29 febbraio 2012

Un pentito di mafia: “Le stragi del ’93 chieste da Berlusconi e da Dell’Utri”


"Il tramite è stato Mangano". L'ultima rivelazione sulle tentazioni stragiste e sul ruolo svolto dall'ex premier nella stagione di sangue dell'attacco allo Stato è saltata fuori da un verbale del 2000, tenuto segreto per dodici anni, redatto da Giuseppe Monticciolo, il picciotto che Brusca utilizzò per strangolare il piccolo Giuseppe Di Matteo

La strage di via dei Georgofili a Firenze

Le stragi del ’93? A chiederle a Cosa Nostra furono “Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, attraverso il fattore di Arcore, Vittorio Mangano“. L’ultima rivelazione sulle tentazioni stragiste e sul ruolo svolto dall’ex premier nella stagione di sangue dell’attacco allo Stato salta fuori da un verbale del 2000, tenuto segreto per dodici anni, redatto da Giuseppe Monticciolo, il picciotto che Brusca utilizzò per strangolare il piccolo Giuseppe Di Matteo, assassinato a soli 12 anni perché figlio di un pentito. Nel pieno dell’offensiva corleonese contro lo Stato, dopo l’arresto di Totò Riina, Mangano avrebbe indicato a Bagarella “gli attentati che voleva fatti Berlusconi e Dell’Utri”, sottolineando l’assoluta ignoranza dei boss sugli obiettivi da distruggere: “Non sapevo nemmeno che fossero gli Uffizi, si figuri Bagarella”.

L’ordine, per Monticciolo, sarebbe partito da Milano, dal cuore dell’impero Fininvest, dopo che le cosche avevano tentato di uccidere un uomo simbolo della tv berlusconiana: Maurizio Costanzo. Dopo l’attentato a Costanzo, racconta Monticciolo a Chelazzi, presenti l’allora procuratore di Palermo Pietro Grasso e il pm Vittorio Teresi, “Dell’Utri – dice che ha mandato a dire (sempre detto, va bene, da Bagarella) che si dovevano fare… Dice: Allora, visto che sapete fare… visto che sapete arrivare a Costanzo, perché Costanzo non ce lo ha indicato nessuno per fargli l’attentato, dice allora sapete arrivare anche a fare qualcos’altro, per esempio la strage degli Uffizi e via dicendo. E da lì Bagarella ordinò. Perché poi ne parlò direttamente davanti a me con Giovanni Brusca”.

La rivelazione è sconvolgente, nel verbale Chelazzi è puntiglioso, vuole ricostruire tutti i dettagli e domanda se vennero richiesti “un numero definito di attentati”, ricordando quelli di Roma, Firenze e Milano: “Sono stati richiesti – risponde Monticciolo – di volta in volta. Poi la discussione come andavano e come non andavano lo sapevano solo Brusca e Bagarella”. Interrogato più volte sull’argomento, Brusca ha sempre smentito, ammettendo solo che Berlusconi fu avvertito dalla mafia che “la sinistra sapeva” della trattativa. Ma rifiutò di sottoporsi a un confronto con Monticciolo, che aveva già alluso al coinvolgimento di Berlusconi nella stagione stragista. Perché i boss accettarono di eseguire le stragi? La posta in gioco, spiega Monticciolo, è il 41-bis. “A Bagarella – racconta il pentito – premeva che dovevano togliere cioè, le promesse che facevano loro erano quelle di toglierlo e di non esserci più restrizioni nei carceri. Loro, come politici, dicevano che salendo al potere levavano il 41-bis e levavano i restringimenti nelle carceri”.

Le cose andarono diversamente: il 41-bis, tra ammorbidimenti e attenuazioni, è ancora una leva dell’azione antimafia, e i boss non nascosero la delusione: “Berlusconi prima vuole fatte le cose, però lui non viene mai agli impegni che prende”, aggiunge Monticciolo, riportando le parole del boss Bagarella, e spiegando che il cognato di Riina “parlava degli impegni che le stragi venivano fatte e poi lui non si impegnava, nel ’93″. Una delusione che non impedì ai corleonesi di sostenere politicamente Berlusconi: Monticciolo ricorda che nel 1994 Bagarella disse “di cercare i voti per Forza Italia” e che Brusca lo incaricò di “riferirlo agli altri capi mandamento”.

Nonostante le inadempienze di Berlusconi, Bagarella non avrebbe reagito “perché Mangano – scrivono i pm nel verbale riassuntivo dell’interrogatorio di Monticciolo – in qualche modo lo tranquillizzò facendogli osservare che bisognava aver pazienza e che i risultati sarebbero arrivati”. E Monticciolo conclude che fino a quel momento non ha parlato di politica con i magistrati per “paura”: “I politici, manovrati sempre dalla mafia, vogliono che io non parli sulle questioni politiche”. I verbali sono stati acquisiti anche dai pm di Palermo e sono oggetto di valutazione nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa mafia-Stato, nella quale ieri è stato interrogato l’ex ministro Calogero Mannino, indagato per violenza o minaccia al corpo politico dello Stato. Mannino si è avvalso della facoltà di non rispondere.
di Giuseppe Lo Bianco

28 febbraio 2012

Mala tempora currunt



Ogni tramonto brumoso porta in dono un poco di malinconia e quando a tramontare non è una giornata, ma un “mondo” così come lo avevamo conosciuto, l’accento malinconico si fonde con un senso d’inquietudine impossibile da dissimulare. Questa Italia ormai deprivata di qualsiasi dignità, che si trascina incespicando nel fango, ha un che di patetico che infonde nell’animo una sensazione di tristezza infinita. Così come triste ed angosciosa, risulta la penosa agonia del sistema neoliberista, che arranca verso la terza guerra mondiale, nella speranza che possa costituire il mezzo attraverso il quale riuscire a sopravvivere qualche giorno di più.
Malinconioso è il pellegrinaggio del barbogio Napolitano in terra di Sardegna, dove il garante della mangeria di corte si ritrova a ricevere bordate di fischi, mentre caracolla attraverso la callaia dell’umore popolare.
Povero di spirito, ma ricco nel portafogli, si manifesta il bargello Manganelli, costretto a discettare in quel della Camera, intorno ad un terrorismo che non c’è, ma la cui esistenza diventa indispensabile per giustificare il suo stipendio nell’ordine dei 621 mila euro l’anno…..



Tanto opportunista quanto cinico si rivela il borioso giudice Caselli che scientemente usa le contestazioni NO TAV per gli arresti di donne incinta ed innocenti vari, al fine di dare al suo ultimo libro quella salienza che invero esso non possiede.

Estremamente realistici e per nulla turbati da questa Italia che sta inabissandosi più velocemente della Concordia, appaiono il prof. Monti e lacrima Fornero, quando affermano che la riforma (leggasi eutanasia) del lavoro andrà avanti a prescindere da quello che possa essere il giudizio dei sindacati e dei partiti. E non potrebbe essere altrimenti, dal momento che il peso specifico di tanti manevoli camerieri è ormai prossimo allo zero e si limita a quello delle loro buste paga sulle spalle dei contribuenti.

Inquietante è la figura del ministro Terzi, sempre più uomo della Nato, che in merito alla vicenda dei due marò arrestati in India, continua a barbugliare frasi sconnesse degne del peggior Frattini.

Avvilenti e molto pericolosi appaiono i burocrati di Bruxelles, che obbedendo agli ordini di Washington impongono nuove sanzioni all’Iran, sulla base di colpe immaginarie che non trovano riscontri nella realtà. Ma ancora più avvilente appare il governo golpista nostrano che avalla dette sanzioni, mentre salassa i cittadini italiani attraverso la benzina venduta a peso d’oro.

Patetica la congrega di sindacalisti d’accatto e pacifinti salottieri che si raduna in quel di Roma per dare supporto alla guerra imperialista contro la Siria, pur fallendo miseramente l’obiettivo, al punto che perfino i media mainstream hanno ritenuto opportuno oscurare i pochi intimi convenuti all’appuntamento.

Angosciante, estremamente angosciante, il bellicismo ostentato dalla Nato, che da mesi lavora alacremente in Siria, con l’ausilio dei belatori mainstream, nella costruzione di un calappio che le permetta di scatenare un conflitto utile per giungere fino a Teheran.

Tutto ciò mentre l’imbrunire, timidamente scolora nella notte, il cielo si tinge di catrame e nel caligare immanente anche la luce dei lampioni sembra farsi più fioca.
di Marco Cedolin

27 febbraio 2012

I Partiti politici: centri di impiego e manovalanza mafiosa




L’importanza dei partiti politici in Italia e nell’Europa occidentale rimane invariato negli anni: possono cambiare le attività principali ed i canali di potere, ma rimangono una delle ossature fondamentali su cui si regge il sistema (non a caso corrotto).
E non si cada nello stereotipo classico secondo cui i problemi dei partiti sarebbero gli sprechi legati al circo di personaggi che li animano, oppure la famosa casta. Chi mette sul piatto tali questioni cerca semplicemente di farci guardare al dito anziché alla luna: una riforma di non si capisce cosa e una gestione più parca dei finanziamenti non cambierebbe di una virgola i problemi che viviamo oggi. Anche perché, se messi a confronto con le reali misure economiche, stiamo parlando di spiccioli, di certo rappresentanti un malgoverno, ma pur sempre di lieve entità.
Quindi i partiti rimangono fondamentali, anche se non per quello che di solito vogliono raccontarci i vari “riformatori” del sistema. Non esistendo differenze di fondo fra i vari partiti sulle scelte di politica generale, di indirizzo e di lungo periodo non è nemmeno questo il ruolo che oggi ricoprono nella nostra società. Il sistema liberale liberista accomuna destra, centro e sinistra, così come le scelte che vengono messe in atto sono per tutti di breve periodo, interessate alla competizione elettorale e all’amministrazione quotidiana. I militanti di un partito -tolte le mode e le posizioni storiche prese più che altro per sentirsi parte di qualcosa, che non frutto di vere riflessioni- sono intercambiabili, figli di una stessa cultura.
Ma allora perché gli iscritti ai partiti (e ai sindacati) rimangono, pur calando la partecipazione elettorale, la stima, la fiducia verso questi gruppi? Perché nella realtà il ruolo dei partiti oggi è relativo alla sfera del clientelismo, o della “famiglia” se vogliamo usare uno stereotipo tutto italiano. Gli iscritti ai partiti, i partner dei partiti, i dirigenti pubblici legati ai partiti non sono altro che membri di una rete di contatti, una rete che pur avendo profondi legami con l’apparato pubblico e statale (dai governi alle amministrazioni locali) è parallela e contigua al potere privato dei partiti (fazioni di cittadini organizzati).
In una società in cui la sovranità del popolo e la democrazia sono criticate e messe in crisi, e lo dimostrano le parole di Monti (secondo il quale riuscirà a fare le “riforme” perché non è stato eletto e non si ripresenterà alle elezioni), oppure lo dimostra il caso greco (non importa la volontà popolare, le misure devono essere implementate e messe in atto proprio al sicuro da un’espressione contraria della popolazione greca che è l’oggetto di tali scelte), i partiti ritrovano la propria funzione come perno fra interessi privati e strutture pubbliche da sfruttare.
Possiamo vedere agevolmente questo quando parliamo di appalti o lavori da appaltare, in special modo locali: non c’è bisogno di citare casi più o meno famosi di cronaca per avere ben chiaro di cosa si parla, tutti noi ne abbiamo esperienza diretta. Il potere dei partiti risiede proprio nel riuscire a pilotare legalmente (perché la maggior parte delle volte è tutto fatto in maniera regolare, le illegalità sono una piccola parte e non sono il centro del problema) i responsabili, i bandi di gara, le regole e tutto l’humus intorno a tali attività.
Oppure tutti siamo a conoscenza del potere che i partiti hanno nel raccomandare e segnalare per posti di lavoro di vario genere, pubblici o privati: anche qui in maniera del tutto legale, fazioni organizzate riescono a scavalcare i cittadini italiani e, in una situazione occupazionale drammatica come quella che viviamo, diventano il centro di impiego più potente, efficiente e funzionale: per i clienti, i fedelissimi, i “picciotti” ovviamente, e questo si ripercuote su una società sempre più corrotta e corruttibile, ma sempre legalmente! Anche solo la speranza di una raccomandazione crea degli stolti indottrinati, militanti da oratorio fedelissimi alla parola del proprio capo, dal quale aspettano nient’altro che una raccomandazione. La morte dei sogni dei veri democratici, anche se dubitiamo ne siano mai esistiti. Non ci vengano a raccontare dell’importanza dell’impegno e della militanza: i più impegnati dentro ai vari partiti “democratici” sono nient’altro che paramafiosi, parassiti dello Stato, nocivi alla pubblica amministrazione ed alla cosa pubblica in generale.
La vera riforma da attuare è principalmente etica, morale e politica. Se un sistema democratico ha fallito, bisognerà trovarne un altro: il primo passo è liberarsi da chi questo sistema lo protegge ed esporta, ovviamente per i propri interessi. Il primo passo è liberarsi dalla Nato e acquisire sovranità, per poi porre in essere scelte diverse. Ma prima deve essere a tutti chiaro, che ogni militante, ogni quadro di partito è un mafioso, marionetta di chi ci affama.

di Matteo Guinness -

26 febbraio 2012

Helga Zepp-LaRouche: l'imperativo extraterrestre dell'uomo


Le soluzioni alla crisi ci sono e possono essere adottate in tempo, "ma ciò richiede un cambiamento drastico e fondamentale dell'ordine finanziario globale, ed un cambiamento altrettanto drammatico nel pensiero di gran parte della popolazione", ha dichiarato Helga Zepp-LaRouche in una teleconferenza (webcast) internazionale l'11 febbraio.

Le due crisi immediate che ci troviamo ad affrontare sono "il crollo del sistema finanziario transatlantico, che sta già portando al collasso e alla rottura del sistema dell'euro, come possiamo chiaramente vedere nel caso della Grecia. In secondo luogo, c'è il pericolo immediato di una guerra termonucleare, scatenata dalle vicende attorno alla Siria e all'Iran, che fanno parte di una strategia per un cambiamento di regime o la disintegrazione di Russia e Cina", ha dichiarato la presidentessa dello Schiller Institute.

Il nome della partita è "impero", o più precisamente, l'Impero Britannico. Molti diranno che l'"Impero Britannico" ha cessato di esistere molto tempo fa, ha osservato Zepp-LaRouche, ma con questo nome si intende oggi "il sistema complesso di banche centrali, banche d'affari, hedge funds, fondi di private equity, compagnie assicurative, il sistema bancario ombra… questo sistema bancario è responsabile della svolta paradigmatica degli ultimi 45 anni, che ha portato all'abbandono della produzione di beni fisici, la cosiddetta economia reale, e sempre più all'espandersi della speculazione e dell'idea della massimizzazione del profitto, del monetarismo puro". Ora questo sistema è irrimediabilmente in bancarotta.

Zepp-LaRouche ha dettagliato come dal crollo dell'Unione Sovietica, seguito da Desert Storm in Iraq, le potenze occidentali abbiano adottato sempre più la politica del cambiamento di regime, abbandonando i concetti fondamentali del diritto internazionale e della sovranità nazionale. Ora, dopo la Libia, la Siria e l'Iran sono i prossimi obiettivi. La guerra segreta va avanti già da molto tempo, armando e addestrando le cosiddette opposizioni in entrambi i paesi, e istigando alla violenza.

Oggi, ha proseguito Zepp-LaRouche, la potenza di fuoco concentrata in Medio Oriente "è assolutamente sproporzionata al presunto motivo, e cioè aiutare i ribelli in Siria, o dissuadere l'Iran da un riarmo nucleare”. Ciò rende un'escalation verso la guerra nucleare un pericolo serio, e inevitabile se si giunge ad un attacco, magari per errore di calcolo".

La politica dell'Impero, ha notato la signora LaRouche, è anche determinata dall'impegno fondamentale dell'oligarchia a "selezionare" la popolazione. Lo stesso Principe Filippo di Edimburgo ha fatto della riduzione demografica il suo cavallo di battaglia.

Il modello oligarchico, ha detto Zepp-LaRouche, è associato non solo col monetarismo, ma anche con l'ambientalismo. Entrambi sono espressioni di un mondo fisso, con una quantità limitata di risorse, in cui si intende perseguire uno stato di equilibrio.

Al contrario, "l'universo è creativo" e anti-entropico, e la missione della specie umana è il suo sviluppo ulteriore. Ciò richiede di obbedire all'"imperativo extraterrestre" colonizzando lo spazio e approfondendo la conoscenza dell'universo fisico.

by(MoviSol)

25 febbraio 2012

La missione antinazionale di Monti, l’amerikano




Ad evidenziare il fallimento della missione di Mario Monti negli Stati Uniti, strombazzata al contrario dai media di regime come un “grande successo”, basterebbe un solo dato, il declassamento operato da Standard & Poor’s di ben 34 banche italiane. Tra queste troviamo il gotha del nostro sistema finanziario: Unicredit, Mediobanca, Intesa Sanpaolo, Ubi Banca e BNL e il taglio del loro rating deciso dall’agenzia statunitense non fa altro che agevolarne una possibile svendita a prezzi stracciati (immaginiamo già ora chi potrebbero essere gli acquirenti, altro che conflitto d’interesse di Berlusconi …).
A questi danni, solo apparentemente virtuali, vanno aggiunti quelli già evidenti nell’economia reale: le spese militari per la conferma dei 4.000 soldati italiani in Afghanistan mentre i francesi si ritirano e gli USA riducono le loro forze, l’acquisto dei costosi e inutili aerei F35 dagli Stati Uniti mentre il Pentagono annuncia la disdetta delle commesse già accordate alle produzioni aeronautiche italiane, il deficit della nostra bilancia energetica a causa delle sanzioni all’Iran imposte da Obama e la perdita di posti di lavoro per le aziende nazionali che lavorano con la Siria assediata dagli atlantici.
La sudditanza di Roma a Washington con l’attuale Governo è allora più evidente che mai ma il prezzo da pagare è sempre più salato.
Sorvolando per ora sulle penose dichiarazioni di Monti, che nelle ultime settimane si è lasciato andare a previsioni che risulterebbero ridicole anche se enunciate da uno studente di economia del primo anno (1), conviene intanto soffermarsi sui reali scopi strategici della sua visita negli States.
Barack Obama lo ha convocato per indurre a più miti consigli la Germania, troppo rigida nel fissare i paletti che salverebbero l’euro e troppo indipendente nell’agevolare le sue esportazioni, mentre il mercato globale andrebbe riaperto ai prodotti “Made in USA” che attualmente risentono delle angustie del mercato interno. Convincerlo ad ammorbidire la linea di austerità voluta da Angela Merkel per evitare altri fallimenti come quello greco (la cui responsabilità ricade in buona parte proprio sulla banca statunitense Goldman Sachs), è quindi l’unica ragione degli elogi rivolti dal Presidente USA a Mario Monti.
Quanto questa operazione coincida davvero con gli interessi economici italiani, che sono anzitutto gli stessi dell’Europa, rimane tutto da dimostrare.

di Steve Brady

24 febbraio 2012

Mobilitiamoci, il pericolo è estremo



Dopo matura riflessione, invito i lettori ad aderire all’appello riportato qui:

L’Italia non deve aderire all'ESM. Ecco la mozione.

Scrivete in massa ai politici, parlamentari, ministri, eurodeputati, giornali, opinion makers in genere: è l’ultima possibilità di impedire la perdita definitiva e permanente della sovranità, o di quel che ne resta. Cancellata quella, finisce anche la libertà, una conquista che è costata secoli di lotte e sangue, e che i nostri figli e nipoti dovranno riconquistare con altre lacrime e sangue.

La mozione da inviare ai politici è già nel sito palermitano (grazie per una volta, siciliani!), e basta scaricarlo. I dettagli del pericolo estremo li spiega molto bene la giovane economista Lidia Undiemi (che non conosco di persona) nel video; chi ha tempo, legga il materiale in pdf.

Mi limito ad un sunto: i poteri finanziari stanno creando una entità finanziaria sovrannazionale sovraordinata non solo agli Stati, ma persino all’Unione Europea e financo alla Banca Centrale (BCE), che diverrebbe un’ausiliaria di questo «super-governo» di una qualità inaudita. Si tratta di un «governo dei creditori» contro gli Stati debitori che imporrà «rigori e austerità» per assicurarci che continuiamo a servire il debito.

Nella neolingua anodina, questa entità è denominata «Meccanismo Europeo di Stabilità» (ESM), e nel linguaggio demagogico del professor Monti, «Fondo Salva-Stati» (1).

Il suo vero nome è «Fondo Ammazza-Stati». Come dice benissimo la Undiemi, a questa entità gli Stati (sono 17, fra cui l’Italia) parteciperanno non come sovrani, ma «in qualità di soci e debitori»; e in qualità di debitori Italia, Spagna, Portogallo, Irlanda riceveranno istruzioni su quali tagli, austerità e rigori applicare ai loro cittadini (sudditi) «al fine di ottenere la liquidità necessaria per evitare il default» (un default che sarebbe saggio fare subito)...

Nell’ultimo «accordo», gli europei-creditori hanno imposto alla Grecia di inserire nella sua Costituzione una norma che dà assoluta priorità al pagamento del debito su ogni altro tipo di spesa pubblica: sanità, istruzione, pensioni comprese.

Il destino che hanno riservato alla Grecia, commissariata dalla Troika, diventerà il nostro. Lo ESM avrà il potere di svuotare le casse degli Stati senza che governi, parlamenti e cittadini possano opporsi. Per sostenere un euro agonizzante e un sistema bancario che merita di subire le conseguenze del crack mondiale che ha provocato, comincia il saccheggio senza limiti e senza controllo democratico.

Questo farà anche a noi lo ESM. Una dittatura dell’Usura sui popoli europei.

Una dittatura permanente. Perchè, contrariamente al Meccanismo Europeo di Stabilizzazione Finanziaria che già esiste, e spirerà nel 2013, questo ESM viene dotato di poteri vastissimi; che potrà esercitare per sempre.

Dotata della più totale impunità. Perché «nel trattato fondativo, si dichiara che lESM, il suo personale, i suoi dirigenti e i suoi beni, ‘godono dellimmunità da ogni forma di giurisdizione’», ossia nessuna magistratura potrà mai chiamarli in giudizio, qualunque magistratura europea. Anche la documentazione che l’ente produce durante le sue manipolazioni e i suoi affari, «non può essere oggetto di perquisizione, sequestro, confisca (...) derivanti da azioni esecutive, giudiziarie, amministrative e normative». Il segreto più assoluto coprirà i suoi atti.

Un simile livello di immunità supra legem, erano un tempo prerogative dei sovrani per diritto divino. Un tempo che si credeva del tutto passato. Invece, adesso le oligarchie ci restituiscono un monarca, il Re Usura.

Anzi, è peggio. Perchè lo ESM non è una pubblica istituzione di qualche genere. È un ente privatistico che «opera come un qualsiasi istituto finanziario, eroga prestiti, si rivolge ai mercati finanziari» per raccolta di fondi, «ed ha come scopo il profitto». In pratica, funzionerà come una banca. Nonostante ciò, godrà di totale esenzione fiscale sui suoi profitti. Ed avrà poteri totali sugli Stati indebitati.

E perchè mai un ente a scopo di lucro dovrebbe essere così totalmente insindacabile e superiore alle leggi di ogni Stato? Fino al punto di godere di totale esenzione fiscale? Soprattutto, perchè vuol essere dichiarato immune da ogni indagine giudiziaria in via preliminare? Evidentemente, ha in progetto di commettere azioni, che secondo i diritti vigenti in Europa, sono criminali.

Probabilmente, ipotizza la Undiemi, si prepara così a svendere senza aste e concorsi i beni degli Stati e dei privati, con sequestri e pignoramenti e grandi «privatizzazioni», per darli agli amici suoi. Violerà i diritti di proprietà, o anche peggio..

Si sta realizzando quel mostro finanziario anticristico che potrà obbligare «tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi, a farsi mettere un marchio sulla mano destra o sulla fronte. E nessuno poteva comprare o vendere se non portava il marchio, cioè il nome della bestia» secondo Apocalisse 13:16-18.

Solo un ultimo ostacolo trattiene ancora questa Bestia: il trattato ESM, per entrare in vigore, deve essere ratificato dai parlamenti nazionali. Quello italiano non lo ha ancora ratificato.

Non c’è dubbio che, se noi elettori non gli facciamo paura, ratificherà anche quest’ultimo tradimento. Il Parlamento attuale non ci ha risparmiato alcuno spettacolo della sua vergognosa bassezza, nessuno scandalo, nessuna esibizione di ladrocinio e di viziostà, di avidità e disonestà. È la propaggine residuale di una classe politica che ci ha portato a questa condizione di schiavi passo passo: aumentando il debito pubblico a livelli abnormi per ingrassare clientele; ratificando tutte le direttive eurocratiche che ci hanno privato della sovranità – la sovranità che gli avevamo delegato perchè la difendessero; abolendo anche da noi le norme che vietavano la commistione fra attività bancaria creditizia e speculativa; non opponendosi ad una globalizzazione che oggi mostra la sua faccoia devastatrice; è la classe che ci ha fatto entrare nell’euro al solo scopo di continuare ad indebitarsi, approfittando dei tassi d’interesse più miti. Tutte le volte avrebbe potuto dire un «no», opporsi, rallentare il processo; non l’ha mai fatto. Ed ora, dopo il disastro provocato, di fronte agli interessi aggravati (lo spread), questa classe politica ha auto-certificato la propria indegnità e incapacità, cedendo il governo a «tecnici», a cui per giunta presta la foglia di fico democratica, sostenendo questo governo nominato dalle oligarchie e dai tedeschi, con il voto parlamentare. Una maggioranza parlamentare mai vista, e concordemente bipartisan.

Questa classe politica si adatta benissimo la sua nuova, vergognosa condizione di traditrice della nazione; la perdita della sovranità non la angoscia; conta di sopravvivere coi suoi emolumenti e prebende appunto nella nuova veste di votatrice automatica dei salassi e dei saccheggi che Monti esegue su ordine del supergoverno anonimo e pignoratore che si chiamerà ESM.

Proprio in queste settimane, la cricca parlamentare sta accordandosi dietro le quinte per confezionare una legge elettorale proporzionale, il cui solo scopo è di garantire a se stessa di sopravvivere alla propria inutilità certificata, di continuare ad esistere e a ricevere le prebende a dispetto della fine della democrazia e della sovranità popolare.

Dovrà solo votare per qualcosa che si avrà cura di nascondere all’opinione pubblica sotto il gergo anodino della flaccida dittatura eurocratica: «Modifica dell’articolo 136 del Trattato sul Funzionamento della UE». E la Bestia si leverà torreggiante su di noi.

Bisogna far paura a questi servi. Avvertirli che nessuno di loro – nessuno di coloro che oggi occupano un seggio nelle due Camere – sarà mai più votato. Bisogna scrivere ai giornali, esigere che rompano il loro complice silenzio sulla reale natura dello ESM.

Naturalmente, tutti i complici e i disonesti saranno lì a giustificare la cessione di sovranità invocando la «situazione obbiettiva» di enormi debitori che devono elemosinare il denaro ai «mercati»; implicheranno che la sovranità è un lusso che non possiamo più permetterci – come il posto fisso, salari decenti e assistenza sanitaria. Invocheranno la «forza maggiore».

Tutte balle. Recentemente, in una conferenza a Roma, m’è capitato di rievocare un caso (l’unico) in cui la sovranità italiana fu vittoriosamente difesa a dispetto di una «situazione obbiettiva» infinitamente più tragica dell’attuale, una economia bombardata, una penuria di mezzi che riduceva le capacità di reazione quasi a nulla, e la pesante tutela di una potenza europea rigida e spietata che ci stava sul collo. È un esempio estremo, politicamente scorretto, impronunciabile: la Repubblica Sociale Italiana.

Certo non era facile affermare la sovranità diuna repubblica creata dal nulla dai tedeschi, bisognosa del loro appoggio, nella condizione della disfatta, in un piccolo territorio di un Paese già largamente occupato (liberato) dagli Alleati, e per di più travagliato dalla guerra civile. Che potevano fare i ministri di quella repubblica prossima a sparire nel sangue (durò infatti venti mesi), se non adeguarsi alla condizione di Stato-fantoccio del tedesco, e pensare intanto a salvare la pelle propria, il proprio futuro, a mettere in salvo le famiglie?

Ebbene, non andò così. Un mese dopo la sua nomina, il ministro delle Finanze di quello Stato evanescente come il fumo, Domenico Pellegrini Giampietro (un napoletano), ingiunse ai tedeschi di ritirare immediatamente dalla circolazione i «marchi d’occupazione» (Reichskreidit Kassenscheine) con cui le truppe germaniche, ogni volta che entravano in una bottega a comprare le poche merci esistenti, commettevano di fatto un esproprio senza indennizzo (nel Meridione liberato, gli americani continuarono per anni a inondare il Paese della loro moneta d’occupazione, le AM-lire).

Ma la RSI non era più territorio occupato, era un alleato: dunque le truppe germaniche favorissero adempiere ad ogni pagamento esclusivamente in lire italiane. E di cessare requisizioni e prelievi di fondi dalle nostre banche. Anzi, visto che c’erano lavoratori italiani nel Terzo Reich, Pellegrini Giampietro pretese ed ottenne il trasferimento in Italia dei loro risparmi. Frattanto, impedì il trasferimento del Poligrafico di Stato a Vienna; fece restituire buona parte dell’oro che la Wehrmacht aveva sottratto alla Banca d’Italia, e mise al sicuro le sue riserve d’oro e valute a Fortezza, dove gli americani le trovarono intatte nel ‘45 (2).

Nello stesso tempo – e nonostante la repubblica dovesse versare ai tedeschi ogni mese 7 miliardi di lire come «contributo per le spese militari, fortificazioni, riattazione delle vie di comunicazione» –, il ministro riuscì a mantenere il potere d’acquisto della lira, anche con un ferreo controllo sui prezzi. Chi ha vissuto quei tempi al Nord, li ha ricordati, non senza motivo, come tempi di paura e di tessere alimentari da fame: ma i dati dicono che al Nord, nel periodo, gli alimentari rincararono del 50%, mentre nel Meridione liberato, del 400%. E la repubblica di Salò riuscì ad aumentare la razione di pane nei mesi invernali. La stampa di carta moneta fu oculatamente controllata: dei 137,8 miliardi autorizzati, ne stampò 110,9. Il Nord dunque non conobbe l’inflazione galoppante del Sud, dove infuriava inoltre il colossale mercato nero (alimentato dai surplus americani), la prostituzione per scatolette, sigarette e calze di nylon, la criminalità impunita e la fame – talchè si può dire che il collasso morale di Napoli, divenuta capitale del malaffare, risalga a quella «liberazione».

Con un introito fiscale devastato dalle distruzioni e dalla povertà (ma nei primi mesi del ‘45 Pellegrini Giampietro era riuscito ad aumentare il gettito a 2 miliardi al mese), ebbe perfino la capacità di restituire il valore di parità ai titoli di Stato (che dopo l’8 settembre erano crollati al 30% del loro valore facciale). Come fece? Personalmente non so. Ma forse una cattedra alla Bocconi, tralasciando lo studio delle meraviglie speculative di Wall Street e della City, potrebbe dedicare un «master in political economy» per capire i segreti della finanza pubblica in condizioni finanziarie ed economiche disperate, la scienza in cui Pellegrini Giampietro si rivelò maestro.

Il materiale documentale c’è: il ministro repubblichino riuscì a pubblicare, per l’esercizio finanziario, 1944-45, regolari bilanci di previsione e consuntivi, regolarmente pubblicati dalla Gazzetta Ufficiale. Vi si può constatare che le entrate dello stato di Salò (386,8 miliardi) superarono le uscite (359,6), configurando dunque un attivo di bilancio di quasi 21 miliardi. Sarebbe istruttivo apprendere come ci riuscì.

La cosa stupì anche gli americani. Il senatore Victor Wickersham, venuto a visitare le macerie d’Europa, dichiarò nell’agosto del ‘45: «La situazione economica dellItalia settentrionale (quella su cui aveva governato la RSI) è molto migliore non solo rispetto alle altre regioni dellItalia meridionale e centrale (quella occupata da loro), ma anche in confronto ad altri Paesi europei in precedenza visitati dalla Commissione di controllo... Germania, Olanda, Norvegia, Belgio e certe zone della Francia». (Il Popolo, 25 agosto 1948) (3).

E non si creda che l’affermazione della sovranità in qualche modo venisse da sè, fosse accettata con legalistico scrupolo dai tedeschi. No, ogni vittoria fu strappata dal piccolo (di statura) Pellegrini Giampietro in aspri confronti con l’ambasciatore Rahn, che si sentiva ovviamente il governatore della colonia, e finì per aver quasi paura di quel «neapolitaner» che si opponeva punto per punto con incredibile competenza e oratoria, che per ogni «contributo» che gli dava, li obbligava a firmare protocolli in cui si riaffermava la sovranità monetaria dello Stato, che i tedeschi dovevano riconoscere, quindi, nero su bianco. I tedeschi provavano continuamente a smantellare le industrie esistenti e trasferirle in Germania, a mettere le mani sull’oro pubblico, i comandi della Wehrmacht facevano requisizioni, sentendosi in diritto dato il «tradimento» di questo popolo di traditori. Si doveva ad ogni istante, con tutte le forze ed anche senza aver forze reali, lottare contro il disprezzo che trasudava da ogni azione e parola dell’«alleato», ahimè giustificato. No, non fu certo facile. Pellegrini era in qualche modo un tecnico, ma lo sosteneva qualcosa d’altro: coraggio personale e amor di Patria (4), entrambi inflessibili.

Due cose che la Bocconi non insegna. Due cose che i politici non hanno mai considerato necessarie ai loro successi. Per gente così, esiste sempre la «forza maggiore».




1
) Occorre constatare che persino in demagogia il professor Monti supera di gran lunga il Berlusconi. Tronca le pensioni e aggrava le tasse, e chiama il decreto «Salva-Italia». Non fa nulla per stroncare i parassitismi, se non un tentativo di disciplinare i tassisti, e chiama questo nulla «liberalizzazioni», anzi «Cresci-Italia». Quando impapocchia le sue «riforme», e le sue «liberalizzazioni», Monti e il suo governo tecnico stanno attentissimi a non toccare, nemmeno sfiorare, i gangli maggiori dei parassiti pubblici, vera causa del debito. Per esempio, si veda la furbesca «lotta» ingaggiata coi sindacati per l’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Ciò che rende illicenziabili i fannulloni, gli assenteisti cronici e i ladri in azienda, non è in sè l’articolo 18: è il modo in cui lo interpreta la magistratura del lavoro, che continua a fare la Rivoluzione e la Lotta di Classe dai palazzi di giustizia, imponendo il reintegro dei suddetti ladri, assenteisti e fancazzisti. È quella che andrebbe abolita. Monti lo sa benissimo.
2) Intanto il ministro dell’Economia Corporativa, Angelo Tarchi, sventava i ripetuti tentativi dei tedeschi di trasferire gli impianti industriali del Nord nel Reich, con la plausibile scusa che qui erano esposti ai bombardamenti. Già ANIC e Montecatini ed altre erano state trasferite. Il ministro Tarchi riuscì a far firmare ai tedeschi un accordo in cui questi garantivano la restituzione degli impianti il loro ripristino, la sostituzione (se necessario) con complessi di uguale potenzialità e caratteristiche nell’ipotesi di distruzione, con spese totali a carico del Reich, oltre alla restituzione di materie prime asportate, prodotti semilavorati e la fideiussione della Deutsche Bank secondo le norme previste dalle convenzioni (...). Sulla base di tale accordo, il governo della RSI emanava in data 31 maggio 1944 un documento (numero 340) che sanciva la competenza italiana in materia di politica industriale con valutazione degli impianti produttivi, per quanto atteneva alla loro capacità industriale, sulle materie prime, per la loro entità e quantità, sull’utilizzazione degli impianti in relazione alle commesse belliche, per le necessità civili, l’impiego della mano d’opera e le controversie relative in materia di tutela e decentramento degli impianti nel nord Italia (http://www.italia-rsi.org/uomini/giampietropellegrini.htm).
3) Dopo la «liberazione», il governo italiano antifascista (Bonomi) nviò nel Nord il ministro del Tesoro Marcello Soleri a constatare quel che aveva lasciato il collasso della Repubblica Sociale.
Soleri riconobbe: «L'importo della circolazione monetaria durante la RSI, è risultato notevolmente inferiore all’andamento previsto, poiché il governo repubblicano ha fatto più largo ricorso al debito fluttuante (...). Sono stati stampati e messi in circolazione soltanto lire 110.881.000.000 sul totale di lire 137.840.000.000 autorizzate. Tutto ciò è abbastanza confortante (...). Tali situazioni economiche-fìnanziarie, malgrado il protrarsi dell’occupazione tedesca, sono risultate meno disa-strose di quanto si temeva, cosicché gli oneri previsti per la ricostruzione, rimarranno limitati in misura inferiore a quanto previsto e la ripresa della produzione industriale dell’Alta Italia potrà essere rapida...» (confronta Il Globo numero 104 del 6 giugno 1945).
4) Il patriottismo di Pellegrini Giampietro fu riconosciuto da un testimone sorprendente: la Corte di Cassazione dell’Italia antifascista, che ovviamente processò il ministro di Salò con l’accusa di collaborazionismo. La Corte lo definì un «protagonista della difesa del tesoro nazionale», riconobbe che la sua opera aveva impedito che il Nord-Ialia «divenisse completa preda dei tedeschi», e concluse nella motivazione della sentenza di assoluzione: «La sua opera fu ispirata ad amor patrio, non già ad asservimento al nemico, tanto più meritevole in quanto svolta fra pericoli d’ogni genere». Nonostante l’assoluzione, Pellegrini Giampietro andò in esilio, prima in Brasile, poi in Argentina e Uruguay, dove fondò banche e diresse giornali, e dove la morte lo prese il 18 giugno 1970. Era nato nel 1899, adolescente aveva combattuto volontario nella Grande Guerra (era un «ragazzo del ‘99»), e poi nella guerra di Spagna.
di
Maurizio Blondet

23 febbraio 2012

Il Dollaro e gli Stati Uniti d’America sull’orlo del baratro

dollaro collasso_20120220

Nell’ultima settimana o giù di lì, ho notato una insolita quantità di articoli molto ben scritti e densi di dettagli che mettono in guardia su una triste sorte e su un orrore finanziario incombente. Questi articoli non sono scritti da un branco di arrabbiati blogger ignoranti, ma da gestori di fondi, investitori ed editorialisti finanziari. Sono tutte persone che avevano visto giusto che stava maturando il crollo del 2008, e la mia scommessa è che lo sono di nuovo. Dopo il crollo del 2008, i media del sistema delle comunicazioni di massa (MSM) ci avevano raccontato: “Nessuno aveva previsto ciò che stava per arrivare”, che è una menzogna sfacciata che non funzionerà più.

Jim Quinn di “TheBurningPlatform.com” scriveva un profluvio di documenti su realtà preoccupanti, che non sentirete mai sul MSM.
Quinn espone la tesi di una rovina in arrivo con statistiche, grafici e logica tagliente come un rasoio in un post dal titolo “Illusion of Recovery–Feelings vs. Facts - Illusione di una ripresa – Emozioni vs fatti.”

Questa la sua sintesi:

Non c’è modo di evitare il collasso finale di un boom creato esclusivamente dall’espansione del credito. Coloro che sono al potere non potranno mai rinunciare volontariamente al loro grande gioco del saccheggio della ricchezza della nazione, e così il risultato finale sarà il collasso economico. Costoro continueranno ad utilizzare la propaganda, le rotative e le mezze verità per portare avanti i loro programmi. Ma chi esamina i fatti arriverà alla conclusione logica che ci stanno vendendo un grande menzogna.

(Qui si può leggere il documento di Jim Quinn, abbastanza lungo ma decisamente valido)

Altri titoli di testa recitano “Molti di noi non vedranno mai l’arrivo di giorni felici.”

Gli articoli riportano una molteplicità di dati statistici che dimostrano il fallimento degli Stati Uniti d’America. Lo sapevate che “il 49 per cento di tutti gli Statunitensi vive in una casa che ottiene dirette provvidenze monetarie da parte del governo federale”?

(Qui si legge su questo argomento)

Che ne dite di questo piccolo post intitolato “Perché, per la maggior parte degli investitori, i concetti di fallimento di sistema o andare a fondo stanno sullo stesso piano di elementi della fantasia come Piedone e gli Unicorni?”

Il gestore finanziario Graham Summers cita due fatti sgradevolmente mostruosi:

1) le banche commerciali statunitensi attualmente sono al vertice della classifica per la detenzione di derivati pari a 248 MILIARDI di dollari.

2) la Federal Reserve sta comprando il 91% di tutta la nuova emissione del debito a lungo termine degli Stati Uniti (allo stesso tempo la Cina e la Russia stanno liberandosi delle obbligazioni usamericane).

(Qui si legge per approfondimenti su questo argomento)

Esempi di altri titoli:

A Financial Crisis in 2012 is Inevitable! Here’s Why
(È inevitabile una crisi finanziaria nel 2012! Ecco qui il perché)

Government Is Dead Man Walking-The Fiscal Situation Is Much Worse Than Most People Realize
(Il governo è un uomo morto che cammina – La situazione finanziaria è peggiore di quello che la gente può immaginare)

The Financial Crisis Of 2008 Was Just A Warm Up Act For The Economic Horror Show That Is Coming
(La crisi finanziaria del 2008 è stata solo un’azione di riscaldamento per lo spettacolo dell’orrore economico che sta per cominciare)

Tutti questi articoli sono stati scritti nell’ultima settimana o giù di lì, e tutti danno corpo a valide analisi. Ce ne sono stati molti di più, che però ho escluso per ragioni di brevità. Tenete ben presente, questi documenti trattano solo di argomenti e dei fondamentali dell’economia. La guerra in Medio Oriente non è menzionata in nessun articolo.

Se andiamo a considerare le ostilità che coinvolgono la Siria, l’Iran, Israele, la Cina, la Russia e gli Stati Uniti, si inorridisce al solo pensiero!
La guerra porterebbe al collasso, al caos, e al disastro finanziario in tempo molto breve. Oh, sicuro, per buona misura mettiamo nella mistura anche la crisi del debito europeo!

L’esperto finanziario e operatore di borsa a Wall Street James Rickards pensa che lo scenario più probabile che andrà a presentarsi sarà il “caos” che deriverà dal crollo del dollaro USA. In un’intervista di questa settimana, Rickards ha dichiarato:

Siamo ancora in tempo per tirarci indietro dal baratro, ma questo richiede specifiche prese di posizioni politiche: smembrare le grandi banche, mettere al bando i derivati, alzare i tassi di interesse per rendere gli Stati Uniti un magnete per i capitali, tagliare la spesa pubblica, eliminare i guadagni in conto capitale (dovuti alla differenza tra il prezzo di vendita e quello di acquisto di uno strumento finanziario, ad esempio azioni) e le tasse sui redditi da impresa, appiattire le imposte personali sui redditi, e ridurre la regolamentazione a carico delle imprese sulla creazione di posti di lavoro. Tuttavia, sembra remota la probabilità che queste politiche vengano messe in atto - così lo scenario del collasso del dollaro deve essere preso in considerazione.

Rickards pensa che le cose andranno così male che il governo degli Stati Uniti “ricorrerà a poteri straordinari in una fase di emergenza economica.” Che cosa vuol dire tutto questo? Rickards continua:

Pochi Statunitensi sono al corrente e sono consapevoli dell’International Emergency Economic Powers Act (IEEPA) ... una serie di norme che assegna poteri dittatoriali al presidente degli Stati Uniti, di congelare i conti correnti, il sequestro dei beni, di nazionalizzare le banche, e adottare altre misure radicali per combattere il collasso economico, in nome della sicurezza nazionale.
Alla luce di questi poteri, si potrebbe considerare una serie di azioni, tra cui il sequestro di 6.000 tonnellate di oro straniero conservate presso la Federal Reserve Bank di New York che, se combinate con il tesoro già depositato a Washington di 8.000 tonnellate, permetterebbe agli Stati Uniti di diventare una superpotenza aurea in grado di dettare la forma del sistema monetario internazionale per il futuro, come hanno fatto a Bretton Woods nel 1944.

(Qui si legge l'intervista completa di Richards)

Il crollo finanziario è già in corso, non importa che il sistema delle comunicazioni metta in giro buone novelle. I prezzi degli immobili continuano a scendere, nonostante che il tasso dei mutui trentennali sia pari o inferiore al 4%. Per altri milioni di case sarà precluso il riscatto nei prossimi anni.
Il tasso di disoccupazione reale e di sottoccupazione arriva al 22,5%, e ci sono poche speranze di trasformare le cose in fretta , con il sistema industriale manifatturiero statunitense smantellato e trasferito alla Cina.
Una cifra record di 46 milioni di persone utilizza buoni pasto. Almeno il 90% di tutte le ipoteche sono supplite dal governo.
La Federal Reserve sta mantenendo un tasso di interesse allo 0% fino al 2014, e sta dando inizio ad un nuovo ciclo di stampaggio di moneta. (QE) (1)

Sulla scia della crisi del 2008, la Federal Reserve ha immesso 16,100 trilioni di dollari per salvare banche e aziende in tutto il mondo. Non sono stati soldi sufficienti perché, oggi, ci troviamo ad affrontare un altro disastro finanziario ancora più grande.
Le vendite di veicoli sono state sostenute con un nuovo ciclo di finanziamenti subprime. (2)

Il debito degli Stati Uniti rispetto al PIL è pari al 100% o superiore, e un altro aumento del tetto massimo del debito sarà probabilmente inevitabile prima delle elezioni di novembre.
È permesso alle banche utilizzare le frodi contabili del governo, che le fanno sembrare solventi.
La maggior parte degli Stati usamericani non sono solo completamente al verde, ma affondano in debiti enormi. I banchieri che hanno creato questi pasticci per trilioni di dollari di imbrogli non vengono perseguiti per paura di accelerare il collasso in moto.
I prezzi dei carburanti e alimentari sono in aumento, e l’inflazione sta correndo all’11% (se venisse calcolata secondo le valutazioni del governo nel 1980).

Mentre il dollaro è deprezzato, l’inflazione lo inchioderà. Questi sono solo alcuni segnali di una tragedia in atto. Il problema più grande che gli Stati Uniti hanno è il loro schiacciante debito che non potranno mai ripagare. Sono stati stampati tanti dollari per darli in prestito a sostegno delle banche e dell’economia. Non si può combattere una crisi del debito con infiniti salvataggi e creazione di moneta. È come combattere il fuoco con la benzina.

Un cambiamento monumentale sta arrivando e, per la maggior parte degli Usamericani, sarà doloroso, soprattutto per gli impreparati!

N.d.T.:

(1) QE, Quantitative Easing, vale a dire un alleggerimento quantitativo, che indica una delle modalità con cui avviene la creazione di moneta da parte della Banca Centrale, e la sua iniezione nel sistema finanziario ed economico con operazioni di mercato aperto.
Nel caso di QE, la Federal Reserve acquista, per una predeterminata e annunciata quantità di denaro, attività finanziarie dalle banche (azioni o titoli anche tossici), con effetti positivi sulla struttura di bilancio di queste ultime. La Banca Centrale può ricorrere al quantitative easing per il salvataggio di un istituto di credito, per eliminare dal mercato e dai bilanci delle banche i titoli tossici con elevati gradi di rischio o con bassa remunerazione, per fornire liquidità al sistema, quando le banche non si prestano denaro e le famiglie e imprese subiscono una stretta creditizia. Fornire liquidità alle banche, non significa fornirla al sistema economico (imprese, famiglie, ecc...) in quanto le banche potrebbero non utilizzare la liquidità, ma depositarla presso la Banca centrale stessa, e avere un tasso di interesse molto poco remunerativo, ma privo di rischi.

(2) Nel contesto finanziario degli Stati Uniti, questi prestiti “subprime” vengono concessi a soggetti che non possono accedere ai tassi di interesse di mercato, in quanto hanno avuto problemi pregressi nella loro storia di debitori. Questi prestiti sono rischiosi sia per i creditori sia per i debitori, vista la pericolosa combinazione di alti tassi di interesse, cattiva storia creditizia del debitore e situazioni finanziarie poco chiare, o difficilmente documentabili, associate a coloro che hanno accesso a questo tipo di credito. Una qualsiasi attività subprime (finanziamento, mutuo, carta di credito, ecc.) si qualifica prevalentemente per lo stato della parte debitrice. Un mutuo subprime è, per definizione, un mutuo concesso ad un soggetto che non poteva avere accesso ad un tasso più favorevole nel mercato del credito. I debitori subprime hanno vissuto storie creditizie fatte di inadempienze, pignoramenti, fallimenti e ritardi di pagamento. Poiché i debitori subprime vengono considerati ad alto rischio di insolvenza, i prestiti subprime hanno tipicamente condizioni meno favorevoli delle altre tipologie di credito. Queste condizioni includono tassi di interesse, parcelle e premi più elevati.

Traduzione di Curzio Bettio per www.tlaxcala-int.org.

Fonte: http://www.tlaxcala-int.org/article.asp?reference=6852

22 febbraio 2012

Mosca e la formazione del Nuovo Sistema Mondiale





Imad Fawzi Shueibi esamina le ragioni e le conseguenze della recente posizione presa dalla Russia al Consiglio di Sicurezza. L’appoggio di Mosca alla Siria non è una posa ma il risultato di un’analisi approfondita dei mutevoli equilibri dei potere globali. La crisi in corso darà vita ad una nuova configurazione mondiale che dal modello unipolare, ereditato dopo il crollo dell’URSS, si evolverà gradualmente verso un sistema multipolare. Inevitabilmente, questa transizione coinvolgerà il mondo in un periodo di turbolenza geopolitica le cui ripercussioni vengono vagliate dall’autore.

1-3321-c1232Alcuni scommettono che, come d’abitudine, avverrà un cambiamento nella posizione russa verso la regione araba, simile a quello che avvenne nel caso iracheno e in quello libico. Tuttavia, quest’ipotesi può essere esclusa da una profonda analisi della posizione russa, per le considerazioni che seguono. Sembra che la regressione russa non sia possibile nel mondo d’oggi, dato che Mosca vede negli attuali eventi, e nel confronto con l’Occidente, ossia con gli europei e gli statunitensi, un’opportunità per formare un nuovo ordine mondiale, che superi quello che ha prevalso nel periodo post-Guerra Fredda e dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Quest’ultimo, rappresentato dall’unipolarismo, ha si è spostato verso il non-polarismo dopo la guerra in Libano del 2006.

Vladimir Putin ha espresso quest’idea in un messaggio del 14 gennaio 2012, nel quale ha annunciato che stiamo assistendo alla formazione d’un nuovo ordine, diverso dall’unipolarismo. Ciò significa che Mosca andrà fino in fondo negli sforzi per impedire che tale processo sia scavalcato: anche fino ad un conflitto. La dichiarazione del Ministero degli Esteri russo, secondo cui l’Occidente commetterebbe un grave errore se attaccasse l’Iran (seguita da quella di Putin per cui, se l’Occidente tentasse azioni unilaterali, la Russia non rimarrebbe inerte ma reagirebbe con forza), non è altro che un ultimatum. Mosca, infatti, non accetterà nessun accordo, tipo quelli presi a proposito dell’Iraq o della Libia. Oggi tutto tende a un nuovo ordine mondiale, che accompagna il ritiro strategico americano dall’Iraq: il presidente Barack Obama ha annunciato la diminuzione delle forze statunitense da 750.000 a 490.000 unità e la riduzione del bilancio per la difesa a 450 miliardi di dollari.

Ciò comporterà l’incapacità di lanciare due operazioni militari nello stesso tempo, ma avvia il confronto con la Cina nel Sudest asiatico, che si sta lavorando ad armare. Il 7 gennaio 2012 Pechino ha risposto dichiarando che “Washington non è più in grado d’impedire al Sole cinese di sorgere”. Washington sta ricommettendo la follia d’affrontare la Cina, avendo perso la battaglia con Mosca su molti fronti, sia nel gioco del gas in Turkmenistan ed Iran, sia sulla costa orientale del Mediterraneo (con l’annuncio della nuova strategia Washington si ritira dalla regione, pur impegnandosi a garantire la stabilità e sicurezza del Medio Oriente affermando che rimarrà vigile).

Putin, per quanto riguarda la sua strategia che va al di là dei propositi elettorali, ha scritto quanto segue: “Il mondo è sulla soglia di una fase di disordine che sarà lunga e dolorosa”. Quindi, Putin afferma decisamente che la Russia non inseguirà le illusioni del sistema unipolare che sta crollando, e che non potrà garantire la stabilità mondiale in un momento in cui gli altri centri d’influenza non sono ancora pronti per assumersi quest’onere. In altre parole, siamo di fronte ad un lungo periodo di confronto con il sistema unipolare, destinato a durare fin quando le altre potenze influenti non cementeranno un Nuovo Ordine Mondiale.

Di solito, gli Statunitensi si ritirano quando le loro prospettive di successo non sono né rapide né certe. Sanno molto bene quanto la loro economia stia deteriorandosi e quanto ininfluente stia diventando la loro forza militare, soprattutto dopo aver perso prestigio ricorrendo troppo allo strumento bellico. Putin, pur realizzando che il tempo non sta scorrendo all’indietro, invita i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, del G8 e del G20 a fermare qualsiasi possibilità d’emergere di tensioni etniche e sociali o di forze distruttive che pongano una minaccia alla sicurezza mondiale. Questa è una chiara indicazione del rifiuto della presenza di tendenze religiose nelle posizioni decisionali e dei gruppi armati non statali. Questi gruppi Putin li indica chiaramente come alleati degli Stati che stanno esportando la democrazia militarmente e tramite coercizione. Mosca, quindi, non si risparmierà nel fronteggiare tali tendenze politiche e questi gruppi armati. Il Primo ministro russo conclude affermando che la violazione del diritto internazionale non è più giustificabile, anche se dietro ci fossero buone intenzioni. Ciò significa che i russi non accetteranno nessun tentativo da parte della Francia, della Gran Bretagna e degli Stati Uniti di sostituire il principio di sovranità con quello d’intervento umanitario.

In realtà, gli USA non si possono completamente ritirare dal Medio Oriente. Stanno semplicemente disponendo l’area per una “guerra per procura”. Ciò accade in un momento in cui Putin ammette che le potenze emergenti non sono ancora pronte a prendere la loro posizione nel nuovo mondo non unipolare. Tali potenze emergenti sono la Cina, l’India, ed in generale gli stati dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai. Questo implica quanto segue:

  • Il mondo di oggi sarà più non-polarizzato di quanto lo è stato durante il periodo 2006-2011.
  • I conflitti saranno caratterizzati dall’essere globali, ma ci sarà un linguaggio che si intensificherà fino ad arrivare sull’orlo del baratro; avvisando dunque che tutto il mondo sarà a rischio di scivolarvi dentro.
  • La regola secondo cui le super potenze non muoiono nel letto, è una regola che richiama alla cautela a causa dei rischi di fughe in avanti; soprattutto quando una super potenza si trova al di fuori del sistema principale a cui era stata abituata fin dalla Seconda Guerra Mondiale, e le sue opzioni si troveranno dunque ad oscillare tra il fare la guerra e l’innalzare la tensione nelle aree d’influenza altrui. Finché la guerra tra super potenze è resa difficile, se non impossibile, dagli armamenti nucleari, l’aumento delle tensioni o l’avvio di guerre per procura diventano alternative per i conflitti per (auto)fortificarsi sul piano internazionale. C’è anche l’opzione di una ridistribuzione soddisfacente delle zone d’influenza secondo una nuova Jalta. Oggi è fuori discussione, ma in futuro chissà: nulla può essere escluso per sempre nell’azione politica. Esiste una regola secondo cui è possibile sconfiggere una superpotenza, ma è preferibile non farlo. Meglio piuttosto permetterle di salvarsi la faccia e far coabitare le nuove e le vecchie superpotenze. Ciò è avvenuto con Francia e Gran Bratagna dopo la Seconda Guerra Mondiale.
  • La massima preoccupazione è per la continuità dello status quo che tracima la ferocia della Guerra Fredda, differenziandosi però per gli strumenti utilizzati finché gli Stati del Patto di Shanghai non saranno in grado di prendere le loro posizioni. Ciò significa che le zone di conflitto (Corea, Iran e Siria) saranno oggetto di un logoramento a lungo termine, che nel linguaggio della politica contemporanea può essere letto come “apertura” sull’effetto domino; cioè apertura all’incalcolabile e senza precedenti, e passaggio da lotte limitate a conflitti più azzardati. É certo che i paesi coinvolti nella scontro saranno quelli coinvolti nella spartizione, e che la ripartizione internazionale non dovrà necessariamente avvenire a loro spese, in quanto fanno parte della lotta. Tutti gli altri paesi staranno ai margini dello scontro oppure diventeranno strumenti di tale scontro, oggetti della spartizione. Viste le regole della lotta internazionale (tra cui quella per cui il coinvolgimento è parte della spartizione), tali paesi non perdono l’iniziativa né la libertà di decisione ed azione; essi devono seguire il principio della fermezza, una regola basilare nella gestione delle crisi.
  • La realtà è che la gestione delle crisi sarà la regola che informerà la fase in arrivo, che potrebbe durare per anni. Tuttavia, il rischio è che si gestiscano le crisi con altre crisi, focalizzandosi su regioni instabili come il Mediterraneo Orientale e l’Asia Sudorientale.

di Imad Fawzi Shueibi
Traduzione di Serena Bonato - Imad Fawzi Shueibi è presidente del Centro di Studi Strategici di Damasco.

20 febbraio 2012

Monti arbitro venduto




monti-time276171Forse abbiamo perso i giochi olimpici del 2020 ma le gare olimpioniche di autolesionismo sono tutte nostre. Il rush finale dell’imbecillità e della codardia ci vede sempre primi al traguardo, mentre siamo costantemente ultimi nella maratona del successo e della gloria. Consoliamoci, quindi, con il premio disciplina e con i riconoscimenti al fair play di cui Monti ha fatto incetta in Europa e nel mondo, grazie al suo loden nero e al suo modo di dirigere questa partita truccata come un arbitro venduto. L’operazione Roma 2020 secondo il Premier costerebbe troppo e ci sarebbero grossi rischi di non riuscire a coprire le spese. Poi però apprendiamo dai giornali e dalle fonti ufficiali che si buttano mld di euro nelle missioni militari all’estero, tutte riconfermate, le quali ci vedono immancabilmente gregari degli altri e quindi mai trionfatori ed incassatori di reali riconoscimenti. Solo medaglie di consolazione per aver aiutato i nostri partners a stravincere, anche a nostro danno. Come dire, pacche sulle spalle e prese per il culo, o se più vi piace, due pesi e due miserie corrispondenti per una nazione specialista nel lancio del martello sui coglioni. Evidentemente, da secchione qual è, Monti si disinteressa dello sport e dell’educazione fisica alla quale preferisce l’educazione e basta per marcare la differenza tra il buontemponismo superficiale di chi lo ha preceduto ed il suo mirabile bon ton. I mercati gradiscono poiché la sua moderazione istituzionale si traduce in inchini alle borse e adesioni incondizionate ai diktat degli organismi internazionali che hanno scommesso sulla disfatta dell’Italia, preparandosi a fare man bassa di trofei pubblici nel nostro Paese. Ha ragione l’economista La Grassa quando parla di pura propaganda dei tecnici in queste vicende che sono orientate a “creare ulteriore confusione e rottura del tessuto nazionale. Quelli di ‘Roma ladrona’ gongoleranno. Al centro-sud si incazzeranno. Si conferma che questo governo corrisponde in pieno, con l’altrettanta piena complicità del centro-destra berlusconiano, al disegno americano di creare pantano e palude dove appena si può. Non siamo al divide et impera per un disegno coloniale del tipo inglese ottocentesco, ma per diffondere il massimo marasma possibile: tutti contro tutti, un disfacimento molecolare, un pullulare di bande in un ambiente sempre più fatiscente e invivibile, magari tipo Blade Runner, in cui si scatenerà la caccia ai replicanti”. Tuttavia in qualcosa Monti è davvero un campione imbattibile, è l’asso assoluto delle trasvolate transoceaniche finalizzate a riportare la vittoria nelle gare di riverenze e di servilismo. Pare che, il Patrick De Gayardon della bergamasca, abbia confidato ai signori di Wall Street di voler tentare una missione no limits: tagliare la spesa statale cominciando dall’impiego pubblico. Non entrerà nel guinness dei primati poiché lo ha anticipato Papademos in Grecia ma il professore giura che sarà ancora più drastico e deciso del suo omologo ellenico. Questa combinata atlantica gli permetterà di scoccare frecce avvelenate contro le inveterate abitudini peninsulari del posto fisso e del reddito bastevole a far fermare il cronometro alla fine del mese. Cambierà gli italiani, lo ha garantito ad Obama come una minaccia e potrebbe anche fare centro perché la finanza speculativa ha reso il Belpaese un bersaglio immobile e facilmente abbattibile. Ma Monti non dimentichi, olimpiadi o meno, che l’unica disciplina sportiva veramente amata dai suoi connazionali è il football. Se fin qui siamo stati fuoriclasse nel tiro al pallone, potremmo diventare eccellenti anche in quello al pallone gonfiato. Pallonaro avvisato mezzo sgonfiato.

di Gianni Petrosillo

19 febbraio 2012

Il piano "solo". Il colpo di stato "democratico" e atlantista dell'Arma dei carabinieri

Il cosiddetto “Piano Solo” – che prevedeva il solo utilizzo dell’Arma dei Carabinieri per il tentativo di colpo di Stato preparato nei primi anni Sessanta dal Gen. De Lorenzo per imporre una svolta autoritaria ed una politica “di destra” maggiormente allineata con i desiderata atlantici – rappresentò il primo vero tentativo golpista elaborato da ambienti militari nell’Italia del secondo dopoguerra.

La situazione internazionale dell’epoca era dominata dal confronto aperto tra i due blocchi contrapposti che facevano riferimento a Stati Uniti e Unione Sovietica. L’Europa, a causa della sconfitta militare subita dall’Asse e dalla seguente divisione bipolare, diventò ben presto uno dei terreni di conflitto a bassa intensità che opponevano le due superpotenze.

La spartizione bipolare USA-URSS determinata dagli accordi di Yalta del 1945 avrebbe caratterizzato un arco storico di circa mezzo secolo noto come “guerra fredda”.

Per comprendere realmente ciò che questo periodo ha rappresentato per il Vecchio Continente, privato da allora di una politica autonoma, della propria sovranità e ridotto a mera appendice dell’impero americano, la situazione italiana appare esemplare.

L’Italia era uscita dissanguata dal lungo conflitto mondiale che aveva portato ad una guerra civile tra italiani dopo la costituzione di due distinti Stati (la Repubblica Sociale al nord e l’effimero Regno proclamato nelle regioni meridionali dal Re Vittorio Emanuele e dal governo del maresciallo Badoglio dopo il vergognoso voltafaccia dell’8 settembre 1943 data che segnò un vero e proprio trauma nella coscienza civile di un paese che da quel momento non avrebbe mai più avuto alcuna sovranità nazionale).

La cosiddetta guerra di liberazione partigiana combattuta da un eterogeneo fronte di partiti politici italiani sostenuti dalle forze armate d’occupazione anglo-americane aveva messo in luce soprattutto la netta dicotomia esistente tra i movimenti d’ispirazione cattolica e liberale che proponevano un assetto democratico filo-occidentale per il dopoguerra e il Partito Comunista il quale rispondeva alle direttive provenienti da Mosca ed era determinato ad approfittare del conflitto per i propri interessi i quali avrebbero portato all’instaurazione di un regime sul modello sovietico come avverrà in tutti i paesi appartenenti al blocco orientale influenzato e sottomesso militarmente dall’URSS.

All’indomani della guerra i comunisti ed i loro alleati socialisti accettarono le regole democratiche, parteciparono alla Costituente e diventarono forza di governo alleata ai democristiani nei primi esecutivi post-bellici.

La situazione sarebbe presto andata modificandosi con l’avvicinarsi delle prime elezioni legislative fissate per l’aprile 1948 che vedranno una radicalizzazzazione del confronto tra la DC ed il cosiddetto “Fronte Popolare” delle sinistre. Una campagna elettorale che si palesò come un autentico conflitto ideologico tra gli alleati degli Stati Uniti e le formazioni socialcomuniste legate a Mosca.

Washington sosterrà finanziariamente e mobiliterà i suoi apparati per consentire la vittoria, risultata schiacciante, della Democrazia Cristiana che – peraltro – godette del sostegno incondizionato di un inedito schieramento di forze interessate a mantenere il paese all’interno della sfera d’influenza americana evitando pericolose derive verso il blocco orientale egemonizzato da Mosca.

La Chiesa, gli ambienti industriali, la Massoneria e la Mafia furono in prima linea durante quella campagna elettorale – e successivamente per tutti i successivi quarant’anni di monopolio politico democristiano – che sancirà la sconfitta delle forze d’ispirazione marxista.

La democrazia italiana da allora e fino agli anni Novanta apparirà un sistema politico bloccato all’interno del quale il partito di maggioranza relativa,la DC, – uno tra i più corrotti di tutta l’Europa occidentale – manterrà la propria autorità attraverso le alleanze con i partiti laici minori (PLI, PRI, PSDI) e, dai primi anni Sessanta in poi, grazie al sostegno del PSI che aderirà a quella formula di centro-sinistra riformista e progressista che continuava ad escludere i comunisti dall’area di governo.

L’esclusione del PCI dal potere centrale (ai comunisti venne concessa l’amministrazione di importanti regioni soprattutto nell’Italia centrale dove più forte era la loro base elettorale ma dove si sarebbero concentrate anche importanti unità militari nazionali e NATO) rappresentò una costante che caratterizzerà tutta la politica italiana da allora sottomessa alle volontà provenienti dagli Stati Uniti in una posizione di sottomissione propria di una sorta di protettorato neo-coloniale con una casta di politici servili alle direttive provenienti dai centri studi d’oltre Atlantico e dalle amministrazioni al potere a Washington.

“L’importanza di tener lontani i comunisti dal governo in Italia – scrive Philip Willan (1) – non era solo determinata dalla presenza nel paese delle basi militari Nato o dalla sua posizione strategica. Il trattato di Yalta del 1945 aveva sancito la divisione dell’Europa in due blocchi geopolitici. Molti opinionisti in Italia attribuiscono il mantenimento di un tacito accordo tra le superpotenze circa la libertà di controllo sulle aree di reciproca influenza proprio a quella che chiamano “logica di Yalta”. Gli americani, secondo questa interpretazione, non avrebbero interferito nell’invasione sovietica della Cecoslovacchia e dell’Ungheria e, conseguentemente, non avrebbero tollerato l’ingresso di un partito comunista nel governo di un paese occidentale. (…) Quando alla fine degli anni Settanta si avanzò l’ipotesi di una coalizione di governo tra democristiani e comunisti, il governo sovietico e quello americano si allertarono, anche se per motivi diversi: i sovietici infatti preferivano che il Pci restasse all’opposizione, piuttosto che vederlo allineato con l’ideologia occidentale in un governo di coalizione.”.

Saranno proprio la fobia statunitense nei confronti di un possibile ingresso comunista nelle stanze del potere che susciterà fin dall’immediato dopoguerra una serie di misure di stretto controllo sulla vita politica italiana e un’ingerenza da parte dei servizi di sicurezza americani che si farà, mano a mano che crescerà la tensione politica, sempre più evidente. Sarà la CIA, coadiuvata dai nostri servizi di sicurezza civili e militari, la principale responsabile di quella strategia della tensione che interesserà un arco temporale che dalla fine degli anni Sessanta traghetterà il paese fino alla metà degli anni Ottanta in un clima di instabilità politico-economica, violenza politica, stragi e attentati che – come scrive correttamente lo stesso storico britannico – hanno rappresentato “l’attacco terroristico più violento e traumatico di qualunque altro paese dell’Occidente europeo, ad eccezione della Spagna e dell’Inghilterra. Fino al 1987 le stragi terroristiche hanno provocato la morte di 356 persone e il ferimento di oltre 1000: questo in un paese confinante con uno stato comunista, la Iugoslavia, che occupa una posizione strategica di dominio nel Mediterraneo e con il Partito Comunista più forte dell’Europa occidentale.” (2)

L’origine di questa vera e propria fobia anticomunista, che avrebbe provocato nei decenni seguenti le strategie della tensione e alimentato la violenza politica nel paese, è da ricercarsi nelle ultime fasi del conflitto mondiale quando Washington iniziò a reclutare – tramite i suoi agenti dell’Ufficio per i servizi speciali (OSS), i precursori dell’odierna CIA – per i propri interessi e la propria strategia post-bellica ex esponenti della RSI.

L’intera struttura informativa della RSI passò quasi in massa al fianco degli anglo-americani fin dal marzo 1945. Altri esponenti di primo piano del regime fascista costituito da Mussolini nel nord del paese sarebbero stati reclutati e salvati da agenti di Washington.

Gli americani compresero perfettamente la necessità di usufruire di quanti più alleati possibili nell’immediato dopoguerra perciò dopo aver reclutato i principali capi della mafia (fatti rientrare nel paese dopo lo sbarco in Sicilia dell’estate 1943) vennero attivati i canali della potente massoneria americana per riportare in vita le logge e ridare lustro e nuova linfa vitale ai fratelli tre puntini in Italia.

“Agli inizi del 1947 – ha scritto Wolfgang Achtner sul “Sunday Independent” dell’11 novembre 1990 – gli Stati Uniti stavano formando una rete clandestina in Italia settentrionale”.

Probabilmente non si trattava ancora di quella organizzazione che decenni dopo sarebbe stata rivelata dal premier Giulio Andreotti essere “Gladio” ma le intenzioni degli uomini dei servizi di sicurezza americani erano chiare per tutti i paesi dell’Europa occidentale.

Secondo quanto riportarono numerosi documenti l’ex capo della CIA, Allen Dulles, aveva progettato la costituzione di reparti segreti addestrati alla guerriglia anti-comunista con l’appoggio di tutti i governi europei alleati. Ne furono pertanto informate le principali autorità politiche che dovevano garantire una sufficiente copertura ad un’operazione under-cover gestita da personale NATO coadiuvato dai reparti militari più fedeli e disciplinati presenti nei diversi paesi europei.

Il quotidiano tedesco “Die Welt” sostenne che i servizi di sicurezza occidentali crearono in proposito una speciale commissione che aveva il compito di soprintendere questo genere di apparati.

La rete segreta era costituita da personale civile di dichiarata fede anticomunista.

Secondo quanto dichiarato dall’ex ministro della Difesa italiano, Paolo Taviani, durante il periodo in cui rimase in carica (1955-1958) i servizi segreti italiani era comandati e finanziati dai “ragazzi di Via Veneto” – dagli agenti della CIA presso l’ambasciata USA nel cuore della capitale – sottolineando l’assoluta sottomissione dei nostri servizi rispetto ai loro colleghi d’oltre Atlantico.

Gli americani in Italia reclutarono tutte le forze ostili al comunismo per inserirle all’interno di una loro strategia di contenimento: estremisti di destra, ex appartenenti alle formazioni militari della RSI così come molti partigiani ‘bianchi’ delle forze della Resistenza che rifiutavano l’ideologia totalitaria comunista, esponenti dell’industria e della finanza, massoni e appartenenti alla mafia e ad altre organizzazioni malavitose vennero cooptati dagli agenti della CIA e utilizzati per contenere l’avanzata delle sinistre.

In occasione della campagna elettorale italiana dell’aprile 1948 gli USA ebbero un validissimo aiuto anche dalla Chiesa cattolica che si gettò anima e corpo nella nuova “crociata” anti-comunista sostenendo , com’era logico d’altronde, senza riserve la Democrazia Cristiana da allora e per quasi cinquant’anni partito di massa d’ispirazione clericale e baluardo di un anti-comunismo allineato con le strategie statunitensi.

Il “Piano Solo” si inserisce in questo clima di tensione crescente e all’interno della formazione da parte statunitense di organizzazioni paramilitari parallele sotto l’egida NATO alle quali, in Italia, venne dato il nome di “operazione Gladio” sezione italiana di una rete di strutture anti-comuniste dislocate nei principali paesi dell’Alleanza Atlantica dell’Europa Occidentale e noti come strutture dell’apparato militare “Stay Behind”.

Il Generale britannico, Sir Anthony Farra-Hockley , ex comandante in capo delle forze NATO per il settore dell’Europa settentrionale, disse che era a conoscenza che in Italia era stato istituito una specie di servizio segreto clandestino con l’aiuto di agenti britannici e della CIA americana che lo finanziarono. La sezione italiana della rete era nota come Operazione Gladio (3).

La stessa fonte rivela che “Gladio era il nome dato alla sezione italiana di una rete con l’innocuo nome ufficiale di Commissione di coordinamento alleata, istituita con l’assistenza britannica dalla CIA negli anni ’50”.

L’affaire del golpe militare progettato dall’Arma dei Carabinieri venne alla luce nella primavera del 1967 quando il settimanale “L’Espresso” pubblicò una serie di rivelazioni sui preparativi di un colpo di Stato che sarebbe dovuto avvenire nell’estate del 1964 all’epoca in cui l’Italia stava per decidere uno slittamento verso sinistra con l’entrata dei socialisti nel governo.

La vicenda del Piano Solo è indicativa e rappresenta un nodo fondamentale per comprendere gli esatti rapporti di sudditanza esistenti tra le forze armate ed i servizi segreti della Repubblica nata dalla Resistenza ed i loro padroni a stelle e strisce.

Nel gennaio 1969 venne istituita una commissione parlamentare d’inchiesta per accertare, secondo le indicazioni contenute nei passaggi finali della Commissione Lombardi, se le iniziative prese e le misure adottate in relazione agli eventi della primavera-estate del 1964 dall’Arma dei Carabinieri dovessero essere ritenute in contrasto con le disposizioni vigenti e con gli ordinamenti della Costituzione.

Il principale riferimento per la Commissione parlamentare fu rappresentato dalla relazione del Gen. Beolchini il quale rivelò come, presso l’ufficio “D” del SIFAR fosse stata commissionata dall’allora Gen. De Lorenzo l’apertura e la stesura una serie di fascicoli personali che , a partire dal 1959, raggiunsero negli anni seguenti la ragguardevole cifra di 157mila dei quali 34mila dedicati ad esponenti del mondo economico, a politici e a quelle categorie ritenute di interesse strategico per i nostri servizi segreti militari.

Le indagini della Commissione misero in luce che il Gen. Giovanni De Lorenzo aveva esteso il suo programma di sorveglianza del mondo politico, economico e finanziario italiano allo scopo di identificare i sospetti simpatizzanti di sinistra che, secondo le direttive impartite ai vertici dell’Arma in quella primavera-estate del ’64, avrebbero dovuto essere arrestati e quindi trasportati e incarcerati in campi di concentramento predisposti sull’isola della Sardegna.

Stando quanto dichiarò all’epoca il Gen. De Lorenzo, capo dei carabinieri all’epoca del tentato golpe, questa attività di spionaggio era stata richiesta e veniva passata per la supervisione all’Ufficio Sicurezza della NATO, ufficio preposto a decisioni fondamentali quali , per esempio, il rilascio del NOS (Nulla Osta Sicurezza) concesso o meno ai responsabili di governo che si alternavano frequentemente alla guida di un paese instabile dove una corrente della DC sembrava propensa ad accordi con i comunisti.

De Lorenzo interrogato in merito al suo lavoro di schedatura indiscriminata di gran parte della classe politica e industriale del paese risponderà che “la questione dei fascicoli è una questione di sicurezza del Patto Atlantico” e come tale venne trattata ossia mediante l’estensione all’intera vicenda del Segreto di Stato.

I nominativi dei futuri enucleandi in Sardegna tra gli esponenti ed i simpatizzanti della sinistra non vennero mai resi noti all’opinione pubblica.

In merito ai fascicoli del Sifar riferì ai magistrati il generale Antonio Viezzer che di tutte quelle informazioni vennero raccolte dai servizi nel periodo 62-63 furono fatte lunghe sintesi: “Dette sintesi – affermò Viezzer – furono inviate dal generale Giovanni Allavena (all’epoca capo dell’Ufficio “D” del Sifar ndr ) al generale De Lorenzo che all’epoca era comandante generale dell’Arma dei Carabinieri.”. Accadde però che “Tali sintesi in copia originale inviate a De Lorenzo non sono state più rintracciate.”. E, fatto ancor più stupefacente, ricomparvero e fecero ancora parlare di sé quando i magistrati decisero la perquisizione presso la Villa del Gran Maestro Venerabile della Loggia Propaganda 2 (P2) Licio Gelli a Castiglion Fibocchi che le utilizzerà per tutto il decennio dei Settanta per ricattare l’intera classe politica italiana e aumentare considerevolmente la sua influenza sulla scena politica e industriale nazionale.

“Se si pensa – scriverà Pietro Calderoni (4) – che il gen. Allavena, già capo dell’Ufficio ‘D’ del Sifar, vice di Viggiani, come lui “creatura” di De Lorenzo, e già capo dei centri “CS” di Roma risulterà iscritto alla P2, e che fu lui a formare le liste degli “enucleandi” nel “piano Solo” , l’intera vicenda risulterà chiarita. Ne deriva che l’illegittima continuità tra Sifar, comando generale dell’Arma, P2, fu solo alla base delle fughe di fascicoli e dei conseguenti ricatti e condizionamenti su ambienti politici e militari che contrassegneranno quella che la Commissioneparlamentare d’inchiesta sulla Loggia P2 definirà la “resistibile ascesa” di Gelli a posizioni di potere di impressionante spessore e vastità.”.

Inoltre secondo quanto scrisse il giornalista Roberto Faenza in un suo resoconto dettagliato sull’influenza americana nel nostro paese (5) una copia dei dossier del Sifar venne depositata nel quartier generale della CIA a Langley in Virginia. Faenza cita un cablogramma che attesta il ricevimento “dal nostro corrispondente presso i servizi segreti italiani” dei rapporti sui leader politici “in osservazione”.

L’operazione di spionaggio elaborata dal gen. De Lorenzo coinvolse anche numerosi prelati, vescovi e preti delle diverse diocesi e perfino il papa Giovanni XXIII.mo il quale andò su tutte le furie quando venne a conoscenza che il Sifar aveva piazzato dei microfoni negli appartamenti vaticani.

L’intera vicenda dei dossier Sifar andò avanti per anni con il beneplacito della presidenza della Repubblica e venne commissionata a De Lorenzo dall’allora capo della CIA William Colby.

A quanto risultò alla Commissione parlamentare la ricerca delle notizie per la compilazione dei fascicoli era stata realizzata violando sistematicamente il principio della stessa libertà personale attraverso pedinamenti, teleobiettivi, controlli clandestini della corrispondenza privata e delle comunicazioni telefoniche.

Quando oggi è cosa nota l’esistenza di strutture spionistiche satellitari su scala planetaria quali il complesso programma ECHELON non deve stupire che l’Italia della fine anni Cinquanta fosse già un campo di sperimentazione per questo genere di attività alle quali diedero alacremente il loro contributo i servizi di sicurezza civili e militari italiani.

Che la struttura segreta denominata Gladio non fosse un mistero per gli alti vertici militari italiani e gli ambienti dei servizi di sicurezza – i quali erano tenuti a risponderne in ambito NATO – si deduce anche dalle dichiarazioni rilasciate da diversi ufficiali nel corso di inchieste della magistratura italiana o di indagini parlamentari.

Così si esprimerà in proposito lo stesso Gen. De Lorenzo: “Esiste, presso lo Stato maggiore della Difesa , a latere del Sifar, l’Ufficio sicurezza del Patto Atlantico che garantisce la sicurezza dei funzionari cioè di tutti coloro che vogliono svolgere un certo lavoro…Questo ufficio di sicurezza, che deve reperire queste notizie, fa capo all’Arma dei Carabinieri, che svolge le indagini. Queste indagini vengono fatte affluire o all’Ufficio centrale o agli uffici ministeriali con le considerazioni adeguate. Sulla base di queste considerazioni , se sono favorevoli, si dà il nulla osta di sicurezza.”

Analogamente si espresse il Gen. Vito Miceli, per anni capo del Sismi – i servizi militari – in occasione del processo nel 1977 per il tentato golpe Borghese del dicembre 1970: “C’è , ed è sempre esistita, una particolare organizzazione segretissima, che è a conoscenza anche delle massime autorità dello Stato. Vista dall’esterno, da un profano, questa organizzazione può essere interpretata in senso non corretto, potrebbe apparire come qualcosa di estraneo alla linea ufficiale.”

Miceli sostenne che le sue attività rientrassero nei compiti istituzionali.

Un altro esponente delle forze armate chiamato a rispondere davanti alla Magistratura di progetti eversivi, il Ten. Col. dei servizi segreti militari Amos Spiazzi, dopo aver confessato di aver preso parte ad una cospirazione di destra guidata da un’organizzazione denominata “Rosa dei Venti” (simbolo ufficiale dell’Alleanza Atlantica) così rispose al giudice che gli chiese se avesse o meno ricevuto l’ordine di allertare gruppi irregolari di sostegno alle forze armate nel giugno 1973: “Ricevetti un ordine da un mio superiore militare, appartenente all’organizzazione di sicurezza delle forze armate, che non ha finalità eversive ma si propone di proteggere le istituzioni contro il marxismo. Questo organismo non si identifica con il Sid, ma in gran parte coincide con il Sid.”.

Dunque in linea generale tutti i principali protagonisti , esponenti di primo piano delle FF.AA o dei servizi, chiamati a rispondere circa l’esistenza di un organizzazione segreta militare confermarono che si trattasse di qualcosa di pienamente istituzionale e direttamente collegata ai vertici NATO ed a conoscenza delle massime autorità politiche come , d’altronde, confermò pienamente il premier Andreotti quando nell’autunno 1990 decise di rivelare all’opinione pubblica italiana l’esistenza di Gladio.

Le cosiddette “unità di supporto” irregolari erano rappresentate dai coloro che, molti anni più tardi, la stampa italiana conobbe con il nome di ‘gladiatori’.

“Il reclutamento di unità di supporto irregolari – scrive Philip Willan (6) – è un tema ricorrente negli scandali dei servizi segreti: attraverso tali unità si arriva poi agli agenti infiltrati e alla manipolazione del terrorismo. Una delle persone coinvolte nel reclutamento era il colonnello Renzo Rocca, direttore dell’ufficio controspionaggio industriale del Sifar, l’ufficio perla Ricercaeconomica e industriale (Rei). La commissione parlamentare d’inchiesta per lo scandalo Sifar appurò che Rocca usava i fondi dei servizi segreti e altri contributi di industriali per reclutare persone per operazioni paramilitari, che venivano stipendiate come “informatori” dei servizi segreti. “Tale reclutamento si rivolgeva soprattutto ai carabinieri e agli ex marinai in congedo, ma si estendeva anche ad altri gruppi di “ragazzi di avventura”, che avrebbero dovuto fungere da provocatori”, chiariva la relazione di minoranza. Le attività di Rocca erano seguite attentamente dalla Cia. Secondo Faenza, il capo della sede romana William Harley spinse il colonnello a destabilizzare i tentativi di Moro di raggiungere un’intesa coi socialisti. Harvey suggerì a Rocca di usare gli “squadroni d’azione” per “compiere attentati contro le sedi della Democrazia Cristiana e di alcuni quotidiani del nord, da attribuire alle sinistre.”. Faenza affermò inoltre che Harvey era in possesso di liste contenenti più di 2000 nomi di esponenti di destra appartenenti a gruppi paramilitari, che si erano disponibili per azioni anticomuniste. Rocca si suicidò nel 1968, poco prima di essere interrogato dalla commissione parlamentare. La sua morte fu uno dei misteriosi suicidi e incidenti che ricaddero su coloro che erano a conoscenza delle attività più delicate dei servizi segreti italiani. (…) I legami di Rocca con i servizi segreti spinsero alcuni agenti a introdursi nel suo ufficio (pressola FIATdov’era finito a lavorare un anno prima ndr) per rimuovere certi fascicoli prima delle indagini della magistratura. Secondo alcune voci sottrassero un dossier riguardante l’attività di reclutamento esercitata da Rocca nel 1964. (…) Rocca non fu l’unico in possesso di informazioni sullo scandalo Sifar a morire prematuramente. Il 27 aprile 1969 l’ex capo dei carabinieri, generale Carlo Ciglieri, che aveva commissionato un’indagine sugli eventi del 1964, morì in un incidente stradale. Ciglieri guidava lungo un rettilineo poco fuori Padova quando la sua macchina inspiegabilmente uscì di strada. Stranamente non venne ritrovato alcun documento utile alla sua identificazione e le fotografie scattate sul luogo dell’incidente mostrarono l’esistenza di una busta, in seguito scomparsa. L’uomo cui Ciglieri aveva commissionato l’indagine era il generale Giorgio Manes, morto in seguito a un infarto il 25 giugno 1969 poco prima di testimoniare davanti alla commissione parlamentare.”.

Tra i compiti che Rocca svolse per conto del Sifar vi fu anche il finanziamento dell’Istituto Alberto Pollio che organizzò nelle giornate dal 3 al 5 maggio 1965 la conferenza tenuta all’Hotel Parco dei Principi di Roma sulla “guerra rivoluzionaria” alla quale presero parte numerosi esponenti del neofascismo italiano in particolare si ricordano i nomi di:

a) Guido Giannettini, giornalista e informatore dei servizi segreti, in seguito accusato di aver preso parte alla strage di Piazza Fontana del dicembre 1969;

b) Stefano Delle Chiaie, fondatore dell’organizzazione neofascista Avanguardia Nazionale;

c) Mario Merlino,

d) Enrico De Boccard, fondatore dell’Istituto Pollio;

e) Pio Filippani Ronconi, docente universitario già appartenente alla divisione italiana Waffen S.S. ;

f) Pino Rauti, fondatore del centro studi “Ordine Nuovo”

g) Giorgio Pisanò, esponente del MSI milanese;

Di questi ultimi due , Rauti e Pisanò, sono interessanti le ammissioni che vennero pubblicate in un libro-intervista apparso a metà anni Novanta.

Alla domanda “lei crede che a un certo punto l’estrema destra, pur di combattere contro il comunismo, sia scesa a patti, abbia collaborato con lo Stato repubblicano e antifascista? Rauti risponderà: “Si. Ha collaborato, più o meno sottobanco, e in certi momenti soprattutto sottobanco. (…) Io stesso sono stato coinvolto in rapporti coi militari. Scrivendo, insieme a Edgardo Beltrametti, l’opuscolo “Le mani rosse sulle forze armate”, commissionato dal generale Giuseppe Aloia.” (7).

Mentre Pisanò alla domanda su chi avrebbe messo le bombe a Piazza Fontana risponderà: “Il ministero degli Interni. L’ufficio affari riservati del Ministero degli Interni. (…) …questa gente aveva studiato una strategia: noi mobilitiamo qualche scriteriato a destra e qualche scriteriato a sinistra, gli facciamo mettere qualche bombetta qua e là, un po’ di colore rosso e un po’ di colore nero, montiamo la stampa e dimostriamo che se non rafforziamo di nuovo il centro, gli opposti estremismi prendono il sopravvento. E allora cominciarono le bombe sui treni e così via , senza provocare morti.” E , all’intervistatore che gli faceva notare che i morti a Piazza Fontana ci furono replicherà: “Si ma fu un errore. Quel giorno le bombe nelle banche furono tre, due a Milano e una a Roma e altre bombe vennero messe all’Altare della Patria. Scoppiarono tutte dopo le 16.30, orario di chiusura delle banche, e le due all’Altare della Patria erano messe in un punto tale da non nuocere a nessuno. Insomma non si voleva uccidere. Ma chi mise quelle bombe non sapeva che quel giorno una banca, una sola banca in tutta Italia, sarebbe rimasta aperta oltre il normale orario di chiusura: la Banca Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana a Milano”. Andando poi oltre ed attaccando Franco Freda: “Freda…eh io li ho difesi tutti a spada tratta ‘sti fessi, anche se non lo meritavano. Freda è quel cretino che fornisce i timer. Ma attenzione: Freda non sapeva che i timer sarebbero stati usati per fare una strage. (…) Ho fatto carte false per dimostrare che Freda con i timer non c’entrava niente, ma la verità è questa. Freda cascò in un trappolone. Fornì i timer senza sapere a cosa servivano.” Sentenziando infine che “Nelle stragi ci sono solo imbecilli italiani”. (8).

Imbecilli più o meno consapevoli o criminali poco cambia. Soprattutto perché affatto imbecilli furono – e piuttosto consapevoli – coloro che diedero vita al piano Solo.

Un piano di emergenza per l’ordine pubblico di cui il Ministro della Difesa , con una nota del 12 maggio 1969, informò le autorità della magistratura.

I documenti relativi al piano per l’ordine pubblico e la sicurezza nazionale che prevedevano l’impiego di reparti della sola arma dei carabinieri erano contenuti in quattro minute. Più precisamente, come si evidenziò, la prima era costituita da un quaderno manoscritto a penna redatto dal Comando della Divisione Carabinieri “Pastrengo” di Milano , con giurisprudenza per l’Italia settentrionale. La minuta risulterà manoscritta dall’allora Colonnello dell’Arma Mingarelli all’epoca responsabile dell’Ufficio di capo di Stato maggiore della divisione. E’ firmata dal generale di divisione Markert e munita di timbro tondo ed intestata come “Pianificazione riservatissima – Progetto Generale”.

Il Colonnello Mingarelli sarà pesantemente coinvolto dieci anni più tardi – nel 1972 – nella manipolazione delle indagini sulla strage di Peteano.

La seconda minuta , costituita dalla fotocopia di 19 fogli manoscritti, risultò redatta dal comando divisione carabinieri “Podgora” di Roma, con giurisdizione sull’Italia centrale oltre che sull’Emilia Romagna e la Sardegna.Laminuta risultò manoscritta dall’allora ten. col. dell’Arma Bittoni, all’epoca capo di Stato maggiore della divisione. E’ intestata “Piano Solo del comando II divisione Carabinieri Podgora”.

La terza , costituita da 28 fogli sciolti, risulta redatta dal comando della divisione carabinieri “Pastrengo” e contiene una bozza di pianificazione per la sola città di Roma anch’essa redatta dal col. Bittoni con allegate due mappe della capitale. E’ intestata “Traccia per la compilazione del progetto Solo”.

Infine la quarta minuta, costituita da 32 fogli dattiloscritti, risulta redatta dal comando carabinieri divisione “Ogaden” di Napoli con giurisdizione su tutta l’Italia meridionale. E’ intitolata “Piano per il mantenimento dell’ordine costituito nel territorio dello Stato”. A quanto risulta dagli atti d’inchiesta parlamentare l’allora comandante dell’Ogaden, gen. Celi, incaricò il col. Romolo Dalla Chiesa di predisporre “uno studio inteso a vedere come l’Arma, nella nostra giurisdizione, avrebbe potuto far fronte a sovvertimenti” (dalla deposizione resa dallo stesso Dalla Chiesa alla Commissione d’inchiesta).

Secondo quanto affermato dal ministro della Difesa non esistevano altri originali delle minute in questione mentre per quanto riguardava lo schieramento delle forze dell’Arma , la consistenza dei reparti, le procedure esecutive del piano Solo rimaneva in vigore il segreto militare.

Venne ovviamente respinta anche la richiesta di ottenere le liste degli enucleandi appartenenti al PCI che furono distribuite nella primavera-estate 1964 ai comandi di divisione dell’Arma.

Il meccanismo di approntamento del piano si mise in movimento su impulso del generale De Lorenzo. “Il gen. Picchiotti, capo di Stato maggiore del comando generale, ricevette in tal senso un ordine dal comandante generale (…) E’ lo stesso Picchiotti ad affermare che, successivamente alla riunione del 25 marzo dei comandanti di divisione, a seguito della quale verranno predisposti gli appunti rinvenuti, egli ebbe a convocare i tre capi di Stato maggiore delle divisioni “presenti alcuni ufficiali del Sifar” per impartire, su ordine di De Lorenzo, disposizioni per l’aggiornamento del piano per la tutela dell’ordine pubblico. – scrive Calderoni (9) – Per le azioni di aggiornamento, fu incaricato il col. Tuccari…(…) Nel corso della riunione, venne accettata la proposta del ten. col. Mingarelli di riunire i piani di “emergenza speciale” preparati dai prefetti con il concorso dell’Esercito, dei Carabinieri e della Pubblica Sicurezza del 15-11-1961 (circolare Vicari) , adattandole agli scopi della pianificazione da apportare ed in particolare alle previsioni del “Solo” impiego dell’Arma dei Carabinieri. Lo schema predisposto dal Tuccari costituisce l’ossatura del “piano Solo” che prevedeva un insieme di azioni difensive ed offensive , tra cui le difese delle caserme, l’occupazione della sede della RAI-TV, delle centrali telefoniche e telegrafiche, di sedi di partito e di giornali, con il fermo degli “esponenti più in vista” il conseguente loro concentramento e trasporto. Era anche prevista l’occupazione del Quirinale e di Palazzo Chigi, allo scopo di “impedire che cadano nelle mani dei rivoltosi”. (…) E’ noto come, nel momento più delicato di tensione nel nostro Paese, venne sottoscritto l’accordo di governo tra democristiani e socialisti che segnò la fine della crisi, con l’accantonamento del “piano Solo” e la distruzione delle liste.”

L’allora Presidente della Repubblica , Antonio Segni, era a conoscenza del piano che, peraltro, prevedeva l’eliminazione di alcuni esponenti della sinistra democristiana in particolare circolò con insistenza il nome di Aldo Moro (ci penseranno le sedicenti Brigate Rosse quattordici anni dopo a portare a termine l’incombenza stabilita evidentemente oltre Atlantico ai più alti livelli dell’establishment statunitense).

Il piano golpista avrebbe dovuto trasferire il potere esecutivo nelle mani di una coalizione di centro-destra di cui avrebbe potuto essere nominato premier il democristiano Cesare Merzagora. Il golpe, cancellato all’ultimo momento, rappresenterà da quel momento e per tutto il decennio successivo un’opzione alla quale tenderanno interessati ambienti politici, industriali e militari come si evidenzierà nitidamente solo sei anni più tardi con il tentativo di colpo di Stato patrocinato dal comandante Junio Valerio Borghese e successivamente con altre iniziative analoghe che avrebbero aumentato la tensione politica e l’instabilità della società italiana.

Lasciamo la ‘chiosa’ finale alla firma di un blogger che , su un sito informatico della rete, ha lucidamente osservato: “Tali complessi ma affascinanti argomenti, di cui mi sono limitato a fornire una panoramica chiara e sintetica, ma non certo esaustiva, sono stati trattati con estrema serietà dal dottor Daniele Ganser, storico svizzero e capo del gruppo di ricerca presso il Centro per gli Studi sulla Sicurezza dell’Istituto Federale di Tecnologia (ETH) a Zurigo, autore del libro “NATO’s Secret Armies – Operation Gladio and Terrorism in Western Europe”( Gli eserciti segreti della NATO – Operazione Gladio e terrorismo in Europa Occidentale). Ganser si propone in particolare con la sua opera di definire con precisione il ruolo di “Stay Behind” nel contesto storico europeo sottolineandone la finalità politica di opposizione al rafforzamento del comunismo interno all’occidente, per timore di un collasso del blocco americano stretto da forze antagoniste esterne ed interne. Ganser ipotizza infine scenari inquietanti costruendo un parallelo fra la realtà della Guerra Fredda e l’epoca a noi contemporanea, affermando: ”La lezione che possiamo trarre, se riportiamo la nostra esperienza dalla Guerra Fredda alla situazione attuale, è che una strategia della tensione è tuttora implementata, ma stavolta contro i Musulmani. Tutti sappiamo che l’occidente dipende in larga parte dal petrolio, e si ha bisogno di un pretesto per sviluppare operazioni in Iran, Irak ecc. Non possiamo semplicemente recarci lì, ed invadere i loro territori, quindi abbiamo bisogno di pensare che stanno cercando di ucciderci. Quindi è possibile che una strategia della tensione sia in atto, nella quale i Musulmani stanno svolgendo il ruolo che i comunisti avevano nella Guerra Fredda. Tuttavia è troppo difficile,tutto sta avvenendo in modo velocissimo e ci sono pochi dati disponibili.” (10)

Come non pensare alle attuali “primavere arabe” ed al ruolo di agent-provocateur per tutto il mondo islamico dall’organizzazione Al Qaeda?

Au revoir…

DAGOBERTO HUSAYN BELLUCCI

Direttore Responsabile Agenzia di Stampa “Islam Italia”

NOTE –

1) Philip Willan – “I Burattinai – Stragi e complotti in Italia” – Ediz. “Tullio Pironti” – Napoli 1993;

2) Ibidem;

3) Richard Norton Taylor – Articolo apparso sul “Guardian” in data 15 Novembre 1990;

4) ( a cura di Pietro Calderoni ) – “Servizi segreti” – Ediz. “Tullio Pironti” – Napoli 1986;

5) Roberto Faenza/ Marco Fini – “Gli americani in Italia” – Ediz. “Feltrinelli” – Filano 1976;

6) Philip Willan – op. cit.;

7) Michele Brambilla – “Interrogatorio alle destre” – Ediz. “Rizzoli” – Milano 1995;

8) Ibidem;

9) ( a cura di Pietro Calderoni ) – op. cit.;

10) Articolo “Gladio e la strategia della tensione” – apparso sul sito informatico www.towrite.it in data 7 Luglio 2010;

29 febbraio 2012

Un pentito di mafia: “Le stragi del ’93 chieste da Berlusconi e da Dell’Utri”


"Il tramite è stato Mangano". L'ultima rivelazione sulle tentazioni stragiste e sul ruolo svolto dall'ex premier nella stagione di sangue dell'attacco allo Stato è saltata fuori da un verbale del 2000, tenuto segreto per dodici anni, redatto da Giuseppe Monticciolo, il picciotto che Brusca utilizzò per strangolare il piccolo Giuseppe Di Matteo

La strage di via dei Georgofili a Firenze

Le stragi del ’93? A chiederle a Cosa Nostra furono “Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, attraverso il fattore di Arcore, Vittorio Mangano“. L’ultima rivelazione sulle tentazioni stragiste e sul ruolo svolto dall’ex premier nella stagione di sangue dell’attacco allo Stato salta fuori da un verbale del 2000, tenuto segreto per dodici anni, redatto da Giuseppe Monticciolo, il picciotto che Brusca utilizzò per strangolare il piccolo Giuseppe Di Matteo, assassinato a soli 12 anni perché figlio di un pentito. Nel pieno dell’offensiva corleonese contro lo Stato, dopo l’arresto di Totò Riina, Mangano avrebbe indicato a Bagarella “gli attentati che voleva fatti Berlusconi e Dell’Utri”, sottolineando l’assoluta ignoranza dei boss sugli obiettivi da distruggere: “Non sapevo nemmeno che fossero gli Uffizi, si figuri Bagarella”.

L’ordine, per Monticciolo, sarebbe partito da Milano, dal cuore dell’impero Fininvest, dopo che le cosche avevano tentato di uccidere un uomo simbolo della tv berlusconiana: Maurizio Costanzo. Dopo l’attentato a Costanzo, racconta Monticciolo a Chelazzi, presenti l’allora procuratore di Palermo Pietro Grasso e il pm Vittorio Teresi, “Dell’Utri – dice che ha mandato a dire (sempre detto, va bene, da Bagarella) che si dovevano fare… Dice: Allora, visto che sapete fare… visto che sapete arrivare a Costanzo, perché Costanzo non ce lo ha indicato nessuno per fargli l’attentato, dice allora sapete arrivare anche a fare qualcos’altro, per esempio la strage degli Uffizi e via dicendo. E da lì Bagarella ordinò. Perché poi ne parlò direttamente davanti a me con Giovanni Brusca”.

La rivelazione è sconvolgente, nel verbale Chelazzi è puntiglioso, vuole ricostruire tutti i dettagli e domanda se vennero richiesti “un numero definito di attentati”, ricordando quelli di Roma, Firenze e Milano: “Sono stati richiesti – risponde Monticciolo – di volta in volta. Poi la discussione come andavano e come non andavano lo sapevano solo Brusca e Bagarella”. Interrogato più volte sull’argomento, Brusca ha sempre smentito, ammettendo solo che Berlusconi fu avvertito dalla mafia che “la sinistra sapeva” della trattativa. Ma rifiutò di sottoporsi a un confronto con Monticciolo, che aveva già alluso al coinvolgimento di Berlusconi nella stagione stragista. Perché i boss accettarono di eseguire le stragi? La posta in gioco, spiega Monticciolo, è il 41-bis. “A Bagarella – racconta il pentito – premeva che dovevano togliere cioè, le promesse che facevano loro erano quelle di toglierlo e di non esserci più restrizioni nei carceri. Loro, come politici, dicevano che salendo al potere levavano il 41-bis e levavano i restringimenti nelle carceri”.

Le cose andarono diversamente: il 41-bis, tra ammorbidimenti e attenuazioni, è ancora una leva dell’azione antimafia, e i boss non nascosero la delusione: “Berlusconi prima vuole fatte le cose, però lui non viene mai agli impegni che prende”, aggiunge Monticciolo, riportando le parole del boss Bagarella, e spiegando che il cognato di Riina “parlava degli impegni che le stragi venivano fatte e poi lui non si impegnava, nel ’93″. Una delusione che non impedì ai corleonesi di sostenere politicamente Berlusconi: Monticciolo ricorda che nel 1994 Bagarella disse “di cercare i voti per Forza Italia” e che Brusca lo incaricò di “riferirlo agli altri capi mandamento”.

Nonostante le inadempienze di Berlusconi, Bagarella non avrebbe reagito “perché Mangano – scrivono i pm nel verbale riassuntivo dell’interrogatorio di Monticciolo – in qualche modo lo tranquillizzò facendogli osservare che bisognava aver pazienza e che i risultati sarebbero arrivati”. E Monticciolo conclude che fino a quel momento non ha parlato di politica con i magistrati per “paura”: “I politici, manovrati sempre dalla mafia, vogliono che io non parli sulle questioni politiche”. I verbali sono stati acquisiti anche dai pm di Palermo e sono oggetto di valutazione nell’ambito dell’inchiesta sulla trattativa mafia-Stato, nella quale ieri è stato interrogato l’ex ministro Calogero Mannino, indagato per violenza o minaccia al corpo politico dello Stato. Mannino si è avvalso della facoltà di non rispondere.
di Giuseppe Lo Bianco

28 febbraio 2012

Mala tempora currunt



Ogni tramonto brumoso porta in dono un poco di malinconia e quando a tramontare non è una giornata, ma un “mondo” così come lo avevamo conosciuto, l’accento malinconico si fonde con un senso d’inquietudine impossibile da dissimulare. Questa Italia ormai deprivata di qualsiasi dignità, che si trascina incespicando nel fango, ha un che di patetico che infonde nell’animo una sensazione di tristezza infinita. Così come triste ed angosciosa, risulta la penosa agonia del sistema neoliberista, che arranca verso la terza guerra mondiale, nella speranza che possa costituire il mezzo attraverso il quale riuscire a sopravvivere qualche giorno di più.
Malinconioso è il pellegrinaggio del barbogio Napolitano in terra di Sardegna, dove il garante della mangeria di corte si ritrova a ricevere bordate di fischi, mentre caracolla attraverso la callaia dell’umore popolare.
Povero di spirito, ma ricco nel portafogli, si manifesta il bargello Manganelli, costretto a discettare in quel della Camera, intorno ad un terrorismo che non c’è, ma la cui esistenza diventa indispensabile per giustificare il suo stipendio nell’ordine dei 621 mila euro l’anno…..



Tanto opportunista quanto cinico si rivela il borioso giudice Caselli che scientemente usa le contestazioni NO TAV per gli arresti di donne incinta ed innocenti vari, al fine di dare al suo ultimo libro quella salienza che invero esso non possiede.

Estremamente realistici e per nulla turbati da questa Italia che sta inabissandosi più velocemente della Concordia, appaiono il prof. Monti e lacrima Fornero, quando affermano che la riforma (leggasi eutanasia) del lavoro andrà avanti a prescindere da quello che possa essere il giudizio dei sindacati e dei partiti. E non potrebbe essere altrimenti, dal momento che il peso specifico di tanti manevoli camerieri è ormai prossimo allo zero e si limita a quello delle loro buste paga sulle spalle dei contribuenti.

Inquietante è la figura del ministro Terzi, sempre più uomo della Nato, che in merito alla vicenda dei due marò arrestati in India, continua a barbugliare frasi sconnesse degne del peggior Frattini.

Avvilenti e molto pericolosi appaiono i burocrati di Bruxelles, che obbedendo agli ordini di Washington impongono nuove sanzioni all’Iran, sulla base di colpe immaginarie che non trovano riscontri nella realtà. Ma ancora più avvilente appare il governo golpista nostrano che avalla dette sanzioni, mentre salassa i cittadini italiani attraverso la benzina venduta a peso d’oro.

Patetica la congrega di sindacalisti d’accatto e pacifinti salottieri che si raduna in quel di Roma per dare supporto alla guerra imperialista contro la Siria, pur fallendo miseramente l’obiettivo, al punto che perfino i media mainstream hanno ritenuto opportuno oscurare i pochi intimi convenuti all’appuntamento.

Angosciante, estremamente angosciante, il bellicismo ostentato dalla Nato, che da mesi lavora alacremente in Siria, con l’ausilio dei belatori mainstream, nella costruzione di un calappio che le permetta di scatenare un conflitto utile per giungere fino a Teheran.

Tutto ciò mentre l’imbrunire, timidamente scolora nella notte, il cielo si tinge di catrame e nel caligare immanente anche la luce dei lampioni sembra farsi più fioca.
di Marco Cedolin

27 febbraio 2012

I Partiti politici: centri di impiego e manovalanza mafiosa




L’importanza dei partiti politici in Italia e nell’Europa occidentale rimane invariato negli anni: possono cambiare le attività principali ed i canali di potere, ma rimangono una delle ossature fondamentali su cui si regge il sistema (non a caso corrotto).
E non si cada nello stereotipo classico secondo cui i problemi dei partiti sarebbero gli sprechi legati al circo di personaggi che li animano, oppure la famosa casta. Chi mette sul piatto tali questioni cerca semplicemente di farci guardare al dito anziché alla luna: una riforma di non si capisce cosa e una gestione più parca dei finanziamenti non cambierebbe di una virgola i problemi che viviamo oggi. Anche perché, se messi a confronto con le reali misure economiche, stiamo parlando di spiccioli, di certo rappresentanti un malgoverno, ma pur sempre di lieve entità.
Quindi i partiti rimangono fondamentali, anche se non per quello che di solito vogliono raccontarci i vari “riformatori” del sistema. Non esistendo differenze di fondo fra i vari partiti sulle scelte di politica generale, di indirizzo e di lungo periodo non è nemmeno questo il ruolo che oggi ricoprono nella nostra società. Il sistema liberale liberista accomuna destra, centro e sinistra, così come le scelte che vengono messe in atto sono per tutti di breve periodo, interessate alla competizione elettorale e all’amministrazione quotidiana. I militanti di un partito -tolte le mode e le posizioni storiche prese più che altro per sentirsi parte di qualcosa, che non frutto di vere riflessioni- sono intercambiabili, figli di una stessa cultura.
Ma allora perché gli iscritti ai partiti (e ai sindacati) rimangono, pur calando la partecipazione elettorale, la stima, la fiducia verso questi gruppi? Perché nella realtà il ruolo dei partiti oggi è relativo alla sfera del clientelismo, o della “famiglia” se vogliamo usare uno stereotipo tutto italiano. Gli iscritti ai partiti, i partner dei partiti, i dirigenti pubblici legati ai partiti non sono altro che membri di una rete di contatti, una rete che pur avendo profondi legami con l’apparato pubblico e statale (dai governi alle amministrazioni locali) è parallela e contigua al potere privato dei partiti (fazioni di cittadini organizzati).
In una società in cui la sovranità del popolo e la democrazia sono criticate e messe in crisi, e lo dimostrano le parole di Monti (secondo il quale riuscirà a fare le “riforme” perché non è stato eletto e non si ripresenterà alle elezioni), oppure lo dimostra il caso greco (non importa la volontà popolare, le misure devono essere implementate e messe in atto proprio al sicuro da un’espressione contraria della popolazione greca che è l’oggetto di tali scelte), i partiti ritrovano la propria funzione come perno fra interessi privati e strutture pubbliche da sfruttare.
Possiamo vedere agevolmente questo quando parliamo di appalti o lavori da appaltare, in special modo locali: non c’è bisogno di citare casi più o meno famosi di cronaca per avere ben chiaro di cosa si parla, tutti noi ne abbiamo esperienza diretta. Il potere dei partiti risiede proprio nel riuscire a pilotare legalmente (perché la maggior parte delle volte è tutto fatto in maniera regolare, le illegalità sono una piccola parte e non sono il centro del problema) i responsabili, i bandi di gara, le regole e tutto l’humus intorno a tali attività.
Oppure tutti siamo a conoscenza del potere che i partiti hanno nel raccomandare e segnalare per posti di lavoro di vario genere, pubblici o privati: anche qui in maniera del tutto legale, fazioni organizzate riescono a scavalcare i cittadini italiani e, in una situazione occupazionale drammatica come quella che viviamo, diventano il centro di impiego più potente, efficiente e funzionale: per i clienti, i fedelissimi, i “picciotti” ovviamente, e questo si ripercuote su una società sempre più corrotta e corruttibile, ma sempre legalmente! Anche solo la speranza di una raccomandazione crea degli stolti indottrinati, militanti da oratorio fedelissimi alla parola del proprio capo, dal quale aspettano nient’altro che una raccomandazione. La morte dei sogni dei veri democratici, anche se dubitiamo ne siano mai esistiti. Non ci vengano a raccontare dell’importanza dell’impegno e della militanza: i più impegnati dentro ai vari partiti “democratici” sono nient’altro che paramafiosi, parassiti dello Stato, nocivi alla pubblica amministrazione ed alla cosa pubblica in generale.
La vera riforma da attuare è principalmente etica, morale e politica. Se un sistema democratico ha fallito, bisognerà trovarne un altro: il primo passo è liberarsi da chi questo sistema lo protegge ed esporta, ovviamente per i propri interessi. Il primo passo è liberarsi dalla Nato e acquisire sovranità, per poi porre in essere scelte diverse. Ma prima deve essere a tutti chiaro, che ogni militante, ogni quadro di partito è un mafioso, marionetta di chi ci affama.

di Matteo Guinness -

26 febbraio 2012

Helga Zepp-LaRouche: l'imperativo extraterrestre dell'uomo


Le soluzioni alla crisi ci sono e possono essere adottate in tempo, "ma ciò richiede un cambiamento drastico e fondamentale dell'ordine finanziario globale, ed un cambiamento altrettanto drammatico nel pensiero di gran parte della popolazione", ha dichiarato Helga Zepp-LaRouche in una teleconferenza (webcast) internazionale l'11 febbraio.

Le due crisi immediate che ci troviamo ad affrontare sono "il crollo del sistema finanziario transatlantico, che sta già portando al collasso e alla rottura del sistema dell'euro, come possiamo chiaramente vedere nel caso della Grecia. In secondo luogo, c'è il pericolo immediato di una guerra termonucleare, scatenata dalle vicende attorno alla Siria e all'Iran, che fanno parte di una strategia per un cambiamento di regime o la disintegrazione di Russia e Cina", ha dichiarato la presidentessa dello Schiller Institute.

Il nome della partita è "impero", o più precisamente, l'Impero Britannico. Molti diranno che l'"Impero Britannico" ha cessato di esistere molto tempo fa, ha osservato Zepp-LaRouche, ma con questo nome si intende oggi "il sistema complesso di banche centrali, banche d'affari, hedge funds, fondi di private equity, compagnie assicurative, il sistema bancario ombra… questo sistema bancario è responsabile della svolta paradigmatica degli ultimi 45 anni, che ha portato all'abbandono della produzione di beni fisici, la cosiddetta economia reale, e sempre più all'espandersi della speculazione e dell'idea della massimizzazione del profitto, del monetarismo puro". Ora questo sistema è irrimediabilmente in bancarotta.

Zepp-LaRouche ha dettagliato come dal crollo dell'Unione Sovietica, seguito da Desert Storm in Iraq, le potenze occidentali abbiano adottato sempre più la politica del cambiamento di regime, abbandonando i concetti fondamentali del diritto internazionale e della sovranità nazionale. Ora, dopo la Libia, la Siria e l'Iran sono i prossimi obiettivi. La guerra segreta va avanti già da molto tempo, armando e addestrando le cosiddette opposizioni in entrambi i paesi, e istigando alla violenza.

Oggi, ha proseguito Zepp-LaRouche, la potenza di fuoco concentrata in Medio Oriente "è assolutamente sproporzionata al presunto motivo, e cioè aiutare i ribelli in Siria, o dissuadere l'Iran da un riarmo nucleare”. Ciò rende un'escalation verso la guerra nucleare un pericolo serio, e inevitabile se si giunge ad un attacco, magari per errore di calcolo".

La politica dell'Impero, ha notato la signora LaRouche, è anche determinata dall'impegno fondamentale dell'oligarchia a "selezionare" la popolazione. Lo stesso Principe Filippo di Edimburgo ha fatto della riduzione demografica il suo cavallo di battaglia.

Il modello oligarchico, ha detto Zepp-LaRouche, è associato non solo col monetarismo, ma anche con l'ambientalismo. Entrambi sono espressioni di un mondo fisso, con una quantità limitata di risorse, in cui si intende perseguire uno stato di equilibrio.

Al contrario, "l'universo è creativo" e anti-entropico, e la missione della specie umana è il suo sviluppo ulteriore. Ciò richiede di obbedire all'"imperativo extraterrestre" colonizzando lo spazio e approfondendo la conoscenza dell'universo fisico.

by(MoviSol)

25 febbraio 2012

La missione antinazionale di Monti, l’amerikano




Ad evidenziare il fallimento della missione di Mario Monti negli Stati Uniti, strombazzata al contrario dai media di regime come un “grande successo”, basterebbe un solo dato, il declassamento operato da Standard & Poor’s di ben 34 banche italiane. Tra queste troviamo il gotha del nostro sistema finanziario: Unicredit, Mediobanca, Intesa Sanpaolo, Ubi Banca e BNL e il taglio del loro rating deciso dall’agenzia statunitense non fa altro che agevolarne una possibile svendita a prezzi stracciati (immaginiamo già ora chi potrebbero essere gli acquirenti, altro che conflitto d’interesse di Berlusconi …).
A questi danni, solo apparentemente virtuali, vanno aggiunti quelli già evidenti nell’economia reale: le spese militari per la conferma dei 4.000 soldati italiani in Afghanistan mentre i francesi si ritirano e gli USA riducono le loro forze, l’acquisto dei costosi e inutili aerei F35 dagli Stati Uniti mentre il Pentagono annuncia la disdetta delle commesse già accordate alle produzioni aeronautiche italiane, il deficit della nostra bilancia energetica a causa delle sanzioni all’Iran imposte da Obama e la perdita di posti di lavoro per le aziende nazionali che lavorano con la Siria assediata dagli atlantici.
La sudditanza di Roma a Washington con l’attuale Governo è allora più evidente che mai ma il prezzo da pagare è sempre più salato.
Sorvolando per ora sulle penose dichiarazioni di Monti, che nelle ultime settimane si è lasciato andare a previsioni che risulterebbero ridicole anche se enunciate da uno studente di economia del primo anno (1), conviene intanto soffermarsi sui reali scopi strategici della sua visita negli States.
Barack Obama lo ha convocato per indurre a più miti consigli la Germania, troppo rigida nel fissare i paletti che salverebbero l’euro e troppo indipendente nell’agevolare le sue esportazioni, mentre il mercato globale andrebbe riaperto ai prodotti “Made in USA” che attualmente risentono delle angustie del mercato interno. Convincerlo ad ammorbidire la linea di austerità voluta da Angela Merkel per evitare altri fallimenti come quello greco (la cui responsabilità ricade in buona parte proprio sulla banca statunitense Goldman Sachs), è quindi l’unica ragione degli elogi rivolti dal Presidente USA a Mario Monti.
Quanto questa operazione coincida davvero con gli interessi economici italiani, che sono anzitutto gli stessi dell’Europa, rimane tutto da dimostrare.

di Steve Brady

24 febbraio 2012

Mobilitiamoci, il pericolo è estremo



Dopo matura riflessione, invito i lettori ad aderire all’appello riportato qui:

L’Italia non deve aderire all'ESM. Ecco la mozione.

Scrivete in massa ai politici, parlamentari, ministri, eurodeputati, giornali, opinion makers in genere: è l’ultima possibilità di impedire la perdita definitiva e permanente della sovranità, o di quel che ne resta. Cancellata quella, finisce anche la libertà, una conquista che è costata secoli di lotte e sangue, e che i nostri figli e nipoti dovranno riconquistare con altre lacrime e sangue.

La mozione da inviare ai politici è già nel sito palermitano (grazie per una volta, siciliani!), e basta scaricarlo. I dettagli del pericolo estremo li spiega molto bene la giovane economista Lidia Undiemi (che non conosco di persona) nel video; chi ha tempo, legga il materiale in pdf.

Mi limito ad un sunto: i poteri finanziari stanno creando una entità finanziaria sovrannazionale sovraordinata non solo agli Stati, ma persino all’Unione Europea e financo alla Banca Centrale (BCE), che diverrebbe un’ausiliaria di questo «super-governo» di una qualità inaudita. Si tratta di un «governo dei creditori» contro gli Stati debitori che imporrà «rigori e austerità» per assicurarci che continuiamo a servire il debito.

Nella neolingua anodina, questa entità è denominata «Meccanismo Europeo di Stabilità» (ESM), e nel linguaggio demagogico del professor Monti, «Fondo Salva-Stati» (1).

Il suo vero nome è «Fondo Ammazza-Stati». Come dice benissimo la Undiemi, a questa entità gli Stati (sono 17, fra cui l’Italia) parteciperanno non come sovrani, ma «in qualità di soci e debitori»; e in qualità di debitori Italia, Spagna, Portogallo, Irlanda riceveranno istruzioni su quali tagli, austerità e rigori applicare ai loro cittadini (sudditi) «al fine di ottenere la liquidità necessaria per evitare il default» (un default che sarebbe saggio fare subito)...

Nell’ultimo «accordo», gli europei-creditori hanno imposto alla Grecia di inserire nella sua Costituzione una norma che dà assoluta priorità al pagamento del debito su ogni altro tipo di spesa pubblica: sanità, istruzione, pensioni comprese.

Il destino che hanno riservato alla Grecia, commissariata dalla Troika, diventerà il nostro. Lo ESM avrà il potere di svuotare le casse degli Stati senza che governi, parlamenti e cittadini possano opporsi. Per sostenere un euro agonizzante e un sistema bancario che merita di subire le conseguenze del crack mondiale che ha provocato, comincia il saccheggio senza limiti e senza controllo democratico.

Questo farà anche a noi lo ESM. Una dittatura dell’Usura sui popoli europei.

Una dittatura permanente. Perchè, contrariamente al Meccanismo Europeo di Stabilizzazione Finanziaria che già esiste, e spirerà nel 2013, questo ESM viene dotato di poteri vastissimi; che potrà esercitare per sempre.

Dotata della più totale impunità. Perché «nel trattato fondativo, si dichiara che lESM, il suo personale, i suoi dirigenti e i suoi beni, ‘godono dellimmunità da ogni forma di giurisdizione’», ossia nessuna magistratura potrà mai chiamarli in giudizio, qualunque magistratura europea. Anche la documentazione che l’ente produce durante le sue manipolazioni e i suoi affari, «non può essere oggetto di perquisizione, sequestro, confisca (...) derivanti da azioni esecutive, giudiziarie, amministrative e normative». Il segreto più assoluto coprirà i suoi atti.

Un simile livello di immunità supra legem, erano un tempo prerogative dei sovrani per diritto divino. Un tempo che si credeva del tutto passato. Invece, adesso le oligarchie ci restituiscono un monarca, il Re Usura.

Anzi, è peggio. Perchè lo ESM non è una pubblica istituzione di qualche genere. È un ente privatistico che «opera come un qualsiasi istituto finanziario, eroga prestiti, si rivolge ai mercati finanziari» per raccolta di fondi, «ed ha come scopo il profitto». In pratica, funzionerà come una banca. Nonostante ciò, godrà di totale esenzione fiscale sui suoi profitti. Ed avrà poteri totali sugli Stati indebitati.

E perchè mai un ente a scopo di lucro dovrebbe essere così totalmente insindacabile e superiore alle leggi di ogni Stato? Fino al punto di godere di totale esenzione fiscale? Soprattutto, perchè vuol essere dichiarato immune da ogni indagine giudiziaria in via preliminare? Evidentemente, ha in progetto di commettere azioni, che secondo i diritti vigenti in Europa, sono criminali.

Probabilmente, ipotizza la Undiemi, si prepara così a svendere senza aste e concorsi i beni degli Stati e dei privati, con sequestri e pignoramenti e grandi «privatizzazioni», per darli agli amici suoi. Violerà i diritti di proprietà, o anche peggio..

Si sta realizzando quel mostro finanziario anticristico che potrà obbligare «tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi, a farsi mettere un marchio sulla mano destra o sulla fronte. E nessuno poteva comprare o vendere se non portava il marchio, cioè il nome della bestia» secondo Apocalisse 13:16-18.

Solo un ultimo ostacolo trattiene ancora questa Bestia: il trattato ESM, per entrare in vigore, deve essere ratificato dai parlamenti nazionali. Quello italiano non lo ha ancora ratificato.

Non c’è dubbio che, se noi elettori non gli facciamo paura, ratificherà anche quest’ultimo tradimento. Il Parlamento attuale non ci ha risparmiato alcuno spettacolo della sua vergognosa bassezza, nessuno scandalo, nessuna esibizione di ladrocinio e di viziostà, di avidità e disonestà. È la propaggine residuale di una classe politica che ci ha portato a questa condizione di schiavi passo passo: aumentando il debito pubblico a livelli abnormi per ingrassare clientele; ratificando tutte le direttive eurocratiche che ci hanno privato della sovranità – la sovranità che gli avevamo delegato perchè la difendessero; abolendo anche da noi le norme che vietavano la commistione fra attività bancaria creditizia e speculativa; non opponendosi ad una globalizzazione che oggi mostra la sua faccoia devastatrice; è la classe che ci ha fatto entrare nell’euro al solo scopo di continuare ad indebitarsi, approfittando dei tassi d’interesse più miti. Tutte le volte avrebbe potuto dire un «no», opporsi, rallentare il processo; non l’ha mai fatto. Ed ora, dopo il disastro provocato, di fronte agli interessi aggravati (lo spread), questa classe politica ha auto-certificato la propria indegnità e incapacità, cedendo il governo a «tecnici», a cui per giunta presta la foglia di fico democratica, sostenendo questo governo nominato dalle oligarchie e dai tedeschi, con il voto parlamentare. Una maggioranza parlamentare mai vista, e concordemente bipartisan.

Questa classe politica si adatta benissimo la sua nuova, vergognosa condizione di traditrice della nazione; la perdita della sovranità non la angoscia; conta di sopravvivere coi suoi emolumenti e prebende appunto nella nuova veste di votatrice automatica dei salassi e dei saccheggi che Monti esegue su ordine del supergoverno anonimo e pignoratore che si chiamerà ESM.

Proprio in queste settimane, la cricca parlamentare sta accordandosi dietro le quinte per confezionare una legge elettorale proporzionale, il cui solo scopo è di garantire a se stessa di sopravvivere alla propria inutilità certificata, di continuare ad esistere e a ricevere le prebende a dispetto della fine della democrazia e della sovranità popolare.

Dovrà solo votare per qualcosa che si avrà cura di nascondere all’opinione pubblica sotto il gergo anodino della flaccida dittatura eurocratica: «Modifica dell’articolo 136 del Trattato sul Funzionamento della UE». E la Bestia si leverà torreggiante su di noi.

Bisogna far paura a questi servi. Avvertirli che nessuno di loro – nessuno di coloro che oggi occupano un seggio nelle due Camere – sarà mai più votato. Bisogna scrivere ai giornali, esigere che rompano il loro complice silenzio sulla reale natura dello ESM.

Naturalmente, tutti i complici e i disonesti saranno lì a giustificare la cessione di sovranità invocando la «situazione obbiettiva» di enormi debitori che devono elemosinare il denaro ai «mercati»; implicheranno che la sovranità è un lusso che non possiamo più permetterci – come il posto fisso, salari decenti e assistenza sanitaria. Invocheranno la «forza maggiore».

Tutte balle. Recentemente, in una conferenza a Roma, m’è capitato di rievocare un caso (l’unico) in cui la sovranità italiana fu vittoriosamente difesa a dispetto di una «situazione obbiettiva» infinitamente più tragica dell’attuale, una economia bombardata, una penuria di mezzi che riduceva le capacità di reazione quasi a nulla, e la pesante tutela di una potenza europea rigida e spietata che ci stava sul collo. È un esempio estremo, politicamente scorretto, impronunciabile: la Repubblica Sociale Italiana.

Certo non era facile affermare la sovranità diuna repubblica creata dal nulla dai tedeschi, bisognosa del loro appoggio, nella condizione della disfatta, in un piccolo territorio di un Paese già largamente occupato (liberato) dagli Alleati, e per di più travagliato dalla guerra civile. Che potevano fare i ministri di quella repubblica prossima a sparire nel sangue (durò infatti venti mesi), se non adeguarsi alla condizione di Stato-fantoccio del tedesco, e pensare intanto a salvare la pelle propria, il proprio futuro, a mettere in salvo le famiglie?

Ebbene, non andò così. Un mese dopo la sua nomina, il ministro delle Finanze di quello Stato evanescente come il fumo, Domenico Pellegrini Giampietro (un napoletano), ingiunse ai tedeschi di ritirare immediatamente dalla circolazione i «marchi d’occupazione» (Reichskreidit Kassenscheine) con cui le truppe germaniche, ogni volta che entravano in una bottega a comprare le poche merci esistenti, commettevano di fatto un esproprio senza indennizzo (nel Meridione liberato, gli americani continuarono per anni a inondare il Paese della loro moneta d’occupazione, le AM-lire).

Ma la RSI non era più territorio occupato, era un alleato: dunque le truppe germaniche favorissero adempiere ad ogni pagamento esclusivamente in lire italiane. E di cessare requisizioni e prelievi di fondi dalle nostre banche. Anzi, visto che c’erano lavoratori italiani nel Terzo Reich, Pellegrini Giampietro pretese ed ottenne il trasferimento in Italia dei loro risparmi. Frattanto, impedì il trasferimento del Poligrafico di Stato a Vienna; fece restituire buona parte dell’oro che la Wehrmacht aveva sottratto alla Banca d’Italia, e mise al sicuro le sue riserve d’oro e valute a Fortezza, dove gli americani le trovarono intatte nel ‘45 (2).

Nello stesso tempo – e nonostante la repubblica dovesse versare ai tedeschi ogni mese 7 miliardi di lire come «contributo per le spese militari, fortificazioni, riattazione delle vie di comunicazione» –, il ministro riuscì a mantenere il potere d’acquisto della lira, anche con un ferreo controllo sui prezzi. Chi ha vissuto quei tempi al Nord, li ha ricordati, non senza motivo, come tempi di paura e di tessere alimentari da fame: ma i dati dicono che al Nord, nel periodo, gli alimentari rincararono del 50%, mentre nel Meridione liberato, del 400%. E la repubblica di Salò riuscì ad aumentare la razione di pane nei mesi invernali. La stampa di carta moneta fu oculatamente controllata: dei 137,8 miliardi autorizzati, ne stampò 110,9. Il Nord dunque non conobbe l’inflazione galoppante del Sud, dove infuriava inoltre il colossale mercato nero (alimentato dai surplus americani), la prostituzione per scatolette, sigarette e calze di nylon, la criminalità impunita e la fame – talchè si può dire che il collasso morale di Napoli, divenuta capitale del malaffare, risalga a quella «liberazione».

Con un introito fiscale devastato dalle distruzioni e dalla povertà (ma nei primi mesi del ‘45 Pellegrini Giampietro era riuscito ad aumentare il gettito a 2 miliardi al mese), ebbe perfino la capacità di restituire il valore di parità ai titoli di Stato (che dopo l’8 settembre erano crollati al 30% del loro valore facciale). Come fece? Personalmente non so. Ma forse una cattedra alla Bocconi, tralasciando lo studio delle meraviglie speculative di Wall Street e della City, potrebbe dedicare un «master in political economy» per capire i segreti della finanza pubblica in condizioni finanziarie ed economiche disperate, la scienza in cui Pellegrini Giampietro si rivelò maestro.

Il materiale documentale c’è: il ministro repubblichino riuscì a pubblicare, per l’esercizio finanziario, 1944-45, regolari bilanci di previsione e consuntivi, regolarmente pubblicati dalla Gazzetta Ufficiale. Vi si può constatare che le entrate dello stato di Salò (386,8 miliardi) superarono le uscite (359,6), configurando dunque un attivo di bilancio di quasi 21 miliardi. Sarebbe istruttivo apprendere come ci riuscì.

La cosa stupì anche gli americani. Il senatore Victor Wickersham, venuto a visitare le macerie d’Europa, dichiarò nell’agosto del ‘45: «La situazione economica dellItalia settentrionale (quella su cui aveva governato la RSI) è molto migliore non solo rispetto alle altre regioni dellItalia meridionale e centrale (quella occupata da loro), ma anche in confronto ad altri Paesi europei in precedenza visitati dalla Commissione di controllo... Germania, Olanda, Norvegia, Belgio e certe zone della Francia». (Il Popolo, 25 agosto 1948) (3).

E non si creda che l’affermazione della sovranità in qualche modo venisse da sè, fosse accettata con legalistico scrupolo dai tedeschi. No, ogni vittoria fu strappata dal piccolo (di statura) Pellegrini Giampietro in aspri confronti con l’ambasciatore Rahn, che si sentiva ovviamente il governatore della colonia, e finì per aver quasi paura di quel «neapolitaner» che si opponeva punto per punto con incredibile competenza e oratoria, che per ogni «contributo» che gli dava, li obbligava a firmare protocolli in cui si riaffermava la sovranità monetaria dello Stato, che i tedeschi dovevano riconoscere, quindi, nero su bianco. I tedeschi provavano continuamente a smantellare le industrie esistenti e trasferirle in Germania, a mettere le mani sull’oro pubblico, i comandi della Wehrmacht facevano requisizioni, sentendosi in diritto dato il «tradimento» di questo popolo di traditori. Si doveva ad ogni istante, con tutte le forze ed anche senza aver forze reali, lottare contro il disprezzo che trasudava da ogni azione e parola dell’«alleato», ahimè giustificato. No, non fu certo facile. Pellegrini era in qualche modo un tecnico, ma lo sosteneva qualcosa d’altro: coraggio personale e amor di Patria (4), entrambi inflessibili.

Due cose che la Bocconi non insegna. Due cose che i politici non hanno mai considerato necessarie ai loro successi. Per gente così, esiste sempre la «forza maggiore».




1
) Occorre constatare che persino in demagogia il professor Monti supera di gran lunga il Berlusconi. Tronca le pensioni e aggrava le tasse, e chiama il decreto «Salva-Italia». Non fa nulla per stroncare i parassitismi, se non un tentativo di disciplinare i tassisti, e chiama questo nulla «liberalizzazioni», anzi «Cresci-Italia». Quando impapocchia le sue «riforme», e le sue «liberalizzazioni», Monti e il suo governo tecnico stanno attentissimi a non toccare, nemmeno sfiorare, i gangli maggiori dei parassiti pubblici, vera causa del debito. Per esempio, si veda la furbesca «lotta» ingaggiata coi sindacati per l’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Ciò che rende illicenziabili i fannulloni, gli assenteisti cronici e i ladri in azienda, non è in sè l’articolo 18: è il modo in cui lo interpreta la magistratura del lavoro, che continua a fare la Rivoluzione e la Lotta di Classe dai palazzi di giustizia, imponendo il reintegro dei suddetti ladri, assenteisti e fancazzisti. È quella che andrebbe abolita. Monti lo sa benissimo.
2) Intanto il ministro dell’Economia Corporativa, Angelo Tarchi, sventava i ripetuti tentativi dei tedeschi di trasferire gli impianti industriali del Nord nel Reich, con la plausibile scusa che qui erano esposti ai bombardamenti. Già ANIC e Montecatini ed altre erano state trasferite. Il ministro Tarchi riuscì a far firmare ai tedeschi un accordo in cui questi garantivano la restituzione degli impianti il loro ripristino, la sostituzione (se necessario) con complessi di uguale potenzialità e caratteristiche nell’ipotesi di distruzione, con spese totali a carico del Reich, oltre alla restituzione di materie prime asportate, prodotti semilavorati e la fideiussione della Deutsche Bank secondo le norme previste dalle convenzioni (...). Sulla base di tale accordo, il governo della RSI emanava in data 31 maggio 1944 un documento (numero 340) che sanciva la competenza italiana in materia di politica industriale con valutazione degli impianti produttivi, per quanto atteneva alla loro capacità industriale, sulle materie prime, per la loro entità e quantità, sull’utilizzazione degli impianti in relazione alle commesse belliche, per le necessità civili, l’impiego della mano d’opera e le controversie relative in materia di tutela e decentramento degli impianti nel nord Italia (http://www.italia-rsi.org/uomini/giampietropellegrini.htm).
3) Dopo la «liberazione», il governo italiano antifascista (Bonomi) nviò nel Nord il ministro del Tesoro Marcello Soleri a constatare quel che aveva lasciato il collasso della Repubblica Sociale.
Soleri riconobbe: «L'importo della circolazione monetaria durante la RSI, è risultato notevolmente inferiore all’andamento previsto, poiché il governo repubblicano ha fatto più largo ricorso al debito fluttuante (...). Sono stati stampati e messi in circolazione soltanto lire 110.881.000.000 sul totale di lire 137.840.000.000 autorizzate. Tutto ciò è abbastanza confortante (...). Tali situazioni economiche-fìnanziarie, malgrado il protrarsi dell’occupazione tedesca, sono risultate meno disa-strose di quanto si temeva, cosicché gli oneri previsti per la ricostruzione, rimarranno limitati in misura inferiore a quanto previsto e la ripresa della produzione industriale dell’Alta Italia potrà essere rapida...» (confronta Il Globo numero 104 del 6 giugno 1945).
4) Il patriottismo di Pellegrini Giampietro fu riconosciuto da un testimone sorprendente: la Corte di Cassazione dell’Italia antifascista, che ovviamente processò il ministro di Salò con l’accusa di collaborazionismo. La Corte lo definì un «protagonista della difesa del tesoro nazionale», riconobbe che la sua opera aveva impedito che il Nord-Ialia «divenisse completa preda dei tedeschi», e concluse nella motivazione della sentenza di assoluzione: «La sua opera fu ispirata ad amor patrio, non già ad asservimento al nemico, tanto più meritevole in quanto svolta fra pericoli d’ogni genere». Nonostante l’assoluzione, Pellegrini Giampietro andò in esilio, prima in Brasile, poi in Argentina e Uruguay, dove fondò banche e diresse giornali, e dove la morte lo prese il 18 giugno 1970. Era nato nel 1899, adolescente aveva combattuto volontario nella Grande Guerra (era un «ragazzo del ‘99»), e poi nella guerra di Spagna.
di
Maurizio Blondet

23 febbraio 2012

Il Dollaro e gli Stati Uniti d’America sull’orlo del baratro

dollaro collasso_20120220

Nell’ultima settimana o giù di lì, ho notato una insolita quantità di articoli molto ben scritti e densi di dettagli che mettono in guardia su una triste sorte e su un orrore finanziario incombente. Questi articoli non sono scritti da un branco di arrabbiati blogger ignoranti, ma da gestori di fondi, investitori ed editorialisti finanziari. Sono tutte persone che avevano visto giusto che stava maturando il crollo del 2008, e la mia scommessa è che lo sono di nuovo. Dopo il crollo del 2008, i media del sistema delle comunicazioni di massa (MSM) ci avevano raccontato: “Nessuno aveva previsto ciò che stava per arrivare”, che è una menzogna sfacciata che non funzionerà più.

Jim Quinn di “TheBurningPlatform.com” scriveva un profluvio di documenti su realtà preoccupanti, che non sentirete mai sul MSM.
Quinn espone la tesi di una rovina in arrivo con statistiche, grafici e logica tagliente come un rasoio in un post dal titolo “Illusion of Recovery–Feelings vs. Facts - Illusione di una ripresa – Emozioni vs fatti.”

Questa la sua sintesi:

Non c’è modo di evitare il collasso finale di un boom creato esclusivamente dall’espansione del credito. Coloro che sono al potere non potranno mai rinunciare volontariamente al loro grande gioco del saccheggio della ricchezza della nazione, e così il risultato finale sarà il collasso economico. Costoro continueranno ad utilizzare la propaganda, le rotative e le mezze verità per portare avanti i loro programmi. Ma chi esamina i fatti arriverà alla conclusione logica che ci stanno vendendo un grande menzogna.

(Qui si può leggere il documento di Jim Quinn, abbastanza lungo ma decisamente valido)

Altri titoli di testa recitano “Molti di noi non vedranno mai l’arrivo di giorni felici.”

Gli articoli riportano una molteplicità di dati statistici che dimostrano il fallimento degli Stati Uniti d’America. Lo sapevate che “il 49 per cento di tutti gli Statunitensi vive in una casa che ottiene dirette provvidenze monetarie da parte del governo federale”?

(Qui si legge su questo argomento)

Che ne dite di questo piccolo post intitolato “Perché, per la maggior parte degli investitori, i concetti di fallimento di sistema o andare a fondo stanno sullo stesso piano di elementi della fantasia come Piedone e gli Unicorni?”

Il gestore finanziario Graham Summers cita due fatti sgradevolmente mostruosi:

1) le banche commerciali statunitensi attualmente sono al vertice della classifica per la detenzione di derivati pari a 248 MILIARDI di dollari.

2) la Federal Reserve sta comprando il 91% di tutta la nuova emissione del debito a lungo termine degli Stati Uniti (allo stesso tempo la Cina e la Russia stanno liberandosi delle obbligazioni usamericane).

(Qui si legge per approfondimenti su questo argomento)

Esempi di altri titoli:

A Financial Crisis in 2012 is Inevitable! Here’s Why
(È inevitabile una crisi finanziaria nel 2012! Ecco qui il perché)

Government Is Dead Man Walking-The Fiscal Situation Is Much Worse Than Most People Realize
(Il governo è un uomo morto che cammina – La situazione finanziaria è peggiore di quello che la gente può immaginare)

The Financial Crisis Of 2008 Was Just A Warm Up Act For The Economic Horror Show That Is Coming
(La crisi finanziaria del 2008 è stata solo un’azione di riscaldamento per lo spettacolo dell’orrore economico che sta per cominciare)

Tutti questi articoli sono stati scritti nell’ultima settimana o giù di lì, e tutti danno corpo a valide analisi. Ce ne sono stati molti di più, che però ho escluso per ragioni di brevità. Tenete ben presente, questi documenti trattano solo di argomenti e dei fondamentali dell’economia. La guerra in Medio Oriente non è menzionata in nessun articolo.

Se andiamo a considerare le ostilità che coinvolgono la Siria, l’Iran, Israele, la Cina, la Russia e gli Stati Uniti, si inorridisce al solo pensiero!
La guerra porterebbe al collasso, al caos, e al disastro finanziario in tempo molto breve. Oh, sicuro, per buona misura mettiamo nella mistura anche la crisi del debito europeo!

L’esperto finanziario e operatore di borsa a Wall Street James Rickards pensa che lo scenario più probabile che andrà a presentarsi sarà il “caos” che deriverà dal crollo del dollaro USA. In un’intervista di questa settimana, Rickards ha dichiarato:

Siamo ancora in tempo per tirarci indietro dal baratro, ma questo richiede specifiche prese di posizioni politiche: smembrare le grandi banche, mettere al bando i derivati, alzare i tassi di interesse per rendere gli Stati Uniti un magnete per i capitali, tagliare la spesa pubblica, eliminare i guadagni in conto capitale (dovuti alla differenza tra il prezzo di vendita e quello di acquisto di uno strumento finanziario, ad esempio azioni) e le tasse sui redditi da impresa, appiattire le imposte personali sui redditi, e ridurre la regolamentazione a carico delle imprese sulla creazione di posti di lavoro. Tuttavia, sembra remota la probabilità che queste politiche vengano messe in atto - così lo scenario del collasso del dollaro deve essere preso in considerazione.

Rickards pensa che le cose andranno così male che il governo degli Stati Uniti “ricorrerà a poteri straordinari in una fase di emergenza economica.” Che cosa vuol dire tutto questo? Rickards continua:

Pochi Statunitensi sono al corrente e sono consapevoli dell’International Emergency Economic Powers Act (IEEPA) ... una serie di norme che assegna poteri dittatoriali al presidente degli Stati Uniti, di congelare i conti correnti, il sequestro dei beni, di nazionalizzare le banche, e adottare altre misure radicali per combattere il collasso economico, in nome della sicurezza nazionale.
Alla luce di questi poteri, si potrebbe considerare una serie di azioni, tra cui il sequestro di 6.000 tonnellate di oro straniero conservate presso la Federal Reserve Bank di New York che, se combinate con il tesoro già depositato a Washington di 8.000 tonnellate, permetterebbe agli Stati Uniti di diventare una superpotenza aurea in grado di dettare la forma del sistema monetario internazionale per il futuro, come hanno fatto a Bretton Woods nel 1944.

(Qui si legge l'intervista completa di Richards)

Il crollo finanziario è già in corso, non importa che il sistema delle comunicazioni metta in giro buone novelle. I prezzi degli immobili continuano a scendere, nonostante che il tasso dei mutui trentennali sia pari o inferiore al 4%. Per altri milioni di case sarà precluso il riscatto nei prossimi anni.
Il tasso di disoccupazione reale e di sottoccupazione arriva al 22,5%, e ci sono poche speranze di trasformare le cose in fretta , con il sistema industriale manifatturiero statunitense smantellato e trasferito alla Cina.
Una cifra record di 46 milioni di persone utilizza buoni pasto. Almeno il 90% di tutte le ipoteche sono supplite dal governo.
La Federal Reserve sta mantenendo un tasso di interesse allo 0% fino al 2014, e sta dando inizio ad un nuovo ciclo di stampaggio di moneta. (QE) (1)

Sulla scia della crisi del 2008, la Federal Reserve ha immesso 16,100 trilioni di dollari per salvare banche e aziende in tutto il mondo. Non sono stati soldi sufficienti perché, oggi, ci troviamo ad affrontare un altro disastro finanziario ancora più grande.
Le vendite di veicoli sono state sostenute con un nuovo ciclo di finanziamenti subprime. (2)

Il debito degli Stati Uniti rispetto al PIL è pari al 100% o superiore, e un altro aumento del tetto massimo del debito sarà probabilmente inevitabile prima delle elezioni di novembre.
È permesso alle banche utilizzare le frodi contabili del governo, che le fanno sembrare solventi.
La maggior parte degli Stati usamericani non sono solo completamente al verde, ma affondano in debiti enormi. I banchieri che hanno creato questi pasticci per trilioni di dollari di imbrogli non vengono perseguiti per paura di accelerare il collasso in moto.
I prezzi dei carburanti e alimentari sono in aumento, e l’inflazione sta correndo all’11% (se venisse calcolata secondo le valutazioni del governo nel 1980).

Mentre il dollaro è deprezzato, l’inflazione lo inchioderà. Questi sono solo alcuni segnali di una tragedia in atto. Il problema più grande che gli Stati Uniti hanno è il loro schiacciante debito che non potranno mai ripagare. Sono stati stampati tanti dollari per darli in prestito a sostegno delle banche e dell’economia. Non si può combattere una crisi del debito con infiniti salvataggi e creazione di moneta. È come combattere il fuoco con la benzina.

Un cambiamento monumentale sta arrivando e, per la maggior parte degli Usamericani, sarà doloroso, soprattutto per gli impreparati!

N.d.T.:

(1) QE, Quantitative Easing, vale a dire un alleggerimento quantitativo, che indica una delle modalità con cui avviene la creazione di moneta da parte della Banca Centrale, e la sua iniezione nel sistema finanziario ed economico con operazioni di mercato aperto.
Nel caso di QE, la Federal Reserve acquista, per una predeterminata e annunciata quantità di denaro, attività finanziarie dalle banche (azioni o titoli anche tossici), con effetti positivi sulla struttura di bilancio di queste ultime. La Banca Centrale può ricorrere al quantitative easing per il salvataggio di un istituto di credito, per eliminare dal mercato e dai bilanci delle banche i titoli tossici con elevati gradi di rischio o con bassa remunerazione, per fornire liquidità al sistema, quando le banche non si prestano denaro e le famiglie e imprese subiscono una stretta creditizia. Fornire liquidità alle banche, non significa fornirla al sistema economico (imprese, famiglie, ecc...) in quanto le banche potrebbero non utilizzare la liquidità, ma depositarla presso la Banca centrale stessa, e avere un tasso di interesse molto poco remunerativo, ma privo di rischi.

(2) Nel contesto finanziario degli Stati Uniti, questi prestiti “subprime” vengono concessi a soggetti che non possono accedere ai tassi di interesse di mercato, in quanto hanno avuto problemi pregressi nella loro storia di debitori. Questi prestiti sono rischiosi sia per i creditori sia per i debitori, vista la pericolosa combinazione di alti tassi di interesse, cattiva storia creditizia del debitore e situazioni finanziarie poco chiare, o difficilmente documentabili, associate a coloro che hanno accesso a questo tipo di credito. Una qualsiasi attività subprime (finanziamento, mutuo, carta di credito, ecc.) si qualifica prevalentemente per lo stato della parte debitrice. Un mutuo subprime è, per definizione, un mutuo concesso ad un soggetto che non poteva avere accesso ad un tasso più favorevole nel mercato del credito. I debitori subprime hanno vissuto storie creditizie fatte di inadempienze, pignoramenti, fallimenti e ritardi di pagamento. Poiché i debitori subprime vengono considerati ad alto rischio di insolvenza, i prestiti subprime hanno tipicamente condizioni meno favorevoli delle altre tipologie di credito. Queste condizioni includono tassi di interesse, parcelle e premi più elevati.

Traduzione di Curzio Bettio per www.tlaxcala-int.org.

Fonte: http://www.tlaxcala-int.org/article.asp?reference=6852

22 febbraio 2012

Mosca e la formazione del Nuovo Sistema Mondiale





Imad Fawzi Shueibi esamina le ragioni e le conseguenze della recente posizione presa dalla Russia al Consiglio di Sicurezza. L’appoggio di Mosca alla Siria non è una posa ma il risultato di un’analisi approfondita dei mutevoli equilibri dei potere globali. La crisi in corso darà vita ad una nuova configurazione mondiale che dal modello unipolare, ereditato dopo il crollo dell’URSS, si evolverà gradualmente verso un sistema multipolare. Inevitabilmente, questa transizione coinvolgerà il mondo in un periodo di turbolenza geopolitica le cui ripercussioni vengono vagliate dall’autore.

1-3321-c1232Alcuni scommettono che, come d’abitudine, avverrà un cambiamento nella posizione russa verso la regione araba, simile a quello che avvenne nel caso iracheno e in quello libico. Tuttavia, quest’ipotesi può essere esclusa da una profonda analisi della posizione russa, per le considerazioni che seguono. Sembra che la regressione russa non sia possibile nel mondo d’oggi, dato che Mosca vede negli attuali eventi, e nel confronto con l’Occidente, ossia con gli europei e gli statunitensi, un’opportunità per formare un nuovo ordine mondiale, che superi quello che ha prevalso nel periodo post-Guerra Fredda e dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Quest’ultimo, rappresentato dall’unipolarismo, ha si è spostato verso il non-polarismo dopo la guerra in Libano del 2006.

Vladimir Putin ha espresso quest’idea in un messaggio del 14 gennaio 2012, nel quale ha annunciato che stiamo assistendo alla formazione d’un nuovo ordine, diverso dall’unipolarismo. Ciò significa che Mosca andrà fino in fondo negli sforzi per impedire che tale processo sia scavalcato: anche fino ad un conflitto. La dichiarazione del Ministero degli Esteri russo, secondo cui l’Occidente commetterebbe un grave errore se attaccasse l’Iran (seguita da quella di Putin per cui, se l’Occidente tentasse azioni unilaterali, la Russia non rimarrebbe inerte ma reagirebbe con forza), non è altro che un ultimatum. Mosca, infatti, non accetterà nessun accordo, tipo quelli presi a proposito dell’Iraq o della Libia. Oggi tutto tende a un nuovo ordine mondiale, che accompagna il ritiro strategico americano dall’Iraq: il presidente Barack Obama ha annunciato la diminuzione delle forze statunitense da 750.000 a 490.000 unità e la riduzione del bilancio per la difesa a 450 miliardi di dollari.

Ciò comporterà l’incapacità di lanciare due operazioni militari nello stesso tempo, ma avvia il confronto con la Cina nel Sudest asiatico, che si sta lavorando ad armare. Il 7 gennaio 2012 Pechino ha risposto dichiarando che “Washington non è più in grado d’impedire al Sole cinese di sorgere”. Washington sta ricommettendo la follia d’affrontare la Cina, avendo perso la battaglia con Mosca su molti fronti, sia nel gioco del gas in Turkmenistan ed Iran, sia sulla costa orientale del Mediterraneo (con l’annuncio della nuova strategia Washington si ritira dalla regione, pur impegnandosi a garantire la stabilità e sicurezza del Medio Oriente affermando che rimarrà vigile).

Putin, per quanto riguarda la sua strategia che va al di là dei propositi elettorali, ha scritto quanto segue: “Il mondo è sulla soglia di una fase di disordine che sarà lunga e dolorosa”. Quindi, Putin afferma decisamente che la Russia non inseguirà le illusioni del sistema unipolare che sta crollando, e che non potrà garantire la stabilità mondiale in un momento in cui gli altri centri d’influenza non sono ancora pronti per assumersi quest’onere. In altre parole, siamo di fronte ad un lungo periodo di confronto con il sistema unipolare, destinato a durare fin quando le altre potenze influenti non cementeranno un Nuovo Ordine Mondiale.

Di solito, gli Statunitensi si ritirano quando le loro prospettive di successo non sono né rapide né certe. Sanno molto bene quanto la loro economia stia deteriorandosi e quanto ininfluente stia diventando la loro forza militare, soprattutto dopo aver perso prestigio ricorrendo troppo allo strumento bellico. Putin, pur realizzando che il tempo non sta scorrendo all’indietro, invita i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, del G8 e del G20 a fermare qualsiasi possibilità d’emergere di tensioni etniche e sociali o di forze distruttive che pongano una minaccia alla sicurezza mondiale. Questa è una chiara indicazione del rifiuto della presenza di tendenze religiose nelle posizioni decisionali e dei gruppi armati non statali. Questi gruppi Putin li indica chiaramente come alleati degli Stati che stanno esportando la democrazia militarmente e tramite coercizione. Mosca, quindi, non si risparmierà nel fronteggiare tali tendenze politiche e questi gruppi armati. Il Primo ministro russo conclude affermando che la violazione del diritto internazionale non è più giustificabile, anche se dietro ci fossero buone intenzioni. Ciò significa che i russi non accetteranno nessun tentativo da parte della Francia, della Gran Bretagna e degli Stati Uniti di sostituire il principio di sovranità con quello d’intervento umanitario.

In realtà, gli USA non si possono completamente ritirare dal Medio Oriente. Stanno semplicemente disponendo l’area per una “guerra per procura”. Ciò accade in un momento in cui Putin ammette che le potenze emergenti non sono ancora pronte a prendere la loro posizione nel nuovo mondo non unipolare. Tali potenze emergenti sono la Cina, l’India, ed in generale gli stati dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai. Questo implica quanto segue:

  • Il mondo di oggi sarà più non-polarizzato di quanto lo è stato durante il periodo 2006-2011.
  • I conflitti saranno caratterizzati dall’essere globali, ma ci sarà un linguaggio che si intensificherà fino ad arrivare sull’orlo del baratro; avvisando dunque che tutto il mondo sarà a rischio di scivolarvi dentro.
  • La regola secondo cui le super potenze non muoiono nel letto, è una regola che richiama alla cautela a causa dei rischi di fughe in avanti; soprattutto quando una super potenza si trova al di fuori del sistema principale a cui era stata abituata fin dalla Seconda Guerra Mondiale, e le sue opzioni si troveranno dunque ad oscillare tra il fare la guerra e l’innalzare la tensione nelle aree d’influenza altrui. Finché la guerra tra super potenze è resa difficile, se non impossibile, dagli armamenti nucleari, l’aumento delle tensioni o l’avvio di guerre per procura diventano alternative per i conflitti per (auto)fortificarsi sul piano internazionale. C’è anche l’opzione di una ridistribuzione soddisfacente delle zone d’influenza secondo una nuova Jalta. Oggi è fuori discussione, ma in futuro chissà: nulla può essere escluso per sempre nell’azione politica. Esiste una regola secondo cui è possibile sconfiggere una superpotenza, ma è preferibile non farlo. Meglio piuttosto permetterle di salvarsi la faccia e far coabitare le nuove e le vecchie superpotenze. Ciò è avvenuto con Francia e Gran Bratagna dopo la Seconda Guerra Mondiale.
  • La massima preoccupazione è per la continuità dello status quo che tracima la ferocia della Guerra Fredda, differenziandosi però per gli strumenti utilizzati finché gli Stati del Patto di Shanghai non saranno in grado di prendere le loro posizioni. Ciò significa che le zone di conflitto (Corea, Iran e Siria) saranno oggetto di un logoramento a lungo termine, che nel linguaggio della politica contemporanea può essere letto come “apertura” sull’effetto domino; cioè apertura all’incalcolabile e senza precedenti, e passaggio da lotte limitate a conflitti più azzardati. É certo che i paesi coinvolti nella scontro saranno quelli coinvolti nella spartizione, e che la ripartizione internazionale non dovrà necessariamente avvenire a loro spese, in quanto fanno parte della lotta. Tutti gli altri paesi staranno ai margini dello scontro oppure diventeranno strumenti di tale scontro, oggetti della spartizione. Viste le regole della lotta internazionale (tra cui quella per cui il coinvolgimento è parte della spartizione), tali paesi non perdono l’iniziativa né la libertà di decisione ed azione; essi devono seguire il principio della fermezza, una regola basilare nella gestione delle crisi.
  • La realtà è che la gestione delle crisi sarà la regola che informerà la fase in arrivo, che potrebbe durare per anni. Tuttavia, il rischio è che si gestiscano le crisi con altre crisi, focalizzandosi su regioni instabili come il Mediterraneo Orientale e l’Asia Sudorientale.

di Imad Fawzi Shueibi
Traduzione di Serena Bonato - Imad Fawzi Shueibi è presidente del Centro di Studi Strategici di Damasco.

20 febbraio 2012

Monti arbitro venduto




monti-time276171Forse abbiamo perso i giochi olimpici del 2020 ma le gare olimpioniche di autolesionismo sono tutte nostre. Il rush finale dell’imbecillità e della codardia ci vede sempre primi al traguardo, mentre siamo costantemente ultimi nella maratona del successo e della gloria. Consoliamoci, quindi, con il premio disciplina e con i riconoscimenti al fair play di cui Monti ha fatto incetta in Europa e nel mondo, grazie al suo loden nero e al suo modo di dirigere questa partita truccata come un arbitro venduto. L’operazione Roma 2020 secondo il Premier costerebbe troppo e ci sarebbero grossi rischi di non riuscire a coprire le spese. Poi però apprendiamo dai giornali e dalle fonti ufficiali che si buttano mld di euro nelle missioni militari all’estero, tutte riconfermate, le quali ci vedono immancabilmente gregari degli altri e quindi mai trionfatori ed incassatori di reali riconoscimenti. Solo medaglie di consolazione per aver aiutato i nostri partners a stravincere, anche a nostro danno. Come dire, pacche sulle spalle e prese per il culo, o se più vi piace, due pesi e due miserie corrispondenti per una nazione specialista nel lancio del martello sui coglioni. Evidentemente, da secchione qual è, Monti si disinteressa dello sport e dell’educazione fisica alla quale preferisce l’educazione e basta per marcare la differenza tra il buontemponismo superficiale di chi lo ha preceduto ed il suo mirabile bon ton. I mercati gradiscono poiché la sua moderazione istituzionale si traduce in inchini alle borse e adesioni incondizionate ai diktat degli organismi internazionali che hanno scommesso sulla disfatta dell’Italia, preparandosi a fare man bassa di trofei pubblici nel nostro Paese. Ha ragione l’economista La Grassa quando parla di pura propaganda dei tecnici in queste vicende che sono orientate a “creare ulteriore confusione e rottura del tessuto nazionale. Quelli di ‘Roma ladrona’ gongoleranno. Al centro-sud si incazzeranno. Si conferma che questo governo corrisponde in pieno, con l’altrettanta piena complicità del centro-destra berlusconiano, al disegno americano di creare pantano e palude dove appena si può. Non siamo al divide et impera per un disegno coloniale del tipo inglese ottocentesco, ma per diffondere il massimo marasma possibile: tutti contro tutti, un disfacimento molecolare, un pullulare di bande in un ambiente sempre più fatiscente e invivibile, magari tipo Blade Runner, in cui si scatenerà la caccia ai replicanti”. Tuttavia in qualcosa Monti è davvero un campione imbattibile, è l’asso assoluto delle trasvolate transoceaniche finalizzate a riportare la vittoria nelle gare di riverenze e di servilismo. Pare che, il Patrick De Gayardon della bergamasca, abbia confidato ai signori di Wall Street di voler tentare una missione no limits: tagliare la spesa statale cominciando dall’impiego pubblico. Non entrerà nel guinness dei primati poiché lo ha anticipato Papademos in Grecia ma il professore giura che sarà ancora più drastico e deciso del suo omologo ellenico. Questa combinata atlantica gli permetterà di scoccare frecce avvelenate contro le inveterate abitudini peninsulari del posto fisso e del reddito bastevole a far fermare il cronometro alla fine del mese. Cambierà gli italiani, lo ha garantito ad Obama come una minaccia e potrebbe anche fare centro perché la finanza speculativa ha reso il Belpaese un bersaglio immobile e facilmente abbattibile. Ma Monti non dimentichi, olimpiadi o meno, che l’unica disciplina sportiva veramente amata dai suoi connazionali è il football. Se fin qui siamo stati fuoriclasse nel tiro al pallone, potremmo diventare eccellenti anche in quello al pallone gonfiato. Pallonaro avvisato mezzo sgonfiato.

di Gianni Petrosillo

19 febbraio 2012

Il piano "solo". Il colpo di stato "democratico" e atlantista dell'Arma dei carabinieri

Il cosiddetto “Piano Solo” – che prevedeva il solo utilizzo dell’Arma dei Carabinieri per il tentativo di colpo di Stato preparato nei primi anni Sessanta dal Gen. De Lorenzo per imporre una svolta autoritaria ed una politica “di destra” maggiormente allineata con i desiderata atlantici – rappresentò il primo vero tentativo golpista elaborato da ambienti militari nell’Italia del secondo dopoguerra.

La situazione internazionale dell’epoca era dominata dal confronto aperto tra i due blocchi contrapposti che facevano riferimento a Stati Uniti e Unione Sovietica. L’Europa, a causa della sconfitta militare subita dall’Asse e dalla seguente divisione bipolare, diventò ben presto uno dei terreni di conflitto a bassa intensità che opponevano le due superpotenze.

La spartizione bipolare USA-URSS determinata dagli accordi di Yalta del 1945 avrebbe caratterizzato un arco storico di circa mezzo secolo noto come “guerra fredda”.

Per comprendere realmente ciò che questo periodo ha rappresentato per il Vecchio Continente, privato da allora di una politica autonoma, della propria sovranità e ridotto a mera appendice dell’impero americano, la situazione italiana appare esemplare.

L’Italia era uscita dissanguata dal lungo conflitto mondiale che aveva portato ad una guerra civile tra italiani dopo la costituzione di due distinti Stati (la Repubblica Sociale al nord e l’effimero Regno proclamato nelle regioni meridionali dal Re Vittorio Emanuele e dal governo del maresciallo Badoglio dopo il vergognoso voltafaccia dell’8 settembre 1943 data che segnò un vero e proprio trauma nella coscienza civile di un paese che da quel momento non avrebbe mai più avuto alcuna sovranità nazionale).

La cosiddetta guerra di liberazione partigiana combattuta da un eterogeneo fronte di partiti politici italiani sostenuti dalle forze armate d’occupazione anglo-americane aveva messo in luce soprattutto la netta dicotomia esistente tra i movimenti d’ispirazione cattolica e liberale che proponevano un assetto democratico filo-occidentale per il dopoguerra e il Partito Comunista il quale rispondeva alle direttive provenienti da Mosca ed era determinato ad approfittare del conflitto per i propri interessi i quali avrebbero portato all’instaurazione di un regime sul modello sovietico come avverrà in tutti i paesi appartenenti al blocco orientale influenzato e sottomesso militarmente dall’URSS.

All’indomani della guerra i comunisti ed i loro alleati socialisti accettarono le regole democratiche, parteciparono alla Costituente e diventarono forza di governo alleata ai democristiani nei primi esecutivi post-bellici.

La situazione sarebbe presto andata modificandosi con l’avvicinarsi delle prime elezioni legislative fissate per l’aprile 1948 che vedranno una radicalizzazzazione del confronto tra la DC ed il cosiddetto “Fronte Popolare” delle sinistre. Una campagna elettorale che si palesò come un autentico conflitto ideologico tra gli alleati degli Stati Uniti e le formazioni socialcomuniste legate a Mosca.

Washington sosterrà finanziariamente e mobiliterà i suoi apparati per consentire la vittoria, risultata schiacciante, della Democrazia Cristiana che – peraltro – godette del sostegno incondizionato di un inedito schieramento di forze interessate a mantenere il paese all’interno della sfera d’influenza americana evitando pericolose derive verso il blocco orientale egemonizzato da Mosca.

La Chiesa, gli ambienti industriali, la Massoneria e la Mafia furono in prima linea durante quella campagna elettorale – e successivamente per tutti i successivi quarant’anni di monopolio politico democristiano – che sancirà la sconfitta delle forze d’ispirazione marxista.

La democrazia italiana da allora e fino agli anni Novanta apparirà un sistema politico bloccato all’interno del quale il partito di maggioranza relativa,la DC, – uno tra i più corrotti di tutta l’Europa occidentale – manterrà la propria autorità attraverso le alleanze con i partiti laici minori (PLI, PRI, PSDI) e, dai primi anni Sessanta in poi, grazie al sostegno del PSI che aderirà a quella formula di centro-sinistra riformista e progressista che continuava ad escludere i comunisti dall’area di governo.

L’esclusione del PCI dal potere centrale (ai comunisti venne concessa l’amministrazione di importanti regioni soprattutto nell’Italia centrale dove più forte era la loro base elettorale ma dove si sarebbero concentrate anche importanti unità militari nazionali e NATO) rappresentò una costante che caratterizzerà tutta la politica italiana da allora sottomessa alle volontà provenienti dagli Stati Uniti in una posizione di sottomissione propria di una sorta di protettorato neo-coloniale con una casta di politici servili alle direttive provenienti dai centri studi d’oltre Atlantico e dalle amministrazioni al potere a Washington.

“L’importanza di tener lontani i comunisti dal governo in Italia – scrive Philip Willan (1) – non era solo determinata dalla presenza nel paese delle basi militari Nato o dalla sua posizione strategica. Il trattato di Yalta del 1945 aveva sancito la divisione dell’Europa in due blocchi geopolitici. Molti opinionisti in Italia attribuiscono il mantenimento di un tacito accordo tra le superpotenze circa la libertà di controllo sulle aree di reciproca influenza proprio a quella che chiamano “logica di Yalta”. Gli americani, secondo questa interpretazione, non avrebbero interferito nell’invasione sovietica della Cecoslovacchia e dell’Ungheria e, conseguentemente, non avrebbero tollerato l’ingresso di un partito comunista nel governo di un paese occidentale. (…) Quando alla fine degli anni Settanta si avanzò l’ipotesi di una coalizione di governo tra democristiani e comunisti, il governo sovietico e quello americano si allertarono, anche se per motivi diversi: i sovietici infatti preferivano che il Pci restasse all’opposizione, piuttosto che vederlo allineato con l’ideologia occidentale in un governo di coalizione.”.

Saranno proprio la fobia statunitense nei confronti di un possibile ingresso comunista nelle stanze del potere che susciterà fin dall’immediato dopoguerra una serie di misure di stretto controllo sulla vita politica italiana e un’ingerenza da parte dei servizi di sicurezza americani che si farà, mano a mano che crescerà la tensione politica, sempre più evidente. Sarà la CIA, coadiuvata dai nostri servizi di sicurezza civili e militari, la principale responsabile di quella strategia della tensione che interesserà un arco temporale che dalla fine degli anni Sessanta traghetterà il paese fino alla metà degli anni Ottanta in un clima di instabilità politico-economica, violenza politica, stragi e attentati che – come scrive correttamente lo stesso storico britannico – hanno rappresentato “l’attacco terroristico più violento e traumatico di qualunque altro paese dell’Occidente europeo, ad eccezione della Spagna e dell’Inghilterra. Fino al 1987 le stragi terroristiche hanno provocato la morte di 356 persone e il ferimento di oltre 1000: questo in un paese confinante con uno stato comunista, la Iugoslavia, che occupa una posizione strategica di dominio nel Mediterraneo e con il Partito Comunista più forte dell’Europa occidentale.” (2)

L’origine di questa vera e propria fobia anticomunista, che avrebbe provocato nei decenni seguenti le strategie della tensione e alimentato la violenza politica nel paese, è da ricercarsi nelle ultime fasi del conflitto mondiale quando Washington iniziò a reclutare – tramite i suoi agenti dell’Ufficio per i servizi speciali (OSS), i precursori dell’odierna CIA – per i propri interessi e la propria strategia post-bellica ex esponenti della RSI.

L’intera struttura informativa della RSI passò quasi in massa al fianco degli anglo-americani fin dal marzo 1945. Altri esponenti di primo piano del regime fascista costituito da Mussolini nel nord del paese sarebbero stati reclutati e salvati da agenti di Washington.

Gli americani compresero perfettamente la necessità di usufruire di quanti più alleati possibili nell’immediato dopoguerra perciò dopo aver reclutato i principali capi della mafia (fatti rientrare nel paese dopo lo sbarco in Sicilia dell’estate 1943) vennero attivati i canali della potente massoneria americana per riportare in vita le logge e ridare lustro e nuova linfa vitale ai fratelli tre puntini in Italia.

“Agli inizi del 1947 – ha scritto Wolfgang Achtner sul “Sunday Independent” dell’11 novembre 1990 – gli Stati Uniti stavano formando una rete clandestina in Italia settentrionale”.

Probabilmente non si trattava ancora di quella organizzazione che decenni dopo sarebbe stata rivelata dal premier Giulio Andreotti essere “Gladio” ma le intenzioni degli uomini dei servizi di sicurezza americani erano chiare per tutti i paesi dell’Europa occidentale.

Secondo quanto riportarono numerosi documenti l’ex capo della CIA, Allen Dulles, aveva progettato la costituzione di reparti segreti addestrati alla guerriglia anti-comunista con l’appoggio di tutti i governi europei alleati. Ne furono pertanto informate le principali autorità politiche che dovevano garantire una sufficiente copertura ad un’operazione under-cover gestita da personale NATO coadiuvato dai reparti militari più fedeli e disciplinati presenti nei diversi paesi europei.

Il quotidiano tedesco “Die Welt” sostenne che i servizi di sicurezza occidentali crearono in proposito una speciale commissione che aveva il compito di soprintendere questo genere di apparati.

La rete segreta era costituita da personale civile di dichiarata fede anticomunista.

Secondo quanto dichiarato dall’ex ministro della Difesa italiano, Paolo Taviani, durante il periodo in cui rimase in carica (1955-1958) i servizi segreti italiani era comandati e finanziati dai “ragazzi di Via Veneto” – dagli agenti della CIA presso l’ambasciata USA nel cuore della capitale – sottolineando l’assoluta sottomissione dei nostri servizi rispetto ai loro colleghi d’oltre Atlantico.

Gli americani in Italia reclutarono tutte le forze ostili al comunismo per inserirle all’interno di una loro strategia di contenimento: estremisti di destra, ex appartenenti alle formazioni militari della RSI così come molti partigiani ‘bianchi’ delle forze della Resistenza che rifiutavano l’ideologia totalitaria comunista, esponenti dell’industria e della finanza, massoni e appartenenti alla mafia e ad altre organizzazioni malavitose vennero cooptati dagli agenti della CIA e utilizzati per contenere l’avanzata delle sinistre.

In occasione della campagna elettorale italiana dell’aprile 1948 gli USA ebbero un validissimo aiuto anche dalla Chiesa cattolica che si gettò anima e corpo nella nuova “crociata” anti-comunista sostenendo , com’era logico d’altronde, senza riserve la Democrazia Cristiana da allora e per quasi cinquant’anni partito di massa d’ispirazione clericale e baluardo di un anti-comunismo allineato con le strategie statunitensi.

Il “Piano Solo” si inserisce in questo clima di tensione crescente e all’interno della formazione da parte statunitense di organizzazioni paramilitari parallele sotto l’egida NATO alle quali, in Italia, venne dato il nome di “operazione Gladio” sezione italiana di una rete di strutture anti-comuniste dislocate nei principali paesi dell’Alleanza Atlantica dell’Europa Occidentale e noti come strutture dell’apparato militare “Stay Behind”.

Il Generale britannico, Sir Anthony Farra-Hockley , ex comandante in capo delle forze NATO per il settore dell’Europa settentrionale, disse che era a conoscenza che in Italia era stato istituito una specie di servizio segreto clandestino con l’aiuto di agenti britannici e della CIA americana che lo finanziarono. La sezione italiana della rete era nota come Operazione Gladio (3).

La stessa fonte rivela che “Gladio era il nome dato alla sezione italiana di una rete con l’innocuo nome ufficiale di Commissione di coordinamento alleata, istituita con l’assistenza britannica dalla CIA negli anni ’50”.

L’affaire del golpe militare progettato dall’Arma dei Carabinieri venne alla luce nella primavera del 1967 quando il settimanale “L’Espresso” pubblicò una serie di rivelazioni sui preparativi di un colpo di Stato che sarebbe dovuto avvenire nell’estate del 1964 all’epoca in cui l’Italia stava per decidere uno slittamento verso sinistra con l’entrata dei socialisti nel governo.

La vicenda del Piano Solo è indicativa e rappresenta un nodo fondamentale per comprendere gli esatti rapporti di sudditanza esistenti tra le forze armate ed i servizi segreti della Repubblica nata dalla Resistenza ed i loro padroni a stelle e strisce.

Nel gennaio 1969 venne istituita una commissione parlamentare d’inchiesta per accertare, secondo le indicazioni contenute nei passaggi finali della Commissione Lombardi, se le iniziative prese e le misure adottate in relazione agli eventi della primavera-estate del 1964 dall’Arma dei Carabinieri dovessero essere ritenute in contrasto con le disposizioni vigenti e con gli ordinamenti della Costituzione.

Il principale riferimento per la Commissione parlamentare fu rappresentato dalla relazione del Gen. Beolchini il quale rivelò come, presso l’ufficio “D” del SIFAR fosse stata commissionata dall’allora Gen. De Lorenzo l’apertura e la stesura una serie di fascicoli personali che , a partire dal 1959, raggiunsero negli anni seguenti la ragguardevole cifra di 157mila dei quali 34mila dedicati ad esponenti del mondo economico, a politici e a quelle categorie ritenute di interesse strategico per i nostri servizi segreti militari.

Le indagini della Commissione misero in luce che il Gen. Giovanni De Lorenzo aveva esteso il suo programma di sorveglianza del mondo politico, economico e finanziario italiano allo scopo di identificare i sospetti simpatizzanti di sinistra che, secondo le direttive impartite ai vertici dell’Arma in quella primavera-estate del ’64, avrebbero dovuto essere arrestati e quindi trasportati e incarcerati in campi di concentramento predisposti sull’isola della Sardegna.

Stando quanto dichiarò all’epoca il Gen. De Lorenzo, capo dei carabinieri all’epoca del tentato golpe, questa attività di spionaggio era stata richiesta e veniva passata per la supervisione all’Ufficio Sicurezza della NATO, ufficio preposto a decisioni fondamentali quali , per esempio, il rilascio del NOS (Nulla Osta Sicurezza) concesso o meno ai responsabili di governo che si alternavano frequentemente alla guida di un paese instabile dove una corrente della DC sembrava propensa ad accordi con i comunisti.

De Lorenzo interrogato in merito al suo lavoro di schedatura indiscriminata di gran parte della classe politica e industriale del paese risponderà che “la questione dei fascicoli è una questione di sicurezza del Patto Atlantico” e come tale venne trattata ossia mediante l’estensione all’intera vicenda del Segreto di Stato.

I nominativi dei futuri enucleandi in Sardegna tra gli esponenti ed i simpatizzanti della sinistra non vennero mai resi noti all’opinione pubblica.

In merito ai fascicoli del Sifar riferì ai magistrati il generale Antonio Viezzer che di tutte quelle informazioni vennero raccolte dai servizi nel periodo 62-63 furono fatte lunghe sintesi: “Dette sintesi – affermò Viezzer – furono inviate dal generale Giovanni Allavena (all’epoca capo dell’Ufficio “D” del Sifar ndr ) al generale De Lorenzo che all’epoca era comandante generale dell’Arma dei Carabinieri.”. Accadde però che “Tali sintesi in copia originale inviate a De Lorenzo non sono state più rintracciate.”. E, fatto ancor più stupefacente, ricomparvero e fecero ancora parlare di sé quando i magistrati decisero la perquisizione presso la Villa del Gran Maestro Venerabile della Loggia Propaganda 2 (P2) Licio Gelli a Castiglion Fibocchi che le utilizzerà per tutto il decennio dei Settanta per ricattare l’intera classe politica italiana e aumentare considerevolmente la sua influenza sulla scena politica e industriale nazionale.

“Se si pensa – scriverà Pietro Calderoni (4) – che il gen. Allavena, già capo dell’Ufficio ‘D’ del Sifar, vice di Viggiani, come lui “creatura” di De Lorenzo, e già capo dei centri “CS” di Roma risulterà iscritto alla P2, e che fu lui a formare le liste degli “enucleandi” nel “piano Solo” , l’intera vicenda risulterà chiarita. Ne deriva che l’illegittima continuità tra Sifar, comando generale dell’Arma, P2, fu solo alla base delle fughe di fascicoli e dei conseguenti ricatti e condizionamenti su ambienti politici e militari che contrassegneranno quella che la Commissioneparlamentare d’inchiesta sulla Loggia P2 definirà la “resistibile ascesa” di Gelli a posizioni di potere di impressionante spessore e vastità.”.

Inoltre secondo quanto scrisse il giornalista Roberto Faenza in un suo resoconto dettagliato sull’influenza americana nel nostro paese (5) una copia dei dossier del Sifar venne depositata nel quartier generale della CIA a Langley in Virginia. Faenza cita un cablogramma che attesta il ricevimento “dal nostro corrispondente presso i servizi segreti italiani” dei rapporti sui leader politici “in osservazione”.

L’operazione di spionaggio elaborata dal gen. De Lorenzo coinvolse anche numerosi prelati, vescovi e preti delle diverse diocesi e perfino il papa Giovanni XXIII.mo il quale andò su tutte le furie quando venne a conoscenza che il Sifar aveva piazzato dei microfoni negli appartamenti vaticani.

L’intera vicenda dei dossier Sifar andò avanti per anni con il beneplacito della presidenza della Repubblica e venne commissionata a De Lorenzo dall’allora capo della CIA William Colby.

A quanto risultò alla Commissione parlamentare la ricerca delle notizie per la compilazione dei fascicoli era stata realizzata violando sistematicamente il principio della stessa libertà personale attraverso pedinamenti, teleobiettivi, controlli clandestini della corrispondenza privata e delle comunicazioni telefoniche.

Quando oggi è cosa nota l’esistenza di strutture spionistiche satellitari su scala planetaria quali il complesso programma ECHELON non deve stupire che l’Italia della fine anni Cinquanta fosse già un campo di sperimentazione per questo genere di attività alle quali diedero alacremente il loro contributo i servizi di sicurezza civili e militari italiani.

Che la struttura segreta denominata Gladio non fosse un mistero per gli alti vertici militari italiani e gli ambienti dei servizi di sicurezza – i quali erano tenuti a risponderne in ambito NATO – si deduce anche dalle dichiarazioni rilasciate da diversi ufficiali nel corso di inchieste della magistratura italiana o di indagini parlamentari.

Così si esprimerà in proposito lo stesso Gen. De Lorenzo: “Esiste, presso lo Stato maggiore della Difesa , a latere del Sifar, l’Ufficio sicurezza del Patto Atlantico che garantisce la sicurezza dei funzionari cioè di tutti coloro che vogliono svolgere un certo lavoro…Questo ufficio di sicurezza, che deve reperire queste notizie, fa capo all’Arma dei Carabinieri, che svolge le indagini. Queste indagini vengono fatte affluire o all’Ufficio centrale o agli uffici ministeriali con le considerazioni adeguate. Sulla base di queste considerazioni , se sono favorevoli, si dà il nulla osta di sicurezza.”

Analogamente si espresse il Gen. Vito Miceli, per anni capo del Sismi – i servizi militari – in occasione del processo nel 1977 per il tentato golpe Borghese del dicembre 1970: “C’è , ed è sempre esistita, una particolare organizzazione segretissima, che è a conoscenza anche delle massime autorità dello Stato. Vista dall’esterno, da un profano, questa organizzazione può essere interpretata in senso non corretto, potrebbe apparire come qualcosa di estraneo alla linea ufficiale.”

Miceli sostenne che le sue attività rientrassero nei compiti istituzionali.

Un altro esponente delle forze armate chiamato a rispondere davanti alla Magistratura di progetti eversivi, il Ten. Col. dei servizi segreti militari Amos Spiazzi, dopo aver confessato di aver preso parte ad una cospirazione di destra guidata da un’organizzazione denominata “Rosa dei Venti” (simbolo ufficiale dell’Alleanza Atlantica) così rispose al giudice che gli chiese se avesse o meno ricevuto l’ordine di allertare gruppi irregolari di sostegno alle forze armate nel giugno 1973: “Ricevetti un ordine da un mio superiore militare, appartenente all’organizzazione di sicurezza delle forze armate, che non ha finalità eversive ma si propone di proteggere le istituzioni contro il marxismo. Questo organismo non si identifica con il Sid, ma in gran parte coincide con il Sid.”.

Dunque in linea generale tutti i principali protagonisti , esponenti di primo piano delle FF.AA o dei servizi, chiamati a rispondere circa l’esistenza di un organizzazione segreta militare confermarono che si trattasse di qualcosa di pienamente istituzionale e direttamente collegata ai vertici NATO ed a conoscenza delle massime autorità politiche come , d’altronde, confermò pienamente il premier Andreotti quando nell’autunno 1990 decise di rivelare all’opinione pubblica italiana l’esistenza di Gladio.

Le cosiddette “unità di supporto” irregolari erano rappresentate dai coloro che, molti anni più tardi, la stampa italiana conobbe con il nome di ‘gladiatori’.

“Il reclutamento di unità di supporto irregolari – scrive Philip Willan (6) – è un tema ricorrente negli scandali dei servizi segreti: attraverso tali unità si arriva poi agli agenti infiltrati e alla manipolazione del terrorismo. Una delle persone coinvolte nel reclutamento era il colonnello Renzo Rocca, direttore dell’ufficio controspionaggio industriale del Sifar, l’ufficio perla Ricercaeconomica e industriale (Rei). La commissione parlamentare d’inchiesta per lo scandalo Sifar appurò che Rocca usava i fondi dei servizi segreti e altri contributi di industriali per reclutare persone per operazioni paramilitari, che venivano stipendiate come “informatori” dei servizi segreti. “Tale reclutamento si rivolgeva soprattutto ai carabinieri e agli ex marinai in congedo, ma si estendeva anche ad altri gruppi di “ragazzi di avventura”, che avrebbero dovuto fungere da provocatori”, chiariva la relazione di minoranza. Le attività di Rocca erano seguite attentamente dalla Cia. Secondo Faenza, il capo della sede romana William Harley spinse il colonnello a destabilizzare i tentativi di Moro di raggiungere un’intesa coi socialisti. Harvey suggerì a Rocca di usare gli “squadroni d’azione” per “compiere attentati contro le sedi della Democrazia Cristiana e di alcuni quotidiani del nord, da attribuire alle sinistre.”. Faenza affermò inoltre che Harvey era in possesso di liste contenenti più di 2000 nomi di esponenti di destra appartenenti a gruppi paramilitari, che si erano disponibili per azioni anticomuniste. Rocca si suicidò nel 1968, poco prima di essere interrogato dalla commissione parlamentare. La sua morte fu uno dei misteriosi suicidi e incidenti che ricaddero su coloro che erano a conoscenza delle attività più delicate dei servizi segreti italiani. (…) I legami di Rocca con i servizi segreti spinsero alcuni agenti a introdursi nel suo ufficio (pressola FIATdov’era finito a lavorare un anno prima ndr) per rimuovere certi fascicoli prima delle indagini della magistratura. Secondo alcune voci sottrassero un dossier riguardante l’attività di reclutamento esercitata da Rocca nel 1964. (…) Rocca non fu l’unico in possesso di informazioni sullo scandalo Sifar a morire prematuramente. Il 27 aprile 1969 l’ex capo dei carabinieri, generale Carlo Ciglieri, che aveva commissionato un’indagine sugli eventi del 1964, morì in un incidente stradale. Ciglieri guidava lungo un rettilineo poco fuori Padova quando la sua macchina inspiegabilmente uscì di strada. Stranamente non venne ritrovato alcun documento utile alla sua identificazione e le fotografie scattate sul luogo dell’incidente mostrarono l’esistenza di una busta, in seguito scomparsa. L’uomo cui Ciglieri aveva commissionato l’indagine era il generale Giorgio Manes, morto in seguito a un infarto il 25 giugno 1969 poco prima di testimoniare davanti alla commissione parlamentare.”.

Tra i compiti che Rocca svolse per conto del Sifar vi fu anche il finanziamento dell’Istituto Alberto Pollio che organizzò nelle giornate dal 3 al 5 maggio 1965 la conferenza tenuta all’Hotel Parco dei Principi di Roma sulla “guerra rivoluzionaria” alla quale presero parte numerosi esponenti del neofascismo italiano in particolare si ricordano i nomi di:

a) Guido Giannettini, giornalista e informatore dei servizi segreti, in seguito accusato di aver preso parte alla strage di Piazza Fontana del dicembre 1969;

b) Stefano Delle Chiaie, fondatore dell’organizzazione neofascista Avanguardia Nazionale;

c) Mario Merlino,

d) Enrico De Boccard, fondatore dell’Istituto Pollio;

e) Pio Filippani Ronconi, docente universitario già appartenente alla divisione italiana Waffen S.S. ;

f) Pino Rauti, fondatore del centro studi “Ordine Nuovo”

g) Giorgio Pisanò, esponente del MSI milanese;

Di questi ultimi due , Rauti e Pisanò, sono interessanti le ammissioni che vennero pubblicate in un libro-intervista apparso a metà anni Novanta.

Alla domanda “lei crede che a un certo punto l’estrema destra, pur di combattere contro il comunismo, sia scesa a patti, abbia collaborato con lo Stato repubblicano e antifascista? Rauti risponderà: “Si. Ha collaborato, più o meno sottobanco, e in certi momenti soprattutto sottobanco. (…) Io stesso sono stato coinvolto in rapporti coi militari. Scrivendo, insieme a Edgardo Beltrametti, l’opuscolo “Le mani rosse sulle forze armate”, commissionato dal generale Giuseppe Aloia.” (7).

Mentre Pisanò alla domanda su chi avrebbe messo le bombe a Piazza Fontana risponderà: “Il ministero degli Interni. L’ufficio affari riservati del Ministero degli Interni. (…) …questa gente aveva studiato una strategia: noi mobilitiamo qualche scriteriato a destra e qualche scriteriato a sinistra, gli facciamo mettere qualche bombetta qua e là, un po’ di colore rosso e un po’ di colore nero, montiamo la stampa e dimostriamo che se non rafforziamo di nuovo il centro, gli opposti estremismi prendono il sopravvento. E allora cominciarono le bombe sui treni e così via , senza provocare morti.” E , all’intervistatore che gli faceva notare che i morti a Piazza Fontana ci furono replicherà: “Si ma fu un errore. Quel giorno le bombe nelle banche furono tre, due a Milano e una a Roma e altre bombe vennero messe all’Altare della Patria. Scoppiarono tutte dopo le 16.30, orario di chiusura delle banche, e le due all’Altare della Patria erano messe in un punto tale da non nuocere a nessuno. Insomma non si voleva uccidere. Ma chi mise quelle bombe non sapeva che quel giorno una banca, una sola banca in tutta Italia, sarebbe rimasta aperta oltre il normale orario di chiusura: la Banca Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana a Milano”. Andando poi oltre ed attaccando Franco Freda: “Freda…eh io li ho difesi tutti a spada tratta ‘sti fessi, anche se non lo meritavano. Freda è quel cretino che fornisce i timer. Ma attenzione: Freda non sapeva che i timer sarebbero stati usati per fare una strage. (…) Ho fatto carte false per dimostrare che Freda con i timer non c’entrava niente, ma la verità è questa. Freda cascò in un trappolone. Fornì i timer senza sapere a cosa servivano.” Sentenziando infine che “Nelle stragi ci sono solo imbecilli italiani”. (8).

Imbecilli più o meno consapevoli o criminali poco cambia. Soprattutto perché affatto imbecilli furono – e piuttosto consapevoli – coloro che diedero vita al piano Solo.

Un piano di emergenza per l’ordine pubblico di cui il Ministro della Difesa , con una nota del 12 maggio 1969, informò le autorità della magistratura.

I documenti relativi al piano per l’ordine pubblico e la sicurezza nazionale che prevedevano l’impiego di reparti della sola arma dei carabinieri erano contenuti in quattro minute. Più precisamente, come si evidenziò, la prima era costituita da un quaderno manoscritto a penna redatto dal Comando della Divisione Carabinieri “Pastrengo” di Milano , con giurisprudenza per l’Italia settentrionale. La minuta risulterà manoscritta dall’allora Colonnello dell’Arma Mingarelli all’epoca responsabile dell’Ufficio di capo di Stato maggiore della divisione. E’ firmata dal generale di divisione Markert e munita di timbro tondo ed intestata come “Pianificazione riservatissima – Progetto Generale”.

Il Colonnello Mingarelli sarà pesantemente coinvolto dieci anni più tardi – nel 1972 – nella manipolazione delle indagini sulla strage di Peteano.

La seconda minuta , costituita dalla fotocopia di 19 fogli manoscritti, risultò redatta dal comando divisione carabinieri “Podgora” di Roma, con giurisdizione sull’Italia centrale oltre che sull’Emilia Romagna e la Sardegna.Laminuta risultò manoscritta dall’allora ten. col. dell’Arma Bittoni, all’epoca capo di Stato maggiore della divisione. E’ intestata “Piano Solo del comando II divisione Carabinieri Podgora”.

La terza , costituita da 28 fogli sciolti, risulta redatta dal comando della divisione carabinieri “Pastrengo” e contiene una bozza di pianificazione per la sola città di Roma anch’essa redatta dal col. Bittoni con allegate due mappe della capitale. E’ intestata “Traccia per la compilazione del progetto Solo”.

Infine la quarta minuta, costituita da 32 fogli dattiloscritti, risulta redatta dal comando carabinieri divisione “Ogaden” di Napoli con giurisdizione su tutta l’Italia meridionale. E’ intitolata “Piano per il mantenimento dell’ordine costituito nel territorio dello Stato”. A quanto risulta dagli atti d’inchiesta parlamentare l’allora comandante dell’Ogaden, gen. Celi, incaricò il col. Romolo Dalla Chiesa di predisporre “uno studio inteso a vedere come l’Arma, nella nostra giurisdizione, avrebbe potuto far fronte a sovvertimenti” (dalla deposizione resa dallo stesso Dalla Chiesa alla Commissione d’inchiesta).

Secondo quanto affermato dal ministro della Difesa non esistevano altri originali delle minute in questione mentre per quanto riguardava lo schieramento delle forze dell’Arma , la consistenza dei reparti, le procedure esecutive del piano Solo rimaneva in vigore il segreto militare.

Venne ovviamente respinta anche la richiesta di ottenere le liste degli enucleandi appartenenti al PCI che furono distribuite nella primavera-estate 1964 ai comandi di divisione dell’Arma.

Il meccanismo di approntamento del piano si mise in movimento su impulso del generale De Lorenzo. “Il gen. Picchiotti, capo di Stato maggiore del comando generale, ricevette in tal senso un ordine dal comandante generale (…) E’ lo stesso Picchiotti ad affermare che, successivamente alla riunione del 25 marzo dei comandanti di divisione, a seguito della quale verranno predisposti gli appunti rinvenuti, egli ebbe a convocare i tre capi di Stato maggiore delle divisioni “presenti alcuni ufficiali del Sifar” per impartire, su ordine di De Lorenzo, disposizioni per l’aggiornamento del piano per la tutela dell’ordine pubblico. – scrive Calderoni (9) – Per le azioni di aggiornamento, fu incaricato il col. Tuccari…(…) Nel corso della riunione, venne accettata la proposta del ten. col. Mingarelli di riunire i piani di “emergenza speciale” preparati dai prefetti con il concorso dell’Esercito, dei Carabinieri e della Pubblica Sicurezza del 15-11-1961 (circolare Vicari) , adattandole agli scopi della pianificazione da apportare ed in particolare alle previsioni del “Solo” impiego dell’Arma dei Carabinieri. Lo schema predisposto dal Tuccari costituisce l’ossatura del “piano Solo” che prevedeva un insieme di azioni difensive ed offensive , tra cui le difese delle caserme, l’occupazione della sede della RAI-TV, delle centrali telefoniche e telegrafiche, di sedi di partito e di giornali, con il fermo degli “esponenti più in vista” il conseguente loro concentramento e trasporto. Era anche prevista l’occupazione del Quirinale e di Palazzo Chigi, allo scopo di “impedire che cadano nelle mani dei rivoltosi”. (…) E’ noto come, nel momento più delicato di tensione nel nostro Paese, venne sottoscritto l’accordo di governo tra democristiani e socialisti che segnò la fine della crisi, con l’accantonamento del “piano Solo” e la distruzione delle liste.”

L’allora Presidente della Repubblica , Antonio Segni, era a conoscenza del piano che, peraltro, prevedeva l’eliminazione di alcuni esponenti della sinistra democristiana in particolare circolò con insistenza il nome di Aldo Moro (ci penseranno le sedicenti Brigate Rosse quattordici anni dopo a portare a termine l’incombenza stabilita evidentemente oltre Atlantico ai più alti livelli dell’establishment statunitense).

Il piano golpista avrebbe dovuto trasferire il potere esecutivo nelle mani di una coalizione di centro-destra di cui avrebbe potuto essere nominato premier il democristiano Cesare Merzagora. Il golpe, cancellato all’ultimo momento, rappresenterà da quel momento e per tutto il decennio successivo un’opzione alla quale tenderanno interessati ambienti politici, industriali e militari come si evidenzierà nitidamente solo sei anni più tardi con il tentativo di colpo di Stato patrocinato dal comandante Junio Valerio Borghese e successivamente con altre iniziative analoghe che avrebbero aumentato la tensione politica e l’instabilità della società italiana.

Lasciamo la ‘chiosa’ finale alla firma di un blogger che , su un sito informatico della rete, ha lucidamente osservato: “Tali complessi ma affascinanti argomenti, di cui mi sono limitato a fornire una panoramica chiara e sintetica, ma non certo esaustiva, sono stati trattati con estrema serietà dal dottor Daniele Ganser, storico svizzero e capo del gruppo di ricerca presso il Centro per gli Studi sulla Sicurezza dell’Istituto Federale di Tecnologia (ETH) a Zurigo, autore del libro “NATO’s Secret Armies – Operation Gladio and Terrorism in Western Europe”( Gli eserciti segreti della NATO – Operazione Gladio e terrorismo in Europa Occidentale). Ganser si propone in particolare con la sua opera di definire con precisione il ruolo di “Stay Behind” nel contesto storico europeo sottolineandone la finalità politica di opposizione al rafforzamento del comunismo interno all’occidente, per timore di un collasso del blocco americano stretto da forze antagoniste esterne ed interne. Ganser ipotizza infine scenari inquietanti costruendo un parallelo fra la realtà della Guerra Fredda e l’epoca a noi contemporanea, affermando: ”La lezione che possiamo trarre, se riportiamo la nostra esperienza dalla Guerra Fredda alla situazione attuale, è che una strategia della tensione è tuttora implementata, ma stavolta contro i Musulmani. Tutti sappiamo che l’occidente dipende in larga parte dal petrolio, e si ha bisogno di un pretesto per sviluppare operazioni in Iran, Irak ecc. Non possiamo semplicemente recarci lì, ed invadere i loro territori, quindi abbiamo bisogno di pensare che stanno cercando di ucciderci. Quindi è possibile che una strategia della tensione sia in atto, nella quale i Musulmani stanno svolgendo il ruolo che i comunisti avevano nella Guerra Fredda. Tuttavia è troppo difficile,tutto sta avvenendo in modo velocissimo e ci sono pochi dati disponibili.” (10)

Come non pensare alle attuali “primavere arabe” ed al ruolo di agent-provocateur per tutto il mondo islamico dall’organizzazione Al Qaeda?

Au revoir…

DAGOBERTO HUSAYN BELLUCCI

Direttore Responsabile Agenzia di Stampa “Islam Italia”

NOTE –

1) Philip Willan – “I Burattinai – Stragi e complotti in Italia” – Ediz. “Tullio Pironti” – Napoli 1993;

2) Ibidem;

3) Richard Norton Taylor – Articolo apparso sul “Guardian” in data 15 Novembre 1990;

4) ( a cura di Pietro Calderoni ) – “Servizi segreti” – Ediz. “Tullio Pironti” – Napoli 1986;

5) Roberto Faenza/ Marco Fini – “Gli americani in Italia” – Ediz. “Feltrinelli” – Filano 1976;

6) Philip Willan – op. cit.;

7) Michele Brambilla – “Interrogatorio alle destre” – Ediz. “Rizzoli” – Milano 1995;

8) Ibidem;

9) ( a cura di Pietro Calderoni ) – op. cit.;

10) Articolo “Gladio e la strategia della tensione” – apparso sul sito informatico www.towrite.it in data 7 Luglio 2010;