzionale che è ancora vivo e operante sessant'anni dopo, creare le condizioni di quella lunga stagione di sviluppo economico e civile che ha trasformato l'Italia.”

È verissimo che con gli strumenti che abbiamo impiegato nel secondo dopoguerra si potrebbe risolvere velocemente la crisi (12). Non si può non concordare, ma bisogna anche abbandonare immediatamente ed al livello planetario la politica monetaria che ci ha portato a questa condizione.

È proprio grazie allo scellerato comportamento trentennale di Parlamento, Governo, Presidente della Repubblica e Corte Costituzionale che non possiamo utilizzare quegli strumenti fondamentali e basilari della Politica Monetaria che ci hanno permesso di risorgere nel secondo dopoguerra. Senza quegli strumenti ci troviamo con le mani legate dietro la schiena, impossibilitati a reagire come si dovrebbe.

Non è possibile ascoltare quelle parole proprio da chi ha operato negli ultimi 30 anni nella direzione opposta, prendendo in giro, fra l’altro, i suoi stessi elettori. La sudditanza al dogma del primato del mercato di Napolitano, Ciampi, Amato, Prodi, D’Alema, Bersani, Brunetta, Martino, Tremonti (fino a pochissimi anni fa), ecc. è stata assoluta.

Sono stati calpestati ed ingannati sia i cittadini che la Costituzione.

Faccia il Presidente della Repubblica il suo dovere e richiami i responsabili politici al rispetto formale e sostanziale della nostra Carta fondamentale a partire dal primo articolo, primo e secondo comma! È vero che l’articolo 117 (13) ci mette nelle mani dell’elite mercatista e lobbista che spadroneggia a Bruxelles (14), ma è anche vero che l’attuale crisi può essere risolta solo col pesante ritorno in campo della Politica. E la Politica può, sia in un’ottica nazionale e limitata, modificare l’art. 117, sia, a più ampio respiro, cambiare registro a Bruxelles, a Francoforte, a Basilea, a Londra ed a Washington. Qualora il Presidente non lo faccia, abbia perlomeno il pudore di evitare l'argomento del nostro sviluppo economico e della crisi.
di Lino Rossi - 18/01/2009

10 gennaio 2009

Il vero obiettivo di Israele non è Hamas...

Il generale in pensione Kürsat Atilgan, deputato per il Partito del Movimento Nazionalista della città turca di Adana, ha condannato l'offensiva mortale di Israele contro la Striscia di Gaza, che finora ha ucciso più di 500 cittadini di Gaza e ne ha feriti più di 2500, e ha sostenuto che il vero obiettivo della campagna sanguinaria di Israele non è quello di stanare i combattenti di Hamas, come sostiene Tel Aviv.

kursat.jpg"Questa guerra è una guerra sproporzionata, scoppiata in conformità con gli sviluppi della politica interna israeliana.
La politica interna israeliana è arrivata a un livello tale per cui quanti più Palestinesi muoiono, tanto più i politici israeliani ricevono appoggio", ha detto Atilgan, intervistato dal giornale Today's Zaman.

L'invasione di Gaza amministrata da Hamas, prevista da tempo, ha fatto seguito a una settimana di bombardamenti israeliani via terra, cielo e mare. Molti civili Palestinesi e combattenti di Hamas sono stati uccisi e feriti mentre i proiettili israeliani colpivano le case e le strade di Gaza. Gli ufficiali israeliani hanno detto che l'offensiva potrebbe durare molti giorni.

"Non c'è mai stata una guerra così sproporzionata al mondo come questa offensiva israeliana contro i Palestinesi. Mentre una parte è equipaggiata di carri armati, aerei da guerra e tecnologia satellitare, l'altra parte è quasi del tutto inerme. Inoltre, la prima parte riceve il supporto di molti paesi e mette a tacere i mass media del mondo. Dall'altra parte, un intera popolazione è obbligata a vivere in povertà in un'area di pochi chilometri quadrati. La Palestina è testimone di una delle guerre più crudeli e sproporzionate del mondo", ha detto Atilgan.

Egli ha anche sottolineato l'importanza che ha la Turchia per spingere verso una cessazione della violenza israeliana nella regione.

"Il nostro primo ministro [Recep Tayyip Erdogan] dovrebbe andare in Israele e dire loro di fermare la guerra. La Turchia ha il potere di fermare la tragedia umanitaria a Gaza. Quello che dice la Turchia sull'argomento verrà preso in considerazione da Israele. Israele non è in una posizione di potersi permettere di mettere a rischio l'amicizia con la Turchia. Non ci sono altri paesi della regione tranne la Turchia che verranno ascoltati. Il senso di umanità è venuto meno nelle genti del Medio Oriente, che stanno subendo una violenza che nessun essere umano può accettare. Ciò nonostante, l'umanità rimane silenziosa davanti a questa violenza e non sta facendo quasi nulla per fermarla.", ha proseguito Atilgan.

Secondo Atilgan sarebbe ora che la Turchia mettesse in discussione il suo ruolo di mediatore tra Israele e la Siria, e ha espresso disappunto per il lancio della massiccia offensiva israeliana contro gli indifesi cittadini di Gaza, subito dopo l'incontro avvenuto tra il Primo Ministro Erdogan e la sua controparte israeliana, Ehud Olmert. Ha anche affermato che non sarà possibile riportare la pace in Medio Oriente fintantochè gli Stati Uniti sosterranno Israele.

"Mentre la Siria e Israele stavano per raggiungere un accordo sul conflitto delle Alture del Golan, nel 1996, questa iniziativa fallì per colpa delle politiche pro-israeliane degli USA. Nè Israele nè gli stati arabi possono riportare la pace nella regione. Fino a che l'odio e la rivalità vengono riversati nella regione, sarà troppo difficile riportare la pace", ha detto.

L'obiettivo di Israele non è Hamas

Atilgan ha sostenuto che l'obiettivo di Israele nell'offensiva non è quello di stanare i combattenti di Hamas. "E' Hamas l'obiettivo di questa offensiva? Non credo. Hamas è stata fondata con il sostegno indiretto di Israele, per combattere le forze di Fatah. Con l'andar del tempo, Hamas è diventata rappresentativa del 70-80% dei Palestinesi. Ma questa realtà viene ignorata da Israele. Loro considerano Hamas come organizzazione terroristica. E questo è quello che pensa anche il mondo. Tuttavia, è una credenza sbagliata", ha sostenuto.

Atilgan ha anche accusato Israele di ingannare il mondo intero, compresa la Turchia, circa la sua offensiva sanguinaria. "Israele ha ricevuto molte informazioni segrete sulla Palestina durante il cessate il fuoco. E adesso stanno bombardando le case di Gaza. Mentre fingevano di discutere la pace, stavano nei fatti decidendo quali erano gli obiettivi da bombardare. Tutti sapevano che la tregua non sarebbe durata a lungo", ha notato.

Atilgan ha anche detto che l'Iran non farà passi concreti per fermare la violenza israeliana. "L'Iran è uno dei paesi chiave del Medio Orriente. Le sue parole sono più grandi del suo potere. Iran non è mai stato attivamente in conflitto con Israele. In questo momento è occupato con la carota che gli viene offerta per il suo programma nucleare. Sta aspettando ansiosamente un pacchetto di proposte sul nucleare dall'amministrazione USA, e non credo che l'Iran si farà coinvolgere nella tragedia Palestinese", ha detto.

Atilgan ha ribadito la sua convinzione che la Turchia abbia il potere di fermare le sofferenze dei Palestinesi. "Non c'è altro paese nella regione, tranne la Turchia, che possa essere ascoltato da Israele. Il potere militare di Israele è sufficiente a distruggere diversi paesi. Israele ha costruito la sua strategia militare per distruggere tutti i fattori che in futuro possano costituire una minaccia per lei. Per questo l'impianto nucleare in Iraq è stato distrutto. Per questo all'Iran non viene permesso di avere tecnologia nucleare. Questa è una strategia pericolosa", ha proseguito.

Ha anche detto che sono stati gli USA a beneficiare più di tutti dell'anti-americanismo in Turchia, aggiungendo che si domandava se l'anti-americanismo in Turchia non sia stato promosso dagli stessi Stati Uniti.

"Non addestriamo piloti israeliani"

Il generale in pensione, che un tempo ha avuto una posizione di alto livello nelle Forze Aeree turche, ha respinto le affermazioni secondo cui i piloti israeliani, che stanno distruggendo Gaza con le bombe in questo momento, siano stati trasferiti in Turchia per essere addestrati.

"La Turchia ha firmato un accordo di cooperazione militare con Israele nel 1996, quando i paesi arabi si schierarono con la Siria per la crisi idrica. Lo scopo di questo accordo era di proteggere la Turchia contro le minacce provenienti da sud. La Turchia non ha accordi militari solo con Israele; abbiamo accordi simili con circa 40 paesi" - ha detto.

Source > Todays Zaman

Io, nell'inferno di Guantanamo per sei anni

guantanamo1Quando ad agosto Muhammad Saad Iqbal è tornato a casa propria, dopo più di sei anni trascorsi nelle mani degli americani, e di cui cinque nel carcere militare di Guantanamo Bay a Cuba, aveva difficoltà nella deambulazione, il suo orecchio sinistro aveva una grave infezione e mostrava segni di dipendenza da un cocktail di antibiotici e antidepressivi. A novembre, un chirurgo pachistano l’ha operato all’orecchio, alcuni fisioterapisti sono intervenuti sui suoi problemi di lombosciatalgia e uno psichiatra ha cercato di ridurre la sua dipendenza dai farmaci, che egli era solito portarsi appresso in un sacchetto di plastica. I suoi problemi, ha detto Iqbal, un lettore professionista del Corano, sono dovuti a una forma di tortura (detta "gantlet", nella quale il prigioniero è costretto a correre tra due file di persone armate di mazze o di fruste), e a un insieme di abusi, carcerazione e interrogatori per i quali il suo legale di Washington ha in mente di citare in giudizio il governo degli Stati Uniti. L’Amministrazione del presidente eletto Barack Osama, che si insedierà di qui a poco, sta valutando se chiudere definitivamente il carcere di Guantanamo, che molti hanno criticato e definito un sistema di detenzione e abusi estraneo a ogni legalità. La storia vissuta da detenuti come Iqbal sta emergendo però soltanto adesso, dopo anni nei quali questi individui sono stati trasportati avanti e indietro in tutto il mondo con quel sistema adottato dall’Amministrazione Bush e denominato "extraordinary rendition", in virtù del quale i prigionieri sospettati di essere terroristi erano interrogati e incarcerati in Paesi stranieri. lontani dalla portata dei tribunali americani. Iqbal non è mai stato riconosciuto colpevole di alcun crimine, né del resto mai imputato di alcun reato. E’ stato rilasciato da Guantanamo senza clamori, con la spiegazione di routine che non è considerato più un "nemico combattente", grazie a un programma varato dall’Amministrazione Bush per ridurre la popolazione carceraria. «Mi vergogno di quello che gli americani mi hanno fatto in quel periodo», rivela Iqbal che, per la prima volta ha voluto far luce sulla sua prigionia. Iqbal era stato arrestato nel 2002 a Giacarta, in Indonesia, dopo essersi vantato coni membri di un gruppo islamico di saper costruire una bomba da nascondere nel tacco delle scarpe, secondo quanto hanno raccontato due fonti americane di alto grado che si trovavano a Giacarta in quel periodo. Oggi Iqbal nega di aver mai fatto una dichiarazione del genere, ma due giorni dopo il suo arresto la Cia lo trasferì in Egitto. In seguito fu trasferito ancora in una prigione americana nella base aerea di Bagram inAfghanistan, per poi approdare al carcere della Baia di Guantanamo. Dopo essere stato catturato a Giacarta e interrogato per due giorni, le fonti americane giunsero alla conclusione che Iqbal era soltanto uno spaccone e che dovesse pertanto essere rilasciato: così ha rivelato una delle fonti americane a Giacarta. «Era un chiacchierone, voleva darsi delle arie ed essere ritenuto più importante di quanto non fosse in realtà» ha detto la fonte. Non ci sono prove che Iqbal abbia mai incontrato Osama Bin Laden o sia mai stato in Afghanistan, ma nell’atmosfera di paura e confusione che regnò nei mesi immediatamente successivi all’11 settembre 2001, Iqbal fu trasferito segretamente in Egitto per essere sottoposto a ulteriori interrogatori. Lui dice di essere stato picchiato, ammanettato strettamente, incappucciato, drogato, sottoposto a scariche elettriche e poiché aveva negato di aver conosciuto Osama bin Laden è stato anche privato del sonno per sei mesi. «Mi hanno accecato e costretto a stare in piedi per giorni interi». Il Pentagono e la Cia per prassi non parlano dei prigionieri, ma un portavoce della Cia, Paul Gimigliano, ha detto che «il programma di detenzione dei terroristi dell’agenzia ha fatto uso di sistemi di interrogatorio leciti. Da quanto so di questo individuo, egli sembra descrivere tecniche molto diverse da quelle in uso», ha aggiunto Gimigliano. «Non ho proprio idea di che cosa stia parlando. Gli Usa non utilizzano né ammettono la tortura». Una volta arrivato a Guantanamo, il 23 marzo 2003, Iqbal è stato trattato come un miserabile dagli altri prigionieri perché secondo un compagno di prigionia, non era stato addestrato nei campi afgani. Iqbal è diventato talmente depresso da cercare di suicidarsi impiccandosi due volte e da effettuare tre scioperi della fame, ha detto Habib. «Un agente della Cia - racconta - mi ha detto: "Ti risparmiamo: ammetti soltanto di aver incontrato Osama Bin Laden". Quando io ho risposto che non era vero e che non avrei ammesso una cosa del genere, dopo che anche i test alla macchina della verità hanno dimostrato che dicevo il vero, mi hanno spostato da una cella all’altra a intervalli regolari e deprivato del sonno per sei mesi». Secondo una dichiarazione dell’aprile 2007 del dottor Ronald L. Sollock, comandante dell’Ospedale della Marina della Baia di Guantanamo, a Iqbal è stata diagnosticata la perforazione del timpano sinistro, un’infiammazione del canale esterno dell’orecchio sinistro, un’infiammazione dell’orecchio medio sinistro. E dal 2003, secondo quanto la Corte ha appurato da Sollock, a Iqbal sono stati prescritti farmaci antibiotici. Quando ha fatto ritorno a casa propria in Pakistan, Iqbal mostrava segni di dipendenza «da un lungo elenco di farmaci», ha detto Mohammad Mujeeb, professore e laringoiatra del Services Hospital di Lahore. «Qui, con la mia famiglia, sono tornato a vivere. E’ stato come nascere una seconda volta - dice Iqbal - non saprei descrivere quella sensazione altrimenti». Il suo caso è attualmente in corso di esame nei tribunali americani: il suo avvocato, Richard L. Cys, dice che si prefigge di citare il governo americano per la detenzione illecita. A Lahore, Iqbal intende adesso tornare a insegnare il Corano: «E’ facile ora per gli Stati Uniti affermare che non sono state trovate accuse a mio carico - conclude - Ma chi è responsabile di questi sette anni della mia vita?».

di Raymond Bonner, Salman Masood, Jane Perlez

La furia cieca israeliana... Pagherà?








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La furia cieca sionista non risparmia niente e nessuno. Anche la scuola di Asma, al campo profughi palestinese di Shati, nella città di Gaza. L'istituto, che era gestito dall'Unrwa, è stato bombardato dall'aviazione israeliana. Come un altro a Khan Younis. Mahmoud Khalil è terrorizzato. Cercava un posto sicuro per i suoi cinque figli e alla fine aveva deciso: la scuola gestita dall'Onu, quello era uno dei pochi luoghi che Tsahal avrebbe lasciato intatti nella Striscia di Gaza. Si sbagliava, Khalil.


Le bombe israeliane non hanno fatto alcuna distinzione, cinque palestinesi sono morti. "Ci uccidono ovunque. Se possono bombardare le moschee, se possono uccidere i bambini più piccoli, se possono far saltare in aria il nostro parlamento, perché dovrebbero avere cura delle scuole? Non si preoccupano di quello che pensa l'Onu, non si preoccupano di quello che pensa il mondo intero", ha dichiarato con rabbia Khalil. Tre palestinesi hanno perso la vita nel raid aereo di Tsahal contro la scuola Asma, nel campo profughi di Shati. Un bilancio che sarebbe potuto essere molto più grave. Secondo il portavoce dell'Onu, Adnane Abu Hasna, 450 persone si erano rifugiate nella scuola per sfuggire ai bombardamenti che avevano colpito altri quartieri della città. E a Khan Younis, nel sud della Striscia, un obice ha colpito l'entrata di una seconda scuola uccidendo due persone la cui identità non è stata ancora stabilita come hanno riferito fonti mediche.


"Eppure le scuole erano chiaramente identificate come edifici dell'Onu", ha chiarito il portavoce delle Nazioni Unite, Christopher Gunnes. "L'Unrwa protesta vigorosamente per queste vittime presso le autorità israeliane e chiede l'apertura di un'inchiesta immediata e imparziale". Un'inchiesta che, c'è da giurarci, si dissolverà nel nulla. Israele è intoccabile e può contare su un numero massiccio di volgari servitori tra diplomatici, governanti, giornalisti e giudici. I bambini di Khalil sono ancora in salvo. "Ma dopo ciò che hanno visto sono terrorizzati", ha spiegato un meccanico palestinese. "Ci sono state esplosioni vicino alla nostra casa. Ogni cosa è in rovina. Israele ha avvertito di fuggire, di trovare riparo, perché bombarderà le nostre case".


Già, fuggire. Ma dove? In altre occasioni, ricorda il Guardian, ci si indirizzava verso il confine, sperando di arrivare sani e salvi. Adesso non si può. Gli abitanti della città di Gaza sono isolati, la loro casa è diventata la loro prigione, non c'è alcuna via di uscita". I bambini di Khalil continueranno a nascondersi nelle scuole dell'Onu, sperando di poter sfuggire alla ferocia dello stato criminale d'Israele. Almeno 17 istituti scolastici della regione sono stati trasformati in un riparo di fortuna per oltre 5.000 palestinesi. Ma non c'è alcuna garanzia: nove di queste si trovano infatti nel campo profughi di Jabaliya, dove i combattimenti sono violentissimi. E poi nella zona di Rafah, dove l'aviazione israeliana continua a bombardare i tunnel, ritenendoli viatici per il contrabbando di armi con l'Egitto. Il governo sionista sta cercando di infliggere al popolo palestinese una punizione durissima per aver osato resistere in questi anni al disegno di cancellazione del loro diritto alla terra, alla pace, alla vita. Israele sta continuando a martellare senza sosta la prigione a cielo aperto di Gaza con la complicità della quasi totalità delle borghesie nazionali arabe, dell’Europa, degli USA.


La maggior parte della stampa e dei mezzi d’informazione di tutto il mondo continua a ripetere la linea di Tel Aviv, ovvero il presunto “diritto” di Israele a “difendersi”. In Italia governo, opposizione, il presidente della Repubblica, i TG, i quotidiani e i tanti strapagati opinionisti da strapazzo hanno espresso il proprio incondizionato appoggio ad Israele e la propria condanna al “terrorismo” di Hamas. I palestinesi uccisi e mutilati dalla pioggia di fuoco dell’aviazione israeliana, per una logica perversa, sarebbero i carnefici, gli ebrei occupanti le vittime. Già all’inizio dell’anno gli israeliani (sostenuti dagli USA) avevano cercato di innescare e fomentare la guerra civile nel tentativo di distruggere Hamas. Poi, durante i mesi di tregua hanno ripetutamente cercato di provocare la reazione palestinese, ma è dal 27 dicembre che hanno dato il via a questo autentico sterminio di massa con l’obiettivo di terrorizzare la popolazione e spingerla contro Hamas, per provocare il rovesciamento “manu militari” dell’attuale e legittimamente eletta leadership palestinese e il ritorno di quella venduta e corrotta che circonda il presidente filo-israeliano e filo-americano, Abu Mazen.


Il tutto con il complice silenzio dell'opinione pubblica internazionale, non meno criminale dell'azione militare israeliana. Si spendono lacrime a fiumi per i “poveri” monaci tibetani oppressi (il cui leader, che tutti fanno a gara ad omaggiare, è stato un risaputo informatore della CIA) ma per i palestinesi nessuna comprensione e sempre lo stesso giudizio: terroristi e provocatori. I commenti di molti nostri colleghi sono semplicemente ridicoli. Sentivo per caso a Prima Pagina di radio tre il direttore della gazzetta di Mantova sostenere, per esempio, che gli israeliani, prima di bombardare la casa di un capo di Hamas, lo avrebbero contattato telefonicamente per avvertirlo. Conclusione: se con il disgraziato dirigente di Hamas è stata uccisa tutta la sua famiglia la colpa è soltanto sua, perchè non avrebbe dato ascolto all'amorevole consiglio sionista! Siamo ben oltre il ridicolo!


Per non parlare poi dell'informazione a senso unico data dalla Rai. Anche se ogni giorno si tocca sempre di più il fondo, a mio avviso, il fondo del fondo è stato toccato l'altro giorno. Telegiornale di Rai2, dopo una breve carrellata sugli edifici sbriciolati e sulle macerie che riempiono le strade di Gaza, il notiziario propone le "scioccanti" immagini che arrivano da Israele, una finestra sventrata, un appartamento a soqquadro, un trasformatore di una centrale elettrica che fuma. Sono le drammatiche e "sanguinose" (ma dov'è il sangue?) conseguenze dei razzi Qassam sparati dai palestinesi. L'imparziale corrispondente italyota, mentre raccoglie i lamenti della popolazione israeliana chiede al solito rabbino di turno cosa ne pensi dell'uccisione di un esponente di Hamas, lo sceicco Nizar Rayan, capo dei martiri islamici, ucciso con 15 dei suoi familiari, mogli e figli, da un missile di una tonnellata di esplosivo. L'austero rabbino esprime tutta la sua soddisfazione sorridendo e dichiara: "Lo sceicco Rayan si considerava un martire, quindi sarà contento, abbiamo mandato in paradiso lui e la sua famiglia". Se a dichiararlo fosse stato un uomo appartenente a qualsiasi altro popolo sarebbe accaduto il finimondo, ma, come molti sanno, il taglietto in quel posto permette questo ed altro...


Siamo ben consci che la nostra voce, a causa dello spesso muro di omertà innalzato dall'informazione omologata, difficilmente varcherà una certa soglia, ma non ci arrenderemo e continueremo ugualmente a raccontare giorno per giorno i crimini sionisti, l’eroica resistenza ed il martirio del popolo palestinese, ancora una volta massacrato impunemente sotto gli occhi colpevoli del mondo. Continueremo a lottare insieme a voi, con gli strumenti che abbiamo a disposizione, compagni e compagne di lotta Gaza, affinché la vostra liberazione nazionale diventi una tappa della liberazione di tutti i popoli dall’oppressione imperialista. Le vostre mani nude contro soldati la cui dotazione è di circa cinquanta chili a testa di strumenti sofisticatissimi ed armi di eccezionale potenza, sono intrise di eroismo e di fiero orgoglio guerriero. L'esito militare appare scontato, quello politico molto di meno.


Di una cosa, però, possiamo essere certi fin d'ora: comunque andranno le cose Israele perderà la battaglia di Gaza. Se vincerà non avrà dimostrato niente, perchè si tratta di una lotta impari tra un superesercito ed una popolazione civile. Tirannie come quelle di Mubarak in Egitto e come quella davvero dei fondamentalisti dell'Arabia Saudita sono destinate ad essere travolte dalla collera popolare. Attorno ad Israele c'è solo l'odio profondo creato dalle sue violenze e dalle sue continue sopraffazioni. Tutto il mondo arabo, sebbene oggi diviso, prima o poi riconsidererà tutta la questione mediorientale e la proposta non sarà la pace ma l'eliminazione dell'illegittimo e razzista stato sionista. Le menzogne che la stampa occidentale propina ogni giorno anche attraverso "autorevoli" opinionisti saranno presto smascherate.


A tal proposito, sono emblematiche le parole di un sacerdote cattolico. Padre Manuel Musallam, sacerdote della parrocchia della Santa Famiglia, unica chiesa cattolica di Gaza ha spiegato come la spietata aggressione sionista abbia reso più compatti e risoluti i palestinesi nella loro legittima resistenza armata. "Centinaia di giovani si stanno arruolando in queste ore nelle file di Hamas", ha dichiarato padre Manuel. "È la reazione di parte della popolazione già provata da mesi di assedio, in un luogo in cui manca tutto; questi sono gli effetti dei bombardamenti israeliani. Nessuno sa dove vogliano arrivare gli israeliani ma se l'obiettivo era quello di distruggere Hamas posso dire che non c'è una sola voce contro Hamas in tutta Gaza e che anzi i bombardamenti, e le vittime e i feriti che hanno causato, stanno spingendo in queste ore centinaia di giovani ad aggregarsi al movimento e prendere le armi. E' gente che ha perso qualcuno, che vede i propri figli piangere, che ha deciso di resistere", ha concluso il sacerdote.

IL VERO SCOPO DEL MASSACRO DI GAZA

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Hamas non può essere sconfitto e quindi deve essere messo in ginocchio

Sin da quando Hamas ha trionfato nelle elezioni palestinesi di quasi tre anni fa, le voci che circolavano in Israele sostenevano che era imminente un’invasione di terra totale della Striscia di Gaza. Ma anche quando l’opinione pubblica era pronta per un attacco decisivo contro Hamas, il governo ha fatto marcia indietro all’idea di un assalto frontale.

Ora il mondo attende che Ehud Barak, il ministro della Difesa, invii i carri armati e i soldati perché la logica di questa operazione sta spingendo inesorabilmente verso una guerra di terra. Tuttavia, i funzionari hanno preso tempo. Notevoli forze di terra sono ammassate sul confine con Gaza, ma in Israele si parla ancora di “strategie di uscita”, tregue e rinnovi del cessate il fuoco.

Anche se i carri armati israeliani si muoveranno con gran fracasso nei territori, avranno il coraggio di muoversi nel vero campo di battaglia del centro di Gaza? Oppure verranno usati semplicemente, come è stato in passato, per terrorizzare la popolazione civile delle periferie?

Gli israeliani sono consapevoli del motivo ufficiale del riserbo di Barak di far seguire ai bombardamenti aerei un attacco di terra totale. E’ stato loro ricordato innumerevoli volte che le peggiori perdite subite dall’esercito nel corso della seconda intifada avvennero nel 2002 durante l’invasione del campo profughi di Jenin.

Gaza, come gli israeliani sanno benissimo, è un campo profughi gigantesco. I suoi stretti vicoli, impossibili da attraversare per i carri armati Merkava, obbligheranno i soldati israeliani a combattere in campo aperto. Gaza, nell’immaginario israeliano, è una trappola mortale.

In modo analogo, nessuno ha dimenticato il pesante dazio pagato dai soldati israeliani durante la guerra di terra con Hezbollah nel 2006. In un paese come Israele, con un esercito cittadino, l’opinione pubblica è diventata indubbiamente ossessionata da una guerra nella quale buona parte dei propri figli verrà messa in prima linea.

Quella paura viene solamente aumentata dalle notizie diffuse dai media israeliani che Hamas sta pregando per avere la possibilità di coinvolgere l’esercito di Israele in un pericoloso combattimento. La decisione di sacrificare numerosi soldati a Gaza non è quella che Barak, leader del Partito Laburista, prenderà così alla leggera, con le elezioni tra sei settimane.

Ma c’è un altro problema che gli sta dando eguale motivo di esitazione.

Nonostante la retorica popolare in Israele, nessun alto funzionario crede realmente che Hamas possa essere sconfitto, sia dal cielo o con battaglioni di soldati. Hamas è semplicemente troppo radicato a Gaza.

Questa conclusione è stata riconosciuta nelle fiacche giustificazioni offerte finora per le operazioni di Israele. “Ristabilire la calma nel sud del paese” e “cambiare l’ambiente di sicurezza” sono stati preferiti alle precedenti dichiarazioni, come “estirpare l’infrastruttura del terrore”.

Un’invasione il cui vero scopo sarebbe il rovesciamento di Hamas richiederebbe, come si rendono conto Barak e i suoi funzionari, una rioccupazione militare permanente di Gaza.
v Ma uno stravolgimento del disimpegno da Gaza – partorito nel 2005 dalla mente di Ariel Sharon, all’epoca primo ministro – comporterebbe un enorme impegno militare e finanziario da parte di Israele. Ancora una volta occorrerebbe assumersi la responsabilità degli aiuti alla popolazione locale, e l’esercito sarebbe obbligato a svolgere pericolose operazione di vigilanza negli accampamenti di Gaza.

In effetti, un’invasione di Gaza per spodestare Hamas rappresenterebbe un’inversione di tendenza nella politica di Israele dagli accordi di Oslo dell’inizio degli anni ’90.

Fu allora che Israele consentì al leader palestinese da tempo in esilio, Yasser Arafat, di ritornare nei territori occupati nel nuovo ruolo di capo dell’Autorità Palestinese. Ingenuamente, Arafat pensava di guidare un governo ombra ma, in verità, diventò il più importante mercenario di Israele.
Arafat fu tollerato nel corso degli anni ’90 perché fece ben poco per fermare l’effettiva annessione di vaste zone della Cisgiordania da parte di Israele, attraverso la rapida espansione degli insediamenti e l’imposizione ai palestinesi di rigide limitazioni sugli spostamenti. Piuttosto Arafat si concentrò nel potenziamento delle forze di sicurezza dei suoi lealisti Fatah, contenendo Hamas e preparando una condizione di Stato che non arrivò mai.

Quando scoppiò la seconda intifada, Arafat dimostrò di non servire più ad Israele e la sua Autorità Palestinese fu via via indebolita.

Dalla morte di Arafat e dal suo disimpegno da Gaza, Israele ha cercato di consolidare la separazione fisica della Striscia dalla molto più ambita Cisgiordania. Anche se in origine non era tra le aspirazioni di Israele, il controllo di Hamas su Gaza ha contribuito in modo significativo a quello scopo.

Israele ora è fronteggiato da due movimenti nazionali palestinesi. Il primo è Fatah, di stanza in Cisgiordania e guidato da un presidente debole, Mahmoud Abbas, ed è ampiamente screditato e sottomesso. L’altro, Hamas, di stanza a Gaza, si è guadagnato sempre maggiore fiducia perché sostiene di essere il vero guardiano della resistenza all’occupazione.

Incapace di distruggere Hamas, Israele ora sta considerando l’idea di vivere a fianco del gruppo armato.
Hamas ha dimostrato di poter imporre il suo predominio su Gaza come fece una volta Arafat su entrambi i territori occupati. Il problema in discussione nel governo israeliano e nella stanza dei bottoni della guerra è se, come Arafat, Hamas può essere colluso con l’occupazione. Si è dimostrato forte, ma può rendersi utile anche ad Israele?

In pratica, questo significherebbe la sottomissione di Hamas piuttosto che il suo annientamento. Mentre Israele sta cercando di potenziare Fatah in Cisgiordania offrendogli una carota, sta utilizzando l’attuale massacro di Gaza come un grosso bastone con cui sottomettere Hamas.

L’obiettivo ultimo è un’altra tregua che fermi il lancio di razzi al di fuori della Striscia, come il cessate il fuoco di sei mesi che è appena terminato, ma a condizioni ancor più favorevoli ad Israele.

Il blocco selvaggio che per molti mesi ha privato la popolazione di Gaza di beni essenziali ha fallito il suo scopo. Piuttosto, Hamas si è rapidamente interessato ai tunnel per il contrabbando che sono diventati un’ancora di salvezza per gli abitanti. I tunnel hanno aumentato, in egual misura, le finanze e la popolarità di Hamas.

Non dovrebbe costituire una sorpresa il fatto che Israele non si sia nemmeno preoccupato di colpire la leadership di Hamas o la sua ala militare. Invece ha bombardato i tunnel, il forziere di Hamas, e ha ucciso un numero considerevole di poliziotti, i garanti della legge e dell’ordine a Gaza. Le ultime voci indicano che Israele sta ora progettando di estendere i bombardamenti aerei alle organizzazione di assistenza di Hamas, gli enti benefici che sono la base della sua popolarità.
La campagna aerea sta intaccando la possibilità di Hamas di ricoprire realmente il ruolo di governante di Gaza. Stanno indebolendo le basi del potere politico di Hamas. La lezione non è che Hamas può essere distrutto militarmente ma che può essere indebolito in patria.

A quanto pare Israele spera di convincere la leadership di Hamas, come ha fatto per diverso tempo con Arafat, che i suoi interessi più importanti saranno raggiunti collaborando con Israele. Il messaggio è: lasciate perdere il vostro mandato popolare di resistere all’occupazione e concentratevi invece sul rimanere al potere con il nostro aiuto.

Nelle nebbie di guerra, gli eventi potrebbero ancora intensificarsi a tal punto che una pericolosa invasione di terra non potrà essere evitata, specialmente se Hamas continuerà a sparare razzi su Israele. Ma qualunque cosa accada, è quasi certo che alla fine Israele e Hamas diranno di sì ad un altro cessate il fuoco.

Il problema sarà se nel farlo Hamas, come Arafat in precedenza, perderà di vista il suo compito principale, quello di obbligare Israele a porre fine alla sua occupazione.

Jonathan Cook è uno scrittore e giornalista e vive a Nazareth, in Israele. Il suo ultimo libro è “Disappearing Palestine: Israel’s Experiments in Human Despair” (Zed Books). Il suo sito web è www.jkcook.net è uno scrittore e giornalista e vive a Nazareth, in Israele. Il suo ultimo libro è “Disappearing Palestine: Israel’s Experiments in Human Despair” (Zed Books). Il suo sito web è www.jkcook.net