28 settembre 2011

De-globalizzazione e recupero della sovranità nazionale




1. Un’organizzazione denominata Rivoluzione Democratica (cfr. sollevazione.blogspot.com) ha convocato a Chianciano per il 22 e 23 ottobre 2011 un incontro nazionale con parola d’ordine: Fuori dal debito! Fuori dall’Euro! Voglio qui riportare il mio contributo (sia pure non richiesto), data l’importanza del tema in questione.

2. Le possibilità concrete di ottenere a breve ed a media scadenza questi due obbiettivi (che condivido nell’essenzialità) sono pressoché nulle. E dicendo nulle intendo proprio dire nulle. In una simile situazione, non potendoci aspettare risultati anche solo parziali a scadenza ragionevole, è il come si devono impostare le rivendicazioni che diventa decisivo. Se esse infatti si impostano male o in modo inappropriato, presto o tardi se ne avranno le conseguenze. Farò fra poco il grottesco esempio del Movimento detto No Global, partito un decennio fa con grandi speranze e finito nel nulla e nel ridicolo. Le cause di questo esito poco glorioso devono essere approfondite.

3. Il settembre 2011 l’Unione Sindacale di Base (USB) è sfilata a Roma con rivendicazioni qualitativamente diverse da quelle della CGIL, Di Pietro, di Vendola, di Bersani e della stessa FIOM. E’ stato posto il problema della cancellazione del debito e della uscita dall’eurozona. Si tratta pur sempre di un’organizzazione che rivendica di avere circa 250.000 membri, e quindi di una forza piccola, ma reale. Si tratta di una relativa novità nella scena politica italiana, in cui l’Unione Europea è fino ad oggi rimasta un feticcio intoccabile, dall’estrema destra all’estrema sinistra “visibili”.

4. Nel numero di settembre 2011 di “Le Monde Diplomatique” (edizione italiana) è uscito un fondamentale articolo dell’economista francese Frèdèric Lordon intitolato “La deglobalizzazione ed i suoi nemici”. Questo testo è importante, perché pone con chiarezza i problemi fondamentali. Rimandando ad esso il lettore, ne svolgerò con autonomia un mio commento personale.

5. Così come la imposta Lordon (e la intendo io) la de globalizzazione non ha nulla a che vedere, e non è quindi una ripresa, di ciò che per un decennio è stato chiamato Movimento No Global. La debolezza strategica del Movimento No Global era di non essere affatto no global (al di là dei riti pittoreschi di piazza, dai lamenti pecoreschi ritmati alle simulazioni del black bloc), ma di essere un movimento no global di estrema sinistra, e cioè una caricatura ultra-global. La stragrande maggioranza delle sue rivendicazioni (per non cadere nell’autarchia, nel protezionismo, nello stato nazionale, eccetera, tutte cose viste a priori come di “ultradestra”) erano ricavate da una radicalizzazione di ultra-sinistra del paradigma neoliberale in politica e neoliberista in economia. Estensione in tutto il mondo dei “veri” diritti umani, abolizione delle frontiere, libera immigrazione, “superamento” del meschino orizzonte della sovranità dello stato nazionale, retorica contro i dittatori (distinti in semplicemente corrotti, ed in corrotti ed anche sanguinari), giovanilizzazione e femminilizzazione dei valori sociali, mitologia del progresso, eccetera. Un programma che sembrava stilato dalle stesse oligarchie liberali. In campo “marxista”, Negri e Hardt scrissero una trilogia che propagandava questa concezione liberista rovesciata (ma un dado rovesciato è sempre un dado), e non a caso questa trilogia divenne popolare presso i due estremi sociali apparentemente antitetici ed in realtà complementari del capitalismo, i centri sociali in basso e l’aristocrazia accademico-universitaria di sinistra in alto.

6. In Italia abbiamo vissuto una variante particolarmente pittoresca e provinciale del movimento no global, con il picconatore Bertinotti che sosteneva che con la globalizzazione spariva l’imperialismo. Il fatto che questa colossale sciocchezza potesse essere presa sul serio segnala la desertificazione del pensiero critico per opera degli apparati ideologici post-moderni mediatici ed universitari. Ed il fatto che il successore più astuto e rigoroso di Bertinotti, il poeta barese Vendola, abbia elettoralmente svuotato sia i “merli” di Ferrero sia i “passeri” di Diliberto, mostra come il non avere preso sul serio in tempo le sciocchezze porta poi a conclusioni distruttive. Quali lezioni trarre dagli esiti grotteschi del movimento no global dieci anni dopo?

7. La prima e pressoché unica lezione consiste nel capire che la sacrosanta lotta alla globalizzazione non può e non deve essere ripetuta e riproposta sulla base ideologica del movimento no global. Lordon chiarisce che i cantori del vecchio movimento no global (ad esempio l’organizzazione Attac, che ha definito la deglobalizzazione un concetto semplificato e superficiale) comincino già ad alzare le barricate, paventando poi “contaminazioni” con il protezionismo dell’eterna “destra”. Fa eccezione l’economista francese Jacques Sapir, che a mio avviso ha impostato le cose nel modo più radicale e anche meno estremistico ed avventuristico possibile: si tentino pure tutte le soluzioni possibili dentro l’euro e l’unità europea, ma se per caso fallissero, allora deve diventare “pensabile” anche l’uscita dall’euro.

8. Inutile dire che una simile prospettiva possibile, anche se posta solo come eventualità praticabile nel caso che tutte le altre opzioni “riformatrici” fallissero, viene virtuosamente rifiutata dal centro e dalla destra liberale. Il fatto è che ormai il liberalismo classico non esiste nemmeno più, divorato dal passaggio dalla sovranità politica alla governance economica. Ma anche la sinistra (con quella appendice patetica ed inutile chiamata “estrema sinistra”) la rifiuta, temendo virtuosamente che “un conflitto di classe venga trasformato in un conflitto di nazioni” (Jean Marie Harribey).

Ecco, questo è lo scoglio. Il voler negare il dato nazionale, rimuovendolo virtuosamente, aveva già portato Attac a passare dalla “anti-globalizzazione” al cosiddetto “altermondialismo”. Ma l’altermondialismo per ora non esiste, ed è una utopia futuribile come il comunismo o il comunitarismo universale. Ma il dato nazionale non significa automaticamente razzismo, protezionismo assoluto, autarchia totale o decrescita virtuosa agro-pastorale, anche se viene ovviamente così diffamato dai cantori (interessati) della cosiddetta irreversibilità della globalizzazione.

La globalizzazione è emendabile? Il futuro è ignoto, ma si può già rispondere: per ora, nelle attuali condizioni geopolitiche ed economiche, no. I quattro elementi intrecciati insieme (le sfide della globalizzazione, il giudizio dei mercati, il vincolo dei debiti, la sovranità delle agenzie di rating) ci fanno rispondere di no. E quindi bisognerebbe trarne le conseguenze.

9. Per ragioni che sarebbe lungo e noioso spiegare, mentre mi sono estraniato (e sono stato estraniato) dal dibattito italiano, sono invece attivo e presente nel dibattito greco (articoli, interviste, interventi, eccetera). Ora, tutti conoscono la situazione della Grecia, e di come il problema del debito e dell’eventuale uscita dall’euro sia in Grecia particolarmente acuto ed attuale, molto più che in Italia, dove è ancora per ora largamente “teorico” e virtuale. In Grecia è possibile studiare come in un laboratorio le conseguenze immediate del dibattito sul debito.

Il commissariamento della Grecia, che ha comportato la sua totale perdita di sovranità, ha comportato anche la completa distruzione di tutte le conquiste “socialdemocratiche” conseguite dopo la caduta della giunta dei colonnelli del 1974 (metapolitefsi), svuotando quasi quaranta anni di storia della Grecia moderna. Così come l’Italia dell’agosto 2011 è stata “commissionata” dal duopolio Draghi-Napolitano (un banchiere ed un ex-comunista riciclato), così la Grecia è stata commissionata da una “giunta economica” costituita da tutti partiti (destra, sinistra e centro) favorevoli alla sottomissione ai diktat della banca Centrale Europea e della Germania in primo luogo. A questo punto, come reagire?

Da quanto ho potuto capire partecipando al dibattito, ci sono stati fondamentalmente due modi. In primo luogo la rivendicazione di una autonomia nazionale è stato subito incorporata nel ribellismo ultra-comunista di estrema sinistra, che invita all’abbattimento del capitalismo. In secondo luogo, un modo più patriottico e nazionale, incarnato dal grande musicista Mikis Theodorakis e dal suo movimento, che non porta in piazza bandiere rosse ma soltanto bandiere azzurre greche, e lo fa per non dividere ideologicamente il popolo, che al di fuori di una ristretta oligarchia soffre indipendentemente dalle sue opinioni politiche, filosofiche o religiose.

Nonostante abbia amici soprattutto fra i “sinistri” greci, devo dire che a mio avviso la linea giusta è quella di Theodorakis. Il popolo non deve essere diviso ideologicamente, ma unito in nome della sovranità nazionale e di quella che Lordon e Sapir chiamerebbero deglobalizzazione. Cerchiamo di tirarne la conseguenze “italiane”. Anche in Grecia Theodorakis è stato accusato di essere “rosso-bruno”, di lasciare spazio alla destra, di essere ambiguo, eccetera. Accuse completamente false. Theodorakis ha le carte in regola, sia per la Resistenza (1941-1944), sia per la guerra civile (1946-1949), sia per il “lungo inverno” dell’autoritarismo successivo (1949-1967), sia per l’opposizione alla dittatura dei colonnelli (1967-1974). E’ solo la stupidità settaria che non ha le carte in regola, né in Grecia né in Italia.

10. Passiamo ora all’Italia. Se le considerazione fatte fino ad ora sul fallimento dei no global e degli altermondialisti, sulla deglobalizzazione (Lordon, Sapir), sulla corretta impostazione “nazionale” (non nazionalistica) di Theodorakis in Grecia, eccetera, sono corrette, che cosa fare in Italia?

In primo luogo, non lasciare spazio ai deliranti che dicono che “bisogna fare come in Tunisia”. Gli italiani se ne guarderebbero bene. Dalla Tunisia si scappa e si scapperà ancora a lungo, perché non c’è pane e non c’è lavoro (il che non significa che non fosse ovviamente sacrosanta la rivolta contro Ben Alì!). In questo momento una (non auspicabile) rivolta di tipo tunisino porterebbe soltanto alla fuga del puttaniere Berlusconi ed ad un governo degli “onesti”, e cioè dei funzionari del FMI e della BCE, che porterebbero a termine i programmi di liberalizzazione totale.

In secondo luogo, non bisogna in nessun modo attaccare al programma della deglobalizzazione (perché è ovvio che lo sarebbe sia l’uscita dall’euro che dal debito) i tradizionali (e deliranti) programmi di estrema sinistra, attraverso massimalistiche adunate di refrattari. Mi spiace scendere sui nominativi e sul personale, perché non sarebbe stata questa la mia intenzione. Ma che cosa ci fanno Rizzo, Ferrando e Babini dei CARC? I CARC vogliono la dittatura del proletariato. Ferrando vuole fare come in Tunisia, e lasciamo stare per carità di patria le sua posizioni sulla Libia e sulla Siria, in cui uno scontro tra masse divise da una guerra civile è stato magicamente trasformato in scontro tra le masse unite ed i dittatori burocratico-capitalisti. E Badiale? A mia conoscenza Badiale vuole la decrescita, programma del tutto legittimo, ma che è una fuga in avanti attaccare alla deglobalizzazione. Trattandosi di una sorta di “intergruppi” di estrema sinistra, il solo modo in cui molti vedono l’anticapitalismo, a mio avviso il fallimento è inevitabile. A breve scadenza, fallirebbe anche se ci fossero Gesù, Maometto, Marx e Lenin. Ma almeno porrebbe le basi per una lotta di lunga durata. Così avremo il solito intergruppi estremistico urlante.

A dire queste cose, si passa necessariamente per rompiscatole e guastafeste, ma in definitiva è meglio parlare che tacere

di Costanzo Preve

27 settembre 2011

Economisti pecoroni, politici imbroglioni




crisi-mondoPrima che sopraggiungesse la crisi economica, si dice la più dura dopo quella del ’29, eravamo circondati da migliaia di esperti del benessere perpetuo, da centinaia di vaticinatori della prosperità continua, da innumerevoli predicatori del capitalismo florido e progressivo che non conosceva confini. Arrivato il crollo finanziario gli stessi catechisti di questa realtà perennemente fertile e vigorosa si sono convertiti alla stregoneria borsistica, alla religione del default, allo spiritualismo monetario post-apocalittico. All’inizio era il verbo di Keynes o di Von Hayek, ora è il tempo di Nostradamus, nella sua versione liquido-catastrofistica alla Zygmunt Bauman o in quella gassosa-hegeliana alla Ulrich Beck. Per la verità c’è qualcuno che ha cercato di non saltare letteralmente di palo in frasca ma si è trovato ugualmente a commistionare stili e discipline per rimediare al suo mutismo di fronte all’imprevedibile (ma non troppo). Per aggirare l’inconveniente che ammutoliva e toglieva credito davanti alle platee bovine ci si è dati all’arte del dosaggio, tra scuole e pensatori, concetti e categorie, dottrine e teoresi. Meno Friedman e più Krugman, più statalismo e meno liberismo, maggiore sostegno alla domanda e più tasse per i ricchi, o viceversa, e la ricetta per l’avvenire veniva corretta almeno fino alla prossima previsione sbagliata. Ma in un caso come nell’altro si nota sempre più volentieri la presenza di un ingrediente che fa da amalgama al brodino economicistico, ovvero un fantomatico ritorno ad un’etica negli affari che, a quanto pare, in passato veniva snobbata e derisa (nonostante la filantropia di George Soros o di Bill Gates). Insomma, ci si arrampica sugli specchi della Storia e sui piani scivolosi dei cicli del capitale per ritornare in sella ai tempi che hanno disarcionato uomini e modelli dai loro piedistalli oracolari, ornati di biglietti verdi e di fama. Erano intellettuali strapagati e si ritrovano ad essere profeti altrettanto ben remunerati. Così mentre i titoli crollano, le fabbriche chiudono e i posti di lavoro saltano, cresce una nuova ideologia della parsimonia, della misura e del limite combinantesi con una morale globale che pone l’uomo al centro e la responsabilità tutto intorno. E dove questa non basta c’è anche la Marx renaissance, perché il barbuto di Treviri aveva tutto indovinato, dalla globalizzazione alla finanziarizzazione. Il denaro ci ha contaminati ma l’etica ci salverà. Questa la soluzione più efficace per superare la débâcle generale, almeno stando al pensiero dell’economista filosofo italiano Giovanni Reale. Per gettare il cuore oltre l’ostacolo del crac bisogna rigenerare l’uomo dalla testa ai piedi poiché “la finanza non basta alla finanza, l’economia non basta all’economia e la politica non basta alla politica”. Mentre, evidentemente, la confusione nel cervello di questi sedicenti professori basta a sé stessa. Dopo Sraffa e la sua produzione di merci a mezzo di merci, Toni Negri e la sua catena cognitiva che esita menti a mezzo di menti, il capitalismo trova la sua definitiva sublimazione nella generazione di chiacchiere a mezzo di chiacchiere. Ma è troppo facile dare addosso allo speculatore senza scrupoli quando poco fa il medesimo imbroglione era venerato e riverito in quanto si arricchiva e arricchiva chi gli stava accanto. Il fatto grave è che chi ora vuole fornire soluzioni per il domani non aveva capito nemmeno ieri il funzionamento della sfera finanziaria in regime capitalistico, ma non rinuncia analogamente a dire la sua a governi e cittadini per risalire la china. La prevalenza del capitale finanziario, come sostiene l’economista Gianfranco La Grassa, non è per niente “un aspetto o sintomo della decadenza del sistema. Non esiste il predominio dei rentier. Anche gli agenti dominanti dei settori finanziari non sono semplici percettori di “rendite”, bensì più spesso agenti del conflitto strategico. Gli apparati finanziari sono ineliminabili fino a quando non saranno superati i rapporti capitalistici. La finanza nasce dalla presenza del denaro, e quest’ultimo è un “riflesso speculare” della produzione di merci, il suo necessario “duplicato” monetario. La finanza è uno degli aspetti che assume necessariamente la competizione per la preminenza nella sfera economica, ed è strettamente connessa –in una società fondata sulla merce e dunque sull’investimento di capitali quale mezzo d’espansione della propria potenza– alla conflittualità tra gli strateghi del capitale, che si trovano ai vertici delle imprese come degli apparati della sfera politica e di quella ideologico-culturale”. In sostanza, dice La Grassa, la finanza produce mezzi per il conflitto strategico e quando essa si perde nel cielo della speculazione viene riportata sulla terra dagli agenti politici che utilizzano quegli stessi mezzi per approntare le loro azioni egemoniche, all’interno come all’esterno del Paese. Se stanno saltando regole e norme a livello economico è perché il sistema politico mondiale si sta riposizionando, stanno mutando i rapporti di forza tra le nazioni e si sta determinando un diverso ordine sulla scacchiera geopolitica. Non a caso la finanza produce più danni in Europa che non in America dove pure la crisi ha fatto il suo esordio. Quindi, gli aruspici delle caverne si mettano l’anima in pace, il capitalismo non crollerà sotto una montagna di cdo o di csa e non si riformerà placando i suoi animal spirits ma, piuttosto, diventerà un luogo sempre più rischioso e avvilente per i popoli che sono guidati da intellettuali pecoroni e da classi dirigenti inette e corrotte fino al midollo. Come in Europa. Come in Italia.

di Gianni Petrosillo

26 settembre 2011

Salta l'accordo transatlantico mentre il Titanic si inclina sempre più


La risposta delle banche centrali al crollo del sistema finanziario è stata di portata storica: la Federal Reserve ha deciso di affogare tutti i problemi con un'inondazione di dollari. Così, assieme alla BCE, la Bank of England e gli istituti di emissione di Giappone e Svizzera, la Fed ha annunciato il 15 settembre che sarà messa a disposizione per tutte le banche liquidità illimitata in dollari almeno fino al marzo 2012. Come ha commentato Helga Zepp-LaRouche, "le cinque banche centrali più importanti del mondo hanno deciso di applicare la stessa politica seguita dalla Reichsbank, la banca centrale della Germania di Weimar, nella seconda metà del 1923: espansione monetaria iperinflazionistica! Con la differenza che stavolta essa riguarda l'intera regione transatlantica, e non più un solo paese".

Come se non bastasse, il segretario al Tesoro USA Timothy Geithner si è presentato, senza invito, alla riunione dei ministri finanziari dell'UE in Polonia il 16 settembre, per pretendere che il fondo di salvataggio dell'Euro (EFSF) utilizzi la leva finanziaria per decuplicare il suo capitale e passare da 440 miliardi a 4,4 mila miliardi di euro, da usare per salvare le banche. Il modello di questa proposta dovrebbe essere il TALF (Term Asset-backed Securities Loans Facility), il fondo istituito nel 2008 dal Tesoro e dalla Fed, che ufficialmente ha elargito mille miliardi di dollari in prestiti per rianimare il mercato delle cartolarizzazioni immobiliari, ma probabilmente molto di più in realtà, secondo Neil Barofsky, ispettore generale di un altro programma di salvataggio, il TARP.

Giudicando dalle reazioni del ministro del Tesoro austriaco Maria Fekter e dal capo dell'Eurogruppo Jean-Claude Junker, la discussione tra Geithner e le sue controparti europee, che hanno respinto la proposta, deve essere stata piuttosto animata. Tanto che Junker (Lussemburgo), riferendosi agli Stati Uniti, ha dichiarato che l'Eurogruppo non discute di proposte con "stati non membri". Si sa, anche le pulci prendono il raffreddore. Che lo scontro sia stato favorito anche dall'ego ipertrofico dei protagonisti è pacifico. Resta il fatto che dopo il fallimento di Geithner non c'è accordo transatlantico e l'unica sana politica sul tavolo è la proposta "Glass-Steagall" di Lyndon LaRouche.

by (MoviSol)

24 settembre 2011

La fusione esplosiva della finanza globale


debitipilaGli analisti economici del Global Europe Anticipation Bulletin (GEAB) ci hanno abituato, un bollettino dopo l'altro, a punti di vista originali sulla Grande Crisi. Non fa eccezione il recente Bollettino n. 57, intitolato "Crisi sistemica globale - Quarto trimestre 2011: fusione esplosiva delle attività finanziarie globali", tradotto da informazionescorretta.blogspot.com. Al di là dell'effettiva capacità di predizione, sono interessanti le fonti e i collegamenti richiamati.

Come anticipato da LEAP/E2020 fin dal Novembre del 2010, e spesso ripetuto fino a Giugno del 2011, la seconda metà del 2011 è iniziata con un’improvvisa e più grande ricaduta nella crisi. Quasi 10.000 dei 15.000 miliardi di dollari di asset fantasma annunciati nel GEAB N. 56, sono già andati in fumo.

Il resto (e probabilmente molto di più) sparirà nel quarto trimestre del 2011, che sarà segnato da ciò che il nostro team chiama "fusione esplosiva delle attività finanziarie globali".

I due maggiori centri finanziari mondiali, Wall Street a New York e la City a Londra, saranno i "reattori preferiti" di questa fusione.

E, come predetto da LEAP/E2020 per parecchi mesi, è proprio la soluzione ai problemi del debito pubblico in alcuni paesi di Eurolandia che consentirà a questa reazione di raggiungere la massa critica, dopo la quale nulla sarà più controllabile; ma il carico di carburante che alimenterà la reazione e la trasformerà in un vero e proprio shock globale (1) si trova negli Stati Uniti. Dal Luglio del 2011 abbiamo solo iniziato il processo che ha portato a questa situazione: il peggio è davanti a noi, ed è molto vicino!

In questo numero abbiamo scelto di affrontare, molto direttamente, la grande manipolazione organizzata intorno alla crisi greca ed all'Euro (2), nel mentre descriviamo il suo legame diretto con il processo di fusione esplosiva delle attività finanziarie in tutto il mondo.

Sempre in questo numero, LEAP/E2020 presenta le sue previsioni per il mercato dell'oro nel periodo 2012-2014, così come l’analisi sul neo-protezionismo che sarà introdotto a partire dalla fine del 2012. In aggiunta alle nostre raccomandazioni mensili sulla Svizzera ed il Franco svizzero, sulle valute, sull’immobiliare e sui mercati finanziari, presentiamo anche la nostra consulenza strategica per i leaders del G20, a meno di due mesi dal vertice del G20 che si terrà a Cannes.


Indice della produzione economica USA (1974-2011) (ombreggiatura grigia: recessione; linea tratteggiata blu: allarme recessione; linea blu: indice della produzione economica e, in rosso, previsione per il 3° e 4° trimestre 2011) - Fonte: Streetalk/Mauldin, 08/2011


Crisi greca ed Euro: dettaglio dell’enorme manipolazione in corso

Ma torniamo alla Grecia ed a ciò che comincia ad essere una "ripetitiva vecchia storia” (3) che, come abbiamo già spiegato, torna sul palcoscenico dei media ogni volta che Washington e Londra sono in grave difficoltà (4).

Inoltre, ed in coincidenza, l'Estate è stata disastrosa per gli Stati Uniti, che ora sono in recessione (5); in effetti si è visto il taglio del loro rating (un evento ritenuto impensabile, solo sei mesi fa, da parte di tutti gli "esperti") e si è resa evidente, ad un mondo stupito, la diffusa paralisi delle loro politiche di sistema (6), pur essendo tutti gli altri incapaci di mettere in atto qualsiasi seria misura per ridurre i loro rispettivi deficit (7).

Allo stesso tempo, il Regno Unito sta sprofondando nella depressione (8), con scontri di rara violenza, una politica di austerità che non riesce a controllare il deficit di bilancio (9), mentre precipita il paese in una crisi sociale senza precedenti (10), con una coalizione di governo che non sa nemmeno perché governa insieme, con sullo sfondo lo scandalo della collusione tra i leaders politici e l'impero di Murdoch.

Nessun dubbio, in un tale contesto, che tutto era maturo per un rilancio dei media sulla crisi greca e sul suo corollario, la fine dell’Euro!

Se LEAP/E2020 dovesse riassumere lo scenario nello "stile Hollywood o Fox News" (11), avremmo la seguente trama: "Mentre l’iceberg Stati Uniti sta speronando il Titanic, l'equipaggio guida i passeggeri alla caccia di pericolosi terroristi greci che potrebbero avere nascosto delle bombe a bordo!".

In termini di propaganda, è una ricetta ben nota: si tratta di un diversivo per permettere, innanzitutto, il salvataggio dei passeggeri che si vogliono salvare (l'élite informata, consapevole che non ci sono terroristi greci a bordo), poiché non tutti possono essere salvati, e poi nascondere la vera natura del problema per tutto il tempo possibile, per evitare una rivolta a bordo (inclusi alcuni membri dell'equipaggio, che credono sinceramente che ci siano davvero delle bombe a bordo).

Concentrandosi sui retroscena, dobbiamo sottolineare che i "promotori" di una crisi greca, presentata come fatale per l'Euro, hanno ripetuto il concetto per quasi due anni, senza che nessuna delle loro previsioni si sia avverata (12 ).

I fatti sono chiari: nonostante il clamore dei media, che avrebbero visto la fuoriuscita di molte economie e delle loro valute (13), l'Euro è stabile, Eurolandia è cresciuta a passi da gigante in termini d’integrazione (14), e si appresta ad irrompere in modo ancor più spettacolare verso nuovi territori (15); i paesi emergenti continuano la riconversione dei T-bonds USA e comprano il debito di Eurolandia, mentre l'uscita della Grecia dall’Eurozona è ancora completamente al di là di qualsiasi considerazione, se non negli articoli dei media anglosassoni, i cui giornalisti non hanno in generale alcuna idea delle funzioni dell'Unione Europea, ed ancor meno delle forti tendenze che la determinano.



Confronto dei dati economici Eurolandia-USA (2010) (debito dello Stato, disoccupazione, crescita del PIL, saldo di conto corrente) - Fonte: Spiegel, 07/2011

Ora, il nostro team non può far nulla per coloro che vogliono continuare a perdere soldi scommettendo sul crollo dell’Euro (16), sulla parità Euro-Dollaro, o sull’uscita da Eurolandia dalla Grecia (17).

Queste persone sono le stesse che hanno speso molti soldi per proteggersi dalla cosiddetta "epidemia globale H1N1" che esperti, politici e media di ogni tipo hanno "venduto" per mesi alle persone di tutto il mondo, e che si è rivelata essere un’enorme farsa alimentata in parte da aziende farmaceutiche e dalle cricche di esperti ai loro ordini (18).

Il resto, come sempre, è autoalimentato dalla mancanza di pensiero (19), dal sensazionalismo e dal conformismo dei media tradizionali.

Nel caso della crisi Euro-Grecia, lo scenario è similare, con Wall Street e City nel ruolo delle aziende farmaceutiche (20).

Quando Wall Street e la City entrano nel panico davanti alle soluzioni ideate per Eurolandia

Infatti, ricordiamo che ciò che spaventa Wall Street e la City sono le lezioni che i leaders ed il popolo di Eurolandia hanno appreso da questi tre anni di crisi e dalle soluzioni inefficaci che sono state applicate.

La natura di Eurolandia crea uno spazio di discussione senza equivalenti nella capacità d’intendere dell’elite e dell’opinione pubblica americana e britannica. Ed è questo che disturba Wall Street e la City, che cercano sistematicamente di eliminare questo spazio di discussione, sia cercando di creare il panico annunciando la fine dell’Euro, per esempio, o riducendo questo spazio ad una mera perdita di tempo, evidenziando l’inefficacia di Eurolandia, la sua incapacità di risolvere la crisi.

Il che è un peccato data la paralisi prevalente a Washington!

Tuttavia, è proprio questo spazio di discussione che permette agli Eurolanders di procedere lungo la strada che porta alla soluzione duratura della crisi attuale.

Questo spazio di discussione è parte integrante della costruzione europea, dove visioni opposte sia sui metodi che sulle soluzioni si confrontano, prima di arrivare ad un compromesso finale (come dimostrato dalle importanti decisioni prese nel Maggio del 2010).

Così si allarga il dibattito a tutta una serie di partecipanti, provenienti da 17 paesi diversi (21), da diverse istituzioni comuni, e così il dibattito si radica nelle discussioni di diciassette opinioni pubbliche.

Ma è dallo scontro di idee che emerge la luce: riguardo lo scontro brutale delle idee, il filosofo greco Eraclito diceva, 2500 anni fa: "di alcuni fa degli dei, di alcuni degli uomini; di alcuni degli schiavi, degli altri degli uomini liberi". Ma i cittadini di Eurolandia si rifiutano di lasciare che questa crisi li trasformi in schiavi, e per questo il dibattito attuale in Europa è necessario ed utile.

In tre anni, tra il 2008 ed il 2011, essi hanno fatto due cose essenziali per il futuro:

- hanno rilanciato l'integrazione europea intorno ad Eurolandia, e d'ora in poi l’hanno posta su un percorso accelerato. Il nostro team si aspetta ora una forte ripresa della politica europea, a partire dalla fine del 2012 (simile al periodo 1984-1985), tra cui un trattato d’integrazione politica, che sarà sottoposto a referendum a livello Eurolandia per il 2015 (22)

- hanno permesso l'emersione graduale di due idee semplici, ma molto forti: salvare le banche private non è di alcuna utilità per risolvere la crisi, ed è necessario che i mercati (vale a dire essenzialmente i grandi operatori finanziari di Wall Street e della City) si assumano pienamente i loro rischi, senza alcuna ulteriore garanzia da parte dello Stato. Oggi, queste due idee sono al centro del dibattito in Eurolandia, sia nell'opinione pubblica che nell'elite ... e guadagnano terreno ogni giorno di più.

Questo è ciò che provoca paura a Wall Street, nella City e tra i maggiori operatori finanziari privati.

Questo è lo stoppino, quasi del tutto bruciato, che attiverà la fusione esplosiva delle attività finanziarie globali nel quarto trimestre (nel contesto prevalente della recessione degli Stati Uniti e della sua incapacità di ridurre il deficit pubblico).

Se i mercati cominciano a prevedere un calo del 50% dei titoli greci e spagnoli, è perché essi hanno veramente intuito la direzione che gli eventi stanno prendendo in Eurolandia.

Per LEAP/E2020 non c'è dubbio che le menti siano mature, per la maggior parte di Eurolandia, a che ai creditori privati ​​venga chiesto di pagare il 50%, o anche di più, per poter risolvere i problemi del debito pubblico.

Questo sarà senza dubbio un problema per le banche europee, ma riuscirà senz’altro a proteggere i depositanti. Gli azionisti dovranno assumersi la piena responsabilità: il che, poi, è veramente il fondamento del capitalismo!

Wall Street e la City, ed i loro intermediari nei media, vogliono disperatamente che questo dibattito non abbia luogo, che si concluda nel panico, in modo che i governi siano costretti ad ascoltare i loro "esperti", che li assicurino che l'unica via sia quella di continuare a ricapitalizzare le banche, di inondarle di liquidità (23) ... come per Washington e Londra.

Due paesi nei quali queste stesse istituzioni finanziarie regnano sovrane nel governo.

Tra l'altro, la battaglia infuria intorno alla BCE, come abbiamo accennato in un GEAB precedente: la nomina di Mario Draghi, un ex della Goldman Sachs, le dimissioni del Jurgend Stark (24) ... derivano da questi tentativi di mettere Francoforte sotto la stessa tutela di Londra e Washington. Ma sono condannati fin dall'inizio, in virtù di questo forum aperto, strutturalmente inscritto nella costruzione europea, dove le discussioni sono alimentate dalle politiche fallimentari del 2008, e dalla crescente irruzione dell’opinione pubblica nel dibattito.

"Chi va piano va sano e va lontano" (25), come dicono gli italiani.

Questa crisi è di proporzioni storiche, come abbiamo detto fin dal Febbraio del 2006.

I passi da intraprendere per attraversarla nel miglior modo possibile e per uscirne più forti (uomini liberi e non schiavi, per citare Eraclito), richiedono quindi una discussione seria e profonda (26) ... e quindi del tempo.

Ed il tempo impiegato dagli Eurolanders, è denaro perso per i mercati ... il che spiega le loro paure. LEAP/E2020 pensa, naturalmente, che è anche necessario agire, e noi abbiamo fatto notare dal Maggio 2010 che le azioni intraprese da Eurolandia sono state di una grandezza senza precedenti nella recente storia europea. E noi crediamo che sia necessario del tempo prima di attuare il secondo pacchetto di aiuti alla Grecia. Per il resto, sappiamo anche che i leaders attuali sono per lo più "al limite", e che sarà necessario attendere fino a metà del 2012 per assistere ad un nuovo, vigoroso impulso all’integrazione di Eurolandia (27).

Nel frattempo, con 340 miliardi di Dollari di rifinanziamento da trovare nel 2012 (28), le banche europee ed americane continueranno ad uccidersi a vicenda, cercando di mantenere la situazione pre-crisi, che ha dato loro l’illimitato sostegno delle Banca Centrali. Per quanto riguarda Eurolandia, esse potrebbero avere una brutta sorpresa.


Confronto dell’indice della Fed di Philadelphia e della produzione industriale USA (2002-2011) - Fonti: Philadelphia Fed, MarketWatch, 08/2011

Il quarto trimestre 2011 segna la fine dei due paradigmi-chiave del mondo pre-crisi.

La fusione esplosiva del quarto trimestre sarà così il risultato diretto di un incontro tra due nuove realtà che contraddicono due condizioni di base dell'esistenza del mondo pre-crisi:

  • uno, nato in Europa, consiste oggi nel rifiutare l'idea che gli ​​operatori finanziari privati, di cui Wall Street e City sono l’incarnazione per eccellenza, non siano pienamente responsabili dei rischi che corrono. Eppure, per decenni, era questa l'idea prevalente che ha alimentato l'enorme crescita dell'economia finanziaria: "testa io vinco, croce tu mi salvi". Anche l'esistenza delle grandi banche occidentali e delle compagnie di assicurazione è diventata intrinsecamente legata a questa certezza. I bilanci dei maggiori operatori di Wall Street e della City (e di molte grandi banche giapponesi e di Eurolandia) non sono in grado di resistere a questo tremendo cambiamento di paradigma (29).
  • l'altro, generato negli Stati Uniti, è la fine del motore americano come propulsore della crescita globale (30), nel contesto della completa paralisi politica del paese che, di fatto, chiuderà il 2011 come la Grecia ha chiuso il 2009: il mondo scoprirà a poco a poco che il paese ha un debito che non può più sostenere, che i suoi creditori non sono più disposti a prestare denaro, che la sua economia non è più in grado di far fronte ad una significativa austerità senza precipitare in una profonda depressione (31). In un certo senso, l'analogia può essere ulteriormente portata avanti: proprio come l'Unione Europea e le banche che, dal 1982 al 2009, hanno liberamente concesso prestiti alla Grecia ... e senza essere pressanti riguardo i conti, analogamente nello stesso periodo il mondo ha liberamente concesso prestiti agli Stati Uniti, credendo alle promesse dei suoi leaders riguardo lo stato dell'economia e delle finanze del paese.


Ed in entrambi i casi il denaro è stato sprecato nel boom immobiliare senza futuro, in politiche clientelari stravaganti (negli Stati Uniti clientelismo vuol dire Wall Street, industria petrolifera, fornitori di servizi sanitari) e nelle spese militari improduttive.

Ed in entrambi i casi, si scopre che pochi trimestri non possono riparare decenni di incoscienza.


La «tempesta perfetta» politico-finanziaria del Novembre 2011

Così, nel Novembre 2011, gli Stati Uniti si preparano ad una "tempesta perfetta" politico-finanziaria, che farà sembrare i problemi estivi una leggera brezza marina.

I sei elementi della futura crisi stanno già arrivando tutti insieme (32):

1 - il "super comitato" (33) responsabile delle decisioni sui tagli di bilancio sui quali non c'era accordo quest'Estate, si rivelerà incapace di risolvere le tensioni tra le due parti (34).

2 - i tagli di bilancio automatici da realizzare in caso di mancato accordo, si tradurranno in una grave crisi politica a Washington, ed aumenteranno le tensioni, soprattutto con i militari ed i destinatari delle prestazioni sociali. Allo stesso tempo questa "funzione automatica" (una vera e propria abdicazione al potere decisionale da parte del Congresso e della presidenza degli Stati Uniti) genera gravi perturbazioni nel funzionamento del sistema statale.

3 - le altre agenzie di rating si uniranno a S&P nel declassamento del rating degli Stati Uniti e la riconversione dei T-bonds USA accelererà, con la consapevolezza che gli Stati Uniti ora dipendono principalmente dal finanziamento a breve termine (35).

4 - l'incapacità della Fed di fare qualcosa, se non parlare e manipolare il mercato azionario e quello dei prezzi della benzina negli Stati Uniti (36), rende ora qualsiasi "salvataggio" last-minute impossibile

5 - nei prossimi tre mesi il deficit pubblico degli Stati Uniti aumenterà drammaticamente visto che le entrate fiscali sono già in procinto di crollare sotto l'impatto della ricaduta in recessione (37). In altre parole, l’aumentato tetto del debito pubblico votato poche settimane fa, sarà raggiunto ben prima delle elezioni di Novembre 2012 (38) ... e questa informazione si diffonderà a macchia d'olio nel quarto trimestre del 2011 ... rafforzando i timori di tutti gli investitori di vedere gli Stati Uniti seguire l'esempio di Eurolandia con la Grecia, forzando i suoi creditori a perdite pesanti.

6 - Il nuovo piano di Barack Obama per la lotta alla disoccupazione non avrà alcun effetto significativo. Da un lato esso non è all'altezza della sfida e, per questo motivo, non può chiamare a raccolta le energie del paese e, dall'altro, sarà fatto a pezzi dai repubblicani che manterranno solo i tagli fiscali ... L'unico risultato sarà quello di aumentare il debito del paese ancora di più (39).




I collegamenti del super-comitato per il debito USA con i lobbisti di Washington - Fonte: Washington Post, 09/2011


Così, per LEAP/E2020, è una combinazione di tutti questi elementi che, alla fine del 2011, attiverà questo importante shock finanziario ... una sorta di shock finale che spingerà il pianeta fuori dal mondo pre-crisi per sempre.

Ma il mondo post-crisi è ancora da costruire, perché sono molti i futuri possibili, a partire dal 2012. Come Franck Biancheri ha anticipato nel suo libro, il periodo 2012-2016 è un crocevia storico. Bisogna cercare di non sbagliare il percorso (40)!

di Global Europe Anticipation Bulletin

Note:

(1) Per ora, come abbiamo detto per diversi trimestri, l'isteria che circonda la crisi finanziaria greca riguarda soprattutto il campo della propaganda e della manipolazione. Per rendersene conto è sufficiente rilevare che, fuori della Grecia, nessun cittadino di Eurolandia si renderebbe conto che c'è una crisi in Grecia, se i media non ne facessero regolarmente oggetto nei loro titoli. Mentre negli Stati Uniti le devastazioni quotidiane della crisi non hanno bisogno della copertura mediatica per farsi sentire pesantemente dalle decine di milioni di americani.
(2) Visto che si cerca di confondere e manipolare la percezione della realtà mentre, al contrario, il nostro lavoro cerca di rivelare quella stessa realtà.
(3) Ogni 3 o 4 mesi, abbiamo un "puff" sulla crisi greca/fine dell'euro, che svanisce rapidamente esattamente così come è arrivata, quando tutti scoprono che non succede niente altro che la continuazione del tortuoso processo decisionale di Eurolandia riguardo la lenta uscita della Grecia dal buco nero del bilancio. I “grilletti” variano, naturalmente, altrimenti non avrebbero più funzionato con il pubblico: un trimestre si userà "la rivolta dei Greci contro l’austerità "per spiegare che tutto andrà in fiamme ... compreso l'euro (la sequenza che porta da Atene a tutta Eurolandia è sempre molto vaga e semplicistica, ma non importa, perché i giornalisti non fanno domande), quello successivo, come questa estate, per esempio, si userà un crollo del mercato azionario per identificare il colpevole ... la Grecia ... mille volte più importante, naturalmente, di eventi insignificanti come l'entrata degli Stati Uniti in recessione e il downgrade del credito degli Stati Uniti! E così via. Gli dei greci sono decisamente ancora vivi e molto potenti per far si che il mondo tremi in questo modo!
(4) Si guardi questo estratto dal GEAB N° 51
(5) Fonti: Market Watch, 2011/09/14, New York Times, 2011/09/13, USA Today, 2011/09/07, La Tribune, 2011/09/05, Mish’s, 2011/08/29; USA Today, 2011/08/29; CNBC, 2011/06/17
(6) Che non ha sorpreso i lettori GEAB, in quanto nel N° 49 del Novembre 2010 avevamo previsto "la diffusa paralisi politica e l'ingresso degli Stati Uniti nell’austerità nel 2011".
(7) Per rilassarsi su un argomento serio, date un'occhiata a questa clip rap di un tema molto politico "Alza il tetto del debito". Fonte: Telegraph, 2011/07/29
(8) Fonte: Telegraph, 2011/08/31
(9) Così, sommando debito privato e debito pubblico, il Regno Unito è il paese più indebitato del mondo. Fonte: Arab Money, 2011/08/28
(10) Le organizzazioni caritative ed umanitarie del Paese stanno attualmente lottando per la propria sopravvivenza economica, a causa della mancanza di donazioni e sovvenzioni. Fonte: The Guardian, 2011/08/02.
(11) I due trattano le notizie più o meno allo stesso modo.
(12) Anche la Svizzera, da ora in poi, "ancorerà" la propria valuta all'euro – il che dovrebbe portare gli euroscettici a pensare come in questo titolo dello Spiegel, il 2011/09/07.
(13) Immaginate lo stato del dollaro o della sterlina, se i media e gli esperti avessero dedicato la stessa energia a descrivere e fantasticare su tutti i problemi degli Stati Uniti o del Regno Unito. Se, per esempio, si traessero le stesse conclusioni riguardo la Gran Bretagna, in occasione degli scontri di questa estate, come quelle tratte per le manifestazioni greche, davvero ragionevoli (rispetto alla violenza inglese).
(14) Così, l'UE ha significativamente aumentato il budget per la ricerca, mentre la “stretta” è aumentata negli Stati Uniti. Fonte: Nature, 2011/07/05.
(15) Anche il Wall Street Journal del 2011/09/12, sospettato di acuta Eurofilia, riconosce che Eurolandia sta per passare ad una nuova fase d’integrazione, attraverso un nuovo trattato. Lo Spiegel del 2011/02/09 conferma questa tendenza.
(16) John Tammy ha chiaramente spiegato nel Real Clear Markets del 25/08/2011: «Il problema dell'Europa non è in realtà l'euro».
(17) Ribadiamo qui che la metodologia dell'anticipazione politica, su cui si basa il lavoro di LEAP/E2020, non si permette il lusso di confondere i suoi sogni (o incubi) con la realtà (l’approccio ideologico per eccellenza), ma è un processo decisionale saldamente radicato nel mondo reale. E consigliamo ai lettori di tenere in mente un test molto semplice per distinguere tra i due approcci, e quindi determinare quale grado di fiducia si può dare ad un'analisi sull'evoluzione della crisi: le analisi del passato hanno regolarmente permesso le previsioni sugli sviluppi della crisi in modo preciso? O realmente, al contrario, poco o nulla di quanto annunciato si è avverato? Tocca a voi, quindi, scegliere quello che si desidera utilizzare nel prendere decisioni, ma almeno lo farete consapevolmente!
(18) Per quanto riguarda l'attuale crisi, LEAP/E2020 ritiene che la crescente consapevolezza, tra i leader di Eurolandia e l'opinione pubblica, del fatto che ci sia, quanto meno, un’operazione di propaganda proveniente da oltre Manica e dall'Atlantico destinata ad “uccidere la fiducia nell'area euro", si tradurrà in una profonda revisione della credibilità dei giornalisti e degli esperti che si occupano della crisi, nel prossimo anno. Ed Eurolandia che credeva, fino a poco tempo fa, di trovarsi ancora in piena fratellanza con Stati Uniti e Regno Unito, sta trovando che le cose siano molto più complicate. Nel 2012 noi pensiamo, quindi, che alcuni media di Eurolandia cominceranno a mettere in discussione l'oggettività ed anche l'onestà di quei giornalisti, addestrati quasi esclusivamente negli Stati Uniti o nel Regno Unito e/o nei principali media anglosassoni, in prima fila nell'attacco contro l'Euro. France24, dove la situazione sopra descritta è molto comune, ha appena fornito un ottimo esempio. Intervistando il Presidente del MEDEF riguardo le sue affermazioni circa un complotto americano nei confronti dell'euro (France24, 2011/05/09), la giornalista Stéphanie Antoine lanciò dei dubbi, senza alcuna argomentazione, riguardo la posizione di Laurence Parisot, con l'aggiunta di eloquenti espressioni per dimostrare che non credeva ad una sola parola di quello che egli diceva. Stéphanie Antoine, CV su Wikipediaspeaks: ha lavorato a New York e Londra per la ABC, CNBC e Bloomberg. Dal momento che Laurence Parisot accusava i media statunitensi, in particolare, meglio si comprende l'obiettività della giornalista su questo argomento. Per il nostro team è chiaro che i giornalisti e gli esperti con questo tipo di background, principalmente statunitense ed inglese, saranno progressivamente messi da parte durante il prossimo anno in tutti i principali media di Eurolandia. Anche in questo settore il mondo pre-crisi è in corso di sparizione.
(19) C’è un buon esempio nel colloquio con l'ex ministro delle finanze tedesco, Peer Steinbrück, fatto da due giornalisti dello Spiegel il 2011/09/12. Il primo scambio di battute è significativo: i giornalisti dicono che l'euro non può essere salvato. L'ex ministro chiede loro da dove traggono questa "verità", ed i giornalisti si giustificano ripetendo il cliché sparso dagli euroscettici per anni: "perché, in realtà, non può funzionare a causa delle nostre economie che sono diverse". Due sono gli insegnamenti da trarre da questo esempio: la posizione stessa dei giornalisti intesi come "esperti" ... è infatti il politico che ha intervistato loro per porre domande circa la legittimità delle loro richieste; ed, in fatto di competenza, hanno solo ripetuto la retorica, senza alcuna analisi, del soggetto con cui sono chiamati ad avere a che fare. Si tratta, purtroppo, della situazione che ha prevalso per mesi sui media europei riguardo questo tema. In difesa dei giornalisti, diciamo che sono vittime della incapacità degli attuali leaders di Eurolandia di proporre una visione di lungo termine. Questo semplice fatto dissiperebbe la "nebbia di guerra" in un secondo. Inoltre, i commenti di Peer Steinbrück sono molto interessanti e descrivono, secondo l’ottica di LEAP/E2020, il processo dei prossimi mesi molto accuratamente.
(20) E gli euroscettici di destra e di sinistra, che lavorano attivamente sul continente europeo, credono di aver trovato la giustificazione per le loro analisi, anche se sono smentiti quotidianamente dai fatti e dal progresso dell'integrazione europea. Sarebbe più saggio concentrarsi su come ottenere una governance più democratica di Eurolandia, piuttosto che sognare la "torta in cielo", che è già stata consegnata all'oblio della storia.
(21) Si legga l'articolo molto interessante preso dal Vanguardia di PressEurop del 2011/09/08, riguardo due diversi modi di essere in crisi, con la messa a confronto di Italia e Spagna.
(22) Entro la fine del 2011 torneremo con una previsione dettagliata sui cambiamenti di Eurolandia, fino all'orizzonte del 2015, ma una cosa è certa: Londra non può più opporsi, e vedremo nelle prossime settimane che il Regno Unito può solo cercare di negoziare alcuni benefici, in cambio della sua inevitabile approvazione ad una maggiore integrazione di Eurolandia. Inoltre, Londra non può permettersi la minima scossa economica aggiuntiva per non vedere il crollo dell'economia britannica. Fonte: Telegraph, 2011/09/15
(23) La decisione delle banche centrali occidentali del 2011/09/15 di inondare ancora una volta di dollari le grandi banche, avrà un effetto più duraturo rispetto a prima. Ciò conferma solo lo stato molto fragile di tutte queste istituzioni finanziarie ... supposto che avessero superato lo "stress test" che garantisce la loro solidità. Per il resto, questa decisione spinge le banche dell'Eurozona a prestare in Euro: il 2012 dovrebbe vedere questa situazione stabilizzarsi rapidamente. Fonti: MarketWatch, 2011/09/15, Les Echos, 2011/09/12
(24) Ma non solo: con Weber e Stark, stiamo anche assistendo alla fine della generazione dei "Bundesbankers" della FRG. La loro visione delle cose era certamente appropriata per la gestione della Banca Centrale Tedesca Occidentale, ma le sfide della BCE per i prossimi anni sono di un ordine diverso. La generazione "Erasmus" dei banchieri centrali deve ora prendere il loro posto. E qualunque sia la sua fede, questa generazione conosce l'importanza strategica del dibattito tra gli europei, prima di intraprendere importanti riforme. Tra le urgenze della crisi ed il necessario sostanziale dibattito tra gli europei, è il momento di sostituire le elites francesi e tedesche, in particolare, dal momento che sono al centro del processo: non più certezze "scientifiche", per gli esperti/politici tedeschi, e la fine della lucida arroganza dei tecnocrati/decisori francesi. Su entrambi i lati, abbiamo bisogno di persone che sappiano lavorare con il team di Eurolandia: una qualità che tutti gli Eurolanders dovrebbero tenere a mente prima di entusiasmarsi per i loro prossimi leaders.
(25) «La lentezza vince la gara»
(26) Questo è il grande sviluppo, in Germania, del dibattito del 2011 sulla crisi: fine della delusione del 2010 riguardo il ritorno al marco, in Germania vi è ora un vero e serio dibattito sul modo migliore di garantire il successo al prossimo passo dell’integrazione di Eurolandia. E' un peccato che un tale dibattito non esista in Francia. Sarà necessario attendere l'elezione del candidato socialista, a maggio del 2012, per passare a questa fase. A quell’epoca, i due paesi potranno ancora assumere un vero ruolo di guida. Attualmente stanno giocando prevalentemente in posizione difensiva: è necessario, ma non sufficiente per il 2012.
(27) Detto questo, gli Eurobonds sono ora a portata di mano. Fonte: MarketWatch, 2011/08/30
(28) Fonte: International Financing Review, 2011/02/09
(29) Dall’estate del 2011 i maltrattati hedge funds se ne stanno già andando. Fonte: Les Echos, 2011/09/01
(30) Vale la pena leggere questo interessante articolo pubblicato sul The Nation del 2011/07/19, che descrive il passaggio degli Stati Uniti dalla prosperità di massa alla lunga recessione nel giro di 50 anni.
(31) Le famiglie americane hanno persino più debiti del loro Governo! Fonti: MSNBC, 2011/09/09, AlJazeera, 2011/09/04, Yahoo Finance, 2011/07/28
(32) Nel prossimo numero del GEAB, il nostro team espanderà le sue previsioni sugli Stati Uniti fino all'orizzonte del 2015.
(33) Fonte: Washington Post, 2011/09/14, La Collina, 2011/09/08
(34) Fonte: Washington Post, 2011/09/14
(35) Fonte: Financial Post, 2011/09/01, CNBC, 2011/08/08
(36) Un numero crescente di domande sorge sulla strana differenza tra il prezzo del greggio negli Stati Uniti e nel mercato di Londra. Anche il Financial Times ha aderito a questo partito. Ed il dito tende a puntare verso uno dei molti intermediari della Fed, che avrebbe mantenuto il prezzo di riferimento Usa artificialmente basso, per evitare un aumento del prezzo della benzina alla pompa. Le prossime settimane dovrebbero svelare ulteriori prove su questa storia intrigante, ma indicativa del clima di sospetto nei confronti delle istituzioni federali, che sono ora sotto controllo negli Stati Uniti. Fonte: Le Monde, 2011/09/06
(37) Fonte: Zerohedge, 2011/09/02
(38) Fonte: Zerohedge, 2011/08/08
(39) Fonti: USAToday, 2011/09/09
(40) Per inciso, questo sarà uno dei temi affrontati nel corso della conferenza «Quali relazioni transatlantiche dopo la crisi globale?» che si terrà a Houston il 3 e 4 ottobre prossimo con, soprattutto, il coinvolgimento di due leaders di LEAP/E2020, Franck Biancheri e Harald Greib

23 settembre 2011

Banche, la soluzione c'è, ma le lobby...

Il declassamento delle banche italiane non mi stupisce: era nell’aria da tempo.Se aggiungete un’altra notizia che in Italia ha avuto poco spazio ma che è molto importante, secondo cui Bank of China ha sospeso una serie di ordinarie transazioni in valute sul mercato cinese con alcune banche europee in seguito ai crescenti timori sui rischi finanziari dell’Europa (le banche sono BNP Paribas, Société Générale e UBS), il quadro è chiaro: siamo di nuovo daccapo. Tra il 2008 e il 2010 il governo americano spese oltre 4mila miliardi di dollari per salvare le banche, come ha ricordatorecentemente Maurizio Blondet su Effegieffe; soldi che hanno avuto un effetto tampone, ma non hanno interrotto le pessime consuetudini delle grandi banche.

La soluzione c’era, come ha ricordato ieri il leader dell’Udc svizzera Christoph Blocher, in un’intervista alCorriere del Ticino (la testata principale del gruppo TImedia che dirigo da qualche settimana): “Separare l’investment banking delle nostre grandi banche all’estero dal­la gestione patrimoniale e dai prestiti ipotecari e altre attività che si svolgo­no prevalentemente in Svizzera“. Blocher si riferisce in particolare all’Ubs, che ora è di nuovo nei guai, ma il principio vale per tutte le banche, anche per quelle italiane.

Fino alla fine degli anni Novanta negli Usa, le attività di Investment Banking erano nettamente separate da quelle cosiddette retail; con separazione dei rischi e delle responsabilità. Oltre dieci anni fa la lobby delle banche prevalse (con il decisivo appoggio di Bill Clinton) e da allora il mito della banca globale si è diffuso.

Oggi le banche sono troppo grandi per fallire e dunque possono ricattare il mondo. Tornare a quella norma rappresenta la soluzione, che naturalmente nessun governo e tantomeno nessuna organizzazione internazionale tipo Fmi, Banca Mondiale, Financial StabilityBoard riesce e nemmeno tenta di applicare, per ragioni che potete facilmente intuire.

Finchè non compieremo questo passo rimarremo per sempre in ostaggio delle banche e di un sistema che ci porterà alla malora.

di Marcello Foa

Debito creato solo per drogare la crescita suicida


Meno e meglio: è l’unica soluzione, per uscire dalla spirale del debito. Che non è un incidente di percorso, tutt’altro: il debito è stato incoraggiato a tavolino per indurre i consumatori a comprare merci che non si sarebbero potuti permettere. Obiettivo: smaltire la marea di nuove merci prodotte a ritmo vorticoso da tecnologie industriali sempre più avanzate e diffuse in tutto il mondo grazie alla globalizzazione. Il debito serviva a questo: ad assorbire l’enorme valanga planetaria di merci, evitando una “crisi di sovrapproduzione”. Il peccato originale ha un nome sulla bocca di tutti: crescita. Non è la soluzione, è il problema: la crescita è cieca, perché si basa solo sulla quantità, trascurando di selezionare beni e servizi realmente utili. La crescita vive di sprechi e genera Pil inutile, gonfiato dalla droga pericolosa del debito.

Ne è convinto Maurizio Pallante, teorico italiano della decrescita: «Il debito pubblico non è un problema di cui è stata sottovalutata la gravità», sostiene Maurizio Pallantein un intervento presto disponibile sul blog di Mdf, il Movimento per la Decrescita Felice. Il debito, spiega Pallante, è addirittura «il pilastro su cui si fonda la crescita nell’attuale fase storica», perché il ricorso al credito «è indispensabile per continuare a far crescere la produzione di merci». Si tratta di una scelta «consapevolmente perseguita con una totale unità d’intenti dai governi di destra e di sinistra in tutti i paesi industrializzati: non a caso – continua Pallante – la crescita dei debiti pubblici ha avuto una forte accelerazione in seguito alle misure di politica economica adottate dai governi dopo lacrisi del 2008 per rilanciare la domanda attraverso le opere pubbliche e il sostegno ai consumi privati».

Diversamente, osserva Pallante, non si capirebbe come mai negli ultimi anni tutti i paesi industrializzati hanno accumulato debiti pubblici sempre più consistenti, fino a raggiungere i valori record del 2010: dall’80% del Pil nel caso del Regno Unito, fino al 225% del Giappone. Se negli Usa il debito pubblico sfiora il tetto del prodotto interno lordo, Francia e Germania superano di poco l’80% mentre il debito dell’Italia rappresenta il 119% del Pil: peggio di noi c’è solo la Grecia, col suo drammatico 142%. A fine anno, il debito italiano raggiungerà i 2.000 miliardi di euro, a fronte di un Pil 2010 Grecia crisifermo a 1.500 miliardi. Il nostro debito pubblico è pari alla somma di quelli di Grecia, Spagna, Portogallo e Islanda.

Per capirci: il deficit greco, su cui si è scatenata la speculazione finanziaria, è di soli 340 miliardi di euro. Ben diversi i volumi di casa nostra: «Per pagare gli interessi sul debito, ogni anno l’Italia emette nuovi titoli per un valore di 75 miliardi di euro, pari al 10% della spesa pubblica e al 5% per cento del Pil». Per contro, aggiunge Pallante, il quadro completo lo si ottiene solo sommando il debito pubblico a quello privato, delle famiglie e delle aziende. Sulla base di questo mix realistico, col 218% del rapporto debito-Pil, l’Italia non sfigura rispetto al 286% dell’Irlanda, al 250 del Portogallo, al 230 di Spagna e Olanda e persino al potente Regno Unito, il cui debito aggregato raggiunge il 245% del Pil. A fronte di queste cifre, conclude Pallante, non si può escludere la possibilità che gli Stati più indebitati decidano di troncare la spirale degli interessi passivi decidendo di fallire, trascinando al fallimento le banche che hanno sottoscritto i loro titoli e alla rovina i risparmiatori che hanno depositato il loro denaro nelle banche.

Ma perché gli Stati e le amministrazioni locali spendono sistematicamente cifre superiori ai loro introiti? Perché il sistema bancario induce le famiglie a spendere cifre superiori ai loro redditi, magari con consigli interessati e specifiche linee di credito al consumo? «La risposta è intuitiva: perché la crescita della produzione di merci ha raggiunto un livello tale che se non si spendesse più di quello che sarebbe consentito dai redditi effettivi, crescerebbero le quantità di merci invendute e si scatenerebbe una crisi di sovrapproduzione in grado di distruggere il sistema economico e produttivo fondato sulla crescita della produzione di merci». Secondo gli economisti, per ridurre il debito pubblico occorre stimolare la crescita del Pil, perché se cresce la produzione di merci aumenta anche il gettito fiscale. Per favorire la crescita, lo Stato ha due strade: ridurre le tasse, per incoraggiare i consumi, o incrementare la spesa pubblica. «Ma in entrambi i casi, il debito pubblico Christine Lagarde e Dominique Strauss-Kahnaumenta: per ridurlo, attraverso la crescita, bisogna aumentarlo!».

In realtà l’Europa punta su un’altra strada, quella che avrà un impatto durissimo sulla società: il taglio della spesa pubblica, fino alla prospettiva dell’inserimento nelle Costituzioni dell’obbligo del pareggio di bilancio. Problema: tartassando i consumatori, il Pil non potrà certo crescere. Secondo Pallante, neppure il Fondo Monetario Internazionale ha più soluzioni: basti pensare che la direttrice, Cristine Lagarde, ha appena proposto di schiacciare contemporaneamente il pedale del freno e quello dell’acceleratore: ridurre la spesa pubblica e/o aumentare le tasse, e al tempo stesso favorire l’aumento della domanda mediante l’aumento della spesa pubblica e/o la diminuzione delle tasse. «Il fatto è che la crisi in corso non è congiunturale, ma di sistema, e gli strumenti tradizionali di politica economica non funzionano più».

In virtù della recente globalizzazione dei mercati e della concorrenza internazionale, lo sviluppo tecnologico ha determinato un eccesso di capacità produttiva che cresce di anno in anno: «Macchinari sempre più potenti producono in tempi sempre più brevi quantità sempre maggiori di merci, con un’incidenza sempre minore di lavoroumano per unità di prodotto». Si tratta di tecnologie che richiedono costi d’investimento molto alti, alla portata solo di grandi società in grado di operare sul mercato mondiale: multinazionali che non possono rimanere ferme perché subirebbero forti danni economici in termini di ammortamento dei capitali e disoccupatidi mancati guadagni: per cui «devono lavorare a pieno regime, e tutto ciò che producono deve essere acquistato anche se non ce n’è bisogno».

Se l’offerta in crescita esplosiva supera di gran lunga la domanda, la prima conseguenza è la disoccupazione, che a sua volta riduce ulteriormente la domanda. Oltre a gonfiare i debiti pubblici, continua Pallante, proprio la crescita ha seminato il panico sul fronte occupazionale: in Spagna, dove dal 2007 al 2010 la percentuale dei disoccupati è cresciuta dall’8,3 al 20% e quasi un giovane su due è senza lavoro, secondo calcoli prudenziali ci sono 765.000 immobili invenduti. E nella piccola Irlanda, dove negli stessi anni la disoccupazione è galoppata dal 4,6 al 13,7%, gli immobili invenduti sono 300.000. Se le nuove tecnologie tagliano i posti di lavoro e i redditi non bastano ad acquistare le merci, ecco che «l’unico modo per incrementare la domanda è l’indebitamento».

La scienza del debito, dunque, per tenere in piedi ancora per un po’ una economia totalmente drogata, dal destino ormai segnato. Da una parte gli incentivi alle famiglie verso carte di credito, rate e mutui, e dell’altra il via libera al deficit pubblico truffaldino: in cima alla lista le cosiddette grandi opere, faraoniche e devastanti, per lo più inutili o comunque bocciate da qualsiasi rapporto costi-benefici, ma comodissime per spartire denari all’interno della casta di potere che accomuna politici, imprenditori e banchieri. Prima grandi cantieri, e poi grandi cattedrali nel deserto finanziate a spese dei cittadini e poi magari cedute a società “amiche”. Nasce anche da lì la privatizzazione selvaggia delle aziende pubbliche preposte alla gestione dei servizi sociali come acqua, energia e trasporti: si svendono i I No-Tav della valle di Susa“gioielli di famiglia” proprio per ridurre l’entità colossale dei debiti contratti per realizzare le grandi opere.

Altra voce decisiva nel debito iniquo: la spesa militare. Già abnorme, si è gonfiata a dismisura dopo il crollo del Muro di Berlino con la nuova strategia “imperiale” statunitense che ha sparso eserciti e seminato guerre in tutto il mondo. Strategia ulteriormente accelerata dalla propaganda securitaria dopo l’attentato dell’11 Settembre. Un pretesto, per mettere le mani sulle regioni-chiave del pianeta, come quelle petrolifere. Peccato che l’aumento esponenziale delle spese per gli armamenti abbia progressivamente ridotto i vantaggi economici iniziali apportati dal controllo dei flussi di petrolio. Secondo Pallante, si comincia a delineare «una situazione che presenta inquietanti analogie con quella che portò alla caduta dell’Impero Romano, quando le spese militari per tenere sotto controllo le province cominciarono ad essere superiori al valore delle risorse che se ne ricavavano».

Come bloccare la spirale dei debiti pubblici? «Bisogna prendere immediatamente tre decisioni: sospendere tutte le grandi opere pubbliche deliberate in deficit, ridurre drasticamente le spese militari, ridurre drasticamente i costi della politica». In realtà sono tre aspetti dello stesso problema, insiste Pallante: «Non bisogna essere particolarmente intuitivi per capire che il sistema di potere fondato sull’alleanza strategica tra partiti politici otto-novecenteschi e grandi imprese non prenderà queste decisioni perché ne verrebbe travolto e nessun potere si fa da parte se non è costretto da una forza maggiore alla sua». Problema: ancora non esiste un blocco di Marchionne e Fassinopotere alternativo in grado di scalzare l’alleanza che ha prodotto la catastrofe della crescita, «quindi, non c’è possibilità di superare la crisi in corso, che è destinata ad aggravarsi progressivamente e a concludersi con un crollo rovinoso».

Sempre secondo Pallante, tutto lascia credere che questo esito sia ormai inevitabile: ormai sembra solo una questione di tempo. «Se la prima a precipitare sarà la crisi climatica, sarà difficile trovare una via di scampo. Se invece la crisi climatica verrà ritardata dalla crisi economica o dalla crisienergetica, coloro che non si sono lasciati abbindolare dalla gigantesca opera di disinformazione e propaganda svolta dai mass media, e sono più di quanti si creda, possono evitare di rimanere sepolti dalle macerie». La via d’uscita? «Occorre sganciarsi dal sistema economico e produttivo fondato sulla crescita della produzione di merci, organizzando reti di economia, di produzione e di socialità alternative, in grado di funzionare autonomamente e di rispondere ai bisogni fondamentali della vita con le risorse dei territori in cui insistono». La chiave? Lavoro utile. «La decrescitaabbatte il Pil ma produce occupazione qualificata, per produrre beni e servizi selezionati, realmente necessari». Ristrutturazione energetica dell’edilizia, energie rinnovabili, riduzione dei rifiuti, filiere corte alimentari e industriali, in un’ottica territoriale, distrettuale. Meno trasporti, meno costi, meno sprechi. Diminuirà il Pil? Ne saremo felici. E lavoreremo tutti.

di Giorgio Cattaneo

22 settembre 2011

Crescita, idolo del nostro tempo




La decrescita non piace a molti economisti, perché mette in discussione uno degli indicatori moderni del successo: il segno più. Tutto quello che ha un segno meno è meglio lasciarlo perdere. Ci minacciano ricordando che ogni forme di vita che sta bene cresce; quando non cresce più, muore. Ma le più importanti lezioni della natura sono invece a favore della moderazione, non degli eccessi e delle obesità che sono sempre distruttivi. E la natura, dove cresce in un modo sano, lo fa con tempi molto lenti. È dimostrato che i sovra-consumi dell’umanità sono la causa di disuguaglianze crescenti, di un impatto ambientale e climatico insostenibili , e vanno di pari passo con l’attitudine di gran parte dell’umanità a vivere al di sopra delle proprie possibilità. Sono questi vizi collettivi che a livello locale e globale causano una tendenza a volere sempre di più, a non rispettare più le regole comuni, ad accelerare migrazioni insostenibili e disordinate, a provocare crisi economiche e conflitti interni ed internazionali per risorse sempre meno abbondanti.

Decrescita significa ridurre e localizzare produzioni e consumi, ridurre le ore di lavoro per produrre beni per il mercato e dedicare invece più tempo alla famiglia, la religione, l’arte, la musica, lo sport, tutte attività che contribuiscono alla felicità e al benessere della comunità. Lo Stato e le autorità possono facilitare tale inversione di marcia, ma esse sono possibili solo se i cittadini decidono volontariamente di capovolgere le aspirazioni collettive. Già nel 1972 il Club di Roma aveva suonato l’allarme sui limiti della crescita e nel 1973 Ernst Schumacher aveva proposto dei modelli alternativi nel suo famoso libro Piccolo è bello. Nel 1984 avevo sottolineato con lo slogan “Contro la fame cambia la vita” che la moderazione, la condivisione e la semplicità sono condizioni necessarie per costruire più equità nell’uso delle risorse globali, comprese quelle necessarie per la sopravvivenza dei popoli più poveri. Oggi la ricerca scientifica sul cambio climatico ha provato che la localizzazione di produzioni e commerci,dovunque possibili, riducono il danno all’ambiente e il consumo di energia.

Al contrario il boom di consumi in Cina, India e Brasile mostrano che l’aumento veloce e piuttosto diffuso del reddito causano le stesse forme di degrado ambientale e di sprechi che si sono registrate nei boom economici dell’Europa e dell’America. Secondo Serge Latouche, un gurudelle proposte di prosperità senza crescitae di economia sociale e comunitaria, la decrescita succederà comunque perchè i costi dell’economia in continua crescita, in termini politici, della salute pubblica, ecologici,militari e di accesso alle risorse,sono pari alla crescita economica e il saldo finale è comunque zero o meno di zero.

di Sandro Calvani

21 settembre 2011

Addavenì Baffone spaziale!




stalinGiuseppe Stalin, in tutta la sua vita, ha avuto almeno un grande merito che nessuno potrà mai disconoscergli. È stato il primo, l’originale, l’inimitabile, l’impareggiabile, l’insuperabile e, soprattutto, il più conseguente picconatore della storia. Niente parole sferzanti come mannaie metaforiche alla Cossiga ma, direttamente, piccozze taglienti sulle teste “leonine” per evitare di perdersi in una savana chiacchiere vacue e locuzioni vane. Il Georgiano sarà forse stato troppo zelante nell’affrontare i traditori, abusando spesso della sua qualità d’identificarli immediatamente e di consegnarli all’altro mondo, cioè con poche perifrasi e zero processi, ma dobbiamo ammettere che raramente cadeva in fallo. Raramente sbagliava la mira, pur eccedendo in crudeltà e spietatezza. Purtroppo, la sua mirabile opera di pulizia umanitaria non ha impedito la proliferazione dei perfidi epigoni della rivoluzione permanente e dell’idiozia sussistente i quali, pur discendendo da un “Leone” della steppa, vanno assomigliando sempre più a conigli in cattività. Eppure il loro Capo, che per livore di successione aveva accettato un patto col demonio capitalista facendosi servire e riverire al calduccio messicano, era stato animale politico di una certa consistenza, fine letterato e freddo comandante militare. I suoi sostenitori odierni invece sono stalattiti e fossili col cervello pietrificato che sprecano inchiostro e forze intellettuali per appoggiare le guerre imperiali della Nato. Hanno incominciato affiancandosi all’UCK in Kosovo, cioè confondendo ladri, furfanti, spacciatori, signori della guerra ed espiantatori di organi sovvenzionati da Washington con coraggiosi rivoluzionari amanti del popolo e della libertà. Sono poi passati a supportare i ribelli libici, questi giovani con le maglie del “Che” che con armi leggere e male addestrati affronterebbero senza timore i cannoni e i missili dei lealisti di Gheddafi. Parole precise di uno di questi ammutinati del buon senso, il professor Antonio Moscato (è qui davvero il cognome è presagio di sbornia), il quale dopo l’ennesima bevuta internazionalista ha affermato: “i rivoluzionari vengono definiti nel migliore dei casi come “ribelli” o “militari ammutinati”, senza accorgersi che, purtroppo per loro, i militari esperti e dotati di carri armati e armi pesanti nelle loro file erano e sono pochi, perché la maggior parte degli ufficiali era rimasta con Gheddafi. E ai ragazzi entusiasti con la maglietta di Guevara non si insegna a combattere in pochi giorni”. Ma non è finita perchél’intellettuale col gomito alzato più del pugno ha proseguito rampognando le “persone che si considerano non solo di sinistra ma anche rivoluzionari” i quali si schierano impunemente “dalla parte di un tiranno che bombarda il suo popolo, giustificando la repressione con una eventuale “ambiguità” degli oppositori”. I bombardamenti li ha visti soltanto lui mentre persino la stampa più reazionaria parlava di set cinematografico costruito maldestramente per giustificare l’intervento sproporzionato dei protettori unificati. Dunque, colpa dei media i quali fanno opera di disinformazione, permettendosi di enfatizzare il ruolo degli islamisti nella ribellione libica, quale pretesto per non armare i ribelli. Ma anche colpa di Amnesty International che si è assunta la responsabilità di denunciare le efferatezze di quelli del CNT. E poi pure del Manifesto ammalato di ideologia stalinista (e te pareva!) il quale si è azzardato a riportare tali notizie con un metodo che lo “indigna perché alimenta, anche in quel poco di sinistra che rimane, un disprezzo per questa rivoluzione, che grazie a questo più facilmente potrà esser deviata e sconfitta, come in molti stanno provando a fare; e magari potrà essere davvero ereditata da quegli integralisti che finora non hanno contato niente se non nella propaganda di Gheddafi e nella fantasia di qualcuno”. E’ tutto un complotto ai danni della grandiosa rivoluzione libica, complotto al quale sta partecipando anche quella centrale imperialista della Croce Rossa (usurpatrice di colore rivoluzionario) che ha recentemente smentito bombardamenti, genocidi e fosse comuni. Su che pianeta vive Moscato? Sul pianeta della quarta internazionale dove i marxisti diventano marziani e fanno riunioni rivoluzionarie del quarto tipo. Addavenì Baffone spaziale!
di Gianni Petrosillo

28 settembre 2011

De-globalizzazione e recupero della sovranità nazionale




1. Un’organizzazione denominata Rivoluzione Democratica (cfr. sollevazione.blogspot.com) ha convocato a Chianciano per il 22 e 23 ottobre 2011 un incontro nazionale con parola d’ordine: Fuori dal debito! Fuori dall’Euro! Voglio qui riportare il mio contributo (sia pure non richiesto), data l’importanza del tema in questione.

2. Le possibilità concrete di ottenere a breve ed a media scadenza questi due obbiettivi (che condivido nell’essenzialità) sono pressoché nulle. E dicendo nulle intendo proprio dire nulle. In una simile situazione, non potendoci aspettare risultati anche solo parziali a scadenza ragionevole, è il come si devono impostare le rivendicazioni che diventa decisivo. Se esse infatti si impostano male o in modo inappropriato, presto o tardi se ne avranno le conseguenze. Farò fra poco il grottesco esempio del Movimento detto No Global, partito un decennio fa con grandi speranze e finito nel nulla e nel ridicolo. Le cause di questo esito poco glorioso devono essere approfondite.

3. Il settembre 2011 l’Unione Sindacale di Base (USB) è sfilata a Roma con rivendicazioni qualitativamente diverse da quelle della CGIL, Di Pietro, di Vendola, di Bersani e della stessa FIOM. E’ stato posto il problema della cancellazione del debito e della uscita dall’eurozona. Si tratta pur sempre di un’organizzazione che rivendica di avere circa 250.000 membri, e quindi di una forza piccola, ma reale. Si tratta di una relativa novità nella scena politica italiana, in cui l’Unione Europea è fino ad oggi rimasta un feticcio intoccabile, dall’estrema destra all’estrema sinistra “visibili”.

4. Nel numero di settembre 2011 di “Le Monde Diplomatique” (edizione italiana) è uscito un fondamentale articolo dell’economista francese Frèdèric Lordon intitolato “La deglobalizzazione ed i suoi nemici”. Questo testo è importante, perché pone con chiarezza i problemi fondamentali. Rimandando ad esso il lettore, ne svolgerò con autonomia un mio commento personale.

5. Così come la imposta Lordon (e la intendo io) la de globalizzazione non ha nulla a che vedere, e non è quindi una ripresa, di ciò che per un decennio è stato chiamato Movimento No Global. La debolezza strategica del Movimento No Global era di non essere affatto no global (al di là dei riti pittoreschi di piazza, dai lamenti pecoreschi ritmati alle simulazioni del black bloc), ma di essere un movimento no global di estrema sinistra, e cioè una caricatura ultra-global. La stragrande maggioranza delle sue rivendicazioni (per non cadere nell’autarchia, nel protezionismo, nello stato nazionale, eccetera, tutte cose viste a priori come di “ultradestra”) erano ricavate da una radicalizzazione di ultra-sinistra del paradigma neoliberale in politica e neoliberista in economia. Estensione in tutto il mondo dei “veri” diritti umani, abolizione delle frontiere, libera immigrazione, “superamento” del meschino orizzonte della sovranità dello stato nazionale, retorica contro i dittatori (distinti in semplicemente corrotti, ed in corrotti ed anche sanguinari), giovanilizzazione e femminilizzazione dei valori sociali, mitologia del progresso, eccetera. Un programma che sembrava stilato dalle stesse oligarchie liberali. In campo “marxista”, Negri e Hardt scrissero una trilogia che propagandava questa concezione liberista rovesciata (ma un dado rovesciato è sempre un dado), e non a caso questa trilogia divenne popolare presso i due estremi sociali apparentemente antitetici ed in realtà complementari del capitalismo, i centri sociali in basso e l’aristocrazia accademico-universitaria di sinistra in alto.

6. In Italia abbiamo vissuto una variante particolarmente pittoresca e provinciale del movimento no global, con il picconatore Bertinotti che sosteneva che con la globalizzazione spariva l’imperialismo. Il fatto che questa colossale sciocchezza potesse essere presa sul serio segnala la desertificazione del pensiero critico per opera degli apparati ideologici post-moderni mediatici ed universitari. Ed il fatto che il successore più astuto e rigoroso di Bertinotti, il poeta barese Vendola, abbia elettoralmente svuotato sia i “merli” di Ferrero sia i “passeri” di Diliberto, mostra come il non avere preso sul serio in tempo le sciocchezze porta poi a conclusioni distruttive. Quali lezioni trarre dagli esiti grotteschi del movimento no global dieci anni dopo?

7. La prima e pressoché unica lezione consiste nel capire che la sacrosanta lotta alla globalizzazione non può e non deve essere ripetuta e riproposta sulla base ideologica del movimento no global. Lordon chiarisce che i cantori del vecchio movimento no global (ad esempio l’organizzazione Attac, che ha definito la deglobalizzazione un concetto semplificato e superficiale) comincino già ad alzare le barricate, paventando poi “contaminazioni” con il protezionismo dell’eterna “destra”. Fa eccezione l’economista francese Jacques Sapir, che a mio avviso ha impostato le cose nel modo più radicale e anche meno estremistico ed avventuristico possibile: si tentino pure tutte le soluzioni possibili dentro l’euro e l’unità europea, ma se per caso fallissero, allora deve diventare “pensabile” anche l’uscita dall’euro.

8. Inutile dire che una simile prospettiva possibile, anche se posta solo come eventualità praticabile nel caso che tutte le altre opzioni “riformatrici” fallissero, viene virtuosamente rifiutata dal centro e dalla destra liberale. Il fatto è che ormai il liberalismo classico non esiste nemmeno più, divorato dal passaggio dalla sovranità politica alla governance economica. Ma anche la sinistra (con quella appendice patetica ed inutile chiamata “estrema sinistra”) la rifiuta, temendo virtuosamente che “un conflitto di classe venga trasformato in un conflitto di nazioni” (Jean Marie Harribey).

Ecco, questo è lo scoglio. Il voler negare il dato nazionale, rimuovendolo virtuosamente, aveva già portato Attac a passare dalla “anti-globalizzazione” al cosiddetto “altermondialismo”. Ma l’altermondialismo per ora non esiste, ed è una utopia futuribile come il comunismo o il comunitarismo universale. Ma il dato nazionale non significa automaticamente razzismo, protezionismo assoluto, autarchia totale o decrescita virtuosa agro-pastorale, anche se viene ovviamente così diffamato dai cantori (interessati) della cosiddetta irreversibilità della globalizzazione.

La globalizzazione è emendabile? Il futuro è ignoto, ma si può già rispondere: per ora, nelle attuali condizioni geopolitiche ed economiche, no. I quattro elementi intrecciati insieme (le sfide della globalizzazione, il giudizio dei mercati, il vincolo dei debiti, la sovranità delle agenzie di rating) ci fanno rispondere di no. E quindi bisognerebbe trarne le conseguenze.

9. Per ragioni che sarebbe lungo e noioso spiegare, mentre mi sono estraniato (e sono stato estraniato) dal dibattito italiano, sono invece attivo e presente nel dibattito greco (articoli, interviste, interventi, eccetera). Ora, tutti conoscono la situazione della Grecia, e di come il problema del debito e dell’eventuale uscita dall’euro sia in Grecia particolarmente acuto ed attuale, molto più che in Italia, dove è ancora per ora largamente “teorico” e virtuale. In Grecia è possibile studiare come in un laboratorio le conseguenze immediate del dibattito sul debito.

Il commissariamento della Grecia, che ha comportato la sua totale perdita di sovranità, ha comportato anche la completa distruzione di tutte le conquiste “socialdemocratiche” conseguite dopo la caduta della giunta dei colonnelli del 1974 (metapolitefsi), svuotando quasi quaranta anni di storia della Grecia moderna. Così come l’Italia dell’agosto 2011 è stata “commissionata” dal duopolio Draghi-Napolitano (un banchiere ed un ex-comunista riciclato), così la Grecia è stata commissionata da una “giunta economica” costituita da tutti partiti (destra, sinistra e centro) favorevoli alla sottomissione ai diktat della banca Centrale Europea e della Germania in primo luogo. A questo punto, come reagire?

Da quanto ho potuto capire partecipando al dibattito, ci sono stati fondamentalmente due modi. In primo luogo la rivendicazione di una autonomia nazionale è stato subito incorporata nel ribellismo ultra-comunista di estrema sinistra, che invita all’abbattimento del capitalismo. In secondo luogo, un modo più patriottico e nazionale, incarnato dal grande musicista Mikis Theodorakis e dal suo movimento, che non porta in piazza bandiere rosse ma soltanto bandiere azzurre greche, e lo fa per non dividere ideologicamente il popolo, che al di fuori di una ristretta oligarchia soffre indipendentemente dalle sue opinioni politiche, filosofiche o religiose.

Nonostante abbia amici soprattutto fra i “sinistri” greci, devo dire che a mio avviso la linea giusta è quella di Theodorakis. Il popolo non deve essere diviso ideologicamente, ma unito in nome della sovranità nazionale e di quella che Lordon e Sapir chiamerebbero deglobalizzazione. Cerchiamo di tirarne la conseguenze “italiane”. Anche in Grecia Theodorakis è stato accusato di essere “rosso-bruno”, di lasciare spazio alla destra, di essere ambiguo, eccetera. Accuse completamente false. Theodorakis ha le carte in regola, sia per la Resistenza (1941-1944), sia per la guerra civile (1946-1949), sia per il “lungo inverno” dell’autoritarismo successivo (1949-1967), sia per l’opposizione alla dittatura dei colonnelli (1967-1974). E’ solo la stupidità settaria che non ha le carte in regola, né in Grecia né in Italia.

10. Passiamo ora all’Italia. Se le considerazione fatte fino ad ora sul fallimento dei no global e degli altermondialisti, sulla deglobalizzazione (Lordon, Sapir), sulla corretta impostazione “nazionale” (non nazionalistica) di Theodorakis in Grecia, eccetera, sono corrette, che cosa fare in Italia?

In primo luogo, non lasciare spazio ai deliranti che dicono che “bisogna fare come in Tunisia”. Gli italiani se ne guarderebbero bene. Dalla Tunisia si scappa e si scapperà ancora a lungo, perché non c’è pane e non c’è lavoro (il che non significa che non fosse ovviamente sacrosanta la rivolta contro Ben Alì!). In questo momento una (non auspicabile) rivolta di tipo tunisino porterebbe soltanto alla fuga del puttaniere Berlusconi ed ad un governo degli “onesti”, e cioè dei funzionari del FMI e della BCE, che porterebbero a termine i programmi di liberalizzazione totale.

In secondo luogo, non bisogna in nessun modo attaccare al programma della deglobalizzazione (perché è ovvio che lo sarebbe sia l’uscita dall’euro che dal debito) i tradizionali (e deliranti) programmi di estrema sinistra, attraverso massimalistiche adunate di refrattari. Mi spiace scendere sui nominativi e sul personale, perché non sarebbe stata questa la mia intenzione. Ma che cosa ci fanno Rizzo, Ferrando e Babini dei CARC? I CARC vogliono la dittatura del proletariato. Ferrando vuole fare come in Tunisia, e lasciamo stare per carità di patria le sua posizioni sulla Libia e sulla Siria, in cui uno scontro tra masse divise da una guerra civile è stato magicamente trasformato in scontro tra le masse unite ed i dittatori burocratico-capitalisti. E Badiale? A mia conoscenza Badiale vuole la decrescita, programma del tutto legittimo, ma che è una fuga in avanti attaccare alla deglobalizzazione. Trattandosi di una sorta di “intergruppi” di estrema sinistra, il solo modo in cui molti vedono l’anticapitalismo, a mio avviso il fallimento è inevitabile. A breve scadenza, fallirebbe anche se ci fossero Gesù, Maometto, Marx e Lenin. Ma almeno porrebbe le basi per una lotta di lunga durata. Così avremo il solito intergruppi estremistico urlante.

A dire queste cose, si passa necessariamente per rompiscatole e guastafeste, ma in definitiva è meglio parlare che tacere

di Costanzo Preve

27 settembre 2011

Economisti pecoroni, politici imbroglioni




crisi-mondoPrima che sopraggiungesse la crisi economica, si dice la più dura dopo quella del ’29, eravamo circondati da migliaia di esperti del benessere perpetuo, da centinaia di vaticinatori della prosperità continua, da innumerevoli predicatori del capitalismo florido e progressivo che non conosceva confini. Arrivato il crollo finanziario gli stessi catechisti di questa realtà perennemente fertile e vigorosa si sono convertiti alla stregoneria borsistica, alla religione del default, allo spiritualismo monetario post-apocalittico. All’inizio era il verbo di Keynes o di Von Hayek, ora è il tempo di Nostradamus, nella sua versione liquido-catastrofistica alla Zygmunt Bauman o in quella gassosa-hegeliana alla Ulrich Beck. Per la verità c’è qualcuno che ha cercato di non saltare letteralmente di palo in frasca ma si è trovato ugualmente a commistionare stili e discipline per rimediare al suo mutismo di fronte all’imprevedibile (ma non troppo). Per aggirare l’inconveniente che ammutoliva e toglieva credito davanti alle platee bovine ci si è dati all’arte del dosaggio, tra scuole e pensatori, concetti e categorie, dottrine e teoresi. Meno Friedman e più Krugman, più statalismo e meno liberismo, maggiore sostegno alla domanda e più tasse per i ricchi, o viceversa, e la ricetta per l’avvenire veniva corretta almeno fino alla prossima previsione sbagliata. Ma in un caso come nell’altro si nota sempre più volentieri la presenza di un ingrediente che fa da amalgama al brodino economicistico, ovvero un fantomatico ritorno ad un’etica negli affari che, a quanto pare, in passato veniva snobbata e derisa (nonostante la filantropia di George Soros o di Bill Gates). Insomma, ci si arrampica sugli specchi della Storia e sui piani scivolosi dei cicli del capitale per ritornare in sella ai tempi che hanno disarcionato uomini e modelli dai loro piedistalli oracolari, ornati di biglietti verdi e di fama. Erano intellettuali strapagati e si ritrovano ad essere profeti altrettanto ben remunerati. Così mentre i titoli crollano, le fabbriche chiudono e i posti di lavoro saltano, cresce una nuova ideologia della parsimonia, della misura e del limite combinantesi con una morale globale che pone l’uomo al centro e la responsabilità tutto intorno. E dove questa non basta c’è anche la Marx renaissance, perché il barbuto di Treviri aveva tutto indovinato, dalla globalizzazione alla finanziarizzazione. Il denaro ci ha contaminati ma l’etica ci salverà. Questa la soluzione più efficace per superare la débâcle generale, almeno stando al pensiero dell’economista filosofo italiano Giovanni Reale. Per gettare il cuore oltre l’ostacolo del crac bisogna rigenerare l’uomo dalla testa ai piedi poiché “la finanza non basta alla finanza, l’economia non basta all’economia e la politica non basta alla politica”. Mentre, evidentemente, la confusione nel cervello di questi sedicenti professori basta a sé stessa. Dopo Sraffa e la sua produzione di merci a mezzo di merci, Toni Negri e la sua catena cognitiva che esita menti a mezzo di menti, il capitalismo trova la sua definitiva sublimazione nella generazione di chiacchiere a mezzo di chiacchiere. Ma è troppo facile dare addosso allo speculatore senza scrupoli quando poco fa il medesimo imbroglione era venerato e riverito in quanto si arricchiva e arricchiva chi gli stava accanto. Il fatto grave è che chi ora vuole fornire soluzioni per il domani non aveva capito nemmeno ieri il funzionamento della sfera finanziaria in regime capitalistico, ma non rinuncia analogamente a dire la sua a governi e cittadini per risalire la china. La prevalenza del capitale finanziario, come sostiene l’economista Gianfranco La Grassa, non è per niente “un aspetto o sintomo della decadenza del sistema. Non esiste il predominio dei rentier. Anche gli agenti dominanti dei settori finanziari non sono semplici percettori di “rendite”, bensì più spesso agenti del conflitto strategico. Gli apparati finanziari sono ineliminabili fino a quando non saranno superati i rapporti capitalistici. La finanza nasce dalla presenza del denaro, e quest’ultimo è un “riflesso speculare” della produzione di merci, il suo necessario “duplicato” monetario. La finanza è uno degli aspetti che assume necessariamente la competizione per la preminenza nella sfera economica, ed è strettamente connessa –in una società fondata sulla merce e dunque sull’investimento di capitali quale mezzo d’espansione della propria potenza– alla conflittualità tra gli strateghi del capitale, che si trovano ai vertici delle imprese come degli apparati della sfera politica e di quella ideologico-culturale”. In sostanza, dice La Grassa, la finanza produce mezzi per il conflitto strategico e quando essa si perde nel cielo della speculazione viene riportata sulla terra dagli agenti politici che utilizzano quegli stessi mezzi per approntare le loro azioni egemoniche, all’interno come all’esterno del Paese. Se stanno saltando regole e norme a livello economico è perché il sistema politico mondiale si sta riposizionando, stanno mutando i rapporti di forza tra le nazioni e si sta determinando un diverso ordine sulla scacchiera geopolitica. Non a caso la finanza produce più danni in Europa che non in America dove pure la crisi ha fatto il suo esordio. Quindi, gli aruspici delle caverne si mettano l’anima in pace, il capitalismo non crollerà sotto una montagna di cdo o di csa e non si riformerà placando i suoi animal spirits ma, piuttosto, diventerà un luogo sempre più rischioso e avvilente per i popoli che sono guidati da intellettuali pecoroni e da classi dirigenti inette e corrotte fino al midollo. Come in Europa. Come in Italia.

di Gianni Petrosillo

26 settembre 2011

Salta l'accordo transatlantico mentre il Titanic si inclina sempre più


La risposta delle banche centrali al crollo del sistema finanziario è stata di portata storica: la Federal Reserve ha deciso di affogare tutti i problemi con un'inondazione di dollari. Così, assieme alla BCE, la Bank of England e gli istituti di emissione di Giappone e Svizzera, la Fed ha annunciato il 15 settembre che sarà messa a disposizione per tutte le banche liquidità illimitata in dollari almeno fino al marzo 2012. Come ha commentato Helga Zepp-LaRouche, "le cinque banche centrali più importanti del mondo hanno deciso di applicare la stessa politica seguita dalla Reichsbank, la banca centrale della Germania di Weimar, nella seconda metà del 1923: espansione monetaria iperinflazionistica! Con la differenza che stavolta essa riguarda l'intera regione transatlantica, e non più un solo paese".

Come se non bastasse, il segretario al Tesoro USA Timothy Geithner si è presentato, senza invito, alla riunione dei ministri finanziari dell'UE in Polonia il 16 settembre, per pretendere che il fondo di salvataggio dell'Euro (EFSF) utilizzi la leva finanziaria per decuplicare il suo capitale e passare da 440 miliardi a 4,4 mila miliardi di euro, da usare per salvare le banche. Il modello di questa proposta dovrebbe essere il TALF (Term Asset-backed Securities Loans Facility), il fondo istituito nel 2008 dal Tesoro e dalla Fed, che ufficialmente ha elargito mille miliardi di dollari in prestiti per rianimare il mercato delle cartolarizzazioni immobiliari, ma probabilmente molto di più in realtà, secondo Neil Barofsky, ispettore generale di un altro programma di salvataggio, il TARP.

Giudicando dalle reazioni del ministro del Tesoro austriaco Maria Fekter e dal capo dell'Eurogruppo Jean-Claude Junker, la discussione tra Geithner e le sue controparti europee, che hanno respinto la proposta, deve essere stata piuttosto animata. Tanto che Junker (Lussemburgo), riferendosi agli Stati Uniti, ha dichiarato che l'Eurogruppo non discute di proposte con "stati non membri". Si sa, anche le pulci prendono il raffreddore. Che lo scontro sia stato favorito anche dall'ego ipertrofico dei protagonisti è pacifico. Resta il fatto che dopo il fallimento di Geithner non c'è accordo transatlantico e l'unica sana politica sul tavolo è la proposta "Glass-Steagall" di Lyndon LaRouche.

by (MoviSol)

24 settembre 2011

La fusione esplosiva della finanza globale


debitipilaGli analisti economici del Global Europe Anticipation Bulletin (GEAB) ci hanno abituato, un bollettino dopo l'altro, a punti di vista originali sulla Grande Crisi. Non fa eccezione il recente Bollettino n. 57, intitolato "Crisi sistemica globale - Quarto trimestre 2011: fusione esplosiva delle attività finanziarie globali", tradotto da informazionescorretta.blogspot.com. Al di là dell'effettiva capacità di predizione, sono interessanti le fonti e i collegamenti richiamati.

Come anticipato da LEAP/E2020 fin dal Novembre del 2010, e spesso ripetuto fino a Giugno del 2011, la seconda metà del 2011 è iniziata con un’improvvisa e più grande ricaduta nella crisi. Quasi 10.000 dei 15.000 miliardi di dollari di asset fantasma annunciati nel GEAB N. 56, sono già andati in fumo.

Il resto (e probabilmente molto di più) sparirà nel quarto trimestre del 2011, che sarà segnato da ciò che il nostro team chiama "fusione esplosiva delle attività finanziarie globali".

I due maggiori centri finanziari mondiali, Wall Street a New York e la City a Londra, saranno i "reattori preferiti" di questa fusione.

E, come predetto da LEAP/E2020 per parecchi mesi, è proprio la soluzione ai problemi del debito pubblico in alcuni paesi di Eurolandia che consentirà a questa reazione di raggiungere la massa critica, dopo la quale nulla sarà più controllabile; ma il carico di carburante che alimenterà la reazione e la trasformerà in un vero e proprio shock globale (1) si trova negli Stati Uniti. Dal Luglio del 2011 abbiamo solo iniziato il processo che ha portato a questa situazione: il peggio è davanti a noi, ed è molto vicino!

In questo numero abbiamo scelto di affrontare, molto direttamente, la grande manipolazione organizzata intorno alla crisi greca ed all'Euro (2), nel mentre descriviamo il suo legame diretto con il processo di fusione esplosiva delle attività finanziarie in tutto il mondo.

Sempre in questo numero, LEAP/E2020 presenta le sue previsioni per il mercato dell'oro nel periodo 2012-2014, così come l’analisi sul neo-protezionismo che sarà introdotto a partire dalla fine del 2012. In aggiunta alle nostre raccomandazioni mensili sulla Svizzera ed il Franco svizzero, sulle valute, sull’immobiliare e sui mercati finanziari, presentiamo anche la nostra consulenza strategica per i leaders del G20, a meno di due mesi dal vertice del G20 che si terrà a Cannes.


Indice della produzione economica USA (1974-2011) (ombreggiatura grigia: recessione; linea tratteggiata blu: allarme recessione; linea blu: indice della produzione economica e, in rosso, previsione per il 3° e 4° trimestre 2011) - Fonte: Streetalk/Mauldin, 08/2011


Crisi greca ed Euro: dettaglio dell’enorme manipolazione in corso

Ma torniamo alla Grecia ed a ciò che comincia ad essere una "ripetitiva vecchia storia” (3) che, come abbiamo già spiegato, torna sul palcoscenico dei media ogni volta che Washington e Londra sono in grave difficoltà (4).

Inoltre, ed in coincidenza, l'Estate è stata disastrosa per gli Stati Uniti, che ora sono in recessione (5); in effetti si è visto il taglio del loro rating (un evento ritenuto impensabile, solo sei mesi fa, da parte di tutti gli "esperti") e si è resa evidente, ad un mondo stupito, la diffusa paralisi delle loro politiche di sistema (6), pur essendo tutti gli altri incapaci di mettere in atto qualsiasi seria misura per ridurre i loro rispettivi deficit (7).

Allo stesso tempo, il Regno Unito sta sprofondando nella depressione (8), con scontri di rara violenza, una politica di austerità che non riesce a controllare il deficit di bilancio (9), mentre precipita il paese in una crisi sociale senza precedenti (10), con una coalizione di governo che non sa nemmeno perché governa insieme, con sullo sfondo lo scandalo della collusione tra i leaders politici e l'impero di Murdoch.

Nessun dubbio, in un tale contesto, che tutto era maturo per un rilancio dei media sulla crisi greca e sul suo corollario, la fine dell’Euro!

Se LEAP/E2020 dovesse riassumere lo scenario nello "stile Hollywood o Fox News" (11), avremmo la seguente trama: "Mentre l’iceberg Stati Uniti sta speronando il Titanic, l'equipaggio guida i passeggeri alla caccia di pericolosi terroristi greci che potrebbero avere nascosto delle bombe a bordo!".

In termini di propaganda, è una ricetta ben nota: si tratta di un diversivo per permettere, innanzitutto, il salvataggio dei passeggeri che si vogliono salvare (l'élite informata, consapevole che non ci sono terroristi greci a bordo), poiché non tutti possono essere salvati, e poi nascondere la vera natura del problema per tutto il tempo possibile, per evitare una rivolta a bordo (inclusi alcuni membri dell'equipaggio, che credono sinceramente che ci siano davvero delle bombe a bordo).

Concentrandosi sui retroscena, dobbiamo sottolineare che i "promotori" di una crisi greca, presentata come fatale per l'Euro, hanno ripetuto il concetto per quasi due anni, senza che nessuna delle loro previsioni si sia avverata (12 ).

I fatti sono chiari: nonostante il clamore dei media, che avrebbero visto la fuoriuscita di molte economie e delle loro valute (13), l'Euro è stabile, Eurolandia è cresciuta a passi da gigante in termini d’integrazione (14), e si appresta ad irrompere in modo ancor più spettacolare verso nuovi territori (15); i paesi emergenti continuano la riconversione dei T-bonds USA e comprano il debito di Eurolandia, mentre l'uscita della Grecia dall’Eurozona è ancora completamente al di là di qualsiasi considerazione, se non negli articoli dei media anglosassoni, i cui giornalisti non hanno in generale alcuna idea delle funzioni dell'Unione Europea, ed ancor meno delle forti tendenze che la determinano.



Confronto dei dati economici Eurolandia-USA (2010) (debito dello Stato, disoccupazione, crescita del PIL, saldo di conto corrente) - Fonte: Spiegel, 07/2011

Ora, il nostro team non può far nulla per coloro che vogliono continuare a perdere soldi scommettendo sul crollo dell’Euro (16), sulla parità Euro-Dollaro, o sull’uscita da Eurolandia dalla Grecia (17).

Queste persone sono le stesse che hanno speso molti soldi per proteggersi dalla cosiddetta "epidemia globale H1N1" che esperti, politici e media di ogni tipo hanno "venduto" per mesi alle persone di tutto il mondo, e che si è rivelata essere un’enorme farsa alimentata in parte da aziende farmaceutiche e dalle cricche di esperti ai loro ordini (18).

Il resto, come sempre, è autoalimentato dalla mancanza di pensiero (19), dal sensazionalismo e dal conformismo dei media tradizionali.

Nel caso della crisi Euro-Grecia, lo scenario è similare, con Wall Street e City nel ruolo delle aziende farmaceutiche (20).

Quando Wall Street e la City entrano nel panico davanti alle soluzioni ideate per Eurolandia

Infatti, ricordiamo che ciò che spaventa Wall Street e la City sono le lezioni che i leaders ed il popolo di Eurolandia hanno appreso da questi tre anni di crisi e dalle soluzioni inefficaci che sono state applicate.

La natura di Eurolandia crea uno spazio di discussione senza equivalenti nella capacità d’intendere dell’elite e dell’opinione pubblica americana e britannica. Ed è questo che disturba Wall Street e la City, che cercano sistematicamente di eliminare questo spazio di discussione, sia cercando di creare il panico annunciando la fine dell’Euro, per esempio, o riducendo questo spazio ad una mera perdita di tempo, evidenziando l’inefficacia di Eurolandia, la sua incapacità di risolvere la crisi.

Il che è un peccato data la paralisi prevalente a Washington!

Tuttavia, è proprio questo spazio di discussione che permette agli Eurolanders di procedere lungo la strada che porta alla soluzione duratura della crisi attuale.

Questo spazio di discussione è parte integrante della costruzione europea, dove visioni opposte sia sui metodi che sulle soluzioni si confrontano, prima di arrivare ad un compromesso finale (come dimostrato dalle importanti decisioni prese nel Maggio del 2010).

Così si allarga il dibattito a tutta una serie di partecipanti, provenienti da 17 paesi diversi (21), da diverse istituzioni comuni, e così il dibattito si radica nelle discussioni di diciassette opinioni pubbliche.

Ma è dallo scontro di idee che emerge la luce: riguardo lo scontro brutale delle idee, il filosofo greco Eraclito diceva, 2500 anni fa: "di alcuni fa degli dei, di alcuni degli uomini; di alcuni degli schiavi, degli altri degli uomini liberi". Ma i cittadini di Eurolandia si rifiutano di lasciare che questa crisi li trasformi in schiavi, e per questo il dibattito attuale in Europa è necessario ed utile.

In tre anni, tra il 2008 ed il 2011, essi hanno fatto due cose essenziali per il futuro:

- hanno rilanciato l'integrazione europea intorno ad Eurolandia, e d'ora in poi l’hanno posta su un percorso accelerato. Il nostro team si aspetta ora una forte ripresa della politica europea, a partire dalla fine del 2012 (simile al periodo 1984-1985), tra cui un trattato d’integrazione politica, che sarà sottoposto a referendum a livello Eurolandia per il 2015 (22)

- hanno permesso l'emersione graduale di due idee semplici, ma molto forti: salvare le banche private non è di alcuna utilità per risolvere la crisi, ed è necessario che i mercati (vale a dire essenzialmente i grandi operatori finanziari di Wall Street e della City) si assumano pienamente i loro rischi, senza alcuna ulteriore garanzia da parte dello Stato. Oggi, queste due idee sono al centro del dibattito in Eurolandia, sia nell'opinione pubblica che nell'elite ... e guadagnano terreno ogni giorno di più.

Questo è ciò che provoca paura a Wall Street, nella City e tra i maggiori operatori finanziari privati.

Questo è lo stoppino, quasi del tutto bruciato, che attiverà la fusione esplosiva delle attività finanziarie globali nel quarto trimestre (nel contesto prevalente della recessione degli Stati Uniti e della sua incapacità di ridurre il deficit pubblico).

Se i mercati cominciano a prevedere un calo del 50% dei titoli greci e spagnoli, è perché essi hanno veramente intuito la direzione che gli eventi stanno prendendo in Eurolandia.

Per LEAP/E2020 non c'è dubbio che le menti siano mature, per la maggior parte di Eurolandia, a che ai creditori privati ​​venga chiesto di pagare il 50%, o anche di più, per poter risolvere i problemi del debito pubblico.

Questo sarà senza dubbio un problema per le banche europee, ma riuscirà senz’altro a proteggere i depositanti. Gli azionisti dovranno assumersi la piena responsabilità: il che, poi, è veramente il fondamento del capitalismo!

Wall Street e la City, ed i loro intermediari nei media, vogliono disperatamente che questo dibattito non abbia luogo, che si concluda nel panico, in modo che i governi siano costretti ad ascoltare i loro "esperti", che li assicurino che l'unica via sia quella di continuare a ricapitalizzare le banche, di inondarle di liquidità (23) ... come per Washington e Londra.

Due paesi nei quali queste stesse istituzioni finanziarie regnano sovrane nel governo.

Tra l'altro, la battaglia infuria intorno alla BCE, come abbiamo accennato in un GEAB precedente: la nomina di Mario Draghi, un ex della Goldman Sachs, le dimissioni del Jurgend Stark (24) ... derivano da questi tentativi di mettere Francoforte sotto la stessa tutela di Londra e Washington. Ma sono condannati fin dall'inizio, in virtù di questo forum aperto, strutturalmente inscritto nella costruzione europea, dove le discussioni sono alimentate dalle politiche fallimentari del 2008, e dalla crescente irruzione dell’opinione pubblica nel dibattito.

"Chi va piano va sano e va lontano" (25), come dicono gli italiani.

Questa crisi è di proporzioni storiche, come abbiamo detto fin dal Febbraio del 2006.

I passi da intraprendere per attraversarla nel miglior modo possibile e per uscirne più forti (uomini liberi e non schiavi, per citare Eraclito), richiedono quindi una discussione seria e profonda (26) ... e quindi del tempo.

Ed il tempo impiegato dagli Eurolanders, è denaro perso per i mercati ... il che spiega le loro paure. LEAP/E2020 pensa, naturalmente, che è anche necessario agire, e noi abbiamo fatto notare dal Maggio 2010 che le azioni intraprese da Eurolandia sono state di una grandezza senza precedenti nella recente storia europea. E noi crediamo che sia necessario del tempo prima di attuare il secondo pacchetto di aiuti alla Grecia. Per il resto, sappiamo anche che i leaders attuali sono per lo più "al limite", e che sarà necessario attendere fino a metà del 2012 per assistere ad un nuovo, vigoroso impulso all’integrazione di Eurolandia (27).

Nel frattempo, con 340 miliardi di Dollari di rifinanziamento da trovare nel 2012 (28), le banche europee ed americane continueranno ad uccidersi a vicenda, cercando di mantenere la situazione pre-crisi, che ha dato loro l’illimitato sostegno delle Banca Centrali. Per quanto riguarda Eurolandia, esse potrebbero avere una brutta sorpresa.


Confronto dell’indice della Fed di Philadelphia e della produzione industriale USA (2002-2011) - Fonti: Philadelphia Fed, MarketWatch, 08/2011

Il quarto trimestre 2011 segna la fine dei due paradigmi-chiave del mondo pre-crisi.

La fusione esplosiva del quarto trimestre sarà così il risultato diretto di un incontro tra due nuove realtà che contraddicono due condizioni di base dell'esistenza del mondo pre-crisi:

  • uno, nato in Europa, consiste oggi nel rifiutare l'idea che gli ​​operatori finanziari privati, di cui Wall Street e City sono l’incarnazione per eccellenza, non siano pienamente responsabili dei rischi che corrono. Eppure, per decenni, era questa l'idea prevalente che ha alimentato l'enorme crescita dell'economia finanziaria: "testa io vinco, croce tu mi salvi". Anche l'esistenza delle grandi banche occidentali e delle compagnie di assicurazione è diventata intrinsecamente legata a questa certezza. I bilanci dei maggiori operatori di Wall Street e della City (e di molte grandi banche giapponesi e di Eurolandia) non sono in grado di resistere a questo tremendo cambiamento di paradigma (29).
  • l'altro, generato negli Stati Uniti, è la fine del motore americano come propulsore della crescita globale (30), nel contesto della completa paralisi politica del paese che, di fatto, chiuderà il 2011 come la Grecia ha chiuso il 2009: il mondo scoprirà a poco a poco che il paese ha un debito che non può più sostenere, che i suoi creditori non sono più disposti a prestare denaro, che la sua economia non è più in grado di far fronte ad una significativa austerità senza precipitare in una profonda depressione (31). In un certo senso, l'analogia può essere ulteriormente portata avanti: proprio come l'Unione Europea e le banche che, dal 1982 al 2009, hanno liberamente concesso prestiti alla Grecia ... e senza essere pressanti riguardo i conti, analogamente nello stesso periodo il mondo ha liberamente concesso prestiti agli Stati Uniti, credendo alle promesse dei suoi leaders riguardo lo stato dell'economia e delle finanze del paese.


Ed in entrambi i casi il denaro è stato sprecato nel boom immobiliare senza futuro, in politiche clientelari stravaganti (negli Stati Uniti clientelismo vuol dire Wall Street, industria petrolifera, fornitori di servizi sanitari) e nelle spese militari improduttive.

Ed in entrambi i casi, si scopre che pochi trimestri non possono riparare decenni di incoscienza.


La «tempesta perfetta» politico-finanziaria del Novembre 2011

Così, nel Novembre 2011, gli Stati Uniti si preparano ad una "tempesta perfetta" politico-finanziaria, che farà sembrare i problemi estivi una leggera brezza marina.

I sei elementi della futura crisi stanno già arrivando tutti insieme (32):

1 - il "super comitato" (33) responsabile delle decisioni sui tagli di bilancio sui quali non c'era accordo quest'Estate, si rivelerà incapace di risolvere le tensioni tra le due parti (34).

2 - i tagli di bilancio automatici da realizzare in caso di mancato accordo, si tradurranno in una grave crisi politica a Washington, ed aumenteranno le tensioni, soprattutto con i militari ed i destinatari delle prestazioni sociali. Allo stesso tempo questa "funzione automatica" (una vera e propria abdicazione al potere decisionale da parte del Congresso e della presidenza degli Stati Uniti) genera gravi perturbazioni nel funzionamento del sistema statale.

3 - le altre agenzie di rating si uniranno a S&P nel declassamento del rating degli Stati Uniti e la riconversione dei T-bonds USA accelererà, con la consapevolezza che gli Stati Uniti ora dipendono principalmente dal finanziamento a breve termine (35).

4 - l'incapacità della Fed di fare qualcosa, se non parlare e manipolare il mercato azionario e quello dei prezzi della benzina negli Stati Uniti (36), rende ora qualsiasi "salvataggio" last-minute impossibile

5 - nei prossimi tre mesi il deficit pubblico degli Stati Uniti aumenterà drammaticamente visto che le entrate fiscali sono già in procinto di crollare sotto l'impatto della ricaduta in recessione (37). In altre parole, l’aumentato tetto del debito pubblico votato poche settimane fa, sarà raggiunto ben prima delle elezioni di Novembre 2012 (38) ... e questa informazione si diffonderà a macchia d'olio nel quarto trimestre del 2011 ... rafforzando i timori di tutti gli investitori di vedere gli Stati Uniti seguire l'esempio di Eurolandia con la Grecia, forzando i suoi creditori a perdite pesanti.

6 - Il nuovo piano di Barack Obama per la lotta alla disoccupazione non avrà alcun effetto significativo. Da un lato esso non è all'altezza della sfida e, per questo motivo, non può chiamare a raccolta le energie del paese e, dall'altro, sarà fatto a pezzi dai repubblicani che manterranno solo i tagli fiscali ... L'unico risultato sarà quello di aumentare il debito del paese ancora di più (39).




I collegamenti del super-comitato per il debito USA con i lobbisti di Washington - Fonte: Washington Post, 09/2011


Così, per LEAP/E2020, è una combinazione di tutti questi elementi che, alla fine del 2011, attiverà questo importante shock finanziario ... una sorta di shock finale che spingerà il pianeta fuori dal mondo pre-crisi per sempre.

Ma il mondo post-crisi è ancora da costruire, perché sono molti i futuri possibili, a partire dal 2012. Come Franck Biancheri ha anticipato nel suo libro, il periodo 2012-2016 è un crocevia storico. Bisogna cercare di non sbagliare il percorso (40)!

di Global Europe Anticipation Bulletin

Note:

(1) Per ora, come abbiamo detto per diversi trimestri, l'isteria che circonda la crisi finanziaria greca riguarda soprattutto il campo della propaganda e della manipolazione. Per rendersene conto è sufficiente rilevare che, fuori della Grecia, nessun cittadino di Eurolandia si renderebbe conto che c'è una crisi in Grecia, se i media non ne facessero regolarmente oggetto nei loro titoli. Mentre negli Stati Uniti le devastazioni quotidiane della crisi non hanno bisogno della copertura mediatica per farsi sentire pesantemente dalle decine di milioni di americani.
(2) Visto che si cerca di confondere e manipolare la percezione della realtà mentre, al contrario, il nostro lavoro cerca di rivelare quella stessa realtà.
(3) Ogni 3 o 4 mesi, abbiamo un "puff" sulla crisi greca/fine dell'euro, che svanisce rapidamente esattamente così come è arrivata, quando tutti scoprono che non succede niente altro che la continuazione del tortuoso processo decisionale di Eurolandia riguardo la lenta uscita della Grecia dal buco nero del bilancio. I “grilletti” variano, naturalmente, altrimenti non avrebbero più funzionato con il pubblico: un trimestre si userà "la rivolta dei Greci contro l’austerità "per spiegare che tutto andrà in fiamme ... compreso l'euro (la sequenza che porta da Atene a tutta Eurolandia è sempre molto vaga e semplicistica, ma non importa, perché i giornalisti non fanno domande), quello successivo, come questa estate, per esempio, si userà un crollo del mercato azionario per identificare il colpevole ... la Grecia ... mille volte più importante, naturalmente, di eventi insignificanti come l'entrata degli Stati Uniti in recessione e il downgrade del credito degli Stati Uniti! E così via. Gli dei greci sono decisamente ancora vivi e molto potenti per far si che il mondo tremi in questo modo!
(4) Si guardi questo estratto dal GEAB N° 51
(5) Fonti: Market Watch, 2011/09/14, New York Times, 2011/09/13, USA Today, 2011/09/07, La Tribune, 2011/09/05, Mish’s, 2011/08/29; USA Today, 2011/08/29; CNBC, 2011/06/17
(6) Che non ha sorpreso i lettori GEAB, in quanto nel N° 49 del Novembre 2010 avevamo previsto "la diffusa paralisi politica e l'ingresso degli Stati Uniti nell’austerità nel 2011".
(7) Per rilassarsi su un argomento serio, date un'occhiata a questa clip rap di un tema molto politico "Alza il tetto del debito". Fonte: Telegraph, 2011/07/29
(8) Fonte: Telegraph, 2011/08/31
(9) Così, sommando debito privato e debito pubblico, il Regno Unito è il paese più indebitato del mondo. Fonte: Arab Money, 2011/08/28
(10) Le organizzazioni caritative ed umanitarie del Paese stanno attualmente lottando per la propria sopravvivenza economica, a causa della mancanza di donazioni e sovvenzioni. Fonte: The Guardian, 2011/08/02.
(11) I due trattano le notizie più o meno allo stesso modo.
(12) Anche la Svizzera, da ora in poi, "ancorerà" la propria valuta all'euro – il che dovrebbe portare gli euroscettici a pensare come in questo titolo dello Spiegel, il 2011/09/07.
(13) Immaginate lo stato del dollaro o della sterlina, se i media e gli esperti avessero dedicato la stessa energia a descrivere e fantasticare su tutti i problemi degli Stati Uniti o del Regno Unito. Se, per esempio, si traessero le stesse conclusioni riguardo la Gran Bretagna, in occasione degli scontri di questa estate, come quelle tratte per le manifestazioni greche, davvero ragionevoli (rispetto alla violenza inglese).
(14) Così, l'UE ha significativamente aumentato il budget per la ricerca, mentre la “stretta” è aumentata negli Stati Uniti. Fonte: Nature, 2011/07/05.
(15) Anche il Wall Street Journal del 2011/09/12, sospettato di acuta Eurofilia, riconosce che Eurolandia sta per passare ad una nuova fase d’integrazione, attraverso un nuovo trattato. Lo Spiegel del 2011/02/09 conferma questa tendenza.
(16) John Tammy ha chiaramente spiegato nel Real Clear Markets del 25/08/2011: «Il problema dell'Europa non è in realtà l'euro».
(17) Ribadiamo qui che la metodologia dell'anticipazione politica, su cui si basa il lavoro di LEAP/E2020, non si permette il lusso di confondere i suoi sogni (o incubi) con la realtà (l’approccio ideologico per eccellenza), ma è un processo decisionale saldamente radicato nel mondo reale. E consigliamo ai lettori di tenere in mente un test molto semplice per distinguere tra i due approcci, e quindi determinare quale grado di fiducia si può dare ad un'analisi sull'evoluzione della crisi: le analisi del passato hanno regolarmente permesso le previsioni sugli sviluppi della crisi in modo preciso? O realmente, al contrario, poco o nulla di quanto annunciato si è avverato? Tocca a voi, quindi, scegliere quello che si desidera utilizzare nel prendere decisioni, ma almeno lo farete consapevolmente!
(18) Per quanto riguarda l'attuale crisi, LEAP/E2020 ritiene che la crescente consapevolezza, tra i leader di Eurolandia e l'opinione pubblica, del fatto che ci sia, quanto meno, un’operazione di propaganda proveniente da oltre Manica e dall'Atlantico destinata ad “uccidere la fiducia nell'area euro", si tradurrà in una profonda revisione della credibilità dei giornalisti e degli esperti che si occupano della crisi, nel prossimo anno. Ed Eurolandia che credeva, fino a poco tempo fa, di trovarsi ancora in piena fratellanza con Stati Uniti e Regno Unito, sta trovando che le cose siano molto più complicate. Nel 2012 noi pensiamo, quindi, che alcuni media di Eurolandia cominceranno a mettere in discussione l'oggettività ed anche l'onestà di quei giornalisti, addestrati quasi esclusivamente negli Stati Uniti o nel Regno Unito e/o nei principali media anglosassoni, in prima fila nell'attacco contro l'Euro. France24, dove la situazione sopra descritta è molto comune, ha appena fornito un ottimo esempio. Intervistando il Presidente del MEDEF riguardo le sue affermazioni circa un complotto americano nei confronti dell'euro (France24, 2011/05/09), la giornalista Stéphanie Antoine lanciò dei dubbi, senza alcuna argomentazione, riguardo la posizione di Laurence Parisot, con l'aggiunta di eloquenti espressioni per dimostrare che non credeva ad una sola parola di quello che egli diceva. Stéphanie Antoine, CV su Wikipediaspeaks: ha lavorato a New York e Londra per la ABC, CNBC e Bloomberg. Dal momento che Laurence Parisot accusava i media statunitensi, in particolare, meglio si comprende l'obiettività della giornalista su questo argomento. Per il nostro team è chiaro che i giornalisti e gli esperti con questo tipo di background, principalmente statunitense ed inglese, saranno progressivamente messi da parte durante il prossimo anno in tutti i principali media di Eurolandia. Anche in questo settore il mondo pre-crisi è in corso di sparizione.
(19) C’è un buon esempio nel colloquio con l'ex ministro delle finanze tedesco, Peer Steinbrück, fatto da due giornalisti dello Spiegel il 2011/09/12. Il primo scambio di battute è significativo: i giornalisti dicono che l'euro non può essere salvato. L'ex ministro chiede loro da dove traggono questa "verità", ed i giornalisti si giustificano ripetendo il cliché sparso dagli euroscettici per anni: "perché, in realtà, non può funzionare a causa delle nostre economie che sono diverse". Due sono gli insegnamenti da trarre da questo esempio: la posizione stessa dei giornalisti intesi come "esperti" ... è infatti il politico che ha intervistato loro per porre domande circa la legittimità delle loro richieste; ed, in fatto di competenza, hanno solo ripetuto la retorica, senza alcuna analisi, del soggetto con cui sono chiamati ad avere a che fare. Si tratta, purtroppo, della situazione che ha prevalso per mesi sui media europei riguardo questo tema. In difesa dei giornalisti, diciamo che sono vittime della incapacità degli attuali leaders di Eurolandia di proporre una visione di lungo termine. Questo semplice fatto dissiperebbe la "nebbia di guerra" in un secondo. Inoltre, i commenti di Peer Steinbrück sono molto interessanti e descrivono, secondo l’ottica di LEAP/E2020, il processo dei prossimi mesi molto accuratamente.
(20) E gli euroscettici di destra e di sinistra, che lavorano attivamente sul continente europeo, credono di aver trovato la giustificazione per le loro analisi, anche se sono smentiti quotidianamente dai fatti e dal progresso dell'integrazione europea. Sarebbe più saggio concentrarsi su come ottenere una governance più democratica di Eurolandia, piuttosto che sognare la "torta in cielo", che è già stata consegnata all'oblio della storia.
(21) Si legga l'articolo molto interessante preso dal Vanguardia di PressEurop del 2011/09/08, riguardo due diversi modi di essere in crisi, con la messa a confronto di Italia e Spagna.
(22) Entro la fine del 2011 torneremo con una previsione dettagliata sui cambiamenti di Eurolandia, fino all'orizzonte del 2015, ma una cosa è certa: Londra non può più opporsi, e vedremo nelle prossime settimane che il Regno Unito può solo cercare di negoziare alcuni benefici, in cambio della sua inevitabile approvazione ad una maggiore integrazione di Eurolandia. Inoltre, Londra non può permettersi la minima scossa economica aggiuntiva per non vedere il crollo dell'economia britannica. Fonte: Telegraph, 2011/09/15
(23) La decisione delle banche centrali occidentali del 2011/09/15 di inondare ancora una volta di dollari le grandi banche, avrà un effetto più duraturo rispetto a prima. Ciò conferma solo lo stato molto fragile di tutte queste istituzioni finanziarie ... supposto che avessero superato lo "stress test" che garantisce la loro solidità. Per il resto, questa decisione spinge le banche dell'Eurozona a prestare in Euro: il 2012 dovrebbe vedere questa situazione stabilizzarsi rapidamente. Fonti: MarketWatch, 2011/09/15, Les Echos, 2011/09/12
(24) Ma non solo: con Weber e Stark, stiamo anche assistendo alla fine della generazione dei "Bundesbankers" della FRG. La loro visione delle cose era certamente appropriata per la gestione della Banca Centrale Tedesca Occidentale, ma le sfide della BCE per i prossimi anni sono di un ordine diverso. La generazione "Erasmus" dei banchieri centrali deve ora prendere il loro posto. E qualunque sia la sua fede, questa generazione conosce l'importanza strategica del dibattito tra gli europei, prima di intraprendere importanti riforme. Tra le urgenze della crisi ed il necessario sostanziale dibattito tra gli europei, è il momento di sostituire le elites francesi e tedesche, in particolare, dal momento che sono al centro del processo: non più certezze "scientifiche", per gli esperti/politici tedeschi, e la fine della lucida arroganza dei tecnocrati/decisori francesi. Su entrambi i lati, abbiamo bisogno di persone che sappiano lavorare con il team di Eurolandia: una qualità che tutti gli Eurolanders dovrebbero tenere a mente prima di entusiasmarsi per i loro prossimi leaders.
(25) «La lentezza vince la gara»
(26) Questo è il grande sviluppo, in Germania, del dibattito del 2011 sulla crisi: fine della delusione del 2010 riguardo il ritorno al marco, in Germania vi è ora un vero e serio dibattito sul modo migliore di garantire il successo al prossimo passo dell’integrazione di Eurolandia. E' un peccato che un tale dibattito non esista in Francia. Sarà necessario attendere l'elezione del candidato socialista, a maggio del 2012, per passare a questa fase. A quell’epoca, i due paesi potranno ancora assumere un vero ruolo di guida. Attualmente stanno giocando prevalentemente in posizione difensiva: è necessario, ma non sufficiente per il 2012.
(27) Detto questo, gli Eurobonds sono ora a portata di mano. Fonte: MarketWatch, 2011/08/30
(28) Fonte: International Financing Review, 2011/02/09
(29) Dall’estate del 2011 i maltrattati hedge funds se ne stanno già andando. Fonte: Les Echos, 2011/09/01
(30) Vale la pena leggere questo interessante articolo pubblicato sul The Nation del 2011/07/19, che descrive il passaggio degli Stati Uniti dalla prosperità di massa alla lunga recessione nel giro di 50 anni.
(31) Le famiglie americane hanno persino più debiti del loro Governo! Fonti: MSNBC, 2011/09/09, AlJazeera, 2011/09/04, Yahoo Finance, 2011/07/28
(32) Nel prossimo numero del GEAB, il nostro team espanderà le sue previsioni sugli Stati Uniti fino all'orizzonte del 2015.
(33) Fonte: Washington Post, 2011/09/14, La Collina, 2011/09/08
(34) Fonte: Washington Post, 2011/09/14
(35) Fonte: Financial Post, 2011/09/01, CNBC, 2011/08/08
(36) Un numero crescente di domande sorge sulla strana differenza tra il prezzo del greggio negli Stati Uniti e nel mercato di Londra. Anche il Financial Times ha aderito a questo partito. Ed il dito tende a puntare verso uno dei molti intermediari della Fed, che avrebbe mantenuto il prezzo di riferimento Usa artificialmente basso, per evitare un aumento del prezzo della benzina alla pompa. Le prossime settimane dovrebbero svelare ulteriori prove su questa storia intrigante, ma indicativa del clima di sospetto nei confronti delle istituzioni federali, che sono ora sotto controllo negli Stati Uniti. Fonte: Le Monde, 2011/09/06
(37) Fonte: Zerohedge, 2011/09/02
(38) Fonte: Zerohedge, 2011/08/08
(39) Fonti: USAToday, 2011/09/09
(40) Per inciso, questo sarà uno dei temi affrontati nel corso della conferenza «Quali relazioni transatlantiche dopo la crisi globale?» che si terrà a Houston il 3 e 4 ottobre prossimo con, soprattutto, il coinvolgimento di due leaders di LEAP/E2020, Franck Biancheri e Harald Greib

23 settembre 2011

Banche, la soluzione c'è, ma le lobby...

Il declassamento delle banche italiane non mi stupisce: era nell’aria da tempo.Se aggiungete un’altra notizia che in Italia ha avuto poco spazio ma che è molto importante, secondo cui Bank of China ha sospeso una serie di ordinarie transazioni in valute sul mercato cinese con alcune banche europee in seguito ai crescenti timori sui rischi finanziari dell’Europa (le banche sono BNP Paribas, Société Générale e UBS), il quadro è chiaro: siamo di nuovo daccapo. Tra il 2008 e il 2010 il governo americano spese oltre 4mila miliardi di dollari per salvare le banche, come ha ricordatorecentemente Maurizio Blondet su Effegieffe; soldi che hanno avuto un effetto tampone, ma non hanno interrotto le pessime consuetudini delle grandi banche.

La soluzione c’era, come ha ricordato ieri il leader dell’Udc svizzera Christoph Blocher, in un’intervista alCorriere del Ticino (la testata principale del gruppo TImedia che dirigo da qualche settimana): “Separare l’investment banking delle nostre grandi banche all’estero dal­la gestione patrimoniale e dai prestiti ipotecari e altre attività che si svolgo­no prevalentemente in Svizzera“. Blocher si riferisce in particolare all’Ubs, che ora è di nuovo nei guai, ma il principio vale per tutte le banche, anche per quelle italiane.

Fino alla fine degli anni Novanta negli Usa, le attività di Investment Banking erano nettamente separate da quelle cosiddette retail; con separazione dei rischi e delle responsabilità. Oltre dieci anni fa la lobby delle banche prevalse (con il decisivo appoggio di Bill Clinton) e da allora il mito della banca globale si è diffuso.

Oggi le banche sono troppo grandi per fallire e dunque possono ricattare il mondo. Tornare a quella norma rappresenta la soluzione, che naturalmente nessun governo e tantomeno nessuna organizzazione internazionale tipo Fmi, Banca Mondiale, Financial StabilityBoard riesce e nemmeno tenta di applicare, per ragioni che potete facilmente intuire.

Finchè non compieremo questo passo rimarremo per sempre in ostaggio delle banche e di un sistema che ci porterà alla malora.

di Marcello Foa

Debito creato solo per drogare la crescita suicida


Meno e meglio: è l’unica soluzione, per uscire dalla spirale del debito. Che non è un incidente di percorso, tutt’altro: il debito è stato incoraggiato a tavolino per indurre i consumatori a comprare merci che non si sarebbero potuti permettere. Obiettivo: smaltire la marea di nuove merci prodotte a ritmo vorticoso da tecnologie industriali sempre più avanzate e diffuse in tutto il mondo grazie alla globalizzazione. Il debito serviva a questo: ad assorbire l’enorme valanga planetaria di merci, evitando una “crisi di sovrapproduzione”. Il peccato originale ha un nome sulla bocca di tutti: crescita. Non è la soluzione, è il problema: la crescita è cieca, perché si basa solo sulla quantità, trascurando di selezionare beni e servizi realmente utili. La crescita vive di sprechi e genera Pil inutile, gonfiato dalla droga pericolosa del debito.

Ne è convinto Maurizio Pallante, teorico italiano della decrescita: «Il debito pubblico non è un problema di cui è stata sottovalutata la gravità», sostiene Maurizio Pallantein un intervento presto disponibile sul blog di Mdf, il Movimento per la Decrescita Felice. Il debito, spiega Pallante, è addirittura «il pilastro su cui si fonda la crescita nell’attuale fase storica», perché il ricorso al credito «è indispensabile per continuare a far crescere la produzione di merci». Si tratta di una scelta «consapevolmente perseguita con una totale unità d’intenti dai governi di destra e di sinistra in tutti i paesi industrializzati: non a caso – continua Pallante – la crescita dei debiti pubblici ha avuto una forte accelerazione in seguito alle misure di politica economica adottate dai governi dopo lacrisi del 2008 per rilanciare la domanda attraverso le opere pubbliche e il sostegno ai consumi privati».

Diversamente, osserva Pallante, non si capirebbe come mai negli ultimi anni tutti i paesi industrializzati hanno accumulato debiti pubblici sempre più consistenti, fino a raggiungere i valori record del 2010: dall’80% del Pil nel caso del Regno Unito, fino al 225% del Giappone. Se negli Usa il debito pubblico sfiora il tetto del prodotto interno lordo, Francia e Germania superano di poco l’80% mentre il debito dell’Italia rappresenta il 119% del Pil: peggio di noi c’è solo la Grecia, col suo drammatico 142%. A fine anno, il debito italiano raggiungerà i 2.000 miliardi di euro, a fronte di un Pil 2010 Grecia crisifermo a 1.500 miliardi. Il nostro debito pubblico è pari alla somma di quelli di Grecia, Spagna, Portogallo e Islanda.

Per capirci: il deficit greco, su cui si è scatenata la speculazione finanziaria, è di soli 340 miliardi di euro. Ben diversi i volumi di casa nostra: «Per pagare gli interessi sul debito, ogni anno l’Italia emette nuovi titoli per un valore di 75 miliardi di euro, pari al 10% della spesa pubblica e al 5% per cento del Pil». Per contro, aggiunge Pallante, il quadro completo lo si ottiene solo sommando il debito pubblico a quello privato, delle famiglie e delle aziende. Sulla base di questo mix realistico, col 218% del rapporto debito-Pil, l’Italia non sfigura rispetto al 286% dell’Irlanda, al 250 del Portogallo, al 230 di Spagna e Olanda e persino al potente Regno Unito, il cui debito aggregato raggiunge il 245% del Pil. A fronte di queste cifre, conclude Pallante, non si può escludere la possibilità che gli Stati più indebitati decidano di troncare la spirale degli interessi passivi decidendo di fallire, trascinando al fallimento le banche che hanno sottoscritto i loro titoli e alla rovina i risparmiatori che hanno depositato il loro denaro nelle banche.

Ma perché gli Stati e le amministrazioni locali spendono sistematicamente cifre superiori ai loro introiti? Perché il sistema bancario induce le famiglie a spendere cifre superiori ai loro redditi, magari con consigli interessati e specifiche linee di credito al consumo? «La risposta è intuitiva: perché la crescita della produzione di merci ha raggiunto un livello tale che se non si spendesse più di quello che sarebbe consentito dai redditi effettivi, crescerebbero le quantità di merci invendute e si scatenerebbe una crisi di sovrapproduzione in grado di distruggere il sistema economico e produttivo fondato sulla crescita della produzione di merci». Secondo gli economisti, per ridurre il debito pubblico occorre stimolare la crescita del Pil, perché se cresce la produzione di merci aumenta anche il gettito fiscale. Per favorire la crescita, lo Stato ha due strade: ridurre le tasse, per incoraggiare i consumi, o incrementare la spesa pubblica. «Ma in entrambi i casi, il debito pubblico Christine Lagarde e Dominique Strauss-Kahnaumenta: per ridurlo, attraverso la crescita, bisogna aumentarlo!».

In realtà l’Europa punta su un’altra strada, quella che avrà un impatto durissimo sulla società: il taglio della spesa pubblica, fino alla prospettiva dell’inserimento nelle Costituzioni dell’obbligo del pareggio di bilancio. Problema: tartassando i consumatori, il Pil non potrà certo crescere. Secondo Pallante, neppure il Fondo Monetario Internazionale ha più soluzioni: basti pensare che la direttrice, Cristine Lagarde, ha appena proposto di schiacciare contemporaneamente il pedale del freno e quello dell’acceleratore: ridurre la spesa pubblica e/o aumentare le tasse, e al tempo stesso favorire l’aumento della domanda mediante l’aumento della spesa pubblica e/o la diminuzione delle tasse. «Il fatto è che la crisi in corso non è congiunturale, ma di sistema, e gli strumenti tradizionali di politica economica non funzionano più».

In virtù della recente globalizzazione dei mercati e della concorrenza internazionale, lo sviluppo tecnologico ha determinato un eccesso di capacità produttiva che cresce di anno in anno: «Macchinari sempre più potenti producono in tempi sempre più brevi quantità sempre maggiori di merci, con un’incidenza sempre minore di lavoroumano per unità di prodotto». Si tratta di tecnologie che richiedono costi d’investimento molto alti, alla portata solo di grandi società in grado di operare sul mercato mondiale: multinazionali che non possono rimanere ferme perché subirebbero forti danni economici in termini di ammortamento dei capitali e disoccupatidi mancati guadagni: per cui «devono lavorare a pieno regime, e tutto ciò che producono deve essere acquistato anche se non ce n’è bisogno».

Se l’offerta in crescita esplosiva supera di gran lunga la domanda, la prima conseguenza è la disoccupazione, che a sua volta riduce ulteriormente la domanda. Oltre a gonfiare i debiti pubblici, continua Pallante, proprio la crescita ha seminato il panico sul fronte occupazionale: in Spagna, dove dal 2007 al 2010 la percentuale dei disoccupati è cresciuta dall’8,3 al 20% e quasi un giovane su due è senza lavoro, secondo calcoli prudenziali ci sono 765.000 immobili invenduti. E nella piccola Irlanda, dove negli stessi anni la disoccupazione è galoppata dal 4,6 al 13,7%, gli immobili invenduti sono 300.000. Se le nuove tecnologie tagliano i posti di lavoro e i redditi non bastano ad acquistare le merci, ecco che «l’unico modo per incrementare la domanda è l’indebitamento».

La scienza del debito, dunque, per tenere in piedi ancora per un po’ una economia totalmente drogata, dal destino ormai segnato. Da una parte gli incentivi alle famiglie verso carte di credito, rate e mutui, e dell’altra il via libera al deficit pubblico truffaldino: in cima alla lista le cosiddette grandi opere, faraoniche e devastanti, per lo più inutili o comunque bocciate da qualsiasi rapporto costi-benefici, ma comodissime per spartire denari all’interno della casta di potere che accomuna politici, imprenditori e banchieri. Prima grandi cantieri, e poi grandi cattedrali nel deserto finanziate a spese dei cittadini e poi magari cedute a società “amiche”. Nasce anche da lì la privatizzazione selvaggia delle aziende pubbliche preposte alla gestione dei servizi sociali come acqua, energia e trasporti: si svendono i I No-Tav della valle di Susa“gioielli di famiglia” proprio per ridurre l’entità colossale dei debiti contratti per realizzare le grandi opere.

Altra voce decisiva nel debito iniquo: la spesa militare. Già abnorme, si è gonfiata a dismisura dopo il crollo del Muro di Berlino con la nuova strategia “imperiale” statunitense che ha sparso eserciti e seminato guerre in tutto il mondo. Strategia ulteriormente accelerata dalla propaganda securitaria dopo l’attentato dell’11 Settembre. Un pretesto, per mettere le mani sulle regioni-chiave del pianeta, come quelle petrolifere. Peccato che l’aumento esponenziale delle spese per gli armamenti abbia progressivamente ridotto i vantaggi economici iniziali apportati dal controllo dei flussi di petrolio. Secondo Pallante, si comincia a delineare «una situazione che presenta inquietanti analogie con quella che portò alla caduta dell’Impero Romano, quando le spese militari per tenere sotto controllo le province cominciarono ad essere superiori al valore delle risorse che se ne ricavavano».

Come bloccare la spirale dei debiti pubblici? «Bisogna prendere immediatamente tre decisioni: sospendere tutte le grandi opere pubbliche deliberate in deficit, ridurre drasticamente le spese militari, ridurre drasticamente i costi della politica». In realtà sono tre aspetti dello stesso problema, insiste Pallante: «Non bisogna essere particolarmente intuitivi per capire che il sistema di potere fondato sull’alleanza strategica tra partiti politici otto-novecenteschi e grandi imprese non prenderà queste decisioni perché ne verrebbe travolto e nessun potere si fa da parte se non è costretto da una forza maggiore alla sua». Problema: ancora non esiste un blocco di Marchionne e Fassinopotere alternativo in grado di scalzare l’alleanza che ha prodotto la catastrofe della crescita, «quindi, non c’è possibilità di superare la crisi in corso, che è destinata ad aggravarsi progressivamente e a concludersi con un crollo rovinoso».

Sempre secondo Pallante, tutto lascia credere che questo esito sia ormai inevitabile: ormai sembra solo una questione di tempo. «Se la prima a precipitare sarà la crisi climatica, sarà difficile trovare una via di scampo. Se invece la crisi climatica verrà ritardata dalla crisi economica o dalla crisienergetica, coloro che non si sono lasciati abbindolare dalla gigantesca opera di disinformazione e propaganda svolta dai mass media, e sono più di quanti si creda, possono evitare di rimanere sepolti dalle macerie». La via d’uscita? «Occorre sganciarsi dal sistema economico e produttivo fondato sulla crescita della produzione di merci, organizzando reti di economia, di produzione e di socialità alternative, in grado di funzionare autonomamente e di rispondere ai bisogni fondamentali della vita con le risorse dei territori in cui insistono». La chiave? Lavoro utile. «La decrescitaabbatte il Pil ma produce occupazione qualificata, per produrre beni e servizi selezionati, realmente necessari». Ristrutturazione energetica dell’edilizia, energie rinnovabili, riduzione dei rifiuti, filiere corte alimentari e industriali, in un’ottica territoriale, distrettuale. Meno trasporti, meno costi, meno sprechi. Diminuirà il Pil? Ne saremo felici. E lavoreremo tutti.

di Giorgio Cattaneo

22 settembre 2011

Crescita, idolo del nostro tempo




La decrescita non piace a molti economisti, perché mette in discussione uno degli indicatori moderni del successo: il segno più. Tutto quello che ha un segno meno è meglio lasciarlo perdere. Ci minacciano ricordando che ogni forme di vita che sta bene cresce; quando non cresce più, muore. Ma le più importanti lezioni della natura sono invece a favore della moderazione, non degli eccessi e delle obesità che sono sempre distruttivi. E la natura, dove cresce in un modo sano, lo fa con tempi molto lenti. È dimostrato che i sovra-consumi dell’umanità sono la causa di disuguaglianze crescenti, di un impatto ambientale e climatico insostenibili , e vanno di pari passo con l’attitudine di gran parte dell’umanità a vivere al di sopra delle proprie possibilità. Sono questi vizi collettivi che a livello locale e globale causano una tendenza a volere sempre di più, a non rispettare più le regole comuni, ad accelerare migrazioni insostenibili e disordinate, a provocare crisi economiche e conflitti interni ed internazionali per risorse sempre meno abbondanti.

Decrescita significa ridurre e localizzare produzioni e consumi, ridurre le ore di lavoro per produrre beni per il mercato e dedicare invece più tempo alla famiglia, la religione, l’arte, la musica, lo sport, tutte attività che contribuiscono alla felicità e al benessere della comunità. Lo Stato e le autorità possono facilitare tale inversione di marcia, ma esse sono possibili solo se i cittadini decidono volontariamente di capovolgere le aspirazioni collettive. Già nel 1972 il Club di Roma aveva suonato l’allarme sui limiti della crescita e nel 1973 Ernst Schumacher aveva proposto dei modelli alternativi nel suo famoso libro Piccolo è bello. Nel 1984 avevo sottolineato con lo slogan “Contro la fame cambia la vita” che la moderazione, la condivisione e la semplicità sono condizioni necessarie per costruire più equità nell’uso delle risorse globali, comprese quelle necessarie per la sopravvivenza dei popoli più poveri. Oggi la ricerca scientifica sul cambio climatico ha provato che la localizzazione di produzioni e commerci,dovunque possibili, riducono il danno all’ambiente e il consumo di energia.

Al contrario il boom di consumi in Cina, India e Brasile mostrano che l’aumento veloce e piuttosto diffuso del reddito causano le stesse forme di degrado ambientale e di sprechi che si sono registrate nei boom economici dell’Europa e dell’America. Secondo Serge Latouche, un gurudelle proposte di prosperità senza crescitae di economia sociale e comunitaria, la decrescita succederà comunque perchè i costi dell’economia in continua crescita, in termini politici, della salute pubblica, ecologici,militari e di accesso alle risorse,sono pari alla crescita economica e il saldo finale è comunque zero o meno di zero.

di Sandro Calvani

21 settembre 2011

Addavenì Baffone spaziale!




stalinGiuseppe Stalin, in tutta la sua vita, ha avuto almeno un grande merito che nessuno potrà mai disconoscergli. È stato il primo, l’originale, l’inimitabile, l’impareggiabile, l’insuperabile e, soprattutto, il più conseguente picconatore della storia. Niente parole sferzanti come mannaie metaforiche alla Cossiga ma, direttamente, piccozze taglienti sulle teste “leonine” per evitare di perdersi in una savana chiacchiere vacue e locuzioni vane. Il Georgiano sarà forse stato troppo zelante nell’affrontare i traditori, abusando spesso della sua qualità d’identificarli immediatamente e di consegnarli all’altro mondo, cioè con poche perifrasi e zero processi, ma dobbiamo ammettere che raramente cadeva in fallo. Raramente sbagliava la mira, pur eccedendo in crudeltà e spietatezza. Purtroppo, la sua mirabile opera di pulizia umanitaria non ha impedito la proliferazione dei perfidi epigoni della rivoluzione permanente e dell’idiozia sussistente i quali, pur discendendo da un “Leone” della steppa, vanno assomigliando sempre più a conigli in cattività. Eppure il loro Capo, che per livore di successione aveva accettato un patto col demonio capitalista facendosi servire e riverire al calduccio messicano, era stato animale politico di una certa consistenza, fine letterato e freddo comandante militare. I suoi sostenitori odierni invece sono stalattiti e fossili col cervello pietrificato che sprecano inchiostro e forze intellettuali per appoggiare le guerre imperiali della Nato. Hanno incominciato affiancandosi all’UCK in Kosovo, cioè confondendo ladri, furfanti, spacciatori, signori della guerra ed espiantatori di organi sovvenzionati da Washington con coraggiosi rivoluzionari amanti del popolo e della libertà. Sono poi passati a supportare i ribelli libici, questi giovani con le maglie del “Che” che con armi leggere e male addestrati affronterebbero senza timore i cannoni e i missili dei lealisti di Gheddafi. Parole precise di uno di questi ammutinati del buon senso, il professor Antonio Moscato (è qui davvero il cognome è presagio di sbornia), il quale dopo l’ennesima bevuta internazionalista ha affermato: “i rivoluzionari vengono definiti nel migliore dei casi come “ribelli” o “militari ammutinati”, senza accorgersi che, purtroppo per loro, i militari esperti e dotati di carri armati e armi pesanti nelle loro file erano e sono pochi, perché la maggior parte degli ufficiali era rimasta con Gheddafi. E ai ragazzi entusiasti con la maglietta di Guevara non si insegna a combattere in pochi giorni”. Ma non è finita perchél’intellettuale col gomito alzato più del pugno ha proseguito rampognando le “persone che si considerano non solo di sinistra ma anche rivoluzionari” i quali si schierano impunemente “dalla parte di un tiranno che bombarda il suo popolo, giustificando la repressione con una eventuale “ambiguità” degli oppositori”. I bombardamenti li ha visti soltanto lui mentre persino la stampa più reazionaria parlava di set cinematografico costruito maldestramente per giustificare l’intervento sproporzionato dei protettori unificati. Dunque, colpa dei media i quali fanno opera di disinformazione, permettendosi di enfatizzare il ruolo degli islamisti nella ribellione libica, quale pretesto per non armare i ribelli. Ma anche colpa di Amnesty International che si è assunta la responsabilità di denunciare le efferatezze di quelli del CNT. E poi pure del Manifesto ammalato di ideologia stalinista (e te pareva!) il quale si è azzardato a riportare tali notizie con un metodo che lo “indigna perché alimenta, anche in quel poco di sinistra che rimane, un disprezzo per questa rivoluzione, che grazie a questo più facilmente potrà esser deviata e sconfitta, come in molti stanno provando a fare; e magari potrà essere davvero ereditata da quegli integralisti che finora non hanno contato niente se non nella propaganda di Gheddafi e nella fantasia di qualcuno”. E’ tutto un complotto ai danni della grandiosa rivoluzione libica, complotto al quale sta partecipando anche quella centrale imperialista della Croce Rossa (usurpatrice di colore rivoluzionario) che ha recentemente smentito bombardamenti, genocidi e fosse comuni. Su che pianeta vive Moscato? Sul pianeta della quarta internazionale dove i marxisti diventano marziani e fanno riunioni rivoluzionarie del quarto tipo. Addavenì Baffone spaziale!
di Gianni Petrosillo