30 giugno 2012

Rubiamo ai poveri per dare alle banche

La confraternita di usurai prezzolati che dopo il golpe dello scorso novembre usurpa i banchi del governo, continua a maramaldeggiare allegramente sotto la guida di Mario Monti e con il sostegno incondizionato di un parlamento composto da zombies, pronti a ratificare qualsiasi bestialità venga loro ordinata. Lacrima Fornero ha iniziato ad impegnarsi con cura certosina nella sostituzione della produzione industriale con quella dei disoccupati, il tutto naturalmente al fine di creare la crescita e partendo dal presupposto che "il lavoro non è un diritto", bensì una creatura ectoplasmatica destinata a venire esorcizzata per sempre. Il "buon" Di Pietro e la Lega si scagliano contro le sue parole, ritenendole in contrasto con la costituzione. Ma sono stati (anche) loro a sostituire la costituzione con il Trattato di Lisbona , perchè continuare a fingere che quello che è ormai ridotto a carta straccia esista ancora? I tagli dei servizi al cittadino e dello stato sociale oggi li chiamano "spending review", probabilmente perché usare il linguaggio del padrone incrementa l'appeal e contribuisce a far si che l'interessato non capisca una mazza di quello che viene ordito alle sue spalle.... Proprio nel nome dello spending review è partita la manovra Bondi che taglierà quel poco che resta del sistema sanitario italiano. Un taglio che dovrebbe far risparmiare allo stato circa 4 miliardi, necessari per pagare le missioni di guerra, ad oggi senza copertura finanziaria, per i primi interventi di ricostruzione in Emilia Romagna e per evitare che l'Iva venga aumentata. Il fatto che per fare fronte al terremoto in Emilia Romagna fosse già stata inserita un'accisa sulla benzina e che il governo già abbia legiferato per mettersi al riparo da qualsiasi onere concernente la ricostruzione delle abitazioni distrutte nel corso di calamità naturali, viene come sempre bellamente sottaciuto. Tagliamo e tassiamo per non aumentare l'Iva è il mantra più in voga per giustificare tutte le manovre di questi ultimi mesi. A settembre, quando l'Iva salirà al 23%, come già disposto per legge, il gingle cambierà e nel gioco del bastone e della carota verrà inserito un nuovo spauracchio sul quale fare leva, magari la stessa Iva al 25%. Che si tratti di "prending" review o di prendi e basta, l'unica certezza sembra essere quella concernente la destinazione d'uso dei denari. Missioni di guerra per conto terzi ed acquisti di armamenti a parte, quasi tutto il denaro sottratto alle tasche dei poveracci da Equitalia & company viene e verrà devoluto alle banche, per fare fronte alla bulimica ingordigia che ne rappresenta il tratto saliente. Nel solo corso del 2012, ben 48 miliardi di euro estorti ai contribuenti italiani andranno infatti a rimpinguare le casse del sistema bancario europeo, ma in qualche caso è possibile anche fare di più. Come sta accadendo in questi giorni con Monte dei Paschi di Siena, che il governo italiano ha premiato con un prestito di 4 miliardi di euro, per il nuovo piano industriale che prevede la chiusura di 400 filiali e l'eliminazione di 4.600 dipendenti. Il tutto nel nome della crescita prossima ventura, naturalmente. di Marco Cedolin

29 giugno 2012

Il “big bang” ha bisogno che scompaiano i due grandi partiti che hanno dominato in questi vent’anni

Finalmente non siamo più soli a invocare il “big bang” della politica italiana. Un paio d’anni fa, quando noi de “Gli Altri” abbiamo iniziare a battere su questo tasto, in molti ci hanno guardato con sospetto. “Perché mai un “big bang”? Forse volete allontanarvi dalla sinistra? Siete trasformisti, siete traditori, siete venduti”. A noi sembrava semplicemente di avere scoperto l’acqua calda. E cioè di esserci accorti – correva l’anno 2010 – che destra e sinistra italiana avevano fallito clamorosamente, che erano rimaste senza idee e senza programmi, che non riuscivano più a produrre pensiero politico e “progetti di società”, che non riuscivano neppure a costruire gruppi dirigenti, e di conseguenza non potevano più essere i pilastri di una nuova politica. Ma se la vecchia destra e la vecchia sinistra non sono più i pilastri della politica, i casi sono due: o si rinuncia alla politica o bisogna ripartire da zero. Noi dicevamo: ripartiamo da zero, cioè realizziamo, appunto, un vero e proprio “big bang”, torniamo a misurarci con le idee, con i grandi valori, con i progetti di società futura, con i principi di fondo (tolleranza, egualitarismo, individualismo, collettività, stato, mercato eccetera) e vediamo se sulla base del pensiero e non delle bandierine lise di una volta, riusciamo a ricostruire dei grandi schieramenti che si affrontino, si combattano, ripropongano il conflitto ma nella modernità e non si limitino a replicare, quasi a recitare, un conflitto che non esiste più. Eravamo però una minoranza piccolissima perché la grande maggioranza era per l’altra soluzione: rinunciare alla politica e sostituire la politica con una specie di cerimoniale del sottopotere, delegando i grandi compiti della politica (governare, produrre idee, distribuire risorse, riformare la società) a poteri esterni, e cioè al potere del mercato e dei padroni del mercato. Vi dirò la verità: a un certo punto stavamo quasi quasi per crederci che eravamo noi ad essere i pazzi. A forza di sentirci dire che “pensare” è tradire, che scrivere fuori dal pensiero dominante è solo voglia stupida di stupire, e che rinunciare alla distinzione novecentesca tra destra e sinistra vuol dire negare la sacralità della sinistra, ci era venuto il dubbio che avessero ragione gli altri. Poi è arrivato Monti, è arrivata Fornero, cioè si è realizzato il disegno tecnocratico e di abolizione della politica, e ora non siamo più soli a invocare il “big bang”. Si moltiplicano finalmente le voci e allora noi torniamo a insistere. E insistendo vorremmo chiarire un punto. Per mettere in moto un processo virtuoso di “big bang” occorre partire da una cosetta piccola piccola: sciogliere il Pd, che è un partito vuoto, privo di prospettive, nato – e dunque geneticamente marcato – da uno schema antichissimo di politica, basato solo sulla suddivisione del sottopotere, sulla cancellazione dei progetti, delle idee, e sull’offerta ai poteri reali (ai poteri forti) di un ceto politico informe e subalterno disposto ad amministrare la sotto-politica e il sottopotere, senza disturbare il manovratore. Il Pd è stato un tentativo generoso, da parte del vecchio ceto politico ex Pci ed ex democristiano, di mettersi a disposizione della borghesia italiana per provare a trovare un nuovo equilibrio che superasse il berlusconismo e restituisse all’Italia una situazione di moderatismo, di conservazione, e di placido ritorno agli anni Cinquanta. E’ andata male. Monti ha interamente fagogitato lo spazio politico del Pd. Monti è una specie di Pd più bravo. Bene, il “big bang” ha bisogno che scompaiano i due grandi partiti che hanno dominato in questi vent’anni. Il Pdl è sulla buona strada. Ora il problema è sgomberare il campo dal Pd. di Piero Sansonetti

28 giugno 2012

Tagli ai partiti, le solite “boiate”

di Wanda Marra Tre mesi (e passa) posson bastare per dimezzare i rimborsi elettorali ai partiti? L’evidenza dice che la risposta è no. Dopo il pasticcio del testo ABC, nato tra i proclami generali per garantire la trasparenza dei bilanci e per tagliare i finanziamenti ai partiti, e poi naufragato per evidenti e insormontabili incongruenze, e l’approvazione di un (altro) ddl a Montecitorio che l’unica cosa che stabiliva per certo era il dimezzamento della rata di luglio dei rimborsi, “tecnicamente ” questo evento non è ancora possibile. Approvato alla fine di maggio, il testo si è fermato in Senato, dove giace in Commissione Affari costituzionali. Si è andati a rilento, complici le riforme costituzionali (a proposito di tele di Penelope). Il passaggio all’aula dovrebbe avvenire nelle prossime settimane, visto che oggi scade il termine per la presentazione degli emendamenti alla legge. Peccato che sarà troppo tardi per tagliare la rata e contemporaneamente dare, come stabilito nello stesso testo, i 91 milioni di euro risparmiati ai terremotati dell’Emilia (i soldi, si legge, sono destinati agli “interventi conseguenti ai danni provocati dagli eventi sismici e dalle calamità naturali che hanno colpito il territorio nazionale a partire dal 1º gennaio 2009”). L’INGHIPPO è in una “dimenticanza” di Montecitorio: non è stata prevista l’entrata in vigore immediata della legge, e così la destinazione dei 91 milioni deve essere fatta con un decreto del governo, che aveva a sua volta 15 giorni di tempo per emanarlo. Ieri tuonavano i Radicali, capeggiati da Donatella Poretti: “Mancano soltanto 72 ore e poi i partiti riceveranno automaticamente i fondi. Infatti, a luglio scatta l’erogazione della rata”. In realtà gli uffici di Montecitorio spiegano che da sempre i rimborsi elettorali vengono destinati ai partiti con un ufficio di Presidenza verso la fine di luglio. E in effetti, la Gazzetta ufficiale dell’anno scorso – per esempio – portava la rata del 27 luglio. Ma comunque è difficile che la legge si riesca ad approvare in tempo. E qui entra in gioco il governo. Scoperto il problema, l’esecutivo si era impegnato a fare un decreto soltanto per la parte che riguardava il taglio della rata e il conseguente trasferimento all’Emilia. Com’è, come non è, però, sono due settimane che si è capito che i tempi sono più che strettissimi e che il governo promette interventi d’urgenza e poi non li fa. L’altroieri s’era detto “lo faremo domani”. Ieri mattina si parlava del Cdm di lunedì, peraltro il primo luglio. Ma poi ieri pomeriggio il sottosegretario Malaschini ha dichiarato: “Ci siamo impegnati a risolvere il problema. Lo faremo”. Senza specificare quando. Le voci che circolavano facevano intendere che, piuttosto che un decreto ad hoc, si stesse pensando ora a inserire un emendamento nel provvedimento della Spending review per arrivare a un’approvazione nella seconda settimana di luglio. Sempre più difficile. “Non si può dire che i 91 milioni vanno ai terremotati e al contempo far maturare il diritto – commentano i Radicali – perché gli stessi 91 milioni possano essere richiesti dai tesorieri dei partiti. Fino a che non interviene una legge nuova – o un decreto del governo – i 91 milioni sono nella piena disponibilità dei partiti". E persino Stefano Ceccanti, relatore per il Pd della legge, che in queste settimane ha mostrato un’incrollabile fiducia nelle decisioni prese, commenta: “Se si deve fare il decreto, che si faccia”. di Wanda Marra

26 giugno 2012

Banche e derivati. Il "botto" è vicino

Un allarme tardivo, ma realistico. E completa assenza di indicazioni su cosa fare per “impedire” il ripetersi di un film già visto. Banche e derivati sono la stessa cosa: i secondi sono “prodotti” dalle prime, non esistono per loro conto. Fin dall'inizio è apparso chiaro che tutti i discorsi sulla “riforma delle regole del sistema finanziario internazionale” non sarebbe approdata a nulla. Troppi “decisori” (sia dei maggiori stati che dell più importanti istituzioni economiche globali) sono incatenati – personalmente e strutturalmente – agli istituti di credito, ai fondi di investimento, ecc. Il governo degli Stati uniti, Obama a parte, ne è un esempio clamoroso da oltre un trentennio. Gente che esce dalla finanza o dalle grandi multinazionali per fare il ministro e poi torna a fare la finanza o l'impresa. Gli si può forse chiedersi di rinunciare a una carriera futura o di bastonare i propri recenti ex colleghi di lavoro? Ma c'è una dato ancora più chiaro che esce fuori da questo scandalizzato articolo de Il Sole 24 Ore – è tutto dire! - e che non dobiamo mai smettere di tenere presente: la sovraesposizione al rischio insito nel mercato dei derivati da parte delle banche si regge sulla ferrea convinzione che, tanto, se va male ci sarà un altro giro di aiuti pubblici riservati alle banche e al sistema finanziario. E' come se l'assicurazione obbligatoria per le automobili fosse a carico dello Stato: chi si preoccuperebbe più di evitare ammaccature e graffi da paercheggio, piccoli tamponamenti, investire pedoni sulle strisce, ecc? Alle grandi banche è riservato un privilegio di questo tipo: investire “a leva”, ovvero mettendo 10 di capitale proprio per mettere in moto operazioni da 1.000 (un numero a caso, ma proporzionato alle operazioni reali), con la certezza che se tutto va bene il guadagno viene intascato privcatamente, se va male si mette a conto del “pubblico”. Che dovrà tagliare ancora tutte le spese “non finanziarie” (scuola, sanità, trasporto pubblico, ecc). Un gioco del genere non è soltanto infame. Semplicemente, non può funzionare a lungo. Sono cinque anni che la crisi morde e non passa. Ttutto quel che è stato fatto finora è servito solo a ricreare le condizioni di partenza da cui è maturato il crack Lehmann Brothers e la “grande gelata” dei mercati tra il 2008 e il 2009. Sta per accadere di nuovo. E ovviamente con più forza di prima, su una scala più grande. Il valore nominale totale del "mercato dei derivati" (completamente fuori dei circuiti regolamentati), ha raggiunto i 650mila miliardi dollari, sette-otto volte il prodotto interno lordo di tutto il pianeta. Non esiste nessuno - né privato, né "pubblico" - che possa "garantire" da una valanga di queste dimensioni. di Claudio Conti

Giornalismo azzecagarbugli

Vedo avanzare una stagione sinistra. Quella del ritorno in grande stile degli Azzeccagarbugli che nel post Mani Pulite furoreggiarono riuscendo in pochissimi anni a trasformare i ladri in vittime e i magistrati nei veri colpevoli. Gli Azzeccagarbugli, intellettuali e giornalisti, sono specialisti nell'uso del sofisma, del paralogismo (argomento falso ma con l'apparenza di vero) e, come nel gioco delle tre tavolette, nel mischiare, a seconda di quanto gli torna comodo, i piani di discussione passando da quello giuridico al politico al sociologico, con l'intento di intorbidare le acque e rendere oscuro ciò che è chiaro, nero ciò che è bianco. Un caso direi di scuola è l'articolo scritto da Fabrizio Rondolino, ex uomo di D'Alema, per Il Giornale del 21.06 a proposito dell'autorizzazione all'arresto di Luigi Lusi data dal Senato: “È la prova che il giustizialismo, l'ordalia manettara, la subordinazione alla magistratura inquirente sono sopravvissuti alla fine dell'anti berlusconismo... È un giorno di lutto per la sinistra italiana perché il valore della libertà personale è più grande delle sottigliezze giuridiche... del protagonismo plebeo che esige ogni giorno un nuovo lazzarone da impiccare sulla pubblica piazza”. Noi che, a differenza dell'aristocratico Rondolino, siamo dei cittadini plebei vorremmo semplicemente che anche i nobili fossero chiamati a osservare quelle leggi che noi tutti siamo tenuti a rispettare. Perché l'uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge è il principio-cardine della liberal democrazia, se cade questo principio la democrazia perde ogni senso e legittimità e si traduce in un neofeudalesimo, con un doppio diritto, uno per i plebei, intransigente e feroce, e uno per i neoaristocratici, così lasco e morbido da diventare quasi inesistente. Insomma la vecchia, cara, schifosa giustizia di classe. Rondolino aggiunge: “La carcerazione preventiva è un crimine e uno scandalo... tenere le persone in prigione prima del processo significa esercitare una pressione sull'imputato che somiglia assai più alla tor tura”. Se questo principio fosse assoluto, allora deve valere anche per Giovanni Vantaggiato e per tutti coloro che sono attualmente in carcere in attesa di processo, in genere per reati molto minori di quelli imputati a Lusi, una grassazione di denaro pubblico per 25 milioni di euro che lui chiama graziosamente “un fatto di costume”. Ci sono invece casi in cui la carcerazione preventiva si rende necessaria e il Codice di procedura penale ne definisce rigidamente i requisiti. Naturalmente Rondolino parte dal presupposto, del tutto arbitrario, che questi requisiti nel caso di Lusi non ci sono e che quindi la richiesta d'arresto del Gip è illegittima: “Quali nuovi reati avrebbe potuto commettere Lusi? Quali prove avrebbe potuto occultare lui che parla con i magistrati e con i giornalisti ogni giorno? Oppure sarebbe fuggito all'estero?”. Ohè, se esistono o meno i requisiti per un arresto lo stabilisce il Gip, e in seguito il Tribunale della Libertà, e ancora successivamente la Cassazione o Fabrizio Rondolino costituitosi in arbitro e giudice unico, in Tribunale Speciale? Noi siamo plebei, ma non proprio così cretini da non capire che, per l'ennesima volta, la classe dirigente e i suoi lacchè ci stanno prendendo in giro. Ma di fronte alle solite fumisterie non sappiamo come reagire. Non abbiamo difesa. O, forse, una difesa c'è. Quando ero all'Europeo, c'era un giovane collega, Claudio Lazzaro, bel ragazzo, alto, aitante, dolce, un po' naif e ingenuo. E nelle assemblee di redazione i vecchi marpioni del giornale gli cambiavano ogni volta le carte in tavola, il bianco diventava nero e il nero bianco. Lui ne rimaneva sconcertato e amareggiato. Finché un giorno, dai e ridai, anche il mite Claudio perse la pazienza. Si alzò e grande e grosso com'era puntò sul caporione e guardandolo dritto negli occhi disse: “Bene, allora ditemi a chi devo spaccare la faccia?”. E il bianco tornò bianco e il nero nero. È davvero a questo che volete portarci?

25 giugno 2012

L'ombra del Bilderberg: "Monti fa gli interessi dei poteri forti mondiali"

L'autore del libro sul Bilderberg, il gruppo oligarchico finanziario di cui fa parte il prof, svela i piani del clan: "Hanno deciso di sacrificare la Spagna" «Monti? È Goldman Sachs » risponde in automatico Daniel Estulin, scrittore-investigatore russo (ma vive in Spagna) che col suo Il Club Bilderbergla storia segreta dei padroni del mondo si candida alla palma di maggior cospirazionista del pianeta. Se è un folle, le sue follie interessano parecchia gente: più di tre milioni di copie vendute in 81 paesi e 50 lingue diverse. Intervistarlo equivale ad entrare in un thriller ( ne stanno facendo un film) che ha per protagonisti banchieri, squali della finanza, magnati dell’industria, politici, lobby e logge segrete. Dentro questo plot, c’è pure Mario Monti, membro delle annuali riunioni del Bilderberg: «Monti è la perfetta esemplificazione del concetto di Compagnia unica mondiale (One World company Ltd, ndr) teorizzata da Lehman Brothers per il vertice Bilderberg del 1968». E che sarebbe? «L’idea che gli Stati nazione siano superati, e che la grande finanza, che già controlla l’industria attraverso le banche, debba prendere il posto delle nazioni. È quel che è successo». E il nostro premier Monti? «È il custode degli interessi dell’oligarchia finanziaria, non eletto da nessuno». Lei è un complottista. «Il gruppo Bilderberg non è una teoria cospirazionista, non è una società segreta. È una realtà, lo strumento con cui le oligarchie finanziarie, le élite di Usa e Europa, riescono a imporre le loro politiche ai governi». Il gruppo Bilderberg si è riunito due settimane fa in Virginia: cos’avrebbero deciso? «Hanno discusso del problema Russia, o meglio di Putin, che sta diventando un grande inconveniente per loro. Un membro europeo del Bilderberg ha ammesso che “Putin è di gran lunga il più formidabile avversario per i nostri piani”». Perché? «Bilderberg è particolarmente preoccupato per il gasdotto South Stream, che potrebbe risultare vincente rispetto a quello Ue Usa “Nabucco”. Ma la maggiore preoccupazione è il tentativo di Putin di integrare l’Asia in un blocco sotto la sua leadership , e poi l’intesa con l’Iran. Insieme controllerebbero il 50% del gas mondiale. Perciò il Bilderberg continua a finanziare il “Fronte civile unito” di Kasparov contro Putin». Hanno parlato anche della crisi in Europa. «Hanno deciso che la Spagna verrà sacrificata sull’altare della finanza. Il sistema bancario spagnolo è al collasso, la Santander ha un debito di 800 miliardi, e il Bilderberg lo sa. Il prestito di 100 miliardi è il primo passo verso la piena proprietà del Paese da parte della finanza mondiale. La Spagna non esiste più». E l’Italia sì? «L’Italia non è la Spagna, non ha bolle immobiliari, ha poco debito privato e ha un sistema creditizio solido, con 750 anni di storia. E soprattutto alcune delle sue grandi imprese formano una parte importante del Bilderberg Group». Secondo le sue fonti avrebbero deciso le sorti del dollaro. «Una delle principali conclusioni del meeting 2012 è che gli Usa dovranno svalutare il dollaro rispetto allo yuan per ridurre il debito degli Usa». Ma almeno lei ha capito cosa ci facesse Lilli Gruber al Bilderberg? «È una giornalista con molte entrature tra la “ money people ”. E lavorando in una tv importante ha accesso a un larga audience . E questo interessa il Bilderberg». di Daniel Estulin - Paolo Bracalini

24 giugno 2012

USA debito: si stanno mangiando l'Europa a suon di rating?

Gli Stati Uniti sono falliti e per evitare lo sconquasso e rischi seri di guerra totale, si stanno mangiando l'Europa a suon di rating farlocchi. Avrete seguito il bi et ba di Obama al G20 e gli europei sdegnati. (foto:infophoto) Ci ha spiegato come e qualmente loro hanno investito in competizione etc etc etc. Vabbe' famola corta: lo stato americano ha un deficit che è il 50% di quanto incassa, ovvero irrecuperabile. E in % sul PIL siamo al 16%, mai visto prima nella storia umana di NESSUN paese: l'Argentina, la Grecia etc etc sono andati in default al raggiungimento del 10%. E da anni. E parliamo SOLO del budget federale perche' i singoli Stati sono messi pure peggio e contano a parte. Ha da poco, pochi mesi, superato la soglia del 100% di Debito FEDERALE su PIL, ovvero tenendo conto anche del debito dei singoli stati, contee (come si fa in Europa) è già al 124% e come del resto perfino da me ampiamente previsto, nel giro di due anni avrà superato il livello di debito/PIL di tutti i paesi dell'OCSE. Una famiglia su 2 usufruisce dei food stamp, 46 milioni di "richiedenti" contro 83 milioni di famiglie. MOLTO peggio che nel '29. Ma è una bufala? E' possibile o cosa? Potete verificare, al volo, qui all' " Orologio del debito USA": Hanno messo su MILLE trecento MILIARDI di nuovo debito, l'8% del PIL giustappunto nel giro di sei mesi. Ci hanno fatto su persino le vignette. E con un deficit che è oltre il 10% del LORO PIL, con uno Stato che spende il DOPPIO di quanto incassa (una tacca sopra l'italia ai tempi di Craxi) che con un 16% di nuovo debito riesce a far finta di crescere per il 3% (un rendimento da vaporiera dell'800, sotto il 20% di risultati utili rispetto alle energie immesse) osano chiamarla ripresa ed osano darci lezioni? LOL se non ci fosse da dire COL, invece, dove la C sta per Crying... Cosa dovrebbero tagliare? Beh se tagliassero TUTTE le spese militari e TUTTE le pensioni avrebbero ancora un deficit di circa il 6% del PIL. Ovviamente troppo alto. Quanto poi a poterlo davvero fare: suvvia... Gli Stati Uniti sono FALLITI e per evitare lo sconquasso e rischi seri di guerra totale con la Cina et compagnia, causa consolidamento del debito da migliaia di miliardi di dollari nei loro confronti, si stanno mangiando l'Europa a suon di rating farlocchi. Questa è la verità, ma se si smette di sussurrarla e si comincia a gridare salta per aria il coperchio di Pandora che comunque saltera' per aria in ogni caso. Sembra tutto molto astratto. Poi le botteghe chiudono a vista d'occhio perfino in centro a Firenze. Poi vedo dignitosi pensionati e pensionate chiedere l'elemosina. Siamo a pochi mesi dai cartoneros, ecco il punto. E quella, intendiamoci, è la soluzione ottimistica, che vede semplicemente l'Italia ed alcuni altri paesi europei ridotti in rovina, senza guerre e soprattutto senza guerre atomiche. Perche' quando si raggiungono questi livelli di rischio a qualcuno, in qualsiasi momento possono saltare i nervi. Uff. di Pietro Cambi

23 giugno 2012

Il fallimento del sistema denaro: una opportunità?

«Un uomo stava camminando nella foresta quando s’imbattè in una tigre. Fatto dietro-front precipitosamente, si mise a correre inseguito dalla belva. Giunse sull'orlo di un precipizio, ma per fortuna trovò un ramo sporgente di un albero a cui aggrapparsi. Guardò in basso, e stava per lasciarsi cadere, quando vide sotto di sé un'altra tigre. Come se non bastasse, arrivarono due grossi topi, l'uno bianco e l'altro nero, che cominciarono a rodere il ramo. Ancora poco e il ramo sarebbe precipitato. Fu allora che l'uomo scorse una fragola matura. Tenendosi con una sola mano la colse e la mangiò. Com'era buona!». Koan Zen Un tempo si diceva che il battito d’ali di una farfalla in Polinesia poteva provocare una catastrofe nell’emisfero opposto. Era una classica iperbole della complessità, per esprimere il concetto che l’ecosistema Terra è integrato e ogni sua componente è interdipendente. Nel sistema mondo capitalista, l’iperbole si è realizzata patologicamente in economia, attraverso il denaro che, essendo virtuale, non conosce i limiti del contesto fisico ambientale. Enormi masse di denaro si spostano ogni giorno, ogni ora, ogni minuto da una parte all’altra del mondo senza trovare ostacoli. In un mondo integrato e globale, la spregiudicatezza locale nell’elargizione di mutui ipotecari – per restare alla nostra metafora – può avere conseguenze devastanti in ogni angolo del Pianeta. Quella in corso, tuttavia, è solo la più recente e ampia versione di una crisi strutturale, che sussegue ad altre degli ultimi anni montando con irreversibile compulsione: bancarotta del Messico nel 1996, tracollo delle "piccole tigri" asiatiche nel 1997, "subprime" americani nel 2008; quindi è rimbalzata in Europa, provocando il default dell’Irlanda e della Grecia, poi, come un’onda di ritorno, ha colpito di nuovo gli Stati Uniti, mentre in Europa le defaillance irlandese e greca hanno intaccato il Portogallo e la Spagna, e hanno aggredito l’Italia e oggi, probabilmente, tutto il vecchio continente. Una crisi, insomma, che non può essere governata, perché segna il punto d’arrivo di un modello di sviluppo basato sulle crescite esponenziali. In tal senso, come si fa ad uscire dalla economia debitoria – leggi “finanziarizzazione dell'economia” – senza uscire anche dall'economia della crescita? La crisi non si limita ai comportamenti criminali di un manipolo di speculatori; le sue cause strutturali, sistemiche, sono da individuare in una crescita smisurata e nel conseguente ricorso a vari tipi di indebitamento: finanziario (derivati, obbligazioni, titoli azionari mobilitati per un valore totale otto volte superiore al PIL reale), monetario (il denaro emesso è dodici volte il PIL mondiale), pubblico (sia quello contratto dai vari Stati con altri Stati, sia quello verso i propri cittadini-risparmiatori), privato (crediti al consumo, carte di credito ecc.). Via gli speculatori, quindi? Certo, ma di fatto non ci sarebbero grossi cambiamenti, perché anche l'azienda presso cui andiamo a lavorare, l'amministrazione comunale del posto in cui abitiamo, la locale azienda sanitaria, il fondo che gestisce la nostra pensione, la banca emettitrice del nostro bancomat e l'agenzia di Stato che versa il sussidio di disoccupazione al nostro vicino cassaintegrato sono da tempo, in un modo o nell'altro, indebitati. Tutti avevano fatto conto ("aspettativa", si dice in economia) di riuscire in futuro a guadagnare – facendo profitti, riscuotendo tasse, realizzando interessi, vendendo immobili e "cartolarizzando" il Colosseo... – più di quanto avevano ricevuto in prestito. Credevano, cioè, nella chimera di una crescita economica esponenziale e senza fine. Un calcolo tragicamente sbagliato. Da tempo – dieci, venti anni, e c’è chi dice trenta – le economie occidentali sono in crisi di realizzo, il loro tessuto produttivo non è più in grado di riprodurre guadagni tali da riuscire a mantenere gli standard dei consumi privati e pubblici. Per mascherare questo fallimento e allontanare il declino, le hanno tentate tutte: la leva finanziaria, i titoli tossici, il signoraggio del dollaro, oltre, ovviamente, al vecchio trucco di stampare carta moneta. Niente: nonostante le continue invocazioni e i lauti sacrifici umani, la "santa crescita" non arriva, e non arriverà mai più, almeno per chi è da questa parte del mondo. I debiti nelle economie industriali mature, a partire dagli Stati Uniti (il Paese maggiormente debitore, al mondo) hanno cominciato a crescere già a cavallo degli anni '70 e '80 del secolo scorso. L'immissione di crediti si è resa necessaria, perché si erano inceppati i normali meccanismi di profitto-accumulazione-investimenti-riproduzione fino a quel momento garantiti dai tradizionali cicli economici produttivi industriali. L'idrovora dell'espansione, dello sviluppo e della crescita è insaziabile. L'intensificarsi delle crisi (non solo finanziarie) rende sempre più stringente il dilemma: continuare a inseguire il benessere attraverso la crescita dei beni e dei servizi immessi sul mercato, pur sapendo che i costi ambientali e sociali per la maggior parte delle popolazioni della Terra superano di gran lunga i benefici, oppure cambiare rotta usando strumenti di riferimento diversi dal dettato economicista? Non è il caso di cominciare a domandarci se non sia una solenne sciocchezza pensare soltanto agli aumenti del PIL? O, addirittura, se non ce la faremmo lo stesso a cavarcela – e magari anche meglio – con una "economia in contrazione", cioè producendo, comprando e vendendo non molto di più di quanto ci è necessario per vivere? Un’economia "stazionaria", come la virtuosa ciclicità naturale insegna. La parola "crisi" in cinese, composta nei suoi ideogrammi, può essere interpretata abbinando il concetto di "crisi" con quello di "opportunità". Si può quindi uscire dall'economia del debito (cioè da quell’economia che pone gli interessi del capitale al di sopra di quelli del lavoro e della vita stessa delle persone e dell'ecosistema terrestre) e da tutto ciò che ne deriva. È questo, il vero recinto di pensiero da cui nessuno riesce a uscire. Le vecchie ricette keynesiane non hanno realmente più margini di applicazione, in una crisi strutturale di queste dimensioni e di questa qualità. È ormai chiaro che le risposte possono venire solo uscendo dalle regole e dai dogmi del mercato. Dovremmo pensare a un altro tipo di ricchezza, a un altro tipo di benessere, a un altro modo di lavorare e a un altro modo di relazionarsi, tra le persone, che non sia quello che passa attraverso il portafogli. In tal senso, diventa realistico parlare di post-crescita, se si indica la necessità è l’urgenza di un’inversione di tendenza rispetto al modello dominante dello sviluppo e della crescita illimitati. La società della crescita non è auspicabile per almeno tre motivi: dispensa un benessere materialistico illusorio, incrementa le disuguaglianze e le ingiustizie e non offre un tipo di vita filosoficamente o religiosamente giusto, conviviale e comunitario. È una "antisocietà", malata di ansia di ricchezza, di egoismo e di utilitarismo. Il miglioramento del tenore di vita, di cui crede di beneficiare la maggioranza degli abitanti dei Paesi "sviluppati" è un'illusione; indubbiamente, molti possono spendere di più per acquistare beni e servizi mercantili, ma dimenticano di calcolare una serie di costi aggiuntivi in forme diverse, non sempre monetizzabili, legate al degrado – non quantificabile, ma subìto – della qualità della vita (aria, acqua, ambiente): ad esempio, le spese di "compensazione" e di riparazione (farmaci, trasporti, intrattenimento) imposte dalla vita moderna o determinate dall'aumento dei prezzi di generi divenuti rari (l'acqua in bottiglie, l'energia, il verde...). Lo stesso criterio di “qualità della vita”, disponendo come principio essenziale, per una fattiva controtendenza, il reincantamento del mondo su principi certi inerenti alla sacralità del vivente e l’irriducibilità della condizione esistenziale dell’uomo come parte consapevole del cosmo, è oramai ostaggio del nichilismo individualista, che affoga nell’inautenticità della mercificazione universale. Un’inversione di tendenza si rende quindi necessaria, per il semplice motivo che l'attuale modello di sviluppo è ecologicamente insostenibile, ingiusto e incompatibile con gli equilibri omeostatici della natura: esso porta con sé, sulla scia dei Paesi ricchi, perdita di autonomia, alienazione, nichilismo pragmatista, aumento delle disuguaglianze sociali e dell'insicurezza personale e comunitaria. Occorre allora tracciare un percorso che ci conduca verso un nuovo immaginario, un paradigma alternativo, un’originale prospettiva meta politica. È questo, l'orizzonte di un'altra economia, giusta e sostenibile, cioè comunitaria; è questo, il sostrato materiale di un principio universale di giustizia internazionale: l'autodeterminazione dei popoli. In senso generale, se in ogni luogo c’è un centro del mondo possibile, è necessario che gli uomini tornino a essere abitanti del loro territorio, riprendano cioè in mano la questione ecologica e spirituale della loro sopravvivenza, dal momento che è oramai minacciata nella sua stessa sostanza dai meccanismi razionalistici, che si insinuano a livello cellulare fino al fondamento stesso del vivente. In questo orizzonte, l’esigenza identitaria va politicamente reinterpretata come energia costruttiva per la crescita della coscienza del luogo e per l’affermazione di modelli di sviluppo autocentranti, fondati sulle peculiarità socioculturali, sulla cura e la valorizzazione delle risorse locali – territoriali, cioè ambientali e quindi produttive e sostenibili – e su reti di scambio complementari e reciprocitarie, invece che gerarchiche, fra entità locali. Il principio di sussidiarietà deve partire dall’entità fondamentale della comunità naturale (la famiglia) e delegare alle entità superiori solo ciò che non è assolvibile dal livello fondamentale, autonomo e libero, e quindi coeso e comunitariamente partecipe dell’organismo complessivo. Allora l’uomo si sentirà parte di una comunità, protetto, e quindi avrà verso di essa un comportamento sobrio, responsabile e consapevole. Si vede subito, quali sono i valori prioritari da far prevalere su quelli oggi dominanti: la sacralità del vivente sulla mercificazione; l'altruismo sull'egoismo; la reciprocità sulla competizione; il piacere ludico e relazionale sull'ossessione del lavoro; l'importanza della vita sociale sul consumo; il gusto del bello, del bene e del vero sull'efficientismo pragmatico. Il problema è che i valori utilitaristici attualmente dominanti sono pervasivi, perché suscitati e stimolati dal sistema, che essi stessi, a loro volta, contribuiscono a rafforzare. La scelta di un'etica personale diversa, come quella della sobrietà volontaria, può incidere sull'attuale tendenza e minare alla base l'immaginario del sistema. Senza una sua contestualizzazione partecipativa, però, il cambiamento rischia di rimanere limitato al livello della coscienza individuale. È necessario un nuovo paradigma, che mostri in modo persuasivo l’indispensabilità di un mutamento epocale sul piano reale: culturale, sociale ed economico. Costruendo delle identità comunitarie tese al bene comune e alla ciclicità della natura, si può uscire dall'artificio vettoriale e suicida della modernità. di Eduardo Zarelli (prefazione al volume Sull'orlo del baratro di Alain de Benoist,

22 giugno 2012

Chi suona la lira?

La Grecia sta all’Europa più o meno come la Basilicata sta all’Italia, ma con la grande differenza che quest’ultima regione è importantissima per il nostro Paese in virtù delle sue immani risorse energetiche mentre la Repubblica Ellenica, ormai in rovina, esporta rovine ed importa turisti, flaccidi tedeschi o odiosi francesi. Insomma, senza la Lucania ce la vedremmo senza oro nero, mentre abbandonati dalla Grecia la vita non ci cambierebbe molto. Eppure, il coro unanime degli eurospacciatori ripete come una nenia che con Atene fuori dai giochi l’euro crolla trascinandosi dietro tutta l’UE. Laddove questo fosse credibile sarebbe un’ennesima attestazione della fragilità di una unione monetaria priva di basi politiche che qualcuno ritiene indispensabile, a questo punto con motivazioni altrettanto incredibili. Ovviamente, sto esagerando per mettermi al livello delle balle sesquipedali di cui si servono gli eurotravet per spaventare il resto della popolazione continentale, alla quale non deve baluginare nella testa l’idea di ricominciare col vecchio conio nazionale, altrimenti la grande finanza e la banche non saprebbero come speculare col sangue delle collettività ed arricchirsi alle spalle della gente. Ma l’euro è soprattutto necessario per giustificare l’esautoramento dei governi degli Stati più deboli ai quali viene sottratta la governace dell’economia che è il mezzo attraverso il quale si sovvenziona la sovranità e l’indipendenza di una nazione. Difatti, non esiste idea, aspirazione, volontà di affermarsi nel contesto regionale o globale, senza le risorse finanziare indispensabili a tradurre un concetto astratto in un progetto concreto, il desiderio di potenza in atto della Potenza. Per queste ragioni hanno caricato le elezioni elleniche di significati esasperati che nulla c’entrano con la situazione reale. A parte il fatto che anche in caso di abbandono della moneta unica la Grecia non sarebbe schizzata fuori dal campo gravitazionale di Bruxelles, la vera preoccupazione dei prepotenti del circolo delle stellette è l’indisciplina di questi piccoli associati i quali prima accettano di sedere al tavolo dove si perde sempre e poi pretendono di lasciare il banco con ancora le mutande indosso. Di Paesi furbetti che hanno contribuito a svuotare le casse comuni, pur non avendo aderito all’euro, l’ Europa è piena, aggiungiamo pure Atene a questo club esclusivo di renitenti senza stare a lagnarci più di tanto. Ci può essere pure il greco se sono iscritti danesi, svedesi e inglesi. Sembra una barzelletta ma è soltanto l’Europa dei banchieri e dei filibustieri politici sottomessi alla Casa Bianca. I sudditi di sua Maestà la Regina poi non hanno sacrificato nulla per essere parte integrante dell’UE tanto che non sappiamo ancora cosa ci stiano a fare, guidano contromano (lo ha detto persino Giorgio Napolitano durante una visita ufficiale a Londra), misurano in pollici e si sentono una spanna al di sopra di tutti gli altri. Altro che tracotanza tedesca, la serpe in seno dell’Europa è ancora la cinquantunesima stelletta degli Usa che si è intrufolata sulla bandiera europea per farci una guerra stellare e tenerci ancorati alla forza attrattiva ed egemonica di Washington. Forse ripristinando la dracma (ma con la vittoria della destra alle ultime consultazioni elettorai l’ipotesi dovrebbe allontanarsi) i greci avrebbero avuto come unica occupazione quella di suonare la lira. Per noi invece tornare alla lira, modificando le nostre proiezioni geopolitiche e le alleanze internazionali, significherebbe suonarle di santa ragione a chiunque, sia sotto il profilo economico, con le nostre esportazioni nuovamente competitive anche nei confronti della Germania, che su quello politico, approfondendo relazioni non convenzionali verso Est e nel Mediterraneo. Purtroppo questa opportunità ci è sfuggita recentemente di mano, a causa della defezione di tutta la nostra classe politica la quale, intimorita dall’aggressività internazionale dei nostri infidi partner, ha preferito affidarsi a Monti per smontare quanto di positivo era stato fatto negli anni passati. Quel poco di buono che avevamo raggiunto è stato dissipato da una classe dirigente di buoni a niente guidata da un pressapochista della Trilaterale. Quindi c’è poco da illudersi, non stamperemo la lira e nemmeno le canteremo a chicchessia mentre il mondo continuerà a canzonarci e a stamparci in faccia sonori sganassoni geopolitici. di Gianni Petrosillo

21 giugno 2012

Governo mondiale? La SPECTRE del nostro tempo

Dovrebbe preoccuparci la sollecitudine con cui gli USA quasi ci comandano di salvare la Grecia, ben sapendo che questa nazione si preoccupa dei suoi interessi prima di tutto, e una crisi economica, finanziaria e monetaria europea potrebbe colpire il notevole interscambio commerciale tra le due sponde dell’Atlantico. Una simile preoccupazione riguarda il governo cinese, che per sostenere gli indebitatissimi USA e i loro acquisti di merci cinesi, compra a tutto spiano buoni del tesoro americani. Oggi nel mondo l’economia domina su tutto il resto, essa è profondamente globalizzata, al punto di esigere una specie di governo mondiale dell’economia. La politica è semplicemente subalterna a questo signoraggio delle banche e delle multinazionali, non può e non vuole incidere sul sistema economico generato dalla globalizzazione e dovrebbe essere chiaro che l’economia decide e la politica ratifica queste decisioni. Se ciò è vero la sovranità nazionale e la democrazia diventano scatole vuote e la vita materiale dei cittadini è in grave precarietà e pericolo, poiché questa globalizzazione ha già i suoi vincitori e i suoi vinti. Infatti, solo le entità che possiedono sistemi di sfruttamento di centinaia di milioni di operai a basso costo, chi possiede multinazionali, chi domina il sistema finanziario (compreso il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale), chi controlla le materie prime attraverso un sistema militare con 900 basi nel mondo e con la complicità della Nato, hanno vinto la globalizzazione e hanno interesse a mantenerla, mentre le altre entità sono destinate al declino e a vedere un sostanziale peggioramento delle proprie condizioni di vita. Naturalmente questo equilibrio genererà e già genera l’acquisizione da parte dei vincitori dei pezzi pregiati residui dei paesi in declino, compresi porti e infrastrutture funzionali alla strategia globale. Secondo me è profondamente ottuso chi non vuole riconoscere questo stato dei fatti lasciandosi ingannare dall’uomo della finanza globale (Mario Monti) su una fantomatica “CRESCITA” da cui il nostro sistema-paese è già escluso. Vi è un aspetto della globalizzazione che DIMOSTRA, senza ombra di dubbio, come funziona il sistema: nel campo della ricerca scientifica, della progettazione di nuovi materiali, delle energie rinnovabili, assistiamo già da tempo ad una fuga di cervelli, verso quei paesi che hanno strutture di ricerca e grossi finanziamenti collegati a multinazionali capaci di trasformare in nuovi prodotti il lavoro di questi cervelli. Ebbene l’Italia non possiede nulla di tutto questo, addirittura i finanziamenti statali alla ricerca sono stati ridotti, i nostri cervelli vanno per lo più in America (in soccorso dei vincitori) e il nostro DECLINO è segnato. Altro che crescita e ripartenza! Chi sostiene che la globalizzazione è valida per noi italiani ci deve elencare quali vantaggi ne stiamo ricavando. E’ un vantaggio essere stati nel 2008 destabilizzati da sporche speculazioni americane dei subprime, dei titoli tossici spacciati al nostro sistema bancario, a enti locali (derivati), ai cittadini? Non sono forse queste speculazioni all’origine di parte della nostra crisi? Non è l’appartenenza alla Nato e in genere la nostra subordinazione agli USA a costringerci a enormi spese militari, a interventi armati anticostituzionali, fino all’acquisto di più di cento cacciabombardieri “made in USA”? Quali vantaggi ricaviamo d queste politiche? Avremmo un enorme vantaggio ad usare questo denaro per diminuire il nostro immane debito pubblico, che è la voce principale della nostra crisi, poiché destina agli interessi passivi ciò che potrebbe essere investito nella nostra economia. Il capitalismo, il liberismo, le speculazioni finanziarie, i guerrafondai nostri cari alleati, il FMI la WTO, hanno determinato una crisi sistemica in cui molti paesi, tra cui l’Italia, sono senza futuro e le cose possono solo peggiorare se non capiamo che l’unica via d’uscita è uscire dal sistema, a cominciare dall’Euro, dalla WTO, dalle alleanze militari e dalle relative spese, e trattare la sospensione degli interessi alle banche (francesi, tedesche, italiane) che detengono la maggior parte del nostro debito. Ricordo per inciso che le banche di mezzo mondo, pur identificate come responsabili di truffe e speculazioni, invece di essere fatte fallire sono state rifinanziate con soldi pubblici che peraltro non prestano a imprese e cittadini. Mi piacerebbe che si parlasse di futuro in termini di scelte e di strategie capaci di portare il nostro paese per prima cosa verso l’autosufficienza energetica e quella agricola, in cui dipendiamo dall’estero rispettivamente dell’80% e del 60%. Una rivoluzione tecnologica capace di diffondere l’energia solare su ogni tetto di struttura produttiva (dalle stalle ai capannoni industriali, fino alle case), uscendo dalla schiavitù del petrolio, portando questa rivoluzione nel campo dell’autotrazione, con sistemi elettrici combinati all’idrogeno. Ci sarebbe da fare per molti, dai ricercatori alle imprese, agli operai, agli installatori, ma solo proteggendo questi settori dalla penetrazione di prodotti stranieri. Ho l’impressione che oggi coloro che parlano genericamente di ripresa e crescita parlino del NULLA ASSOLUTO, guidino la nostra Italia verso la rassegnazione e il declino e portino alla vittoria il Governo mondiale, la Trilateral, il gruppo Bilderberg, il FMI, la NATO, le grandi BANCHE. La SPECTRE per l’appunto. di Paolo De Gregorio

20 giugno 2012

Giannuli: a casa Monti e il suo governo di tecnici cialtroni

Monti? No, grazie. L’economista Aldo Giannuli boccia senza appello il governo dei tecnocrati: «Rare volte, in politica, è stato possibile assistere ad un fallimento più pieno, palese e veloce di quello che sta accadendo al governo Monti». Doveva essere il governo dei tecnici puri, insensibili alle ragioni politiche e si è dimostrato «un governo di destra». Non solo in economia, anche in materie come la giustizia o i diritti civili. Doveva essere un governo dei “competenti”, la crema dell’intellighenzia manageriale, amministrativa, diplomatica, e «si sta dimostrando un governo di cialtroni incompetenti senza pari: pensate alla figuraccia della Fornero sugli esodati che, per di più, anziché prendere il primo aereo per il Tibet, dove ritirarsi in solitaria meditazione cercando di farsi dimenticare, si scaglia contro i dirigenti dell’Inps meditando di cacciarli perché hanno osato smentirla dati alla mano». Soprattutto: l’esecutivo Monti, imposto da Napolitano e sostenuto da Pd e Pdl, doveva essere il governo del risanamento dell’economia. Risultato: «Lo Aldo Giannulispread è risalito poco sotto i 500 punti, la fracassata di tasse ha messo a terra famiglie e aziende inasprendo la recessione e, come beffa finale, l’aumento di 1 punto dell’Iva ha causato un introito complessivo di tasse inferiore di tre punti all’anno prossimo. Verrebbe da dire a Monti: ma dove hai studiato economia?». Vero, non è tutta colpa sua, aggiunge Giannuli, «ma lui ci mette del suo per peggiorare le cose, facendo l’esatto opposto di quanto andrebbe fatto». Zero in condotta: «Come tecnico è solo una mezza cartuccia, ma come politico è una vera bestia». Insieme a Grecia, Portogallo, Spagna e Irlanda, l’Italia resta il principale bersaglio della speculazione finanziaria: questo «avrebbe dovuto indurre il governo italiano a cercare una linea comune con questi paesi per pesare rispetto all’Europa», dialogando con gli Stati «a prescindere dai governi», senza consentire alla Germania di parlare di “elemosine”, ma offrendo «contropartite politiche ed economiche precise». La Merkel? «Sappiamo che è una mediocrità collocata in un posto molto al di sopra delle sue capacità e della sua intelligenza, esattamente come accadeva a quel playboy da strapazzo di Sarkozy, ma qualche ragione ce l’ha pure lei, povera donna: fra poco più di sei mesi deve affrontare elezioni difficilissime», e i tedeschi non vogliono sentir parlare di aiuti agli europei del “Club Med”. «Dunque, prima ancora che alla Merkel – la cui limitata velocità di comprensione è nota – occorre parlare ai tedeschi», insiste Giannuli. Tedeschi, ai quali occorre spiegare che, sin qui, l’euro ha molto avvantaggiato le loro esportazioni: non si tratta di pietire “aiuti”, ma di impostare progetti e convenienze comuni, allargando l’area della manifattura tedesca verso produzioni complementari. E attenzione: il debito reale della Germania non è il celebrato 83% del Pil, ma il 105%: Berlino scoprirebbe di non essere lontana da Roma, se smettesse di “dimenticare” la Mario MontiCassa Depositi e Prestiti, «senza la quale anche noi saremmo sotto il 100%». E se anche l’euro dovesse saltare, continua Giannuli, sarebbe conveniente anche per la Germania mantenere una politica di cooperazione europea per non essere spazzata via dalla crisi della globalizzazione: «Se l’euro andasse a carte quarantotto, gli altri si spezzerebbero le ossa, ma anche i tedeschi non se la caverebbero mica con tre graffi: il conto sarebbe salatissimo anche per loro». La prima azione congiunta su cui puntare? «La messa in comune di parte del debito», con garanzie per tutti. Monti, aggiunge Giannuli, dovrebbe sapere che, quando va ad un summit europeo, «se si presenta con il cappello in mano facendo la figura dello straccione non è che disponga bene gli altri», specie se poi non fa che obbedire all’euro-diktat sul rigore, senza un’idea su come sostenere davvero l’economia. «Come si fa ad affidarsi ad uno come Monti che ha la vis comunicativa e la simpatia umana di un merluzzo surgelato?». Insomma, tempo scaduto: «Direi che ormai il fallimento dell’esperimento dei “tecnici” non potrebbe essere più completo e che è il momento di trarne le dovute conseguenze». Quali? Votare ad ottobre. «Mi direte: “Ma non è il momento, siamo in piena bufera finanziaria”. Verissimo – ammette Giannuli – ma cosa vi fa pensare che in marzo saremo in piena bonaccia?». Secondo l’economista, «qui rischiamo una campagna elettorale di otto mesi, con un governo di nessuna rappresentatività e credibilità, per poi andare comunque a votare (con il conseguente inevitabile vuoto di potere) in marzo, quando magari ci sarà una tempesta ancora peggiore. Non vi sembra il caso di darci un taglio?» di Giorgio Cattaneo

18 giugno 2012

Iniziate a pregare

Ancora pochi giorni di attesa per conoscere il verdetto degli ellenici, euro si o euro no, che per noi significherà euro salvezza o euro disastro. A quel punto infatti se la Grecia esigerà per pretesa politica di voler abbandonare la moneta unica, accollandosi tutti i rischi che questo comporterà per la propria economia, si produrrà un pericoloso precedente, a cui nel breve futuro altri paesi vorranno fare riferimento. La maggior parte degli italiani, complice forse i campionati di calcio europei e gli scandali del campionato italiano, non ha minimamente idea dei rischi che potrebbe vivere se le autorità sovranazionali (BCE, FMI ed Eurogruppo) non si inventeranno velocemente una exit strategy credibile. Perchè è di questo che il mondo si interroga: l'immobilismo politico europeo, quasi a voler aspettare di vedere il crash per poi intervenire all'ultimo minuto. Questo inizio settimana si è parlato di un Big Plan per salvare l'Europa: Draghi & Company ci stanno lavorando. Dovremmo essere ottimisti per una volta tanto, tuttavia siamo arrivati a questo punto perchè sino ad oggi di decisioni forti e autoritarie non se ne sono mai viste. Solo nella giornata di ieri ho ricevuto qualche centinaia di email di risparmiatori in preda ad una crisi di nervi dopo quanto è stato fatto trapelare sulle misure di possibile contenimento post elezioni greche: si va dal contigentamento dei conti correnti (come in Argentina nel 2001) sino al bando del trattato di Shenghen. Nonostante questo, ci sono ancora italiani che alle 18:30 corrono a casa per non perdersi l'Olanda che gioca con la Germania agli Europei. Mi viene da sorridere in questo momento perchè se la situazione sfuggisse di mano vedremo (forse) la finale di una competizione sportiva per l'assegnazione di un titolo europeo quando di Europa potrebbe veramente rimanere poca cosa (e questo nel giro di qualche settimana). Affannarsi adesso a cercare di aprire il conto in Svizzera o di investire sull'oro in pochi giorni non ha proprio senso: pensate che proprio il metallo giallo si sta muovendo in controtendenza con la percezione del rischio, in quanto si teme che possa essere espropriato o congelato quello detenuto dai privati per investimenti personali. Come dice il titolo, iniziate a pregare. Pregate che i greci non siano così scellerati da segare le gambe della sedia in cui sono adesso seduti, pregate che i mercati azionari ai valori attuali stiano già scontando il worst case scenario, pregate che la Merkel rinsavisca nel sonno delle prossime notti, pregate che Draghi dimostri di essere a tutto il mondo veramente Super Mario, pregate che le banche italiane in caso di addio ellenico all'euro non siano commissariate, pregate che le autorità di controllo e vigilanza dei mercati impongano la chiusura delle negoziazioni per ragioni di sicurezza nazionale (come fecero gli USA con l'attacco del 9/11), pregate che il FMI presti a dismisura quello che serva per sostenere paesi deboli come Spagna e Italia, pregate che la Cina si faccia avanti per sorreggere le quotazioni dei titoli di stato europei, pregate che qualcuno non si inventi un prelievo straordinario sui depositi a vista per drenare risorse finanziarie da devolvere al sistema bancario europeo, infine pregate che la vostra vita non finisca come quella di J.J. Braddock come raccontata nella prima parte del film Cinderella Man. Si parla tanto della fine del mondo nel 2012 causa simbiosi con il calendario maya, non so se ci sarà a fine anno la fine del genere umano, di certo se il clima in Europa non muta velocemente rischiamo di vedere la fine dell'Europa e dell'Euro. Cerchiamo di essere pragmatici: nessuno auspica la fine della moneta unica, non conviene a nessuno e pochissimi avrebbero da guadagnarci in misura sostanziale. Questo è l'unico dato di fatto a cui ci possiamo aggrappare come fosse un maniglione antipanico. Tuttavia dobbiamo anche notare come nessuno si stia autorevolmente impegnando per uscire da questa situazione paradossale di limbo finanziario in cui siamo catapultati. Forse nessuno si impegna a cercare una soluzione definitiva, perchè purtroppo non esiste la exit strategy o la medicina amara da prendere. Ci sono solo dei calmanti come gli stability bond o del cortisone come la politica di austerity. Sarà proprio per questo che dobbiamo effettivamente pregare. di Eugenio Benetazzo

17 giugno 2012

Quelle oligarchie invisibili fantasmi della democrazia

Quando la locuzione “poteri forti” fu coniata, nei primi anni della Seconda Repubblica, si riferiva a Confindustria, a parti della magistratura, ai servizi segreti, alla massoneria, e anche ai potentati economici internazionali. Insomma, a istituzioni pubbliche e private molto diverse tra loro, e unite solo dal non avere natura rappresentativa, cioè dall’essere esterne, o a volte ostili, all’esercizio trasparente del potere, alla sua fonte originaria di legittimità (il popolo), e ai suoi canali d’espressione politica (i partiti) e istituzionale (il parlamento e il governo). Davanti a questi poteri (recentemente evocati da Mario Monti perché il suo governo avrebbe perso il loro appoggio), la democrazia rappresentativa è debole proprio in quanto potere pubblico, sfidato da forze che sono di volta in volta elitarie, segrete, nascoste, private, illegali. In quest’ottica, è il popolo a esercitare un potere fittizio, universale, artificiale, a cui si contrappongono poteri reali, opachi, ristretti, “naturali” perché fondati sull’antichissima base del privilegio. Poteri, inoltre, che non accettano il rischio dell’esercizio diretto, fosse anche nella forma dell’oligarchia; e che assumono la veste del potere indiretto, di un potere, cioè, che si cela, oppure che nega di essere potere, per non sottostare a regole comuni e per non rispondere della propria azione. All’origine della filosofia politica moderna il potere indiretto era quello esercitato sulle coscienze dalla Chiesa cattolica (non menzionata nell’elenco consueto dei poteri forti, benché lo sia, con ogni evidenza), a cui le élites laiche rispondevano con il potere dello Stato, con la costruzione della sovranità, col potere invincibile di tutti. Una questione seria, dunque, quella dei poteri forti. Una questione che un tempo si declinava da destra in termini di plutocrazia (per di più, “giudaica”) opposta alla sana forza collettiva delle nazioni, mentre da sinistra si istituiva l’antitesi fra la prassi popolare e il complotto – le “forze oscure della reazione in agguato”, secondo il lessico dei primi anni del dopoguerra; ma le leggende (non infondate) sulla Commissione Trilaterale o sul gruppo Bilderberg sono giunte fino agli anni Ottanta, insieme al mito dell’onnipotenza della Cia, del Kgb, o delle multinazionali. Una questione che è anche declinabile come la continuità, nelle diverse forme storiche, dell’eterno potere delle élites, o della legge del più forte, che la democrazia cerca di spezzare, istituendo una discontinuità: che consiste o in una strategia monistica, facendo nascere un nuovo potere dal popolo, un potere forte appunto perché non di una parte ma anzi perché di tutti, o con una sensibilità pluralistica, spingendo le classi dirigenti a competere apertamente per il consenso dei cittadini. O, anche, costruendo e organizzando poteri più forti dei poteri forti; contropoteri di lotta e di governo (come si diceva un tempo). Con poteri forti si intende quindi la rocciosa permanenza delle diverse forme del potere di sempre – parziali, egoiste, autointeressate – all’interno degli spazi istituzionali democratici; la loro occhiuta e lungimirante vigilanza perché nulla cambi veramente; la loro capacità di influenzare invisibilmente o indirettamente la politica visibile; di contrapporre la propria permanenza e la propria stabilità all’accidentalità, alla casualità e alla fugacità dei poteri costituiti. Si intende insomma l’impossibilità che la vita associata sia governata dalla ragione pubblica senza alcun elemento di segreto, o che sia indenne da corpose e incoercibili ragioni private – ad esempio, il “complesso militare-industriale” di cui parlava un presidente repubblicano come Eisenhower –. I poteri forti sono quindi un segno di una debolezza strutturale della politica democratica, di un limite oggettivo al suo potere, con cui è realistico accettare di dover fare i conti, senza sottomettervisi. Ma spesso sono anche un comodo alibi, un nome generico, buono a tutti gli usi, col quale una politica debole per sua colpa o imprevidenza soggettiva copre insuccessi e fallimenti di cui non si vuole assumere la responsabilità. Assi portanti della storia materiale del nostro tempo, convitati di pietra al banchetto della democrazia, in ogni caso i poteri forti oggi hanno una dislocazione extra-statale e extra-nazionale; sono le grandi case farmaceutiche padrone del biopotere globale, le agenzie di rating, la finanza internazionale (i “mercati”), le istituzioni economiche mondiali ed europee, i media di dimensione transcontinentale, le mafie pluritentacolari, le istituzioni che curano la Ricerca e Sviluppo per la Difesa delle grandi potenze, le multinazionali dei generi alimentari e dell’energia. A questi veri poteri forti si abbarbicano oggi i poteri forti di rango nazionale; che a volte – grande novità – esercitano direttamente il potere politico, in fasi d’emergenza o di estrema debolezza dei poteri istituzionali, come referenti e garanti di alcuni vitali interessi sia nazionali sia sovranazionali. E quando questi poteri locali trovano ostacoli alla propria azione, hanno la tentazione di presentarsi come abbandonate da quei poteri forti, che in realtà esse stesse incarnano e tutelano. La lotta contro i poteri forti – anche se in realtà sono soltanto categorie riottose, corporazioni egoiste – diviene così uno slogan e un alibi per gli stessi poteri forti. Che ciò dimostri ancora una volta la loro forza – la loro capacità di eludere la responsabilità politica – o piuttosto la loro debolezza e insufficienza, lo si capirà tra breve. Da subito si comprende invece che, benché forse impossibile da raggiungere pienamente, un decente obiettivo dell’azione politica dovrebbe essere che i poteri forti trovino un nuovo limite, e un orientamento, in un più forte potere di tutti. di Carlo Galli

16 giugno 2012

Autorità sovranazionali e fine degli Stati

Meno di tre mesi per salvare l’euro. Da quando è approdata alla direzione del Fondo monetario internazionale, dopo aver lasciato il ministero delle Finanze francese, Christine Lagarde è entrata così dentro il suo ruolo di banchiere da assumere i tipici vezzi e i modi di ragionare della tecnocrazia internazionale. Il primo dei quali è di pensare che la soluzione di tutti gli sconquassi dei mercati finanziari non si trovi, come sarebbe logico, nell’incominciare a stroncare la speculazione ma che possa invece essere trovato nella creazione di un governo mondiale o di una grande autorità sovranazionale, tipo appunto il Fmi, che con le buone o con le cattive, riesca a convincere gli Stati a cedergli progressivamente la loro sovranità e nell’adottare una unica moneta di riferimento. Nessuno, e meno che mai la Lagarde, si preoccupa di ricordare che un’autorità del genere finirebbe per avere ai posti di comando esponenti di punta di quel mondo bancario e finanziario anglo-americano che da un decennio tiene sotto tiro i Paesi europei per colpire l’euro e tutelare il ruolo svolto dal dollaro e dalla sterlina. Tre mesi, lo stesso periodo di tempo che un altro bandito di professione come George Soros, ha assegnato all’Unione europea “per correggere i propri errori e invertire l'attuale inerzia”. Un’affermazione che per il criminale di Wall Street significa che i Paesi europei dovrebbero fare di più per la crescita economica ricorrendo ad un maggiore indebitamento pubblico anche se questo significasse l’abbandono della linea del rigore dei conti imposta dalla Merkel, dalla Commissione europea e dalla Bce ai Paesi dell’euro per salvare la moneta unica ma che ha innescato l’attuale recessione. Per la Lagarde, i tre mesi non significano però che entro tale termine la situazione dovrebbe risolversi al meglio ma che si dovranno adottare le prime misure di una strategia sul lungo periodo che dovrebbe rendere l’euro praticamente inattaccabile. La creazione dell'Eurozona, ha ricordato, ha richiesto tempo. Si tratta di un che dovrà essere migliorato, modificato e rafforzato. Varie questioni vanno risolte, come quella della Grecia. La Lagarde non sa dire se Atene uscirà dall’euro ma in ogni caso, al di là della colorazione e dalle decisioni del nuovo governo che nascerà dalle prossime elezioni, il primo punto sul quale si deve intervenire con decisione è l’evasione fiscale che ha raggiunto livelli intollerabili. Sulla stessa linea, il vice direttore del Fmi, David Lipton, anche lui contrassegnato da un curriculum degno di un usuraio istituzionalizzato. Dopo essere stato direttore generale di Citi Group Bank, Lipton ha infatti fatto parte del National Economic Council e del National Security Council alla Casa Bianca durante l’amministrazione Clinton. A suo avviso i 100 miliardi che i fondi salva Stati dell’Unione europea verseranno per salvare le banche spagnole e ricapitalizzarle, rappresentano un importante passo ed eliminano dubbi e incertezze. Ma, in linea più generale, per l'Europa sono necessari altri passi da parte dei Paesi membri in funzione del consolidamento fiscale, che significa pareggio di cassa nel rapporto tra entrate (tasse) ed uscite finanziarie (spesa pubblica). Scontate le soluzioni prospettate dalla Commissione europea che con il suo presidente, Josè Barroso, ha auspicato la nascita di una nuova struttura burocratica. Un supervisore sovranazionale per le grandi banche dei 27 Paesi dell'Unione in funzione della nascita, entro il 2013, di una Unione Bancaria. Per il tecnocrate portoghese, il piano potrebbe essere realizzato senza metter mano agli attuali trattati europei. Esso dovrebbe comprendere uno schema per la garanzia dei depositi e un fondo di salvataggio pagato dalle istituzioni finanziarie. Oggi vi sarebbe una più chiara consapevolezza fra gli Stati membri europei sulla necessità di andare avanti nel processo di integrazione, specie nell'area dell'euro. Questa, ha insistito, è una delle lezioni da trarre dalla crisi. A Berlino, Londra e Parigi, ha concluso, i leader politici hanno cominciato a capire che l'eurozona potrà sopravvivere solo attraverso soluzioni europee comuni e una maggiore integrazione. Il fatto che Barroso abbia citato Londra, la Borsa di un Paese che non fa parte dell’euro, la dice lunga sul modo di ragionare del tecnocrate portoghese che come molti suoi colleghi non vuole ammettere quale sia oggi la posta in gioco e come la Gran Bretagna sia oggi, con gli Stati Uniti, il primo nemico operativo dell’euro. Se Barroso vuole l’Unione Bancaria, il Governatore della Banca di Francia, Christian Noyer, vuole l’Unione Finanziaria europea. Una necessità che si sarebbe resa chiara con la crisi finanziaria e con i suoi effetti. L’Unione Monetaria, ha ammonito, ha bisogno di essere sostenuta da entrambe. L’Unione Finanziaria comporterà la nascita di una autorità unificata di supervisione per seguire e controllare quelle società finanziarie che abbiano una presenza e una attività significative al di la dei confini nazionali ed europei. di Filippo Ghira

15 giugno 2012

Prima o poi un crollo della finanza busserà alla porta

Fin dall'inizio della crisi finanziaria e della contrazione dei consumi, la domanda che ci siamo posti è stata: “Come può la Federal Reserve mantenere a zero i tassi di interesse per le banche e applicare tassi reali negativi per i risparmiatori e gli obbligazionisti mentre il debito pubblico degli Stati Uniti aumenta di 1.500 miliardi dollari ogni anno per il suo deficit di bilancio?” Non molto tempo fa la Fed ha annunciato che avrebbe continuato questa politica per altri due o tre anni. Ma la Fed è vincolata alla politica e se non tenesse artificiosamente bassi i tassi di interesse, il costo degli interessi sul debito pubblico sarebbe così alto che ci si dovrebbe fare domande sul rating di credito che gode il Tesoro degli Stati Uniti e sulla vitalità del dollaro. Allora si che verrebbero a galla tutti i problemi sulle migliaia di miliardi di dollari di interest rate swap e di tutti i derivati. In altre parole, la deregolamentazione finanziaria ha permesso a Wall Street di giocare d'azzardo. La decisione del governo degli Stati Uniti di salvare le banche per farle sopravvivere e la Federal Reserve con la sua politica di zero tassi di interesse ha messo il futuro economico degli Stati Uniti, e la sua moneta, in una posizione insostenibile e pericolosa. Non sarà possibile continuare a inondare i mercati obbligazionari con 1.500 miliardi dollari in nuove emissioni ogni anno se il tasso di interesse sulle obbligazioni sarà inferiore al tasso dell’inflazione. Chiunque acquistasse un Treasury Bond comprerebbe un bene che si deprezza. Per di più è un rischio molto alto investire in titoli del Tesoro. Un tasso di interesse basso significa che il prezzo pagato per una obbligazione è molto alto. Un aumento dei tassi di interesse, che deve venire prima o poi, farà crollare il prezzo delle obbligazioni e infliggerà perdite in conto capitale a tutti i detentori di obbligazioni, sia nazionali che estere. La domanda è: Prima o poi? Lo scopo di questo articolo è quello di esaminare questo problema. Cominciamo col rispondere alla domanda: come ha fatto a reggere tanto a lungo una politica così insostenibile? Una serie di fattori stanno contribuendo alla stabilità del dollaro e del mercato obbligazionario. Un fattore molto importante è la situazione in Europa. Ci sono problemi reali anche lì, e la stampa finanziaria continua a parlare di Grecia, Europa e di euro. La Grecia uscirà dall’Unione europea o sarà buttata fuori? Il problema del debito sovrano si fermerà a Spagna e Italia o si estenderà ovunque, eccetto che alla Germania e ai Paesi Bassi? Sarà la fine della UE e dell'euro? Queste sono tutte domande molto drammatiche che continuano a tenere lontana l’attenzione dalla situazione americana, che, probabilmente, è anche peggiore. Il mercato delle obbligazioni del Tesoro è sostenuto dalla paura che i singoli investitori hanno del mercato azionario, che è stato trasformato in un casinò dagli speculatori che comprano e vendono in continuazione. Il Trading ad alta frequenza è un commercio elettronico basato su modelli matematici che prendono le decisioni. Le imprese di investimento competono sulla base della velocità, acchiappando le plusvalenze da una frazione di secondo, e forse mantenendo il titolo solo per pochi secondi. Non si tratta di investitori a lungo termine. Soddisfatti dei loro tantissimi, piccoli guadagni giornalieri, alla fine di ogni giornata hanno già rivenduto tutto. Questo lavoro ormai rappresenta il 70-80% di tutti gli scambi azionari. Il risultato è un forte bruciore di stomaco per tutti gli investitori tradizionali, che stanno abbandonando il mercato azionario. Finiscono per comprare Titoli del Tesoro, anche se non sono sicuri della solvibilità delle banche che non pagano quasi niente per i depositi, mentre per i Buoni del Tesoro a 10 anni pagano circa il 2% nominale, il che significa che, considerando l'indice ufficiale dei prezzi al consumo, stanno perdendo l’ 1 % del loro capitale ogni anno. Se prendiamo l’indice di calcolo dell’inflazione di John Williams (www.shadowstats.com) stanno perdendo molto di più. La perdita è di circa 2 punti percentuali rispetto a lasciare i soldi fermi in banca, ma a differenza delle banche, il Tesoro può chiedere alla Federal Reserve di stampare i soldi per pagare le sue obbligazioni. Pertanto, l'investimento obbligazionario restituisce il suo valore nominale, anche se il suo valore reale è molto più basso. ( http://en.wikipedia.org/wiki/High_frequency_trading). Studi finanziari ci dicono che la fuga dal debito sovrano europeo, dagli euro “condannati”, e dal progressivo disastro immobiliare verso i titoli del Tesoro USA provocano a Washington un deficit annuo di 1,5 trilioni di dollari. Un'altra spiegazione per giustificare la stabilità di questa politica insostenibile è la collusione della Fed con Washington e con Wall Street. Staremo a vedere come andrà a finire. A differenza del Giappone, che ha il debito nazionale più grande di tutti, gli americani non possiedono il proprio debito pubblico. Gran parte del debito americano è detenuto all'estero, in particolare da Cina, Giappone e dall’OPEC, i paesi esportatori di petrolio. Questo ha messo l'economia statunitense in mani straniere. Se la Cina, per esempio, dovesse trovarsi indebitamente provocata da Washington, potrebbe scaricare fino a 2 trilioni di dollari americani sui mercati mondiali, dominati dallo stesso dollaro. Il prezzo di qualsiasi bene crollerebbe, e la Fed dovrebbe correre a creare denaro per ricomprare tutti i titoli finanziari emessi in dollari. I dollari stampati per comprare i titoli oggetto del dumping cinese su tutte le attività in dollari aumenterebbero l'offerta di dollari sui mercati valutari e farebbero scendere il tasso di cambio del dollaro. La Fed, in mancanza di valute estere con cui comprare i dollari dovrebbe fare un appello per recuperare la sua parte del debito sovrano Europeo per avere gli euro, della Russia, che è circondata dai missili americani per avere i rubli e del Giappone, paese sotto il suo controllo, per avere yen, con cui comprare titoli in euro, rubli, e yen. In altre parole, anche se il governo degli Stati Uniti può far pressione sui suoi alleati e vassalli per scambiare le loro valute più pregiate con una valuta americana deprezzata, questo comportamento non potrebbe durare a lungo. Chi lavora con il dollaro americano non vuole più il dollaro, come già fanno i paesi del BRICS. Comunque se la Cina, per esempio, volesse liberarsi di tutte le sue riserve in dollari, allo stesso momento, le costerebbe caro, perché il valore dei titoli in dollari diminuirebbero a causa del dumping. A meno che la Cina non si trovi a dover affrontare un attacco militare degli Stati Uniti e, per questo, avesse bisogno di tagliare le unghie all'aggressore, la Cina da gestore economico razionale preferirà uscire lentamente dai suoi investimenti in dollari USA. Né Giappone, né Europa, né l'OPEC vogliono distruggere la propria ricchezza accumulata nel deficit americano vendendo dollari in dumping. Ma i sintomi dicono che tutti vogliono liberarsi dalle riserve in dollari. A differenza della stampa finanziaria americana, gli stranieri titolari di conti in dollari guardano al bilancio degli Stati Uniti e al suo deficit commerciale, guardano all'economia che affonda negli Stati Uniti, guardano le speculazioni aperte di Wall Street, guardano i piani di guerra di un paese egemone e delirante e concludono: "Devo stare attento ma devo uscirne." Le banche americane hanno anche un forte interesse a mantenere lo status quo. Sono titolari dei titoli di stato americani e potenzialmente anche di titoli più grandi. Le banche possono prendere in prestito dalla Federal Reserve a tasso di interesse zero e acquistare titoli del Tesoro a 10 anni al 2%, per guadagnare così un utile nominale del 2% e compensare le perdite dei derivati. Le banche possono prendere in prestito dollari dalla Fed gratuitamente e investirli in lucrose operazioni sui derivati. Come dice Nomi Prins, le banche americane non vogliono fare affari contro se stesse o contro la loro fonte gratuita di finanziamento, vendendo i loro titoli obbligazionari. Inoltre, se dall’estero ci si liberasse del dollaro, la Fed potrebbe aumentare la domanda estera di dollari richiedendo alle banche straniere che vogliono operare negli Stati Uniti di aumentare le loro riserve in dollari. Potrei continuare, ma credo che questo sia già sufficiente a dimostrare che anche le parti del processo che potrebbero chiuderlo hanno un grande interesse personale nel non smuovere le acque e preferiscono strisciare silenziosamente e lentamente fuori dal dollaro prima che arrivi la crisi. Questo non durerà molto a lungo, perché altrimenti il processo di ritiro progressivo dal dollaro si tradurrebbe in un continuo piccolo declino del valore del dollaro che si trasformerebbe in una corsa per uscire, ma gli americani non sono gli unici popoli che delirano. Il processo stesso di uscire lentamente può spingere in basso la casa americana. Il BRICS - Brasile, la più grande economia del Sud America, la Russia, in possesso di armi nucleari e con un'economia energetica autosufficiente e da cui l'Europa occidentale (i paesi burattini della NATO di Washington) è dipendente per l'energia, l'India, uno dei due giganti asiatici emergenti dotato di armi nucleari, la Cina, il più grande creditore di Washington (ad eccezione della Fed) e anch’essa dotata di armi nucleari e fornitore di prodotti di tecnologia avanzata, è anche il nuovo spauracchio della sicurezza militare e strizza l’occhio ai profitti che verranno da una nuova guerra fredda e poi il Sud Africa, la più grande economia africana : insieme stanno creando una nuova banca. La nuova banca consentirà alle cinque grandi economie di fare affari senza ricorrere all'uso del dollaro americano. Inoltre, il Giappone, stato soggetto agli USA dalla Seconda Guerra Mondiale, sta per fare un accordo con la Cina in cui lo yen giapponese e lo yuan cinese potranno essere scambiati direttamente. Il commercio tra i due paesi asiatici sarà condotto nelle loro valute senza l'uso del dollaro. Questo ridurrà il costo del commercio estero tra i due paesi, eliminando le commissioni sul cambio per la conversione da yen e yuan in dollari e per la riconversione in yen e yuan. Inoltre, questa spiegazione ufficiale per il nuovo rapporto diretto, evitando il dollaro come mezzo di scambio è, semplicemente, diplomazia. per smettere di dover accumulare dollari e dover parcheggiare i loro surplus commerciali in titoli di stato statunitensi. Il Giappone, governo fantoccio degli Stati Uniti, spera che l'egemone Washington non richieda di rinunciare all'accordo con la Cina. Ora siamo arrivati ai soldi sonanti. La piccola percentuale di americani che sono consapevoli e informati è perplessa perché i banchieri sono scappati dopo aver commesso i loro crimini finanziari senza essere stati puniti. Il motivo potrebbe essere che le banche "too big to fail- troppo grandi per fallire” sono un accessorio di Washington e della Federal Reserve usate per mantenere la stabilità del dollaro e dei mercati obbligazionari del Tesoro malgrado una politica insostenibile della Fed. Ma prima diamo un'occhiata a come le grandi banche possono mantenere bassi i tassi di interesse sui buoni del tesoro, sotto il tasso di inflazione, nonostante il costante aumento del debito degli Stati Uniti sulla percentuale del PIL -consentendo così al Tesoro di pagare gli interessi sul debito. Le banche in pericolo, troppo grandi per fallire, hanno un vantaggio enorme a mantenere bassi i tassi di interesse e al successo della politica della Fed. Tutte le grandi banche vogliono che la politica della Fed abbia successo. JPMorganChase e altre mega-banche possono indirizzare i tassi di interesse del Tesoro e, quindi, far aumentare i prezzi delle obbligazioni, guadagnandoci, con la differenza dell’Interest Rate Swap (IRSwaps). Una società finanziaria che vende IRSwaps sta vendendo un accordo per pagare tassi di interesse variabili sui tassi di interesse fissi. Il compratore sta acquistando un accordo che gli richiede di pagare un tasso di interesse fisso comprando titoli che hanno un tasso variabile. Il motivo che ha un venditore di rischiare su un investimento a breve di IRSwap, cioè, di pagare un tasso variabile per un tasso fisso, è la sua convinzione che i tassi stanno per cadere. Uno Short-selling può spingere i tassi a scendere, e quindi i prezzi della Tesoreria a salire. Quando questo accade, come mostrano i grafici su http://www.marketoracle.co.uk/Article34819.html il mercato obbligazionario del Tesoro impazzisce e tutti corrono a comprare. E' "una fuga verso il porto sicuro dei Titoli obbligazioni e del tesoro in dollari degli Stati Uniti." In effetti, la prova (vedi le tabelle nel link sopra) è che gli swap sono venduti da Wall Street quando la Federal Reserve ha bisogno di evitare un aumento dei tassi di interesse per proteggere la propria politica che, altrimenti, diventerebbe insostenibile. Le vendite di swap danno l'impressione che il dollaro prenda quota, ma è solo un’illusione. Quindi, visto che gli IRSwaps non si basano su nessun capitale reale ma sono solo una scommessa sui movimenti dei tassi d'interesse: Non c'è limite al volume di IRSwaps. Questa apparente collusione fa pensare ad alcuni osservatori che la ragione per cui i banchieri di Wall Street non sono stati perseguiti per i loro crimini è che sono essi stessi una parte essenziale della politica della Federal Reserve per mantenere il dollaro come valuta mondiale. Forse la collusione tra la Federal Reserve e le banche è voluta, ma non dovrebbe essere così. Le banche sono le vere beneficiarie della politica di tasso zero della FED. È interesse delle banche sostenerla. Non è necessario organizzare la collusione (è spontanea). Passiamo ora ai lingotti d'oro e d'argento. Gerald Celente e altri veggenti avevano previsto che il prezzo dell'oro sarebbe arrivato a $ 2.000 l’oncia entro la fine dello scorso anno. Oro e argento in lingotti hanno continuato nel 2011 la loro decennale corsa al rialzo, ma nel 2012 i prezzi di oro e argento sono crollati, l'oro ha perso ben $ 350 l’oncia dal suo massimo di $ 1900. Alla luce delle analisi che ho presentato, qual è la spiegazione per questa inversione nel prezzo dell'oro? La risposta ancora una volta è un corto circuito. Alcuni esperti finanziari credono che la Federal Reserve (e forse anche la Banca Centrale Europea) faccia vendite allo scoperto di lingotti attraverso banche di investimento, garantendole da eventuali perdite premendo un tasto del computer e facendo creare alle banche centrali nuovo denaro dal niente. Ho saputo che una piccolissima percentuale degli acquisti a breve in realtà devono essere garantiti da lingotti d'oro o argento, e sono soddisfatti del loro valore perché, non c'è limite alle vendite allo scoperto di oro e argento. La vendita allo scoperto può effettivamente superare la quantità esistente (usata come garanzia) di oro e argento. Alcuni di coloro che hanno osservato il processo per anni credono che il governo abbia guidato le vendite allo scoperto per molto tempo. Anche senza la partecipazione del governo, le banche possono controllare il volume degli scambi cartacei d’oro e il profitto che si ricava dai suoi scambi. Recentemente la vendita allo scoperto è così aggressiva che non solo rallenta l'aumento dei prezzi dell'oro, ma spinge il prezzo verso il basso. Questa aggressività è segno che questo sistema truccato non reggerà ancora per molto? In altre parole, "il nostro governo", che presumibilmente rappresenta noi, piuttosto che i potenti interessi privati che eleggono "il nostro governo" (con i loro contributi alle campagne multi-milionarie, ora legittimate dalla Corte Suprema repubblicana) : Sta facendo del suo meglio per evitare di portare via a semplici cittadini, a schiavi, a servi a contratto, e a "estremisti domestici" la facoltà di proteggere la propria ricchezza rimasta dopo gli effetti della dissolutezza della politica monetaria della Federal Reserve? Una nuda vendita a breve impedisce alla crescente domanda di veri lingotti d’oro di far alzare il prezzo dell'oro. Jeff Nielson spiega in un altro modo che le banche possono vendere i lingotti a breve, anche quando non hanno lingotti. ( http://www.gold-eagle.com/editorials_08/nielson102411.html) Nielson dice che JP Morgan, ad esempio, custodisce il più grande fondo in argento, essendo il più grande venditore di argento-a- breve. Ogni volta che entrano nuovi lingotti nel fondo d'argento, JP Morgan aumenta le vendite a breve per un pari importo. La nuova vendita allo scoperto ferma l’aumento di prezzo che deriverebbe dall’aumento della domanda di argento fisico. Nielson spiega anche che il prezzo dell'oro o dell’argento non è rilevante se aumentano i requisiti di margine per chi compra lingotti pagandoli con un “effetto leva”. La conclusione è che il mercato dell'oro può essere manipolato come lo è il mercato delle obbligazioni del Tesoro e i tassi di interesse. Quanto tempo possono continuare queste manipolazioni? Per quanto tirerà ancora il vento? Se sapessimo con precisione la data, saremmo i prossimi mega-miliardari. Ecco qualche motivo per cui potrebbe prendere fuoco il mercato delle obbligazioni del Tesoro e il dollaro americano: La guerra, richiesta dal governo israeliano, con l'Iran, a cominciare con la Siria, che interrompe il flusso di petrolio e quindi la stabilità delle economie occidentali e trascina gli Stati Uniti e le sue marionette deboli della NATO in un conflitto armato contro Russia e Cina. Il problema petrolifero causerebbe un ulteriore degrado per gli Stati Uniti e per le economie dell'UE, ma Wall Street farebbe comunque continuerebbe a fare soldi. La pubblicazione di una statistica economica che faccia conoscere agli investitori lo stato reale dell'economia degli Stati Uniti, una statistica che non sia intercettata dalla stampa ufficiale e che non sia manipolata. Un affronto alla Cina, il cui governo decida che gli Stati Uniti hanno esagerato e che valga la pena buttare un trilione di dollari, per sbattere gli USA tra le economie del terzo mondo. Altri errori sui derivati, come, ad esempio, l’ultimo di JPMorganChase, che ha fatto barcollare ancora una volta il sistema finanziario che, comunque non ha fatto cambiare nulla. La lista è lunga. C'è un limite al numero di errori stupidi e alle politiche finanziarie corrotte che il resto del mondo è disposto ad accettare ancora dagli Stati Uniti. Quando questo limite sarà colmato, tutto sarà finito per "l'unica superpotenza del mondo" e per quelli a cui restano in mano solo armi chiamate “dollaro”. La deregolamentazione finanziaria ha trasformato il sistema finanziario, che un tempo accoglieva imprese e consumatori, in un gioco da casinò in cui le scommesse non sono coperte. Queste scommesse scoperte, insieme alla politica di zero tassi della FED, hanno portato il tenore di vita degli americani e la loro ricchezza verso un progressivo declino. I pensionati che vivono con i loro risparmi e i loro investimenti, non riescono a guadagnare più nulla sui loro risparmi e sono costretti a consumare il capitale, trasferendo meno ricchezza ai loro eredi. La ricchezza accumulata si sta consumando. Come risultato dell’esportazione del lavoro all'estero, gli Stati Uniti sono diventati un paese dipendente dalle importazioni, che dipende completamente dai prodotti stranieri come merci, vestiti e scarpe. Quando il tasso di cambio del dollaro scenderà, i prezzi interni degli Stati Uniti aumenteranno, e il consumo reale degli Stati Uniti farà un grande buco. Gli americani consumeranno meno, e il loro tenore di vita diminuirà drasticamente. Le gravi conseguenze degli enormi errori fatti dalle scelte finanziarie di Washington sono nascoste da un’insostenibile politica di tassi di interesse bassi e da una stampa finanziaria corrotta, mentre il debito continua a crescere velocemente. La Fed ha già vissuto questa esperienza una volta prima. Durante la seconda guerra mondiale la Federal Reserve ha mantenuto i tassi di interesse bassi per finanziare gli aiuti alle spese di guerra del Tesoro, minimizzando l'onere per gli interessi del debito di guerra. La Fed mantenne bassi i tassi di interesse, comprando il debito pubblico. L'inflazione del dopoguerra, che scaturì da questa politica, portò la Federal Reserve ad un accordo con il Tesoro nel 1951, che stabilì che la Federal Reserve avrebbe cessato di monetizzare il debito e i tassi di interesse ricominciarono a salire. Il Presidente della Fed Bernanke ha parlato di una "exit strategy" e ha detto che quando c’è una minaccia di inflazione, se ne può impedire l’inizio togliendo soldi al sistema bancario. Ma questo si può fare solo con la vendita di buoni del Tesoro, il che significa che i tassi d'interesse aumenterebbero. Un aumento dei tassi di interesse metterebbe a rischio tutti i derivati, causando perdite sui titoli, ed aumentando il costo degli interessi sul debito sia pubblico che privato. In altre parole, per evitare l'inflazione causata dalla monetizzazione del debito si creerebbero problemi più ingestibili dell’ inflazione stessa. Invece di far collassare tutto il sistema, non sarebbe meglio se la Fed sgonfiasse quegli enormi debiti? Alla fine, l’inflazione eroderà il potere d'acquisto del dollaro e il suo utilizzo come valuta di riserva, e insieme deperirà anche tutto il credito che ha il governo americano. Tuttavia, la Fed, i politici, ed i gangster finanziari preferirebbero che la crisi scoppiasse dopo piuttosto prima. E’ sempre preferibile far passare tempo prima che la nave affondi piuttosto che affondare insieme alla nave. Finché si potranno usare gli swap sui tassi di interesse per aumentare i prezzi delle obbligazioni del Tesoro, e finché basterà avere un titolo di possesso di lingotti per stabilire il prezzo di argento e oro, la falsa immagine degli Stati Uniti come di un rifugio sicuro per gli investitori potrà essere perpetuata. Tuttavia, i $ 230 mila miliardi in scommesse sui derivati che posseggono le banche americane potrebbero fare qualche sorpresa. JPMorganChase ha dovuto ammettere che la sua perdita, annunciata recentemente, di 2 miliardi di dollari sui derivati è decisamente più alta. Di quanto più alta resta ancora da vedere. Secondo l’ente di Controllo sulle valute le cinque maggiori banche americane detengono il 95,7% di tutti i derivati. Le cinque banche hanno in portafoglio 226 mila miliardi di dollari in derivati e queste sono tutte scommesse di giocatori d'azzardo che sono al top della finanza. Ad esempio, JPMorganChase ha un asset totale di 1.800 miliardi di dollari, ma vale 70.000 miliardi di dollari in scommesse sui derivati , un rapporto di 39 dollari di scommesse sui derivati per ogni dollaro di attivo. C'è ancora poco da sbagliare prima di andare falliti! Il patrimonio, naturalmente, non è un capitale soggetto a rischi. Secondo il rapporto del “Comptroller of the Currency”, al 31 dicembre 2011, JPMorganChase gestiva un pacchetto di 70.200 miliardi di dollari in derivati, e solo 136 miliardi dollari di capitale a copertura del rischio. In altre parole, le scommesse sui derivati della banca sono 516 volte maggiori del capitale che garantisce le scommesse. E' difficile immaginare una posizione più sconsiderata e instabile per una banca, ma Goldman Sachs è riuscita a fare ancora meglio. Questa banca ha 44.000 miliardi dollari in scommesse sui derivati è coperta da soli $ 19 miliardi di capitale: ne consegue che le scommesse sono 2.295 volte maggiori del capitale che le copre. Le scommesse sui tassi di interesse ammontano all'81% di tutti i derivati. Quindi sono i derivati che sostengono gli alti prezzi delle obbligazioni del Tesoro degli Stati Uniti, nonostante il massiccio incremento del debito degli Stati Uniti e la sua monetizzazione. Le scommesse sui derivati delle banche americane di $ 230 miliardi di dollari, concentrate in mano a cinque banche, equivalgono a 15,3 volte il valore del PIL statunitense. Un sistema politico fallito che consente a banche senza regole di fare scommesse scoperte 15 volte superiori al valore di tutta l'economia americana è un sistema che mostra solo la testa di un corpo malato molto gravemente. Appena si comincerà a parlare di questa incredibile mancanza di principi che gestisce la politica e la finanza americana, l’incombente catastrofe attesa diventerà una realtà. Tutti vogliono una soluzione, e allora eccone una: Il governo degli Stati Uniti dovrebbe semplicemente annullare i 230 mila miliardi di dollari in scommesse sui derivati, dichiarandoli nulli. In effetti se non è coinvolto nessun vero capitale, si tratta solo di gioco d'azzardo su valori astratti e l'unico effetto serio che produrrebbe la chiusura di tutte le swaps (per lo più contratti sottobanco tra le parti) sarebbe la sparizione di 230 mila miliardi di dollari di rischio manipolato dal sistema finanziario. I banditi finanziari che vogliono continuare a godere di guadagni sulle scommesse, mentre il pubblico assorbe le loro perdite potranno anche cominciare a urlare e gridare sulla bontà dei loro contratti. Tuttavia, un governo capace di uccidere i propri cittadini o buttarli nelle segrete senza un giusto processo, può sicuramente anche abolire tutti i contratti che vuole, in nome della sicurezza nazionale. E certamente, a differenza di una guerra del terrore, lo spurgo del sistema finanziario dai derivati di gioco d’azzardo renderebbe di gran lunga migliore la sicurezza nazionale. Il dr. Roberts è stato Assistente Segretario del Tesoro degli Stati Uniti, Associate Editor del Wall Street Journal, editorialista di Business Week, e professore di economia. di Paul Craig Roberts Fonte : http://www.globalresearch.ca

14 giugno 2012

Le colpe ed il golpe

La tecnocrazia è l’ultimo buco dove si nascondono i partiti roditori e frodatori, nonché l’ennesimo paravento dietro il quale cantano stonando quei poteri marci e decadenti che qualcuno si ostina a definire forti, mentre si tratta soltanto di cerchie di vili e di corrotti preoccupate della propria misera sopravvivenza, per le quali anche dieci anni di resistenza possono equivalere ad un’intera esistenza. L’Italia è stata consegnata da tutti costoro ad un tribunale fallimentare di professori investito del compito di liquidare il patrimonio, chiudere i battenti di imprese strategiche e gioielli industriali d’avanguardia, svendere la polpa ai creditori internazionali, lasciando le ossa in bocca ai connazionali. Ormai nessuno dovrebbe avere più dubbi sul tema o sul dramma in corso, il Premier Monti, cattedratico e macellaio, finora questo ha fatto, ha preparato il controfiletto con la carne nazionale per i mercati voraci e i prepotenti mondiali veraci. La giunta di salvezza pubblica, calata dall’alto di un Colle decollato di ogni pudore, tra il capo e il collo di tutti noi, ci ha sobriamente infilato il coltello in gola facendo scorrere molto sangue e garantendoci immani sofferenze prima della morte. Basta dare uno sguardo agli ultimi rilevamenti Istat: il Pil in discesa libera (si parla di un -1,4% entro l’anno), gli investimenti impantanati, il deterioramento delle infrastrutture e dei servizi, i consumi delle famiglie a picco tanto che se un tempo si chiedevano mutui per comprare la casa adesso bisogna rivolgersi alle banche, che comunque non ci sentono, per non perderla tra Imu, bollette ed altri tartassamenti vari. In cambio di tutti questi sacrifici inutili e mortali abbiamo ottenuto quella credibilità che tanto veniva invocata allorché al governo c’era il satiro nano con il coso sempre in mano. Credibili e mazziati, verrebbe da dire, grazie ad un Presidente del Consiglio membro della commissione Trilaterale che ci garantisce centralità globale, almeno nel senso di essere diventati un bersaglio internazionale, ma tra una distesa di bare. In realtà, che questa emergenza fosse seria ma non così esasperata ce lo dimostrano quegli atti dell’esecutivo orientati ad intervenire in questioni tutt’altro che urgenti come la Rai, i vertici di alcune authorities, le nomine di commissari in organismi inessenziali, la riforma elettorale. Il mondo intorno crolla ed il Gabinetto degli illuminati pensa ad occupare ed amministrare le macerie fumanti. Da ultimo, circondati da queste devastazioni i partiti si concentrano sui sistemi di voto per riprendere al più presto in mano il timone di una nave che loro hanno mandato alla deriva e che adesso vorrebbero persino far ribaltare. Si disputa sul semi-presidenzialismo alla francese e il doppio turno alla pirlese con il Pd che nega il primo, proposto da Berlusconi, perché non ci sarebbero i tempi per un cambiamento della Costituzione ed Alfano che si oppone al secondo perché avvantaggerebbe solo Bersani e soci. Le solite discussioni tra furfanti che puntano a sottrarsi il bottino a vicenda. Eppure c’è stato un sovvertimento costituzionale che il Parlamento ha approvato quasi all’unanimità concretando un golpe silente ai danni dell’autonomia decisionale del Paese. Nessun paladino dell’intoccabile Costituzione si è alzato a difendere la stessa allorché con la Legge 1/2012 la nostra sovranità contabile è stata consegnata all’UE contro gli interessi dello Stato. Tale norma ha introdotto nella carta fondamentale il principio del pareggio di bilancio abdicando alla governance economica che viene trasferita a Bruxelles. Con questi atti di suicidio assistito da terzi forse un giorno riusciremo a rientrare dal debito pubblico uscendo definitivamente dalla Storia. Sono stati tutti d’accordo ad autorizzare questo esautoramento del popolo italiano in nome di un’artificiosa appartenenza ad una più vasta comunità continentale. Dove guardavano, mentre era in corso questa rapina costituzionale tutti quegli strenui difensori della Carta, i quali per anni ci hanno fracassato i timpani e ben altro con l’inviolabilità della stessa? Dov’erano i costituzionalisti integerrimi, i politologi mascherati da tali ed i loro associati fraterni della stampa, soprattutto di sinistra (da Zagrebelsky, a Sartori, a Pasquino, a Scalfari ed altri finti scienziati) nel momento in cui il “golpe legale” diventava arbitraria condanna alla pena capitale del futuro dello stivale? Coi feticci si difendono i pretesti nel mare magnum delle menzogne e dei tradimenti. Ne abbiamo avuto la prova ora che siamo con l’acqua alla gola. di Gianni Petrosillo

13 giugno 2012

Ecco chi sono i responsabili del debito e della crisi

Fate attenzione a ciò che leggete in questo articolo, perché volutamente ho scritto cose che sono vere e cose che non lo sono, o lo sono solo apparentemente. Una mattina radiosa del gennaio 1998 mi sono svegliato di buon umore e mi son detto: “Adesso basta! Ho già lavorato abbastanza nella mia vita.” Così sono andato in ufficio ho chiesto un colloquio col capo del personale e gli ho detto: “Mio caro signore, io ho cominciato a lavorare negli anni ’60, adesso, sono passati più di 35 anni e sono stanco, direi che possono bastare, no? Quindi se non le dispiace tolgo il disturbo e mi vado a godere un po’ di riposo dove mi pare. La prego di formalizzare le mie immediate dimissioni e la mia iscrizione tra i pensionati a carico dello Stato”. Il direttore, pur sorpreso per la mia improvvisa decisione, non ha potuto che complimentarsi con me per la mia felice scelta e mi ha fatto tanti auguri per un sereno e prospero futuro. Naturalmente quell’anno non sono stato l’unico ad avere quella brillante idea, decine di migliaia di altri lavoratori, stufi di lavorare, mi hanno copiato, e si sono messi a carico dello Stato. Nello stesso anno mio nipote decideva di sposarsi e voleva comprar casa, ma non aveva soldi, così è andato a informarsi alla sua banca, ma il funzionario gli ha detto che poteva finanziare al massimo il 70% del costo, inoltre il suo reddito doveva essere adeguato a sostenere l’onere del rimborso rateizzato. Quando ho sentito questa cosa mi sono arrabbiato e ho detto a mio nipote di non preoccuparsi, io conosco diverse banche che saranno contentissime di finanziare anche più del 100% e faranno condizioni di tasso specialissime. Siamo andati insieme in una banca di mia conoscenza ed ha ottenuto quello che voleva senza problemi. Ma mio nipote non era l’unico a voler comprar casa quell’anno, così anche quell’idea di finanziare di più e meglio l’acquisto delle case è stata imitata da molte banche in Italia, e negli anni a seguire c’è stato un vero e proprio boom del comparto immobiliare, che con il solido sostegno finanziario del comparto bancario, ha potuto rendere felici milioni di persone in cerca di una abitazione. Qualche anno dopo ho conosciuto due persone attratte dall’impegno politico in Italia. Il primo era un pensionato molto serio e preparato, che voleva dare un valido contributo nella legislazione e gestione della cosa pubblica, la seconda era una signora di mezza età con una partecipazione proprietaria in un giornale locale, la quale vedeva nella politica una favorevolissima opportunità per raggiungere una posizione di grandissimo prestigio nel Parlamento nazionale e anche una buona occasione di incrementare notevolmente il suo reddito e concedersi finalmente un’abitazione di lusso e ... magari anche un brillante cabinato nel porticciolo della sua città. Si sono presentati entrambi in un partito della coalizione di sinistra e, francamente, sono rimasto sorpreso quando ho visto che il partito ha candidato il pensionato. Pensavo che quel partito, timoroso di non superare la soglia di sbarramento al 4%, avesse molta più convenienza a candidare la “giornalaia”, dato che col suo giornale poteva fare propaganda al partito e guadagnare più voti in generale. °°° Cosa c’è di vero in quello che ho scritto? E cosa c’è di falso? Le storie sono sostanzialmente tutte vere. Palesemente falsa è solo la decisione del partito. Tutti quelli che conoscono i partiti appena meglio che nella superficialità sanno che nessun partito in Italia avrebbe fatto la scelta che ho raccontato. Infatti quel partito (è storia vera!) ha candidato proprio la giornalaia, anche se poi in quella Circoscrizione elettorale non ha comunque conquistato seggi. La storia dei mutui concessi al 100% (e oltre) invece è vera, ma è falsa l’attribuzione del paese in cui è avvenuta. Non è in Italia ma negli Stati Uniti che sono avvenute quelle follie finanziarie. In Italia le banche non hanno mai dato i mutui con facilità. Ma negli Usa sì, e l’hanno fatto con tale ampiezza che hanno contribuito a creare una bolla finanziaria dalle dimensioni globali. Ho già descritto in articoli precedenti che l’immensa montagna di spazzatura finanziara in circolazione non derivava solo dai mutui detti “subprime”, ma comunque sono stati questi a scatenare l’incendio che si è subito allargato a tutto il sistema. E quando negli USA il castello di carte è crollato, e i finanzieri d’affari si sono accorti che la botte era piena (di porcheria finanziaria) e la moglie era già ubriaca (N.B. ottenere insieme la botte piena e la moglie ubriaca è una magia che riesce solo a loro), hanno cambiato vigna e sono andati in Grecia, Irlanda, Spagna ecc. a vendemmiare, cioè a fare lo stesso giochino che ha permesso loro di fare un sacco di soldi a Wall Street. Un giochino che funzionerà sempre benissimo fintanto che i legislatori e le autorità preposte al controllo su queste operazioni non interverranno a mettere precisi limiti e regole in questa complessa materia. E infine la storia delle pensioni “facili”, che è falsa e vera nello stesso tempo. Vero è che la normativa ha consentito a troppi di andare in pensione con troppa generosità, ma è chiaramente falso il modo in cui l’ho raccontato. A nessuno è mai stato consentito di svegliarsi alla mattina decidendo improvvisamente di andare da capo del personale a comunicargli la sua volontà di andare in pensione. Se qualcuno lo facesse vedrebbe subito arrivare, chiamata dal capo del personale, la “Croce verde del manicomio provinciale”. È la legge che stabilisce le condizioni per il pensionamento. E chi fa le leggi? Sono i politici! Quindi, se il costo dei pensionamenti è troppo alto è la politica responsabile dello scompenso, non i pensionati. Tuttavia gli economisti seri sanno che il problema principale non è quello. Il sistema era in equilibrio quando è stato creato, e poteva restare in equilibrio se la politica lo avesse protetto invece che usarlo a fini elettorali. L’equilibrio è stato perso in seguito, e solo in piccola parte a causa dell’aumento della vita media delle persone. La causa principale dell’attuale scompenso (visto in prospettiva) è per l’eccessiva libertà, diventata ad un certo punto necessità, data alle aziende di competere sui costi di produzione andando all’estero a produrre. In questo modo si è minato dall’interno l’equilibrio non solo del sistema industriale nazionale e del sistema pensionistico (ad esso direttamente collegato), ma di tutto il sistema economico tout court, che ne esce completamente scombussolato, indebolito, e ormai in grande difficoltà a proseguire sulle linee tracciate negli anni ruggenti della nostra democrazia. È convenuto alla popolazione questa evoluzione del sistema? A giudicare dalla gravità della crisi che attanaglia il paese è facile rispondere di no. Eppure siamo in democrazia, non è il popolo ad avere la possibilità di decidere, quale strada prendere nelle scelte che incidono sul suo futuro? Sì, teoricamente è così. Ma questo dipende molto anche dal modo in cui il popolo viene informato. Perciò ho impostato questo articolo in questo strano modo e descritto alcuni episodi in modo paradossale. Per evidenziarne l’incredibilità e sottolineare l’importanza di avere informazioni complete e corrette. Eppure nella stampa e televisione di sistema continuano a “bombardarci” di informazioni tendenti a farci credere che “abbiamo speso troppo”; che abbiamo fatto le “cicale”; che adesso dobbiamo fare le “formiche”. Usano la saggezza popolare per nascondere la verità. Le cicale, cioè gli spreconi; incapaci, e traditori del mandato elettorale sono stati loro: i politici. E hanno potuto farlo grazie anche alla complicità dei media, pubblici e privati; tutti (o quasi) d’accordo nello spartirsi la torta. Adesso che la torta non c’è più dicono che noi ce la siamo mangiata. Invece se la sono mangiata loro, a noi cittadini qualunque hanno lasciato solo le briciole. Questa è la verità. di Roberto Marchesi

30 giugno 2012

Rubiamo ai poveri per dare alle banche

La confraternita di usurai prezzolati che dopo il golpe dello scorso novembre usurpa i banchi del governo, continua a maramaldeggiare allegramente sotto la guida di Mario Monti e con il sostegno incondizionato di un parlamento composto da zombies, pronti a ratificare qualsiasi bestialità venga loro ordinata. Lacrima Fornero ha iniziato ad impegnarsi con cura certosina nella sostituzione della produzione industriale con quella dei disoccupati, il tutto naturalmente al fine di creare la crescita e partendo dal presupposto che "il lavoro non è un diritto", bensì una creatura ectoplasmatica destinata a venire esorcizzata per sempre. Il "buon" Di Pietro e la Lega si scagliano contro le sue parole, ritenendole in contrasto con la costituzione. Ma sono stati (anche) loro a sostituire la costituzione con il Trattato di Lisbona , perchè continuare a fingere che quello che è ormai ridotto a carta straccia esista ancora? I tagli dei servizi al cittadino e dello stato sociale oggi li chiamano "spending review", probabilmente perché usare il linguaggio del padrone incrementa l'appeal e contribuisce a far si che l'interessato non capisca una mazza di quello che viene ordito alle sue spalle.... Proprio nel nome dello spending review è partita la manovra Bondi che taglierà quel poco che resta del sistema sanitario italiano. Un taglio che dovrebbe far risparmiare allo stato circa 4 miliardi, necessari per pagare le missioni di guerra, ad oggi senza copertura finanziaria, per i primi interventi di ricostruzione in Emilia Romagna e per evitare che l'Iva venga aumentata. Il fatto che per fare fronte al terremoto in Emilia Romagna fosse già stata inserita un'accisa sulla benzina e che il governo già abbia legiferato per mettersi al riparo da qualsiasi onere concernente la ricostruzione delle abitazioni distrutte nel corso di calamità naturali, viene come sempre bellamente sottaciuto. Tagliamo e tassiamo per non aumentare l'Iva è il mantra più in voga per giustificare tutte le manovre di questi ultimi mesi. A settembre, quando l'Iva salirà al 23%, come già disposto per legge, il gingle cambierà e nel gioco del bastone e della carota verrà inserito un nuovo spauracchio sul quale fare leva, magari la stessa Iva al 25%. Che si tratti di "prending" review o di prendi e basta, l'unica certezza sembra essere quella concernente la destinazione d'uso dei denari. Missioni di guerra per conto terzi ed acquisti di armamenti a parte, quasi tutto il denaro sottratto alle tasche dei poveracci da Equitalia & company viene e verrà devoluto alle banche, per fare fronte alla bulimica ingordigia che ne rappresenta il tratto saliente. Nel solo corso del 2012, ben 48 miliardi di euro estorti ai contribuenti italiani andranno infatti a rimpinguare le casse del sistema bancario europeo, ma in qualche caso è possibile anche fare di più. Come sta accadendo in questi giorni con Monte dei Paschi di Siena, che il governo italiano ha premiato con un prestito di 4 miliardi di euro, per il nuovo piano industriale che prevede la chiusura di 400 filiali e l'eliminazione di 4.600 dipendenti. Il tutto nel nome della crescita prossima ventura, naturalmente. di Marco Cedolin

29 giugno 2012

Il “big bang” ha bisogno che scompaiano i due grandi partiti che hanno dominato in questi vent’anni

Finalmente non siamo più soli a invocare il “big bang” della politica italiana. Un paio d’anni fa, quando noi de “Gli Altri” abbiamo iniziare a battere su questo tasto, in molti ci hanno guardato con sospetto. “Perché mai un “big bang”? Forse volete allontanarvi dalla sinistra? Siete trasformisti, siete traditori, siete venduti”. A noi sembrava semplicemente di avere scoperto l’acqua calda. E cioè di esserci accorti – correva l’anno 2010 – che destra e sinistra italiana avevano fallito clamorosamente, che erano rimaste senza idee e senza programmi, che non riuscivano più a produrre pensiero politico e “progetti di società”, che non riuscivano neppure a costruire gruppi dirigenti, e di conseguenza non potevano più essere i pilastri di una nuova politica. Ma se la vecchia destra e la vecchia sinistra non sono più i pilastri della politica, i casi sono due: o si rinuncia alla politica o bisogna ripartire da zero. Noi dicevamo: ripartiamo da zero, cioè realizziamo, appunto, un vero e proprio “big bang”, torniamo a misurarci con le idee, con i grandi valori, con i progetti di società futura, con i principi di fondo (tolleranza, egualitarismo, individualismo, collettività, stato, mercato eccetera) e vediamo se sulla base del pensiero e non delle bandierine lise di una volta, riusciamo a ricostruire dei grandi schieramenti che si affrontino, si combattano, ripropongano il conflitto ma nella modernità e non si limitino a replicare, quasi a recitare, un conflitto che non esiste più. Eravamo però una minoranza piccolissima perché la grande maggioranza era per l’altra soluzione: rinunciare alla politica e sostituire la politica con una specie di cerimoniale del sottopotere, delegando i grandi compiti della politica (governare, produrre idee, distribuire risorse, riformare la società) a poteri esterni, e cioè al potere del mercato e dei padroni del mercato. Vi dirò la verità: a un certo punto stavamo quasi quasi per crederci che eravamo noi ad essere i pazzi. A forza di sentirci dire che “pensare” è tradire, che scrivere fuori dal pensiero dominante è solo voglia stupida di stupire, e che rinunciare alla distinzione novecentesca tra destra e sinistra vuol dire negare la sacralità della sinistra, ci era venuto il dubbio che avessero ragione gli altri. Poi è arrivato Monti, è arrivata Fornero, cioè si è realizzato il disegno tecnocratico e di abolizione della politica, e ora non siamo più soli a invocare il “big bang”. Si moltiplicano finalmente le voci e allora noi torniamo a insistere. E insistendo vorremmo chiarire un punto. Per mettere in moto un processo virtuoso di “big bang” occorre partire da una cosetta piccola piccola: sciogliere il Pd, che è un partito vuoto, privo di prospettive, nato – e dunque geneticamente marcato – da uno schema antichissimo di politica, basato solo sulla suddivisione del sottopotere, sulla cancellazione dei progetti, delle idee, e sull’offerta ai poteri reali (ai poteri forti) di un ceto politico informe e subalterno disposto ad amministrare la sotto-politica e il sottopotere, senza disturbare il manovratore. Il Pd è stato un tentativo generoso, da parte del vecchio ceto politico ex Pci ed ex democristiano, di mettersi a disposizione della borghesia italiana per provare a trovare un nuovo equilibrio che superasse il berlusconismo e restituisse all’Italia una situazione di moderatismo, di conservazione, e di placido ritorno agli anni Cinquanta. E’ andata male. Monti ha interamente fagogitato lo spazio politico del Pd. Monti è una specie di Pd più bravo. Bene, il “big bang” ha bisogno che scompaiano i due grandi partiti che hanno dominato in questi vent’anni. Il Pdl è sulla buona strada. Ora il problema è sgomberare il campo dal Pd. di Piero Sansonetti

28 giugno 2012

Tagli ai partiti, le solite “boiate”

di Wanda Marra Tre mesi (e passa) posson bastare per dimezzare i rimborsi elettorali ai partiti? L’evidenza dice che la risposta è no. Dopo il pasticcio del testo ABC, nato tra i proclami generali per garantire la trasparenza dei bilanci e per tagliare i finanziamenti ai partiti, e poi naufragato per evidenti e insormontabili incongruenze, e l’approvazione di un (altro) ddl a Montecitorio che l’unica cosa che stabiliva per certo era il dimezzamento della rata di luglio dei rimborsi, “tecnicamente ” questo evento non è ancora possibile. Approvato alla fine di maggio, il testo si è fermato in Senato, dove giace in Commissione Affari costituzionali. Si è andati a rilento, complici le riforme costituzionali (a proposito di tele di Penelope). Il passaggio all’aula dovrebbe avvenire nelle prossime settimane, visto che oggi scade il termine per la presentazione degli emendamenti alla legge. Peccato che sarà troppo tardi per tagliare la rata e contemporaneamente dare, come stabilito nello stesso testo, i 91 milioni di euro risparmiati ai terremotati dell’Emilia (i soldi, si legge, sono destinati agli “interventi conseguenti ai danni provocati dagli eventi sismici e dalle calamità naturali che hanno colpito il territorio nazionale a partire dal 1º gennaio 2009”). L’INGHIPPO è in una “dimenticanza” di Montecitorio: non è stata prevista l’entrata in vigore immediata della legge, e così la destinazione dei 91 milioni deve essere fatta con un decreto del governo, che aveva a sua volta 15 giorni di tempo per emanarlo. Ieri tuonavano i Radicali, capeggiati da Donatella Poretti: “Mancano soltanto 72 ore e poi i partiti riceveranno automaticamente i fondi. Infatti, a luglio scatta l’erogazione della rata”. In realtà gli uffici di Montecitorio spiegano che da sempre i rimborsi elettorali vengono destinati ai partiti con un ufficio di Presidenza verso la fine di luglio. E in effetti, la Gazzetta ufficiale dell’anno scorso – per esempio – portava la rata del 27 luglio. Ma comunque è difficile che la legge si riesca ad approvare in tempo. E qui entra in gioco il governo. Scoperto il problema, l’esecutivo si era impegnato a fare un decreto soltanto per la parte che riguardava il taglio della rata e il conseguente trasferimento all’Emilia. Com’è, come non è, però, sono due settimane che si è capito che i tempi sono più che strettissimi e che il governo promette interventi d’urgenza e poi non li fa. L’altroieri s’era detto “lo faremo domani”. Ieri mattina si parlava del Cdm di lunedì, peraltro il primo luglio. Ma poi ieri pomeriggio il sottosegretario Malaschini ha dichiarato: “Ci siamo impegnati a risolvere il problema. Lo faremo”. Senza specificare quando. Le voci che circolavano facevano intendere che, piuttosto che un decreto ad hoc, si stesse pensando ora a inserire un emendamento nel provvedimento della Spending review per arrivare a un’approvazione nella seconda settimana di luglio. Sempre più difficile. “Non si può dire che i 91 milioni vanno ai terremotati e al contempo far maturare il diritto – commentano i Radicali – perché gli stessi 91 milioni possano essere richiesti dai tesorieri dei partiti. Fino a che non interviene una legge nuova – o un decreto del governo – i 91 milioni sono nella piena disponibilità dei partiti". E persino Stefano Ceccanti, relatore per il Pd della legge, che in queste settimane ha mostrato un’incrollabile fiducia nelle decisioni prese, commenta: “Se si deve fare il decreto, che si faccia”. di Wanda Marra

26 giugno 2012

Banche e derivati. Il "botto" è vicino

Un allarme tardivo, ma realistico. E completa assenza di indicazioni su cosa fare per “impedire” il ripetersi di un film già visto. Banche e derivati sono la stessa cosa: i secondi sono “prodotti” dalle prime, non esistono per loro conto. Fin dall'inizio è apparso chiaro che tutti i discorsi sulla “riforma delle regole del sistema finanziario internazionale” non sarebbe approdata a nulla. Troppi “decisori” (sia dei maggiori stati che dell più importanti istituzioni economiche globali) sono incatenati – personalmente e strutturalmente – agli istituti di credito, ai fondi di investimento, ecc. Il governo degli Stati uniti, Obama a parte, ne è un esempio clamoroso da oltre un trentennio. Gente che esce dalla finanza o dalle grandi multinazionali per fare il ministro e poi torna a fare la finanza o l'impresa. Gli si può forse chiedersi di rinunciare a una carriera futura o di bastonare i propri recenti ex colleghi di lavoro? Ma c'è una dato ancora più chiaro che esce fuori da questo scandalizzato articolo de Il Sole 24 Ore – è tutto dire! - e che non dobiamo mai smettere di tenere presente: la sovraesposizione al rischio insito nel mercato dei derivati da parte delle banche si regge sulla ferrea convinzione che, tanto, se va male ci sarà un altro giro di aiuti pubblici riservati alle banche e al sistema finanziario. E' come se l'assicurazione obbligatoria per le automobili fosse a carico dello Stato: chi si preoccuperebbe più di evitare ammaccature e graffi da paercheggio, piccoli tamponamenti, investire pedoni sulle strisce, ecc? Alle grandi banche è riservato un privilegio di questo tipo: investire “a leva”, ovvero mettendo 10 di capitale proprio per mettere in moto operazioni da 1.000 (un numero a caso, ma proporzionato alle operazioni reali), con la certezza che se tutto va bene il guadagno viene intascato privcatamente, se va male si mette a conto del “pubblico”. Che dovrà tagliare ancora tutte le spese “non finanziarie” (scuola, sanità, trasporto pubblico, ecc). Un gioco del genere non è soltanto infame. Semplicemente, non può funzionare a lungo. Sono cinque anni che la crisi morde e non passa. Ttutto quel che è stato fatto finora è servito solo a ricreare le condizioni di partenza da cui è maturato il crack Lehmann Brothers e la “grande gelata” dei mercati tra il 2008 e il 2009. Sta per accadere di nuovo. E ovviamente con più forza di prima, su una scala più grande. Il valore nominale totale del "mercato dei derivati" (completamente fuori dei circuiti regolamentati), ha raggiunto i 650mila miliardi dollari, sette-otto volte il prodotto interno lordo di tutto il pianeta. Non esiste nessuno - né privato, né "pubblico" - che possa "garantire" da una valanga di queste dimensioni. di Claudio Conti

Giornalismo azzecagarbugli

Vedo avanzare una stagione sinistra. Quella del ritorno in grande stile degli Azzeccagarbugli che nel post Mani Pulite furoreggiarono riuscendo in pochissimi anni a trasformare i ladri in vittime e i magistrati nei veri colpevoli. Gli Azzeccagarbugli, intellettuali e giornalisti, sono specialisti nell'uso del sofisma, del paralogismo (argomento falso ma con l'apparenza di vero) e, come nel gioco delle tre tavolette, nel mischiare, a seconda di quanto gli torna comodo, i piani di discussione passando da quello giuridico al politico al sociologico, con l'intento di intorbidare le acque e rendere oscuro ciò che è chiaro, nero ciò che è bianco. Un caso direi di scuola è l'articolo scritto da Fabrizio Rondolino, ex uomo di D'Alema, per Il Giornale del 21.06 a proposito dell'autorizzazione all'arresto di Luigi Lusi data dal Senato: “È la prova che il giustizialismo, l'ordalia manettara, la subordinazione alla magistratura inquirente sono sopravvissuti alla fine dell'anti berlusconismo... È un giorno di lutto per la sinistra italiana perché il valore della libertà personale è più grande delle sottigliezze giuridiche... del protagonismo plebeo che esige ogni giorno un nuovo lazzarone da impiccare sulla pubblica piazza”. Noi che, a differenza dell'aristocratico Rondolino, siamo dei cittadini plebei vorremmo semplicemente che anche i nobili fossero chiamati a osservare quelle leggi che noi tutti siamo tenuti a rispettare. Perché l'uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge è il principio-cardine della liberal democrazia, se cade questo principio la democrazia perde ogni senso e legittimità e si traduce in un neofeudalesimo, con un doppio diritto, uno per i plebei, intransigente e feroce, e uno per i neoaristocratici, così lasco e morbido da diventare quasi inesistente. Insomma la vecchia, cara, schifosa giustizia di classe. Rondolino aggiunge: “La carcerazione preventiva è un crimine e uno scandalo... tenere le persone in prigione prima del processo significa esercitare una pressione sull'imputato che somiglia assai più alla tor tura”. Se questo principio fosse assoluto, allora deve valere anche per Giovanni Vantaggiato e per tutti coloro che sono attualmente in carcere in attesa di processo, in genere per reati molto minori di quelli imputati a Lusi, una grassazione di denaro pubblico per 25 milioni di euro che lui chiama graziosamente “un fatto di costume”. Ci sono invece casi in cui la carcerazione preventiva si rende necessaria e il Codice di procedura penale ne definisce rigidamente i requisiti. Naturalmente Rondolino parte dal presupposto, del tutto arbitrario, che questi requisiti nel caso di Lusi non ci sono e che quindi la richiesta d'arresto del Gip è illegittima: “Quali nuovi reati avrebbe potuto commettere Lusi? Quali prove avrebbe potuto occultare lui che parla con i magistrati e con i giornalisti ogni giorno? Oppure sarebbe fuggito all'estero?”. Ohè, se esistono o meno i requisiti per un arresto lo stabilisce il Gip, e in seguito il Tribunale della Libertà, e ancora successivamente la Cassazione o Fabrizio Rondolino costituitosi in arbitro e giudice unico, in Tribunale Speciale? Noi siamo plebei, ma non proprio così cretini da non capire che, per l'ennesima volta, la classe dirigente e i suoi lacchè ci stanno prendendo in giro. Ma di fronte alle solite fumisterie non sappiamo come reagire. Non abbiamo difesa. O, forse, una difesa c'è. Quando ero all'Europeo, c'era un giovane collega, Claudio Lazzaro, bel ragazzo, alto, aitante, dolce, un po' naif e ingenuo. E nelle assemblee di redazione i vecchi marpioni del giornale gli cambiavano ogni volta le carte in tavola, il bianco diventava nero e il nero bianco. Lui ne rimaneva sconcertato e amareggiato. Finché un giorno, dai e ridai, anche il mite Claudio perse la pazienza. Si alzò e grande e grosso com'era puntò sul caporione e guardandolo dritto negli occhi disse: “Bene, allora ditemi a chi devo spaccare la faccia?”. E il bianco tornò bianco e il nero nero. È davvero a questo che volete portarci?

25 giugno 2012

L'ombra del Bilderberg: "Monti fa gli interessi dei poteri forti mondiali"

L'autore del libro sul Bilderberg, il gruppo oligarchico finanziario di cui fa parte il prof, svela i piani del clan: "Hanno deciso di sacrificare la Spagna" «Monti? È Goldman Sachs » risponde in automatico Daniel Estulin, scrittore-investigatore russo (ma vive in Spagna) che col suo Il Club Bilderbergla storia segreta dei padroni del mondo si candida alla palma di maggior cospirazionista del pianeta. Se è un folle, le sue follie interessano parecchia gente: più di tre milioni di copie vendute in 81 paesi e 50 lingue diverse. Intervistarlo equivale ad entrare in un thriller ( ne stanno facendo un film) che ha per protagonisti banchieri, squali della finanza, magnati dell’industria, politici, lobby e logge segrete. Dentro questo plot, c’è pure Mario Monti, membro delle annuali riunioni del Bilderberg: «Monti è la perfetta esemplificazione del concetto di Compagnia unica mondiale (One World company Ltd, ndr) teorizzata da Lehman Brothers per il vertice Bilderberg del 1968». E che sarebbe? «L’idea che gli Stati nazione siano superati, e che la grande finanza, che già controlla l’industria attraverso le banche, debba prendere il posto delle nazioni. È quel che è successo». E il nostro premier Monti? «È il custode degli interessi dell’oligarchia finanziaria, non eletto da nessuno». Lei è un complottista. «Il gruppo Bilderberg non è una teoria cospirazionista, non è una società segreta. È una realtà, lo strumento con cui le oligarchie finanziarie, le élite di Usa e Europa, riescono a imporre le loro politiche ai governi». Il gruppo Bilderberg si è riunito due settimane fa in Virginia: cos’avrebbero deciso? «Hanno discusso del problema Russia, o meglio di Putin, che sta diventando un grande inconveniente per loro. Un membro europeo del Bilderberg ha ammesso che “Putin è di gran lunga il più formidabile avversario per i nostri piani”». Perché? «Bilderberg è particolarmente preoccupato per il gasdotto South Stream, che potrebbe risultare vincente rispetto a quello Ue Usa “Nabucco”. Ma la maggiore preoccupazione è il tentativo di Putin di integrare l’Asia in un blocco sotto la sua leadership , e poi l’intesa con l’Iran. Insieme controllerebbero il 50% del gas mondiale. Perciò il Bilderberg continua a finanziare il “Fronte civile unito” di Kasparov contro Putin». Hanno parlato anche della crisi in Europa. «Hanno deciso che la Spagna verrà sacrificata sull’altare della finanza. Il sistema bancario spagnolo è al collasso, la Santander ha un debito di 800 miliardi, e il Bilderberg lo sa. Il prestito di 100 miliardi è il primo passo verso la piena proprietà del Paese da parte della finanza mondiale. La Spagna non esiste più». E l’Italia sì? «L’Italia non è la Spagna, non ha bolle immobiliari, ha poco debito privato e ha un sistema creditizio solido, con 750 anni di storia. E soprattutto alcune delle sue grandi imprese formano una parte importante del Bilderberg Group». Secondo le sue fonti avrebbero deciso le sorti del dollaro. «Una delle principali conclusioni del meeting 2012 è che gli Usa dovranno svalutare il dollaro rispetto allo yuan per ridurre il debito degli Usa». Ma almeno lei ha capito cosa ci facesse Lilli Gruber al Bilderberg? «È una giornalista con molte entrature tra la “ money people ”. E lavorando in una tv importante ha accesso a un larga audience . E questo interessa il Bilderberg». di Daniel Estulin - Paolo Bracalini

24 giugno 2012

USA debito: si stanno mangiando l'Europa a suon di rating?

Gli Stati Uniti sono falliti e per evitare lo sconquasso e rischi seri di guerra totale, si stanno mangiando l'Europa a suon di rating farlocchi. Avrete seguito il bi et ba di Obama al G20 e gli europei sdegnati. (foto:infophoto) Ci ha spiegato come e qualmente loro hanno investito in competizione etc etc etc. Vabbe' famola corta: lo stato americano ha un deficit che è il 50% di quanto incassa, ovvero irrecuperabile. E in % sul PIL siamo al 16%, mai visto prima nella storia umana di NESSUN paese: l'Argentina, la Grecia etc etc sono andati in default al raggiungimento del 10%. E da anni. E parliamo SOLO del budget federale perche' i singoli Stati sono messi pure peggio e contano a parte. Ha da poco, pochi mesi, superato la soglia del 100% di Debito FEDERALE su PIL, ovvero tenendo conto anche del debito dei singoli stati, contee (come si fa in Europa) è già al 124% e come del resto perfino da me ampiamente previsto, nel giro di due anni avrà superato il livello di debito/PIL di tutti i paesi dell'OCSE. Una famiglia su 2 usufruisce dei food stamp, 46 milioni di "richiedenti" contro 83 milioni di famiglie. MOLTO peggio che nel '29. Ma è una bufala? E' possibile o cosa? Potete verificare, al volo, qui all' " Orologio del debito USA": Hanno messo su MILLE trecento MILIARDI di nuovo debito, l'8% del PIL giustappunto nel giro di sei mesi. Ci hanno fatto su persino le vignette. E con un deficit che è oltre il 10% del LORO PIL, con uno Stato che spende il DOPPIO di quanto incassa (una tacca sopra l'italia ai tempi di Craxi) che con un 16% di nuovo debito riesce a far finta di crescere per il 3% (un rendimento da vaporiera dell'800, sotto il 20% di risultati utili rispetto alle energie immesse) osano chiamarla ripresa ed osano darci lezioni? LOL se non ci fosse da dire COL, invece, dove la C sta per Crying... Cosa dovrebbero tagliare? Beh se tagliassero TUTTE le spese militari e TUTTE le pensioni avrebbero ancora un deficit di circa il 6% del PIL. Ovviamente troppo alto. Quanto poi a poterlo davvero fare: suvvia... Gli Stati Uniti sono FALLITI e per evitare lo sconquasso e rischi seri di guerra totale con la Cina et compagnia, causa consolidamento del debito da migliaia di miliardi di dollari nei loro confronti, si stanno mangiando l'Europa a suon di rating farlocchi. Questa è la verità, ma se si smette di sussurrarla e si comincia a gridare salta per aria il coperchio di Pandora che comunque saltera' per aria in ogni caso. Sembra tutto molto astratto. Poi le botteghe chiudono a vista d'occhio perfino in centro a Firenze. Poi vedo dignitosi pensionati e pensionate chiedere l'elemosina. Siamo a pochi mesi dai cartoneros, ecco il punto. E quella, intendiamoci, è la soluzione ottimistica, che vede semplicemente l'Italia ed alcuni altri paesi europei ridotti in rovina, senza guerre e soprattutto senza guerre atomiche. Perche' quando si raggiungono questi livelli di rischio a qualcuno, in qualsiasi momento possono saltare i nervi. Uff. di Pietro Cambi

23 giugno 2012

Il fallimento del sistema denaro: una opportunità?

«Un uomo stava camminando nella foresta quando s’imbattè in una tigre. Fatto dietro-front precipitosamente, si mise a correre inseguito dalla belva. Giunse sull'orlo di un precipizio, ma per fortuna trovò un ramo sporgente di un albero a cui aggrapparsi. Guardò in basso, e stava per lasciarsi cadere, quando vide sotto di sé un'altra tigre. Come se non bastasse, arrivarono due grossi topi, l'uno bianco e l'altro nero, che cominciarono a rodere il ramo. Ancora poco e il ramo sarebbe precipitato. Fu allora che l'uomo scorse una fragola matura. Tenendosi con una sola mano la colse e la mangiò. Com'era buona!». Koan Zen Un tempo si diceva che il battito d’ali di una farfalla in Polinesia poteva provocare una catastrofe nell’emisfero opposto. Era una classica iperbole della complessità, per esprimere il concetto che l’ecosistema Terra è integrato e ogni sua componente è interdipendente. Nel sistema mondo capitalista, l’iperbole si è realizzata patologicamente in economia, attraverso il denaro che, essendo virtuale, non conosce i limiti del contesto fisico ambientale. Enormi masse di denaro si spostano ogni giorno, ogni ora, ogni minuto da una parte all’altra del mondo senza trovare ostacoli. In un mondo integrato e globale, la spregiudicatezza locale nell’elargizione di mutui ipotecari – per restare alla nostra metafora – può avere conseguenze devastanti in ogni angolo del Pianeta. Quella in corso, tuttavia, è solo la più recente e ampia versione di una crisi strutturale, che sussegue ad altre degli ultimi anni montando con irreversibile compulsione: bancarotta del Messico nel 1996, tracollo delle "piccole tigri" asiatiche nel 1997, "subprime" americani nel 2008; quindi è rimbalzata in Europa, provocando il default dell’Irlanda e della Grecia, poi, come un’onda di ritorno, ha colpito di nuovo gli Stati Uniti, mentre in Europa le defaillance irlandese e greca hanno intaccato il Portogallo e la Spagna, e hanno aggredito l’Italia e oggi, probabilmente, tutto il vecchio continente. Una crisi, insomma, che non può essere governata, perché segna il punto d’arrivo di un modello di sviluppo basato sulle crescite esponenziali. In tal senso, come si fa ad uscire dalla economia debitoria – leggi “finanziarizzazione dell'economia” – senza uscire anche dall'economia della crescita? La crisi non si limita ai comportamenti criminali di un manipolo di speculatori; le sue cause strutturali, sistemiche, sono da individuare in una crescita smisurata e nel conseguente ricorso a vari tipi di indebitamento: finanziario (derivati, obbligazioni, titoli azionari mobilitati per un valore totale otto volte superiore al PIL reale), monetario (il denaro emesso è dodici volte il PIL mondiale), pubblico (sia quello contratto dai vari Stati con altri Stati, sia quello verso i propri cittadini-risparmiatori), privato (crediti al consumo, carte di credito ecc.). Via gli speculatori, quindi? Certo, ma di fatto non ci sarebbero grossi cambiamenti, perché anche l'azienda presso cui andiamo a lavorare, l'amministrazione comunale del posto in cui abitiamo, la locale azienda sanitaria, il fondo che gestisce la nostra pensione, la banca emettitrice del nostro bancomat e l'agenzia di Stato che versa il sussidio di disoccupazione al nostro vicino cassaintegrato sono da tempo, in un modo o nell'altro, indebitati. Tutti avevano fatto conto ("aspettativa", si dice in economia) di riuscire in futuro a guadagnare – facendo profitti, riscuotendo tasse, realizzando interessi, vendendo immobili e "cartolarizzando" il Colosseo... – più di quanto avevano ricevuto in prestito. Credevano, cioè, nella chimera di una crescita economica esponenziale e senza fine. Un calcolo tragicamente sbagliato. Da tempo – dieci, venti anni, e c’è chi dice trenta – le economie occidentali sono in crisi di realizzo, il loro tessuto produttivo non è più in grado di riprodurre guadagni tali da riuscire a mantenere gli standard dei consumi privati e pubblici. Per mascherare questo fallimento e allontanare il declino, le hanno tentate tutte: la leva finanziaria, i titoli tossici, il signoraggio del dollaro, oltre, ovviamente, al vecchio trucco di stampare carta moneta. Niente: nonostante le continue invocazioni e i lauti sacrifici umani, la "santa crescita" non arriva, e non arriverà mai più, almeno per chi è da questa parte del mondo. I debiti nelle economie industriali mature, a partire dagli Stati Uniti (il Paese maggiormente debitore, al mondo) hanno cominciato a crescere già a cavallo degli anni '70 e '80 del secolo scorso. L'immissione di crediti si è resa necessaria, perché si erano inceppati i normali meccanismi di profitto-accumulazione-investimenti-riproduzione fino a quel momento garantiti dai tradizionali cicli economici produttivi industriali. L'idrovora dell'espansione, dello sviluppo e della crescita è insaziabile. L'intensificarsi delle crisi (non solo finanziarie) rende sempre più stringente il dilemma: continuare a inseguire il benessere attraverso la crescita dei beni e dei servizi immessi sul mercato, pur sapendo che i costi ambientali e sociali per la maggior parte delle popolazioni della Terra superano di gran lunga i benefici, oppure cambiare rotta usando strumenti di riferimento diversi dal dettato economicista? Non è il caso di cominciare a domandarci se non sia una solenne sciocchezza pensare soltanto agli aumenti del PIL? O, addirittura, se non ce la faremmo lo stesso a cavarcela – e magari anche meglio – con una "economia in contrazione", cioè producendo, comprando e vendendo non molto di più di quanto ci è necessario per vivere? Un’economia "stazionaria", come la virtuosa ciclicità naturale insegna. La parola "crisi" in cinese, composta nei suoi ideogrammi, può essere interpretata abbinando il concetto di "crisi" con quello di "opportunità". Si può quindi uscire dall'economia del debito (cioè da quell’economia che pone gli interessi del capitale al di sopra di quelli del lavoro e della vita stessa delle persone e dell'ecosistema terrestre) e da tutto ciò che ne deriva. È questo, il vero recinto di pensiero da cui nessuno riesce a uscire. Le vecchie ricette keynesiane non hanno realmente più margini di applicazione, in una crisi strutturale di queste dimensioni e di questa qualità. È ormai chiaro che le risposte possono venire solo uscendo dalle regole e dai dogmi del mercato. Dovremmo pensare a un altro tipo di ricchezza, a un altro tipo di benessere, a un altro modo di lavorare e a un altro modo di relazionarsi, tra le persone, che non sia quello che passa attraverso il portafogli. In tal senso, diventa realistico parlare di post-crescita, se si indica la necessità è l’urgenza di un’inversione di tendenza rispetto al modello dominante dello sviluppo e della crescita illimitati. La società della crescita non è auspicabile per almeno tre motivi: dispensa un benessere materialistico illusorio, incrementa le disuguaglianze e le ingiustizie e non offre un tipo di vita filosoficamente o religiosamente giusto, conviviale e comunitario. È una "antisocietà", malata di ansia di ricchezza, di egoismo e di utilitarismo. Il miglioramento del tenore di vita, di cui crede di beneficiare la maggioranza degli abitanti dei Paesi "sviluppati" è un'illusione; indubbiamente, molti possono spendere di più per acquistare beni e servizi mercantili, ma dimenticano di calcolare una serie di costi aggiuntivi in forme diverse, non sempre monetizzabili, legate al degrado – non quantificabile, ma subìto – della qualità della vita (aria, acqua, ambiente): ad esempio, le spese di "compensazione" e di riparazione (farmaci, trasporti, intrattenimento) imposte dalla vita moderna o determinate dall'aumento dei prezzi di generi divenuti rari (l'acqua in bottiglie, l'energia, il verde...). Lo stesso criterio di “qualità della vita”, disponendo come principio essenziale, per una fattiva controtendenza, il reincantamento del mondo su principi certi inerenti alla sacralità del vivente e l’irriducibilità della condizione esistenziale dell’uomo come parte consapevole del cosmo, è oramai ostaggio del nichilismo individualista, che affoga nell’inautenticità della mercificazione universale. Un’inversione di tendenza si rende quindi necessaria, per il semplice motivo che l'attuale modello di sviluppo è ecologicamente insostenibile, ingiusto e incompatibile con gli equilibri omeostatici della natura: esso porta con sé, sulla scia dei Paesi ricchi, perdita di autonomia, alienazione, nichilismo pragmatista, aumento delle disuguaglianze sociali e dell'insicurezza personale e comunitaria. Occorre allora tracciare un percorso che ci conduca verso un nuovo immaginario, un paradigma alternativo, un’originale prospettiva meta politica. È questo, l'orizzonte di un'altra economia, giusta e sostenibile, cioè comunitaria; è questo, il sostrato materiale di un principio universale di giustizia internazionale: l'autodeterminazione dei popoli. In senso generale, se in ogni luogo c’è un centro del mondo possibile, è necessario che gli uomini tornino a essere abitanti del loro territorio, riprendano cioè in mano la questione ecologica e spirituale della loro sopravvivenza, dal momento che è oramai minacciata nella sua stessa sostanza dai meccanismi razionalistici, che si insinuano a livello cellulare fino al fondamento stesso del vivente. In questo orizzonte, l’esigenza identitaria va politicamente reinterpretata come energia costruttiva per la crescita della coscienza del luogo e per l’affermazione di modelli di sviluppo autocentranti, fondati sulle peculiarità socioculturali, sulla cura e la valorizzazione delle risorse locali – territoriali, cioè ambientali e quindi produttive e sostenibili – e su reti di scambio complementari e reciprocitarie, invece che gerarchiche, fra entità locali. Il principio di sussidiarietà deve partire dall’entità fondamentale della comunità naturale (la famiglia) e delegare alle entità superiori solo ciò che non è assolvibile dal livello fondamentale, autonomo e libero, e quindi coeso e comunitariamente partecipe dell’organismo complessivo. Allora l’uomo si sentirà parte di una comunità, protetto, e quindi avrà verso di essa un comportamento sobrio, responsabile e consapevole. Si vede subito, quali sono i valori prioritari da far prevalere su quelli oggi dominanti: la sacralità del vivente sulla mercificazione; l'altruismo sull'egoismo; la reciprocità sulla competizione; il piacere ludico e relazionale sull'ossessione del lavoro; l'importanza della vita sociale sul consumo; il gusto del bello, del bene e del vero sull'efficientismo pragmatico. Il problema è che i valori utilitaristici attualmente dominanti sono pervasivi, perché suscitati e stimolati dal sistema, che essi stessi, a loro volta, contribuiscono a rafforzare. La scelta di un'etica personale diversa, come quella della sobrietà volontaria, può incidere sull'attuale tendenza e minare alla base l'immaginario del sistema. Senza una sua contestualizzazione partecipativa, però, il cambiamento rischia di rimanere limitato al livello della coscienza individuale. È necessario un nuovo paradigma, che mostri in modo persuasivo l’indispensabilità di un mutamento epocale sul piano reale: culturale, sociale ed economico. Costruendo delle identità comunitarie tese al bene comune e alla ciclicità della natura, si può uscire dall'artificio vettoriale e suicida della modernità. di Eduardo Zarelli (prefazione al volume Sull'orlo del baratro di Alain de Benoist,

22 giugno 2012

Chi suona la lira?

La Grecia sta all’Europa più o meno come la Basilicata sta all’Italia, ma con la grande differenza che quest’ultima regione è importantissima per il nostro Paese in virtù delle sue immani risorse energetiche mentre la Repubblica Ellenica, ormai in rovina, esporta rovine ed importa turisti, flaccidi tedeschi o odiosi francesi. Insomma, senza la Lucania ce la vedremmo senza oro nero, mentre abbandonati dalla Grecia la vita non ci cambierebbe molto. Eppure, il coro unanime degli eurospacciatori ripete come una nenia che con Atene fuori dai giochi l’euro crolla trascinandosi dietro tutta l’UE. Laddove questo fosse credibile sarebbe un’ennesima attestazione della fragilità di una unione monetaria priva di basi politiche che qualcuno ritiene indispensabile, a questo punto con motivazioni altrettanto incredibili. Ovviamente, sto esagerando per mettermi al livello delle balle sesquipedali di cui si servono gli eurotravet per spaventare il resto della popolazione continentale, alla quale non deve baluginare nella testa l’idea di ricominciare col vecchio conio nazionale, altrimenti la grande finanza e la banche non saprebbero come speculare col sangue delle collettività ed arricchirsi alle spalle della gente. Ma l’euro è soprattutto necessario per giustificare l’esautoramento dei governi degli Stati più deboli ai quali viene sottratta la governace dell’economia che è il mezzo attraverso il quale si sovvenziona la sovranità e l’indipendenza di una nazione. Difatti, non esiste idea, aspirazione, volontà di affermarsi nel contesto regionale o globale, senza le risorse finanziare indispensabili a tradurre un concetto astratto in un progetto concreto, il desiderio di potenza in atto della Potenza. Per queste ragioni hanno caricato le elezioni elleniche di significati esasperati che nulla c’entrano con la situazione reale. A parte il fatto che anche in caso di abbandono della moneta unica la Grecia non sarebbe schizzata fuori dal campo gravitazionale di Bruxelles, la vera preoccupazione dei prepotenti del circolo delle stellette è l’indisciplina di questi piccoli associati i quali prima accettano di sedere al tavolo dove si perde sempre e poi pretendono di lasciare il banco con ancora le mutande indosso. Di Paesi furbetti che hanno contribuito a svuotare le casse comuni, pur non avendo aderito all’euro, l’ Europa è piena, aggiungiamo pure Atene a questo club esclusivo di renitenti senza stare a lagnarci più di tanto. Ci può essere pure il greco se sono iscritti danesi, svedesi e inglesi. Sembra una barzelletta ma è soltanto l’Europa dei banchieri e dei filibustieri politici sottomessi alla Casa Bianca. I sudditi di sua Maestà la Regina poi non hanno sacrificato nulla per essere parte integrante dell’UE tanto che non sappiamo ancora cosa ci stiano a fare, guidano contromano (lo ha detto persino Giorgio Napolitano durante una visita ufficiale a Londra), misurano in pollici e si sentono una spanna al di sopra di tutti gli altri. Altro che tracotanza tedesca, la serpe in seno dell’Europa è ancora la cinquantunesima stelletta degli Usa che si è intrufolata sulla bandiera europea per farci una guerra stellare e tenerci ancorati alla forza attrattiva ed egemonica di Washington. Forse ripristinando la dracma (ma con la vittoria della destra alle ultime consultazioni elettorai l’ipotesi dovrebbe allontanarsi) i greci avrebbero avuto come unica occupazione quella di suonare la lira. Per noi invece tornare alla lira, modificando le nostre proiezioni geopolitiche e le alleanze internazionali, significherebbe suonarle di santa ragione a chiunque, sia sotto il profilo economico, con le nostre esportazioni nuovamente competitive anche nei confronti della Germania, che su quello politico, approfondendo relazioni non convenzionali verso Est e nel Mediterraneo. Purtroppo questa opportunità ci è sfuggita recentemente di mano, a causa della defezione di tutta la nostra classe politica la quale, intimorita dall’aggressività internazionale dei nostri infidi partner, ha preferito affidarsi a Monti per smontare quanto di positivo era stato fatto negli anni passati. Quel poco di buono che avevamo raggiunto è stato dissipato da una classe dirigente di buoni a niente guidata da un pressapochista della Trilaterale. Quindi c’è poco da illudersi, non stamperemo la lira e nemmeno le canteremo a chicchessia mentre il mondo continuerà a canzonarci e a stamparci in faccia sonori sganassoni geopolitici. di Gianni Petrosillo

21 giugno 2012

Governo mondiale? La SPECTRE del nostro tempo

Dovrebbe preoccuparci la sollecitudine con cui gli USA quasi ci comandano di salvare la Grecia, ben sapendo che questa nazione si preoccupa dei suoi interessi prima di tutto, e una crisi economica, finanziaria e monetaria europea potrebbe colpire il notevole interscambio commerciale tra le due sponde dell’Atlantico. Una simile preoccupazione riguarda il governo cinese, che per sostenere gli indebitatissimi USA e i loro acquisti di merci cinesi, compra a tutto spiano buoni del tesoro americani. Oggi nel mondo l’economia domina su tutto il resto, essa è profondamente globalizzata, al punto di esigere una specie di governo mondiale dell’economia. La politica è semplicemente subalterna a questo signoraggio delle banche e delle multinazionali, non può e non vuole incidere sul sistema economico generato dalla globalizzazione e dovrebbe essere chiaro che l’economia decide e la politica ratifica queste decisioni. Se ciò è vero la sovranità nazionale e la democrazia diventano scatole vuote e la vita materiale dei cittadini è in grave precarietà e pericolo, poiché questa globalizzazione ha già i suoi vincitori e i suoi vinti. Infatti, solo le entità che possiedono sistemi di sfruttamento di centinaia di milioni di operai a basso costo, chi possiede multinazionali, chi domina il sistema finanziario (compreso il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale), chi controlla le materie prime attraverso un sistema militare con 900 basi nel mondo e con la complicità della Nato, hanno vinto la globalizzazione e hanno interesse a mantenerla, mentre le altre entità sono destinate al declino e a vedere un sostanziale peggioramento delle proprie condizioni di vita. Naturalmente questo equilibrio genererà e già genera l’acquisizione da parte dei vincitori dei pezzi pregiati residui dei paesi in declino, compresi porti e infrastrutture funzionali alla strategia globale. Secondo me è profondamente ottuso chi non vuole riconoscere questo stato dei fatti lasciandosi ingannare dall’uomo della finanza globale (Mario Monti) su una fantomatica “CRESCITA” da cui il nostro sistema-paese è già escluso. Vi è un aspetto della globalizzazione che DIMOSTRA, senza ombra di dubbio, come funziona il sistema: nel campo della ricerca scientifica, della progettazione di nuovi materiali, delle energie rinnovabili, assistiamo già da tempo ad una fuga di cervelli, verso quei paesi che hanno strutture di ricerca e grossi finanziamenti collegati a multinazionali capaci di trasformare in nuovi prodotti il lavoro di questi cervelli. Ebbene l’Italia non possiede nulla di tutto questo, addirittura i finanziamenti statali alla ricerca sono stati ridotti, i nostri cervelli vanno per lo più in America (in soccorso dei vincitori) e il nostro DECLINO è segnato. Altro che crescita e ripartenza! Chi sostiene che la globalizzazione è valida per noi italiani ci deve elencare quali vantaggi ne stiamo ricavando. E’ un vantaggio essere stati nel 2008 destabilizzati da sporche speculazioni americane dei subprime, dei titoli tossici spacciati al nostro sistema bancario, a enti locali (derivati), ai cittadini? Non sono forse queste speculazioni all’origine di parte della nostra crisi? Non è l’appartenenza alla Nato e in genere la nostra subordinazione agli USA a costringerci a enormi spese militari, a interventi armati anticostituzionali, fino all’acquisto di più di cento cacciabombardieri “made in USA”? Quali vantaggi ricaviamo d queste politiche? Avremmo un enorme vantaggio ad usare questo denaro per diminuire il nostro immane debito pubblico, che è la voce principale della nostra crisi, poiché destina agli interessi passivi ciò che potrebbe essere investito nella nostra economia. Il capitalismo, il liberismo, le speculazioni finanziarie, i guerrafondai nostri cari alleati, il FMI la WTO, hanno determinato una crisi sistemica in cui molti paesi, tra cui l’Italia, sono senza futuro e le cose possono solo peggiorare se non capiamo che l’unica via d’uscita è uscire dal sistema, a cominciare dall’Euro, dalla WTO, dalle alleanze militari e dalle relative spese, e trattare la sospensione degli interessi alle banche (francesi, tedesche, italiane) che detengono la maggior parte del nostro debito. Ricordo per inciso che le banche di mezzo mondo, pur identificate come responsabili di truffe e speculazioni, invece di essere fatte fallire sono state rifinanziate con soldi pubblici che peraltro non prestano a imprese e cittadini. Mi piacerebbe che si parlasse di futuro in termini di scelte e di strategie capaci di portare il nostro paese per prima cosa verso l’autosufficienza energetica e quella agricola, in cui dipendiamo dall’estero rispettivamente dell’80% e del 60%. Una rivoluzione tecnologica capace di diffondere l’energia solare su ogni tetto di struttura produttiva (dalle stalle ai capannoni industriali, fino alle case), uscendo dalla schiavitù del petrolio, portando questa rivoluzione nel campo dell’autotrazione, con sistemi elettrici combinati all’idrogeno. Ci sarebbe da fare per molti, dai ricercatori alle imprese, agli operai, agli installatori, ma solo proteggendo questi settori dalla penetrazione di prodotti stranieri. Ho l’impressione che oggi coloro che parlano genericamente di ripresa e crescita parlino del NULLA ASSOLUTO, guidino la nostra Italia verso la rassegnazione e il declino e portino alla vittoria il Governo mondiale, la Trilateral, il gruppo Bilderberg, il FMI, la NATO, le grandi BANCHE. La SPECTRE per l’appunto. di Paolo De Gregorio

20 giugno 2012

Giannuli: a casa Monti e il suo governo di tecnici cialtroni

Monti? No, grazie. L’economista Aldo Giannuli boccia senza appello il governo dei tecnocrati: «Rare volte, in politica, è stato possibile assistere ad un fallimento più pieno, palese e veloce di quello che sta accadendo al governo Monti». Doveva essere il governo dei tecnici puri, insensibili alle ragioni politiche e si è dimostrato «un governo di destra». Non solo in economia, anche in materie come la giustizia o i diritti civili. Doveva essere un governo dei “competenti”, la crema dell’intellighenzia manageriale, amministrativa, diplomatica, e «si sta dimostrando un governo di cialtroni incompetenti senza pari: pensate alla figuraccia della Fornero sugli esodati che, per di più, anziché prendere il primo aereo per il Tibet, dove ritirarsi in solitaria meditazione cercando di farsi dimenticare, si scaglia contro i dirigenti dell’Inps meditando di cacciarli perché hanno osato smentirla dati alla mano». Soprattutto: l’esecutivo Monti, imposto da Napolitano e sostenuto da Pd e Pdl, doveva essere il governo del risanamento dell’economia. Risultato: «Lo Aldo Giannulispread è risalito poco sotto i 500 punti, la fracassata di tasse ha messo a terra famiglie e aziende inasprendo la recessione e, come beffa finale, l’aumento di 1 punto dell’Iva ha causato un introito complessivo di tasse inferiore di tre punti all’anno prossimo. Verrebbe da dire a Monti: ma dove hai studiato economia?». Vero, non è tutta colpa sua, aggiunge Giannuli, «ma lui ci mette del suo per peggiorare le cose, facendo l’esatto opposto di quanto andrebbe fatto». Zero in condotta: «Come tecnico è solo una mezza cartuccia, ma come politico è una vera bestia». Insieme a Grecia, Portogallo, Spagna e Irlanda, l’Italia resta il principale bersaglio della speculazione finanziaria: questo «avrebbe dovuto indurre il governo italiano a cercare una linea comune con questi paesi per pesare rispetto all’Europa», dialogando con gli Stati «a prescindere dai governi», senza consentire alla Germania di parlare di “elemosine”, ma offrendo «contropartite politiche ed economiche precise». La Merkel? «Sappiamo che è una mediocrità collocata in un posto molto al di sopra delle sue capacità e della sua intelligenza, esattamente come accadeva a quel playboy da strapazzo di Sarkozy, ma qualche ragione ce l’ha pure lei, povera donna: fra poco più di sei mesi deve affrontare elezioni difficilissime», e i tedeschi non vogliono sentir parlare di aiuti agli europei del “Club Med”. «Dunque, prima ancora che alla Merkel – la cui limitata velocità di comprensione è nota – occorre parlare ai tedeschi», insiste Giannuli. Tedeschi, ai quali occorre spiegare che, sin qui, l’euro ha molto avvantaggiato le loro esportazioni: non si tratta di pietire “aiuti”, ma di impostare progetti e convenienze comuni, allargando l’area della manifattura tedesca verso produzioni complementari. E attenzione: il debito reale della Germania non è il celebrato 83% del Pil, ma il 105%: Berlino scoprirebbe di non essere lontana da Roma, se smettesse di “dimenticare” la Mario MontiCassa Depositi e Prestiti, «senza la quale anche noi saremmo sotto il 100%». E se anche l’euro dovesse saltare, continua Giannuli, sarebbe conveniente anche per la Germania mantenere una politica di cooperazione europea per non essere spazzata via dalla crisi della globalizzazione: «Se l’euro andasse a carte quarantotto, gli altri si spezzerebbero le ossa, ma anche i tedeschi non se la caverebbero mica con tre graffi: il conto sarebbe salatissimo anche per loro». La prima azione congiunta su cui puntare? «La messa in comune di parte del debito», con garanzie per tutti. Monti, aggiunge Giannuli, dovrebbe sapere che, quando va ad un summit europeo, «se si presenta con il cappello in mano facendo la figura dello straccione non è che disponga bene gli altri», specie se poi non fa che obbedire all’euro-diktat sul rigore, senza un’idea su come sostenere davvero l’economia. «Come si fa ad affidarsi ad uno come Monti che ha la vis comunicativa e la simpatia umana di un merluzzo surgelato?». Insomma, tempo scaduto: «Direi che ormai il fallimento dell’esperimento dei “tecnici” non potrebbe essere più completo e che è il momento di trarne le dovute conseguenze». Quali? Votare ad ottobre. «Mi direte: “Ma non è il momento, siamo in piena bufera finanziaria”. Verissimo – ammette Giannuli – ma cosa vi fa pensare che in marzo saremo in piena bonaccia?». Secondo l’economista, «qui rischiamo una campagna elettorale di otto mesi, con un governo di nessuna rappresentatività e credibilità, per poi andare comunque a votare (con il conseguente inevitabile vuoto di potere) in marzo, quando magari ci sarà una tempesta ancora peggiore. Non vi sembra il caso di darci un taglio?» di Giorgio Cattaneo

18 giugno 2012

Iniziate a pregare

Ancora pochi giorni di attesa per conoscere il verdetto degli ellenici, euro si o euro no, che per noi significherà euro salvezza o euro disastro. A quel punto infatti se la Grecia esigerà per pretesa politica di voler abbandonare la moneta unica, accollandosi tutti i rischi che questo comporterà per la propria economia, si produrrà un pericoloso precedente, a cui nel breve futuro altri paesi vorranno fare riferimento. La maggior parte degli italiani, complice forse i campionati di calcio europei e gli scandali del campionato italiano, non ha minimamente idea dei rischi che potrebbe vivere se le autorità sovranazionali (BCE, FMI ed Eurogruppo) non si inventeranno velocemente una exit strategy credibile. Perchè è di questo che il mondo si interroga: l'immobilismo politico europeo, quasi a voler aspettare di vedere il crash per poi intervenire all'ultimo minuto. Questo inizio settimana si è parlato di un Big Plan per salvare l'Europa: Draghi & Company ci stanno lavorando. Dovremmo essere ottimisti per una volta tanto, tuttavia siamo arrivati a questo punto perchè sino ad oggi di decisioni forti e autoritarie non se ne sono mai viste. Solo nella giornata di ieri ho ricevuto qualche centinaia di email di risparmiatori in preda ad una crisi di nervi dopo quanto è stato fatto trapelare sulle misure di possibile contenimento post elezioni greche: si va dal contigentamento dei conti correnti (come in Argentina nel 2001) sino al bando del trattato di Shenghen. Nonostante questo, ci sono ancora italiani che alle 18:30 corrono a casa per non perdersi l'Olanda che gioca con la Germania agli Europei. Mi viene da sorridere in questo momento perchè se la situazione sfuggisse di mano vedremo (forse) la finale di una competizione sportiva per l'assegnazione di un titolo europeo quando di Europa potrebbe veramente rimanere poca cosa (e questo nel giro di qualche settimana). Affannarsi adesso a cercare di aprire il conto in Svizzera o di investire sull'oro in pochi giorni non ha proprio senso: pensate che proprio il metallo giallo si sta muovendo in controtendenza con la percezione del rischio, in quanto si teme che possa essere espropriato o congelato quello detenuto dai privati per investimenti personali. Come dice il titolo, iniziate a pregare. Pregate che i greci non siano così scellerati da segare le gambe della sedia in cui sono adesso seduti, pregate che i mercati azionari ai valori attuali stiano già scontando il worst case scenario, pregate che la Merkel rinsavisca nel sonno delle prossime notti, pregate che Draghi dimostri di essere a tutto il mondo veramente Super Mario, pregate che le banche italiane in caso di addio ellenico all'euro non siano commissariate, pregate che le autorità di controllo e vigilanza dei mercati impongano la chiusura delle negoziazioni per ragioni di sicurezza nazionale (come fecero gli USA con l'attacco del 9/11), pregate che il FMI presti a dismisura quello che serva per sostenere paesi deboli come Spagna e Italia, pregate che la Cina si faccia avanti per sorreggere le quotazioni dei titoli di stato europei, pregate che qualcuno non si inventi un prelievo straordinario sui depositi a vista per drenare risorse finanziarie da devolvere al sistema bancario europeo, infine pregate che la vostra vita non finisca come quella di J.J. Braddock come raccontata nella prima parte del film Cinderella Man. Si parla tanto della fine del mondo nel 2012 causa simbiosi con il calendario maya, non so se ci sarà a fine anno la fine del genere umano, di certo se il clima in Europa non muta velocemente rischiamo di vedere la fine dell'Europa e dell'Euro. Cerchiamo di essere pragmatici: nessuno auspica la fine della moneta unica, non conviene a nessuno e pochissimi avrebbero da guadagnarci in misura sostanziale. Questo è l'unico dato di fatto a cui ci possiamo aggrappare come fosse un maniglione antipanico. Tuttavia dobbiamo anche notare come nessuno si stia autorevolmente impegnando per uscire da questa situazione paradossale di limbo finanziario in cui siamo catapultati. Forse nessuno si impegna a cercare una soluzione definitiva, perchè purtroppo non esiste la exit strategy o la medicina amara da prendere. Ci sono solo dei calmanti come gli stability bond o del cortisone come la politica di austerity. Sarà proprio per questo che dobbiamo effettivamente pregare. di Eugenio Benetazzo

17 giugno 2012

Quelle oligarchie invisibili fantasmi della democrazia

Quando la locuzione “poteri forti” fu coniata, nei primi anni della Seconda Repubblica, si riferiva a Confindustria, a parti della magistratura, ai servizi segreti, alla massoneria, e anche ai potentati economici internazionali. Insomma, a istituzioni pubbliche e private molto diverse tra loro, e unite solo dal non avere natura rappresentativa, cioè dall’essere esterne, o a volte ostili, all’esercizio trasparente del potere, alla sua fonte originaria di legittimità (il popolo), e ai suoi canali d’espressione politica (i partiti) e istituzionale (il parlamento e il governo). Davanti a questi poteri (recentemente evocati da Mario Monti perché il suo governo avrebbe perso il loro appoggio), la democrazia rappresentativa è debole proprio in quanto potere pubblico, sfidato da forze che sono di volta in volta elitarie, segrete, nascoste, private, illegali. In quest’ottica, è il popolo a esercitare un potere fittizio, universale, artificiale, a cui si contrappongono poteri reali, opachi, ristretti, “naturali” perché fondati sull’antichissima base del privilegio. Poteri, inoltre, che non accettano il rischio dell’esercizio diretto, fosse anche nella forma dell’oligarchia; e che assumono la veste del potere indiretto, di un potere, cioè, che si cela, oppure che nega di essere potere, per non sottostare a regole comuni e per non rispondere della propria azione. All’origine della filosofia politica moderna il potere indiretto era quello esercitato sulle coscienze dalla Chiesa cattolica (non menzionata nell’elenco consueto dei poteri forti, benché lo sia, con ogni evidenza), a cui le élites laiche rispondevano con il potere dello Stato, con la costruzione della sovranità, col potere invincibile di tutti. Una questione seria, dunque, quella dei poteri forti. Una questione che un tempo si declinava da destra in termini di plutocrazia (per di più, “giudaica”) opposta alla sana forza collettiva delle nazioni, mentre da sinistra si istituiva l’antitesi fra la prassi popolare e il complotto – le “forze oscure della reazione in agguato”, secondo il lessico dei primi anni del dopoguerra; ma le leggende (non infondate) sulla Commissione Trilaterale o sul gruppo Bilderberg sono giunte fino agli anni Ottanta, insieme al mito dell’onnipotenza della Cia, del Kgb, o delle multinazionali. Una questione che è anche declinabile come la continuità, nelle diverse forme storiche, dell’eterno potere delle élites, o della legge del più forte, che la democrazia cerca di spezzare, istituendo una discontinuità: che consiste o in una strategia monistica, facendo nascere un nuovo potere dal popolo, un potere forte appunto perché non di una parte ma anzi perché di tutti, o con una sensibilità pluralistica, spingendo le classi dirigenti a competere apertamente per il consenso dei cittadini. O, anche, costruendo e organizzando poteri più forti dei poteri forti; contropoteri di lotta e di governo (come si diceva un tempo). Con poteri forti si intende quindi la rocciosa permanenza delle diverse forme del potere di sempre – parziali, egoiste, autointeressate – all’interno degli spazi istituzionali democratici; la loro occhiuta e lungimirante vigilanza perché nulla cambi veramente; la loro capacità di influenzare invisibilmente o indirettamente la politica visibile; di contrapporre la propria permanenza e la propria stabilità all’accidentalità, alla casualità e alla fugacità dei poteri costituiti. Si intende insomma l’impossibilità che la vita associata sia governata dalla ragione pubblica senza alcun elemento di segreto, o che sia indenne da corpose e incoercibili ragioni private – ad esempio, il “complesso militare-industriale” di cui parlava un presidente repubblicano come Eisenhower –. I poteri forti sono quindi un segno di una debolezza strutturale della politica democratica, di un limite oggettivo al suo potere, con cui è realistico accettare di dover fare i conti, senza sottomettervisi. Ma spesso sono anche un comodo alibi, un nome generico, buono a tutti gli usi, col quale una politica debole per sua colpa o imprevidenza soggettiva copre insuccessi e fallimenti di cui non si vuole assumere la responsabilità. Assi portanti della storia materiale del nostro tempo, convitati di pietra al banchetto della democrazia, in ogni caso i poteri forti oggi hanno una dislocazione extra-statale e extra-nazionale; sono le grandi case farmaceutiche padrone del biopotere globale, le agenzie di rating, la finanza internazionale (i “mercati”), le istituzioni economiche mondiali ed europee, i media di dimensione transcontinentale, le mafie pluritentacolari, le istituzioni che curano la Ricerca e Sviluppo per la Difesa delle grandi potenze, le multinazionali dei generi alimentari e dell’energia. A questi veri poteri forti si abbarbicano oggi i poteri forti di rango nazionale; che a volte – grande novità – esercitano direttamente il potere politico, in fasi d’emergenza o di estrema debolezza dei poteri istituzionali, come referenti e garanti di alcuni vitali interessi sia nazionali sia sovranazionali. E quando questi poteri locali trovano ostacoli alla propria azione, hanno la tentazione di presentarsi come abbandonate da quei poteri forti, che in realtà esse stesse incarnano e tutelano. La lotta contro i poteri forti – anche se in realtà sono soltanto categorie riottose, corporazioni egoiste – diviene così uno slogan e un alibi per gli stessi poteri forti. Che ciò dimostri ancora una volta la loro forza – la loro capacità di eludere la responsabilità politica – o piuttosto la loro debolezza e insufficienza, lo si capirà tra breve. Da subito si comprende invece che, benché forse impossibile da raggiungere pienamente, un decente obiettivo dell’azione politica dovrebbe essere che i poteri forti trovino un nuovo limite, e un orientamento, in un più forte potere di tutti. di Carlo Galli

16 giugno 2012

Autorità sovranazionali e fine degli Stati

Meno di tre mesi per salvare l’euro. Da quando è approdata alla direzione del Fondo monetario internazionale, dopo aver lasciato il ministero delle Finanze francese, Christine Lagarde è entrata così dentro il suo ruolo di banchiere da assumere i tipici vezzi e i modi di ragionare della tecnocrazia internazionale. Il primo dei quali è di pensare che la soluzione di tutti gli sconquassi dei mercati finanziari non si trovi, come sarebbe logico, nell’incominciare a stroncare la speculazione ma che possa invece essere trovato nella creazione di un governo mondiale o di una grande autorità sovranazionale, tipo appunto il Fmi, che con le buone o con le cattive, riesca a convincere gli Stati a cedergli progressivamente la loro sovranità e nell’adottare una unica moneta di riferimento. Nessuno, e meno che mai la Lagarde, si preoccupa di ricordare che un’autorità del genere finirebbe per avere ai posti di comando esponenti di punta di quel mondo bancario e finanziario anglo-americano che da un decennio tiene sotto tiro i Paesi europei per colpire l’euro e tutelare il ruolo svolto dal dollaro e dalla sterlina. Tre mesi, lo stesso periodo di tempo che un altro bandito di professione come George Soros, ha assegnato all’Unione europea “per correggere i propri errori e invertire l'attuale inerzia”. Un’affermazione che per il criminale di Wall Street significa che i Paesi europei dovrebbero fare di più per la crescita economica ricorrendo ad un maggiore indebitamento pubblico anche se questo significasse l’abbandono della linea del rigore dei conti imposta dalla Merkel, dalla Commissione europea e dalla Bce ai Paesi dell’euro per salvare la moneta unica ma che ha innescato l’attuale recessione. Per la Lagarde, i tre mesi non significano però che entro tale termine la situazione dovrebbe risolversi al meglio ma che si dovranno adottare le prime misure di una strategia sul lungo periodo che dovrebbe rendere l’euro praticamente inattaccabile. La creazione dell'Eurozona, ha ricordato, ha richiesto tempo. Si tratta di un che dovrà essere migliorato, modificato e rafforzato. Varie questioni vanno risolte, come quella della Grecia. La Lagarde non sa dire se Atene uscirà dall’euro ma in ogni caso, al di là della colorazione e dalle decisioni del nuovo governo che nascerà dalle prossime elezioni, il primo punto sul quale si deve intervenire con decisione è l’evasione fiscale che ha raggiunto livelli intollerabili. Sulla stessa linea, il vice direttore del Fmi, David Lipton, anche lui contrassegnato da un curriculum degno di un usuraio istituzionalizzato. Dopo essere stato direttore generale di Citi Group Bank, Lipton ha infatti fatto parte del National Economic Council e del National Security Council alla Casa Bianca durante l’amministrazione Clinton. A suo avviso i 100 miliardi che i fondi salva Stati dell’Unione europea verseranno per salvare le banche spagnole e ricapitalizzarle, rappresentano un importante passo ed eliminano dubbi e incertezze. Ma, in linea più generale, per l'Europa sono necessari altri passi da parte dei Paesi membri in funzione del consolidamento fiscale, che significa pareggio di cassa nel rapporto tra entrate (tasse) ed uscite finanziarie (spesa pubblica). Scontate le soluzioni prospettate dalla Commissione europea che con il suo presidente, Josè Barroso, ha auspicato la nascita di una nuova struttura burocratica. Un supervisore sovranazionale per le grandi banche dei 27 Paesi dell'Unione in funzione della nascita, entro il 2013, di una Unione Bancaria. Per il tecnocrate portoghese, il piano potrebbe essere realizzato senza metter mano agli attuali trattati europei. Esso dovrebbe comprendere uno schema per la garanzia dei depositi e un fondo di salvataggio pagato dalle istituzioni finanziarie. Oggi vi sarebbe una più chiara consapevolezza fra gli Stati membri europei sulla necessità di andare avanti nel processo di integrazione, specie nell'area dell'euro. Questa, ha insistito, è una delle lezioni da trarre dalla crisi. A Berlino, Londra e Parigi, ha concluso, i leader politici hanno cominciato a capire che l'eurozona potrà sopravvivere solo attraverso soluzioni europee comuni e una maggiore integrazione. Il fatto che Barroso abbia citato Londra, la Borsa di un Paese che non fa parte dell’euro, la dice lunga sul modo di ragionare del tecnocrate portoghese che come molti suoi colleghi non vuole ammettere quale sia oggi la posta in gioco e come la Gran Bretagna sia oggi, con gli Stati Uniti, il primo nemico operativo dell’euro. Se Barroso vuole l’Unione Bancaria, il Governatore della Banca di Francia, Christian Noyer, vuole l’Unione Finanziaria europea. Una necessità che si sarebbe resa chiara con la crisi finanziaria e con i suoi effetti. L’Unione Monetaria, ha ammonito, ha bisogno di essere sostenuta da entrambe. L’Unione Finanziaria comporterà la nascita di una autorità unificata di supervisione per seguire e controllare quelle società finanziarie che abbiano una presenza e una attività significative al di la dei confini nazionali ed europei. di Filippo Ghira

15 giugno 2012

Prima o poi un crollo della finanza busserà alla porta

Fin dall'inizio della crisi finanziaria e della contrazione dei consumi, la domanda che ci siamo posti è stata: “Come può la Federal Reserve mantenere a zero i tassi di interesse per le banche e applicare tassi reali negativi per i risparmiatori e gli obbligazionisti mentre il debito pubblico degli Stati Uniti aumenta di 1.500 miliardi dollari ogni anno per il suo deficit di bilancio?” Non molto tempo fa la Fed ha annunciato che avrebbe continuato questa politica per altri due o tre anni. Ma la Fed è vincolata alla politica e se non tenesse artificiosamente bassi i tassi di interesse, il costo degli interessi sul debito pubblico sarebbe così alto che ci si dovrebbe fare domande sul rating di credito che gode il Tesoro degli Stati Uniti e sulla vitalità del dollaro. Allora si che verrebbero a galla tutti i problemi sulle migliaia di miliardi di dollari di interest rate swap e di tutti i derivati. In altre parole, la deregolamentazione finanziaria ha permesso a Wall Street di giocare d'azzardo. La decisione del governo degli Stati Uniti di salvare le banche per farle sopravvivere e la Federal Reserve con la sua politica di zero tassi di interesse ha messo il futuro economico degli Stati Uniti, e la sua moneta, in una posizione insostenibile e pericolosa. Non sarà possibile continuare a inondare i mercati obbligazionari con 1.500 miliardi dollari in nuove emissioni ogni anno se il tasso di interesse sulle obbligazioni sarà inferiore al tasso dell’inflazione. Chiunque acquistasse un Treasury Bond comprerebbe un bene che si deprezza. Per di più è un rischio molto alto investire in titoli del Tesoro. Un tasso di interesse basso significa che il prezzo pagato per una obbligazione è molto alto. Un aumento dei tassi di interesse, che deve venire prima o poi, farà crollare il prezzo delle obbligazioni e infliggerà perdite in conto capitale a tutti i detentori di obbligazioni, sia nazionali che estere. La domanda è: Prima o poi? Lo scopo di questo articolo è quello di esaminare questo problema. Cominciamo col rispondere alla domanda: come ha fatto a reggere tanto a lungo una politica così insostenibile? Una serie di fattori stanno contribuendo alla stabilità del dollaro e del mercato obbligazionario. Un fattore molto importante è la situazione in Europa. Ci sono problemi reali anche lì, e la stampa finanziaria continua a parlare di Grecia, Europa e di euro. La Grecia uscirà dall’Unione europea o sarà buttata fuori? Il problema del debito sovrano si fermerà a Spagna e Italia o si estenderà ovunque, eccetto che alla Germania e ai Paesi Bassi? Sarà la fine della UE e dell'euro? Queste sono tutte domande molto drammatiche che continuano a tenere lontana l’attenzione dalla situazione americana, che, probabilmente, è anche peggiore. Il mercato delle obbligazioni del Tesoro è sostenuto dalla paura che i singoli investitori hanno del mercato azionario, che è stato trasformato in un casinò dagli speculatori che comprano e vendono in continuazione. Il Trading ad alta frequenza è un commercio elettronico basato su modelli matematici che prendono le decisioni. Le imprese di investimento competono sulla base della velocità, acchiappando le plusvalenze da una frazione di secondo, e forse mantenendo il titolo solo per pochi secondi. Non si tratta di investitori a lungo termine. Soddisfatti dei loro tantissimi, piccoli guadagni giornalieri, alla fine di ogni giornata hanno già rivenduto tutto. Questo lavoro ormai rappresenta il 70-80% di tutti gli scambi azionari. Il risultato è un forte bruciore di stomaco per tutti gli investitori tradizionali, che stanno abbandonando il mercato azionario. Finiscono per comprare Titoli del Tesoro, anche se non sono sicuri della solvibilità delle banche che non pagano quasi niente per i depositi, mentre per i Buoni del Tesoro a 10 anni pagano circa il 2% nominale, il che significa che, considerando l'indice ufficiale dei prezzi al consumo, stanno perdendo l’ 1 % del loro capitale ogni anno. Se prendiamo l’indice di calcolo dell’inflazione di John Williams (www.shadowstats.com) stanno perdendo molto di più. La perdita è di circa 2 punti percentuali rispetto a lasciare i soldi fermi in banca, ma a differenza delle banche, il Tesoro può chiedere alla Federal Reserve di stampare i soldi per pagare le sue obbligazioni. Pertanto, l'investimento obbligazionario restituisce il suo valore nominale, anche se il suo valore reale è molto più basso. ( http://en.wikipedia.org/wiki/High_frequency_trading). Studi finanziari ci dicono che la fuga dal debito sovrano europeo, dagli euro “condannati”, e dal progressivo disastro immobiliare verso i titoli del Tesoro USA provocano a Washington un deficit annuo di 1,5 trilioni di dollari. Un'altra spiegazione per giustificare la stabilità di questa politica insostenibile è la collusione della Fed con Washington e con Wall Street. Staremo a vedere come andrà a finire. A differenza del Giappone, che ha il debito nazionale più grande di tutti, gli americani non possiedono il proprio debito pubblico. Gran parte del debito americano è detenuto all'estero, in particolare da Cina, Giappone e dall’OPEC, i paesi esportatori di petrolio. Questo ha messo l'economia statunitense in mani straniere. Se la Cina, per esempio, dovesse trovarsi indebitamente provocata da Washington, potrebbe scaricare fino a 2 trilioni di dollari americani sui mercati mondiali, dominati dallo stesso dollaro. Il prezzo di qualsiasi bene crollerebbe, e la Fed dovrebbe correre a creare denaro per ricomprare tutti i titoli finanziari emessi in dollari. I dollari stampati per comprare i titoli oggetto del dumping cinese su tutte le attività in dollari aumenterebbero l'offerta di dollari sui mercati valutari e farebbero scendere il tasso di cambio del dollaro. La Fed, in mancanza di valute estere con cui comprare i dollari dovrebbe fare un appello per recuperare la sua parte del debito sovrano Europeo per avere gli euro, della Russia, che è circondata dai missili americani per avere i rubli e del Giappone, paese sotto il suo controllo, per avere yen, con cui comprare titoli in euro, rubli, e yen. In altre parole, anche se il governo degli Stati Uniti può far pressione sui suoi alleati e vassalli per scambiare le loro valute più pregiate con una valuta americana deprezzata, questo comportamento non potrebbe durare a lungo. Chi lavora con il dollaro americano non vuole più il dollaro, come già fanno i paesi del BRICS. Comunque se la Cina, per esempio, volesse liberarsi di tutte le sue riserve in dollari, allo stesso momento, le costerebbe caro, perché il valore dei titoli in dollari diminuirebbero a causa del dumping. A meno che la Cina non si trovi a dover affrontare un attacco militare degli Stati Uniti e, per questo, avesse bisogno di tagliare le unghie all'aggressore, la Cina da gestore economico razionale preferirà uscire lentamente dai suoi investimenti in dollari USA. Né Giappone, né Europa, né l'OPEC vogliono distruggere la propria ricchezza accumulata nel deficit americano vendendo dollari in dumping. Ma i sintomi dicono che tutti vogliono liberarsi dalle riserve in dollari. A differenza della stampa finanziaria americana, gli stranieri titolari di conti in dollari guardano al bilancio degli Stati Uniti e al suo deficit commerciale, guardano all'economia che affonda negli Stati Uniti, guardano le speculazioni aperte di Wall Street, guardano i piani di guerra di un paese egemone e delirante e concludono: "Devo stare attento ma devo uscirne." Le banche americane hanno anche un forte interesse a mantenere lo status quo. Sono titolari dei titoli di stato americani e potenzialmente anche di titoli più grandi. Le banche possono prendere in prestito dalla Federal Reserve a tasso di interesse zero e acquistare titoli del Tesoro a 10 anni al 2%, per guadagnare così un utile nominale del 2% e compensare le perdite dei derivati. Le banche possono prendere in prestito dollari dalla Fed gratuitamente e investirli in lucrose operazioni sui derivati. Come dice Nomi Prins, le banche americane non vogliono fare affari contro se stesse o contro la loro fonte gratuita di finanziamento, vendendo i loro titoli obbligazionari. Inoltre, se dall’estero ci si liberasse del dollaro, la Fed potrebbe aumentare la domanda estera di dollari richiedendo alle banche straniere che vogliono operare negli Stati Uniti di aumentare le loro riserve in dollari. Potrei continuare, ma credo che questo sia già sufficiente a dimostrare che anche le parti del processo che potrebbero chiuderlo hanno un grande interesse personale nel non smuovere le acque e preferiscono strisciare silenziosamente e lentamente fuori dal dollaro prima che arrivi la crisi. Questo non durerà molto a lungo, perché altrimenti il processo di ritiro progressivo dal dollaro si tradurrebbe in un continuo piccolo declino del valore del dollaro che si trasformerebbe in una corsa per uscire, ma gli americani non sono gli unici popoli che delirano. Il processo stesso di uscire lentamente può spingere in basso la casa americana. Il BRICS - Brasile, la più grande economia del Sud America, la Russia, in possesso di armi nucleari e con un'economia energetica autosufficiente e da cui l'Europa occidentale (i paesi burattini della NATO di Washington) è dipendente per l'energia, l'India, uno dei due giganti asiatici emergenti dotato di armi nucleari, la Cina, il più grande creditore di Washington (ad eccezione della Fed) e anch’essa dotata di armi nucleari e fornitore di prodotti di tecnologia avanzata, è anche il nuovo spauracchio della sicurezza militare e strizza l’occhio ai profitti che verranno da una nuova guerra fredda e poi il Sud Africa, la più grande economia africana : insieme stanno creando una nuova banca. La nuova banca consentirà alle cinque grandi economie di fare affari senza ricorrere all'uso del dollaro americano. Inoltre, il Giappone, stato soggetto agli USA dalla Seconda Guerra Mondiale, sta per fare un accordo con la Cina in cui lo yen giapponese e lo yuan cinese potranno essere scambiati direttamente. Il commercio tra i due paesi asiatici sarà condotto nelle loro valute senza l'uso del dollaro. Questo ridurrà il costo del commercio estero tra i due paesi, eliminando le commissioni sul cambio per la conversione da yen e yuan in dollari e per la riconversione in yen e yuan. Inoltre, questa spiegazione ufficiale per il nuovo rapporto diretto, evitando il dollaro come mezzo di scambio è, semplicemente, diplomazia. per smettere di dover accumulare dollari e dover parcheggiare i loro surplus commerciali in titoli di stato statunitensi. Il Giappone, governo fantoccio degli Stati Uniti, spera che l'egemone Washington non richieda di rinunciare all'accordo con la Cina. Ora siamo arrivati ai soldi sonanti. La piccola percentuale di americani che sono consapevoli e informati è perplessa perché i banchieri sono scappati dopo aver commesso i loro crimini finanziari senza essere stati puniti. Il motivo potrebbe essere che le banche "too big to fail- troppo grandi per fallire” sono un accessorio di Washington e della Federal Reserve usate per mantenere la stabilità del dollaro e dei mercati obbligazionari del Tesoro malgrado una politica insostenibile della Fed. Ma prima diamo un'occhiata a come le grandi banche possono mantenere bassi i tassi di interesse sui buoni del tesoro, sotto il tasso di inflazione, nonostante il costante aumento del debito degli Stati Uniti sulla percentuale del PIL -consentendo così al Tesoro di pagare gli interessi sul debito. Le banche in pericolo, troppo grandi per fallire, hanno un vantaggio enorme a mantenere bassi i tassi di interesse e al successo della politica della Fed. Tutte le grandi banche vogliono che la politica della Fed abbia successo. JPMorganChase e altre mega-banche possono indirizzare i tassi di interesse del Tesoro e, quindi, far aumentare i prezzi delle obbligazioni, guadagnandoci, con la differenza dell’Interest Rate Swap (IRSwaps). Una società finanziaria che vende IRSwaps sta vendendo un accordo per pagare tassi di interesse variabili sui tassi di interesse fissi. Il compratore sta acquistando un accordo che gli richiede di pagare un tasso di interesse fisso comprando titoli che hanno un tasso variabile. Il motivo che ha un venditore di rischiare su un investimento a breve di IRSwap, cioè, di pagare un tasso variabile per un tasso fisso, è la sua convinzione che i tassi stanno per cadere. Uno Short-selling può spingere i tassi a scendere, e quindi i prezzi della Tesoreria a salire. Quando questo accade, come mostrano i grafici su http://www.marketoracle.co.uk/Article34819.html il mercato obbligazionario del Tesoro impazzisce e tutti corrono a comprare. E' "una fuga verso il porto sicuro dei Titoli obbligazioni e del tesoro in dollari degli Stati Uniti." In effetti, la prova (vedi le tabelle nel link sopra) è che gli swap sono venduti da Wall Street quando la Federal Reserve ha bisogno di evitare un aumento dei tassi di interesse per proteggere la propria politica che, altrimenti, diventerebbe insostenibile. Le vendite di swap danno l'impressione che il dollaro prenda quota, ma è solo un’illusione. Quindi, visto che gli IRSwaps non si basano su nessun capitale reale ma sono solo una scommessa sui movimenti dei tassi d'interesse: Non c'è limite al volume di IRSwaps. Questa apparente collusione fa pensare ad alcuni osservatori che la ragione per cui i banchieri di Wall Street non sono stati perseguiti per i loro crimini è che sono essi stessi una parte essenziale della politica della Federal Reserve per mantenere il dollaro come valuta mondiale. Forse la collusione tra la Federal Reserve e le banche è voluta, ma non dovrebbe essere così. Le banche sono le vere beneficiarie della politica di tasso zero della FED. È interesse delle banche sostenerla. Non è necessario organizzare la collusione (è spontanea). Passiamo ora ai lingotti d'oro e d'argento. Gerald Celente e altri veggenti avevano previsto che il prezzo dell'oro sarebbe arrivato a $ 2.000 l’oncia entro la fine dello scorso anno. Oro e argento in lingotti hanno continuato nel 2011 la loro decennale corsa al rialzo, ma nel 2012 i prezzi di oro e argento sono crollati, l'oro ha perso ben $ 350 l’oncia dal suo massimo di $ 1900. Alla luce delle analisi che ho presentato, qual è la spiegazione per questa inversione nel prezzo dell'oro? La risposta ancora una volta è un corto circuito. Alcuni esperti finanziari credono che la Federal Reserve (e forse anche la Banca Centrale Europea) faccia vendite allo scoperto di lingotti attraverso banche di investimento, garantendole da eventuali perdite premendo un tasto del computer e facendo creare alle banche centrali nuovo denaro dal niente. Ho saputo che una piccolissima percentuale degli acquisti a breve in realtà devono essere garantiti da lingotti d'oro o argento, e sono soddisfatti del loro valore perché, non c'è limite alle vendite allo scoperto di oro e argento. La vendita allo scoperto può effettivamente superare la quantità esistente (usata come garanzia) di oro e argento. Alcuni di coloro che hanno osservato il processo per anni credono che il governo abbia guidato le vendite allo scoperto per molto tempo. Anche senza la partecipazione del governo, le banche possono controllare il volume degli scambi cartacei d’oro e il profitto che si ricava dai suoi scambi. Recentemente la vendita allo scoperto è così aggressiva che non solo rallenta l'aumento dei prezzi dell'oro, ma spinge il prezzo verso il basso. Questa aggressività è segno che questo sistema truccato non reggerà ancora per molto? In altre parole, "il nostro governo", che presumibilmente rappresenta noi, piuttosto che i potenti interessi privati che eleggono "il nostro governo" (con i loro contributi alle campagne multi-milionarie, ora legittimate dalla Corte Suprema repubblicana) : Sta facendo del suo meglio per evitare di portare via a semplici cittadini, a schiavi, a servi a contratto, e a "estremisti domestici" la facoltà di proteggere la propria ricchezza rimasta dopo gli effetti della dissolutezza della politica monetaria della Federal Reserve? Una nuda vendita a breve impedisce alla crescente domanda di veri lingotti d’oro di far alzare il prezzo dell'oro. Jeff Nielson spiega in un altro modo che le banche possono vendere i lingotti a breve, anche quando non hanno lingotti. ( http://www.gold-eagle.com/editorials_08/nielson102411.html) Nielson dice che JP Morgan, ad esempio, custodisce il più grande fondo in argento, essendo il più grande venditore di argento-a- breve. Ogni volta che entrano nuovi lingotti nel fondo d'argento, JP Morgan aumenta le vendite a breve per un pari importo. La nuova vendita allo scoperto ferma l’aumento di prezzo che deriverebbe dall’aumento della domanda di argento fisico. Nielson spiega anche che il prezzo dell'oro o dell’argento non è rilevante se aumentano i requisiti di margine per chi compra lingotti pagandoli con un “effetto leva”. La conclusione è che il mercato dell'oro può essere manipolato come lo è il mercato delle obbligazioni del Tesoro e i tassi di interesse. Quanto tempo possono continuare queste manipolazioni? Per quanto tirerà ancora il vento? Se sapessimo con precisione la data, saremmo i prossimi mega-miliardari. Ecco qualche motivo per cui potrebbe prendere fuoco il mercato delle obbligazioni del Tesoro e il dollaro americano: La guerra, richiesta dal governo israeliano, con l'Iran, a cominciare con la Siria, che interrompe il flusso di petrolio e quindi la stabilità delle economie occidentali e trascina gli Stati Uniti e le sue marionette deboli della NATO in un conflitto armato contro Russia e Cina. Il problema petrolifero causerebbe un ulteriore degrado per gli Stati Uniti e per le economie dell'UE, ma Wall Street farebbe comunque continuerebbe a fare soldi. La pubblicazione di una statistica economica che faccia conoscere agli investitori lo stato reale dell'economia degli Stati Uniti, una statistica che non sia intercettata dalla stampa ufficiale e che non sia manipolata. Un affronto alla Cina, il cui governo decida che gli Stati Uniti hanno esagerato e che valga la pena buttare un trilione di dollari, per sbattere gli USA tra le economie del terzo mondo. Altri errori sui derivati, come, ad esempio, l’ultimo di JPMorganChase, che ha fatto barcollare ancora una volta il sistema finanziario che, comunque non ha fatto cambiare nulla. La lista è lunga. C'è un limite al numero di errori stupidi e alle politiche finanziarie corrotte che il resto del mondo è disposto ad accettare ancora dagli Stati Uniti. Quando questo limite sarà colmato, tutto sarà finito per "l'unica superpotenza del mondo" e per quelli a cui restano in mano solo armi chiamate “dollaro”. La deregolamentazione finanziaria ha trasformato il sistema finanziario, che un tempo accoglieva imprese e consumatori, in un gioco da casinò in cui le scommesse non sono coperte. Queste scommesse scoperte, insieme alla politica di zero tassi della FED, hanno portato il tenore di vita degli americani e la loro ricchezza verso un progressivo declino. I pensionati che vivono con i loro risparmi e i loro investimenti, non riescono a guadagnare più nulla sui loro risparmi e sono costretti a consumare il capitale, trasferendo meno ricchezza ai loro eredi. La ricchezza accumulata si sta consumando. Come risultato dell’esportazione del lavoro all'estero, gli Stati Uniti sono diventati un paese dipendente dalle importazioni, che dipende completamente dai prodotti stranieri come merci, vestiti e scarpe. Quando il tasso di cambio del dollaro scenderà, i prezzi interni degli Stati Uniti aumenteranno, e il consumo reale degli Stati Uniti farà un grande buco. Gli americani consumeranno meno, e il loro tenore di vita diminuirà drasticamente. Le gravi conseguenze degli enormi errori fatti dalle scelte finanziarie di Washington sono nascoste da un’insostenibile politica di tassi di interesse bassi e da una stampa finanziaria corrotta, mentre il debito continua a crescere velocemente. La Fed ha già vissuto questa esperienza una volta prima. Durante la seconda guerra mondiale la Federal Reserve ha mantenuto i tassi di interesse bassi per finanziare gli aiuti alle spese di guerra del Tesoro, minimizzando l'onere per gli interessi del debito di guerra. La Fed mantenne bassi i tassi di interesse, comprando il debito pubblico. L'inflazione del dopoguerra, che scaturì da questa politica, portò la Federal Reserve ad un accordo con il Tesoro nel 1951, che stabilì che la Federal Reserve avrebbe cessato di monetizzare il debito e i tassi di interesse ricominciarono a salire. Il Presidente della Fed Bernanke ha parlato di una "exit strategy" e ha detto che quando c’è una minaccia di inflazione, se ne può impedire l’inizio togliendo soldi al sistema bancario. Ma questo si può fare solo con la vendita di buoni del Tesoro, il che significa che i tassi d'interesse aumenterebbero. Un aumento dei tassi di interesse metterebbe a rischio tutti i derivati, causando perdite sui titoli, ed aumentando il costo degli interessi sul debito sia pubblico che privato. In altre parole, per evitare l'inflazione causata dalla monetizzazione del debito si creerebbero problemi più ingestibili dell’ inflazione stessa. Invece di far collassare tutto il sistema, non sarebbe meglio se la Fed sgonfiasse quegli enormi debiti? Alla fine, l’inflazione eroderà il potere d'acquisto del dollaro e il suo utilizzo come valuta di riserva, e insieme deperirà anche tutto il credito che ha il governo americano. Tuttavia, la Fed, i politici, ed i gangster finanziari preferirebbero che la crisi scoppiasse dopo piuttosto prima. E’ sempre preferibile far passare tempo prima che la nave affondi piuttosto che affondare insieme alla nave. Finché si potranno usare gli swap sui tassi di interesse per aumentare i prezzi delle obbligazioni del Tesoro, e finché basterà avere un titolo di possesso di lingotti per stabilire il prezzo di argento e oro, la falsa immagine degli Stati Uniti come di un rifugio sicuro per gli investitori potrà essere perpetuata. Tuttavia, i $ 230 mila miliardi in scommesse sui derivati che posseggono le banche americane potrebbero fare qualche sorpresa. JPMorganChase ha dovuto ammettere che la sua perdita, annunciata recentemente, di 2 miliardi di dollari sui derivati è decisamente più alta. Di quanto più alta resta ancora da vedere. Secondo l’ente di Controllo sulle valute le cinque maggiori banche americane detengono il 95,7% di tutti i derivati. Le cinque banche hanno in portafoglio 226 mila miliardi di dollari in derivati e queste sono tutte scommesse di giocatori d'azzardo che sono al top della finanza. Ad esempio, JPMorganChase ha un asset totale di 1.800 miliardi di dollari, ma vale 70.000 miliardi di dollari in scommesse sui derivati , un rapporto di 39 dollari di scommesse sui derivati per ogni dollaro di attivo. C'è ancora poco da sbagliare prima di andare falliti! Il patrimonio, naturalmente, non è un capitale soggetto a rischi. Secondo il rapporto del “Comptroller of the Currency”, al 31 dicembre 2011, JPMorganChase gestiva un pacchetto di 70.200 miliardi di dollari in derivati, e solo 136 miliardi dollari di capitale a copertura del rischio. In altre parole, le scommesse sui derivati della banca sono 516 volte maggiori del capitale che garantisce le scommesse. E' difficile immaginare una posizione più sconsiderata e instabile per una banca, ma Goldman Sachs è riuscita a fare ancora meglio. Questa banca ha 44.000 miliardi dollari in scommesse sui derivati è coperta da soli $ 19 miliardi di capitale: ne consegue che le scommesse sono 2.295 volte maggiori del capitale che le copre. Le scommesse sui tassi di interesse ammontano all'81% di tutti i derivati. Quindi sono i derivati che sostengono gli alti prezzi delle obbligazioni del Tesoro degli Stati Uniti, nonostante il massiccio incremento del debito degli Stati Uniti e la sua monetizzazione. Le scommesse sui derivati delle banche americane di $ 230 miliardi di dollari, concentrate in mano a cinque banche, equivalgono a 15,3 volte il valore del PIL statunitense. Un sistema politico fallito che consente a banche senza regole di fare scommesse scoperte 15 volte superiori al valore di tutta l'economia americana è un sistema che mostra solo la testa di un corpo malato molto gravemente. Appena si comincerà a parlare di questa incredibile mancanza di principi che gestisce la politica e la finanza americana, l’incombente catastrofe attesa diventerà una realtà. Tutti vogliono una soluzione, e allora eccone una: Il governo degli Stati Uniti dovrebbe semplicemente annullare i 230 mila miliardi di dollari in scommesse sui derivati, dichiarandoli nulli. In effetti se non è coinvolto nessun vero capitale, si tratta solo di gioco d'azzardo su valori astratti e l'unico effetto serio che produrrebbe la chiusura di tutte le swaps (per lo più contratti sottobanco tra le parti) sarebbe la sparizione di 230 mila miliardi di dollari di rischio manipolato dal sistema finanziario. I banditi finanziari che vogliono continuare a godere di guadagni sulle scommesse, mentre il pubblico assorbe le loro perdite potranno anche cominciare a urlare e gridare sulla bontà dei loro contratti. Tuttavia, un governo capace di uccidere i propri cittadini o buttarli nelle segrete senza un giusto processo, può sicuramente anche abolire tutti i contratti che vuole, in nome della sicurezza nazionale. E certamente, a differenza di una guerra del terrore, lo spurgo del sistema finanziario dai derivati di gioco d’azzardo renderebbe di gran lunga migliore la sicurezza nazionale. Il dr. Roberts è stato Assistente Segretario del Tesoro degli Stati Uniti, Associate Editor del Wall Street Journal, editorialista di Business Week, e professore di economia. di Paul Craig Roberts Fonte : http://www.globalresearch.ca

14 giugno 2012

Le colpe ed il golpe

La tecnocrazia è l’ultimo buco dove si nascondono i partiti roditori e frodatori, nonché l’ennesimo paravento dietro il quale cantano stonando quei poteri marci e decadenti che qualcuno si ostina a definire forti, mentre si tratta soltanto di cerchie di vili e di corrotti preoccupate della propria misera sopravvivenza, per le quali anche dieci anni di resistenza possono equivalere ad un’intera esistenza. L’Italia è stata consegnata da tutti costoro ad un tribunale fallimentare di professori investito del compito di liquidare il patrimonio, chiudere i battenti di imprese strategiche e gioielli industriali d’avanguardia, svendere la polpa ai creditori internazionali, lasciando le ossa in bocca ai connazionali. Ormai nessuno dovrebbe avere più dubbi sul tema o sul dramma in corso, il Premier Monti, cattedratico e macellaio, finora questo ha fatto, ha preparato il controfiletto con la carne nazionale per i mercati voraci e i prepotenti mondiali veraci. La giunta di salvezza pubblica, calata dall’alto di un Colle decollato di ogni pudore, tra il capo e il collo di tutti noi, ci ha sobriamente infilato il coltello in gola facendo scorrere molto sangue e garantendoci immani sofferenze prima della morte. Basta dare uno sguardo agli ultimi rilevamenti Istat: il Pil in discesa libera (si parla di un -1,4% entro l’anno), gli investimenti impantanati, il deterioramento delle infrastrutture e dei servizi, i consumi delle famiglie a picco tanto che se un tempo si chiedevano mutui per comprare la casa adesso bisogna rivolgersi alle banche, che comunque non ci sentono, per non perderla tra Imu, bollette ed altri tartassamenti vari. In cambio di tutti questi sacrifici inutili e mortali abbiamo ottenuto quella credibilità che tanto veniva invocata allorché al governo c’era il satiro nano con il coso sempre in mano. Credibili e mazziati, verrebbe da dire, grazie ad un Presidente del Consiglio membro della commissione Trilaterale che ci garantisce centralità globale, almeno nel senso di essere diventati un bersaglio internazionale, ma tra una distesa di bare. In realtà, che questa emergenza fosse seria ma non così esasperata ce lo dimostrano quegli atti dell’esecutivo orientati ad intervenire in questioni tutt’altro che urgenti come la Rai, i vertici di alcune authorities, le nomine di commissari in organismi inessenziali, la riforma elettorale. Il mondo intorno crolla ed il Gabinetto degli illuminati pensa ad occupare ed amministrare le macerie fumanti. Da ultimo, circondati da queste devastazioni i partiti si concentrano sui sistemi di voto per riprendere al più presto in mano il timone di una nave che loro hanno mandato alla deriva e che adesso vorrebbero persino far ribaltare. Si disputa sul semi-presidenzialismo alla francese e il doppio turno alla pirlese con il Pd che nega il primo, proposto da Berlusconi, perché non ci sarebbero i tempi per un cambiamento della Costituzione ed Alfano che si oppone al secondo perché avvantaggerebbe solo Bersani e soci. Le solite discussioni tra furfanti che puntano a sottrarsi il bottino a vicenda. Eppure c’è stato un sovvertimento costituzionale che il Parlamento ha approvato quasi all’unanimità concretando un golpe silente ai danni dell’autonomia decisionale del Paese. Nessun paladino dell’intoccabile Costituzione si è alzato a difendere la stessa allorché con la Legge 1/2012 la nostra sovranità contabile è stata consegnata all’UE contro gli interessi dello Stato. Tale norma ha introdotto nella carta fondamentale il principio del pareggio di bilancio abdicando alla governance economica che viene trasferita a Bruxelles. Con questi atti di suicidio assistito da terzi forse un giorno riusciremo a rientrare dal debito pubblico uscendo definitivamente dalla Storia. Sono stati tutti d’accordo ad autorizzare questo esautoramento del popolo italiano in nome di un’artificiosa appartenenza ad una più vasta comunità continentale. Dove guardavano, mentre era in corso questa rapina costituzionale tutti quegli strenui difensori della Carta, i quali per anni ci hanno fracassato i timpani e ben altro con l’inviolabilità della stessa? Dov’erano i costituzionalisti integerrimi, i politologi mascherati da tali ed i loro associati fraterni della stampa, soprattutto di sinistra (da Zagrebelsky, a Sartori, a Pasquino, a Scalfari ed altri finti scienziati) nel momento in cui il “golpe legale” diventava arbitraria condanna alla pena capitale del futuro dello stivale? Coi feticci si difendono i pretesti nel mare magnum delle menzogne e dei tradimenti. Ne abbiamo avuto la prova ora che siamo con l’acqua alla gola. di Gianni Petrosillo

13 giugno 2012

Ecco chi sono i responsabili del debito e della crisi

Fate attenzione a ciò che leggete in questo articolo, perché volutamente ho scritto cose che sono vere e cose che non lo sono, o lo sono solo apparentemente. Una mattina radiosa del gennaio 1998 mi sono svegliato di buon umore e mi son detto: “Adesso basta! Ho già lavorato abbastanza nella mia vita.” Così sono andato in ufficio ho chiesto un colloquio col capo del personale e gli ho detto: “Mio caro signore, io ho cominciato a lavorare negli anni ’60, adesso, sono passati più di 35 anni e sono stanco, direi che possono bastare, no? Quindi se non le dispiace tolgo il disturbo e mi vado a godere un po’ di riposo dove mi pare. La prego di formalizzare le mie immediate dimissioni e la mia iscrizione tra i pensionati a carico dello Stato”. Il direttore, pur sorpreso per la mia improvvisa decisione, non ha potuto che complimentarsi con me per la mia felice scelta e mi ha fatto tanti auguri per un sereno e prospero futuro. Naturalmente quell’anno non sono stato l’unico ad avere quella brillante idea, decine di migliaia di altri lavoratori, stufi di lavorare, mi hanno copiato, e si sono messi a carico dello Stato. Nello stesso anno mio nipote decideva di sposarsi e voleva comprar casa, ma non aveva soldi, così è andato a informarsi alla sua banca, ma il funzionario gli ha detto che poteva finanziare al massimo il 70% del costo, inoltre il suo reddito doveva essere adeguato a sostenere l’onere del rimborso rateizzato. Quando ho sentito questa cosa mi sono arrabbiato e ho detto a mio nipote di non preoccuparsi, io conosco diverse banche che saranno contentissime di finanziare anche più del 100% e faranno condizioni di tasso specialissime. Siamo andati insieme in una banca di mia conoscenza ed ha ottenuto quello che voleva senza problemi. Ma mio nipote non era l’unico a voler comprar casa quell’anno, così anche quell’idea di finanziare di più e meglio l’acquisto delle case è stata imitata da molte banche in Italia, e negli anni a seguire c’è stato un vero e proprio boom del comparto immobiliare, che con il solido sostegno finanziario del comparto bancario, ha potuto rendere felici milioni di persone in cerca di una abitazione. Qualche anno dopo ho conosciuto due persone attratte dall’impegno politico in Italia. Il primo era un pensionato molto serio e preparato, che voleva dare un valido contributo nella legislazione e gestione della cosa pubblica, la seconda era una signora di mezza età con una partecipazione proprietaria in un giornale locale, la quale vedeva nella politica una favorevolissima opportunità per raggiungere una posizione di grandissimo prestigio nel Parlamento nazionale e anche una buona occasione di incrementare notevolmente il suo reddito e concedersi finalmente un’abitazione di lusso e ... magari anche un brillante cabinato nel porticciolo della sua città. Si sono presentati entrambi in un partito della coalizione di sinistra e, francamente, sono rimasto sorpreso quando ho visto che il partito ha candidato il pensionato. Pensavo che quel partito, timoroso di non superare la soglia di sbarramento al 4%, avesse molta più convenienza a candidare la “giornalaia”, dato che col suo giornale poteva fare propaganda al partito e guadagnare più voti in generale. °°° Cosa c’è di vero in quello che ho scritto? E cosa c’è di falso? Le storie sono sostanzialmente tutte vere. Palesemente falsa è solo la decisione del partito. Tutti quelli che conoscono i partiti appena meglio che nella superficialità sanno che nessun partito in Italia avrebbe fatto la scelta che ho raccontato. Infatti quel partito (è storia vera!) ha candidato proprio la giornalaia, anche se poi in quella Circoscrizione elettorale non ha comunque conquistato seggi. La storia dei mutui concessi al 100% (e oltre) invece è vera, ma è falsa l’attribuzione del paese in cui è avvenuta. Non è in Italia ma negli Stati Uniti che sono avvenute quelle follie finanziarie. In Italia le banche non hanno mai dato i mutui con facilità. Ma negli Usa sì, e l’hanno fatto con tale ampiezza che hanno contribuito a creare una bolla finanziaria dalle dimensioni globali. Ho già descritto in articoli precedenti che l’immensa montagna di spazzatura finanziara in circolazione non derivava solo dai mutui detti “subprime”, ma comunque sono stati questi a scatenare l’incendio che si è subito allargato a tutto il sistema. E quando negli USA il castello di carte è crollato, e i finanzieri d’affari si sono accorti che la botte era piena (di porcheria finanziaria) e la moglie era già ubriaca (N.B. ottenere insieme la botte piena e la moglie ubriaca è una magia che riesce solo a loro), hanno cambiato vigna e sono andati in Grecia, Irlanda, Spagna ecc. a vendemmiare, cioè a fare lo stesso giochino che ha permesso loro di fare un sacco di soldi a Wall Street. Un giochino che funzionerà sempre benissimo fintanto che i legislatori e le autorità preposte al controllo su queste operazioni non interverranno a mettere precisi limiti e regole in questa complessa materia. E infine la storia delle pensioni “facili”, che è falsa e vera nello stesso tempo. Vero è che la normativa ha consentito a troppi di andare in pensione con troppa generosità, ma è chiaramente falso il modo in cui l’ho raccontato. A nessuno è mai stato consentito di svegliarsi alla mattina decidendo improvvisamente di andare da capo del personale a comunicargli la sua volontà di andare in pensione. Se qualcuno lo facesse vedrebbe subito arrivare, chiamata dal capo del personale, la “Croce verde del manicomio provinciale”. È la legge che stabilisce le condizioni per il pensionamento. E chi fa le leggi? Sono i politici! Quindi, se il costo dei pensionamenti è troppo alto è la politica responsabile dello scompenso, non i pensionati. Tuttavia gli economisti seri sanno che il problema principale non è quello. Il sistema era in equilibrio quando è stato creato, e poteva restare in equilibrio se la politica lo avesse protetto invece che usarlo a fini elettorali. L’equilibrio è stato perso in seguito, e solo in piccola parte a causa dell’aumento della vita media delle persone. La causa principale dell’attuale scompenso (visto in prospettiva) è per l’eccessiva libertà, diventata ad un certo punto necessità, data alle aziende di competere sui costi di produzione andando all’estero a produrre. In questo modo si è minato dall’interno l’equilibrio non solo del sistema industriale nazionale e del sistema pensionistico (ad esso direttamente collegato), ma di tutto il sistema economico tout court, che ne esce completamente scombussolato, indebolito, e ormai in grande difficoltà a proseguire sulle linee tracciate negli anni ruggenti della nostra democrazia. È convenuto alla popolazione questa evoluzione del sistema? A giudicare dalla gravità della crisi che attanaglia il paese è facile rispondere di no. Eppure siamo in democrazia, non è il popolo ad avere la possibilità di decidere, quale strada prendere nelle scelte che incidono sul suo futuro? Sì, teoricamente è così. Ma questo dipende molto anche dal modo in cui il popolo viene informato. Perciò ho impostato questo articolo in questo strano modo e descritto alcuni episodi in modo paradossale. Per evidenziarne l’incredibilità e sottolineare l’importanza di avere informazioni complete e corrette. Eppure nella stampa e televisione di sistema continuano a “bombardarci” di informazioni tendenti a farci credere che “abbiamo speso troppo”; che abbiamo fatto le “cicale”; che adesso dobbiamo fare le “formiche”. Usano la saggezza popolare per nascondere la verità. Le cicale, cioè gli spreconi; incapaci, e traditori del mandato elettorale sono stati loro: i politici. E hanno potuto farlo grazie anche alla complicità dei media, pubblici e privati; tutti (o quasi) d’accordo nello spartirsi la torta. Adesso che la torta non c’è più dicono che noi ce la siamo mangiata. Invece se la sono mangiata loro, a noi cittadini qualunque hanno lasciato solo le briciole. Questa è la verità. di Roberto Marchesi