27 ottobre 2009

Facebook appartiene alla CIA?


Quando il delirio speculativo di Wall Street ha fatto credere agli improvvidi che il valore di Facebook ammontava a 15 milioni di dollari, nel 2008 Zuckerberg è diventato il miliardario “che si è fatto tutto da solo”, il più giovane della storia della “graduatoria” della rivista Forbes, con 1500 milioni di dollari. A quel momento, il capitale di rischio investito dalla CIA sembrava avere ottenuto degli ottimi rendimenti, ma nel 2009 il “valore” di Facebook è andato ad aggiustarsi al suo valore reale e Zuckerberg è scomparso dalla graduatoria Forbes.

La bolla Facebook si è gonfiata quando William Gates, il titolare di Microsoft, vi acquisiva nell’ottobre 2007 una partecipazione dell’1.6%, per un ammontare di 240 milioni di dollari.

Questa operazione induceva a fare il ragionamento per cui, se l’1% di Facebook corrispondeva a 150 milioni di dollari, allora il valore del 100% doveva ammontare a 15 miliardi di dollari, ma il sotterfugio finiva per apparire nella sua piena luce.

La questione di fondo è che Facebook esiste grazie ad un investimento di capitali di rischio della CIA. Nel 2009, i grandi mezzi di comunicazione non si sono risparmiati nel produrre “propaganda informativa” per rendere omaggio a Zuckerberg come paradigma del giovane imprenditore di successo, ma la diffusione reiterata di questa “informazione” non è stata in grado di indurre la rivista Forbes a mantenerlo nella sua graduatoria, versione 2009. (1) Il bambino prodigio spariva dalla lista, malgrado l’intensa campagna propagandistica della CNN e della grande stampa mondiale, che riflettevano gli interessi di Wall Street. La lista Forbes corrisponde ad un Premio Oscar dei grandi affari e fa gonfiare o sgonfiare il valore delle azioni.

La CIA ha investito in Facebook molto prima che questa rete divenisse una delle reti sociali più popolari di Internet, questo secondo una inchiesta del giornalista britannico Tom Hodgkinson pubblicata nel

2008 nel giornale inglese The Guardian (3) e ripresa e commentata da qualche mezzo di comunicazione indipendente di lingua inglese, ma senza alcuna ripercussione nella grande stampa.

La propaganda corporativa ha trasformato il portale sociale Facebook in sinonimo di successo, di popolarità, e nel contempo di buoni affari. Facebook si presenta come un inoffensivo sito web di relazioni sociali, che facilità i rapporti interpersonali. La sua popolarità ha fatto prevedere che i suoi approssimativamente 70 milioni di utilizzatori potrebbero aumentare in un paio di anni a 200 milioni nel mondo intero, dato che nelle migliori settimane Facebook è arrivato a ricevere fino a due milioni di nuovi utilizzatori. Nel frattempo, Facebook non convince proprio tutti!

Critiche e detrattori

“Colui che non compare su Facebook non conta nulla o si colloca fuori del sistema”, affermano taluni. Al contrario, altri dichiarano che si tratta di uno strumento atto a costruirsi una nuova immagine senza contenuti, per darsi dell’importanza nel mega-supermercato che è diventato Internet, sostituto dei posti pubblici di anziana memoria. I più pragmatici sostengono che Facebook consiste solo in uno strumento per ritrovarsi fra vecchi compagni di infanzia o di gioventù, che si sono persi di vista fra i movimenti della vita.

I suoi difensori di sinistra ribadiscono invece che Facebook serve a promuovere le lotte contro la globalizzazione e a coordinare campagne contro attività come le riunioni del G8.

Il giornalista spagnolo Pascual Serrano ha descritto come Facebook sia stato utilizzato dal governo della Colombia per coordinare la giornata mondiale contro le FARC, che nel 2008 ha marcato lo scatenarsi dell’offensiva propagandista contro la guerriglia, che continua tutt’oggi.

Ed è molto evidente come Facebook sia stato utilizzato dalla CIA.

Per Walter Goobar, di MiradasAlSur.com, “si è trattato in realtà di un esperimento di manipolazione globale: [...] Facebook è uno strumento sofisticato finanziato dall’Ufficio Centrale d’Informazione, la CIA, che non solamente lo utilizza per il reclutamento di agenti e per la compilazione di informazioni in lungo e in largo attraverso tutto il pianeta, ma anche per allestire operazioni sotto copertura.”

A grandi linee, Facebook è uno strumento di comunicazione che consente di contattare e di archiviare indirizzi ed altri dati relativi a famigliari ed amici. Per istituzioni come il ministero di Sicurezza per la Patria, degli Stati Uniti, e, in generale, per l’insieme degli apparati di sicurezza dello Stato, consacratisi con pari entusiasmo al “nemico” interno come a quello esterno, dopo l’era Bush, Facebook è una miniera di informazioni sulle amicizie dei suoi utilizzatori.

Milioni di utenti offrono informazioni sulla loro identità, fotografie, e liste di oggetti di consumo da loro preferiti.

Un messaggio proveniente da un amico invita all’iscrizione e a partecipare a Facebook.

I dati personali, spesso catturati da ogni sorta di truffatori e clonatori di carte bancarie, vanno inoltre ad approdare nei dischi rigidi dei computers dei sistemi di sicurezza degli USA.

Il sistema Beacon di Facebook realizza degli elenchi di utenti e associati, includendovi anche coloro che non si sono mai iscritti o quelli che hanno disattivato la loro registrazione. Facebook si dimostra essere più pratico e rapido degli InfraGard (2), che corrispondono a 23.000 micro-comunità o “cellule” di piccoli commercianti-informatori organizzati dall’FBI al fine di conoscere i profili psico-politici della loro clientela.

Dopo il dicembre 2006, la CIA ha utilizzato Facebook per reclutare nuovi agenti.

Altre organizzazioni governative devono sottoporre il reclutamento e gli ingaggi a regole federali, ma la CIA ha acquisito una maggior libertà di azione che non ha avuto mai nemmeno sotto l’amministrazione Bush, perfino per torturare senza salvare nemmeno le apparenze.

La CIA ha dichiarato: “ Non è necessario ottenere un qualsivoglia permesso per poterci inserire in questa rete sociale.”

Capitale di rischio della CIA

Il giornalista britannico Tom Hodgkinson ha lanciato un ben motivato segnale di allarme rispetto alla proprietà della CIA su Facebook in un articolo ben documentato, “With friends like these…”, pubblicato nel giornale londinese The Guardian, il 14 gennaio 2008 (3).

Il giornalista ha sottolineato come dopo l’11 settembre 2001 l’entusiasmo per l’alta tecnologia si è assolutamente intensificato.

Entusiasmo che aveva già catturato gli apparati di sicurezza degli Stati Uniti, dopo che costoro avevano creato due anni innanzi il fondo di capitali “In-Q-Tel”, per far fronte ad opportunità di investimenti a rischio nelle alte tecnologie.

Secondo il giornalista Hodgkinson, i collegamenti di Facebook con la CIA passano attraverso Jim Breyer, uno dei tre associati chiave che nell’aprile 2005 ha investito in questa rete sociale 12,7 milioni di dollari, associato anche al fondo di capitali Accel Partners, membro dei consigli direttivi di giganti del calibro di Wal-Mart e Marvel Entertainment e per di più ex-presidente di National Venture Capital Association (NVCA), caratterizzata nell’investire su giovani talenti.

Hodgkinson ha scritto: “La più recente tornata di finanziamenti di Facebook è stata condotta da una compagnia finanziaria denominata Greylock Venture Capital, che vi ha impegnato 27,5 milioni di dollari.

Uno dei più importanti associati di Greylock si chiama Howard Cox, che è un altro ex-presidente di NVCA, che inoltre fa parte del consiglio direttivo di In-Q-Tel”.

“E In-Q-Tel, in cosa si configura?” si domanda Hodgkinson. “Bene, che lo crediate o no, (comunque lo potete verificare sul suo sito web) si tratta di un fondo di capitali a rischio della CIA. Creato nel 1999, la sua missione è quella di “individuare e di associarsi a società che sono intenzionate a sviluppare nuove tecnologie, per sostenere l’apporto di nuove soluzioni necessarie all’Ufficio Centrale d’Informazione CIA”.

La pagina web di In-Q-Tel (4) raccomandata da Hodgkinson è del tutto esplicita: “Nel 1998, il Direttore della Centrale di Intelligence (DCI) identificava la tecnologia come una prerogativa strategica superiore, direttamente connessa ai progressi della CIA nelle future tecnologie per migliorare le sue missioni di base, di compilazione e di analisi. I responsabili della Direzione di Scienza e Tecnologia hanno elaborato un piano radicale per creare una nuova struttura d’impresa con il compito di consentire un accresciuto accesso dell’Agenzia all’innovazione del settore privato.”

Anche aggiungendo ancora acqua non potremo avere più limpidità, conclude Hodgkinson.

di Ernesto Carmona

26 ottobre 2009

Mussolini era un agente britannico,


La notizia pubblicata dal Guardian il 14 ottobre, sugli assegni pagati dall'intelligence britannico a Mussolini nel 1917, ha avuto grande eco su tutte le testate mondiali. Molti gli interrogativi sollevati, ma non quello centrale: gli inglesi promossero il fascismo? Che Mussolini fosse stato finanziato dal MI5 era già stato menzionato da Sir Samuel Hoare nelle sue memorie nel 1954, ma ora uno storico di Cambridge, Peter Martland, ha trovato le ricevute dei pagamenti nelle carte dell'ex ministro degli Esteri britannico, che nel 1917 dirigeva un gruppo di 100 agenti del MI5 a Roma.

Il motivo del finanziamento, che ammontava all'equivalente di 6000 sterline odierne alla settimana, era quello di sostenere la campagna di Mussolini a favore della continuazione dello sforzo bellico italiano al fianco di Francia e Gran Bretagna. Il momento era delicato: infatti, si erano succedute diverse iniziative di pace, da quella, fallita, del ministro degli esteri austriaco Czernin per una pace separata con la Francia all'appello di Papa Benedetto XV ai capi delle potenze belligeranti, che ebbe sicuramente un grande impatto in Italia. È dunque credibile che gli inglesi, che consideravano l'Italia "l'alleato bellico meno affidabile", raddoppiassero gli sforzi per impedire una pace separata e continuare la carneficina sul continente.

Ma la simpatia britannica per Mussolini andava oltre la contingenza. È noto che Churchill ammirava il Duce e condusse una corrispondenza fino a pochi giorni dall'ingresso dell'Italia nella seconda guerra mondiale. Corrispondenza che molto probabilmente il Duce, in fuga verso la Svizzera nell'aprile 1945, recava con sé come lasciapassare e che scomparve dopo che Mussolini e la Petacci furono catturati e uccisi per ordine di Churchill.

Come ha documentato Jeff Steinberg in un articolo sull'EIR il 30 maggio 2003, sia il fascismo che il nazismo furono promossi da un'alleanza internazionale di finanzieri, di cui Samuel Hoare era autorevole membro. Questo gruppo si raccoglieva attorno a formazioni semi-segrete come il "Movimento Sinarchista dell'Impero" o ufficiali come, dal 1922, l'Unione Paneuropea fondata dal conte Coudenhouve-Kalergi.

Nei rapporti dell'intelligence americano durante la seconda guerra mondiale, raccolti da William Langer nel libro "Our Vichy Gamble", si descrivono gli scopi di questo gruppo come "il sogno di un nuovo sistema di 'sinarchia', e cioè il governo d'Europa su principii fascisti da parte di una fratellanza internazionale di finanzieri e industriali". Nell'ambito di questo disegno, una influente fazione dell'Impero Britannico, che comprendeva Hoare e Lord Beaverbrook, pianificò persino un colpo di stato per rovesciare Churchill e instaurare un governo filo-fascista a Londra.

Nel 1930, l'alleanza sinarchista diede vita alla Banca per i Regolamenti Internazionali (BIS). Gli artefici principali della BIS furono Montagu Norman, capo della Bank of England, Hjalmar Schacht (che poi divenne ministro dell'economia di Hitler) e Alberto Beneduce, il capo della politica economica del fascismo. Lo scopo della BIS fu di assicurare la stabilità del sistema monetario e finanziario post-Versailles, dominato dalla Gran Bretagna e basato sulle riparazioni di guerra imposte alla Germania.

Lo storico americano Carroll Quigley descrive la BIS così: "Questo sistema avrebbe dovuto essere controllato in modo feudale dalle banche centrali del mondo agenti in concerto, con accordi segreti stipulati nel corso di frequenti incontri e conferenze privati. L'apice del sistema doveva essere la Banca per i Regolamenti Internazionali di Basilea, una banca privata posseduta e controllata dalle banche centrali, esse stesse delle imprese private. Ogni banca centrale, nelle mani di uomini come Montagu Norman della Bank of England, Benjamin Strong della Federal Reserve di New York, Charles Rist della Banca di Francia e Hjalmar Schacht della Reichsbank, si adoperava per dominare il proprio governo tramite la sua abilità nel controllare i prestiti del Tesoro, manipolare i cambi esteri, influenzare il livello di attività economica nel paese e influenzare i politici compiacenti con successive remunerazioni nel mondo degli affari".

L'ostacolo iniziale alla partecipazione italiana era il pericolo di interferenza governativa sulla Banca d'Italia. Beneduce, come plenipotenziario di Mussolini, offrì la massima garanzia di indipendenza e riuscì a convincere Norman. Fu nominato vicepresidente della BIS.

Il ruolo della BIS nel promuovere l'ascesa al potere di Hitler è ben documentato nel libro "Das Hitler-Buch", scritto da un gruppo di ricercatori guidati da Helga Zepp-LaRouche (Wiesbaden, 1984).

by (MoviSol)

25 ottobre 2009

Clinton e la nascita della precarietà

Esiste una certa confusione sulla nascita della precarieta’ lavorativa. Essa viene normalmente attribuita alle destre, che invece non si sono mai sognate di fare qualcosa di simile. Quando, di preciso, si inizia a gridare al mondo che “il lavoro dipendente non esiste piu’”, e che “mobil e’ bello?”

Tutto inizia quando Bill Clinton, dopo essere stato eletto, si ritrova con un parlamento ostile perche’ la sua politica e’ stagnante. Cosi’, dopo aver messo un ex consigliere di Coca Cola come ministro del lavoro , decide di ridisegnare i contorni del mondo dell’impiego, allo scopo di aumentare la produttivita’ delle aziende. Questo provvedimento non e’ affatto “di sinistra”, nel senso che si tratta di un ripiego senza il quale il senato rischia di bocciargli l’equivalente della nostra finanziaria, caso nel quale sarebbe costretto , di fatto , a dimettersi.

Clinton, per sfuggire a questo destino, si inventa “la sinistra che fa cose di destra”, spacciando per “New Democrat” questa cosa, e potendo cosi’ accontentare un parlamento ostile. In questo modo Clinton si garanti’ otto anni di governo, e garanti’ agli stati uniti ben DUE crisi economiche, quella del 2001 e quella del credit crunch.

Ma andiamo con ordine. Clinton prima vara alcune riforme, chesono il GATT, l’ HIPAA e il WIA, con le quali rispettivamente ricostruisce i rapporti di lavoro favorendo le esternalizzazioni, fornisce una tassazione favorevole ai “self employee”, al punto che convenne agli americani fare lo stesso lavoro da non-assunti (come le nostre “partitine IVA”) e legifera l’uscita dello stato e delle amministrazioni locali dalle trattative per il reintegro lavorativo dei lavoratori licenziati.

Con queste tre leggi, di fatto, il lavoro negli Stati Uniti diventa “liquido”, secondo la nuova ideologia di “sinistra” americana, concepita per essere “bipartisan”, cioe’ per piacere alla destra. E’ come se pur di essere bipartisan e piacere ai nazisti, Israele chiedesse di inserire nella dichiarazione dei diritti umani “alcune ore di svago genocida per giovani ragazzi biondi”.

Cosi’, nasce la moda del “new democrat”, che in Inghilterra diverra’ “New Labour” con Blair, e qui da noi verra’ chiamata “riformismo” con d’Alema. Nella tabella sotto vediamo l’ordine di propagazione della “riforma clinton” verso l’europa.

In Europa questa riforma arriva insieme al boom della new economy, che arriva insieme alla riforma fiscale americana HIPAA, e a qualche tempo dal Digital Millennium Act. Essa viene adottata, praticamente nello stesso anno, sia in UK che in Italia, da Treu e da Blair contemporaneamente.

Faccio presente che Sir John Major, predecessore di Blair non ha mai osato arrivare a tanto, figuriamoci al delirio che Blair espresse come ideologia politica iper-liberista nel suo “Tony Blair, New Britain : My Vision of a Young Country, Fourth Estate, London, 1996. “

Tutta questa moda fatta di parole inglesi non poteva non arrivare in Italia, dove ad un solo anno dall’uscita del libro di Blair, gia’ si stanno creando le basi per la riforma Treu, che viene varata sotto il governo di Romano Prodi.

Ordine cronologico, in rosso l’adozione di norme sui lavori “atipici”, ovvero precari. In verde la necessaria riforma per compensare la crescita di rischi indotta sul mercato finanziario con la possibilita’ di cartolarizzare e di contabilizzare i rischi come asset.

AnnoUSAUKIT
1990George BushJohn MajorGiulio Andreotti
1991George BushJohn MajorGiulio Andreotti
1992Bill ClintonJohn MajorGiuliano Amato
1993Bill ClintonJohn MajorCarlo Azeglio Ciampi
1994Bill Clinton (GATT)
John MajorSilvio Berlusconi
1995Bill ClintonJohn MajorLamberto Dini
1996Bill Clinton (HIPAA)
John MajorRomano Prodi
1997Bill ClintonTony Blair (New Britain(1))
Romano Prodi (Rif. TREU)
1998Bill Clinton (WIA)
Tony Blair
Romano Prodi
1999Bill Clinton (FMLE)
Tony Blair
Massimo d’Alema
2000Bill ClintonTony Blair Massimo d’Alema

Vorrei far notare una cosa: tutta questa liquidita’ produce un problemino alle banche gia’ durante la New Economy. Clinton aveva creato nove distretti industriali a ridotta tassazione e a ridotto controllo fiscale, nelle quali come si diceva in italia “si finanziavano le idee”. Qual’era il problema?

Che le banche chiesero al governo “e come cazzo distribuiamo i rischi, visto che su 10 startup che finanziamo solo una arriva al successo? Non possiamo chiedere rendimenti del 90%”. La risposta dell’amministrazione Clinton fu il FMLE, Financial Market Leverage Enhancement, che permetteva tutti quei meccanismi di cartolarizzazione che produssero prima la speculazione della “new economy”, e poi la bolla speculativa che abbiamo visto al lavoro come “credit crunch”. Nei paesi europei non si fece (all’epoca) nulla di nuovo, e solo qualche tempo dopo gli UK seguirono l’esempio, ma siamo gia’ dopo l’era clinton. In italia la legislazione rimase piuttosto rigida, per cui abbiamo tenuto “abbastanza bene” la crisi del credit crunch.

Quindi, non e’ assolutamente vero che fu la destra ad istituire queste cose, ne’ ad inventarle. Bisogna stare molto attenti a tutto questo, perche’ di fatto questo e’ il problema della sinistra: di fatto tutte le sinistre europee attuali si sono allineate con questo New Democrat, o New Labour , e solo quella tedesca sta iniziando una vera e propria epurazione con una vera e propria autocritica.

Il motivo per il quale oggi il PD tace quando c’e’ un dibattito sul lavoro come quello innescato da Tremonti e’ proprio che e’ questo “new labour”, questa “nuova sinistra”, questa sinistra al passo coi tempi, ad aver devastato il mercato del lavoro. Non dimentichiamo che al tavolo con Treu c’era Cofferati, che fu segretario generale della CGIL dal 1994 al 2002, e che fu tra i controfirmatari del pacchetto.

Quando oggi ci si lamenta dei “precari della scuola” si dimentica che il mondo statale ancora e’ l’unico a tollerare la figura giuridica del co.co.co, estinta nelle riforme successive (in special modo D. lgs. n° 276/2003) , e mantenuta ad hoc per gli impieghistatali. I signori della scuola non stanno pagando le riforme di Biagi, ma quella di Treu.

Quindi, il vero problema assolutamente paralizzante della sinistra e’ il fatto di aver seguito Clinton nel suo delirio. Il problema e’ che Clinton godeva di un’america in grossa crescita economica, e fece quella cosa non perche’ ci credesse, ma perche’ costretto da una maggioranza incerta al senato , che lo costringeva a proporre leggi che andassero bene a tutti.

Cosi’, si invento’ un’ideologia estemporanea, convincendo il proprio partito che “nuova sinistra=destra” , e ovviamente non aveva nulla di cui convincere i liberisti, che erano gia’ convintissimi di loro.

Allora direte: ma cosi’ stai dicendo che sia una cosa di destra. Eh, no: lo era. Ma con Clinton, il liberismo diventa di sinistra. E’ colpa di Clinton se le sinistre diventano questo merdaio contraddittorio e modaiolo, ed e’ colpa di Clinton se certe idee hanno potuto attecchire e mantenersi a sinistra.

Ma e’ anche colpa di Blair, che mettendosi a scrivere libri e a propagare pseudoideologie , come col suo libello sull” Giovane Inghilterra” si mette a fare il vate del “New Labour”, che altro non e’ se non la destra tatcheriana portata a sinistra.Questa non e’ colpa della destra: e’ assolutamente normale che una destra liberista faccia la destra liberista. Ne’ la destra si e’ mai sognata di pretendere o chiedere che la sinistra aderisse alle sue idee. Quando i repubblicani hanno preso la maggioranza al senato americano, se Clinton si fosse tolto dalle palle gli sarebbe andato benissimo, non e’ che pretendevano che i repubblicani diventassero degli iperliberisti turbocapitalisti.

E’ stato Clinton a voler fare bon viso a cattivo gioco e aprire le porte all’assediante. Se tu consegni le chiavi del tuo castello agli avversari, abbandoni la tua bandiera e ti dichiari al servizio della loro causa, non e’ che puoi dare la colpa al tuoi avversari: loro stavano bene anche ad averti come prima.

Quindi, quando uno di sinistra vi dice che il precariato e’ una cosa di destra, mi spiace ma ha torto: il precariato che conoscete lo dovete attribuire alla “nuova sinistra”, che va dal New Democrat americano al New Labour inglese, fino alla sinistra “Moderna e al passo coi tempi” italiana.

La destra con le sue riforme e’ arrivata dopo, e ha cambiato di pochissimo la situazione. I precari della pubblica amministrazione esistono perche’ la forma lavorativa del co.co.co , abolita nel privato perche’ permetteva il lavoro dipendente mascherato, fu conservata nel pubblico impiego. Quindi non vi incazzate, e prendetevela con Prodi, Treu, Cofferati, cioe’ con coloro che seguirono la moda di Clinton e Blair e si accodarono al massacro.

Alla destra potete chiedere una politica sociale solo se si tratta di una destra molto consociativa o ad una destra assistenziale di stampo veterodemocristiano: per il resto, non c’e’ ragione di chiedere una cosa come quella proposta da Tremonti, che arriva agli onori della stampa solo perche’ c’e’ un forte mal di pancia tra le banche.

Porre fine a questo disastro sarebbe compito delle sinistre, ma c’e’ un guaio: che sono state loro a farlo. E siccome non stanno facendo nessuna autocritica, e stanno tenendo al potere gli stessi uomini, non aspettatevi che sia possibile farlo da sinistra.

L’unico partito che oggi come oggi ha la liberta’ ideologica e la sensibilita’ popolare atta a svolgere questo compito e’ la Lega.

Finche’ la sinistra non ha il coraggio di fare autocritica (come sta succedendo qui in Germania) e di iniziare un percorso che la purifichi di questo incidente storico nato per le esigenze spicciole di Clinton, non c’e’ altra alternativa.

E dovrete rassegnarvi a vedere un dibattito sul precariato, cioe’ sul mondo del lavoro, nel quale parlano tutti, da Tremonti a Berlusconi, dalla Marcegaglia ad Epifani, tranne il PD, cioe’ il partito ispirato al “New Labour”, che nella pronuncia di Rutelli sembra quasi un profetico “No Labour”.

Ma non venite a raccontare che la colpa sia delle destre, perche’ non lo e’. Se il lupo ti mangia perche’ per libera scelta ti sei fatto pecora, e solo per quello, la colpa non e’ del lupo, ma della tua libera decisione di essere pecora.

Non c’era ALCUNA necessita’ indotta dal mercato per comportarsi in questo modo. L’ UNICA necessita’ in gioco era la sopravvivenza politica di un Clinton che doveva fare leggi che un parlamento in mano ai repubblicani potesse accettare.Non era scritto sulla Bibbia e non era una necessita’: era solo uno stratagemma di partiti di sinistra fallimentari che , dopo aver perso il consenso dell’elettore di sinistra, si sforzano di usare il consenso degli elettori di destra. Niente di piu’.

E se non ci sara’ nessuna autocritica, da parte dei fichissimi troppo buoni e troppo British e troppo New Labour, avete come unico partito della working class la Lega Nord: buona fortuna.

di Uriel

24 ottobre 2009

Crisi: Draghi assolve economisti e banchieri




Crisi: Draghi assolve economisti e banchieri



Il suo intervento alla 50esima riunione scientifica annuale della Società italiana degli economisti è stata l’occasione per Mario Draghi per ribadire la sua fede nel Libero Mercato, al di là dei problemi che negli ultimi anni ne hanno seriamente messo in crisi le fondamenta. Il governatore della Banca d’Italia ha affermato che le risposte date alla crisi sono state efficaci grazie al lavoro degli economisti che non hanno fatto mancare i loro consigli ai governi. La professione di economista, ha sostenuto, deve essere valutata in primis per le risposte che ha saputo finora dare alla crisi. E allora, da questo punto di vista il bilancio è “largamente positivo”.
In verità ci pare di ricordare che le principali misure adottate dai governi siano state quelle di versare sostanziosi aiuti pubblici alle banche private che erano finite sull’orlo del baratro a causa delle proprie speculazioni. Seguite dalle analoghe iniziative delle banche centrali di immettere liquidità nel sistema finanziario internazionale per evitarne il collasso. Misure che, al di là delle responsabilità di questo o quel soggetto, sono andate a compensare l’incapacità delle autorità di controllo e degli stessi economisti di prevedere l’uragano che stava arrivando. Economisti che, nonostante le lodi auto referenziali, non erano stati in grado di leggere il divenire dell’economia, al di là delle sue aride cifre. Così la funzione degli economisti è tornata di attualità solo per il dopo crisi non essendo stati all’altezza del proprio ruolo per evitarla o quantomeno per lanciare il necessario allarme.
Draghi, dopo aver sostenuto che sono state messe in campo misure “senza precedenti per ammontare e per tipologia”, ha rivendicato a merito degli economisti quello di averne determinato la dimensione e la natura, mentre si era di fronte ad un disorientamento generale e all’incapacità diffusa di fornire una terapia adatta alla crisi. Affermazioni che implicano una deformazione della realtà. “Si sono sognati pogrom di economisti - ha lamentato - e si è aperta una caccia al colpevole”. Ma Draghi ha insistito, e rilanciando nel suo peana liberista, ha affermato che grazie agli economisti, si sono evitati errori. Come ad esempio, e ti pareva, “il ricorso a misure protezionistiche”. Le stesse, a suo dire, che in altre occasioni, si erano rivelati “letali”. Insomma il Libero Mercato globale è la panacea di tutti i mali e il migliore dei mondi possibili anche se diffonde povertà e disoccupazione.
Certo, ha dovuto concedere l’ex dirigente della Goldman Sachs, si deve cogliere da questa crisi “lo stimolo a riflettere seriamente e senza pregiudizi sull’adeguatezza dello strumentario analitico degli economisti, per correggere errori e individuare fruttuose direzioni di marcia per il futuro”.
Ma poi una assoluzione generale per gli economisti e per se stesso come presidente del Fsb (Financial Stability Board) che dovrebbe monitorare le distorsioni dei mercati. In particolare quando Draghi ha sostenuto che la capacità di previsione negli anni precedenti la crisi sia stata migliore di quanto comunemente ritenuto. A suo avviso infatti, “molti degli squilibri, degli eccessi, degli incentivi distorti che avrebbero potuto condurre alla crisi erano stati identificati in importanti contributi”. E allora perché la crisi è arrivata praticamente inaspettata? Secondo Draghi, questo è stato determinato anche da un’analisi che rimaneva ostinatamente macroeconomica sulle reali condizioni del settore finanziario. Affermazione che significa che nessuno di quanti dovevano controllare è andato a studiare ad esempio la situazione della singola banca.
Ma non c’è dubbio, ha dovuto ammettere ancora, che si sia rivelata mal riposta la fiducia nella capacità del mercato di autoregolarsi e generare in ogni circostanza allocazioni efficienti delle risorse. In altre parole è saltato il fondamento del Libero Mercato. Così, soprattutto negli Usa, l’equazione “Libero Mercato uguale mercato senza regole” era divenuta il patrimonio comune di molti politici e autorità di controllo o regolatrici. Come ad esempio, ma questo Draghi non lo ha detto, le banche centrali.

di Andrea Angelini

22 ottobre 2009

Un sistema economico strutturalmente irrecuperabile


Coloro che credono ancora nei benefici della mano invisibile del mercato, dovrebbero rendersi conto che quest'ultima ci sta ripulendo le tasche a vantaggio di pochi. L'attualità ce lo mostra ogni giorno.

Sì, sì, la recessione è finita. Comincia ora la depressione e la disoccupazione di massa ne è l'indizio rivelatore. Non è il 1929, è molto peggio. Non tornerò sulle mie diverse analisi, perché ben presto gli eventi si susseguiranno (guerre, fallimenti, crack borsistici...)

Per capire perché la borsa continui a funzionare, basta leggere ciò che Pierre Jovanovic scrive sul suo blog.

Spiega così che il «40% dell' NYSE è generato da cinque titoli» cosa confermata dall'analista finanziario Olivier Crottaz che ne ha anche pubblicato il grafico relativo.

Insomma, si rifilano pacchetti d'azioni facendo montare la maionese e tutto questo sconnesso da qualsiasi realtà economica. Grottesco!

Ho quindi deciso di scrivere une serie di articoli per dimostrare che ciò che molti chiamano capitalismo, non solo è una mostruosità, ma inoltre è completamente irrecuperabile.

Ho spesso usato il termine crisi sistemica per analizzare il crack attuale, ma dovremmo piuttosto parlare di crisi strutturale.

Infatti, ci sono stati molti studi sul fallimento del comunismo e le sue derive dittatoriali (Stalin, Mao), ma ci sono poche analisi di fondo riguardanti il nostro sistema economico attuale che, anch'esso, non può far altro che portarci al disastro e alla dittatura.

Innanzitutto, bisogna notare che Karl Marx ha fatto due errori fondamentali.

In primo luogo, la sua analisi si basa sull'idea che è “il calo tendenziale del tasso di profitto che è all'origine delle crisi che costellano la storia del capitalismo”.

L'economista Philippe Simmonnot ha confutato in modo chairo questa teoria. Per chi vuole approfondire, la spiegazione de L'errore di Marx è sul mio blog.

Inoltre, Marx ha “dimenticato” Freud (che è arrivato dopo) e i suoi lavori sull'inconscio, che Bernard Stiegler riassume affermando che “il capitalismo del XX secolo ha catturato la nostra libido e l'ha sviata dagli investimenti sociali”. Posso aggiungere che ha finito col resettarci tramite il feticismo dell'oggetto.

Poiché l'insieme dei media appartiene al gruppetto dominante, la realtà ha finito col scapparci e non vediamo più il mondo com'è. Questo “psico-potere” che permette di fabbricare la nostra coscienza collettiva, è il solo da distruggere veramente, perché “solo la verità è rivoluzionaria”.

Del resto, secondo Hannah Arendt, il totalitarismo è innanzitutto una dinamica di distruzione della realtà e delle strutture sociali.

Per capire meglio, bisogna rileggere «Il mondo nuovo» di Aldous Huxley, che non è un romanzo, ma un programma politico ben riassunto nella prefazione del 1946: «Uno stato totalitario davvero “efficiente” sarebbe quello in cui l'onnipotente comitato esecutivo dei capi politici e il loro esercito di direttori governerebbero su una popolazione di schiavi che sarebbe inutile forzare, perché avrebbero l'amore per la loro servitù».

Tra l'altro l'opera fa una sintesi della nostra epoca: «Man mano che diminuisce la libertà economica e politica, in cambio la libertà sessuale tende a crescere». Anche Claude Lévi-Strauss ne aveva parlato: «La funzione primaria della comunicazione scritta è di facilitare l'asservimento».

Siamo quindi una popolazione di schiavi, un'idea che il film di Jean-François Brient «De la servitude moderne» [NdT: Sulla servitù moderna] mostra in maniera esplicita [De la servitude moderne n°1, De la servitude moderne n°2, De la servitude moderne n° 3 (sul mio blog)].

Nonostante ciò, è importante analizzare perché alla fin fine il capitalismo ci porta alla dittatura. Infatti, gli economisti diventati matematici, han dimenticato che ciò che caratterizza il nostro sistema economico è quel suo lato mafioso retto da una sola legge, quella del più forte.

Mazzette, minacce e assassinii sono parte integrante del processo di conquista dei mercati. Gomorra di Roberto Saviano è il riflesso perfetto della nostra società.

Questo viene rappresentato sul piano matematico (dato che il mondo è scritto in linguaggio matematico) dalla legge di Pareto che mostra come le entrate si dividono sempre secondo una legge matematica decrescente a legge di potenza. L'economista Moshe Levy spiega che “la legge di Pareto, lungi dall'essere universale e ineluttabile, sarebbe solo il modoo di funzionamento particolare di una società egocentrica” e che “sono gli effetti stocastici (e non l'indigenza e il lavoro) della concorrenza ad arricchire pochi a scapito della maggioranza, portando alla ripartizione di Pareto”.

Per rimanere nell'ambito della matematica, è importante capire cos'è un frattale. Gli oggetti frattali sono imparentati a strutture a rete, e sono sottoposti alla legge di Pareto. Per fare un esempio, il 20% dei più ricchi detiene l'80% del capitale, ma all'interno di questo 20% si applica ancora la legge di Pareto, e così via... Del resto, le 20 persone più ricche del mondo hanno un capitale personale stimato nel 2009 a 415 miliardi di dollari, ossia poco meno del PIL svizzero (500 miliardi di dollari)! (Lista dei miliardari del mondo nel 2009)

L'1% dei più ricchi rappresentava il 10% del PIL nel 1979 e il 23% oggi. Saranno il 53% nel 2039?

Bisogna quindi capire che la pecca fondamentale del nostro sistema economico risiede nell'accumulo del capitale. Infatti, il capitalismo porta strutturalmente alla dittatura attraverso un accumulo colossale di ricchezze da parte di pochi.

Il capitalismo è quindi per natura non redistributivo. Infatti, per via della sua struttura basata sul debito, favorisce il capitale e mette la banca e la finanza al centro del sistema. Bene, la maggior parte degli interessi alla fine è riscosso da un piccolo numero di persone che finiscono con l'impadronirsi del sistema. Io lo chiamo effetto Monopoli (Famoso gioco in cui, dopo aver rovinato gli altri, sopravvive un solo giocatore).

Coloro che credono ancora nei benefici della mano invisibile del mercato, dovrebbero rendersi conto che quest'ultima ci sta ripulendo le tasche a vantaggio di pochi. L'attualità ce lo mostra ogni giorno.

Inoltre, sul piano matematico un investimento di denaro è un esponenziale. Potete del resto constatarlo cliccando su Esponenziale e capitale.

Ma questo accumulo di capitali ha una contropartita: l'accumulo di debiti, perché alla fin fine il denaro non viene creato ex nihilo, al contrario di quello che cercano di farvi credere (solo le banche centrali possono creare la moneta). Il nostro sistema economico è quindi diventato un grande schema di Ponzi, e questo è confermato anche dallo stesso Nouriel-Roubini: “Americani, guardiamoci allo specchio: Madoff, siamo noi, e il Signor Ponzi, siamo noi!”.

Avevo già indicato questo problema nell'articolo Crise systémique – Les solutions (n°5 : une constitution pour l'économie) [NdT: Crisi sistemica – Le soluzioni (n°5: una costituzione per l'economia)] e affermavo che questo sistema, che funziona sul debito e l'appropriamento della maggior parte degli interessi da parte di pochi, col passare degli anni impone l'allargamento della base di credito. E, quando si cominciano a fare prestiti a persone che non possono rimborsarli (i poveri), il sistema sprofonda.

E sì che tutte le religioni hanno condannato (a volte con diverse sfumature) il prestito con interessi, perché lo consideravano amorale, cosa che troviamo nel versetto 275 della seconda sura del Corano: “Dio ha reso lecito il commercio e illecito l'interesse”.

Non dimentichiamo che il sistema attuale si basa sulla formula: debito = consumo = lavoro. Quindi, senza debito, nessun lavoro! Del resto è per questa ragione che gli stati sostengono a fondo perso le banche.

Robert H. Hemphill, responsabile di crediti alla Fed di Atlanta, aveva dichiarato: “Se le banche creano abbastanza denaro, prosperiamo; in caso contrario, sprofondiamo nella miseria”

Di fronte a un esponenziale del capitale accumulato, ci ritroviamo con un esponenziale del debito. Per esempio, per gli Stati Uniti, abbiamo un debito totale (pubblico e privato) di 52.859 miliardi di dollari, ossia 375% del PIL statunitense e più del PIL mondiale.

Bisogna inoltre ricordare che il debito porta alla schiavitù, come riassume Jean Baudrillard: “Con il credito torniamo a una situazione propriamente feudale (una frazione del lavoro dovuta in anticipo al signore), al lavoro asservito”.

Il sociologo Immanuel Wallerstein ha ragione quando afferma che: «Da trent'anni siamo entrati nella fase terminale del sistema capitalistico».

Ivan Illich uno dei primi pensatori dell'ecologia politica ha sviluppato la nozione (chiamata illichiana) di contro-produitività, che mostra che le imprese che raggiungono una grandezza critica instaurando una situazione di monopolio, finiscono col nuocere al funzionamento normale dell'economia.. Possiamo anche aggiungere che finiscono con l'appropriarsi del potere. Il 4 giugno 1943, il senatore Homer T. Bone dichiarava al Comitato del Senato americano per gli Affari Militari: «Farben era Hitler e Hitler era Farben»

Albert Einstein, nel maggio 1949, in un articolo comparso nella Monthly Review, riprendeva la stessa idea: «Il capitale privato tende a concentrarsi nelle mani di pochi, in parte a causa della competizione tra capitalisti e in parte perché lo sviluppo tecnologico e la divisione crescente del lavoro incoraggiano la formazione di unità di produzione più grandi a scapito di quelle più piccole. Il risultato di questi sviluppi è un'oligarchia di capitale privato, il cui potere esorbitante non può effettivamente essere controllato neanche da una società il cui sistema politico è democratico»

Oggi, 500 imprese transnazionali controllano il 52% del PIL mondiale e questo fa dire a Jean Ziegler (membro del Comitato consultivo del Consiglio dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite) che andiamo verso «una rifeudalizzazione del mondo»

Eppure J. K. Galbraith, economista e consigliere dei presidenti Roosevelt e Kennedy ci aveva avvertiti: «L'economia di mercato è spesso descritta come un'antica eredità. All'occorrenza, è una truffa, o più esattamente, un errore comunemente ammesso. Troppe persone studiano ancora l'economia su manuali che mantengono ancora i dogmi della produzione concorrenziale dei beni e dei servizi e della capacità di acquistare senza impedimenti. In realtà, possono esserci solo uno o pochi venditori abbastanza potenti e persuasivi a determinare ciò che le persone comprano, mangiano, bevono» (« Les nouveaux mensonges du capitalisme » (Le nuove menzogne del capitalismo » Pubblicato ne Le Nouvel Observateur (4/11/05), intervista di John Kenneth Galbraith a cura di François Armanet)

Quali sono le soluzioni? Non preoccupatevi, i nostri padroni han già previsto tutto. Per capire, bisogna sapere che la dialettica hegeliana è padroneggiata magistralmente. Abbiamo così la tesi, il capitalismo, l'antitesi, il comunismo, e infine la sintesi: un socialismo corporativo o social-fascismo (mondiale).

Voglio ricordare qui che Mussolini aveva dato la sua definizione del fascismo: “Il fascismo dovrebbe piuttosto essere chiamato corporativismo, poiché si tratta dell'integrazione dei poteri dello stato e dei poteri del mercato”. Ora, il corporativismo può essere assimilato a un'impresa criminale dato che, come afferma Howard Scott: “un criminale è una persona dagli istinti predatori che non ha abbastanza capitale per formare una corporazione” (Une constitution pour l'économie, pourquoi ?)

Può sembrare strano associare due principi opposti come socialismo e fascismo, ma Edgar Morin ci spiega ciò che egli chiama il principio dialettico: “Esso unisce due principi o nozioni antagoniste, che in apparenza dovrebbero respingersi l'un l'altra, ma che sono indissociabili e indispensabili per capire una stessa realtà”. Pensate sia impossibile? Ecco la mia analisi.

Conviene innanzitutto notare che tutti sparano sui cattivi banchieri (la tesi) e sostengono la nazionalizzazione delle banche (l'antitesi). Avremo quindi un FMI, una BRI e una banca mondiali (la sintesi) che controlleranno la futura moneta mondiale (i DSP che sostituiranno il dollaro: Crise systémique – Les solutions (n°5 : une constitution pour l'économie)) e regoleranno il sistema. Ora, questi organismi sono controllati da una manciata di persone.

La crisi attuale avrà come conseguenza diretta la distruzione delle nazioni, perché le somme perse superano le capacità degli stati e i tassi di indebitamento vanno alle stelle. Si svilupperanno dappertutto dei poli continentali con strutture regionali: il glocale. Su questa questione ho tra l'altro condotto uno studio preciso: Crise systémique – Les solutions (n°4 : régions et monnaies complémentaires) (Crisi sistemica – Le soluzioni. N°4: regioni e monete complementari)

Il futuro è al « socialismo » disse Schumpeter, un socialismo senza schaivitù, ma con una libertà limitata. Si dovrebbe usare allora il termine esatto: socialfascismo e precisare che la libertà scomparirà se non ne facciamo nulla. In ogni caso, una dittatura fallirà. Non dimentichiamo il principio « ologrammatico » di Edgar Morin: la parte è nel tutto, ma il tutto è nella parte, poiché tutte le forme di esistenza sono legate le une alle altre. Questa è tra l'altro la definizione esatta di ciò che Buddha, Jeschuth-notzerith (il vero nome di Gesù, ancora una bugia!) e Maometto hanno definito con la parola amore.

Fascismo e socialismo alla fin fine non sono altro che il riflesso della nostra dualità che ci spinge o verso gli altri, o verso il ripiegamento su sé stessi, l'egoismo e la violenza. È necessario quindi che cambiamo noi, se vogliamo cambiare il mondo; è quello che l'Islam chiama djihad, la cabala ebrea la lotta per lo zain (la lotta interiore) e che Bakunin riassume in poche parole: “Per rivoltarsi contro questa influenza che la società esercita su di lui, l'uomo deve, almeno in parte, rivoltarsi contro sé stesso”.
di Gilles Bonafi

14 ottobre 2009

Tutti i poteri forti contro la politica estera italiana



Berlusconi, secondo il giudice milanese Raimondo Mesiano, dovrebbe scucire 1500 miliardi delle vecchie lire (750 mln di euro) per risarcire Carlo De Benedetti dopo la faccenda del famigerato “lodo Mondadori”. L’affaire del gruppo editoriale fondato da Arnaldo Mondadori nel 1907 ha alle spalle una sentenza, a quanto pare pilotata, emessa dalla Corte d’appello di Roma la quale, nel 1991, aveva dato ragione al Cavaliere (e torto a De Benedetti) circa il passaggio delle azioni dalla famiglia Formenton (erede dei Mondadori) al gruppo Fininvest, ribaltando un precedente verdetto di un collegio arbitrale, consentendo così a Berlusconi di prendere il controllo del gruppo nato ad Ostiglia.
Qualcuno potrebbe dire che si tratta della solita battaglia, senza esclusione di colpi, tra capitalisti e uomini d’affari, ma i due sunnominati personaggi non sono normali imprenditori che si prendono a calci in faccia per il denaro e per il potere economico. Berlusconi è, attualmente, Presidente del Consiglio, De Benedetti è la tessera n.1 del principale partito d’opposizione. Inevitabilmente lo scontro si sposta sul piano politico e tira in ballo tutto il paese.
Noi che siamo gente di mondo non ci facciamo illusioni e sappiamo perfettamente di che pasta sono fatti l’uno e l’altro in quanto tycoons e businessman, tuttavia non si può trascurare il fatto che De Benedetti rappresenta la parte più retriva, reazionaria e golpista dell’Italia, quella che ha appoggiato e contribuito a realizzare il colpo di mano giudiziario del 1992 (dal quale lo stesso Ingegnere è stato sfiorato e poi, chissà perché, subito lasciato in pace), favorendo il repulisti del precedente regime politico-parlamentare non più gradito a Washington, mentre Berlusconi è il bastone tra le ruote di quel progetto infame fondato su indagini dei magistrati a senso unico.
Da una parte, dunque, uno dei protagonisti del salotto buono, dei sempiterni poteri costituiti italiani che non decadono mai e dall’altra un parvenu guardato con sospetto ed alterigia dalla casta banco-industriale al comando nella nostra nazione. La colpa di Berlusconi è dunque quella di essere entrato in politica, ragionevolmente, per non fare la fine del suo mentore politico Bettino Craxi, andando a scompaginare i disegni divini degli Dei del capitalismo italiano i quali avevano già deciso il destino della nostra terra all’indomani della fine della Guerra Fredda e della dissoluzione dell’URSS.
Questo a Berlusconi non è mai stato perdonato, ma, soprattutto, non gli hanno condonato di non essersi piegato, come dice Vittorio Feltri nel suo editoriale di ieri, ai diktat delle banche, dei grandi enti privati, della finanza disinvolta e di alcune megaindustrie che da decenni stracomandano nel Bel Paese.
Purtroppo, Feltri dimentica di nominare la potenza straniera che ha intessuto le trame del complotto contro Berlusconi che poi è la stessa che aveva decretato la fine del regime DC-PSI per allargare le maglie del suo potere mondiale. E adesso siamo ripiombati in quel clima cospirativo perché Berlusconi ha peggiorato la sua situazione mettendosi in affari con Putin e con Gheddafi. Anche questo non gli sarà facilmente scusato. Il problema è che, come al solito, ci va di mezzo quel piccolo barlume di indipendenza che stava finalmente accendendo la politica estera italiana.

di Giovanni Petrosillo -

13 ottobre 2009

Il Dollaro deve essere svalutato della metà?




«Un anno fa» ha detto il professor Ross Buckley all’Abc News australiana «nessuno voleva saperne del Fondo Monetario Internazionale. Ora è l’Fmi che coordina il pacchetto internazionale di stimolo economico che è stato venduto come stimolo per i paesi poveri».

L’Fmi può aver ricevuto ben altri compiti. Secondo Jim Rickards, direttore della market intelligence per il gruppo di consulenza scientifica Omnis, il proposito non annunciato del Summit G20 di Pittsburgh (24 settembre) era che «l’Fmi venisse consacrato come ‘banca centrale globale’». Rickards ha detto in un’intervista alla Cnbc (25 settembre) che il piano è di far sì che l’Fmi emetta una moneta di riserva globale che rimpiazzi il dollaro.

«Hanno emesso debito per la prima volta nella storia» ha detto Rickards «stanno emettendo diritti speciali di prelievo (SDR). I primi SDR sono venuti fuori nel 1980 o nel 1981, per un valore di 30 miliardi di dollari. Ora si parla di 300 miliardi. E quando dico emettere, intendo stampare moneta; non c’è niente dietro questi diritti».

I diritti speciali di prelievo sono una moneta sintetica creata originariamente dall’Fmi per rimpiazzare oro e argento nelle grandi transazioni internazionali. Ma sono stati utilizzati poco finora. Come mai all’improvviso il mondo ha bisogno di una nuova divisa e di una banca centrale globale? Rickards dice che questo accade per il “dilemma di Triffin”, un problema notato per la prima volta dall’economista Robert Triffin negli anni Sessanta. Quando il mondo abbandonò il gold standard, una moneta di riserva dovette essere fornita da qualche Paese con una divisa forte in grado di sostenere il commercio internazionale. Ma lasciarla in questa funzione voleva dire, per il Paese di riferimento, comprare continuamente più di quanto vendesse, creando enormi deficit nella bilancia dei pagamenti, fino al collasso. Gli Usa hanno alimentato l’economia mondiale negli ultimi 50 anni, ma ora il meccanismo è saltato. Possono aggiustare il loro debito e mettere a posto la loro economia, ma ciò comporterebbe la contrazione degli scambi mondiali. Una moneta globale sostitutiva è necessaria mentre gli Usa risolvono i loro problemi debitori, e quella moneta deve essere l’SDR emessa dal Fondo. Questa è la soluzione al dilemma di Triffin, dice Rickards, ma lascia gli Usa in una posizione vulnerabile. Se dovessimo affrontare una guerra o un’altra catastrofe globale, non avremmo più il privilegio di stampare moneta. Dovremmo chiedere in prestito la moneta di riserva globale come tutti gli altri, mettendoci alla mercé dei creditori globali.

Per impedire questo sviluppo, la Federal Reserve ha lasciato intendere che è pronta ad alzare i tassi, anche se ciò creerebbe un nuovo problema all’economia reale. Rickards parla di un editoriale del governatore della Fed Kevin Warsh, pubblicato sul Wall Street Journal lo stesso giorno della riunione del G20. Warsh scriveva che la Fed dovrebbe alzare i tassi di interesse se salgono i prezzi degli asset – secondo Rickards, un’allusione all’oro, il tradizionale investimento rifugio di chi fugge dal dollaro. «Le banche centrali odiano l’oro perché limita la loro libertà di stampare moneta», ha aggiunto Rickards. Se l’oro andasse improvvisamente a 1.500 dollari l’oncia, sarebbe il collasso del dollaro. Warsh stava quindi dando al mercato un’indicazione che la Fed non avrebbe lasciato accadere una cosa del genere. La Fed avrebbe alzato i tassi per attrarre investimenti in dollari verso l’America. Secondo Rickards, «Warsh sta dicendo “Dobbiamo buttare il dollaro nella spazzatura, ma lo faremo gradualmente…” Warsh sta cercando di prevenire un declino instabile del dollaro. Quello che vogliono, ovviamente, è un declino stabile e costante».

Cosa dire del tradizionale compito della Fed, ovvero il mantenimento della stabilità dei prezzi? E’ un non-senso, secondo Rickards «Ciò che stanno facendo è inflazionare il dollaro per puntellare le banche». Il dollaro deve essere alzato perché c’è più debito insoluto che denaro per ripagarlo. Il governo ha sopravvenienze passive per 60 trilioni di dollari. «Non c’è una combinazione fattibile di crescita e tasse che possa finanziare quelle passività», secondo Rickards. Il governo può finanziarne circa la metà nei prossimi 14 anni, il che vuol dire che il dollaro deve essere svalutato della metà.

Il dollaro deve essere svalutato della metà?

Ridurre il valore del dollaro significa che i nostri sudati guadagni cominceranno a valere solo la metà, che non è una buona notizia per l’economia reale. In realtà la manovra non è fatta per noi, ma per le banche. Il dollaro deve essere svalutato come compensazione al dilemma del sistema monetario attuale, un dilemma più complicato di quello di Triffin, e che può ben essere chiamato una frode. Non c’è mai sufficiente denaro per pagare il debito insoluto, perché tutto il denaro oggi, con l’eccezione delle monete fisiche, è creato dalle banche nella forma di crediti, e sempre più danaro è dovuto indietro alle banche di quanto esse ne dispongano quando originano nuovi crediti. Le banche creano lo strumento principale ma non gli interessi necessari a ripagare i loro finanziamenti.

La Fed, che è controllata da un consorzio di banche e serve i loro interessi, ha il compito di controllare che le banche siano ripagate; e l’unico modo perché questo avvenga è attraverso un’offerta inflattiva di moneta, per creare i dollari necessari a coprire gli interessi mancanti. Ma questo vuol dire diluire il valore del dollaro, imponendo una tassa-ombra sui cittadini; e l’offerta monetaria è inflazionata attraverso maggiori finanziamenti, il che aumenta il carico di debiti più interessi che l’offerta abbondante di moneta avrebbe dovuto ridurre. Il sistema bancario è essenzialmente uno schema piramidale, che continua a funzionare semplicemente creando nuovo debito.

Il pacchetto di stimolo del Fondo (500 miliardi di dollari): serve ai paesi in via di sviluppo o alle banche?

E questo ci riporta al pacchetto di stimolo del Fmi discusso dal professor Buckley. È stato presentato come un aiuto ai paesi emergenti colpiti dalla crisi finanziaria globale, ma Buckley dubita che le cose stiano veramente così. Piuttosto, nota, i 500 miliardi di dollari impegnati dalle nazioni del G20 sono «un pacchetto di stimolo per le banche dei Paesi ricchi». Generalmente questi stimoli sono sotto forma di investimenti; il denaro proveniente dal Fmi sarà prestato sotto forma di finanziamento.

«Questi sono prestiti fatti dai Paesi del G20 ai Paesi poveri attraverso l’Fmi. Dovranno essere ripagati e saranno utilizzati per rifondere le banche internazionali adesso… Il denaro in realtà non arriverà mai nei Paesi poveri. Passerà attraverso di loro per ripagare i loro creditori… Ma i Paesi poveri ci metteranno 30 anni per rientrare da questo debito».

Fondamentalmente, dice Buckley, i prestiti Fmi comportano un aumento della seniority del debito. In pratica, i Paesi in via di sviluppo finiranno con l’essere ancora più incatenati al debito di quanto lo siano ora.

«Al momento il debito è dovuto dai Paesi poveri alle banche, e se i Paesi poveri dovessero farlo, potrebbero andare in default. Il debito bancario sarebbe sostituito da debito dovuto al Fondo, che per motivi strategici molto validi i Paesi poveri serviranno sempre… I Paesi ricchi hanno reso disponibili questi 500 miliardi di dollari per stimolare le loro stesse banche, e il Fmi è un ottimo intermediario tra quei Paesi, i debitori e le banche…».

Non molto tempo fa, il Fmi era stato chiamato obsoleto. Ora è di nuovo in auge e si è vendicato dei suoi detrattori; ma è il vecchio sporco gioco di servire da collettore per il sistema bancario internazionale. Fin quando i Paesi del Terzo Mondo possono pagare, attraverso gli interessi passivi, il servizio del debito, le banche possono segnare i crediti tra le partite attive dei loro libri contabili, e continuare ad alimentare lo schema piramidale e l’offerta inflazionata di moneta globale attraverso sempre nuovi crediti. È tutto per la maggior gloria delle banche e delle loro affiliate multinazionali; ma i 500 miliardi di dollari verranno dai contribuenti delle nazioni G20, e il risultato prevedibile sarà che gli Usa entreranno nel club delle nazioni indebitate al servizio dell’impero globale dei banchieri centrali.

Ellen Brown

11 ottobre 2009

Competere con tutti lascia soli


Dietro ai tanti malesseri di oggi; dietro alle ragazzette vittime o delinquenti date in forte crescita dai servizi sociali, ai padri che abbandonano o vengono abbandonati, alle madri prese da raptus omicidi; dietro a gruppi sociali scollati tra loro e preda dell’odio reciproco; dietro alle depressioni coperte dalle droghe, sta una sola parola, che descrive una condizione precisa e concreta: solitudine. Quella di chi è in famiglia, ma non sente su di sé uno sguardo che sia attento e amoroso.
Ma anche la solitudine di chi abita un territorio dove i legami sociali si sono allentati, e la gente non ti guarda, non ti vede se non per misurare il tuo successo sociale, la tua capacità di spesa.
Infine la solitudine di chi non sente più la solidarietà e l’affetto dei pari, la compagnia di quelli che fanno il tuo stesso lavoro, sui campi, in azienda, o nelle professioni e nei servizi, perché questa vicinanza è stata sopraffatta dalla competizione, dal lasciarsi dietro il pari grado per avvicinarsi a chi ha uno stato superiore, e dall’ansiosa presa di distanza da chi rimane indietro.

Queste dinamiche, lo sappiamo bene, sono sempre esistite, e sono legate in parte all’istinto di sopravvivenza, in parte a quella che Nietzsche ha chiamato «volontà di potenza». Quella spinta naturale per la quale un ciuffo d’erba tende ad allargarsi occupando lo spazio dei fili vicini.
Tuttavia nella storia e nell’indole umana è presente una forza particolare, che non ha la stessa evidenza nel mondo puramente naturale: quella dell’amore. È solo l’amore, quello cui si riferivano i fondatori della psicoanalisi col nome di Eros, a contrastare il vissuto inappagato e inquieto della solitudine (quella cui si ribella anche il primo uomo, Adamo, chiedendo al Signore una compagnia, uno sguardo, una voce).
Fu l’amore, oltre che la ricerca di alleanza, ad ispirare lungo la storia umana la solidarietà, il rispecchiarsi nell’altro, l’appartenenza. Sentimento complesso, l’appartenere ad altri, ad una patria, una classe, una comunità, una professione, arte o mestiere. Tuttavia è proprio lì che nasce l’identità, che non si costituisce certamente solo con quattro dati anagrafici. Ed è proprio l’identità, che rende meno forte, o più accettabile, il morso della solitudine. Come raccontano tante poesie, o lettere di emigranti, anche italiani: non sei veramente solo quando hai una Patria, una terra di origine, un popolo cui appartieni.
La famiglia, lo sguardo attento e amoroso della donna, dell’uomo, dei figli, è l’ultimo, importantissimo tratto di questo filo affettivo che ci lega al resto dell’umanità, indebolendo la solitudine e le sue patologie. Così, almeno è stato, con alterne vicende, nel corso del tempo.
Nell’epoca in cui viviamo la competizione economica ha però assunto un’importanza particolarmente vistosa, assicurando contemporaneamente un grande sviluppo della ricchezza (non altrettanto, pare, della felicità). La spinta a prevalere, a vincere e distaccarsi dall’altro ha così indebolito quella a legarsi, a cercare la solidarietà, l’essere insieme, l’amore appunto. L’interesse alla contrapposizione delle classi ha prevalso su quello della solidarietà tra tutto il popolo, quello della competizione tra i generi ha prevalso sull’amore tra uomo e donna, quello dei singoli territori su quello del benessere di tutta una Nazione.
Questa competizione universale non poteva restare esterna alla famiglia, oggi teatro di conflitti plurimi: padre-madre, genitori-figli, e quindi di nuove, profonde solitudini. Che diventano rapidamente terreno di crescita di ogni malessere e devianza.

di Claudio Risé

07 ottobre 2009

Sta per arrivare la morte del dollaro




Quasi a simboleggiare il nuovo ordine mondiale, gli Stati arabi hanno avviato trattative segrete con Cina, Russia e Francia per smettere di usare la valuta americana per le transazioni petrolifere.

Mettendo in atto la piu’ radicale trasformazione finanziaria della recente storia del Medio Oriente gli Stati arabi stanno pensando – insieme a Cina, Russia, Giappone e Francia – di abbandonare il dollaro come valuta per il pagamento del petrolio adottando al suo posto un paniere di valute tra cui lo yen giapponese, lo yuan cinese, l’euro, l’oro e una nuova moneta unica prevista per i Paesi aderenti al Consiglio per la cooperazione del Golfo, tra cui Arabia Saudita, Abu Dhabi, Kuwait e Qatar.



Incontri segreti hanno gia’ avuto luogo tra i ministri delle finanze e i governatori delle banche centrali della Russia, della Cina, del Giappone e del Brasile per mettere a punto il progetto che avra’ come conseguenza il fatto che il prezzo del greggio non sara’ piu’ espresso in dollari.

Il progetto, confermato al nostro giornale da fonti bancarie arabe dei Paesi del Golfo Persico e cinesi di Hong Kong, potrebbe contribuire a spiegare l’improvviso rincaro del prezzo dell’oro, ma preannuncia anche nei prossimi nove anni un esodo senza precedenti dai mercati del dollaro.

Gli americani, che sono al corrente degli incontri – pur non conoscendone i dettagli – sono certi di poter sventare questo intrigo internazionale di cui fanno parte leali alleati come il Giappone e i Paesi del Golfo. Sullo sfondo di questi incontri valutari, Sun Bigan, ex inviato speciale della Cina in Medio Oriente, ha sottolineato il rischio di approfondire le divisioni tra Cina e Stati Uniti in ordine alla loro influenza politica e petrolifera in Medio Oriente. “Le dispute e gli scontri bilaterali sono inevitabili”, ha detto all’Africa and Asia Review. “Non possiamo abbassare la guardia in merito all’ostilita’ che fronteggiamo in Medio Oriente sugli interessi energetici e la sicurezza”.

Questa frase ha tutta l’aria di una previsione pericolosa su una futura guerra economica tra Stati Uniti e Cina per il petrolio mediorientale – con il pericolo di trasformare i conflitti della regione in una lotta di supremazia delle grandi potenze. L’incremento della domanda di petrolio e’ piu’ marcato in Cina che negli Stati Uniti in quanto la crescita cinese e’ meno efficiente sotto il profilo energetico. Abbandonando il dollaro i pagamenti, stando a fonti bancarie cinesi, potrebbero essere effettuati in via transitoria in oro. Una indicazione della gigantesca quantita’ di denaro di cui si parla puo’ essere desunta dalla ricchezza di Abu Dhabi, Arabia Saudita, Kuwait e Qatar che insieme hanno, stando alle stime, riserve in dollari per 2.100 miliardi.

Il declino della potenza economica americana strettamente connesso all’attuale recessione globale e’ stato riconosciuto dal presidente della Banca Mondiale Robert Zoellick. “Una delle conseguenze di questa crisi potrebbe essere l’accettazione del fatto che sono cambiati i rapporti di forza economici”, ha detto a Istanbul prima delle riunioni di questa settimana del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale. Ma e’ stato il nuovo straordinario potere finanziario della Cina – non disgiunto dalla rabbia sia dei Paesi produttori che dei Paesi consumatori di petrolio nei confronti del potere di interferenza degli Stati Uniti nel sistema finanziario internazionale – a stimolare i recenti colloqui con i Paesi del Golfo.

Brasile e India si sono mostrati interessati a far parte di un sistema di pagamenti non piu’ basato sul dollaro. Allo stato la Cina appare la piu’ entusiasta tra le potenze finanziarie, non fosse altro che per il suo gigantesco interscambio commerciale con il Medio Oriente.

La Cina importa il 60% del petrolio che consuma, per lo piu’ dal Medio Oriente e dalla Russia. I cinesi hanno concessioni petrolifere in Iraq – bloccate fino a quest’anno dagli Stati Uniti – e dal 2008 hanno un accordo da 8 miliardi di dollari con l’Iran per lo sviluppo delle capacita’ di raffinazione e delle risorse di gas. La Cina ha contratti petroliferi in Sudan (dove ha sostituito gli Stati Uniti) e da tempo sta negoziando concessioni petrolifere in Libia dove tradizionalmente questo genere di accordi e’ del tipo joint venture.

Inoltre le esportazioni cinesi verso la regione ammontano ora a non meno del 10% delle importazioni di tutti i Paesi del Medio Oriente e includono una vasta gamma di prodotti che vanno dalle automobili agli armamenti, ai generi alimentari, al vestiario e persino alle bambole. Riconoscendo esplicitamente il crescente peso finanziario della Cina, il presidente della Banca Centrale Europea, Jean-Claude Trichet, ha chiesto l’altro ieri a Pechino di consentire alla yuan di apprezzarsi sul dollaro e, di conseguenza, di diminuire la dipendenza della Cina dalla politica monetaria americana contribuendo cosi’ a riequilibrare l’economia mondiale e ad alleggerire la pressione al rialzo sull’euro.

Dagli accordi di Bretton Woods – gli accordi conclusi dopo la seconda guerra mondiale che ci hanno tramandato l’architettura del moderno sistema finanziario internazionale – i partner commerciali degli Stati Uniti hanno dovuto affrontare le conseguenze della posizione di controllo di Washington e, negli anni piu’ recenti, dell’egemonia del dollaro in quanto principale valuta di riserva.

I cinesi credono, ad esempio, che siano stati gli americani a convincere la Gran Bretagna a non entrare nell’euro per impedire una fuga dal dollaro. Ma secondo le fonti bancarie cinesi i colloqui sono andati troppo avanti per poter essere bloccati. “Non e’ da escludere che nel paniere delle monete entri anche il rublo”, ha detto un importante broker di Hong Kong all’Indipendent. “La Gran Bretagna e’ presa in mezzo e finira’ per entrare nell’euro. Non ha scelta in quanto non potra’ piu’ usare il dollaro americano”.

Le fonti finanziarie cinesi sono convinte che il presidente Barack Obama sia troppo occupato a rimettere in piedi l’economia americana per concentrarsi sulle straordinarie implicazioni della transizione dal dollaro ad altre valute nel volgere di nove anni. Al momento la data fissata per l’abbandono del dollaro e’ il 2018.

Gli Stati Uniti hanno fatto appena cenno a questo problema in occasione del G20 di Pittsburgh. Il governatore della Banca centrale cinese e altri funzionari da anni sono preoccupati per la situazione del dollaro e non ne fanno mistero. Il loro problema e’ che gran parte della ricchezza nazionale e’ in dollari.

“Questi progetti cambieranno il volto delle transazioni finanziarie internazionali”, ha detto un banchiere cinese. “Stati Uniti e Gran Bretagna debbono essere molto preoccupati. Vi accorgerete di quanto sono preoccupati dalla pioggia di smentite che questa notizia scatenera’”.

Alla fine del mese scorso l’Iran ha annunciato che le sue riserve in valuta estera saranno in futuro in euro e non in dollari. I banchieri ricordano, naturalmente, quanto e’ capitato all’ultimo Paese produttore di petrolio del Medio Oriente che ha tentato di vendere il petrolio in euro e non in dollari. Pochi mesi dopo che Saddam Hussein aveva comunicato la sua decisione ai quattro venti, gli americani e gli inglesi hanno invaso l’Iraq.

di Robert Fisk

Fonte: www.independent.co.uk

06 ottobre 2009

Quando la recessione fa bene alla salute



La correlazione fra salute pubblica e cicli economici potrebbe essere molto più complessa di quanto finora supposto, secondo uno studio condotto da ricercatori dell'Università del Michigan che hanno analizzato i rapporti fra crescita economica e salute della popolazione degli Stati Uniti nel ventennio compreso fra il 1920 e il 1940, durante il quale si verificò la Grande depressione (1930-1933).

Secondo quanto osservano nell'articolo pubblicato sui "Proceedings of the National Academy of Sciences" (PNAS) in cui José A. Tapia Granados e Ana V. Diez Roux riferiscono gli esiti della ricerca, andrebbero attentamente distinti gli effetti a lungo termine dell'aumento del PIL (che andrebbero correlati a un insieme di più o meno lenti cambiamenti sociali di ampio respiro, come il miglioramento dell'alimentazione e la diminuzione delle dimensioni dei nuclei familiari) da quelli a breve termine indotti dai cicli economici espansivi.

Se infatti diverse ricerche hanno indicato la presenza di possibili effetti negativi a lunga scadenza dei periodi di recessione sulla salute (effetti misurati prendendo come parametri gli accessi nelle strutture ospedaliere e la morbilità), i risultati di questo studio, che ha preso un orizzonte temporale di follow-up di tre anni, sembrano infatti supportare l'ipotesi controintuitiva che, almeno sul breve periodo, la salute pubblica tende a migliorare più durante i periodi di recessione che durante quelli di espansione.

Da quanto rilevato dai ricercatori, per la maggior parte dei gruppi di età la mortalità ha toccato i suoi picchi negli anni di forte espansione economica (1923, 1926, 1929 e 1936-1937), mentre i momenti di recessione (1921, 1930-1933 e 1938) hanno coinciso con il declino della mortalità e l'aumento dell'aspettativa di vita.

L'unica eccezione, osservano i ricercatori, riguardava la mortalità per suicidio, che, pur cresciuta in discreta misura, ha pesato complessivamente per meno del due per cento di tutte le morti. Anche le analisi di correlazione e di regressione hanno confermato un significativo effetto negativo dell'espansione economica sul miglioramento della salute.

Secondo i ricercatori questo effetto paradossale sarebbe legato al fatto che nei periodi di espansione si avrebbe un aumento del consumo di tabacco e di alcol, una riduzione delle ore di sonno e un aumento dello stress fisico e psichico che potrebbero avere un'influenza negativa particolarmente marcata su quanti soffrono di patologie croniche. A ciò si sommerebbero l'aumento degli incidenti stradali e di quelli sul lavoro, e il peggioramento dell'inquinamento atmosferico, i cui effetti negativi a breve termine sulla mortalità da patologie respiratorie e cardiovascolari è ben documentata. A questo fenomeno contribuirebbe inoltre il fatto che nei periodi di espansione si è assistito a una crescita dell'isolamento sociale e all'allentamento delle misure sociali a sostegno delle fasce di popolazione più disagiata. (gg)

05 ottobre 2009

Lotta al signoraggio: quale rotta ?

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Ormai è chiaro, la battaglia per la sovranità monetaria è la causa più importante tra tutte le lotte politiche che ci è dato sostenere. Il meccanismo del signoraggio bancario, primario e secondario, affama i popoli più poveri e schiavizza quelli più ricchi, sia in senso letterale che metaforico.
Senza risolvere questo dramma, è perfettamente inutile spendersi in distinguo politici e partitici, in dibattiti su questa o quella legge particolare. Così come è oggi inutile votare o candidarsi, in questa plutocrazia mascherata che si finge democrazia e fa del voto l’alibi del proprio eternarsi.

La portata del fenomeno è tale che, risolto questo, ogni piano della nostra vita di cittadini e individui verrebbe innalzato su livelli che è difficile anche solo immaginare. Avremmo benefici non solo economici, conosceremmo cioè un benessere diverso da quello promulgato dal consumismo materialista; fatto di più tempo per noi e più spazio per la vita associata, senza l’assillo dell’insolvenza; i meccanismi finanziari che fomentano le guerre verrebbero ridimensionati, così come l’economia speculativa ridiverrebbe produttiva. Può darsi che il torbido dell’animo umano troverebbe presto un altro strumento per manifestarsi, è certo però che difficilmente sarebbe così ben congegnato come quello dell’appropriazione indebita della moneta.
Non starò qui a ricordare cosa sia il signoraggio. Vorrei invece riflettere sulla situazione odierna della lotta per sconfiggerlo, sui pericoli che incombono su di essa, così che sia possibile correre ai ripari e correggere la rotta.

A questo proposito viviamo un momento di stallo: il tema non riesce a raggiungere il grosso della popolazione. Della questione si parla già da diversi anni. Sono usciti autorevoli libri, se ne occupano vari siti internet e si tengono già da tempo delle conferenze. Ma, se da anni c’è gente che ci lavora, come mai non si è raccolto ancora nulla? Il coinvolgimento emotivo, lo sdegno viscerale che la questione suscita in chi la conosce a fondo per la prima volta, può scomparire, affievolirsi ed annacquarsi con tanta facilità? No. Sta semplicemente succedendo quello che spesso succede con il pensiero: da scoperta, da forza esterna alla coscienza, capace di scuoterla e colpirla, si è trasformato in parte di essa. E’ stato hegelianamente introiettato e ora fa parte del tranquillo bagaglio culturale dell’individuo che lo possiede. Girando per l’Italia, ho constatato che si interessano del tema, i gruppi più eterogenei: fascisti nostalgici, naziskin inacculturati, comunisti no global, ipertradizionalisti cattolici, grillini virtuali e con loro pochi cani sciolti dai più svariati interessi e orientamenti, Al di là della validità e della preparazione sul tema dei singoli individui, nella maggior parte dei casi si tende a ricreare una appartenenza ad un’elite. Negli incontri infatti i “veterani” fanno a gara con quelli che reputano nuovi arrivati, per dimostrare che loro ne sanno di più di tutti sull’ultimo bilancio della Banca d’Italia, su Gesell, sullo Scec o sul Simec, sull’omicidio Kennedy o sulle lobby massoniche.

Per l’individuo, tutto si trasforma in pezzi di identità da mantenere, da sbandierare, con cui distinguersi. Ciò impedisce il dialogo costruttivo e, intrappolando la questione signoraggio ora in un’aura miracolistica e misticheggiante, ora in un semplice fatto di appartenenza partitica, ora in un’esperienza qualsiasi ma diversificante, si allontanano quelli che in tali vesti non si riconoscono.
Solo per fare un esempio, in occasione del terzo anniversario della morte di Giacinto Auriti, mi è capitato di partecipare ad una riunione di “Auritiani”, come loro si sono definiti, e di fare con loro il giro delle chiese e delle chiesette di un’intera provincia abruzzese, nonché di sentir raccontare un’infinità di aneddoti religiosi su “Don Giacinto” e di sentir dire che non può capire a fondo il tema del signoraggio chi non comprende “la realtà delle due eucaristie, quella divina e quella demonica”.
Quello che mi chiedo è se un motivo di lotta può essere frustrato tanto da diventare solo un irrinunciabile segno di identità o in rari casi piccola fonte di sostentamento.

Insomma, ritengo che bisogna sgomberare il campo da personalismi, appartenenze a conventicole e gruppuscoli, abbandonare, per lo meno all’inizio, approcci dogmatici e parziali. Non perché in essi non vi sia verità, anzi. Ad esempio nell’approccio cristiano-tradizionale c’è molto di vero e di sano e la lotta cattolica all’usura, come ho scritto in articoli precedenti parlando di San Bernardino, è un esempio importante da seguire. E’ solo che si rischia di allontanare chi in essa non si riconosce pur condividendo la sostanza della critica al signoraggio, che può avvenire per mille motivi: da quello puramente economico (maggior benessere per sé) a quello morale, da quello estetico (bruttezza di ogni mascheramento del potere) a quello storico-politico (revanscismo post-bellico) e via dicendo.
Non è il momento di fare a gara sulla paternità della lotta, piuttosto occorre concentrarsi su pochi concetti da diffondere, la cui comprensibilità è sì ostica ma non così tanto come si crede.

Ci si deve chiedere piuttosto come mai, pur avendo raggiunto partiti politici, il signoraggio non abbia fatto breccia nel cuore e nel cervello della gente. Ne hanno parlato Storace, Buontempo, Tremonti, Ferrando, ne ha accennato Di Pietro e alcuni suoi uomini, e persino la Lega lo ha fatto proprio ma, è un dato di fatto, l’argomento non è “passato”.
E’ un problema strategico: impossibile raccogliere consensi intorno ad un partito del due per cento, solo perché questo propugna la lotta al signoraggio. Esso rimane un partito con una sua identità e la gente che le è estranea, pur essendo contro l’usura delle banche centrali, non andrà nemmeno ad informarsi su che cosa pensa quel partito in tema monetario. Occorre creare un partito apposito, con un unico punto programmatico: rinunciamo all’euro e lo Stato (non Bankitalia) stampi una sua moneta con su scritto “proprietà del portatore”, senza alcuna creazione di debito.
In realtà tale progetto lodevole sembrava essere partito ma sono passati già alcuni mesi dalla sua comparsa senza che ne sia sortito alcun fatto concreto.
Certo, si tratta di una battaglia difficilissima, disperata quasi, ma è l’unica soluzione. Lancio un’idea, senza preoccuparmi troppo delle strategie di realizzazione pratica: si faccia un’associazione con un rappresentante per provincia e si organizzino conferenze nei comuni, appoggiandosi alle altre associazioni culturali. Una volta conclusa l’opera d’informazione nei paesi si tirino le fila e si trasformi l’associazione in un movimento politico. Raccogliendo il sei-sette per cento si sarebbe forse in grado di entrare in una coalizione e di “forzare la mano” imponendo dal primo giorno la realizzazione dell’unico punto di programma.
di Matteo Simonetti

04 ottobre 2009

Santoro, Vespa e il sistema



Sono d'accordo anch'io che l'intervento del governo contro Annozero, oltre che illegittimo, è un'intimidazione inaudita, aggravata dal fatto di avvenire all'interno di un panorama televisivo nazionale occupato per i quattro quinti dal centro destra. Ma mi rifiuto di considerare Michele Santoro una vittima di regime. È piuttosto un prodotto, insieme a Bruno Vespa e ad altri conduttori, della distorsione oligopolista, e in alcuni periodi quasi monopolista, del sistema.
Supponiamo, per un attimo, di vivere in un Paese "normale", per usare un'espressione cara a D'Alema, dove c'è una Rete di Stato e altri quattro o cinque network indipendenti della stessa potenza. In quest'ipotetica Italia un ipotetico Santoro conduce sulla Rete di Stato un programma che, per vari motivi, non piace al suo Direttore. Può costui cancellare il programma ed eventualmente licenziare il conduttore che non lo convince? Certo che può è lui il responsabile di fronte all'Editore, altrimenti che ci sta a fare? In quest'ipotetica Italia l'ipotetico Santoro verrà ingaggiato da un altro network e, se davvero è così bravo, farà grandi ascolti e il Direttore che lo ha cacciato risponderà al proprio Editore per aver danneggiato l'azienda a vantaggio della concorrenza.
Ma nell'Italia reale le cose non stanno così. Se Santoro venisse licenziato non avrebbe alternative all'altezza (essendo per lui impensabile un passaggio a Mediaset). Questa che apparentemente è la sua debolezza è invece la sua forza. Perché diventa inamovibile, dato che qualsiasi intervento contro di lui o il suo programma si configura oggettivamente come un attentato alla libertà d'informazione. Tanto è vero che furoreggia da decenni, sui canali nazionali, come, dall'altro versante, Bruno Vespa, con i suoi modi più melliflui e subdoli. Tra l'altro non possiamo nemmeno sapere se i Vespa e i Santoro sono davvero così bravi, perché come non c'è una reale concorrenza a livello di Reti, non c'è neanche una reale concorrenza fra conduttori. Non hanno rivali. Anch'essi sfruttano l'oligopolio e fanno da tappo all'ingresso di forze più fresche, nuove, diverse ed eventualmente più capaci e meno ideologicamente schierate.
Come si esce da questa situazione aberrante? Concettualmente è chiaro. Si chiama "disarmo bilaterale", di cui qualche volta si è parlato: una Rete alla Rai che dipenda direttamente dal governo, come la Bbc inglese, perché anche il governo, che rappresenta tutti i cittadini, ha il diritto di dare un suo indirizzo latu sensu culturale al Paese, una Rete a Mediaset, e le restanti quattro messe sul mercato e vendute a editori indipendenti dalle prime due e indipendenti fra loro.
Ma a questa soluzione non si arriverà mai (se non, forse, nel Quarto Millennio) perché conviene a tutti. A Berlusconi perché consente al cosiddetto campione del liberismo di mantenere, con le sue tre Reti, una posizione totalmente illiberista col pressoché totale dominio dell'intero comparto televisivo privato nazionale. Ai partiti nel loro complesso, di sinistra e di destra, perché così possono continuare ad occupare arbitrariamente e illegittimamente la Rai, contro la Costituzione (che in nessun passaggio a ciò li autorizza) perché come Ente di Stato dovrebbe appartenere a tutti i cittadini e non ad alcune organizzazioni private quali i partiti sono. E conviene agli inamovibili Vespa e Santoro.
Conviene a tutti tranne che a noi cittadini. Che continueremo ad assistere in eterno a dibattiti impossibili, fasulli, grotteschi e truffaldini sull' "imparzialità" dell'informazione pubblica, come se ci fosse qualcuno che possa valutare oggettivamente un concetto così soggettivo, tanto più in un sistema in cui i vertici Rai, il Consiglio di Amministrazione, la Commissione di Vigilanza, i direttori, i vicedirettori, i capi struttura, oltre ai fattorini, sono tutti di nomina partitica, per cui ciò che è "imparziale" per l'uno diventa, automaticamente, "fazioso" per l'altro. Che barba, che noia, che stufida. Che voglia, nella nostra totale impotenza di sudditi, di spaccare tutto.

di Massimo Fini

03 ottobre 2009

Brunetta ci azzecca sul Britannia




- Nel corso della sua sfuriata al convegno del PdL di Cortina d'Ampezzo, il ministro Brunetta ad un certo punto ha interrogato il suo pubblico: "Ve lo ricordate il Britannia?".

"Ve lo ricordate il Britannia? Se non ve lo ricordate", dice Brunetta, "ve lo ricordo io. Il Britannia è una nave, appartenuta già alla casa reale inglese, che navigò davanti alle coste italiane [...], ospitando dentro banchieri, grand commis dello Stato, esponenti vari della burocrazia... in cui si svolse un lungo seminario, durato un paio di giorni, in cui si trassero le linee della svendita delle aziende di stato italiane".

Benché imperfetta, l'evocazione di quel complotto, denunciato dall'EIR nel 1993 (vedi la documentazione riepilogativa), riapre il sipario sul secolare tentativo di Londra di "scrivere il destino" dell'Italia (come di tanti altri Paesi).

In questa strategia imperiale, secolare e globale, trovano posto tutte le azioni che possano rivelarsi utili a ricondurre l'Italia ad uno stato di molto precedente quello del boom economico postbellico, di fatto preda del sistema imperiale della globalizzazione.

A questo riguardo, è più interessante guardare al timoniere, piuttosto che agli ospiti del Britannia. Se vogliamo dirla tutta, si tratta della stessa cricca che arma la mano degli "insorti" che hanno trucidato i sei soldati italiani in Afghanistan. Non vogliamo certamente dire che Draghi ordina ai Talebani di bombardare i nostri soldati ma, come abbiamo scritto, che "il tritolo che ha ucciso i soldati italiani è stato pagato con i soldi di Soros".

In altre parole, il pasticcio afghano in cui si è cacciata l'Italia a seguito degli Stati Uniti, è stato orchestrato dalle stesse forze del "nuovo impero britannico" che partorirono l'operazione Britannia. L'assalto contro l'Italia, che ebbe il culmine nell'anno del Britannia e che prosegue nella misura in cui dall'Italia si manifestano resistenze al nuovo impero della globalizzazione, al salvataggio delle banche ecc., va inquadrato nella strategia globale con cui si tenta di demolire gli stati nazionali per far posto alla Nuova Torre di Babele, come dice LaRouche. La guerra in Afghanistan fu escogitata per coinvolgere gli Stati Uniti in un disastro strategico e subire la stessa sorte che subì Atene con la Guerra del Peloponneso. A livello regionale, è la riedizione della strategia ottocentesca dell'Impero Britannico per il controllo dell'Asia meridionale.

Abbiamo più volte, in questo sito, documentato il ruolo degli inglesi nel "combattere e proteggere" i talebani, tanto da aver ottenuto per loro tramite un aumento della produzione dell'oppio. Dalle montagne afghane ai mercati della droga occidentali, riecheggia il nome di George Soros, paladino delle campagne per la liberalizzazione. Quel George Soros che l'Italia conobbe nella vicenda del Britannia e del successivo attacco alla lira che ci tramortì e ci fece accettare l'Euro senza batter ciglio.

Tuttavia – è bene ricordarlo - l'ossessione dei "Britannia Boys" non è l'Italia. Nel contesto della crisi globale, del collasso economico più grave della storia umana da noi conosciuta, l'oligarchia punta a rimuovere ogni paletto con cui la cospirazione repubblicana, che in America lottò in favore della "comunità di nazioni perfettamente sovrane" da contrapporre all'Impero Britannico, ha assestato i suoi successi storici.

Aver trascinato gli Stati Uniti, l'Italia e altri Paesi in Afghanistan, ovvero negli stessi luoghi in cui l'Impero Britannico sin dall'Ottocento non ebbe mai la meglio contro i "fanatici ribelli", è l'estremo tentativo (forse il più palese, oltre quello del salvataggio degli speculatori con emissioni di credito nazionale americano) di far affossare il sistema americano e ogni altra sua influenza nelle istituzioni di altre nazioni.

Chi dovrebbe sostituire gli Stati Uniti nella loro egemonia globale (non priva di macchie) è, nella mente dell'oligarchia, il governo mondiale attraverso "quel che è di Cesare", declinato nelle forme del "Financial Stability Board", o del Fondo Monetario Internazionale.

L'Italia, grazie all'azione di Tremonti che si oppone ai salvataggi indiscriminati delle banche, è un ostacolo da rimuovere su questa strada, specialmente in vista della prossima grave fase della crisi, in cui si chiederà agli Stati di dissanguarsi ulteriormente per gli speculatori. Non pretendiamo che Brunetta afferri tutto ciò, ma constatiamo che denunciando i "Britannia Boys", egli esprime un pensiero condiviso nel governo. Non basta per conquistare la fiducia del popolo italiano e di chi egli vorrebbe sganciare dalle "elites parassitarie". Occorre abbandonare il liberismo e sposare quelle tesi rooseveltiane e quella Nuova Bretton Woods di LaRouche che Brunetta ha finora osteggiato .

(MoviSol)

27 ottobre 2009

Facebook appartiene alla CIA?


Quando il delirio speculativo di Wall Street ha fatto credere agli improvvidi che il valore di Facebook ammontava a 15 milioni di dollari, nel 2008 Zuckerberg è diventato il miliardario “che si è fatto tutto da solo”, il più giovane della storia della “graduatoria” della rivista Forbes, con 1500 milioni di dollari. A quel momento, il capitale di rischio investito dalla CIA sembrava avere ottenuto degli ottimi rendimenti, ma nel 2009 il “valore” di Facebook è andato ad aggiustarsi al suo valore reale e Zuckerberg è scomparso dalla graduatoria Forbes.

La bolla Facebook si è gonfiata quando William Gates, il titolare di Microsoft, vi acquisiva nell’ottobre 2007 una partecipazione dell’1.6%, per un ammontare di 240 milioni di dollari.

Questa operazione induceva a fare il ragionamento per cui, se l’1% di Facebook corrispondeva a 150 milioni di dollari, allora il valore del 100% doveva ammontare a 15 miliardi di dollari, ma il sotterfugio finiva per apparire nella sua piena luce.

La questione di fondo è che Facebook esiste grazie ad un investimento di capitali di rischio della CIA. Nel 2009, i grandi mezzi di comunicazione non si sono risparmiati nel produrre “propaganda informativa” per rendere omaggio a Zuckerberg come paradigma del giovane imprenditore di successo, ma la diffusione reiterata di questa “informazione” non è stata in grado di indurre la rivista Forbes a mantenerlo nella sua graduatoria, versione 2009. (1) Il bambino prodigio spariva dalla lista, malgrado l’intensa campagna propagandistica della CNN e della grande stampa mondiale, che riflettevano gli interessi di Wall Street. La lista Forbes corrisponde ad un Premio Oscar dei grandi affari e fa gonfiare o sgonfiare il valore delle azioni.

La CIA ha investito in Facebook molto prima che questa rete divenisse una delle reti sociali più popolari di Internet, questo secondo una inchiesta del giornalista britannico Tom Hodgkinson pubblicata nel

2008 nel giornale inglese The Guardian (3) e ripresa e commentata da qualche mezzo di comunicazione indipendente di lingua inglese, ma senza alcuna ripercussione nella grande stampa.

La propaganda corporativa ha trasformato il portale sociale Facebook in sinonimo di successo, di popolarità, e nel contempo di buoni affari. Facebook si presenta come un inoffensivo sito web di relazioni sociali, che facilità i rapporti interpersonali. La sua popolarità ha fatto prevedere che i suoi approssimativamente 70 milioni di utilizzatori potrebbero aumentare in un paio di anni a 200 milioni nel mondo intero, dato che nelle migliori settimane Facebook è arrivato a ricevere fino a due milioni di nuovi utilizzatori. Nel frattempo, Facebook non convince proprio tutti!

Critiche e detrattori

“Colui che non compare su Facebook non conta nulla o si colloca fuori del sistema”, affermano taluni. Al contrario, altri dichiarano che si tratta di uno strumento atto a costruirsi una nuova immagine senza contenuti, per darsi dell’importanza nel mega-supermercato che è diventato Internet, sostituto dei posti pubblici di anziana memoria. I più pragmatici sostengono che Facebook consiste solo in uno strumento per ritrovarsi fra vecchi compagni di infanzia o di gioventù, che si sono persi di vista fra i movimenti della vita.

I suoi difensori di sinistra ribadiscono invece che Facebook serve a promuovere le lotte contro la globalizzazione e a coordinare campagne contro attività come le riunioni del G8.

Il giornalista spagnolo Pascual Serrano ha descritto come Facebook sia stato utilizzato dal governo della Colombia per coordinare la giornata mondiale contro le FARC, che nel 2008 ha marcato lo scatenarsi dell’offensiva propagandista contro la guerriglia, che continua tutt’oggi.

Ed è molto evidente come Facebook sia stato utilizzato dalla CIA.

Per Walter Goobar, di MiradasAlSur.com, “si è trattato in realtà di un esperimento di manipolazione globale: [...] Facebook è uno strumento sofisticato finanziato dall’Ufficio Centrale d’Informazione, la CIA, che non solamente lo utilizza per il reclutamento di agenti e per la compilazione di informazioni in lungo e in largo attraverso tutto il pianeta, ma anche per allestire operazioni sotto copertura.”

A grandi linee, Facebook è uno strumento di comunicazione che consente di contattare e di archiviare indirizzi ed altri dati relativi a famigliari ed amici. Per istituzioni come il ministero di Sicurezza per la Patria, degli Stati Uniti, e, in generale, per l’insieme degli apparati di sicurezza dello Stato, consacratisi con pari entusiasmo al “nemico” interno come a quello esterno, dopo l’era Bush, Facebook è una miniera di informazioni sulle amicizie dei suoi utilizzatori.

Milioni di utenti offrono informazioni sulla loro identità, fotografie, e liste di oggetti di consumo da loro preferiti.

Un messaggio proveniente da un amico invita all’iscrizione e a partecipare a Facebook.

I dati personali, spesso catturati da ogni sorta di truffatori e clonatori di carte bancarie, vanno inoltre ad approdare nei dischi rigidi dei computers dei sistemi di sicurezza degli USA.

Il sistema Beacon di Facebook realizza degli elenchi di utenti e associati, includendovi anche coloro che non si sono mai iscritti o quelli che hanno disattivato la loro registrazione. Facebook si dimostra essere più pratico e rapido degli InfraGard (2), che corrispondono a 23.000 micro-comunità o “cellule” di piccoli commercianti-informatori organizzati dall’FBI al fine di conoscere i profili psico-politici della loro clientela.

Dopo il dicembre 2006, la CIA ha utilizzato Facebook per reclutare nuovi agenti.

Altre organizzazioni governative devono sottoporre il reclutamento e gli ingaggi a regole federali, ma la CIA ha acquisito una maggior libertà di azione che non ha avuto mai nemmeno sotto l’amministrazione Bush, perfino per torturare senza salvare nemmeno le apparenze.

La CIA ha dichiarato: “ Non è necessario ottenere un qualsivoglia permesso per poterci inserire in questa rete sociale.”

Capitale di rischio della CIA

Il giornalista britannico Tom Hodgkinson ha lanciato un ben motivato segnale di allarme rispetto alla proprietà della CIA su Facebook in un articolo ben documentato, “With friends like these…”, pubblicato nel giornale londinese The Guardian, il 14 gennaio 2008 (3).

Il giornalista ha sottolineato come dopo l’11 settembre 2001 l’entusiasmo per l’alta tecnologia si è assolutamente intensificato.

Entusiasmo che aveva già catturato gli apparati di sicurezza degli Stati Uniti, dopo che costoro avevano creato due anni innanzi il fondo di capitali “In-Q-Tel”, per far fronte ad opportunità di investimenti a rischio nelle alte tecnologie.

Secondo il giornalista Hodgkinson, i collegamenti di Facebook con la CIA passano attraverso Jim Breyer, uno dei tre associati chiave che nell’aprile 2005 ha investito in questa rete sociale 12,7 milioni di dollari, associato anche al fondo di capitali Accel Partners, membro dei consigli direttivi di giganti del calibro di Wal-Mart e Marvel Entertainment e per di più ex-presidente di National Venture Capital Association (NVCA), caratterizzata nell’investire su giovani talenti.

Hodgkinson ha scritto: “La più recente tornata di finanziamenti di Facebook è stata condotta da una compagnia finanziaria denominata Greylock Venture Capital, che vi ha impegnato 27,5 milioni di dollari.

Uno dei più importanti associati di Greylock si chiama Howard Cox, che è un altro ex-presidente di NVCA, che inoltre fa parte del consiglio direttivo di In-Q-Tel”.

“E In-Q-Tel, in cosa si configura?” si domanda Hodgkinson. “Bene, che lo crediate o no, (comunque lo potete verificare sul suo sito web) si tratta di un fondo di capitali a rischio della CIA. Creato nel 1999, la sua missione è quella di “individuare e di associarsi a società che sono intenzionate a sviluppare nuove tecnologie, per sostenere l’apporto di nuove soluzioni necessarie all’Ufficio Centrale d’Informazione CIA”.

La pagina web di In-Q-Tel (4) raccomandata da Hodgkinson è del tutto esplicita: “Nel 1998, il Direttore della Centrale di Intelligence (DCI) identificava la tecnologia come una prerogativa strategica superiore, direttamente connessa ai progressi della CIA nelle future tecnologie per migliorare le sue missioni di base, di compilazione e di analisi. I responsabili della Direzione di Scienza e Tecnologia hanno elaborato un piano radicale per creare una nuova struttura d’impresa con il compito di consentire un accresciuto accesso dell’Agenzia all’innovazione del settore privato.”

Anche aggiungendo ancora acqua non potremo avere più limpidità, conclude Hodgkinson.

di Ernesto Carmona

26 ottobre 2009

Mussolini era un agente britannico,


La notizia pubblicata dal Guardian il 14 ottobre, sugli assegni pagati dall'intelligence britannico a Mussolini nel 1917, ha avuto grande eco su tutte le testate mondiali. Molti gli interrogativi sollevati, ma non quello centrale: gli inglesi promossero il fascismo? Che Mussolini fosse stato finanziato dal MI5 era già stato menzionato da Sir Samuel Hoare nelle sue memorie nel 1954, ma ora uno storico di Cambridge, Peter Martland, ha trovato le ricevute dei pagamenti nelle carte dell'ex ministro degli Esteri britannico, che nel 1917 dirigeva un gruppo di 100 agenti del MI5 a Roma.

Il motivo del finanziamento, che ammontava all'equivalente di 6000 sterline odierne alla settimana, era quello di sostenere la campagna di Mussolini a favore della continuazione dello sforzo bellico italiano al fianco di Francia e Gran Bretagna. Il momento era delicato: infatti, si erano succedute diverse iniziative di pace, da quella, fallita, del ministro degli esteri austriaco Czernin per una pace separata con la Francia all'appello di Papa Benedetto XV ai capi delle potenze belligeranti, che ebbe sicuramente un grande impatto in Italia. È dunque credibile che gli inglesi, che consideravano l'Italia "l'alleato bellico meno affidabile", raddoppiassero gli sforzi per impedire una pace separata e continuare la carneficina sul continente.

Ma la simpatia britannica per Mussolini andava oltre la contingenza. È noto che Churchill ammirava il Duce e condusse una corrispondenza fino a pochi giorni dall'ingresso dell'Italia nella seconda guerra mondiale. Corrispondenza che molto probabilmente il Duce, in fuga verso la Svizzera nell'aprile 1945, recava con sé come lasciapassare e che scomparve dopo che Mussolini e la Petacci furono catturati e uccisi per ordine di Churchill.

Come ha documentato Jeff Steinberg in un articolo sull'EIR il 30 maggio 2003, sia il fascismo che il nazismo furono promossi da un'alleanza internazionale di finanzieri, di cui Samuel Hoare era autorevole membro. Questo gruppo si raccoglieva attorno a formazioni semi-segrete come il "Movimento Sinarchista dell'Impero" o ufficiali come, dal 1922, l'Unione Paneuropea fondata dal conte Coudenhouve-Kalergi.

Nei rapporti dell'intelligence americano durante la seconda guerra mondiale, raccolti da William Langer nel libro "Our Vichy Gamble", si descrivono gli scopi di questo gruppo come "il sogno di un nuovo sistema di 'sinarchia', e cioè il governo d'Europa su principii fascisti da parte di una fratellanza internazionale di finanzieri e industriali". Nell'ambito di questo disegno, una influente fazione dell'Impero Britannico, che comprendeva Hoare e Lord Beaverbrook, pianificò persino un colpo di stato per rovesciare Churchill e instaurare un governo filo-fascista a Londra.

Nel 1930, l'alleanza sinarchista diede vita alla Banca per i Regolamenti Internazionali (BIS). Gli artefici principali della BIS furono Montagu Norman, capo della Bank of England, Hjalmar Schacht (che poi divenne ministro dell'economia di Hitler) e Alberto Beneduce, il capo della politica economica del fascismo. Lo scopo della BIS fu di assicurare la stabilità del sistema monetario e finanziario post-Versailles, dominato dalla Gran Bretagna e basato sulle riparazioni di guerra imposte alla Germania.

Lo storico americano Carroll Quigley descrive la BIS così: "Questo sistema avrebbe dovuto essere controllato in modo feudale dalle banche centrali del mondo agenti in concerto, con accordi segreti stipulati nel corso di frequenti incontri e conferenze privati. L'apice del sistema doveva essere la Banca per i Regolamenti Internazionali di Basilea, una banca privata posseduta e controllata dalle banche centrali, esse stesse delle imprese private. Ogni banca centrale, nelle mani di uomini come Montagu Norman della Bank of England, Benjamin Strong della Federal Reserve di New York, Charles Rist della Banca di Francia e Hjalmar Schacht della Reichsbank, si adoperava per dominare il proprio governo tramite la sua abilità nel controllare i prestiti del Tesoro, manipolare i cambi esteri, influenzare il livello di attività economica nel paese e influenzare i politici compiacenti con successive remunerazioni nel mondo degli affari".

L'ostacolo iniziale alla partecipazione italiana era il pericolo di interferenza governativa sulla Banca d'Italia. Beneduce, come plenipotenziario di Mussolini, offrì la massima garanzia di indipendenza e riuscì a convincere Norman. Fu nominato vicepresidente della BIS.

Il ruolo della BIS nel promuovere l'ascesa al potere di Hitler è ben documentato nel libro "Das Hitler-Buch", scritto da un gruppo di ricercatori guidati da Helga Zepp-LaRouche (Wiesbaden, 1984).

by (MoviSol)

25 ottobre 2009

Clinton e la nascita della precarietà

Esiste una certa confusione sulla nascita della precarieta’ lavorativa. Essa viene normalmente attribuita alle destre, che invece non si sono mai sognate di fare qualcosa di simile. Quando, di preciso, si inizia a gridare al mondo che “il lavoro dipendente non esiste piu’”, e che “mobil e’ bello?”

Tutto inizia quando Bill Clinton, dopo essere stato eletto, si ritrova con un parlamento ostile perche’ la sua politica e’ stagnante. Cosi’, dopo aver messo un ex consigliere di Coca Cola come ministro del lavoro , decide di ridisegnare i contorni del mondo dell’impiego, allo scopo di aumentare la produttivita’ delle aziende. Questo provvedimento non e’ affatto “di sinistra”, nel senso che si tratta di un ripiego senza il quale il senato rischia di bocciargli l’equivalente della nostra finanziaria, caso nel quale sarebbe costretto , di fatto , a dimettersi.

Clinton, per sfuggire a questo destino, si inventa “la sinistra che fa cose di destra”, spacciando per “New Democrat” questa cosa, e potendo cosi’ accontentare un parlamento ostile. In questo modo Clinton si garanti’ otto anni di governo, e garanti’ agli stati uniti ben DUE crisi economiche, quella del 2001 e quella del credit crunch.

Ma andiamo con ordine. Clinton prima vara alcune riforme, chesono il GATT, l’ HIPAA e il WIA, con le quali rispettivamente ricostruisce i rapporti di lavoro favorendo le esternalizzazioni, fornisce una tassazione favorevole ai “self employee”, al punto che convenne agli americani fare lo stesso lavoro da non-assunti (come le nostre “partitine IVA”) e legifera l’uscita dello stato e delle amministrazioni locali dalle trattative per il reintegro lavorativo dei lavoratori licenziati.

Con queste tre leggi, di fatto, il lavoro negli Stati Uniti diventa “liquido”, secondo la nuova ideologia di “sinistra” americana, concepita per essere “bipartisan”, cioe’ per piacere alla destra. E’ come se pur di essere bipartisan e piacere ai nazisti, Israele chiedesse di inserire nella dichiarazione dei diritti umani “alcune ore di svago genocida per giovani ragazzi biondi”.

Cosi’, nasce la moda del “new democrat”, che in Inghilterra diverra’ “New Labour” con Blair, e qui da noi verra’ chiamata “riformismo” con d’Alema. Nella tabella sotto vediamo l’ordine di propagazione della “riforma clinton” verso l’europa.

In Europa questa riforma arriva insieme al boom della new economy, che arriva insieme alla riforma fiscale americana HIPAA, e a qualche tempo dal Digital Millennium Act. Essa viene adottata, praticamente nello stesso anno, sia in UK che in Italia, da Treu e da Blair contemporaneamente.

Faccio presente che Sir John Major, predecessore di Blair non ha mai osato arrivare a tanto, figuriamoci al delirio che Blair espresse come ideologia politica iper-liberista nel suo “Tony Blair, New Britain : My Vision of a Young Country, Fourth Estate, London, 1996. “

Tutta questa moda fatta di parole inglesi non poteva non arrivare in Italia, dove ad un solo anno dall’uscita del libro di Blair, gia’ si stanno creando le basi per la riforma Treu, che viene varata sotto il governo di Romano Prodi.

Ordine cronologico, in rosso l’adozione di norme sui lavori “atipici”, ovvero precari. In verde la necessaria riforma per compensare la crescita di rischi indotta sul mercato finanziario con la possibilita’ di cartolarizzare e di contabilizzare i rischi come asset.

AnnoUSAUKIT
1990George BushJohn MajorGiulio Andreotti
1991George BushJohn MajorGiulio Andreotti
1992Bill ClintonJohn MajorGiuliano Amato
1993Bill ClintonJohn MajorCarlo Azeglio Ciampi
1994Bill Clinton (GATT)
John MajorSilvio Berlusconi
1995Bill ClintonJohn MajorLamberto Dini
1996Bill Clinton (HIPAA)
John MajorRomano Prodi
1997Bill ClintonTony Blair (New Britain(1))
Romano Prodi (Rif. TREU)
1998Bill Clinton (WIA)
Tony Blair
Romano Prodi
1999Bill Clinton (FMLE)
Tony Blair
Massimo d’Alema
2000Bill ClintonTony Blair Massimo d’Alema

Vorrei far notare una cosa: tutta questa liquidita’ produce un problemino alle banche gia’ durante la New Economy. Clinton aveva creato nove distretti industriali a ridotta tassazione e a ridotto controllo fiscale, nelle quali come si diceva in italia “si finanziavano le idee”. Qual’era il problema?

Che le banche chiesero al governo “e come cazzo distribuiamo i rischi, visto che su 10 startup che finanziamo solo una arriva al successo? Non possiamo chiedere rendimenti del 90%”. La risposta dell’amministrazione Clinton fu il FMLE, Financial Market Leverage Enhancement, che permetteva tutti quei meccanismi di cartolarizzazione che produssero prima la speculazione della “new economy”, e poi la bolla speculativa che abbiamo visto al lavoro come “credit crunch”. Nei paesi europei non si fece (all’epoca) nulla di nuovo, e solo qualche tempo dopo gli UK seguirono l’esempio, ma siamo gia’ dopo l’era clinton. In italia la legislazione rimase piuttosto rigida, per cui abbiamo tenuto “abbastanza bene” la crisi del credit crunch.

Quindi, non e’ assolutamente vero che fu la destra ad istituire queste cose, ne’ ad inventarle. Bisogna stare molto attenti a tutto questo, perche’ di fatto questo e’ il problema della sinistra: di fatto tutte le sinistre europee attuali si sono allineate con questo New Democrat, o New Labour , e solo quella tedesca sta iniziando una vera e propria epurazione con una vera e propria autocritica.

Il motivo per il quale oggi il PD tace quando c’e’ un dibattito sul lavoro come quello innescato da Tremonti e’ proprio che e’ questo “new labour”, questa “nuova sinistra”, questa sinistra al passo coi tempi, ad aver devastato il mercato del lavoro. Non dimentichiamo che al tavolo con Treu c’era Cofferati, che fu segretario generale della CGIL dal 1994 al 2002, e che fu tra i controfirmatari del pacchetto.

Quando oggi ci si lamenta dei “precari della scuola” si dimentica che il mondo statale ancora e’ l’unico a tollerare la figura giuridica del co.co.co, estinta nelle riforme successive (in special modo D. lgs. n° 276/2003) , e mantenuta ad hoc per gli impieghistatali. I signori della scuola non stanno pagando le riforme di Biagi, ma quella di Treu.

Quindi, il vero problema assolutamente paralizzante della sinistra e’ il fatto di aver seguito Clinton nel suo delirio. Il problema e’ che Clinton godeva di un’america in grossa crescita economica, e fece quella cosa non perche’ ci credesse, ma perche’ costretto da una maggioranza incerta al senato , che lo costringeva a proporre leggi che andassero bene a tutti.

Cosi’, si invento’ un’ideologia estemporanea, convincendo il proprio partito che “nuova sinistra=destra” , e ovviamente non aveva nulla di cui convincere i liberisti, che erano gia’ convintissimi di loro.

Allora direte: ma cosi’ stai dicendo che sia una cosa di destra. Eh, no: lo era. Ma con Clinton, il liberismo diventa di sinistra. E’ colpa di Clinton se le sinistre diventano questo merdaio contraddittorio e modaiolo, ed e’ colpa di Clinton se certe idee hanno potuto attecchire e mantenersi a sinistra.

Ma e’ anche colpa di Blair, che mettendosi a scrivere libri e a propagare pseudoideologie , come col suo libello sull” Giovane Inghilterra” si mette a fare il vate del “New Labour”, che altro non e’ se non la destra tatcheriana portata a sinistra.Questa non e’ colpa della destra: e’ assolutamente normale che una destra liberista faccia la destra liberista. Ne’ la destra si e’ mai sognata di pretendere o chiedere che la sinistra aderisse alle sue idee. Quando i repubblicani hanno preso la maggioranza al senato americano, se Clinton si fosse tolto dalle palle gli sarebbe andato benissimo, non e’ che pretendevano che i repubblicani diventassero degli iperliberisti turbocapitalisti.

E’ stato Clinton a voler fare bon viso a cattivo gioco e aprire le porte all’assediante. Se tu consegni le chiavi del tuo castello agli avversari, abbandoni la tua bandiera e ti dichiari al servizio della loro causa, non e’ che puoi dare la colpa al tuoi avversari: loro stavano bene anche ad averti come prima.

Quindi, quando uno di sinistra vi dice che il precariato e’ una cosa di destra, mi spiace ma ha torto: il precariato che conoscete lo dovete attribuire alla “nuova sinistra”, che va dal New Democrat americano al New Labour inglese, fino alla sinistra “Moderna e al passo coi tempi” italiana.

La destra con le sue riforme e’ arrivata dopo, e ha cambiato di pochissimo la situazione. I precari della pubblica amministrazione esistono perche’ la forma lavorativa del co.co.co , abolita nel privato perche’ permetteva il lavoro dipendente mascherato, fu conservata nel pubblico impiego. Quindi non vi incazzate, e prendetevela con Prodi, Treu, Cofferati, cioe’ con coloro che seguirono la moda di Clinton e Blair e si accodarono al massacro.

Alla destra potete chiedere una politica sociale solo se si tratta di una destra molto consociativa o ad una destra assistenziale di stampo veterodemocristiano: per il resto, non c’e’ ragione di chiedere una cosa come quella proposta da Tremonti, che arriva agli onori della stampa solo perche’ c’e’ un forte mal di pancia tra le banche.

Porre fine a questo disastro sarebbe compito delle sinistre, ma c’e’ un guaio: che sono state loro a farlo. E siccome non stanno facendo nessuna autocritica, e stanno tenendo al potere gli stessi uomini, non aspettatevi che sia possibile farlo da sinistra.

L’unico partito che oggi come oggi ha la liberta’ ideologica e la sensibilita’ popolare atta a svolgere questo compito e’ la Lega.

Finche’ la sinistra non ha il coraggio di fare autocritica (come sta succedendo qui in Germania) e di iniziare un percorso che la purifichi di questo incidente storico nato per le esigenze spicciole di Clinton, non c’e’ altra alternativa.

E dovrete rassegnarvi a vedere un dibattito sul precariato, cioe’ sul mondo del lavoro, nel quale parlano tutti, da Tremonti a Berlusconi, dalla Marcegaglia ad Epifani, tranne il PD, cioe’ il partito ispirato al “New Labour”, che nella pronuncia di Rutelli sembra quasi un profetico “No Labour”.

Ma non venite a raccontare che la colpa sia delle destre, perche’ non lo e’. Se il lupo ti mangia perche’ per libera scelta ti sei fatto pecora, e solo per quello, la colpa non e’ del lupo, ma della tua libera decisione di essere pecora.

Non c’era ALCUNA necessita’ indotta dal mercato per comportarsi in questo modo. L’ UNICA necessita’ in gioco era la sopravvivenza politica di un Clinton che doveva fare leggi che un parlamento in mano ai repubblicani potesse accettare.Non era scritto sulla Bibbia e non era una necessita’: era solo uno stratagemma di partiti di sinistra fallimentari che , dopo aver perso il consenso dell’elettore di sinistra, si sforzano di usare il consenso degli elettori di destra. Niente di piu’.

E se non ci sara’ nessuna autocritica, da parte dei fichissimi troppo buoni e troppo British e troppo New Labour, avete come unico partito della working class la Lega Nord: buona fortuna.

di Uriel

24 ottobre 2009

Crisi: Draghi assolve economisti e banchieri




Crisi: Draghi assolve economisti e banchieri



Il suo intervento alla 50esima riunione scientifica annuale della Società italiana degli economisti è stata l’occasione per Mario Draghi per ribadire la sua fede nel Libero Mercato, al di là dei problemi che negli ultimi anni ne hanno seriamente messo in crisi le fondamenta. Il governatore della Banca d’Italia ha affermato che le risposte date alla crisi sono state efficaci grazie al lavoro degli economisti che non hanno fatto mancare i loro consigli ai governi. La professione di economista, ha sostenuto, deve essere valutata in primis per le risposte che ha saputo finora dare alla crisi. E allora, da questo punto di vista il bilancio è “largamente positivo”.
In verità ci pare di ricordare che le principali misure adottate dai governi siano state quelle di versare sostanziosi aiuti pubblici alle banche private che erano finite sull’orlo del baratro a causa delle proprie speculazioni. Seguite dalle analoghe iniziative delle banche centrali di immettere liquidità nel sistema finanziario internazionale per evitarne il collasso. Misure che, al di là delle responsabilità di questo o quel soggetto, sono andate a compensare l’incapacità delle autorità di controllo e degli stessi economisti di prevedere l’uragano che stava arrivando. Economisti che, nonostante le lodi auto referenziali, non erano stati in grado di leggere il divenire dell’economia, al di là delle sue aride cifre. Così la funzione degli economisti è tornata di attualità solo per il dopo crisi non essendo stati all’altezza del proprio ruolo per evitarla o quantomeno per lanciare il necessario allarme.
Draghi, dopo aver sostenuto che sono state messe in campo misure “senza precedenti per ammontare e per tipologia”, ha rivendicato a merito degli economisti quello di averne determinato la dimensione e la natura, mentre si era di fronte ad un disorientamento generale e all’incapacità diffusa di fornire una terapia adatta alla crisi. Affermazioni che implicano una deformazione della realtà. “Si sono sognati pogrom di economisti - ha lamentato - e si è aperta una caccia al colpevole”. Ma Draghi ha insistito, e rilanciando nel suo peana liberista, ha affermato che grazie agli economisti, si sono evitati errori. Come ad esempio, e ti pareva, “il ricorso a misure protezionistiche”. Le stesse, a suo dire, che in altre occasioni, si erano rivelati “letali”. Insomma il Libero Mercato globale è la panacea di tutti i mali e il migliore dei mondi possibili anche se diffonde povertà e disoccupazione.
Certo, ha dovuto concedere l’ex dirigente della Goldman Sachs, si deve cogliere da questa crisi “lo stimolo a riflettere seriamente e senza pregiudizi sull’adeguatezza dello strumentario analitico degli economisti, per correggere errori e individuare fruttuose direzioni di marcia per il futuro”.
Ma poi una assoluzione generale per gli economisti e per se stesso come presidente del Fsb (Financial Stability Board) che dovrebbe monitorare le distorsioni dei mercati. In particolare quando Draghi ha sostenuto che la capacità di previsione negli anni precedenti la crisi sia stata migliore di quanto comunemente ritenuto. A suo avviso infatti, “molti degli squilibri, degli eccessi, degli incentivi distorti che avrebbero potuto condurre alla crisi erano stati identificati in importanti contributi”. E allora perché la crisi è arrivata praticamente inaspettata? Secondo Draghi, questo è stato determinato anche da un’analisi che rimaneva ostinatamente macroeconomica sulle reali condizioni del settore finanziario. Affermazione che significa che nessuno di quanti dovevano controllare è andato a studiare ad esempio la situazione della singola banca.
Ma non c’è dubbio, ha dovuto ammettere ancora, che si sia rivelata mal riposta la fiducia nella capacità del mercato di autoregolarsi e generare in ogni circostanza allocazioni efficienti delle risorse. In altre parole è saltato il fondamento del Libero Mercato. Così, soprattutto negli Usa, l’equazione “Libero Mercato uguale mercato senza regole” era divenuta il patrimonio comune di molti politici e autorità di controllo o regolatrici. Come ad esempio, ma questo Draghi non lo ha detto, le banche centrali.

di Andrea Angelini

22 ottobre 2009

Un sistema economico strutturalmente irrecuperabile


Coloro che credono ancora nei benefici della mano invisibile del mercato, dovrebbero rendersi conto che quest'ultima ci sta ripulendo le tasche a vantaggio di pochi. L'attualità ce lo mostra ogni giorno.

Sì, sì, la recessione è finita. Comincia ora la depressione e la disoccupazione di massa ne è l'indizio rivelatore. Non è il 1929, è molto peggio. Non tornerò sulle mie diverse analisi, perché ben presto gli eventi si susseguiranno (guerre, fallimenti, crack borsistici...)

Per capire perché la borsa continui a funzionare, basta leggere ciò che Pierre Jovanovic scrive sul suo blog.

Spiega così che il «40% dell' NYSE è generato da cinque titoli» cosa confermata dall'analista finanziario Olivier Crottaz che ne ha anche pubblicato il grafico relativo.

Insomma, si rifilano pacchetti d'azioni facendo montare la maionese e tutto questo sconnesso da qualsiasi realtà economica. Grottesco!

Ho quindi deciso di scrivere une serie di articoli per dimostrare che ciò che molti chiamano capitalismo, non solo è una mostruosità, ma inoltre è completamente irrecuperabile.

Ho spesso usato il termine crisi sistemica per analizzare il crack attuale, ma dovremmo piuttosto parlare di crisi strutturale.

Infatti, ci sono stati molti studi sul fallimento del comunismo e le sue derive dittatoriali (Stalin, Mao), ma ci sono poche analisi di fondo riguardanti il nostro sistema economico attuale che, anch'esso, non può far altro che portarci al disastro e alla dittatura.

Innanzitutto, bisogna notare che Karl Marx ha fatto due errori fondamentali.

In primo luogo, la sua analisi si basa sull'idea che è “il calo tendenziale del tasso di profitto che è all'origine delle crisi che costellano la storia del capitalismo”.

L'economista Philippe Simmonnot ha confutato in modo chairo questa teoria. Per chi vuole approfondire, la spiegazione de L'errore di Marx è sul mio blog.

Inoltre, Marx ha “dimenticato” Freud (che è arrivato dopo) e i suoi lavori sull'inconscio, che Bernard Stiegler riassume affermando che “il capitalismo del XX secolo ha catturato la nostra libido e l'ha sviata dagli investimenti sociali”. Posso aggiungere che ha finito col resettarci tramite il feticismo dell'oggetto.

Poiché l'insieme dei media appartiene al gruppetto dominante, la realtà ha finito col scapparci e non vediamo più il mondo com'è. Questo “psico-potere” che permette di fabbricare la nostra coscienza collettiva, è il solo da distruggere veramente, perché “solo la verità è rivoluzionaria”.

Del resto, secondo Hannah Arendt, il totalitarismo è innanzitutto una dinamica di distruzione della realtà e delle strutture sociali.

Per capire meglio, bisogna rileggere «Il mondo nuovo» di Aldous Huxley, che non è un romanzo, ma un programma politico ben riassunto nella prefazione del 1946: «Uno stato totalitario davvero “efficiente” sarebbe quello in cui l'onnipotente comitato esecutivo dei capi politici e il loro esercito di direttori governerebbero su una popolazione di schiavi che sarebbe inutile forzare, perché avrebbero l'amore per la loro servitù».

Tra l'altro l'opera fa una sintesi della nostra epoca: «Man mano che diminuisce la libertà economica e politica, in cambio la libertà sessuale tende a crescere». Anche Claude Lévi-Strauss ne aveva parlato: «La funzione primaria della comunicazione scritta è di facilitare l'asservimento».

Siamo quindi una popolazione di schiavi, un'idea che il film di Jean-François Brient «De la servitude moderne» [NdT: Sulla servitù moderna] mostra in maniera esplicita [De la servitude moderne n°1, De la servitude moderne n°2, De la servitude moderne n° 3 (sul mio blog)].

Nonostante ciò, è importante analizzare perché alla fin fine il capitalismo ci porta alla dittatura. Infatti, gli economisti diventati matematici, han dimenticato che ciò che caratterizza il nostro sistema economico è quel suo lato mafioso retto da una sola legge, quella del più forte.

Mazzette, minacce e assassinii sono parte integrante del processo di conquista dei mercati. Gomorra di Roberto Saviano è il riflesso perfetto della nostra società.

Questo viene rappresentato sul piano matematico (dato che il mondo è scritto in linguaggio matematico) dalla legge di Pareto che mostra come le entrate si dividono sempre secondo una legge matematica decrescente a legge di potenza. L'economista Moshe Levy spiega che “la legge di Pareto, lungi dall'essere universale e ineluttabile, sarebbe solo il modoo di funzionamento particolare di una società egocentrica” e che “sono gli effetti stocastici (e non l'indigenza e il lavoro) della concorrenza ad arricchire pochi a scapito della maggioranza, portando alla ripartizione di Pareto”.

Per rimanere nell'ambito della matematica, è importante capire cos'è un frattale. Gli oggetti frattali sono imparentati a strutture a rete, e sono sottoposti alla legge di Pareto. Per fare un esempio, il 20% dei più ricchi detiene l'80% del capitale, ma all'interno di questo 20% si applica ancora la legge di Pareto, e così via... Del resto, le 20 persone più ricche del mondo hanno un capitale personale stimato nel 2009 a 415 miliardi di dollari, ossia poco meno del PIL svizzero (500 miliardi di dollari)! (Lista dei miliardari del mondo nel 2009)

L'1% dei più ricchi rappresentava il 10% del PIL nel 1979 e il 23% oggi. Saranno il 53% nel 2039?

Bisogna quindi capire che la pecca fondamentale del nostro sistema economico risiede nell'accumulo del capitale. Infatti, il capitalismo porta strutturalmente alla dittatura attraverso un accumulo colossale di ricchezze da parte di pochi.

Il capitalismo è quindi per natura non redistributivo. Infatti, per via della sua struttura basata sul debito, favorisce il capitale e mette la banca e la finanza al centro del sistema. Bene, la maggior parte degli interessi alla fine è riscosso da un piccolo numero di persone che finiscono con l'impadronirsi del sistema. Io lo chiamo effetto Monopoli (Famoso gioco in cui, dopo aver rovinato gli altri, sopravvive un solo giocatore).

Coloro che credono ancora nei benefici della mano invisibile del mercato, dovrebbero rendersi conto che quest'ultima ci sta ripulendo le tasche a vantaggio di pochi. L'attualità ce lo mostra ogni giorno.

Inoltre, sul piano matematico un investimento di denaro è un esponenziale. Potete del resto constatarlo cliccando su Esponenziale e capitale.

Ma questo accumulo di capitali ha una contropartita: l'accumulo di debiti, perché alla fin fine il denaro non viene creato ex nihilo, al contrario di quello che cercano di farvi credere (solo le banche centrali possono creare la moneta). Il nostro sistema economico è quindi diventato un grande schema di Ponzi, e questo è confermato anche dallo stesso Nouriel-Roubini: “Americani, guardiamoci allo specchio: Madoff, siamo noi, e il Signor Ponzi, siamo noi!”.

Avevo già indicato questo problema nell'articolo Crise systémique – Les solutions (n°5 : une constitution pour l'économie) [NdT: Crisi sistemica – Le soluzioni (n°5: una costituzione per l'economia)] e affermavo che questo sistema, che funziona sul debito e l'appropriamento della maggior parte degli interessi da parte di pochi, col passare degli anni impone l'allargamento della base di credito. E, quando si cominciano a fare prestiti a persone che non possono rimborsarli (i poveri), il sistema sprofonda.

E sì che tutte le religioni hanno condannato (a volte con diverse sfumature) il prestito con interessi, perché lo consideravano amorale, cosa che troviamo nel versetto 275 della seconda sura del Corano: “Dio ha reso lecito il commercio e illecito l'interesse”.

Non dimentichiamo che il sistema attuale si basa sulla formula: debito = consumo = lavoro. Quindi, senza debito, nessun lavoro! Del resto è per questa ragione che gli stati sostengono a fondo perso le banche.

Robert H. Hemphill, responsabile di crediti alla Fed di Atlanta, aveva dichiarato: “Se le banche creano abbastanza denaro, prosperiamo; in caso contrario, sprofondiamo nella miseria”

Di fronte a un esponenziale del capitale accumulato, ci ritroviamo con un esponenziale del debito. Per esempio, per gli Stati Uniti, abbiamo un debito totale (pubblico e privato) di 52.859 miliardi di dollari, ossia 375% del PIL statunitense e più del PIL mondiale.

Bisogna inoltre ricordare che il debito porta alla schiavitù, come riassume Jean Baudrillard: “Con il credito torniamo a una situazione propriamente feudale (una frazione del lavoro dovuta in anticipo al signore), al lavoro asservito”.

Il sociologo Immanuel Wallerstein ha ragione quando afferma che: «Da trent'anni siamo entrati nella fase terminale del sistema capitalistico».

Ivan Illich uno dei primi pensatori dell'ecologia politica ha sviluppato la nozione (chiamata illichiana) di contro-produitività, che mostra che le imprese che raggiungono una grandezza critica instaurando una situazione di monopolio, finiscono col nuocere al funzionamento normale dell'economia.. Possiamo anche aggiungere che finiscono con l'appropriarsi del potere. Il 4 giugno 1943, il senatore Homer T. Bone dichiarava al Comitato del Senato americano per gli Affari Militari: «Farben era Hitler e Hitler era Farben»

Albert Einstein, nel maggio 1949, in un articolo comparso nella Monthly Review, riprendeva la stessa idea: «Il capitale privato tende a concentrarsi nelle mani di pochi, in parte a causa della competizione tra capitalisti e in parte perché lo sviluppo tecnologico e la divisione crescente del lavoro incoraggiano la formazione di unità di produzione più grandi a scapito di quelle più piccole. Il risultato di questi sviluppi è un'oligarchia di capitale privato, il cui potere esorbitante non può effettivamente essere controllato neanche da una società il cui sistema politico è democratico»

Oggi, 500 imprese transnazionali controllano il 52% del PIL mondiale e questo fa dire a Jean Ziegler (membro del Comitato consultivo del Consiglio dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite) che andiamo verso «una rifeudalizzazione del mondo»

Eppure J. K. Galbraith, economista e consigliere dei presidenti Roosevelt e Kennedy ci aveva avvertiti: «L'economia di mercato è spesso descritta come un'antica eredità. All'occorrenza, è una truffa, o più esattamente, un errore comunemente ammesso. Troppe persone studiano ancora l'economia su manuali che mantengono ancora i dogmi della produzione concorrenziale dei beni e dei servizi e della capacità di acquistare senza impedimenti. In realtà, possono esserci solo uno o pochi venditori abbastanza potenti e persuasivi a determinare ciò che le persone comprano, mangiano, bevono» (« Les nouveaux mensonges du capitalisme » (Le nuove menzogne del capitalismo » Pubblicato ne Le Nouvel Observateur (4/11/05), intervista di John Kenneth Galbraith a cura di François Armanet)

Quali sono le soluzioni? Non preoccupatevi, i nostri padroni han già previsto tutto. Per capire, bisogna sapere che la dialettica hegeliana è padroneggiata magistralmente. Abbiamo così la tesi, il capitalismo, l'antitesi, il comunismo, e infine la sintesi: un socialismo corporativo o social-fascismo (mondiale).

Voglio ricordare qui che Mussolini aveva dato la sua definizione del fascismo: “Il fascismo dovrebbe piuttosto essere chiamato corporativismo, poiché si tratta dell'integrazione dei poteri dello stato e dei poteri del mercato”. Ora, il corporativismo può essere assimilato a un'impresa criminale dato che, come afferma Howard Scott: “un criminale è una persona dagli istinti predatori che non ha abbastanza capitale per formare una corporazione” (Une constitution pour l'économie, pourquoi ?)

Può sembrare strano associare due principi opposti come socialismo e fascismo, ma Edgar Morin ci spiega ciò che egli chiama il principio dialettico: “Esso unisce due principi o nozioni antagoniste, che in apparenza dovrebbero respingersi l'un l'altra, ma che sono indissociabili e indispensabili per capire una stessa realtà”. Pensate sia impossibile? Ecco la mia analisi.

Conviene innanzitutto notare che tutti sparano sui cattivi banchieri (la tesi) e sostengono la nazionalizzazione delle banche (l'antitesi). Avremo quindi un FMI, una BRI e una banca mondiali (la sintesi) che controlleranno la futura moneta mondiale (i DSP che sostituiranno il dollaro: Crise systémique – Les solutions (n°5 : une constitution pour l'économie)) e regoleranno il sistema. Ora, questi organismi sono controllati da una manciata di persone.

La crisi attuale avrà come conseguenza diretta la distruzione delle nazioni, perché le somme perse superano le capacità degli stati e i tassi di indebitamento vanno alle stelle. Si svilupperanno dappertutto dei poli continentali con strutture regionali: il glocale. Su questa questione ho tra l'altro condotto uno studio preciso: Crise systémique – Les solutions (n°4 : régions et monnaies complémentaires) (Crisi sistemica – Le soluzioni. N°4: regioni e monete complementari)

Il futuro è al « socialismo » disse Schumpeter, un socialismo senza schaivitù, ma con una libertà limitata. Si dovrebbe usare allora il termine esatto: socialfascismo e precisare che la libertà scomparirà se non ne facciamo nulla. In ogni caso, una dittatura fallirà. Non dimentichiamo il principio « ologrammatico » di Edgar Morin: la parte è nel tutto, ma il tutto è nella parte, poiché tutte le forme di esistenza sono legate le une alle altre. Questa è tra l'altro la definizione esatta di ciò che Buddha, Jeschuth-notzerith (il vero nome di Gesù, ancora una bugia!) e Maometto hanno definito con la parola amore.

Fascismo e socialismo alla fin fine non sono altro che il riflesso della nostra dualità che ci spinge o verso gli altri, o verso il ripiegamento su sé stessi, l'egoismo e la violenza. È necessario quindi che cambiamo noi, se vogliamo cambiare il mondo; è quello che l'Islam chiama djihad, la cabala ebrea la lotta per lo zain (la lotta interiore) e che Bakunin riassume in poche parole: “Per rivoltarsi contro questa influenza che la società esercita su di lui, l'uomo deve, almeno in parte, rivoltarsi contro sé stesso”.
di Gilles Bonafi

14 ottobre 2009

Tutti i poteri forti contro la politica estera italiana



Berlusconi, secondo il giudice milanese Raimondo Mesiano, dovrebbe scucire 1500 miliardi delle vecchie lire (750 mln di euro) per risarcire Carlo De Benedetti dopo la faccenda del famigerato “lodo Mondadori”. L’affaire del gruppo editoriale fondato da Arnaldo Mondadori nel 1907 ha alle spalle una sentenza, a quanto pare pilotata, emessa dalla Corte d’appello di Roma la quale, nel 1991, aveva dato ragione al Cavaliere (e torto a De Benedetti) circa il passaggio delle azioni dalla famiglia Formenton (erede dei Mondadori) al gruppo Fininvest, ribaltando un precedente verdetto di un collegio arbitrale, consentendo così a Berlusconi di prendere il controllo del gruppo nato ad Ostiglia.
Qualcuno potrebbe dire che si tratta della solita battaglia, senza esclusione di colpi, tra capitalisti e uomini d’affari, ma i due sunnominati personaggi non sono normali imprenditori che si prendono a calci in faccia per il denaro e per il potere economico. Berlusconi è, attualmente, Presidente del Consiglio, De Benedetti è la tessera n.1 del principale partito d’opposizione. Inevitabilmente lo scontro si sposta sul piano politico e tira in ballo tutto il paese.
Noi che siamo gente di mondo non ci facciamo illusioni e sappiamo perfettamente di che pasta sono fatti l’uno e l’altro in quanto tycoons e businessman, tuttavia non si può trascurare il fatto che De Benedetti rappresenta la parte più retriva, reazionaria e golpista dell’Italia, quella che ha appoggiato e contribuito a realizzare il colpo di mano giudiziario del 1992 (dal quale lo stesso Ingegnere è stato sfiorato e poi, chissà perché, subito lasciato in pace), favorendo il repulisti del precedente regime politico-parlamentare non più gradito a Washington, mentre Berlusconi è il bastone tra le ruote di quel progetto infame fondato su indagini dei magistrati a senso unico.
Da una parte, dunque, uno dei protagonisti del salotto buono, dei sempiterni poteri costituiti italiani che non decadono mai e dall’altra un parvenu guardato con sospetto ed alterigia dalla casta banco-industriale al comando nella nostra nazione. La colpa di Berlusconi è dunque quella di essere entrato in politica, ragionevolmente, per non fare la fine del suo mentore politico Bettino Craxi, andando a scompaginare i disegni divini degli Dei del capitalismo italiano i quali avevano già deciso il destino della nostra terra all’indomani della fine della Guerra Fredda e della dissoluzione dell’URSS.
Questo a Berlusconi non è mai stato perdonato, ma, soprattutto, non gli hanno condonato di non essersi piegato, come dice Vittorio Feltri nel suo editoriale di ieri, ai diktat delle banche, dei grandi enti privati, della finanza disinvolta e di alcune megaindustrie che da decenni stracomandano nel Bel Paese.
Purtroppo, Feltri dimentica di nominare la potenza straniera che ha intessuto le trame del complotto contro Berlusconi che poi è la stessa che aveva decretato la fine del regime DC-PSI per allargare le maglie del suo potere mondiale. E adesso siamo ripiombati in quel clima cospirativo perché Berlusconi ha peggiorato la sua situazione mettendosi in affari con Putin e con Gheddafi. Anche questo non gli sarà facilmente scusato. Il problema è che, come al solito, ci va di mezzo quel piccolo barlume di indipendenza che stava finalmente accendendo la politica estera italiana.

di Giovanni Petrosillo -

13 ottobre 2009

Il Dollaro deve essere svalutato della metà?




«Un anno fa» ha detto il professor Ross Buckley all’Abc News australiana «nessuno voleva saperne del Fondo Monetario Internazionale. Ora è l’Fmi che coordina il pacchetto internazionale di stimolo economico che è stato venduto come stimolo per i paesi poveri».

L’Fmi può aver ricevuto ben altri compiti. Secondo Jim Rickards, direttore della market intelligence per il gruppo di consulenza scientifica Omnis, il proposito non annunciato del Summit G20 di Pittsburgh (24 settembre) era che «l’Fmi venisse consacrato come ‘banca centrale globale’». Rickards ha detto in un’intervista alla Cnbc (25 settembre) che il piano è di far sì che l’Fmi emetta una moneta di riserva globale che rimpiazzi il dollaro.

«Hanno emesso debito per la prima volta nella storia» ha detto Rickards «stanno emettendo diritti speciali di prelievo (SDR). I primi SDR sono venuti fuori nel 1980 o nel 1981, per un valore di 30 miliardi di dollari. Ora si parla di 300 miliardi. E quando dico emettere, intendo stampare moneta; non c’è niente dietro questi diritti».

I diritti speciali di prelievo sono una moneta sintetica creata originariamente dall’Fmi per rimpiazzare oro e argento nelle grandi transazioni internazionali. Ma sono stati utilizzati poco finora. Come mai all’improvviso il mondo ha bisogno di una nuova divisa e di una banca centrale globale? Rickards dice che questo accade per il “dilemma di Triffin”, un problema notato per la prima volta dall’economista Robert Triffin negli anni Sessanta. Quando il mondo abbandonò il gold standard, una moneta di riserva dovette essere fornita da qualche Paese con una divisa forte in grado di sostenere il commercio internazionale. Ma lasciarla in questa funzione voleva dire, per il Paese di riferimento, comprare continuamente più di quanto vendesse, creando enormi deficit nella bilancia dei pagamenti, fino al collasso. Gli Usa hanno alimentato l’economia mondiale negli ultimi 50 anni, ma ora il meccanismo è saltato. Possono aggiustare il loro debito e mettere a posto la loro economia, ma ciò comporterebbe la contrazione degli scambi mondiali. Una moneta globale sostitutiva è necessaria mentre gli Usa risolvono i loro problemi debitori, e quella moneta deve essere l’SDR emessa dal Fondo. Questa è la soluzione al dilemma di Triffin, dice Rickards, ma lascia gli Usa in una posizione vulnerabile. Se dovessimo affrontare una guerra o un’altra catastrofe globale, non avremmo più il privilegio di stampare moneta. Dovremmo chiedere in prestito la moneta di riserva globale come tutti gli altri, mettendoci alla mercé dei creditori globali.

Per impedire questo sviluppo, la Federal Reserve ha lasciato intendere che è pronta ad alzare i tassi, anche se ciò creerebbe un nuovo problema all’economia reale. Rickards parla di un editoriale del governatore della Fed Kevin Warsh, pubblicato sul Wall Street Journal lo stesso giorno della riunione del G20. Warsh scriveva che la Fed dovrebbe alzare i tassi di interesse se salgono i prezzi degli asset – secondo Rickards, un’allusione all’oro, il tradizionale investimento rifugio di chi fugge dal dollaro. «Le banche centrali odiano l’oro perché limita la loro libertà di stampare moneta», ha aggiunto Rickards. Se l’oro andasse improvvisamente a 1.500 dollari l’oncia, sarebbe il collasso del dollaro. Warsh stava quindi dando al mercato un’indicazione che la Fed non avrebbe lasciato accadere una cosa del genere. La Fed avrebbe alzato i tassi per attrarre investimenti in dollari verso l’America. Secondo Rickards, «Warsh sta dicendo “Dobbiamo buttare il dollaro nella spazzatura, ma lo faremo gradualmente…” Warsh sta cercando di prevenire un declino instabile del dollaro. Quello che vogliono, ovviamente, è un declino stabile e costante».

Cosa dire del tradizionale compito della Fed, ovvero il mantenimento della stabilità dei prezzi? E’ un non-senso, secondo Rickards «Ciò che stanno facendo è inflazionare il dollaro per puntellare le banche». Il dollaro deve essere alzato perché c’è più debito insoluto che denaro per ripagarlo. Il governo ha sopravvenienze passive per 60 trilioni di dollari. «Non c’è una combinazione fattibile di crescita e tasse che possa finanziare quelle passività», secondo Rickards. Il governo può finanziarne circa la metà nei prossimi 14 anni, il che vuol dire che il dollaro deve essere svalutato della metà.

Il dollaro deve essere svalutato della metà?

Ridurre il valore del dollaro significa che i nostri sudati guadagni cominceranno a valere solo la metà, che non è una buona notizia per l’economia reale. In realtà la manovra non è fatta per noi, ma per le banche. Il dollaro deve essere svalutato come compensazione al dilemma del sistema monetario attuale, un dilemma più complicato di quello di Triffin, e che può ben essere chiamato una frode. Non c’è mai sufficiente denaro per pagare il debito insoluto, perché tutto il denaro oggi, con l’eccezione delle monete fisiche, è creato dalle banche nella forma di crediti, e sempre più danaro è dovuto indietro alle banche di quanto esse ne dispongano quando originano nuovi crediti. Le banche creano lo strumento principale ma non gli interessi necessari a ripagare i loro finanziamenti.

La Fed, che è controllata da un consorzio di banche e serve i loro interessi, ha il compito di controllare che le banche siano ripagate; e l’unico modo perché questo avvenga è attraverso un’offerta inflattiva di moneta, per creare i dollari necessari a coprire gli interessi mancanti. Ma questo vuol dire diluire il valore del dollaro, imponendo una tassa-ombra sui cittadini; e l’offerta monetaria è inflazionata attraverso maggiori finanziamenti, il che aumenta il carico di debiti più interessi che l’offerta abbondante di moneta avrebbe dovuto ridurre. Il sistema bancario è essenzialmente uno schema piramidale, che continua a funzionare semplicemente creando nuovo debito.

Il pacchetto di stimolo del Fondo (500 miliardi di dollari): serve ai paesi in via di sviluppo o alle banche?

E questo ci riporta al pacchetto di stimolo del Fmi discusso dal professor Buckley. È stato presentato come un aiuto ai paesi emergenti colpiti dalla crisi finanziaria globale, ma Buckley dubita che le cose stiano veramente così. Piuttosto, nota, i 500 miliardi di dollari impegnati dalle nazioni del G20 sono «un pacchetto di stimolo per le banche dei Paesi ricchi». Generalmente questi stimoli sono sotto forma di investimenti; il denaro proveniente dal Fmi sarà prestato sotto forma di finanziamento.

«Questi sono prestiti fatti dai Paesi del G20 ai Paesi poveri attraverso l’Fmi. Dovranno essere ripagati e saranno utilizzati per rifondere le banche internazionali adesso… Il denaro in realtà non arriverà mai nei Paesi poveri. Passerà attraverso di loro per ripagare i loro creditori… Ma i Paesi poveri ci metteranno 30 anni per rientrare da questo debito».

Fondamentalmente, dice Buckley, i prestiti Fmi comportano un aumento della seniority del debito. In pratica, i Paesi in via di sviluppo finiranno con l’essere ancora più incatenati al debito di quanto lo siano ora.

«Al momento il debito è dovuto dai Paesi poveri alle banche, e se i Paesi poveri dovessero farlo, potrebbero andare in default. Il debito bancario sarebbe sostituito da debito dovuto al Fondo, che per motivi strategici molto validi i Paesi poveri serviranno sempre… I Paesi ricchi hanno reso disponibili questi 500 miliardi di dollari per stimolare le loro stesse banche, e il Fmi è un ottimo intermediario tra quei Paesi, i debitori e le banche…».

Non molto tempo fa, il Fmi era stato chiamato obsoleto. Ora è di nuovo in auge e si è vendicato dei suoi detrattori; ma è il vecchio sporco gioco di servire da collettore per il sistema bancario internazionale. Fin quando i Paesi del Terzo Mondo possono pagare, attraverso gli interessi passivi, il servizio del debito, le banche possono segnare i crediti tra le partite attive dei loro libri contabili, e continuare ad alimentare lo schema piramidale e l’offerta inflazionata di moneta globale attraverso sempre nuovi crediti. È tutto per la maggior gloria delle banche e delle loro affiliate multinazionali; ma i 500 miliardi di dollari verranno dai contribuenti delle nazioni G20, e il risultato prevedibile sarà che gli Usa entreranno nel club delle nazioni indebitate al servizio dell’impero globale dei banchieri centrali.

Ellen Brown

11 ottobre 2009

Competere con tutti lascia soli


Dietro ai tanti malesseri di oggi; dietro alle ragazzette vittime o delinquenti date in forte crescita dai servizi sociali, ai padri che abbandonano o vengono abbandonati, alle madri prese da raptus omicidi; dietro a gruppi sociali scollati tra loro e preda dell’odio reciproco; dietro alle depressioni coperte dalle droghe, sta una sola parola, che descrive una condizione precisa e concreta: solitudine. Quella di chi è in famiglia, ma non sente su di sé uno sguardo che sia attento e amoroso.
Ma anche la solitudine di chi abita un territorio dove i legami sociali si sono allentati, e la gente non ti guarda, non ti vede se non per misurare il tuo successo sociale, la tua capacità di spesa.
Infine la solitudine di chi non sente più la solidarietà e l’affetto dei pari, la compagnia di quelli che fanno il tuo stesso lavoro, sui campi, in azienda, o nelle professioni e nei servizi, perché questa vicinanza è stata sopraffatta dalla competizione, dal lasciarsi dietro il pari grado per avvicinarsi a chi ha uno stato superiore, e dall’ansiosa presa di distanza da chi rimane indietro.

Queste dinamiche, lo sappiamo bene, sono sempre esistite, e sono legate in parte all’istinto di sopravvivenza, in parte a quella che Nietzsche ha chiamato «volontà di potenza». Quella spinta naturale per la quale un ciuffo d’erba tende ad allargarsi occupando lo spazio dei fili vicini.
Tuttavia nella storia e nell’indole umana è presente una forza particolare, che non ha la stessa evidenza nel mondo puramente naturale: quella dell’amore. È solo l’amore, quello cui si riferivano i fondatori della psicoanalisi col nome di Eros, a contrastare il vissuto inappagato e inquieto della solitudine (quella cui si ribella anche il primo uomo, Adamo, chiedendo al Signore una compagnia, uno sguardo, una voce).
Fu l’amore, oltre che la ricerca di alleanza, ad ispirare lungo la storia umana la solidarietà, il rispecchiarsi nell’altro, l’appartenenza. Sentimento complesso, l’appartenere ad altri, ad una patria, una classe, una comunità, una professione, arte o mestiere. Tuttavia è proprio lì che nasce l’identità, che non si costituisce certamente solo con quattro dati anagrafici. Ed è proprio l’identità, che rende meno forte, o più accettabile, il morso della solitudine. Come raccontano tante poesie, o lettere di emigranti, anche italiani: non sei veramente solo quando hai una Patria, una terra di origine, un popolo cui appartieni.
La famiglia, lo sguardo attento e amoroso della donna, dell’uomo, dei figli, è l’ultimo, importantissimo tratto di questo filo affettivo che ci lega al resto dell’umanità, indebolendo la solitudine e le sue patologie. Così, almeno è stato, con alterne vicende, nel corso del tempo.
Nell’epoca in cui viviamo la competizione economica ha però assunto un’importanza particolarmente vistosa, assicurando contemporaneamente un grande sviluppo della ricchezza (non altrettanto, pare, della felicità). La spinta a prevalere, a vincere e distaccarsi dall’altro ha così indebolito quella a legarsi, a cercare la solidarietà, l’essere insieme, l’amore appunto. L’interesse alla contrapposizione delle classi ha prevalso su quello della solidarietà tra tutto il popolo, quello della competizione tra i generi ha prevalso sull’amore tra uomo e donna, quello dei singoli territori su quello del benessere di tutta una Nazione.
Questa competizione universale non poteva restare esterna alla famiglia, oggi teatro di conflitti plurimi: padre-madre, genitori-figli, e quindi di nuove, profonde solitudini. Che diventano rapidamente terreno di crescita di ogni malessere e devianza.

di Claudio Risé

07 ottobre 2009

Sta per arrivare la morte del dollaro




Quasi a simboleggiare il nuovo ordine mondiale, gli Stati arabi hanno avviato trattative segrete con Cina, Russia e Francia per smettere di usare la valuta americana per le transazioni petrolifere.

Mettendo in atto la piu’ radicale trasformazione finanziaria della recente storia del Medio Oriente gli Stati arabi stanno pensando – insieme a Cina, Russia, Giappone e Francia – di abbandonare il dollaro come valuta per il pagamento del petrolio adottando al suo posto un paniere di valute tra cui lo yen giapponese, lo yuan cinese, l’euro, l’oro e una nuova moneta unica prevista per i Paesi aderenti al Consiglio per la cooperazione del Golfo, tra cui Arabia Saudita, Abu Dhabi, Kuwait e Qatar.



Incontri segreti hanno gia’ avuto luogo tra i ministri delle finanze e i governatori delle banche centrali della Russia, della Cina, del Giappone e del Brasile per mettere a punto il progetto che avra’ come conseguenza il fatto che il prezzo del greggio non sara’ piu’ espresso in dollari.

Il progetto, confermato al nostro giornale da fonti bancarie arabe dei Paesi del Golfo Persico e cinesi di Hong Kong, potrebbe contribuire a spiegare l’improvviso rincaro del prezzo dell’oro, ma preannuncia anche nei prossimi nove anni un esodo senza precedenti dai mercati del dollaro.

Gli americani, che sono al corrente degli incontri – pur non conoscendone i dettagli – sono certi di poter sventare questo intrigo internazionale di cui fanno parte leali alleati come il Giappone e i Paesi del Golfo. Sullo sfondo di questi incontri valutari, Sun Bigan, ex inviato speciale della Cina in Medio Oriente, ha sottolineato il rischio di approfondire le divisioni tra Cina e Stati Uniti in ordine alla loro influenza politica e petrolifera in Medio Oriente. “Le dispute e gli scontri bilaterali sono inevitabili”, ha detto all’Africa and Asia Review. “Non possiamo abbassare la guardia in merito all’ostilita’ che fronteggiamo in Medio Oriente sugli interessi energetici e la sicurezza”.

Questa frase ha tutta l’aria di una previsione pericolosa su una futura guerra economica tra Stati Uniti e Cina per il petrolio mediorientale – con il pericolo di trasformare i conflitti della regione in una lotta di supremazia delle grandi potenze. L’incremento della domanda di petrolio e’ piu’ marcato in Cina che negli Stati Uniti in quanto la crescita cinese e’ meno efficiente sotto il profilo energetico. Abbandonando il dollaro i pagamenti, stando a fonti bancarie cinesi, potrebbero essere effettuati in via transitoria in oro. Una indicazione della gigantesca quantita’ di denaro di cui si parla puo’ essere desunta dalla ricchezza di Abu Dhabi, Arabia Saudita, Kuwait e Qatar che insieme hanno, stando alle stime, riserve in dollari per 2.100 miliardi.

Il declino della potenza economica americana strettamente connesso all’attuale recessione globale e’ stato riconosciuto dal presidente della Banca Mondiale Robert Zoellick. “Una delle conseguenze di questa crisi potrebbe essere l’accettazione del fatto che sono cambiati i rapporti di forza economici”, ha detto a Istanbul prima delle riunioni di questa settimana del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale. Ma e’ stato il nuovo straordinario potere finanziario della Cina – non disgiunto dalla rabbia sia dei Paesi produttori che dei Paesi consumatori di petrolio nei confronti del potere di interferenza degli Stati Uniti nel sistema finanziario internazionale – a stimolare i recenti colloqui con i Paesi del Golfo.

Brasile e India si sono mostrati interessati a far parte di un sistema di pagamenti non piu’ basato sul dollaro. Allo stato la Cina appare la piu’ entusiasta tra le potenze finanziarie, non fosse altro che per il suo gigantesco interscambio commerciale con il Medio Oriente.

La Cina importa il 60% del petrolio che consuma, per lo piu’ dal Medio Oriente e dalla Russia. I cinesi hanno concessioni petrolifere in Iraq – bloccate fino a quest’anno dagli Stati Uniti – e dal 2008 hanno un accordo da 8 miliardi di dollari con l’Iran per lo sviluppo delle capacita’ di raffinazione e delle risorse di gas. La Cina ha contratti petroliferi in Sudan (dove ha sostituito gli Stati Uniti) e da tempo sta negoziando concessioni petrolifere in Libia dove tradizionalmente questo genere di accordi e’ del tipo joint venture.

Inoltre le esportazioni cinesi verso la regione ammontano ora a non meno del 10% delle importazioni di tutti i Paesi del Medio Oriente e includono una vasta gamma di prodotti che vanno dalle automobili agli armamenti, ai generi alimentari, al vestiario e persino alle bambole. Riconoscendo esplicitamente il crescente peso finanziario della Cina, il presidente della Banca Centrale Europea, Jean-Claude Trichet, ha chiesto l’altro ieri a Pechino di consentire alla yuan di apprezzarsi sul dollaro e, di conseguenza, di diminuire la dipendenza della Cina dalla politica monetaria americana contribuendo cosi’ a riequilibrare l’economia mondiale e ad alleggerire la pressione al rialzo sull’euro.

Dagli accordi di Bretton Woods – gli accordi conclusi dopo la seconda guerra mondiale che ci hanno tramandato l’architettura del moderno sistema finanziario internazionale – i partner commerciali degli Stati Uniti hanno dovuto affrontare le conseguenze della posizione di controllo di Washington e, negli anni piu’ recenti, dell’egemonia del dollaro in quanto principale valuta di riserva.

I cinesi credono, ad esempio, che siano stati gli americani a convincere la Gran Bretagna a non entrare nell’euro per impedire una fuga dal dollaro. Ma secondo le fonti bancarie cinesi i colloqui sono andati troppo avanti per poter essere bloccati. “Non e’ da escludere che nel paniere delle monete entri anche il rublo”, ha detto un importante broker di Hong Kong all’Indipendent. “La Gran Bretagna e’ presa in mezzo e finira’ per entrare nell’euro. Non ha scelta in quanto non potra’ piu’ usare il dollaro americano”.

Le fonti finanziarie cinesi sono convinte che il presidente Barack Obama sia troppo occupato a rimettere in piedi l’economia americana per concentrarsi sulle straordinarie implicazioni della transizione dal dollaro ad altre valute nel volgere di nove anni. Al momento la data fissata per l’abbandono del dollaro e’ il 2018.

Gli Stati Uniti hanno fatto appena cenno a questo problema in occasione del G20 di Pittsburgh. Il governatore della Banca centrale cinese e altri funzionari da anni sono preoccupati per la situazione del dollaro e non ne fanno mistero. Il loro problema e’ che gran parte della ricchezza nazionale e’ in dollari.

“Questi progetti cambieranno il volto delle transazioni finanziarie internazionali”, ha detto un banchiere cinese. “Stati Uniti e Gran Bretagna debbono essere molto preoccupati. Vi accorgerete di quanto sono preoccupati dalla pioggia di smentite che questa notizia scatenera’”.

Alla fine del mese scorso l’Iran ha annunciato che le sue riserve in valuta estera saranno in futuro in euro e non in dollari. I banchieri ricordano, naturalmente, quanto e’ capitato all’ultimo Paese produttore di petrolio del Medio Oriente che ha tentato di vendere il petrolio in euro e non in dollari. Pochi mesi dopo che Saddam Hussein aveva comunicato la sua decisione ai quattro venti, gli americani e gli inglesi hanno invaso l’Iraq.

di Robert Fisk

Fonte: www.independent.co.uk

06 ottobre 2009

Quando la recessione fa bene alla salute



La correlazione fra salute pubblica e cicli economici potrebbe essere molto più complessa di quanto finora supposto, secondo uno studio condotto da ricercatori dell'Università del Michigan che hanno analizzato i rapporti fra crescita economica e salute della popolazione degli Stati Uniti nel ventennio compreso fra il 1920 e il 1940, durante il quale si verificò la Grande depressione (1930-1933).

Secondo quanto osservano nell'articolo pubblicato sui "Proceedings of the National Academy of Sciences" (PNAS) in cui José A. Tapia Granados e Ana V. Diez Roux riferiscono gli esiti della ricerca, andrebbero attentamente distinti gli effetti a lungo termine dell'aumento del PIL (che andrebbero correlati a un insieme di più o meno lenti cambiamenti sociali di ampio respiro, come il miglioramento dell'alimentazione e la diminuzione delle dimensioni dei nuclei familiari) da quelli a breve termine indotti dai cicli economici espansivi.

Se infatti diverse ricerche hanno indicato la presenza di possibili effetti negativi a lunga scadenza dei periodi di recessione sulla salute (effetti misurati prendendo come parametri gli accessi nelle strutture ospedaliere e la morbilità), i risultati di questo studio, che ha preso un orizzonte temporale di follow-up di tre anni, sembrano infatti supportare l'ipotesi controintuitiva che, almeno sul breve periodo, la salute pubblica tende a migliorare più durante i periodi di recessione che durante quelli di espansione.

Da quanto rilevato dai ricercatori, per la maggior parte dei gruppi di età la mortalità ha toccato i suoi picchi negli anni di forte espansione economica (1923, 1926, 1929 e 1936-1937), mentre i momenti di recessione (1921, 1930-1933 e 1938) hanno coinciso con il declino della mortalità e l'aumento dell'aspettativa di vita.

L'unica eccezione, osservano i ricercatori, riguardava la mortalità per suicidio, che, pur cresciuta in discreta misura, ha pesato complessivamente per meno del due per cento di tutte le morti. Anche le analisi di correlazione e di regressione hanno confermato un significativo effetto negativo dell'espansione economica sul miglioramento della salute.

Secondo i ricercatori questo effetto paradossale sarebbe legato al fatto che nei periodi di espansione si avrebbe un aumento del consumo di tabacco e di alcol, una riduzione delle ore di sonno e un aumento dello stress fisico e psichico che potrebbero avere un'influenza negativa particolarmente marcata su quanti soffrono di patologie croniche. A ciò si sommerebbero l'aumento degli incidenti stradali e di quelli sul lavoro, e il peggioramento dell'inquinamento atmosferico, i cui effetti negativi a breve termine sulla mortalità da patologie respiratorie e cardiovascolari è ben documentata. A questo fenomeno contribuirebbe inoltre il fatto che nei periodi di espansione si è assistito a una crescita dell'isolamento sociale e all'allentamento delle misure sociali a sostegno delle fasce di popolazione più disagiata. (gg)

05 ottobre 2009

Lotta al signoraggio: quale rotta ?

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Ormai è chiaro, la battaglia per la sovranità monetaria è la causa più importante tra tutte le lotte politiche che ci è dato sostenere. Il meccanismo del signoraggio bancario, primario e secondario, affama i popoli più poveri e schiavizza quelli più ricchi, sia in senso letterale che metaforico.
Senza risolvere questo dramma, è perfettamente inutile spendersi in distinguo politici e partitici, in dibattiti su questa o quella legge particolare. Così come è oggi inutile votare o candidarsi, in questa plutocrazia mascherata che si finge democrazia e fa del voto l’alibi del proprio eternarsi.

La portata del fenomeno è tale che, risolto questo, ogni piano della nostra vita di cittadini e individui verrebbe innalzato su livelli che è difficile anche solo immaginare. Avremmo benefici non solo economici, conosceremmo cioè un benessere diverso da quello promulgato dal consumismo materialista; fatto di più tempo per noi e più spazio per la vita associata, senza l’assillo dell’insolvenza; i meccanismi finanziari che fomentano le guerre verrebbero ridimensionati, così come l’economia speculativa ridiverrebbe produttiva. Può darsi che il torbido dell’animo umano troverebbe presto un altro strumento per manifestarsi, è certo però che difficilmente sarebbe così ben congegnato come quello dell’appropriazione indebita della moneta.
Non starò qui a ricordare cosa sia il signoraggio. Vorrei invece riflettere sulla situazione odierna della lotta per sconfiggerlo, sui pericoli che incombono su di essa, così che sia possibile correre ai ripari e correggere la rotta.

A questo proposito viviamo un momento di stallo: il tema non riesce a raggiungere il grosso della popolazione. Della questione si parla già da diversi anni. Sono usciti autorevoli libri, se ne occupano vari siti internet e si tengono già da tempo delle conferenze. Ma, se da anni c’è gente che ci lavora, come mai non si è raccolto ancora nulla? Il coinvolgimento emotivo, lo sdegno viscerale che la questione suscita in chi la conosce a fondo per la prima volta, può scomparire, affievolirsi ed annacquarsi con tanta facilità? No. Sta semplicemente succedendo quello che spesso succede con il pensiero: da scoperta, da forza esterna alla coscienza, capace di scuoterla e colpirla, si è trasformato in parte di essa. E’ stato hegelianamente introiettato e ora fa parte del tranquillo bagaglio culturale dell’individuo che lo possiede. Girando per l’Italia, ho constatato che si interessano del tema, i gruppi più eterogenei: fascisti nostalgici, naziskin inacculturati, comunisti no global, ipertradizionalisti cattolici, grillini virtuali e con loro pochi cani sciolti dai più svariati interessi e orientamenti, Al di là della validità e della preparazione sul tema dei singoli individui, nella maggior parte dei casi si tende a ricreare una appartenenza ad un’elite. Negli incontri infatti i “veterani” fanno a gara con quelli che reputano nuovi arrivati, per dimostrare che loro ne sanno di più di tutti sull’ultimo bilancio della Banca d’Italia, su Gesell, sullo Scec o sul Simec, sull’omicidio Kennedy o sulle lobby massoniche.

Per l’individuo, tutto si trasforma in pezzi di identità da mantenere, da sbandierare, con cui distinguersi. Ciò impedisce il dialogo costruttivo e, intrappolando la questione signoraggio ora in un’aura miracolistica e misticheggiante, ora in un semplice fatto di appartenenza partitica, ora in un’esperienza qualsiasi ma diversificante, si allontanano quelli che in tali vesti non si riconoscono.
Solo per fare un esempio, in occasione del terzo anniversario della morte di Giacinto Auriti, mi è capitato di partecipare ad una riunione di “Auritiani”, come loro si sono definiti, e di fare con loro il giro delle chiese e delle chiesette di un’intera provincia abruzzese, nonché di sentir raccontare un’infinità di aneddoti religiosi su “Don Giacinto” e di sentir dire che non può capire a fondo il tema del signoraggio chi non comprende “la realtà delle due eucaristie, quella divina e quella demonica”.
Quello che mi chiedo è se un motivo di lotta può essere frustrato tanto da diventare solo un irrinunciabile segno di identità o in rari casi piccola fonte di sostentamento.

Insomma, ritengo che bisogna sgomberare il campo da personalismi, appartenenze a conventicole e gruppuscoli, abbandonare, per lo meno all’inizio, approcci dogmatici e parziali. Non perché in essi non vi sia verità, anzi. Ad esempio nell’approccio cristiano-tradizionale c’è molto di vero e di sano e la lotta cattolica all’usura, come ho scritto in articoli precedenti parlando di San Bernardino, è un esempio importante da seguire. E’ solo che si rischia di allontanare chi in essa non si riconosce pur condividendo la sostanza della critica al signoraggio, che può avvenire per mille motivi: da quello puramente economico (maggior benessere per sé) a quello morale, da quello estetico (bruttezza di ogni mascheramento del potere) a quello storico-politico (revanscismo post-bellico) e via dicendo.
Non è il momento di fare a gara sulla paternità della lotta, piuttosto occorre concentrarsi su pochi concetti da diffondere, la cui comprensibilità è sì ostica ma non così tanto come si crede.

Ci si deve chiedere piuttosto come mai, pur avendo raggiunto partiti politici, il signoraggio non abbia fatto breccia nel cuore e nel cervello della gente. Ne hanno parlato Storace, Buontempo, Tremonti, Ferrando, ne ha accennato Di Pietro e alcuni suoi uomini, e persino la Lega lo ha fatto proprio ma, è un dato di fatto, l’argomento non è “passato”.
E’ un problema strategico: impossibile raccogliere consensi intorno ad un partito del due per cento, solo perché questo propugna la lotta al signoraggio. Esso rimane un partito con una sua identità e la gente che le è estranea, pur essendo contro l’usura delle banche centrali, non andrà nemmeno ad informarsi su che cosa pensa quel partito in tema monetario. Occorre creare un partito apposito, con un unico punto programmatico: rinunciamo all’euro e lo Stato (non Bankitalia) stampi una sua moneta con su scritto “proprietà del portatore”, senza alcuna creazione di debito.
In realtà tale progetto lodevole sembrava essere partito ma sono passati già alcuni mesi dalla sua comparsa senza che ne sia sortito alcun fatto concreto.
Certo, si tratta di una battaglia difficilissima, disperata quasi, ma è l’unica soluzione. Lancio un’idea, senza preoccuparmi troppo delle strategie di realizzazione pratica: si faccia un’associazione con un rappresentante per provincia e si organizzino conferenze nei comuni, appoggiandosi alle altre associazioni culturali. Una volta conclusa l’opera d’informazione nei paesi si tirino le fila e si trasformi l’associazione in un movimento politico. Raccogliendo il sei-sette per cento si sarebbe forse in grado di entrare in una coalizione e di “forzare la mano” imponendo dal primo giorno la realizzazione dell’unico punto di programma.
di Matteo Simonetti

04 ottobre 2009

Santoro, Vespa e il sistema



Sono d'accordo anch'io che l'intervento del governo contro Annozero, oltre che illegittimo, è un'intimidazione inaudita, aggravata dal fatto di avvenire all'interno di un panorama televisivo nazionale occupato per i quattro quinti dal centro destra. Ma mi rifiuto di considerare Michele Santoro una vittima di regime. È piuttosto un prodotto, insieme a Bruno Vespa e ad altri conduttori, della distorsione oligopolista, e in alcuni periodi quasi monopolista, del sistema.
Supponiamo, per un attimo, di vivere in un Paese "normale", per usare un'espressione cara a D'Alema, dove c'è una Rete di Stato e altri quattro o cinque network indipendenti della stessa potenza. In quest'ipotetica Italia un ipotetico Santoro conduce sulla Rete di Stato un programma che, per vari motivi, non piace al suo Direttore. Può costui cancellare il programma ed eventualmente licenziare il conduttore che non lo convince? Certo che può è lui il responsabile di fronte all'Editore, altrimenti che ci sta a fare? In quest'ipotetica Italia l'ipotetico Santoro verrà ingaggiato da un altro network e, se davvero è così bravo, farà grandi ascolti e il Direttore che lo ha cacciato risponderà al proprio Editore per aver danneggiato l'azienda a vantaggio della concorrenza.
Ma nell'Italia reale le cose non stanno così. Se Santoro venisse licenziato non avrebbe alternative all'altezza (essendo per lui impensabile un passaggio a Mediaset). Questa che apparentemente è la sua debolezza è invece la sua forza. Perché diventa inamovibile, dato che qualsiasi intervento contro di lui o il suo programma si configura oggettivamente come un attentato alla libertà d'informazione. Tanto è vero che furoreggia da decenni, sui canali nazionali, come, dall'altro versante, Bruno Vespa, con i suoi modi più melliflui e subdoli. Tra l'altro non possiamo nemmeno sapere se i Vespa e i Santoro sono davvero così bravi, perché come non c'è una reale concorrenza a livello di Reti, non c'è neanche una reale concorrenza fra conduttori. Non hanno rivali. Anch'essi sfruttano l'oligopolio e fanno da tappo all'ingresso di forze più fresche, nuove, diverse ed eventualmente più capaci e meno ideologicamente schierate.
Come si esce da questa situazione aberrante? Concettualmente è chiaro. Si chiama "disarmo bilaterale", di cui qualche volta si è parlato: una Rete alla Rai che dipenda direttamente dal governo, come la Bbc inglese, perché anche il governo, che rappresenta tutti i cittadini, ha il diritto di dare un suo indirizzo latu sensu culturale al Paese, una Rete a Mediaset, e le restanti quattro messe sul mercato e vendute a editori indipendenti dalle prime due e indipendenti fra loro.
Ma a questa soluzione non si arriverà mai (se non, forse, nel Quarto Millennio) perché conviene a tutti. A Berlusconi perché consente al cosiddetto campione del liberismo di mantenere, con le sue tre Reti, una posizione totalmente illiberista col pressoché totale dominio dell'intero comparto televisivo privato nazionale. Ai partiti nel loro complesso, di sinistra e di destra, perché così possono continuare ad occupare arbitrariamente e illegittimamente la Rai, contro la Costituzione (che in nessun passaggio a ciò li autorizza) perché come Ente di Stato dovrebbe appartenere a tutti i cittadini e non ad alcune organizzazioni private quali i partiti sono. E conviene agli inamovibili Vespa e Santoro.
Conviene a tutti tranne che a noi cittadini. Che continueremo ad assistere in eterno a dibattiti impossibili, fasulli, grotteschi e truffaldini sull' "imparzialità" dell'informazione pubblica, come se ci fosse qualcuno che possa valutare oggettivamente un concetto così soggettivo, tanto più in un sistema in cui i vertici Rai, il Consiglio di Amministrazione, la Commissione di Vigilanza, i direttori, i vicedirettori, i capi struttura, oltre ai fattorini, sono tutti di nomina partitica, per cui ciò che è "imparziale" per l'uno diventa, automaticamente, "fazioso" per l'altro. Che barba, che noia, che stufida. Che voglia, nella nostra totale impotenza di sudditi, di spaccare tutto.

di Massimo Fini

03 ottobre 2009

Brunetta ci azzecca sul Britannia




- Nel corso della sua sfuriata al convegno del PdL di Cortina d'Ampezzo, il ministro Brunetta ad un certo punto ha interrogato il suo pubblico: "Ve lo ricordate il Britannia?".

"Ve lo ricordate il Britannia? Se non ve lo ricordate", dice Brunetta, "ve lo ricordo io. Il Britannia è una nave, appartenuta già alla casa reale inglese, che navigò davanti alle coste italiane [...], ospitando dentro banchieri, grand commis dello Stato, esponenti vari della burocrazia... in cui si svolse un lungo seminario, durato un paio di giorni, in cui si trassero le linee della svendita delle aziende di stato italiane".

Benché imperfetta, l'evocazione di quel complotto, denunciato dall'EIR nel 1993 (vedi la documentazione riepilogativa), riapre il sipario sul secolare tentativo di Londra di "scrivere il destino" dell'Italia (come di tanti altri Paesi).

In questa strategia imperiale, secolare e globale, trovano posto tutte le azioni che possano rivelarsi utili a ricondurre l'Italia ad uno stato di molto precedente quello del boom economico postbellico, di fatto preda del sistema imperiale della globalizzazione.

A questo riguardo, è più interessante guardare al timoniere, piuttosto che agli ospiti del Britannia. Se vogliamo dirla tutta, si tratta della stessa cricca che arma la mano degli "insorti" che hanno trucidato i sei soldati italiani in Afghanistan. Non vogliamo certamente dire che Draghi ordina ai Talebani di bombardare i nostri soldati ma, come abbiamo scritto, che "il tritolo che ha ucciso i soldati italiani è stato pagato con i soldi di Soros".

In altre parole, il pasticcio afghano in cui si è cacciata l'Italia a seguito degli Stati Uniti, è stato orchestrato dalle stesse forze del "nuovo impero britannico" che partorirono l'operazione Britannia. L'assalto contro l'Italia, che ebbe il culmine nell'anno del Britannia e che prosegue nella misura in cui dall'Italia si manifestano resistenze al nuovo impero della globalizzazione, al salvataggio delle banche ecc., va inquadrato nella strategia globale con cui si tenta di demolire gli stati nazionali per far posto alla Nuova Torre di Babele, come dice LaRouche. La guerra in Afghanistan fu escogitata per coinvolgere gli Stati Uniti in un disastro strategico e subire la stessa sorte che subì Atene con la Guerra del Peloponneso. A livello regionale, è la riedizione della strategia ottocentesca dell'Impero Britannico per il controllo dell'Asia meridionale.

Abbiamo più volte, in questo sito, documentato il ruolo degli inglesi nel "combattere e proteggere" i talebani, tanto da aver ottenuto per loro tramite un aumento della produzione dell'oppio. Dalle montagne afghane ai mercati della droga occidentali, riecheggia il nome di George Soros, paladino delle campagne per la liberalizzazione. Quel George Soros che l'Italia conobbe nella vicenda del Britannia e del successivo attacco alla lira che ci tramortì e ci fece accettare l'Euro senza batter ciglio.

Tuttavia – è bene ricordarlo - l'ossessione dei "Britannia Boys" non è l'Italia. Nel contesto della crisi globale, del collasso economico più grave della storia umana da noi conosciuta, l'oligarchia punta a rimuovere ogni paletto con cui la cospirazione repubblicana, che in America lottò in favore della "comunità di nazioni perfettamente sovrane" da contrapporre all'Impero Britannico, ha assestato i suoi successi storici.

Aver trascinato gli Stati Uniti, l'Italia e altri Paesi in Afghanistan, ovvero negli stessi luoghi in cui l'Impero Britannico sin dall'Ottocento non ebbe mai la meglio contro i "fanatici ribelli", è l'estremo tentativo (forse il più palese, oltre quello del salvataggio degli speculatori con emissioni di credito nazionale americano) di far affossare il sistema americano e ogni altra sua influenza nelle istituzioni di altre nazioni.

Chi dovrebbe sostituire gli Stati Uniti nella loro egemonia globale (non priva di macchie) è, nella mente dell'oligarchia, il governo mondiale attraverso "quel che è di Cesare", declinato nelle forme del "Financial Stability Board", o del Fondo Monetario Internazionale.

L'Italia, grazie all'azione di Tremonti che si oppone ai salvataggi indiscriminati delle banche, è un ostacolo da rimuovere su questa strada, specialmente in vista della prossima grave fase della crisi, in cui si chiederà agli Stati di dissanguarsi ulteriormente per gli speculatori. Non pretendiamo che Brunetta afferri tutto ciò, ma constatiamo che denunciando i "Britannia Boys", egli esprime un pensiero condiviso nel governo. Non basta per conquistare la fiducia del popolo italiano e di chi egli vorrebbe sganciare dalle "elites parassitarie". Occorre abbandonare il liberismo e sposare quelle tesi rooseveltiane e quella Nuova Bretton Woods di LaRouche che Brunetta ha finora osteggiato .

(MoviSol)