31 dicembre 2011

L'anno che non verrà









Da sempre Capodanno rappresenta Il simbolico spartiacque fra un anno che sta morendo, con tutto il suo carico di accadimenti (buoni e cattivi) ed uno che sta nascendo, vestito per l’occasione di carezzevoli illusioni e condito di languide speranze. Una sorta di limbo dove rimanere per un istante sospesi fra il prima e il poi, a tracciare bilanci di vita e sognare vite che non ci apparteranno mai, prima che la giostra del divenire stemperi l’attimo ed il futuro si faccia presente, riportandoci alla realtà.
Guardare al 2012 che arriva, ostentando speranza ed ottimismo rappresenta però, più che in altre occasioni, un’esperienza dedicata a pochi intimi, dal momento che la ratio e la matematica ci riporterebbero immediatamente sulla terra, rendendoci consapevoli del fatto che il nuovo anno sarà molto peggiore del precedente, essendo state poste tutte le basi (ma proprio tutte) perché ci si ritrovi a rimpiangere gli ultimi dodici mesi, nonostante abbiano rappresentato il gradino più basso della storia recente nazionale ed internazionale.
In Italia nel lasso di tempo di un paio di settimane è stata alienata ogni residua e fittizia illusione di democrazia e le banche, nella persona dell’usuraio Monti, hanno di fatto esautorato i camerieri politici dal loro ruolo di mestieranti della commedia, ridimensionandoli ad arredamento del palazzo, oltretutto molto costoso e kitsch......


Il problema in sé potrebbe apparire di secondaria importanza, dal momento che il bestiario politico da tempo immemorabile prendeva ordini dal padrone, ma purtroppo così non è, perché dovendo il servo politico confrontarsi ogni 5 anni con il teatrino elettorale, si trovava giocoforza costretto a svolgere una minima opera di mediazione. E’ pur vero che il sistema monopartitico creato in occidente scimmiottando il modello americano garantiva ampi margini di sicurezza, privando il cittadino di qualsiasi possibilità di scegliere realmente, così come è vero che la classe politica aveva ormai assunto un carattere puramente autoreferenziale.
Ma è altrettanto lapalissiano il fatto che qualsiasi governo politico avesse inteso mandare i cittadini a vivere sotto i ponti, togliendo loro il proprio patrimonio e la possibilità di sostentarsi economicamente, avrebbe trovato comunque qualche difficoltà nel perpetrarsi nel tempo.
Monti e la congrega di banchieri da lui rappresentati non sono espressione delle urne e con le urne non dovranno confrontarsi mai. Incarnano esclusivamente i grandi interessi finanziari, sono servi alle dipendenze del denaro e il denaro non è dotato di sensibilità sociale, non è incline alle mediazioni, non deve moderarsi temendo di perdere voti, non possiede sentimenti e neppure pietà. Persegue un solo scopo, moltiplicarsi all’infinito nella maniera più rapida possibile, poco importa quali siano i costi in termini di macelleria sociale, dal momento che conosce un solo costo, quello monetario.
La dittatura del denaro è in assoluto la peggior forma di governo possibile, nel 2011 ne abbiamo avuto un primo assaggio con la soppressione delle pensioni per tutte le nuove generazioni (e buona parte delle vecchie), l’aumento indiscriminato di tasse e costi a carico di una popolazione già fortemente impoverita, la riduzione delle opportunità di lavoro. Ma solo nel 2012 saremo in grado di apprezzare la reale dimensione del disastro che sta precipitando sulle nostre teste e il contatto con la realtà risulterà con tutta probabilità drammatico.

Il 2011 è stato anche l’anno in cui si è dovuto prendere coscienza della disarmante vulnerabilità dei cittadini qualora intendano difendere il territorio in cui vivono da grandi e piccole opere di devastazione ambientale. L’illusione (da me più volte condivisa) che una popolazione fortemente determinata e con la forza dei numeri potesse opporsi alle ruspe ed ai cantieri si è palesata di fatto priva di fondamento. Non esistono più remore nel bastonare cittadini inermi e quando monta la protesta le forze dell’ordine sonodisposte ad uccidere, senza che la stampa e l’opinione pubblica considerino la cosa disdicevole.
In una situazione di questo genere ogni forma di resistenza fisica, più o meno pacifica, non può che risultare perdente, dal momento che si tratta di un confronto impari, dove chi mena ti può anche ammazzare restando dalla parte della ragione.
Non è un caso che tutte le opere più controverse siano state costruite o cantierizzate con l’uso della violenza, dalla base militare americana Dal Molin al TAV in Val di Susa, passando attraverso inceneritori, autostrade, centrali a carbone, turbogas e chi più ne ha ne metta.
Ai cittadini non resta altra via che protestare con le bandierine attraverso cortei pacifici (che magari contribuiscono a creare la carriera di qualche politico o sindacalista d’accatto) nell’attesa che l’opera sia completata, o confrontarsi militarmente con "soldati" che arrivano dall’Afghanistan, con la consapevolezza che quando ti ritroverai in ospedale verrai tacciato come una “bestia violenta” che ha ricevuto ciò che si meritava.

Ma il 2011 è stato anche l’anno dello sdoganamento definitivo delle guerre di conquista coloniale attraverso il metodo della rivoluzione colorata, costruita, finanziata e pilotata dal colonizzatore.
La Libia ha dimostrato chiaramente come la pratica garantisca ampie prospettive di successo a fronte di costi economici tutto sommato esigui. In pochi mesi un prospero paese è stato distrutto, chi lo governava da decine di anni ammazzato come un cane, i civili che lo sostenevano sterminati in massa. Il tutto senza che nessuno avesse nulla da obiettare e con la compiacenza di tutte le istituzioni internazionali, ormai palesemente braccio burocratico della colonizzazione occidentale.
Dopo l’inferno libico la strada è tracciata e c’è da scommettere che i prossimi inferni saranno ancora peggiori e, se possibile, perfino più raccapriccianti.

E’ stato anche l’anno dei droni, usati in maniera sempre più massiccia per sterminare le popolazioni, mentre all’altro capo del mondo un ragazzotto si cimenta con il joystik come si trattasse di un videogame. Delle telecamere ormai più numerose delle vetrine che filmano ogni attimo della tua vita. Della guerra al contante, con l'imposizione agli anziani pensionati di aprire un conto corrente. Dei movimenti che s’indignano a comando. Dei benpensanti che difendono la costituzione quando hanno interessi per farlo, ma ne dimenticano l’esistenza subito dopo. Della farsa dei referendum, studiati ad arte per raggirare chi votava. Del disastro di Fukushima, troppo presto caduto nell'oblio. Dell'assassiniodell'ologramma di Bin Ladin. Dei troppi “movimenti” che avevano fatto delle piazze le loro case quando governava Berlusconi, ma sono evaporati con l’arrivo di Monti. Dei sindacati che dopo avere svenduto tutto non sanno più cosa mettere in saldo e dei saldi ormai anticipati a Capodanno, perché iniziarli a Natale potrebbe risultare disdicevole.

In alto i calici e brindiamo, a cosa? Ad una morte inconsapevole con il sorriso sulle labbra, che in fondo è meglio di quando te l’aspetti.
di Marco Cedolin

Italia: tra sei mesi sarà ancora in piedi, oltre non si sa



L'asta di ieri è andata bene. Anzi benissimo. Rendimenti dimezzati, praticamente, rispetto a quelli di un mese addietro, quando ancora Monti non si era insediato. E i grandi media hanno riportato la notizia con enfasi, assieme però a quella che ha visto il nostro spread risalire sino a quota 500.

Notizie riportate (quasi) correttamente, però con una inaccettabile omissione: il motivo di una situazione non troppo semplice da capire a prima vista.

Difficile insomma comprendere il perché della grande richiesta dei titoli di Stato di ieri e allo stesso tempo perché il nostro spread non sia sceso di pari passo.

Sarebbe bastato spiegare, invece, la tipologia dei titoli venduti ieri, o meglio il suo significato, e quali sono stati gli eventi accaduti nei recenti giorni passati per portare alla situazione che si è verificata ieri.

Dunque, in primo luogo i titoli di Stato venduti ieri sono stati quelli a sei mesi. In secondo luogo, in larga parte sono stati acquistati dalle Banche.

Cosa significa?

Due cose, principalmente. La prima: rispetto a un mese addietro, quando ancora non si sapeva se Berlusconi avrebbe rassegnato le dimissioni e soprattutto se sarebbe arrivato o meno al governo italiano un uomo delle Banche e dei poteri forti come Monti, oggi si sa invece con una buona certezza che l'Italia non fallirà. Almeno non in sei mesi. Quando i titoli venduti ieri arriveranno a scadenza, e all'incasso per chi li ha sottoscritti, l'Italia sarà ancora in piedi e dunque l'investimento sarà onorato. E dunque i rendimenti per i titoli a sei mesi sono scesi.

La seconda: la BCE, giorni addietro, ha in pratica concesso, mediante l'operazione "liquidità illimitata" alle Banche, la possibilità per queste di rifornirsi di denaro all'interesse del misero 1%. Tale denaro sarebbe dovuto servire, molto teoricamente, per permettere alle Banche di concedere più prestiti e mutui, e insomma per ridare fiato (si fa per dire) a chi andava in banca a chiedere prestiti.

Naturalmente le Banche non lo hanno usato per questo, ma per fare i propri e più sicuri interessi. Cosa di meglio che parcheggiare, e investire, il denaro ricevuto al costo di appena l'1% dalla BCE in titoli di Stato che renderanno in soli sei mesi il 3.5% circa?

Risultato: le Banche hanno investito in porti sicuri per generare propri guadagni a breve, e i cittadini invece sono rimasti a secco.

Ancora una volta: chi ha favorito la BCE? I cittadini europei oppure le Banche?

La risposta è molto semplice ed è inutile anche scriverla. Il dato che emerge è dunque affatto positivo, come invece qualcuno ha tentato di farlo percepire: le Banche continuano a essere favorite dalla BCE che concede loro denaro ad appena l'1% mentre per legge, e per rimanere al solo caso italiano, è stato alzato il tasso di interesse considerato usura. Le Banche possono insomma comprare denaro all'1% e rivenderlo ai cittadini al 16, 17, 18 e 19%. Tutto legalmente. Malgrado questo, molto spesso non lo fanno, poiché prestare denaro ai cittadini e alle imprese è oggi un rischio molto alto, e preferiscono guadagnarci investendo nei titoli di Stato. Ma solo in quelli a breve.

Cambieranno le cose oggi stesso, invece - vedremo - dove a dover essere piazzati saranno i Bot decennali del nostro Paese con uno spread che al momento nel quale scriviamo è già ben oltre i 500 punti. Per un motivo, anche in questo caso, molto semplice: chi è pronto a scommettere su una Italia ancora in piedi così come ora tra dieci anni?

Valerio Lo Monaco

30 dicembre 2011

Avviso agli Usa: Cina e Giappone abbandonano il dollaro




Giornali e Tg non ne parlano, ma per gli ambienti finanziari globali è la notizia-bomba di queste festività natalizie: la seconda e la terza economia mondiale, Cina e Giappone, hanno siglato un accordo che prevede l’abbandono del dollaro americano come valuta utilizzata negli scambi commerciali tra le due nazioni asiatiche, consentendo quindi un interscambio direttamente in yen e yuan. Finora, circa il 60 per cento degli scambi commerciali tra Cina e Giappone vengono regolati in dollari. L’intesa, siglata lunedì a Pechino al termine dell’incontro tra il premier cinese Wen Jiabao e il primo ministro giapponese Yoshihiko Noda, è un chiaro segnale di sfiducia delle due potenze economiche asiatiche nei confronti della travagliata area euro-dollaro.

Questa mossa, spiega Enrico Piovesana sull’edizione online di “E”, il periodico di Emergency, viene interpretata dagli economisti come il primo Wen Jiabao e Yoshihiko Nodapasso concreto del governo di Pechino per far diventare la moneta cinese, lo yuan (o renminbi), una valuta di riserva globale sostitutiva al dollaro. Cosa attualmente non ancora possibile, vista la non completa convertibilità della valuta cinese. Per il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schaeuble, il patto Cina-Giappone rappresenta una sfida che evidenzia l’importanza di una «Europa unita e di una moneta comune che ci dà buone chanches di perseguire i nostri interessi e l’opportunità di realizzarli a livello mondiale».

Come riportato da Bloomberg, «Giappone e Cina promuoveranno scambi diretti di yen e yuan senza usare il dollaro e incoraggeranno lo sviluppo di un mercato dei cambi, per tagliare i costi per le aziende». Secondo il governo di Tokyo, il Giappone effettuerà acquisti di obbligazioni cinesi già dal prossimo anno: vista l’enorme dimensione del volume degli scambi tra le due più grandi economie asiatiche, «questo accordo è molto più significativo di qualsiasi altro patto che la Cina ha firmato con altre nazioni», ha detto Ren Xianfang, un economista di Ihs Global Insight Ltd. E il ministro delle finanze Jun Azumi ha affermato il 20 dicembre che gli acquisti di obbligazioni cinesi avranno un effetto positivo sul Giappone perché aiuterà Il vertice di Pechinoil paese a rivelare più informazioni sui mercati finanziari della Cina, che è «la detentrice della maggior quantità di riserve monetarie al mondo».

Quindi, conclude “Zero Hedge” in un intervento su “Megachip”, mentre gli Stati Uniti e l’Europa bisticciano su chi si dovrà muovere per primo a salvare l’altro, i giganti dell’economia reale – quella in piena tumultuosa crescita – hanno deciso di allontanarsi gradualmente da «quel buco del debito senza fondo» che ormai è diventato il mondo occidentale “sviluppato”. «Tutto quello che dovrà avvenire – aggiunge “Zero Hedge” – è che Russia e India si uniscano a questa intesa». La globalizzazione sembra dunque procedere per la sua strada, «ma senza Stati Uniti ed Europa».

di Giorgio Cattaneo

29 dicembre 2011

Il natale delle banche




Nel corso del 2011 ci siamo sentiti ripetere che uno dei rischi più seri dell'attuale crisi economica è costituito dal pericolo del credit crunch, in parole povere dalla riduzione della disponibilità di denaro nel sistema creditizio. Le banche giustificano con questa paura la stretta creditizia che stanno praticando nei confronti di imprese e famiglie; su questa paura si sostiene l'accusa rivolta ai debiti pubblici di prosciugare le già scarse risorse finanziarie mondiali, aggravando quel rischio.
La gravità della situazione del sistema creditizio mondiale potrebbe essere riassunta in tre cifre. La prima: in base ad un recentissimo studio, pubblicato poche settimane fa dall'autorevole Boston Consulting Group, la perdita complessiva del sistema bancario mondiale tra il 2008 ed il 2010 ammonterebbe a quasi 600 miliardi di euro(1). La seconda: il fabbisogno mondiale di denaro per portare le banche a disporre a bilancio di un capitale di almeno il 7% rispetto ai loro impieghi totali (si noti: 7 euro di capitale per garantirne 100 di impieghi...), come richiesto dallo standard Basilea 3, le banche necessiterebbero a livello mondiale di ben 354 miliardi di euro, dei quali 221 miliardi sono a carico di quelle europee(2). La terza: secondo il Sole 24 Ore, il fabbisogno di credito da parte di imprese e consumatori a livello mondiale raggiungerebbe oggi i 5.000 miliardi di euro(3).
Sono questi i dati di base che confermano il rischio di una generalizzata paralisi del sistema creditizio mondiale: quella, per capirsi, per cui le banche fanno tante difficoltà a prestare denaro a famiglie e imprese, in netto contrasto con l'atteggiamento che tutti abbiamo sperimentato fino al 2008, quando esse rincorrevano aziende e famiglie, offrendo denaro a prezzi stracciati; quando comprare a rate un personal pc o un'automobile costava meno che pagando in contanti!
In questi giorni, nei quali le persone comuni cercano la pace nelle festività natalizie, abbiamo però dinanzi agli occhi una serie di fatti che sollevano molte perplessità su questo ennesimo luogo comune e che ci danno un'idea sempre più chiara del funzionamento effettivo del sistema finanziario internazionale - obbligandoci a tornare ancora una volta sulla questione della moneta, del credito e del potere patologico delle forze finanziarie.
Il 21 dicembre infatti, la Banca Centrale Europea (BCE) ha inondato il sistema bancario europeo con un prestito di ben 489,2 miliardi di euro, ben oltre i 300 miliardi di euro che venivano stimati come effettivo fabbisogno. Economisti citati dal New York Times (4) stimano che, di questa somma, tra 190 e 270 miliardi di euro siano costituiti da nuove risorse (nuovo denaro), il resto dal rinnovo di prestiti precedentemente concessi: teniamo sempre presente che si tratta di denaro di cui la BCE ha disponibilità solo grazie alle politiche di rigore che gli Stati europei stanno adottando - sono quindi risorse finanziarie che provengono in definitiva dal lavoro dei cittadini.
Questo denaro è stato offerto alle banche con scadenza a tre anni, ad un tasso d'interesse dell'1%, condizioni quindi assolutamente favorevoli per le banche. L'intento, dice il New York Times, è quello di rendere "disponibile nuovo denaro per comprare buoni del tesoro governativi a breve termine che hanno una maggiore redditività o interessi più alti, come nel caso dei bond a due anni del governo spagnolo, che rendono il 3,64%". Permettendo in tal modo alle banche di guadagnare lautamente sul sostegno all'indebitamento dei governi più in difficoltà.
Per facilitare questa operazione di ri-finanziamento del ciclo speculativo europeo, la BCE, un vero Babbo Natale per il sistema finanziario, si è resa disponibile ad ampliare anche la tipologia dei cosiddetti "collaterali", le garanzie che le banche stesse devono esibire quando attingono al prestito, in modo da renderlo più agevole anche per piccole banche che di norma non dispongono di sufficienti garanzie. "Si tratta di un successo da diversi punti di vista" - dice Nicolas Véron, ricercatore di un'organizzazione con sede a Bruegel, citato dal New York Times. "Il problema è che espone la BCE ai rischi collegati alle banche stesse, poiché nessuno conosce la qualità dei collaterali che esse stanno fornendo in garanzia".
Secondo notizie dell'agenzia Reuters, ben 523 istituti bancari europei hanno prontamente approfittato di questa generosa offerta, tra i quali pare che UniCredit e Intesa Sampaolo abbiano attinto oltre una settantina di miliardi di euro, garantiti da circa 40 miliardi di euro di "collaterali"(5).
Grazie a queste notizie, si chiarisce subito che la generosa iniezione di risorse nel sistema bancario europeo non è destinata affatto a sostenere il credito all'economia reale: non sono cioè soldi destinati alle famiglie ed alle imprese, ma a perpetuare il meccanismo della speculazione finanziaria che ha generato per anni la parte più consistente dei guadagni delle banche nell'ultimo decennio e che è stata poi, con le sue gigantesche perdite, le cui dimensioni non sono ancora mai state quantificate, la vera origine della crisi. Evitare che si arresti questo ciclo speculativo, guadagnando tempo per evitare che vengano allo scoperto quelle perdite; permettere che a queste risorse si aggiungano altri soldi pubblici per sostenere le banche in difficoltà, attraverso meccanismi come quelli delle cosiddette bad bank, vale a dire tramite l'assunzione da parte dello Stato delle perdite - come si sta pensando di fare in Germania (6). Questa risulta essere la strategia della Banca Centrale Europea diretta da Draghi e dell'authority europea delle banche (EBA), secondo il modello della Federal Reserve Usa.
Ma vi è di più: apprendiamo infatti che solo tre giorni dopo questa iniezione di denaro, vale a dire alla Vigilia di Natale, ben 82 miliardi di euro erano già rientrati alla BCE (7) - una cifra che stabilisce una record di restituzioni alla Banca Centrale dal giugno 2010, prima cioè che la crisi europea assumesse i toni catastrofici cui siamo abituati dallo scorso luglio 2011. Una notizia apparentemente sorprendente: se infatti il fabbisogno di liquidità è così impellente, se il denaro è così scarso nel sistema creditizio mondiale, come mai le banche hanno già restituito il denaro preso in prestito? Perché non lo hanno utilizzato per ridare fiato alla circolazione interbancaria? Perché non se ne sono servite per ricapitalizzarsi? Anche in termini di pura speculazione, infatti, si tratta di un evidente non senso: lo dice il rapporto fra il costo di questo denaro, ottenuto come si è già visto ad un tasso dell'1%, ed il tasso attivo praticato dalla BCE sui suoi conti correnti di appena lo 0,25%.
Per risolvere questo singolare enigma, il Sole 24 Ore suggerisce di attendere ancora qualche giorno: potrebbe infatti trattarsi di una semplice operazione di "parcheggio" di questi fondi presso la BCE, in attesa di investimenti più redditizi, come quelli nei bond spagnoli di cui parlava il New York Times. Ma vi è un'altra ipotesi a spiegare le ragioni del mancato utilizzo sui circuiti del credito di tutti questi soldi: "le banche - scrive Moryia Longo sul giornale di Confindustria, preferiscono perdere, piuttosto che rischiare prestando quei denari a qualche altra banca o a qualche impresa".
Scopriamo così, grazie al dono natalizio della BCE, un aspetto importante e insieme impressionante della crisi. In realtà infatti esistono ancora grandi masse di capitali nel mondo, solo che sono immobilizzate nei forzieri delle grandi entità finanziarie: i soldi rientrati prontamente nelle casse della BCE sono infatti solo spiccioli se si considera che le banche Usa, secondo i calcoli di Mps Capital Service, citati dallo stesso articolo del Sole 24 Ore, hanno in deposito presso la Federal Reserve "riserve in eccesso" per ben 1.500 miliardi di dollari (rispetto ai 1.000 di gennaio 2011); che le imprese Usa hanno poi liquidità ferma nelle loro casse per altri 2.100 miliardi di dollari; e, per finire, che la Cina ha nei forzieri del governo la più ricca disponibilità di riserve mai detenute da uno Stato nella storia dell'umanità, stimate in 3.200 miliardi di dollari.
Sono in tutto quasi 7.000 miliardi di dollari tesaurizzati e sottratti alla circolazione mondiale dei capitali. E non c'è bisogno di essere professori di economica per capire che il fabbisogno mondiale di credito alle imprese e famiglie, stimato in 5.000 miliardi di dollari, sarebbe ampiamente soddisfatto solo che queste risorse venissero poste in circolazione nell'economia reale e non in quella speculativa; e ci sarebbe capienza anche per ricapitalizzare le banche mondiali. Per tacere del fatto che, mentre il valore dell'intero prodotto mondiale nel 2010 è stato di circa 70.000 miliardi di dollari, la "sola" speculazione finanziaria sui titoli derivati fuori dai circuiti controllati, escludendo quindi il valore dei mercati borsistici internazionali e del mercato dei cambi, è valutata nel 2011 da Der Spiegel in ben 708.000 miliardi di dollari!
Scopriamo quindi che il credito manca all'economia reale perché il denaro continua ad essere indirizzato ad alimentare le operazioni della finanza internazionale, a tesaurizzare riserve a copertura delle perdite che i grandi operatori sanno di avere prodotto, al possibile salvataggio di banche decotte (come nel caso da manuale di Northern Rock), nonché al supporto ai deficit di bilancio di sistemi politici in fallimento come le democrazie parlamentari occidentali. L'emissione di titoli di Stato, infatti, come ha giustamente mostrato Luciano Gallino e come molti ancora oggi si dimenticano di ricordare, è uno dei meccanismi più efficienti mediante i quali le banche centrali creano moneta dal nulla (8), indebitando i cittadini a loro insaputa: un'indebitamento delle collettività contro il quale oggi tuonano molti economisti, facendo finta di ignorare che si tratta di un aspetto fisiologico del funzionamento del capitalismo finanziario.
Dalle cifre che abbiamo citato si ricava che il credito manca oggi perché le risorse finanziarie accumulate in questi anni non vengono poste in circolazione nell'economia reale, nonostante sia ben noto a qualsiasi persona di buon senso che si occupi di economia che la circolazione del denaro è un elemento fondamentale per la salute di qualsiasi organismo economico umano. È la consapevolezza dell'enormità dei deficit provocati che spinge i grandi creatori del debito mondiale a trattenere nei propri forzieri il denaro, per guadagnare tempo evitando l'interruzione del ciclo speculativo che porterebbe allo scoperto le gigantesche perdite prodottesi in questi anni sia sui mercati ufficiali che su quelli paralleli non controllati da nessuno. E sperando che nel frattempo le gigantesche operazioni di rastrellamento di denaro dalle tasche dei cittadini, mediante le "grandi manovre" dei governi tecnici, producano il denaro necessario a che quelle perdite vengano coperte o che ne venga diluita nel tempo la fuoriuscita allo scoperto. Giacché è questo l'unico significato logico delle operazioni di "salvataggio": non si tratta, come dice Monti, di salvare l'Italia o l'Europa - si tratta di salvare dal tracollo le grandi aziende finanziarie internazionali.
Un gioco al quale si prestano anche, dimenticando gli insegnamenti di grandi capitalisti come Henry Ford e dello stesso Adam Smith, le imprese più collegate ai grandi circuiti finanziari, che si tengono stretti i soldi, nel timore del credit crunch ma anche nella speranza di quei remunerativi impieghi speculativi ai quali si sono abituate negli ultimi tre decenni - tradendo il compito che sarebbe loro primario nei sistemi di libera impresa, quello di investire nello sviluppo di nuovi prodotti e di dare lavoro alle persone. Il gioco al quale, infine, si presta ben volentieri anche la Cina, alla testa delle nuove forze del capitalismo di Stato, tipiche dei Paesi emergenti, accumulando riserve gigantesche, consapevole che in questo modo avrà in mano un'arma geo-politica decisiva per il decennio che si apre, un'arma che potrebbe ridisegnare i rapporti di potenza a livello mondiale - anche grazie ad un'abile politica di acquisizione di infrastrutture industriali e logistiche, in primo luogo proprio approfittando della crisi in Europa (9).
Solo inquadrandolo in una prospettiva così ampia, si può rilevare il vuoto di idee della battaglia "ideologica" sul come affrontare in Europa la stretta creditizia, giacché essa evita accuratamente di affrontare la questione centrale, di chi cioè debba avere il potere di immettere denaro sui mercati. Da un lato, pensando alle recessioni degli anni Trenta del secolo scorso, vi è il timore che l'emissione di denaro crei inflazione; altri invece, pensando alle politiche del secondo dopoguerra, invocano il ritorno a politiche keynesiane, per ridare fiato allo sviluppo, tornando a vedere nella "mano pubblica" la via di uscita dalla recessione (10). In entrambi i casi, sono vecchie idee, seguendo le quali ripercorreremmo strade disastrosamente già percorse dal capitalismo: strade che, di crisi in crisi, hanno costruito lo straordinario potere della finanza internazionale, che ha sovrapposto all'organismo sociale umano un'economia artificiale speculativa che opprime l'economia reale, nonostante questa debba poi ogni volta farsi carico, come sta accadendo grazie ai governi "tecnici", del salvataggio del sistema.
Il cosiddetto quantitative easing (letteralmente: "agevolazione quantitativa"), ultima forma di creazione di denaro dal nulla, utilizzato dalla Federal Reserve Usa per alimentare il sistema bancario nel momento più drammatico della crisi del 2007-2008, indebitando i governi e i cittadini, e perpetuando i meccanismi della speculazione finanziaria, mostra che il potere di emettere moneta deve essere sottratto alle banche. Ma questo potere deve essere altresì sottratto alla funzione politica, dal momento che lo Stato, nelle democrazie parlamentari, è ormai ostaggio dei poteri forti della stessa finanza internazionale: basta conoscere il già ricordato meccanismo di creazione del debito conseguente al potere delle banche di creare denaro dal nulla, e studiare in dettaglio chi sono i cosiddetti primary dealer (gli acquirenti più importanti) del debito pubblico italiano.
Di nuovo risulta evidente come sia necessario, perché l'economia reale torni a dominare correttamente la vita sociale, che le decisioni essenziali sull'economia, diventino di competenza esclusiva dei produttori (imprenditori, tecnici, lavoratori) e dei consumatori, organizzati in Camere dell'Economia, in cui essi siano pariteticamenti presenti. In una prospettiva radicalmente innovativa di questo tipo, deve spettare a chi abbia una relazione diretta con l'organizzazione e del funzionamento dei sistemi produttivi, la decisione ed il controllo sulla quantità, sulla distribuzione e sulla durata del valore della moneta, giacché solo in questo modo il denaro resterebbe collegato all'economia reale: le banche, a questo punto, svilupperebbero il loro ruolo sociale, di pura gestione tecnica del credito; l'emissione di moneta resa proporzionale alla ricchezza effettivamente prodotta dallo spirito di iniziativa, dal lavoro e dalle capacità umane, ridarebbe energia e libertà alla vita economica reale; il credito, restituito all'iniziativa ed al lavoro, riattiverebbe una sana circolazione del denaro, come linfa vitale del ciclo di produzione, trasformazione, consumo.
Per questa via occorre incamminarsi coraggiosamente, trattandosi della sola possibilità che resta ai popoli di riscattare il loro lavoro dal potere dei padroni del denaro che per questo si considerano i "padroni dell'universo".
di Gaetano Colonna
(1) R. Dayal, Gerol Grasshoff, Douglas Jackson, Philippe Morel, Peter Neu, "Facing New Realities in Global Banking", Risk Report 2011, The Boston Consulting Group, dicembre 2011 (scaricabile on line dal sito della BCG).
(2) Ivi.
(3) M. Longo, "Effetto crisi e Basilea 3: credit crunch mondiale stimato il 5mila miliardi", Il Sole 24 Ore, 18 dicembre 2011.
(4) N.D. Schwartz, D. Jolly, "European Bank in Strong Move to Loosen Credit", The New York Times, 21 dicembre 2011.
(5) S. Bernabei, L. Togni, "Italian banks tap €116 of ECB loans", Reuters, 21 dicembre 2011.
(6) A. Merli, "Berlino prepara la bad bank", Il Sole 24 Ore, 10 dicembre 2011.
(7) M. Longo, "Il maxi-prestito Bce parcheggiato a Francoforte", Il Sole 24 Ore, 24 dicembre 2011.
(8) L. Gallino, Finanzcapitalismo, la civiltà del denaro in crisi, Einaudi, Torino, 2011, p. 177.
(9) L. Vinciguerra, "La Cina mette gli occhi sugli asset strategici Ue", Il Sole 24 Ore, 24 dicembre 2011.
(10) Si veda l'intervento, tipico della finanza "di sinistra", di Carlo De Benedetti, "Da Francoforte un colpo a salve", Il Sole 24 Ore, 24 dicembre 2011.

28 dicembre 2011

La demenza generalizzata del Popolo italiano. Un enigma storico da decifrare







1. Nell’editoriale della rivista Italicum, dicembre 2011, Luigi Tedeschi fa un primo completo bilancio dei provvedimenti della giunta Monti, e ne rintraccia anche correttamente la genesi economica, storica e politica. Alla fine di queste analisi Tedeschi osserva che tutti i partiti, di destra e di sinistra, “volevano che Monti attuasse quelle manovre impopolari che essi non erano in grado di condurre in porto per motivi elettorali”. Mi sembra evidente. E ancora: “Potrebbero un domani tentare di svincolarsi dalle loro responsabilità addossando a Monti la colpa per misure impopolari approvate, contando sulla demenza generalizzata del popolo italiano, che darebbe loro nuovo consenso, non essendoci alternative”.

A livello di filosofia politica, ci si potrebbe chiedere se il popolo in quanto tale è demente (spiegazione nicciana e delle teorie delle élites) oppure se lo è soltanto quando è ridotto a corpo elettorale (spiegazione che risale a Rousseau e ai teorici della democrazia diretta, fra cui anche Lenin).

2. Quindici anni fa scrissi un manifesto filosofico insieme a Massimo Bontempelli, mancato in questo stesso anno 2011 (cfr. Bontempelli-Preve, Nichilismo Verità Storia, CRT, Pistoia 1997). In un capitolo sulla menzogna del linguaggio economico (pp. 23-24), Bontempelli faceva risalire alla generalizzazione della forma di merce la scomparsa della verità delle relazioni sociali. Diagnosi a mio avviso esattissima. E poi elencava una serie incredibile di menzogne del linguaggio economico. Fra di esse si notava che “alcuni decenni orsono, quando la tecnologia e la produzione di merci erano meno sviluppate di oggi, non c’erano difficoltà a finanziare le pensioni e l’assistenza sanitaria dei lavoratori, mentre oggi, dopo tanto sviluppo, gli economisti ci dicono che il sistema economico non può sopportare questo finanziamento”.

Sembrano righe scritte nel dicembre 2011, e invece risalgono ai primi mesi del 1997. Partiamo quindi da questo rilievo.

3. Come tutti gli studiosi di storia e di filosofia, sono attirato dai due estremi complementari della coscienza sociale, la genialità e l’idiozia. E tuttavia l’idiozia è sempre più interessante, anche perché è più divertente. I mezzi di comunicazione di massa ci offrono ogni giorno quantità industriali di idiozia, e con l’arrivo della televisione e dei giornali non c’è neppure bisogno di mescolarsi agli idioti, perché l’idiozia ci viene portata a domicilio in modo semigratuito.

Mi ha colpito una manifestazione di “donne” (una delle maggiori idiozie del nostro tempo è la separazione femminista di donne e di uomini, dopo che c’è voluta tanta fatica per promuoverne la giusta e sacrosanta eguaglianza), in cui una nota regista concionava sostenendo che il nuovo governo Monti almeno “rispettava le donne”, mentre il precedente puttaniere evidentemente non lo faceva. Ora, il precedente puttaniere non era riuscito ad aumentare in un colpo solo l’età pensionabile, mentre Monti, l’uomo che rispetta le donne, lo ha fatto.

Siamo quindi di fronte ad un esempio quasi da manuale di demenza generalizzata. La sua genesi deve essere ancora indagata. A un livello superficiale, per sua natura insoddisfacente, ci si può riferire alla necessità del PD di babbionizzare il suo elettorato, oppure alle conseguenze di vent’anni di antiberlusconismo di “Repubblica”, rinforzato da dosi massicce di Floris e Gad Lerner. E’ senz’altro così. Nello stesso tempo, fermarsi a questo livello è assolutamente insoddisfacente.

4. Partiamo da un dato apparentemente secondario. Scrive il giornalista Stefano Lepri (cfr. “La Stampa”, 14 dicembre 2011): “Colpisce nel Paese, almeno a giudicare dai sondaggi, il contrasto fra gli elevati consensi di cui gode il governo Monti e il diffuso rigetto della sua manovra di austerità. Non sembra esistere nessuna forza capace di convincere i cittadini che quello che gli viene richiesto è uno sforzo solidale”.

Partiamo da questa apparente schizofrenia. Elogi a Monti e al suo burattinaio politico Napolitano, ex comunista riciclato in uomo della NATO e degli USA in Italia, e considerato dalla massa babbiona PD il grande garante e difensore della Costituzione. E nello stesso tempo brontolio contro la manovra sul fatto che “pagano sempre i soliti noti”, “la casta non è abbastanza colpita”, eccetera. Spiegare questa schizofrenia è relativamente facile, ma richiede ugualmente uno sforzo culturale. Facciamolo, tenendo conto che mi limiterò all’Italia, e solo all’Italia, perché altrove i dati culturali egemonici possono essere e sono diversi.

5. Quando al tempo di Pio XII la chiesa cattolica “scomunicò i comunisti” siamo stati in presenza di un episodio, forse l’ultimo, di una strategia controriformistica. La chiesa non aveva mai avuto paura di quella forma di paganesimo estetizzante che era stato un certo Rinascimento, ma aveva avuto veramente paura di una possibile riforma protestante in Italia. La riforma protestante, infatti, non parlava soltanto ai dotti e agli intellettuali del tempo, ma al popolo. Nello stesso modo la chiesa cattolica, pur avendo messo debitamente all’indice le opere filosofiche di Croce e di Gentile, nonostante il loro continuo proclamarsi di “non potersi non dirsi cristiani”, non aveva mai avuto molta paura né della variante liberale del laicismo, né di quella azionista. Sia il liberalismo che l’azionismo erano infatti palesemente fenomeni ristretti di certi intellettuali. Ma con l’arrivo del “comunismo” in Italia (arrivo non precedente la guerra civile 1943-45, almeno nella sua dimensione di massa) le cose cambiavano. Il comunismo italiano, nella versione togliattiano-gramsciana, sfidava invece la chiesa cattolica sul suo stesso terreno, che era l’egemonia culturale sulle classi popolari.

Il segretario di sezione comunista iniziava sempre la sua relazione dalla cosiddetta “situazione internazionale”. Si trattava spesso di una raffigurazione assolutamente mitico-fantasmatica della realtà sociale, basata sulla metafisica storicistica del progresso, su di una immagine antropomorfica del capitalismo come società dei privilegi di mangioni e “forchettoni”, sull’elaborazione dell’invidia sociale dei subalterni, sul presupposto della supposta incapacità del capitalismo di sviluppare le forze produttive, e su altre sciocchezze positivistiche di questo tipo fatte indebitamente risalire a Marx, eccetera. Sarebbe estremamente facile correggere con una matita rossa e blu le ingenuità populistiche di questo messaggio. Sta di fatto che questo messaggio dava pur sempre della realtà un’immagine razionale e coerente, in grado di spiegare con un certo grado di semplificata approssimazione la storia contemporanea, anzi “il presente come storia” per usare una bella espressione di Paul Sweezy.

6. Tutto questo venne progressivamente meno in Italia nel ventennio 1968-1988. Non intendo scendere in una periodizzazione più precisa e analitica perché mi interessa connotare un processo nella sua interezza temporale evolutiva. In questo ventennio le classi popolari italiane restarono semplicemente senza gruppi intellettuali nel senso egemonico gramsciano del termine, e restarono così politicamente mute. Le facili accuse di populismo, leghismo, razzismo, eccetera, con cui vengono ingiuriate da circa un ventennio, nascondono un maestoso processo di spossessamento e di deprivazione culturale complessiva.

In termini sintetici, il comunismo italiano fra il 1968 e il 1988 si è trasformato culturalmente in una sorta di “azionismo di massa”, ma trasformandosi in azionismo di massa non poteva che cambiare radicalmente codice comunicativo ed egemonico. L’azionismo di massa, combinato con il sessantottismo dei costumi di cui il femminismo è certamente stato una componente particolarmente degenerativa in senso sociale, ha infine preparato il clima dell’ultimo ventennio, un occidentalismo di massa esplicito (antiberlusconismo moralistico ed estetico, diritti umani a bombardamento imperialistico legittimato, eccetera). Una tragedia, e soprattutto una tragedia rimasta in larga parte incomprensibile alle sue stesse vittime, oggetto di una babbionizzazione pianificata dall’alto cui era praticamente impossibile resistere.

7. Possiamo sommariamente connotare la cultura popolare promossa dal PCI, e subordinatamente anche dal PSI, fra il 1948 e il 1968 come una forma di populismo di massa. Del resto, questo era chiaro a tutti gli studiosi del tempo, basti pensare all’Asor Rosa di Scrittori e Popolo. Soltanto negli ultimi vent’anni il “populismo” è diventato un insulto applicato non solo a Berlusconi, ma anche a Chavez. Ma non si tratta che di un mascheramento linguistico del ceto intellettuale integrato e politicamente corretto, e anzi integrato perché politicamente corretto, o se si vuole politicamente corretto perché integrato.

Al ventennio del populismo di massa 1948-1968, seguì il ventennio dell’azionismo di massa 1968-1988. Non a caso, Norberto Bobbio diventò il principale autore di riferimento dell’ex PCI spodestando completamente Gramsci, diventato autore di cult per i cultural studies delle università anglosassoni. Per comprendere il passaggio dal populismo di massa all’azionismo di massa è utile “rinfrescare” la nostra conoscenza delle fasi di sviluppo del capitalismo.

8. Il principale errore della metafisica di “sinistra” consiste nell’identificazione del capitalismo con la borghesia. In termini spinoziani, questo dà luogo a una antropomorfizzazione del capitalismo, cui sono attribuite di volta in volta caratteristiche antropomorfiche, come la conservazione o il progressismo. In termini hegeliani, questo dà luogo a una esaltazione di tipo weberiano del razionalismo astratto, per cui la razionalizzazione progressiva delle sfere sociali e il loro adattamento al consumo delle merci viene chiamato “modernizzazione”. In termini marxiani, questo significa scambiare la falsa coscienza necessaria dei gruppi intellettuali “modernizzatori” per il fronte scientifico avanzato della coscienza sociale, cui sottomettere con l’educazione i plebei invidiosi rimasti invischiati nel razzismo, nel populismo e nel leghismo.

Secondo la corretta analisi dei sociologi francesi Boltanski e Chiapello, la “sinistra” che conosciamo si è costituita in un ben preciso periodo e in una ormai sorpassata fase dello sviluppo capitalistico. Si è costituita fra il 1870 e il 1968 circa, sulla base di un’alleanza fra la critica sociale alle ingiustizie distributive del capitalismo di cui erano titolari le classi popolari, operaie, salariate e proletarie, e una critica artistico-culturale all’ipocrisia conservatrice della borghesia di cui erano titolari i cosiddetti “intellettuali d’avanguardia”. Questo schema corrisponde abbastanza bene, per quanto concerne l’Italia, al ventennio 1948-1968 e trova ad esempio in Pier Paolo Pasolini un rappresentante significativo.

Con il Sessantotto, una delle date più controrivoluzionarie della storia mondiale comparata, questa alleanza viene meno perché è il capitalismo stesso a liberalizzare i costumi sociali e sessuali in direzione non solo post-borghese , ma addirittura anti-borghese (e ancora una volta il femminismo dei ceti ricchi è solo la punta dell’iceberg).

L’azionismo di massa del ventennio 1968-1988 progressivamente dominante in Italia non è altro che la versione italiana di un fenomeno europeo e mondiale, ma soprattutto europeo, perché Cina, India, Brasile, eccetera, continuano a essere Stati sovrani e non occupati da basi militari USA dotate di armamenti atomici.

Un popolo privato di ogni profilo culturale autonomo è quindi preda di un processo che si può definire sommariamente come “sindrome di demenza generalizzata”. Mi spiace che possa sembrare sprezzante ed offensivo, ma non riesco a trovare altro termine per connotare la perdita totale di un “centro di gravità permanente”, per rifarci all’espressione di un noto compositore.

9. La sindrome di demenza generalizzata insorge quando vengono meno tutti gli schemi dialettici di interpretazione sociale e riguarda tutti, ma assolutamente tutti gli ambiti sociali, in alto e in basso, a destra e a sinistra, anche se ovviamente in forme diverse.

A “destra” la sindrome di demenza generalizzata assume le consuete forme paranoiche. La paranoia è infatti una malattia soprattutto di “destra”, mentre la schizofrenia è invece una malattia soprattutto di “sinistra”. Prestiamo attenzione a fenomeni degenerativi come il pogrom di gruppi di plebei torinesi delle Vallette (non uso infatti mai la nobile parola di “popolo” per plebi decerebrate e imbarbarite) contro un insediamento di nomadi, o addirittura l’uccisione a freddo di due senegalesi a Firenze da parte di un allucinato paranoico. E’ assolutamente evidente che fatti come questi non devono essere giustificati in alcun modo con contorti argomenti sociologici da bar. E tuttavia essi sono soltanto la punte dell’iceberg di una perdita totale di comprensione del mondo, cui si supplisce con la scorciatoia della paranoia. Naturalmente il concerto politicamente corretto non è in grado di spiegare questi fenomeni di alienazione paranoica, perché si culla con i rassicuranti stereotipi del fascismo, nazismo, populismo, leghismo, revisionismo, negazionismo, eccetera. Ma la cura di queste sindromi di demenza generalizzata non può consistere in geremiadi moralistiche.

Ho già notato come la sindrome di demenza assuma a “sinistra” aspetti più simpatici e politicamente corretti perché solo schizofrenici e non paranoici (Monti è buono, ma la manovra è cattiva; Monti è buono perché rispetta le donne a differenza del laido puttaniere, eccetera). Certo, le scemenze non violente sono pur sempre meglio delle scemenze violente, ma scemenze restano e resta il problema della opacità sociale, cioè di un sistema di cui si è completamente perduta la chiave d’interpretazione. Ma non c’è nessuna chiave, dicono gli intellettuali pagliacci di regime alla Umberto Eco, e bisogna abituarsi a vivere gaiamente senza più nessuna chiave. Ma le grandi masse popolari, appunto, non possono vivere a lungo senza alcuna chiave interpretativa della riproduzione sociale, pena la caduta in sindromi di demenza generalizzata. E di questa bisogna quindi parlare.

10. Vi è un interessante passo, credo di John Reed, che può aiutarci a impostare la questione della demenza sociale generalizzata. Reed parla con un “soldato rosso” dopo il 1917 che gli dice: “I bolscevichi sono buoni perché ci hanno dato la terra. Sono invece i cattivi comunisti che ce la vogliono togliere”. Ora, è inutile assumere la spocchia della persona colta che sa che bolscevichi e comunisti sono in realtà le stesse persone. Ciò che invece conta è il modo in cui erano percepite da chi aveva tutto il diritto di non conoscere le teorie di Marx e del conflitto fra tattica bolscevica e strategia comunista.

Monti piace, mentre le sue manovre no, perché si pensa che esse colpiscano sempre i “soliti noti”. Errore. Colpiscono anche le libere professioni “borghesi” consolidate e organizzate da almerno due secoli di civiltà borghese. Naturalmente, Berlusconi si era fatto votare per “fare la rivoluzione liberale”, ma questa rivoluzione liberale, oggi come oggi, colpisce il 95% delle persone e ne salva invece solo il 5%. I vari Giavazzi e Alesina non sono affatto “liberali”, come opinano i lettori ingenui del Corrierone, ma sono solo “maschere di carattere” (le marxiane charaktermasken) di un processo anonimo e impersonale di globalizzazione liberista. Questo processo non può presentarsi apertamente nella sua concreta natura che chiamare “nazista” è dire poco. Si tratta di una società del lavoro flessibile, precario e temporaneo generalizzato, della fine di ogni democrazia e di ogni sovranità nazionale, di un interventismo imperiale continuo fatto in nome di generici “diritti umani” ad arbitrio assoluto, e della stessa fine dell’Europa come centro autonomo di civiltà non ancora del tutto “occidentalizzato”.

In un simile quadro la demenza sociale riflette l’opacità della riproduzione sociale, e assume toni schizofrenici a sinistra e paranoici a destra, anche se di diverso grado di pericolosità criminale. A sinistra, un antifascismo paranoico in totale assenza di fascismo. A destra, l’ennesima stucchevole tendenza a prendersela con i soliti capri espiatori, i nomadi, i negri, gli immigrati, eccetera. Questa demenza non verrà meno fino a che una nuova credibile interpretazione della natura degli avvenimenti in corso, e cioè del “presente come storia”, sostituirà gli spettacoli schizofrenici e paranoici in corso. I pazzi di Oslo e di Firenze non possono essere previsti. Il casuale in quanto tale è necessario, scrisse Hegel. Ma la reintroduzione della razionalità storica nella politica, questa sì, sarebbe possibile.
di Costanzo Preve

26 dicembre 2011

La congiura dei pazzi





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Dopo l’efferato carnaio estivo che ha scosso la Norvegia, anche il palcoscenico belga ed italiano si è tinto di sangue in seguito ai due attentati di Liegi e Firenze.
Naturalmente, le autorità pubbliche di entrambi i paesi hanno escluso a priori qualsiasi connessione tra i due eventi, che malgrado siano avvenuti quasi in contemporanea e affondino entrambi le radici nel degradato tessuto sociale europeo, andrebbero tuttavia iscritti nel novero delle azioni dettate dalla paranoia individuale che affliggeva i loro diretti responsabili.
La teoria del pazzo che scatena la carneficina per assecondare i demoni che si annidano nel proprio subconscio rappresenta infatti una risorsa di cui la politica si avvale regolarmente allo scopo di difendere l’ordine costituito ed evitare che la base sociale colga l’occasione per sollevare problemi che non trovino la loro spiegazione nell’oscuro ed inestricabile ambito della follia, ma siano invece riconducibili al più logico campo della razionalità.
Appare quindi quantomeno discutibile l’approccio semplicistico e autoconsolatorio, imperniato sulla tesi del “pazzo solitario”, mantenuto dalla maggior parte degli inquirenti e dei principali organi di informazione in relazione agli attentati di Oslo, Utoya, Liegi e Firenze, le cui rispettive ricostruzioni presentano un consistente numero di zone d’ombra e poggiano su fondamenta logiche azzardate e contraddittorie.
Negli istanti immediatamente successivi alla strage di Utoya la autorità norvegesi operarono un conto dei morti incredibilmente superiore alla realtà (almeno 100 morti dichiarati, a fronte dei 69 definitivi) mentre non è ancora chiara la dinamica dei fatti di Firenze e Liegi.
In questo campo minato di indizi ed ipotesi destinate con ogni probabilità a rimanere tali esiste tuttavia un minmo comun denominatore che la politica cerca faticosamente di minimizzare, ovvero il razzismo.
Anders Breivik era un sionista xenofobo animato da un sacro ardore anti – islamico che ha riversato il proprio algido disprezzo omicida contro i giovani simpatizzanti di un partito considerato incoscentemente lassista nei riguardi dell’immigrazione.
Gianluca Casseri era un razzista dichiarato ed ha manifestato il proprio odio nei confronti degli immigrati fiorentini aprendo il fuoco contro alcuni venditori ambulanti senegalesi, uccidendone due.
Il fatto che frequentasse Casa Pound ha suscitato il consueto e sempreverde orgoglio “democratico” in seno a una società afflitta da un grado di timore irrazionale nei confronti del fascismo che supera la paranoia, poiché il fascismo rappresenta un fenomeno ormai concluso, da iscrivere nel campo della Storia e non dell’attualità.
In compenso, l’attentato ha innescato la solita catena di sillogismi che ha portato i più ortodossi esponenti di questo nuovo anti-fascismo del nuovo millennio a criminalizzare Casa Pound come entità, mentre l’ala più “moderata” si è limitata a pretendere la pubblica disapprovazione dell’accaduto da parte di ciascun adepto dell’organizzazione che si richiama al pensiero politico del grande poeta statunitense (come ha fatto Lucia Annunziata con Gianluca Iannone).
Nordine Amrani aveva invece attirato le attenzioni della polizia belga già negli scorsi mesi, quando nella sua abitazione vennero reperite qualcosa come 30.000 (circa) piantine di marijuana oltre a un considerevole arsenale bellico che fu immediatamente posto sotto sequestro.
Appare quindi quantomeno strano che egli abbia potuto tranquillamente riacquistare pistole, fucili, bombe a mano e Kalashnikov per rimettere insieme un arsenale nuovo di zecca che gli ha permesso, tra le altre cose, di uccidere una donna e occultarne il cadavere prima di compiere la strage.
Una “disattenzione” delle forze dell’ordine belghe che ricorda, fatte le debite proporzioni, quella dei loro colleghi italiani che “dimenticarono” di perquisire il covo in cui si nascondeva Salvatore Riina, offendo agli ex sottoposti del corleonese l’immancabile occasione di ripulire tutte le stanze e di riverniciarne addrittura le pareti.
Ad ogni modo Amrani è – al contrario di Breivik e Casseri – un immigrato che ha compiuto una strage di nativi belgi, il che rovescia il rapporto carnefici-vittime ma conferisce al nodo gordiano del razzismo il definitivo ruolo di trait d’union tra le stragi in questione.
Va chiarito, beninteso, che è perfettamente plausibile che non esista alcuna connessione tra le stragi e che la crisi economica e sociale che sta devastando l’Europa abbia esasperato i sentimenti di questi squilibrati armando le loro pericolose mani, ma questa è una lettura assai accomodante che, soprattutto, non costituisce un argomento valido per scartare tesi alternative.
Non è la prima volta, infatti, che l’Europa, e l’Italia in particolare, sono teatro di stragi ed eccidi di massa, che a loro volta non rispondevano ad alcun delirio individuale del pazzo di turno, ma rientravano in una specifica e ben definita strategia politica volta a consolidare i rapporti di forza internazionali.
L’obiettivo finale della cosiddetta “strategia della tensione” – che in Italia si dispiegò attraverso gli attentati di Piazza Fontana del 1969, di Peteano nel 1972, della questura di Milano nel 1973, di Piazza della Loggia e del treno Italicus nel 1974, della stazione di Bologna nel 1980, oltre a quello di Portella della Ginestra nel 1947 che tuttavia viene generalmente (ma non correttamente) considerato come un caso a sé stante – fu correttamente indicato da un terrorista di primo piano come Vincenzo Vinciguerra, il quale affermò che: “Si dovevano uccidere civili, donne, bambini, innocenti, gente sconosciuta, lontana da ogni gioco politico. Il motivo era molto semplice. Si supponeva che questo avrebbe costretto il popolo, l’opinione pubblica italiana, a rivolgersi allo Stato chiedendo più sicurezza. Questa è la logica politica che sta dietro tutte le stragi e le bombe impunite, dato che lo Stato non può dichiararsi colpevole o responsabile di quanto accaduto”.
E se un’autorità del calibro del Generale Gianadelio Maletti giunse al punto di arricchire il quadro dipinto da Vinciguerra sottolineando che “La CIA, seguendo le direttive del suo governo, intendeva suscitare un nazionalismo italiano in grado di fermare quello che veniva visto come un progressivo slittamento del paese a sinistra e a questo scopo può aver fatto uso del terrorismo di destra”, invitando a non sottovalutare il fatto che “Il Presidente [degli Stati Uniti] era Nixon e che Nixon era un uomo molto strano, un politico molto intelligente ma anche un uomo dalle iniziative poco ortodosse”, emerge con sufficiente chiarezza quali interessi si celassero dietro la spinta destabilizzante che non coinvolse soltanto l’Italia, ma anche paesi come la Germania (strage dell’Oktoberfest del 1980) e il Belgio (serie di misteriosi assalti di natura militare operati da sconosciuti esecutori – che produssero efferate stragi nel Brabante entro l’arco temporale che si estende tra il 1982 e il 1985 – condotti attraverso tattiche che somigliano al modus operandi impiegato da Breivik, Casseri e Amrani).
Non fu soltanto il terrorismo di destra, tuttavia, a fungere da braccio armato dei progetti eversivi orchestrati in ambiti ben differenti e assai più influenti rispetto a quello eminentemente italiano, poiché dall’analisi dell’evoluzione della strategia criminale impiegata dalle Brigate Rosse emergono una serie piuttosto eloquente di connessioni con apparati clandestini annidati nella famigerata scuola di lingue Hyperion di Parigi, che si occupava di infiltrare e cooptare i gruppi terroristici europei schierati a sinistra – come appunto le Brigate Rosse o la Rote Armee Fraktion – per conto, molto probabilmente, dei servizi segreti statunitensi ed israeliani.
Il sequestro e il successivo assassinio del democristiano Aldo Moro, che si accingeva ad assegnare incarichi di governo ai più autorevoli esponenti del Partito Comunista, da parte di Mario Moretti, che manteneva stretti legami con il centro Hyperion assume quindi contorni ben precisi alla luce di questi fattori.
Per le Brigate Rosse e per i loro esponenti di punta vale dunque il medesimo concetto indicato da Franco Freda, il quale affermò che “La vita di ognuno risulta manipolata risulta manipolata da coloro che hanno più potere. Per quanto mi riguarda accetto di essere stato un pupazzo nelle mani delle idee, non degli uomini dei servizi segreti italiani o stranieri. Intendo dire di aver combattuto volontariamente la mia guerra, inseguendo un progetto strategico che nasceva dalle mie idee”.
La pur edulcorata ed eufemistica versione resa dal più eminente rappresentante di Ordine Nuovo contiene comunque al proprio interno tutte le coordinate necessarie a spiegare il fenomeno del terrorismo, in cui alcuni gruppi volontari fungono da manovalanza per conto, direttamente o meno, dei grandi organi internazionali i cui interessi coincidevano, nel caso specifico, con la destabilizzazione sociale dell’Europa finalizzata alla sua stabilizzazione politica sotto l’ombrello dell’atlantismo.
L’emersione di un apparato come Gladio costituisce la dimostrazione più evidente di questa equazione, la cui validità era ben nota ad un esponente politico assai navigato come Benazir Bhutto, che nel corso di un’intervista televisiva per la BBC concessa nel 2007 a David Frost non solo aveva candidamente ammesso che Osama Bin Laden era stato ucciso da Omar Sheikh – un personaggio piuttosto oscuro che manteneva alcune connessioni con i fatti dell’11 settembre 2001 – ma aveva pronunciato un discorso che lasciava trapelare una non comune conoscenza dei legami che intercorrono tra i committenti del terrorismo e gli esecutori materiali.
Dinnanzi a simili attentati terroristici è quindi doveroso esaminare il cui prodest, e non è certo un segreto che esistano apparati specifici interessati, come nel corso dei cosiddetti “anni di piombo”, a destabilizzare l’Europa.
Va pertanto annoverata la possibilità che esista una regia, ovvero che la drammatica catena di attentati in Norvegia, Italia e Belgio rientri in un disegno strategico funzionale al conseguimento di obiettivi precisi, che nel caso specifico riguarderebbe l’innalzamento della tensione tra immigrati e popolazione autoctona.

di Giacomo Gabellini

E se i debitori si rifiutassero di pagare?


Il Vicepresidente del Partito Socialista Portoghese si è appellato alla propria e alle altre nazioni sotto il tallone dell'Unione Europea affinché usino la "bomba del debito" contro i banchieri. Ad una manifestazione di partito il 10 dicembre Pedro Nuno Santos ha dichiarato: "Possediamo una bomba atomica che possiamo puntare contro i tedeschi e i francesi: questa bomba atomica è la decisione che semplicemente non paghiamo. Il debito è la nostra unica arma e dovremmo usarla per imporre migliori condizioni, perché proprio la recessione è ciò che ci impedisce di rispettare gli impegni presi (con la Troika UE-FMI-BCE). Dovremmo far tremare le ginocchia dei banchieri tedeschi".

La "bomba del debito" è un concetto sviluppato dal movimento di LaRouche all'inizio degli anni ottanta, quando la crisi del debito messicano minacciava di esplodere. Recentemente è stata rilanciata da economisti come Loretta Napoleoni, che ha aggiornato la versione e-book del suo Contagio con le seguenti parole: "Il deficit dei paesi a rischio default è una loro grande forza, non un punto di debolezza. Perché i paesi creditori hanno tutto l'interesse di farsi restituire il denaro che hanno prestato".

Santos ha chiesto ai membri periferici dell'Unione Europea di unirsi contro i diktat di Bruxelles e Francoforte. "E' incomprensibile che i paesi periferici non fanno ciò che fanno il Presidente francese e il Cancelliere tedesco. Dovrebbero unirsi".

Santos ha fatto la sua dichiarazione lo stesso giorno in cui migliaia di dimostranti sfilavano lungo le strade di Lisbona protestando contro le misure di austerità, tra cui l'aumento della settimana lavorativa a 42 ore e il taglio del 16% per la fascia alta e dell'8% per la fascia bassa degli stipendi del pubblico impiego.

In tutta Europa sta crescendo un movimento per ripudiare il debito, facendo proseliti soprattutto tra le giovani generazioni indignate per essere private di un futuro mentre le banche centrali prestano centinaia di miliardi di denaro a buon mercato alle banche. Tuttavia, un semplice ripudio del debito non funzionerà.

Il 17 dicembre il segretario generale di MoviSol Andrew Spannaus è intervenuto all'assemblea nazionale del "Comitato No Debito" a Roma il 17 dicembre, organizzazione nata dalla sinistra vicina al sindacalista della Fiom Giorgio Cremaschi, all'insegna dello slogan "contro il governo Monti, contro il governo della BCE, contro la manovra". Davanti ad oltre 500 persone presenti al Teatro Tendastrisce di Roma e collegate al livestream via internet, Spannaus ha esordito affermando: "Sono americano, non sono comunista, ma sono d'accordo con chi si batte contro il governo delle banche". Ha poi detto che "non basta battersi per i diritti, bisogna sapere come siamo arrivati nella situazione di oggi, e avere proposte chiare per uscirne".

Il segretario di MoviSol ha poi tracciato brevemente la trasformazione delle economie industrializzate in società "post-industriali" e i punti salienti della deregulation finanziaria che ha portato alla crisi di oggi. La risposta alla situazione di oggi, in cui vengono creati dei governi antidemocratici per imporre una politica a favore degli interessi della grande finanza internazionale è chiara: riprendersi la sovranità nazionale e riorganizzare il sistema finanziario. Serve la separazione delle funzioni bancarie (Glass-Steagall), e una banca nazionale per finanziare lo sviluppo industriale ed infrastrutturale. In conclusione, Spannaus ha ammonito del pericolo di guerra che si sta creando con le avventure militari dell'occidente nel medio oriente, e specificamente con le minacce di un attacco all'Iran e alla Siria, a cui Cina e Russia hanno già reagito in modo pubblico.

L'intervento di Spannaus è stato apprezzato da molti per la sua chiarezza, e il giornalista Giulietto Chiesa ne ha fatto riferimento nel proprio intervento, preoccupandosi però del fatto che è stato l'unico tra le decine di persone a parlare che ha fatto riferimento al pericolo di guerra in questo momento.

Nel corso dell'assemblea è emersa la varietà di posizioni dei membri del comitato, dal comunismo e il socialismo, alle posizioni più aperte verso persone di altre estrazioni culturali e politiche. La proposta di MoviSol è di lanciare una mobilitazione intorno alla questione della riforma del sistema finanziario internazionale, a partire dal ripristino di Glass-Steagall e la fine del sistema dell'euro.

by (MoviSol)

24 dicembre 2011

Colpo di Stato sotto mentite spoglie: il modello della ‘democratizzazione’ di Washington


Colpo di Stato sotto mentite spoglie: il modello della ‘democratizzazione’ di Washington


L’azione “globale” di protesta a favore di «elezioni giuste in Russia», organizzata dai suoi promotori per il 10 dicembre, ha cominciato a coinvolgere le capitali europee e, come ci si attende, le maggiori città statunitensi. Sto scrivendo queste righe a Boston. Posso vedere, qui, le pagine su Facebook «Per un voto corretto» piene di frasi come: «Abbiamo nessuno in Olanda? … Dovrò andarci di persona»; «Che ne dite di San Francisco? … Forte! Potete davvero far arrivare lì un centinaio di partecipanti? Benissimo!» Tutti gli interventi esprimono la stessa cosa. E queste persone, che ottengono le proprie informazioni sulla Russia da Internet, si stanno affrettando ad unirsi alla «lotta contro l’ingiustizia».L’opposizione cosmopolita ha lanciato in questi giorni un attacco specifico, nella speranza di ritornare agli anni Novanta. La famosa RTVI di Gusinsky, l’emittente televisiva russo-statunitense più potente, che sta ora diffondendo la propaganda della stazione radio LEco di Mosca e l’ideologia russofoba dell’establishment di Washington, ha già dichiarato la propria vittoria il 9 dicembre. Vladimir Kara-Murza junior, corrispondente permanente di RTVI presso il Congresso degli Stati Uniti, ha riportato per l’American Enterprise Institute (un importante centro strategico repubblicano) l’idea per la quale «sta iniziando la fine dell’era Putin». Il giornalista televisivo ha riportato, sorridendo, che «i maggiori esperti USA intravedono la fine dell’epoca di Putin». Si possono anche osservare le espressioni serie di Andrew Kuchins, Leon Aron e Anders Aslund predire in modi differenti «la fine del dittatore» e suggerire con forza l’idea di non avere più pazienza nei confronti del suo governo. Il telegiornale in prima serata ha anche presentato un grande spettacolo sui «leader da migliaia di contestatori», presentando il proprio ultimatum sotto forma di programmi. Michael Schneider, uno di questi leader e rappresentante di Solidarietà, ha reso pubblico il programma dei “dimostranti”: l’annullamento degli esiti delle elezioni del 4 dicembre, nuove elezioni in marzo, la registrazione dei partiti d’opposizione, la liberazione dei prigionieri politici, le dimissioni di Vladimir Churov – presidente del Comitato Centrale per le Elezioni – e nessun potere «al partito dei criminali e dei ladri».

L’opposizione liberale non ha alcuna possibilità di avere un ruolo significativo nella vita politica russa senza il grande sostegno finanziario di Washington. In questo modo, mostra i propri punti e le carte senza valore. L’isteria odierna riguardo alle elezioni della Duma russa rappresenta un test, oppure un modo di preparare il terreno per bandire Putin dalle elezioni presidenziali. Lo scopo è quello di destabilizzare la situazione nel paese e di rendere impossibile lo svolgimento delle elezioni.

Molti media statunitensi hanno titolato i propri editoriali con la risposta di Putin alle parole della signora Clinton, sotto una luce chiaramente negativa. L’8 dicembre Putin ha incontrato i rappresentanti del Fronte Nazionale Pan-russo. Parlando della situazione russa nel dopo-elezioni, egli ha affermato che «il processo interno è stato influenzato da ordini dati da qualcuno all’estero. Ed il Segretario di Stato americano ha già dato il segnale a chi, in Russia, doveva udirlo. Il Paese deve difendere la propria sovranità». Putin ha allora suggerito di «rendere più dura la responsabilità [penale, ndt] di coloro che eseguono gli ordini provenienti da altri stati».

Il New York Times ha recentemente pubblicato un’intervista a Gene Sharp, vecchia conoscenza e padre delle «rivoluzioni colorate», il quale ha descritto nei minimi particolari le sue tecniche di attuazione di colpi di stato nei paesi dello spazio ex-sovietico.

Una «rivoluzione colorata» rappresenta un caso a sé nella suddivisione del mondo, dove un golpe interno mascherato da movimento democratico ne costituisce la componente chiave.

Il famoso ricercatore britannico Jonathan Mowat l’ha fatta pagare, agli americani, nel suo lavoro dal titolo «Colpo di Stato sotto mentite spoglie: Il modello di “Democratizzazione” di Washington». Una provocazione, in tempi di elezioni in presenza di «osservatori internazionali» ed exit polls. Ci sono giovani arrabbiati, dotati di apparecchi di comunicazione di ultima generazione, blog e siti Internet in grado di fornire collegamenti istantanei, per precisare la modalità con cui le attività sono condotte. Lo “stormo” può essere raggruppato in ogni momento ed i media globali rendono possibile l’internazionalizzazione di qualsiasi evento, anche il più insignificante.Il modello di Washington è costituito da un attacco pianificato e finanziato all’estero contro le istituzioni di un altro stato…

Non è semplice difendersi da questo schema – deve essere bloccato in modo duro ed intransigente!

Il canale di notizie Fox News sta spaventando le persone sulle crescenti proteste russe, mostrando loro le foto di anarchici greci armati di bombe Molotov.

La medesima distorsione dell’informazione è avvenuta in Libia. Ora sta accadendo in Siria – la Russia fa anch’essa parte del copione?

Il gergo politico contemporaneo definisce tali imitazioni «tecnologie politiche cognitive», un’«arma memetica». Vi sono molti libri dedicati allo studio di tale materia, in Occidente, con un’intera scuola di pensiero che la insegna. L’essenza del fenomeno consiste nel contagio psicologico attraverso la diffusione, in un modo particolare, di un’«informazione virale». I memi – unità di tale informazione – vengono introdotti in un determinato ambiente (in questo caso, la rete sociale) e vengono attivati secondo il principio dell’auto-induzione, installando così un preciso stato d’animo (rabbia, entusiasmo, crollo emotivo, ecc.).

La «presa cognitiva» è un argomento molto in voga negli USA. Cass Sunstein, Amministratore dell’Office of Information and Regulatory Affairs della Casa Bianca nell’amministrazione Obama, ha reputazione di convinto sostenitore del cognitivismo. Nuova terminologia – vecchie idee.

Negli Stati Uniti si stanno studiando i segmenti dell’Internet russo all’interno del contesto cognitivista, analizzando i concetti di potenziali amici e nemici. Lo stesso Cass Sunstein ha addirittura pubblicato un lavoro sulla necessità di intervenire apertamente o segretamente nei social network per raggiungere gli scopi predefiniti della «dissonanza cognitiva».

Lo studioso politico Valery Korovin ha spiegato cosa significa «dissonanza cognitiva» con un linguaggio semplice usando il Progetto Navalny come esempio. (1) Navalny presenta al suo pubblico di Internet una formula semplice – «Russia Unita è un partito di criminali e ladri» – che viene ripetuta da migliaia di utenti sui social network. Un uomo distante dalla politica incontra questa formula ovunque su Internet, sui fumetti, nelle caricature. Passo dopo passo, egli si convince che ciò sia opinione di tutti. Una persona ci si abitua, la vede come una cosa ovvia, come una percezione comune. Tale convinzione potrebbe avere delle conseguenze serie. Quando qualcuno cerca questo tipo di memi in migliaia di blog, essi diventano un fattore in grado di influenzare il potere. La pubblicazione dei risultati delle elezioni porta la popolazione ad una condizione di «dissonanza cognitiva». Tutti sono infatti convinti che «il partito di criminali e ladri» sia visto sotto questa luce da tutti, e che quindi non sia possibile che abbia ottenuto così tanti voti. Korovin afferma che è questa la dissonanza, «come gli autori dei memi la intendono; la popolazione è chiamata a scendere in strada a protestare. Dopodiché il copione è noto e funziona bene, è una questione tecnica».

E’ da notare che questa tecnica ottiene un ampio sostegno finanziario dato dall’Occidente ai memi dei difensori dei diritti umani. Valery Korovin ha ragione, quando afferma che le loro attività sono coordinate da «persone addestrate in maniera specifica». Non è un caso che essi appartengano tutti al Dipartimento di Stato, sebbene non vi sia alcun dubbio che quello è il luogo da dove proviene la maggior parte dei principali “moderatori”. I social network della Federazione Russa, così come quelli di altri paesi, vengono coinvolti da qualcuno che risiede in luoghi molto lontani e sono letteralmente comprati (ad esempio, tramite sovvenzioni).

Eccovi un esempio. Le proteste sono centrali, nel sito Internet di un movimento giovanile per i diritti umani – International Network. (2) Il denaro arriva da fondi USA ed europei. Il sito offre informazioni dettagliate sulla «geografia globale» dei memi di azioni di protesta in atto. Vi sono istruzioni su come difendersi dalla polizia – una citazione del sito web di Garry Kasparov. Ci si può perdere, nei network, ma essi vi riportano sempre ed inevitabilmente alla feccia dell’«Altra Russia» ed agli onnipresenti «memoriali» nascosti da minacciosi indizi quali «controllo strategico» oppure citando quartieri generali situati in luoghi molto distanti come Voronezh, ad esempio. Nessuna meraviglia, dunque, se il «comitato regionale» di Washington invia centinaia di migliaia di dollari proprio a Voronezh attraverso la Fondazione MacArthur. E’ in questa città che le voci sulla «falsificazione» delle elezioni hanno avuto una diffusione particolarmente ampia. Provocazioni, cospirazioni, «operazioni sotto mentite spoglie» per discreditare l’opposizione – queste sono attività di routine per i datori di lavoro statunitensi dei difensori dei diritti umani.

Il sito web di International Network afferma l’esistenza di numerose strutture create per offrire informazioni e fonti agli utenti del network. Vi è l’impressione per la quale il numero di questi membri simil-umanoidi costituiscano una legione, e che questa legione abbia una missione di incredibile importanza. Una di queste strutture a difesa dei diritti umani è il Comitato Contro la Tortura. Il suo capo è una persona molto conosciuta che ha ricevuto di recente un premio presso una delle capitali mondiali. L’argomento «Le camere di tortura russe» verrà connessa di proposito alle proteste pianificate contro la frode elettorale. Un altro membro del network è uno dei destinatari delle sovvenzioni statunitensi – il sito web Il nodo caucasico è quello ove si descrivono le cose orribili che stanno accadendo nelle “camere di tortura” russe.

La procedura per un colpo di stato coperto è stata avviata. Bisognerà trattarla con la necessaria risolutezza e durezza.

* * *

Il copione dell’”impensabile” è divenuto pratica corrente delle “riforme Occidentali” già da molto tempo. Come raccontò qualche tempo fa uno dei «sostenitori della giustizia» alla TV di Gusinsky, un’”opposizione pacifica” che non ha rotto una sola finestra verrà affiancata da un cecchino, quando i tempi saranno propizi. Il cecchino ucciderà qualcuno, meglio se un bambino o un adolescente (in questo modo la protesta seguirà lo schema) – ed una catena di eventi estremamente destabilizzanti verrà auto-indotta.

Non è possibile enumerare l’intera pletora di memi – attori non statali, esperti, entità, pubblicazioni “indipendenti”, stazioni radio, questioni religiose, campioni dei diritti umani ed innumerevoli media in un solo articolo. Ciò che unisce tutti loro, però, è l’ottenimento di un sostanzioso sostegno finanziario per minare ampiamente la sovranità della Russia.

Non è possibile scendere a compromessi con questo tipo di opposizione! Anche Gene Sharp concorda sul fatto che le cose sono andate oltre il compromesso. Qui il maestro delle «rivoluzioni colorate» trova l’espediente per preparare una sostituzione, un meme-simulacro. La regola principale dei rovesciamenti di stato è che coloro che vengono coinvolti devono essere convinti di agire di propria iniziativa. Convinzioni, ideologia e fede creano immunità verso i memi-virus. Ci sono tre volumi scritti su questo argomento. Ma non sappiamo come difendere noi stessi, permettendo una discussione circa ciò di cui non si può discutere – le cose fondamentali come la vita di un individuo e la società nel suo insieme. Dimentichiamo che i manipolatori hanno bisogno della discussione come dell’aria, per implementare i propri schemi di sostituzione…

di Irina Lebedeva

23 dicembre 2011

Bilderberg Group, regista del mondo



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Mario Monti vanta lunghi studi all'estero. Trascorre un anno presso la prestigiosa Università di Yale, dove diventa allievo di James Tobin, premio Nobel per l'Economia nel 1981. Non abbiamo prove di una sua affiliazione alla Skull and Bones, la celeberrima e potente società segreta di ispirazione mondialista che dal 1832 ha sede presso quel prestigioso ateneo statunitense. Abbiamo però la prova che il professore varesino rappresenti un autentico apostolo del pensiero mondialista. Alcune inequivocabili circostanze lo attestano.

Mario Monti era membro del Bilderberg Group. La notizia è passata sui media con una certa nonchalance. Istituito nel 1954 presso il castello olandese di Bilderberg, questo esclusivissimo club si ritrova segretamente ogni anno per decidere del futuro dell'umanità. Si tratta dei 130 uomini più potenti e influenti del mondo riuniti in una stessa stanza, che guardie armate tengono lontana da occhi indiscreti. In più di cinquant'anni d'incontri è sempre stata vietata la presenza della stampa, non sono mai state rilasciate dichiarazioni sulle conclusioni degli intervenuti, e non è mai stato svelato l'ordine del giorno.

A prescindere da cosa realmente accada in quel segreto consesso, il solo fatto di come si svolga e di chi lo componga non risponde certo a una logica di democrazia e trasparenza. Fino all'ultimo momento resta occulto il luogo degli incontri e si interviene solo su espresso invito, che non può essere pubblicamente divulgato, pena la mancata partecipazione.


Per comprendere meglio di cosa si tratti è sufficiente leggere quanto sul tema ha scritto William Vincent Shannon, non esattamente un paranoico complottista, ma un prestigioso giornalista, redattore del New York Times e ambasciatore degli Stati Uniti in Irlanda durante la presidenza Carter (1977-1981): «I membri del Bilderberg stanno costruendo l'era del post nazionalismo: quando non avremo più paesi, ma piuttosto regioni della terra circondate da valori universali.

Sarebbe a dire, un'economia globale; un governo mondiale (selezionato piuttosto che eletto) e una religione universale. Per essere sicuri di raggiungere questi obiettivi, i Bilderberger si concentrano su di un "approccio maggiormente tecnico" e su di una minore consapevolezza da parte del pubblico in generale». Del resto, lo stesso fondatore del Bilderberg Group, il principe Bernardo d'Olanda, sul punto era stato chiaro: «È difficile rieducare gente allevata al nazionalismo all'idea di rinunciare a parte della loro egemonia a favore di un potere sovranazionale ».


Onesto, a suo modo, è stato pure David Rockefeller - altro Bilderberg di razza - il quale ha lasciato scritto nelle sue Memorie (2002): «Alcuni credono che facciamo parte di una cabala segreta che manovra contro gli interessi degli Stati Uniti, definendo me e la mia famiglia come "internazionalisti", e di cospirare con altri nel mondo per costruire una più integrata struttura politico-economica globale, un nuovo mondo, se volete. Se questa è l'accusa, mi dichiaro colpevole, e sono orgoglioso di esserlo».

Il Times, che non può certo definirsi un foglio complottista, nel 1977 descrisse i membri del Bilderberg Group come «una congrega dei più ricchi, dei più economicamente e politicamente potenti e influenti uomini nel mondo occidentale, che si incontrano segretamente per pianificare eventi che poi sembrano accadere per caso». A conferma, si possono elencare alcune singolari coincidenze (per citare i casi più noti e più recenti) dovute a fatti accaduti dopo gli incontri del Bilderberg. Bill Clinton partecipa al meeting del 1991; vince le primarie del Partito democratico, e da oscuro governatore dell'Arkansas diventa presidente degli Stati Uniti nel 1992. Tony Blair partecipa al meeting del 1993; diventa il leader del Partito laburista nel luglio del 1994, e viene eletto primo ministro nel maggio del 1997.

George Robertson partecipa al meeting del 1998; viene nominato segretario generale della Nato nell'agosto del 1999. Romano Prodi partecipa al meeting del 1999; riceve l'incarico di presidente dell'Unione europea nel settembre del 1999, ricoprendo tale incarico fino a gennaio 2005; nel 2006 viene eletto presidente del Consiglio italiano. Sembra confermata ancora una volta la saggia conclusione del barone Denis Winston Healey, ex ministro britannico della Difesa (1964-1970) e delle Finanze (1974- 1979): «Quel che accade nel mondo non avviene per caso; si tratta di eventi fatti succedere, sia che abbiano a che fare con questioni nazionali o commerciali, e la maggioranza di questi eventi sono inscenati da quelli che maneggiano la finanza».

Per chi volesse saperne di più, consiglio la lettura di un ottimo testo intitolato The True Story of the Bilderberg Group, di Daniel Estulin, un libro di 340 pagine, corredato da una preziosa documentazione, che raccoglie i risultati di una indagine durata anni sull'intoccabile gruppo elitario di cui la stampa ufficiale appare sempre reticente. La seconda prova della propensione mondialista del professor Monti risiede nel fatto che egli faccia anche parte della Trilateral Commission.

aAnzi, per essere precisi, ricopre la carica di presidente per l'Europa nel triennio 2010-2012. Chi ha l'avventura di accedere al sito ufficiale di quella istituzione (www.trilateral.org), troverà, infatti, una lettera di presentazione sottoscritta da Mario Monti, quale European Chair, da Joseph S. Nye, Jr., quale North American Chair, e da Yotaro Kobayashi, quale Pacific Asian Chair, con tanto di fotografia.

Ufficialmente si tratta di un think-tank fondato nel 1973 da David Rockefeller con forte impronta mondialista. Il professor Piergiorgio Odifreddi ha invece liquidato il prestigioso pensatoio internazionale definendolo, su Repubblica (9 novembre 2011), «una specie di massoneria ultraliberista statunitense, europea e nipponica ispirata da David Rockefeller e Henry Kissinger». Quella di Odifreddi non rappresenta, ovviamente, l'unica voce critica nei confronti della Trilateral.

Nel 1979 l'ex governatore repubblicano Barry Goldwater la descriveva come «un abile e coordinato sforzo per prendere il controllo e consolidare i quattro centri di potere: politico, monetario, intellettuale ed ecclesiastico grazie alla creazione di una potenza economica mondiale superiore ai governi politici degli stati coinvolti».

Lo scrittore francese Jacques Bordiot sosteneva, inoltre, che per far parte della Trilateral, era necessario che i candidati fossero «giudicati in grado di comprendere il grande disegno mondiale dell'organizzazione e di lavorare utilmente alla sua realizzazione », e precisava che il vero obiettivo della Trilateral fosse quello «di esercitare una pressione politica concertata sui governi delle nazioni industrializzate, per portarle a sottomettersi alla loro strategia globale».

Il canadese Gilbert Larochelle, professore di filosofia politica presso l'Università del Québec, nel suo interessante saggio L'imaginaire technocratique, pubblicato a Montréal nel 1990, ha definito, più semplicemente, la Trilateral come una privilegiata élite tecnocratica: «La cittadella trilaterale è un luogo protetto dove la téchne è legge e dove sentinelle, dalle torri di guardia, vegliano e sorvegliano. Ricorrere alla competenza non è affatto un lusso, ma offre la possibilità di mettere la società di fronte a se stessa. Il maggiore benessere deriva solo dai migliori che, nella loro ispirata superiorità, elaborano criteri per poi inviarli verso il basso».

Il connotato resta sempre il medesimo: poca democrazia e poca trasparenza. Piccolo inciso legato all'attualità della cronaca politica: un altro italiano membro della Trilateral è l'onorevole Enrico Letta, al centro di una polemica per uno strano biglietto inviato al consociato professor Monti. La terza prova della visione mondialista di Mario Monti sta nel fatto di essere un uomo Goldman Sachs. Per comprendere la reale natura di tale istituzione non occorre addentrarsi nei siti complottisti.

È sufficiente leggere sul Monde del 16 novembre 2011 (giorno dell'investitura di Monti) l'articolo di Marc Roche, corrispondente da Londra, dal titolo sintomatico: «La "franc-maçonnerie" européenne de Goldman Sachs». Si tratta di una vera e propria requisitoria contro la potente banca d'affari. Per il Monde, Goldman Sachs funziona come la massoneria, in cui ex dirigenti, consiglieri ma anche trader della banca d'affari americana si ritrovano oggi al potere nei paesi europei chiave per la gestione della crisi finanziaria. In Europa, Goldman Sachs si è fatta fautrice di una forma di «capitalismo delle relazioni », e punta a piazzare i suoi uomini.

Può sembrare esagerato il giudizio del Monde, ma forse non lo è se si pensa a un'altra singolare coincidenza. Si tratta del fatto che l'omologo greco di Mario Monti, il professor Lucas Papademos (anch'egli studi statunitensi), già vicepresidente della Bce (dal 2002 al 2010), e ora tecnocrate mandato a commissariare il governo ellenico, è un altro uomo Goldman Sachs. Oltre che - guarda caso - membro anche lui della Trilateral Commission. Il panorama si fa ancora più inquietante se si considera che l'uomo Goldman Sachs più potente in Europa è Mario Draghi.

Nonostante tutte queste sinistre coincidenze, faccio ancora fatica a cedere alle suggestioni complottiste. Confesso, però, che quando ho letto sul quotidiano economico Milano Finanza che è stata proprio Goldman Sachs a innescare l'ondata di vendite di Btp il 10 novembre scorso, un pensiero cattivo mi ha attraversato la mente. Sarà forse perché il giorno prima, il 9 novembre, Mario Monti è stato nominato senatore a vita dal presidente della repubblica Giorgio Napolitano. Una settimana dopo sarebbe diventato premier sull'onda degli spread. Coincidenze, ne sono certo.

di Gianfranco Amato

31 dicembre 2011

L'anno che non verrà









Da sempre Capodanno rappresenta Il simbolico spartiacque fra un anno che sta morendo, con tutto il suo carico di accadimenti (buoni e cattivi) ed uno che sta nascendo, vestito per l’occasione di carezzevoli illusioni e condito di languide speranze. Una sorta di limbo dove rimanere per un istante sospesi fra il prima e il poi, a tracciare bilanci di vita e sognare vite che non ci apparteranno mai, prima che la giostra del divenire stemperi l’attimo ed il futuro si faccia presente, riportandoci alla realtà.
Guardare al 2012 che arriva, ostentando speranza ed ottimismo rappresenta però, più che in altre occasioni, un’esperienza dedicata a pochi intimi, dal momento che la ratio e la matematica ci riporterebbero immediatamente sulla terra, rendendoci consapevoli del fatto che il nuovo anno sarà molto peggiore del precedente, essendo state poste tutte le basi (ma proprio tutte) perché ci si ritrovi a rimpiangere gli ultimi dodici mesi, nonostante abbiano rappresentato il gradino più basso della storia recente nazionale ed internazionale.
In Italia nel lasso di tempo di un paio di settimane è stata alienata ogni residua e fittizia illusione di democrazia e le banche, nella persona dell’usuraio Monti, hanno di fatto esautorato i camerieri politici dal loro ruolo di mestieranti della commedia, ridimensionandoli ad arredamento del palazzo, oltretutto molto costoso e kitsch......


Il problema in sé potrebbe apparire di secondaria importanza, dal momento che il bestiario politico da tempo immemorabile prendeva ordini dal padrone, ma purtroppo così non è, perché dovendo il servo politico confrontarsi ogni 5 anni con il teatrino elettorale, si trovava giocoforza costretto a svolgere una minima opera di mediazione. E’ pur vero che il sistema monopartitico creato in occidente scimmiottando il modello americano garantiva ampi margini di sicurezza, privando il cittadino di qualsiasi possibilità di scegliere realmente, così come è vero che la classe politica aveva ormai assunto un carattere puramente autoreferenziale.
Ma è altrettanto lapalissiano il fatto che qualsiasi governo politico avesse inteso mandare i cittadini a vivere sotto i ponti, togliendo loro il proprio patrimonio e la possibilità di sostentarsi economicamente, avrebbe trovato comunque qualche difficoltà nel perpetrarsi nel tempo.
Monti e la congrega di banchieri da lui rappresentati non sono espressione delle urne e con le urne non dovranno confrontarsi mai. Incarnano esclusivamente i grandi interessi finanziari, sono servi alle dipendenze del denaro e il denaro non è dotato di sensibilità sociale, non è incline alle mediazioni, non deve moderarsi temendo di perdere voti, non possiede sentimenti e neppure pietà. Persegue un solo scopo, moltiplicarsi all’infinito nella maniera più rapida possibile, poco importa quali siano i costi in termini di macelleria sociale, dal momento che conosce un solo costo, quello monetario.
La dittatura del denaro è in assoluto la peggior forma di governo possibile, nel 2011 ne abbiamo avuto un primo assaggio con la soppressione delle pensioni per tutte le nuove generazioni (e buona parte delle vecchie), l’aumento indiscriminato di tasse e costi a carico di una popolazione già fortemente impoverita, la riduzione delle opportunità di lavoro. Ma solo nel 2012 saremo in grado di apprezzare la reale dimensione del disastro che sta precipitando sulle nostre teste e il contatto con la realtà risulterà con tutta probabilità drammatico.

Il 2011 è stato anche l’anno in cui si è dovuto prendere coscienza della disarmante vulnerabilità dei cittadini qualora intendano difendere il territorio in cui vivono da grandi e piccole opere di devastazione ambientale. L’illusione (da me più volte condivisa) che una popolazione fortemente determinata e con la forza dei numeri potesse opporsi alle ruspe ed ai cantieri si è palesata di fatto priva di fondamento. Non esistono più remore nel bastonare cittadini inermi e quando monta la protesta le forze dell’ordine sonodisposte ad uccidere, senza che la stampa e l’opinione pubblica considerino la cosa disdicevole.
In una situazione di questo genere ogni forma di resistenza fisica, più o meno pacifica, non può che risultare perdente, dal momento che si tratta di un confronto impari, dove chi mena ti può anche ammazzare restando dalla parte della ragione.
Non è un caso che tutte le opere più controverse siano state costruite o cantierizzate con l’uso della violenza, dalla base militare americana Dal Molin al TAV in Val di Susa, passando attraverso inceneritori, autostrade, centrali a carbone, turbogas e chi più ne ha ne metta.
Ai cittadini non resta altra via che protestare con le bandierine attraverso cortei pacifici (che magari contribuiscono a creare la carriera di qualche politico o sindacalista d’accatto) nell’attesa che l’opera sia completata, o confrontarsi militarmente con "soldati" che arrivano dall’Afghanistan, con la consapevolezza che quando ti ritroverai in ospedale verrai tacciato come una “bestia violenta” che ha ricevuto ciò che si meritava.

Ma il 2011 è stato anche l’anno dello sdoganamento definitivo delle guerre di conquista coloniale attraverso il metodo della rivoluzione colorata, costruita, finanziata e pilotata dal colonizzatore.
La Libia ha dimostrato chiaramente come la pratica garantisca ampie prospettive di successo a fronte di costi economici tutto sommato esigui. In pochi mesi un prospero paese è stato distrutto, chi lo governava da decine di anni ammazzato come un cane, i civili che lo sostenevano sterminati in massa. Il tutto senza che nessuno avesse nulla da obiettare e con la compiacenza di tutte le istituzioni internazionali, ormai palesemente braccio burocratico della colonizzazione occidentale.
Dopo l’inferno libico la strada è tracciata e c’è da scommettere che i prossimi inferni saranno ancora peggiori e, se possibile, perfino più raccapriccianti.

E’ stato anche l’anno dei droni, usati in maniera sempre più massiccia per sterminare le popolazioni, mentre all’altro capo del mondo un ragazzotto si cimenta con il joystik come si trattasse di un videogame. Delle telecamere ormai più numerose delle vetrine che filmano ogni attimo della tua vita. Della guerra al contante, con l'imposizione agli anziani pensionati di aprire un conto corrente. Dei movimenti che s’indignano a comando. Dei benpensanti che difendono la costituzione quando hanno interessi per farlo, ma ne dimenticano l’esistenza subito dopo. Della farsa dei referendum, studiati ad arte per raggirare chi votava. Del disastro di Fukushima, troppo presto caduto nell'oblio. Dell'assassiniodell'ologramma di Bin Ladin. Dei troppi “movimenti” che avevano fatto delle piazze le loro case quando governava Berlusconi, ma sono evaporati con l’arrivo di Monti. Dei sindacati che dopo avere svenduto tutto non sanno più cosa mettere in saldo e dei saldi ormai anticipati a Capodanno, perché iniziarli a Natale potrebbe risultare disdicevole.

In alto i calici e brindiamo, a cosa? Ad una morte inconsapevole con il sorriso sulle labbra, che in fondo è meglio di quando te l’aspetti.
di Marco Cedolin

Italia: tra sei mesi sarà ancora in piedi, oltre non si sa



L'asta di ieri è andata bene. Anzi benissimo. Rendimenti dimezzati, praticamente, rispetto a quelli di un mese addietro, quando ancora Monti non si era insediato. E i grandi media hanno riportato la notizia con enfasi, assieme però a quella che ha visto il nostro spread risalire sino a quota 500.

Notizie riportate (quasi) correttamente, però con una inaccettabile omissione: il motivo di una situazione non troppo semplice da capire a prima vista.

Difficile insomma comprendere il perché della grande richiesta dei titoli di Stato di ieri e allo stesso tempo perché il nostro spread non sia sceso di pari passo.

Sarebbe bastato spiegare, invece, la tipologia dei titoli venduti ieri, o meglio il suo significato, e quali sono stati gli eventi accaduti nei recenti giorni passati per portare alla situazione che si è verificata ieri.

Dunque, in primo luogo i titoli di Stato venduti ieri sono stati quelli a sei mesi. In secondo luogo, in larga parte sono stati acquistati dalle Banche.

Cosa significa?

Due cose, principalmente. La prima: rispetto a un mese addietro, quando ancora non si sapeva se Berlusconi avrebbe rassegnato le dimissioni e soprattutto se sarebbe arrivato o meno al governo italiano un uomo delle Banche e dei poteri forti come Monti, oggi si sa invece con una buona certezza che l'Italia non fallirà. Almeno non in sei mesi. Quando i titoli venduti ieri arriveranno a scadenza, e all'incasso per chi li ha sottoscritti, l'Italia sarà ancora in piedi e dunque l'investimento sarà onorato. E dunque i rendimenti per i titoli a sei mesi sono scesi.

La seconda: la BCE, giorni addietro, ha in pratica concesso, mediante l'operazione "liquidità illimitata" alle Banche, la possibilità per queste di rifornirsi di denaro all'interesse del misero 1%. Tale denaro sarebbe dovuto servire, molto teoricamente, per permettere alle Banche di concedere più prestiti e mutui, e insomma per ridare fiato (si fa per dire) a chi andava in banca a chiedere prestiti.

Naturalmente le Banche non lo hanno usato per questo, ma per fare i propri e più sicuri interessi. Cosa di meglio che parcheggiare, e investire, il denaro ricevuto al costo di appena l'1% dalla BCE in titoli di Stato che renderanno in soli sei mesi il 3.5% circa?

Risultato: le Banche hanno investito in porti sicuri per generare propri guadagni a breve, e i cittadini invece sono rimasti a secco.

Ancora una volta: chi ha favorito la BCE? I cittadini europei oppure le Banche?

La risposta è molto semplice ed è inutile anche scriverla. Il dato che emerge è dunque affatto positivo, come invece qualcuno ha tentato di farlo percepire: le Banche continuano a essere favorite dalla BCE che concede loro denaro ad appena l'1% mentre per legge, e per rimanere al solo caso italiano, è stato alzato il tasso di interesse considerato usura. Le Banche possono insomma comprare denaro all'1% e rivenderlo ai cittadini al 16, 17, 18 e 19%. Tutto legalmente. Malgrado questo, molto spesso non lo fanno, poiché prestare denaro ai cittadini e alle imprese è oggi un rischio molto alto, e preferiscono guadagnarci investendo nei titoli di Stato. Ma solo in quelli a breve.

Cambieranno le cose oggi stesso, invece - vedremo - dove a dover essere piazzati saranno i Bot decennali del nostro Paese con uno spread che al momento nel quale scriviamo è già ben oltre i 500 punti. Per un motivo, anche in questo caso, molto semplice: chi è pronto a scommettere su una Italia ancora in piedi così come ora tra dieci anni?

Valerio Lo Monaco

30 dicembre 2011

Avviso agli Usa: Cina e Giappone abbandonano il dollaro




Giornali e Tg non ne parlano, ma per gli ambienti finanziari globali è la notizia-bomba di queste festività natalizie: la seconda e la terza economia mondiale, Cina e Giappone, hanno siglato un accordo che prevede l’abbandono del dollaro americano come valuta utilizzata negli scambi commerciali tra le due nazioni asiatiche, consentendo quindi un interscambio direttamente in yen e yuan. Finora, circa il 60 per cento degli scambi commerciali tra Cina e Giappone vengono regolati in dollari. L’intesa, siglata lunedì a Pechino al termine dell’incontro tra il premier cinese Wen Jiabao e il primo ministro giapponese Yoshihiko Noda, è un chiaro segnale di sfiducia delle due potenze economiche asiatiche nei confronti della travagliata area euro-dollaro.

Questa mossa, spiega Enrico Piovesana sull’edizione online di “E”, il periodico di Emergency, viene interpretata dagli economisti come il primo Wen Jiabao e Yoshihiko Nodapasso concreto del governo di Pechino per far diventare la moneta cinese, lo yuan (o renminbi), una valuta di riserva globale sostitutiva al dollaro. Cosa attualmente non ancora possibile, vista la non completa convertibilità della valuta cinese. Per il ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schaeuble, il patto Cina-Giappone rappresenta una sfida che evidenzia l’importanza di una «Europa unita e di una moneta comune che ci dà buone chanches di perseguire i nostri interessi e l’opportunità di realizzarli a livello mondiale».

Come riportato da Bloomberg, «Giappone e Cina promuoveranno scambi diretti di yen e yuan senza usare il dollaro e incoraggeranno lo sviluppo di un mercato dei cambi, per tagliare i costi per le aziende». Secondo il governo di Tokyo, il Giappone effettuerà acquisti di obbligazioni cinesi già dal prossimo anno: vista l’enorme dimensione del volume degli scambi tra le due più grandi economie asiatiche, «questo accordo è molto più significativo di qualsiasi altro patto che la Cina ha firmato con altre nazioni», ha detto Ren Xianfang, un economista di Ihs Global Insight Ltd. E il ministro delle finanze Jun Azumi ha affermato il 20 dicembre che gli acquisti di obbligazioni cinesi avranno un effetto positivo sul Giappone perché aiuterà Il vertice di Pechinoil paese a rivelare più informazioni sui mercati finanziari della Cina, che è «la detentrice della maggior quantità di riserve monetarie al mondo».

Quindi, conclude “Zero Hedge” in un intervento su “Megachip”, mentre gli Stati Uniti e l’Europa bisticciano su chi si dovrà muovere per primo a salvare l’altro, i giganti dell’economia reale – quella in piena tumultuosa crescita – hanno deciso di allontanarsi gradualmente da «quel buco del debito senza fondo» che ormai è diventato il mondo occidentale “sviluppato”. «Tutto quello che dovrà avvenire – aggiunge “Zero Hedge” – è che Russia e India si uniscano a questa intesa». La globalizzazione sembra dunque procedere per la sua strada, «ma senza Stati Uniti ed Europa».

di Giorgio Cattaneo

29 dicembre 2011

Il natale delle banche




Nel corso del 2011 ci siamo sentiti ripetere che uno dei rischi più seri dell'attuale crisi economica è costituito dal pericolo del credit crunch, in parole povere dalla riduzione della disponibilità di denaro nel sistema creditizio. Le banche giustificano con questa paura la stretta creditizia che stanno praticando nei confronti di imprese e famiglie; su questa paura si sostiene l'accusa rivolta ai debiti pubblici di prosciugare le già scarse risorse finanziarie mondiali, aggravando quel rischio.
La gravità della situazione del sistema creditizio mondiale potrebbe essere riassunta in tre cifre. La prima: in base ad un recentissimo studio, pubblicato poche settimane fa dall'autorevole Boston Consulting Group, la perdita complessiva del sistema bancario mondiale tra il 2008 ed il 2010 ammonterebbe a quasi 600 miliardi di euro(1). La seconda: il fabbisogno mondiale di denaro per portare le banche a disporre a bilancio di un capitale di almeno il 7% rispetto ai loro impieghi totali (si noti: 7 euro di capitale per garantirne 100 di impieghi...), come richiesto dallo standard Basilea 3, le banche necessiterebbero a livello mondiale di ben 354 miliardi di euro, dei quali 221 miliardi sono a carico di quelle europee(2). La terza: secondo il Sole 24 Ore, il fabbisogno di credito da parte di imprese e consumatori a livello mondiale raggiungerebbe oggi i 5.000 miliardi di euro(3).
Sono questi i dati di base che confermano il rischio di una generalizzata paralisi del sistema creditizio mondiale: quella, per capirsi, per cui le banche fanno tante difficoltà a prestare denaro a famiglie e imprese, in netto contrasto con l'atteggiamento che tutti abbiamo sperimentato fino al 2008, quando esse rincorrevano aziende e famiglie, offrendo denaro a prezzi stracciati; quando comprare a rate un personal pc o un'automobile costava meno che pagando in contanti!
In questi giorni, nei quali le persone comuni cercano la pace nelle festività natalizie, abbiamo però dinanzi agli occhi una serie di fatti che sollevano molte perplessità su questo ennesimo luogo comune e che ci danno un'idea sempre più chiara del funzionamento effettivo del sistema finanziario internazionale - obbligandoci a tornare ancora una volta sulla questione della moneta, del credito e del potere patologico delle forze finanziarie.
Il 21 dicembre infatti, la Banca Centrale Europea (BCE) ha inondato il sistema bancario europeo con un prestito di ben 489,2 miliardi di euro, ben oltre i 300 miliardi di euro che venivano stimati come effettivo fabbisogno. Economisti citati dal New York Times (4) stimano che, di questa somma, tra 190 e 270 miliardi di euro siano costituiti da nuove risorse (nuovo denaro), il resto dal rinnovo di prestiti precedentemente concessi: teniamo sempre presente che si tratta di denaro di cui la BCE ha disponibilità solo grazie alle politiche di rigore che gli Stati europei stanno adottando - sono quindi risorse finanziarie che provengono in definitiva dal lavoro dei cittadini.
Questo denaro è stato offerto alle banche con scadenza a tre anni, ad un tasso d'interesse dell'1%, condizioni quindi assolutamente favorevoli per le banche. L'intento, dice il New York Times, è quello di rendere "disponibile nuovo denaro per comprare buoni del tesoro governativi a breve termine che hanno una maggiore redditività o interessi più alti, come nel caso dei bond a due anni del governo spagnolo, che rendono il 3,64%". Permettendo in tal modo alle banche di guadagnare lautamente sul sostegno all'indebitamento dei governi più in difficoltà.
Per facilitare questa operazione di ri-finanziamento del ciclo speculativo europeo, la BCE, un vero Babbo Natale per il sistema finanziario, si è resa disponibile ad ampliare anche la tipologia dei cosiddetti "collaterali", le garanzie che le banche stesse devono esibire quando attingono al prestito, in modo da renderlo più agevole anche per piccole banche che di norma non dispongono di sufficienti garanzie. "Si tratta di un successo da diversi punti di vista" - dice Nicolas Véron, ricercatore di un'organizzazione con sede a Bruegel, citato dal New York Times. "Il problema è che espone la BCE ai rischi collegati alle banche stesse, poiché nessuno conosce la qualità dei collaterali che esse stanno fornendo in garanzia".
Secondo notizie dell'agenzia Reuters, ben 523 istituti bancari europei hanno prontamente approfittato di questa generosa offerta, tra i quali pare che UniCredit e Intesa Sampaolo abbiano attinto oltre una settantina di miliardi di euro, garantiti da circa 40 miliardi di euro di "collaterali"(5).
Grazie a queste notizie, si chiarisce subito che la generosa iniezione di risorse nel sistema bancario europeo non è destinata affatto a sostenere il credito all'economia reale: non sono cioè soldi destinati alle famiglie ed alle imprese, ma a perpetuare il meccanismo della speculazione finanziaria che ha generato per anni la parte più consistente dei guadagni delle banche nell'ultimo decennio e che è stata poi, con le sue gigantesche perdite, le cui dimensioni non sono ancora mai state quantificate, la vera origine della crisi. Evitare che si arresti questo ciclo speculativo, guadagnando tempo per evitare che vengano allo scoperto quelle perdite; permettere che a queste risorse si aggiungano altri soldi pubblici per sostenere le banche in difficoltà, attraverso meccanismi come quelli delle cosiddette bad bank, vale a dire tramite l'assunzione da parte dello Stato delle perdite - come si sta pensando di fare in Germania (6). Questa risulta essere la strategia della Banca Centrale Europea diretta da Draghi e dell'authority europea delle banche (EBA), secondo il modello della Federal Reserve Usa.
Ma vi è di più: apprendiamo infatti che solo tre giorni dopo questa iniezione di denaro, vale a dire alla Vigilia di Natale, ben 82 miliardi di euro erano già rientrati alla BCE (7) - una cifra che stabilisce una record di restituzioni alla Banca Centrale dal giugno 2010, prima cioè che la crisi europea assumesse i toni catastrofici cui siamo abituati dallo scorso luglio 2011. Una notizia apparentemente sorprendente: se infatti il fabbisogno di liquidità è così impellente, se il denaro è così scarso nel sistema creditizio mondiale, come mai le banche hanno già restituito il denaro preso in prestito? Perché non lo hanno utilizzato per ridare fiato alla circolazione interbancaria? Perché non se ne sono servite per ricapitalizzarsi? Anche in termini di pura speculazione, infatti, si tratta di un evidente non senso: lo dice il rapporto fra il costo di questo denaro, ottenuto come si è già visto ad un tasso dell'1%, ed il tasso attivo praticato dalla BCE sui suoi conti correnti di appena lo 0,25%.
Per risolvere questo singolare enigma, il Sole 24 Ore suggerisce di attendere ancora qualche giorno: potrebbe infatti trattarsi di una semplice operazione di "parcheggio" di questi fondi presso la BCE, in attesa di investimenti più redditizi, come quelli nei bond spagnoli di cui parlava il New York Times. Ma vi è un'altra ipotesi a spiegare le ragioni del mancato utilizzo sui circuiti del credito di tutti questi soldi: "le banche - scrive Moryia Longo sul giornale di Confindustria, preferiscono perdere, piuttosto che rischiare prestando quei denari a qualche altra banca o a qualche impresa".
Scopriamo così, grazie al dono natalizio della BCE, un aspetto importante e insieme impressionante della crisi. In realtà infatti esistono ancora grandi masse di capitali nel mondo, solo che sono immobilizzate nei forzieri delle grandi entità finanziarie: i soldi rientrati prontamente nelle casse della BCE sono infatti solo spiccioli se si considera che le banche Usa, secondo i calcoli di Mps Capital Service, citati dallo stesso articolo del Sole 24 Ore, hanno in deposito presso la Federal Reserve "riserve in eccesso" per ben 1.500 miliardi di dollari (rispetto ai 1.000 di gennaio 2011); che le imprese Usa hanno poi liquidità ferma nelle loro casse per altri 2.100 miliardi di dollari; e, per finire, che la Cina ha nei forzieri del governo la più ricca disponibilità di riserve mai detenute da uno Stato nella storia dell'umanità, stimate in 3.200 miliardi di dollari.
Sono in tutto quasi 7.000 miliardi di dollari tesaurizzati e sottratti alla circolazione mondiale dei capitali. E non c'è bisogno di essere professori di economica per capire che il fabbisogno mondiale di credito alle imprese e famiglie, stimato in 5.000 miliardi di dollari, sarebbe ampiamente soddisfatto solo che queste risorse venissero poste in circolazione nell'economia reale e non in quella speculativa; e ci sarebbe capienza anche per ricapitalizzare le banche mondiali. Per tacere del fatto che, mentre il valore dell'intero prodotto mondiale nel 2010 è stato di circa 70.000 miliardi di dollari, la "sola" speculazione finanziaria sui titoli derivati fuori dai circuiti controllati, escludendo quindi il valore dei mercati borsistici internazionali e del mercato dei cambi, è valutata nel 2011 da Der Spiegel in ben 708.000 miliardi di dollari!
Scopriamo quindi che il credito manca all'economia reale perché il denaro continua ad essere indirizzato ad alimentare le operazioni della finanza internazionale, a tesaurizzare riserve a copertura delle perdite che i grandi operatori sanno di avere prodotto, al possibile salvataggio di banche decotte (come nel caso da manuale di Northern Rock), nonché al supporto ai deficit di bilancio di sistemi politici in fallimento come le democrazie parlamentari occidentali. L'emissione di titoli di Stato, infatti, come ha giustamente mostrato Luciano Gallino e come molti ancora oggi si dimenticano di ricordare, è uno dei meccanismi più efficienti mediante i quali le banche centrali creano moneta dal nulla (8), indebitando i cittadini a loro insaputa: un'indebitamento delle collettività contro il quale oggi tuonano molti economisti, facendo finta di ignorare che si tratta di un aspetto fisiologico del funzionamento del capitalismo finanziario.
Dalle cifre che abbiamo citato si ricava che il credito manca oggi perché le risorse finanziarie accumulate in questi anni non vengono poste in circolazione nell'economia reale, nonostante sia ben noto a qualsiasi persona di buon senso che si occupi di economia che la circolazione del denaro è un elemento fondamentale per la salute di qualsiasi organismo economico umano. È la consapevolezza dell'enormità dei deficit provocati che spinge i grandi creatori del debito mondiale a trattenere nei propri forzieri il denaro, per guadagnare tempo evitando l'interruzione del ciclo speculativo che porterebbe allo scoperto le gigantesche perdite prodottesi in questi anni sia sui mercati ufficiali che su quelli paralleli non controllati da nessuno. E sperando che nel frattempo le gigantesche operazioni di rastrellamento di denaro dalle tasche dei cittadini, mediante le "grandi manovre" dei governi tecnici, producano il denaro necessario a che quelle perdite vengano coperte o che ne venga diluita nel tempo la fuoriuscita allo scoperto. Giacché è questo l'unico significato logico delle operazioni di "salvataggio": non si tratta, come dice Monti, di salvare l'Italia o l'Europa - si tratta di salvare dal tracollo le grandi aziende finanziarie internazionali.
Un gioco al quale si prestano anche, dimenticando gli insegnamenti di grandi capitalisti come Henry Ford e dello stesso Adam Smith, le imprese più collegate ai grandi circuiti finanziari, che si tengono stretti i soldi, nel timore del credit crunch ma anche nella speranza di quei remunerativi impieghi speculativi ai quali si sono abituate negli ultimi tre decenni - tradendo il compito che sarebbe loro primario nei sistemi di libera impresa, quello di investire nello sviluppo di nuovi prodotti e di dare lavoro alle persone. Il gioco al quale, infine, si presta ben volentieri anche la Cina, alla testa delle nuove forze del capitalismo di Stato, tipiche dei Paesi emergenti, accumulando riserve gigantesche, consapevole che in questo modo avrà in mano un'arma geo-politica decisiva per il decennio che si apre, un'arma che potrebbe ridisegnare i rapporti di potenza a livello mondiale - anche grazie ad un'abile politica di acquisizione di infrastrutture industriali e logistiche, in primo luogo proprio approfittando della crisi in Europa (9).
Solo inquadrandolo in una prospettiva così ampia, si può rilevare il vuoto di idee della battaglia "ideologica" sul come affrontare in Europa la stretta creditizia, giacché essa evita accuratamente di affrontare la questione centrale, di chi cioè debba avere il potere di immettere denaro sui mercati. Da un lato, pensando alle recessioni degli anni Trenta del secolo scorso, vi è il timore che l'emissione di denaro crei inflazione; altri invece, pensando alle politiche del secondo dopoguerra, invocano il ritorno a politiche keynesiane, per ridare fiato allo sviluppo, tornando a vedere nella "mano pubblica" la via di uscita dalla recessione (10). In entrambi i casi, sono vecchie idee, seguendo le quali ripercorreremmo strade disastrosamente già percorse dal capitalismo: strade che, di crisi in crisi, hanno costruito lo straordinario potere della finanza internazionale, che ha sovrapposto all'organismo sociale umano un'economia artificiale speculativa che opprime l'economia reale, nonostante questa debba poi ogni volta farsi carico, come sta accadendo grazie ai governi "tecnici", del salvataggio del sistema.
Il cosiddetto quantitative easing (letteralmente: "agevolazione quantitativa"), ultima forma di creazione di denaro dal nulla, utilizzato dalla Federal Reserve Usa per alimentare il sistema bancario nel momento più drammatico della crisi del 2007-2008, indebitando i governi e i cittadini, e perpetuando i meccanismi della speculazione finanziaria, mostra che il potere di emettere moneta deve essere sottratto alle banche. Ma questo potere deve essere altresì sottratto alla funzione politica, dal momento che lo Stato, nelle democrazie parlamentari, è ormai ostaggio dei poteri forti della stessa finanza internazionale: basta conoscere il già ricordato meccanismo di creazione del debito conseguente al potere delle banche di creare denaro dal nulla, e studiare in dettaglio chi sono i cosiddetti primary dealer (gli acquirenti più importanti) del debito pubblico italiano.
Di nuovo risulta evidente come sia necessario, perché l'economia reale torni a dominare correttamente la vita sociale, che le decisioni essenziali sull'economia, diventino di competenza esclusiva dei produttori (imprenditori, tecnici, lavoratori) e dei consumatori, organizzati in Camere dell'Economia, in cui essi siano pariteticamenti presenti. In una prospettiva radicalmente innovativa di questo tipo, deve spettare a chi abbia una relazione diretta con l'organizzazione e del funzionamento dei sistemi produttivi, la decisione ed il controllo sulla quantità, sulla distribuzione e sulla durata del valore della moneta, giacché solo in questo modo il denaro resterebbe collegato all'economia reale: le banche, a questo punto, svilupperebbero il loro ruolo sociale, di pura gestione tecnica del credito; l'emissione di moneta resa proporzionale alla ricchezza effettivamente prodotta dallo spirito di iniziativa, dal lavoro e dalle capacità umane, ridarebbe energia e libertà alla vita economica reale; il credito, restituito all'iniziativa ed al lavoro, riattiverebbe una sana circolazione del denaro, come linfa vitale del ciclo di produzione, trasformazione, consumo.
Per questa via occorre incamminarsi coraggiosamente, trattandosi della sola possibilità che resta ai popoli di riscattare il loro lavoro dal potere dei padroni del denaro che per questo si considerano i "padroni dell'universo".
di Gaetano Colonna
(1) R. Dayal, Gerol Grasshoff, Douglas Jackson, Philippe Morel, Peter Neu, "Facing New Realities in Global Banking", Risk Report 2011, The Boston Consulting Group, dicembre 2011 (scaricabile on line dal sito della BCG).
(2) Ivi.
(3) M. Longo, "Effetto crisi e Basilea 3: credit crunch mondiale stimato il 5mila miliardi", Il Sole 24 Ore, 18 dicembre 2011.
(4) N.D. Schwartz, D. Jolly, "European Bank in Strong Move to Loosen Credit", The New York Times, 21 dicembre 2011.
(5) S. Bernabei, L. Togni, "Italian banks tap €116 of ECB loans", Reuters, 21 dicembre 2011.
(6) A. Merli, "Berlino prepara la bad bank", Il Sole 24 Ore, 10 dicembre 2011.
(7) M. Longo, "Il maxi-prestito Bce parcheggiato a Francoforte", Il Sole 24 Ore, 24 dicembre 2011.
(8) L. Gallino, Finanzcapitalismo, la civiltà del denaro in crisi, Einaudi, Torino, 2011, p. 177.
(9) L. Vinciguerra, "La Cina mette gli occhi sugli asset strategici Ue", Il Sole 24 Ore, 24 dicembre 2011.
(10) Si veda l'intervento, tipico della finanza "di sinistra", di Carlo De Benedetti, "Da Francoforte un colpo a salve", Il Sole 24 Ore, 24 dicembre 2011.

28 dicembre 2011

La demenza generalizzata del Popolo italiano. Un enigma storico da decifrare







1. Nell’editoriale della rivista Italicum, dicembre 2011, Luigi Tedeschi fa un primo completo bilancio dei provvedimenti della giunta Monti, e ne rintraccia anche correttamente la genesi economica, storica e politica. Alla fine di queste analisi Tedeschi osserva che tutti i partiti, di destra e di sinistra, “volevano che Monti attuasse quelle manovre impopolari che essi non erano in grado di condurre in porto per motivi elettorali”. Mi sembra evidente. E ancora: “Potrebbero un domani tentare di svincolarsi dalle loro responsabilità addossando a Monti la colpa per misure impopolari approvate, contando sulla demenza generalizzata del popolo italiano, che darebbe loro nuovo consenso, non essendoci alternative”.

A livello di filosofia politica, ci si potrebbe chiedere se il popolo in quanto tale è demente (spiegazione nicciana e delle teorie delle élites) oppure se lo è soltanto quando è ridotto a corpo elettorale (spiegazione che risale a Rousseau e ai teorici della democrazia diretta, fra cui anche Lenin).

2. Quindici anni fa scrissi un manifesto filosofico insieme a Massimo Bontempelli, mancato in questo stesso anno 2011 (cfr. Bontempelli-Preve, Nichilismo Verità Storia, CRT, Pistoia 1997). In un capitolo sulla menzogna del linguaggio economico (pp. 23-24), Bontempelli faceva risalire alla generalizzazione della forma di merce la scomparsa della verità delle relazioni sociali. Diagnosi a mio avviso esattissima. E poi elencava una serie incredibile di menzogne del linguaggio economico. Fra di esse si notava che “alcuni decenni orsono, quando la tecnologia e la produzione di merci erano meno sviluppate di oggi, non c’erano difficoltà a finanziare le pensioni e l’assistenza sanitaria dei lavoratori, mentre oggi, dopo tanto sviluppo, gli economisti ci dicono che il sistema economico non può sopportare questo finanziamento”.

Sembrano righe scritte nel dicembre 2011, e invece risalgono ai primi mesi del 1997. Partiamo quindi da questo rilievo.

3. Come tutti gli studiosi di storia e di filosofia, sono attirato dai due estremi complementari della coscienza sociale, la genialità e l’idiozia. E tuttavia l’idiozia è sempre più interessante, anche perché è più divertente. I mezzi di comunicazione di massa ci offrono ogni giorno quantità industriali di idiozia, e con l’arrivo della televisione e dei giornali non c’è neppure bisogno di mescolarsi agli idioti, perché l’idiozia ci viene portata a domicilio in modo semigratuito.

Mi ha colpito una manifestazione di “donne” (una delle maggiori idiozie del nostro tempo è la separazione femminista di donne e di uomini, dopo che c’è voluta tanta fatica per promuoverne la giusta e sacrosanta eguaglianza), in cui una nota regista concionava sostenendo che il nuovo governo Monti almeno “rispettava le donne”, mentre il precedente puttaniere evidentemente non lo faceva. Ora, il precedente puttaniere non era riuscito ad aumentare in un colpo solo l’età pensionabile, mentre Monti, l’uomo che rispetta le donne, lo ha fatto.

Siamo quindi di fronte ad un esempio quasi da manuale di demenza generalizzata. La sua genesi deve essere ancora indagata. A un livello superficiale, per sua natura insoddisfacente, ci si può riferire alla necessità del PD di babbionizzare il suo elettorato, oppure alle conseguenze di vent’anni di antiberlusconismo di “Repubblica”, rinforzato da dosi massicce di Floris e Gad Lerner. E’ senz’altro così. Nello stesso tempo, fermarsi a questo livello è assolutamente insoddisfacente.

4. Partiamo da un dato apparentemente secondario. Scrive il giornalista Stefano Lepri (cfr. “La Stampa”, 14 dicembre 2011): “Colpisce nel Paese, almeno a giudicare dai sondaggi, il contrasto fra gli elevati consensi di cui gode il governo Monti e il diffuso rigetto della sua manovra di austerità. Non sembra esistere nessuna forza capace di convincere i cittadini che quello che gli viene richiesto è uno sforzo solidale”.

Partiamo da questa apparente schizofrenia. Elogi a Monti e al suo burattinaio politico Napolitano, ex comunista riciclato in uomo della NATO e degli USA in Italia, e considerato dalla massa babbiona PD il grande garante e difensore della Costituzione. E nello stesso tempo brontolio contro la manovra sul fatto che “pagano sempre i soliti noti”, “la casta non è abbastanza colpita”, eccetera. Spiegare questa schizofrenia è relativamente facile, ma richiede ugualmente uno sforzo culturale. Facciamolo, tenendo conto che mi limiterò all’Italia, e solo all’Italia, perché altrove i dati culturali egemonici possono essere e sono diversi.

5. Quando al tempo di Pio XII la chiesa cattolica “scomunicò i comunisti” siamo stati in presenza di un episodio, forse l’ultimo, di una strategia controriformistica. La chiesa non aveva mai avuto paura di quella forma di paganesimo estetizzante che era stato un certo Rinascimento, ma aveva avuto veramente paura di una possibile riforma protestante in Italia. La riforma protestante, infatti, non parlava soltanto ai dotti e agli intellettuali del tempo, ma al popolo. Nello stesso modo la chiesa cattolica, pur avendo messo debitamente all’indice le opere filosofiche di Croce e di Gentile, nonostante il loro continuo proclamarsi di “non potersi non dirsi cristiani”, non aveva mai avuto molta paura né della variante liberale del laicismo, né di quella azionista. Sia il liberalismo che l’azionismo erano infatti palesemente fenomeni ristretti di certi intellettuali. Ma con l’arrivo del “comunismo” in Italia (arrivo non precedente la guerra civile 1943-45, almeno nella sua dimensione di massa) le cose cambiavano. Il comunismo italiano, nella versione togliattiano-gramsciana, sfidava invece la chiesa cattolica sul suo stesso terreno, che era l’egemonia culturale sulle classi popolari.

Il segretario di sezione comunista iniziava sempre la sua relazione dalla cosiddetta “situazione internazionale”. Si trattava spesso di una raffigurazione assolutamente mitico-fantasmatica della realtà sociale, basata sulla metafisica storicistica del progresso, su di una immagine antropomorfica del capitalismo come società dei privilegi di mangioni e “forchettoni”, sull’elaborazione dell’invidia sociale dei subalterni, sul presupposto della supposta incapacità del capitalismo di sviluppare le forze produttive, e su altre sciocchezze positivistiche di questo tipo fatte indebitamente risalire a Marx, eccetera. Sarebbe estremamente facile correggere con una matita rossa e blu le ingenuità populistiche di questo messaggio. Sta di fatto che questo messaggio dava pur sempre della realtà un’immagine razionale e coerente, in grado di spiegare con un certo grado di semplificata approssimazione la storia contemporanea, anzi “il presente come storia” per usare una bella espressione di Paul Sweezy.

6. Tutto questo venne progressivamente meno in Italia nel ventennio 1968-1988. Non intendo scendere in una periodizzazione più precisa e analitica perché mi interessa connotare un processo nella sua interezza temporale evolutiva. In questo ventennio le classi popolari italiane restarono semplicemente senza gruppi intellettuali nel senso egemonico gramsciano del termine, e restarono così politicamente mute. Le facili accuse di populismo, leghismo, razzismo, eccetera, con cui vengono ingiuriate da circa un ventennio, nascondono un maestoso processo di spossessamento e di deprivazione culturale complessiva.

In termini sintetici, il comunismo italiano fra il 1968 e il 1988 si è trasformato culturalmente in una sorta di “azionismo di massa”, ma trasformandosi in azionismo di massa non poteva che cambiare radicalmente codice comunicativo ed egemonico. L’azionismo di massa, combinato con il sessantottismo dei costumi di cui il femminismo è certamente stato una componente particolarmente degenerativa in senso sociale, ha infine preparato il clima dell’ultimo ventennio, un occidentalismo di massa esplicito (antiberlusconismo moralistico ed estetico, diritti umani a bombardamento imperialistico legittimato, eccetera). Una tragedia, e soprattutto una tragedia rimasta in larga parte incomprensibile alle sue stesse vittime, oggetto di una babbionizzazione pianificata dall’alto cui era praticamente impossibile resistere.

7. Possiamo sommariamente connotare la cultura popolare promossa dal PCI, e subordinatamente anche dal PSI, fra il 1948 e il 1968 come una forma di populismo di massa. Del resto, questo era chiaro a tutti gli studiosi del tempo, basti pensare all’Asor Rosa di Scrittori e Popolo. Soltanto negli ultimi vent’anni il “populismo” è diventato un insulto applicato non solo a Berlusconi, ma anche a Chavez. Ma non si tratta che di un mascheramento linguistico del ceto intellettuale integrato e politicamente corretto, e anzi integrato perché politicamente corretto, o se si vuole politicamente corretto perché integrato.

Al ventennio del populismo di massa 1948-1968, seguì il ventennio dell’azionismo di massa 1968-1988. Non a caso, Norberto Bobbio diventò il principale autore di riferimento dell’ex PCI spodestando completamente Gramsci, diventato autore di cult per i cultural studies delle università anglosassoni. Per comprendere il passaggio dal populismo di massa all’azionismo di massa è utile “rinfrescare” la nostra conoscenza delle fasi di sviluppo del capitalismo.

8. Il principale errore della metafisica di “sinistra” consiste nell’identificazione del capitalismo con la borghesia. In termini spinoziani, questo dà luogo a una antropomorfizzazione del capitalismo, cui sono attribuite di volta in volta caratteristiche antropomorfiche, come la conservazione o il progressismo. In termini hegeliani, questo dà luogo a una esaltazione di tipo weberiano del razionalismo astratto, per cui la razionalizzazione progressiva delle sfere sociali e il loro adattamento al consumo delle merci viene chiamato “modernizzazione”. In termini marxiani, questo significa scambiare la falsa coscienza necessaria dei gruppi intellettuali “modernizzatori” per il fronte scientifico avanzato della coscienza sociale, cui sottomettere con l’educazione i plebei invidiosi rimasti invischiati nel razzismo, nel populismo e nel leghismo.

Secondo la corretta analisi dei sociologi francesi Boltanski e Chiapello, la “sinistra” che conosciamo si è costituita in un ben preciso periodo e in una ormai sorpassata fase dello sviluppo capitalistico. Si è costituita fra il 1870 e il 1968 circa, sulla base di un’alleanza fra la critica sociale alle ingiustizie distributive del capitalismo di cui erano titolari le classi popolari, operaie, salariate e proletarie, e una critica artistico-culturale all’ipocrisia conservatrice della borghesia di cui erano titolari i cosiddetti “intellettuali d’avanguardia”. Questo schema corrisponde abbastanza bene, per quanto concerne l’Italia, al ventennio 1948-1968 e trova ad esempio in Pier Paolo Pasolini un rappresentante significativo.

Con il Sessantotto, una delle date più controrivoluzionarie della storia mondiale comparata, questa alleanza viene meno perché è il capitalismo stesso a liberalizzare i costumi sociali e sessuali in direzione non solo post-borghese , ma addirittura anti-borghese (e ancora una volta il femminismo dei ceti ricchi è solo la punta dell’iceberg).

L’azionismo di massa del ventennio 1968-1988 progressivamente dominante in Italia non è altro che la versione italiana di un fenomeno europeo e mondiale, ma soprattutto europeo, perché Cina, India, Brasile, eccetera, continuano a essere Stati sovrani e non occupati da basi militari USA dotate di armamenti atomici.

Un popolo privato di ogni profilo culturale autonomo è quindi preda di un processo che si può definire sommariamente come “sindrome di demenza generalizzata”. Mi spiace che possa sembrare sprezzante ed offensivo, ma non riesco a trovare altro termine per connotare la perdita totale di un “centro di gravità permanente”, per rifarci all’espressione di un noto compositore.

9. La sindrome di demenza generalizzata insorge quando vengono meno tutti gli schemi dialettici di interpretazione sociale e riguarda tutti, ma assolutamente tutti gli ambiti sociali, in alto e in basso, a destra e a sinistra, anche se ovviamente in forme diverse.

A “destra” la sindrome di demenza generalizzata assume le consuete forme paranoiche. La paranoia è infatti una malattia soprattutto di “destra”, mentre la schizofrenia è invece una malattia soprattutto di “sinistra”. Prestiamo attenzione a fenomeni degenerativi come il pogrom di gruppi di plebei torinesi delle Vallette (non uso infatti mai la nobile parola di “popolo” per plebi decerebrate e imbarbarite) contro un insediamento di nomadi, o addirittura l’uccisione a freddo di due senegalesi a Firenze da parte di un allucinato paranoico. E’ assolutamente evidente che fatti come questi non devono essere giustificati in alcun modo con contorti argomenti sociologici da bar. E tuttavia essi sono soltanto la punte dell’iceberg di una perdita totale di comprensione del mondo, cui si supplisce con la scorciatoia della paranoia. Naturalmente il concerto politicamente corretto non è in grado di spiegare questi fenomeni di alienazione paranoica, perché si culla con i rassicuranti stereotipi del fascismo, nazismo, populismo, leghismo, revisionismo, negazionismo, eccetera. Ma la cura di queste sindromi di demenza generalizzata non può consistere in geremiadi moralistiche.

Ho già notato come la sindrome di demenza assuma a “sinistra” aspetti più simpatici e politicamente corretti perché solo schizofrenici e non paranoici (Monti è buono, ma la manovra è cattiva; Monti è buono perché rispetta le donne a differenza del laido puttaniere, eccetera). Certo, le scemenze non violente sono pur sempre meglio delle scemenze violente, ma scemenze restano e resta il problema della opacità sociale, cioè di un sistema di cui si è completamente perduta la chiave d’interpretazione. Ma non c’è nessuna chiave, dicono gli intellettuali pagliacci di regime alla Umberto Eco, e bisogna abituarsi a vivere gaiamente senza più nessuna chiave. Ma le grandi masse popolari, appunto, non possono vivere a lungo senza alcuna chiave interpretativa della riproduzione sociale, pena la caduta in sindromi di demenza generalizzata. E di questa bisogna quindi parlare.

10. Vi è un interessante passo, credo di John Reed, che può aiutarci a impostare la questione della demenza sociale generalizzata. Reed parla con un “soldato rosso” dopo il 1917 che gli dice: “I bolscevichi sono buoni perché ci hanno dato la terra. Sono invece i cattivi comunisti che ce la vogliono togliere”. Ora, è inutile assumere la spocchia della persona colta che sa che bolscevichi e comunisti sono in realtà le stesse persone. Ciò che invece conta è il modo in cui erano percepite da chi aveva tutto il diritto di non conoscere le teorie di Marx e del conflitto fra tattica bolscevica e strategia comunista.

Monti piace, mentre le sue manovre no, perché si pensa che esse colpiscano sempre i “soliti noti”. Errore. Colpiscono anche le libere professioni “borghesi” consolidate e organizzate da almerno due secoli di civiltà borghese. Naturalmente, Berlusconi si era fatto votare per “fare la rivoluzione liberale”, ma questa rivoluzione liberale, oggi come oggi, colpisce il 95% delle persone e ne salva invece solo il 5%. I vari Giavazzi e Alesina non sono affatto “liberali”, come opinano i lettori ingenui del Corrierone, ma sono solo “maschere di carattere” (le marxiane charaktermasken) di un processo anonimo e impersonale di globalizzazione liberista. Questo processo non può presentarsi apertamente nella sua concreta natura che chiamare “nazista” è dire poco. Si tratta di una società del lavoro flessibile, precario e temporaneo generalizzato, della fine di ogni democrazia e di ogni sovranità nazionale, di un interventismo imperiale continuo fatto in nome di generici “diritti umani” ad arbitrio assoluto, e della stessa fine dell’Europa come centro autonomo di civiltà non ancora del tutto “occidentalizzato”.

In un simile quadro la demenza sociale riflette l’opacità della riproduzione sociale, e assume toni schizofrenici a sinistra e paranoici a destra, anche se di diverso grado di pericolosità criminale. A sinistra, un antifascismo paranoico in totale assenza di fascismo. A destra, l’ennesima stucchevole tendenza a prendersela con i soliti capri espiatori, i nomadi, i negri, gli immigrati, eccetera. Questa demenza non verrà meno fino a che una nuova credibile interpretazione della natura degli avvenimenti in corso, e cioè del “presente come storia”, sostituirà gli spettacoli schizofrenici e paranoici in corso. I pazzi di Oslo e di Firenze non possono essere previsti. Il casuale in quanto tale è necessario, scrisse Hegel. Ma la reintroduzione della razionalità storica nella politica, questa sì, sarebbe possibile.
di Costanzo Preve

26 dicembre 2011

La congiura dei pazzi





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Dopo l’efferato carnaio estivo che ha scosso la Norvegia, anche il palcoscenico belga ed italiano si è tinto di sangue in seguito ai due attentati di Liegi e Firenze.
Naturalmente, le autorità pubbliche di entrambi i paesi hanno escluso a priori qualsiasi connessione tra i due eventi, che malgrado siano avvenuti quasi in contemporanea e affondino entrambi le radici nel degradato tessuto sociale europeo, andrebbero tuttavia iscritti nel novero delle azioni dettate dalla paranoia individuale che affliggeva i loro diretti responsabili.
La teoria del pazzo che scatena la carneficina per assecondare i demoni che si annidano nel proprio subconscio rappresenta infatti una risorsa di cui la politica si avvale regolarmente allo scopo di difendere l’ordine costituito ed evitare che la base sociale colga l’occasione per sollevare problemi che non trovino la loro spiegazione nell’oscuro ed inestricabile ambito della follia, ma siano invece riconducibili al più logico campo della razionalità.
Appare quindi quantomeno discutibile l’approccio semplicistico e autoconsolatorio, imperniato sulla tesi del “pazzo solitario”, mantenuto dalla maggior parte degli inquirenti e dei principali organi di informazione in relazione agli attentati di Oslo, Utoya, Liegi e Firenze, le cui rispettive ricostruzioni presentano un consistente numero di zone d’ombra e poggiano su fondamenta logiche azzardate e contraddittorie.
Negli istanti immediatamente successivi alla strage di Utoya la autorità norvegesi operarono un conto dei morti incredibilmente superiore alla realtà (almeno 100 morti dichiarati, a fronte dei 69 definitivi) mentre non è ancora chiara la dinamica dei fatti di Firenze e Liegi.
In questo campo minato di indizi ed ipotesi destinate con ogni probabilità a rimanere tali esiste tuttavia un minmo comun denominatore che la politica cerca faticosamente di minimizzare, ovvero il razzismo.
Anders Breivik era un sionista xenofobo animato da un sacro ardore anti – islamico che ha riversato il proprio algido disprezzo omicida contro i giovani simpatizzanti di un partito considerato incoscentemente lassista nei riguardi dell’immigrazione.
Gianluca Casseri era un razzista dichiarato ed ha manifestato il proprio odio nei confronti degli immigrati fiorentini aprendo il fuoco contro alcuni venditori ambulanti senegalesi, uccidendone due.
Il fatto che frequentasse Casa Pound ha suscitato il consueto e sempreverde orgoglio “democratico” in seno a una società afflitta da un grado di timore irrazionale nei confronti del fascismo che supera la paranoia, poiché il fascismo rappresenta un fenomeno ormai concluso, da iscrivere nel campo della Storia e non dell’attualità.
In compenso, l’attentato ha innescato la solita catena di sillogismi che ha portato i più ortodossi esponenti di questo nuovo anti-fascismo del nuovo millennio a criminalizzare Casa Pound come entità, mentre l’ala più “moderata” si è limitata a pretendere la pubblica disapprovazione dell’accaduto da parte di ciascun adepto dell’organizzazione che si richiama al pensiero politico del grande poeta statunitense (come ha fatto Lucia Annunziata con Gianluca Iannone).
Nordine Amrani aveva invece attirato le attenzioni della polizia belga già negli scorsi mesi, quando nella sua abitazione vennero reperite qualcosa come 30.000 (circa) piantine di marijuana oltre a un considerevole arsenale bellico che fu immediatamente posto sotto sequestro.
Appare quindi quantomeno strano che egli abbia potuto tranquillamente riacquistare pistole, fucili, bombe a mano e Kalashnikov per rimettere insieme un arsenale nuovo di zecca che gli ha permesso, tra le altre cose, di uccidere una donna e occultarne il cadavere prima di compiere la strage.
Una “disattenzione” delle forze dell’ordine belghe che ricorda, fatte le debite proporzioni, quella dei loro colleghi italiani che “dimenticarono” di perquisire il covo in cui si nascondeva Salvatore Riina, offendo agli ex sottoposti del corleonese l’immancabile occasione di ripulire tutte le stanze e di riverniciarne addrittura le pareti.
Ad ogni modo Amrani è – al contrario di Breivik e Casseri – un immigrato che ha compiuto una strage di nativi belgi, il che rovescia il rapporto carnefici-vittime ma conferisce al nodo gordiano del razzismo il definitivo ruolo di trait d’union tra le stragi in questione.
Va chiarito, beninteso, che è perfettamente plausibile che non esista alcuna connessione tra le stragi e che la crisi economica e sociale che sta devastando l’Europa abbia esasperato i sentimenti di questi squilibrati armando le loro pericolose mani, ma questa è una lettura assai accomodante che, soprattutto, non costituisce un argomento valido per scartare tesi alternative.
Non è la prima volta, infatti, che l’Europa, e l’Italia in particolare, sono teatro di stragi ed eccidi di massa, che a loro volta non rispondevano ad alcun delirio individuale del pazzo di turno, ma rientravano in una specifica e ben definita strategia politica volta a consolidare i rapporti di forza internazionali.
L’obiettivo finale della cosiddetta “strategia della tensione” – che in Italia si dispiegò attraverso gli attentati di Piazza Fontana del 1969, di Peteano nel 1972, della questura di Milano nel 1973, di Piazza della Loggia e del treno Italicus nel 1974, della stazione di Bologna nel 1980, oltre a quello di Portella della Ginestra nel 1947 che tuttavia viene generalmente (ma non correttamente) considerato come un caso a sé stante – fu correttamente indicato da un terrorista di primo piano come Vincenzo Vinciguerra, il quale affermò che: “Si dovevano uccidere civili, donne, bambini, innocenti, gente sconosciuta, lontana da ogni gioco politico. Il motivo era molto semplice. Si supponeva che questo avrebbe costretto il popolo, l’opinione pubblica italiana, a rivolgersi allo Stato chiedendo più sicurezza. Questa è la logica politica che sta dietro tutte le stragi e le bombe impunite, dato che lo Stato non può dichiararsi colpevole o responsabile di quanto accaduto”.
E se un’autorità del calibro del Generale Gianadelio Maletti giunse al punto di arricchire il quadro dipinto da Vinciguerra sottolineando che “La CIA, seguendo le direttive del suo governo, intendeva suscitare un nazionalismo italiano in grado di fermare quello che veniva visto come un progressivo slittamento del paese a sinistra e a questo scopo può aver fatto uso del terrorismo di destra”, invitando a non sottovalutare il fatto che “Il Presidente [degli Stati Uniti] era Nixon e che Nixon era un uomo molto strano, un politico molto intelligente ma anche un uomo dalle iniziative poco ortodosse”, emerge con sufficiente chiarezza quali interessi si celassero dietro la spinta destabilizzante che non coinvolse soltanto l’Italia, ma anche paesi come la Germania (strage dell’Oktoberfest del 1980) e il Belgio (serie di misteriosi assalti di natura militare operati da sconosciuti esecutori – che produssero efferate stragi nel Brabante entro l’arco temporale che si estende tra il 1982 e il 1985 – condotti attraverso tattiche che somigliano al modus operandi impiegato da Breivik, Casseri e Amrani).
Non fu soltanto il terrorismo di destra, tuttavia, a fungere da braccio armato dei progetti eversivi orchestrati in ambiti ben differenti e assai più influenti rispetto a quello eminentemente italiano, poiché dall’analisi dell’evoluzione della strategia criminale impiegata dalle Brigate Rosse emergono una serie piuttosto eloquente di connessioni con apparati clandestini annidati nella famigerata scuola di lingue Hyperion di Parigi, che si occupava di infiltrare e cooptare i gruppi terroristici europei schierati a sinistra – come appunto le Brigate Rosse o la Rote Armee Fraktion – per conto, molto probabilmente, dei servizi segreti statunitensi ed israeliani.
Il sequestro e il successivo assassinio del democristiano Aldo Moro, che si accingeva ad assegnare incarichi di governo ai più autorevoli esponenti del Partito Comunista, da parte di Mario Moretti, che manteneva stretti legami con il centro Hyperion assume quindi contorni ben precisi alla luce di questi fattori.
Per le Brigate Rosse e per i loro esponenti di punta vale dunque il medesimo concetto indicato da Franco Freda, il quale affermò che “La vita di ognuno risulta manipolata risulta manipolata da coloro che hanno più potere. Per quanto mi riguarda accetto di essere stato un pupazzo nelle mani delle idee, non degli uomini dei servizi segreti italiani o stranieri. Intendo dire di aver combattuto volontariamente la mia guerra, inseguendo un progetto strategico che nasceva dalle mie idee”.
La pur edulcorata ed eufemistica versione resa dal più eminente rappresentante di Ordine Nuovo contiene comunque al proprio interno tutte le coordinate necessarie a spiegare il fenomeno del terrorismo, in cui alcuni gruppi volontari fungono da manovalanza per conto, direttamente o meno, dei grandi organi internazionali i cui interessi coincidevano, nel caso specifico, con la destabilizzazione sociale dell’Europa finalizzata alla sua stabilizzazione politica sotto l’ombrello dell’atlantismo.
L’emersione di un apparato come Gladio costituisce la dimostrazione più evidente di questa equazione, la cui validità era ben nota ad un esponente politico assai navigato come Benazir Bhutto, che nel corso di un’intervista televisiva per la BBC concessa nel 2007 a David Frost non solo aveva candidamente ammesso che Osama Bin Laden era stato ucciso da Omar Sheikh – un personaggio piuttosto oscuro che manteneva alcune connessioni con i fatti dell’11 settembre 2001 – ma aveva pronunciato un discorso che lasciava trapelare una non comune conoscenza dei legami che intercorrono tra i committenti del terrorismo e gli esecutori materiali.
Dinnanzi a simili attentati terroristici è quindi doveroso esaminare il cui prodest, e non è certo un segreto che esistano apparati specifici interessati, come nel corso dei cosiddetti “anni di piombo”, a destabilizzare l’Europa.
Va pertanto annoverata la possibilità che esista una regia, ovvero che la drammatica catena di attentati in Norvegia, Italia e Belgio rientri in un disegno strategico funzionale al conseguimento di obiettivi precisi, che nel caso specifico riguarderebbe l’innalzamento della tensione tra immigrati e popolazione autoctona.

di Giacomo Gabellini

E se i debitori si rifiutassero di pagare?


Il Vicepresidente del Partito Socialista Portoghese si è appellato alla propria e alle altre nazioni sotto il tallone dell'Unione Europea affinché usino la "bomba del debito" contro i banchieri. Ad una manifestazione di partito il 10 dicembre Pedro Nuno Santos ha dichiarato: "Possediamo una bomba atomica che possiamo puntare contro i tedeschi e i francesi: questa bomba atomica è la decisione che semplicemente non paghiamo. Il debito è la nostra unica arma e dovremmo usarla per imporre migliori condizioni, perché proprio la recessione è ciò che ci impedisce di rispettare gli impegni presi (con la Troika UE-FMI-BCE). Dovremmo far tremare le ginocchia dei banchieri tedeschi".

La "bomba del debito" è un concetto sviluppato dal movimento di LaRouche all'inizio degli anni ottanta, quando la crisi del debito messicano minacciava di esplodere. Recentemente è stata rilanciata da economisti come Loretta Napoleoni, che ha aggiornato la versione e-book del suo Contagio con le seguenti parole: "Il deficit dei paesi a rischio default è una loro grande forza, non un punto di debolezza. Perché i paesi creditori hanno tutto l'interesse di farsi restituire il denaro che hanno prestato".

Santos ha chiesto ai membri periferici dell'Unione Europea di unirsi contro i diktat di Bruxelles e Francoforte. "E' incomprensibile che i paesi periferici non fanno ciò che fanno il Presidente francese e il Cancelliere tedesco. Dovrebbero unirsi".

Santos ha fatto la sua dichiarazione lo stesso giorno in cui migliaia di dimostranti sfilavano lungo le strade di Lisbona protestando contro le misure di austerità, tra cui l'aumento della settimana lavorativa a 42 ore e il taglio del 16% per la fascia alta e dell'8% per la fascia bassa degli stipendi del pubblico impiego.

In tutta Europa sta crescendo un movimento per ripudiare il debito, facendo proseliti soprattutto tra le giovani generazioni indignate per essere private di un futuro mentre le banche centrali prestano centinaia di miliardi di denaro a buon mercato alle banche. Tuttavia, un semplice ripudio del debito non funzionerà.

Il 17 dicembre il segretario generale di MoviSol Andrew Spannaus è intervenuto all'assemblea nazionale del "Comitato No Debito" a Roma il 17 dicembre, organizzazione nata dalla sinistra vicina al sindacalista della Fiom Giorgio Cremaschi, all'insegna dello slogan "contro il governo Monti, contro il governo della BCE, contro la manovra". Davanti ad oltre 500 persone presenti al Teatro Tendastrisce di Roma e collegate al livestream via internet, Spannaus ha esordito affermando: "Sono americano, non sono comunista, ma sono d'accordo con chi si batte contro il governo delle banche". Ha poi detto che "non basta battersi per i diritti, bisogna sapere come siamo arrivati nella situazione di oggi, e avere proposte chiare per uscirne".

Il segretario di MoviSol ha poi tracciato brevemente la trasformazione delle economie industrializzate in società "post-industriali" e i punti salienti della deregulation finanziaria che ha portato alla crisi di oggi. La risposta alla situazione di oggi, in cui vengono creati dei governi antidemocratici per imporre una politica a favore degli interessi della grande finanza internazionale è chiara: riprendersi la sovranità nazionale e riorganizzare il sistema finanziario. Serve la separazione delle funzioni bancarie (Glass-Steagall), e una banca nazionale per finanziare lo sviluppo industriale ed infrastrutturale. In conclusione, Spannaus ha ammonito del pericolo di guerra che si sta creando con le avventure militari dell'occidente nel medio oriente, e specificamente con le minacce di un attacco all'Iran e alla Siria, a cui Cina e Russia hanno già reagito in modo pubblico.

L'intervento di Spannaus è stato apprezzato da molti per la sua chiarezza, e il giornalista Giulietto Chiesa ne ha fatto riferimento nel proprio intervento, preoccupandosi però del fatto che è stato l'unico tra le decine di persone a parlare che ha fatto riferimento al pericolo di guerra in questo momento.

Nel corso dell'assemblea è emersa la varietà di posizioni dei membri del comitato, dal comunismo e il socialismo, alle posizioni più aperte verso persone di altre estrazioni culturali e politiche. La proposta di MoviSol è di lanciare una mobilitazione intorno alla questione della riforma del sistema finanziario internazionale, a partire dal ripristino di Glass-Steagall e la fine del sistema dell'euro.

by (MoviSol)

25 dicembre 2011

Buon Natale 2011
e
Buone Feste

24 dicembre 2011

Colpo di Stato sotto mentite spoglie: il modello della ‘democratizzazione’ di Washington


Colpo di Stato sotto mentite spoglie: il modello della ‘democratizzazione’ di Washington


L’azione “globale” di protesta a favore di «elezioni giuste in Russia», organizzata dai suoi promotori per il 10 dicembre, ha cominciato a coinvolgere le capitali europee e, come ci si attende, le maggiori città statunitensi. Sto scrivendo queste righe a Boston. Posso vedere, qui, le pagine su Facebook «Per un voto corretto» piene di frasi come: «Abbiamo nessuno in Olanda? … Dovrò andarci di persona»; «Che ne dite di San Francisco? … Forte! Potete davvero far arrivare lì un centinaio di partecipanti? Benissimo!» Tutti gli interventi esprimono la stessa cosa. E queste persone, che ottengono le proprie informazioni sulla Russia da Internet, si stanno affrettando ad unirsi alla «lotta contro l’ingiustizia».L’opposizione cosmopolita ha lanciato in questi giorni un attacco specifico, nella speranza di ritornare agli anni Novanta. La famosa RTVI di Gusinsky, l’emittente televisiva russo-statunitense più potente, che sta ora diffondendo la propaganda della stazione radio LEco di Mosca e l’ideologia russofoba dell’establishment di Washington, ha già dichiarato la propria vittoria il 9 dicembre. Vladimir Kara-Murza junior, corrispondente permanente di RTVI presso il Congresso degli Stati Uniti, ha riportato per l’American Enterprise Institute (un importante centro strategico repubblicano) l’idea per la quale «sta iniziando la fine dell’era Putin». Il giornalista televisivo ha riportato, sorridendo, che «i maggiori esperti USA intravedono la fine dell’epoca di Putin». Si possono anche osservare le espressioni serie di Andrew Kuchins, Leon Aron e Anders Aslund predire in modi differenti «la fine del dittatore» e suggerire con forza l’idea di non avere più pazienza nei confronti del suo governo. Il telegiornale in prima serata ha anche presentato un grande spettacolo sui «leader da migliaia di contestatori», presentando il proprio ultimatum sotto forma di programmi. Michael Schneider, uno di questi leader e rappresentante di Solidarietà, ha reso pubblico il programma dei “dimostranti”: l’annullamento degli esiti delle elezioni del 4 dicembre, nuove elezioni in marzo, la registrazione dei partiti d’opposizione, la liberazione dei prigionieri politici, le dimissioni di Vladimir Churov – presidente del Comitato Centrale per le Elezioni – e nessun potere «al partito dei criminali e dei ladri».

L’opposizione liberale non ha alcuna possibilità di avere un ruolo significativo nella vita politica russa senza il grande sostegno finanziario di Washington. In questo modo, mostra i propri punti e le carte senza valore. L’isteria odierna riguardo alle elezioni della Duma russa rappresenta un test, oppure un modo di preparare il terreno per bandire Putin dalle elezioni presidenziali. Lo scopo è quello di destabilizzare la situazione nel paese e di rendere impossibile lo svolgimento delle elezioni.

Molti media statunitensi hanno titolato i propri editoriali con la risposta di Putin alle parole della signora Clinton, sotto una luce chiaramente negativa. L’8 dicembre Putin ha incontrato i rappresentanti del Fronte Nazionale Pan-russo. Parlando della situazione russa nel dopo-elezioni, egli ha affermato che «il processo interno è stato influenzato da ordini dati da qualcuno all’estero. Ed il Segretario di Stato americano ha già dato il segnale a chi, in Russia, doveva udirlo. Il Paese deve difendere la propria sovranità». Putin ha allora suggerito di «rendere più dura la responsabilità [penale, ndt] di coloro che eseguono gli ordini provenienti da altri stati».

Il New York Times ha recentemente pubblicato un’intervista a Gene Sharp, vecchia conoscenza e padre delle «rivoluzioni colorate», il quale ha descritto nei minimi particolari le sue tecniche di attuazione di colpi di stato nei paesi dello spazio ex-sovietico.

Una «rivoluzione colorata» rappresenta un caso a sé nella suddivisione del mondo, dove un golpe interno mascherato da movimento democratico ne costituisce la componente chiave.

Il famoso ricercatore britannico Jonathan Mowat l’ha fatta pagare, agli americani, nel suo lavoro dal titolo «Colpo di Stato sotto mentite spoglie: Il modello di “Democratizzazione” di Washington». Una provocazione, in tempi di elezioni in presenza di «osservatori internazionali» ed exit polls. Ci sono giovani arrabbiati, dotati di apparecchi di comunicazione di ultima generazione, blog e siti Internet in grado di fornire collegamenti istantanei, per precisare la modalità con cui le attività sono condotte. Lo “stormo” può essere raggruppato in ogni momento ed i media globali rendono possibile l’internazionalizzazione di qualsiasi evento, anche il più insignificante.Il modello di Washington è costituito da un attacco pianificato e finanziato all’estero contro le istituzioni di un altro stato…

Non è semplice difendersi da questo schema – deve essere bloccato in modo duro ed intransigente!

Il canale di notizie Fox News sta spaventando le persone sulle crescenti proteste russe, mostrando loro le foto di anarchici greci armati di bombe Molotov.

La medesima distorsione dell’informazione è avvenuta in Libia. Ora sta accadendo in Siria – la Russia fa anch’essa parte del copione?

Il gergo politico contemporaneo definisce tali imitazioni «tecnologie politiche cognitive», un’«arma memetica». Vi sono molti libri dedicati allo studio di tale materia, in Occidente, con un’intera scuola di pensiero che la insegna. L’essenza del fenomeno consiste nel contagio psicologico attraverso la diffusione, in un modo particolare, di un’«informazione virale». I memi – unità di tale informazione – vengono introdotti in un determinato ambiente (in questo caso, la rete sociale) e vengono attivati secondo il principio dell’auto-induzione, installando così un preciso stato d’animo (rabbia, entusiasmo, crollo emotivo, ecc.).

La «presa cognitiva» è un argomento molto in voga negli USA. Cass Sunstein, Amministratore dell’Office of Information and Regulatory Affairs della Casa Bianca nell’amministrazione Obama, ha reputazione di convinto sostenitore del cognitivismo. Nuova terminologia – vecchie idee.

Negli Stati Uniti si stanno studiando i segmenti dell’Internet russo all’interno del contesto cognitivista, analizzando i concetti di potenziali amici e nemici. Lo stesso Cass Sunstein ha addirittura pubblicato un lavoro sulla necessità di intervenire apertamente o segretamente nei social network per raggiungere gli scopi predefiniti della «dissonanza cognitiva».

Lo studioso politico Valery Korovin ha spiegato cosa significa «dissonanza cognitiva» con un linguaggio semplice usando il Progetto Navalny come esempio. (1) Navalny presenta al suo pubblico di Internet una formula semplice – «Russia Unita è un partito di criminali e ladri» – che viene ripetuta da migliaia di utenti sui social network. Un uomo distante dalla politica incontra questa formula ovunque su Internet, sui fumetti, nelle caricature. Passo dopo passo, egli si convince che ciò sia opinione di tutti. Una persona ci si abitua, la vede come una cosa ovvia, come una percezione comune. Tale convinzione potrebbe avere delle conseguenze serie. Quando qualcuno cerca questo tipo di memi in migliaia di blog, essi diventano un fattore in grado di influenzare il potere. La pubblicazione dei risultati delle elezioni porta la popolazione ad una condizione di «dissonanza cognitiva». Tutti sono infatti convinti che «il partito di criminali e ladri» sia visto sotto questa luce da tutti, e che quindi non sia possibile che abbia ottenuto così tanti voti. Korovin afferma che è questa la dissonanza, «come gli autori dei memi la intendono; la popolazione è chiamata a scendere in strada a protestare. Dopodiché il copione è noto e funziona bene, è una questione tecnica».

E’ da notare che questa tecnica ottiene un ampio sostegno finanziario dato dall’Occidente ai memi dei difensori dei diritti umani. Valery Korovin ha ragione, quando afferma che le loro attività sono coordinate da «persone addestrate in maniera specifica». Non è un caso che essi appartengano tutti al Dipartimento di Stato, sebbene non vi sia alcun dubbio che quello è il luogo da dove proviene la maggior parte dei principali “moderatori”. I social network della Federazione Russa, così come quelli di altri paesi, vengono coinvolti da qualcuno che risiede in luoghi molto lontani e sono letteralmente comprati (ad esempio, tramite sovvenzioni).

Eccovi un esempio. Le proteste sono centrali, nel sito Internet di un movimento giovanile per i diritti umani – International Network. (2) Il denaro arriva da fondi USA ed europei. Il sito offre informazioni dettagliate sulla «geografia globale» dei memi di azioni di protesta in atto. Vi sono istruzioni su come difendersi dalla polizia – una citazione del sito web di Garry Kasparov. Ci si può perdere, nei network, ma essi vi riportano sempre ed inevitabilmente alla feccia dell’«Altra Russia» ed agli onnipresenti «memoriali» nascosti da minacciosi indizi quali «controllo strategico» oppure citando quartieri generali situati in luoghi molto distanti come Voronezh, ad esempio. Nessuna meraviglia, dunque, se il «comitato regionale» di Washington invia centinaia di migliaia di dollari proprio a Voronezh attraverso la Fondazione MacArthur. E’ in questa città che le voci sulla «falsificazione» delle elezioni hanno avuto una diffusione particolarmente ampia. Provocazioni, cospirazioni, «operazioni sotto mentite spoglie» per discreditare l’opposizione – queste sono attività di routine per i datori di lavoro statunitensi dei difensori dei diritti umani.

Il sito web di International Network afferma l’esistenza di numerose strutture create per offrire informazioni e fonti agli utenti del network. Vi è l’impressione per la quale il numero di questi membri simil-umanoidi costituiscano una legione, e che questa legione abbia una missione di incredibile importanza. Una di queste strutture a difesa dei diritti umani è il Comitato Contro la Tortura. Il suo capo è una persona molto conosciuta che ha ricevuto di recente un premio presso una delle capitali mondiali. L’argomento «Le camere di tortura russe» verrà connessa di proposito alle proteste pianificate contro la frode elettorale. Un altro membro del network è uno dei destinatari delle sovvenzioni statunitensi – il sito web Il nodo caucasico è quello ove si descrivono le cose orribili che stanno accadendo nelle “camere di tortura” russe.

La procedura per un colpo di stato coperto è stata avviata. Bisognerà trattarla con la necessaria risolutezza e durezza.

* * *

Il copione dell’”impensabile” è divenuto pratica corrente delle “riforme Occidentali” già da molto tempo. Come raccontò qualche tempo fa uno dei «sostenitori della giustizia» alla TV di Gusinsky, un’”opposizione pacifica” che non ha rotto una sola finestra verrà affiancata da un cecchino, quando i tempi saranno propizi. Il cecchino ucciderà qualcuno, meglio se un bambino o un adolescente (in questo modo la protesta seguirà lo schema) – ed una catena di eventi estremamente destabilizzanti verrà auto-indotta.

Non è possibile enumerare l’intera pletora di memi – attori non statali, esperti, entità, pubblicazioni “indipendenti”, stazioni radio, questioni religiose, campioni dei diritti umani ed innumerevoli media in un solo articolo. Ciò che unisce tutti loro, però, è l’ottenimento di un sostanzioso sostegno finanziario per minare ampiamente la sovranità della Russia.

Non è possibile scendere a compromessi con questo tipo di opposizione! Anche Gene Sharp concorda sul fatto che le cose sono andate oltre il compromesso. Qui il maestro delle «rivoluzioni colorate» trova l’espediente per preparare una sostituzione, un meme-simulacro. La regola principale dei rovesciamenti di stato è che coloro che vengono coinvolti devono essere convinti di agire di propria iniziativa. Convinzioni, ideologia e fede creano immunità verso i memi-virus. Ci sono tre volumi scritti su questo argomento. Ma non sappiamo come difendere noi stessi, permettendo una discussione circa ciò di cui non si può discutere – le cose fondamentali come la vita di un individuo e la società nel suo insieme. Dimentichiamo che i manipolatori hanno bisogno della discussione come dell’aria, per implementare i propri schemi di sostituzione…

di Irina Lebedeva

23 dicembre 2011

Bilderberg Group, regista del mondo



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Mario Monti vanta lunghi studi all'estero. Trascorre un anno presso la prestigiosa Università di Yale, dove diventa allievo di James Tobin, premio Nobel per l'Economia nel 1981. Non abbiamo prove di una sua affiliazione alla Skull and Bones, la celeberrima e potente società segreta di ispirazione mondialista che dal 1832 ha sede presso quel prestigioso ateneo statunitense. Abbiamo però la prova che il professore varesino rappresenti un autentico apostolo del pensiero mondialista. Alcune inequivocabili circostanze lo attestano.

Mario Monti era membro del Bilderberg Group. La notizia è passata sui media con una certa nonchalance. Istituito nel 1954 presso il castello olandese di Bilderberg, questo esclusivissimo club si ritrova segretamente ogni anno per decidere del futuro dell'umanità. Si tratta dei 130 uomini più potenti e influenti del mondo riuniti in una stessa stanza, che guardie armate tengono lontana da occhi indiscreti. In più di cinquant'anni d'incontri è sempre stata vietata la presenza della stampa, non sono mai state rilasciate dichiarazioni sulle conclusioni degli intervenuti, e non è mai stato svelato l'ordine del giorno.

A prescindere da cosa realmente accada in quel segreto consesso, il solo fatto di come si svolga e di chi lo componga non risponde certo a una logica di democrazia e trasparenza. Fino all'ultimo momento resta occulto il luogo degli incontri e si interviene solo su espresso invito, che non può essere pubblicamente divulgato, pena la mancata partecipazione.


Per comprendere meglio di cosa si tratti è sufficiente leggere quanto sul tema ha scritto William Vincent Shannon, non esattamente un paranoico complottista, ma un prestigioso giornalista, redattore del New York Times e ambasciatore degli Stati Uniti in Irlanda durante la presidenza Carter (1977-1981): «I membri del Bilderberg stanno costruendo l'era del post nazionalismo: quando non avremo più paesi, ma piuttosto regioni della terra circondate da valori universali.

Sarebbe a dire, un'economia globale; un governo mondiale (selezionato piuttosto che eletto) e una religione universale. Per essere sicuri di raggiungere questi obiettivi, i Bilderberger si concentrano su di un "approccio maggiormente tecnico" e su di una minore consapevolezza da parte del pubblico in generale». Del resto, lo stesso fondatore del Bilderberg Group, il principe Bernardo d'Olanda, sul punto era stato chiaro: «È difficile rieducare gente allevata al nazionalismo all'idea di rinunciare a parte della loro egemonia a favore di un potere sovranazionale ».


Onesto, a suo modo, è stato pure David Rockefeller - altro Bilderberg di razza - il quale ha lasciato scritto nelle sue Memorie (2002): «Alcuni credono che facciamo parte di una cabala segreta che manovra contro gli interessi degli Stati Uniti, definendo me e la mia famiglia come "internazionalisti", e di cospirare con altri nel mondo per costruire una più integrata struttura politico-economica globale, un nuovo mondo, se volete. Se questa è l'accusa, mi dichiaro colpevole, e sono orgoglioso di esserlo».

Il Times, che non può certo definirsi un foglio complottista, nel 1977 descrisse i membri del Bilderberg Group come «una congrega dei più ricchi, dei più economicamente e politicamente potenti e influenti uomini nel mondo occidentale, che si incontrano segretamente per pianificare eventi che poi sembrano accadere per caso». A conferma, si possono elencare alcune singolari coincidenze (per citare i casi più noti e più recenti) dovute a fatti accaduti dopo gli incontri del Bilderberg. Bill Clinton partecipa al meeting del 1991; vince le primarie del Partito democratico, e da oscuro governatore dell'Arkansas diventa presidente degli Stati Uniti nel 1992. Tony Blair partecipa al meeting del 1993; diventa il leader del Partito laburista nel luglio del 1994, e viene eletto primo ministro nel maggio del 1997.

George Robertson partecipa al meeting del 1998; viene nominato segretario generale della Nato nell'agosto del 1999. Romano Prodi partecipa al meeting del 1999; riceve l'incarico di presidente dell'Unione europea nel settembre del 1999, ricoprendo tale incarico fino a gennaio 2005; nel 2006 viene eletto presidente del Consiglio italiano. Sembra confermata ancora una volta la saggia conclusione del barone Denis Winston Healey, ex ministro britannico della Difesa (1964-1970) e delle Finanze (1974- 1979): «Quel che accade nel mondo non avviene per caso; si tratta di eventi fatti succedere, sia che abbiano a che fare con questioni nazionali o commerciali, e la maggioranza di questi eventi sono inscenati da quelli che maneggiano la finanza».

Per chi volesse saperne di più, consiglio la lettura di un ottimo testo intitolato The True Story of the Bilderberg Group, di Daniel Estulin, un libro di 340 pagine, corredato da una preziosa documentazione, che raccoglie i risultati di una indagine durata anni sull'intoccabile gruppo elitario di cui la stampa ufficiale appare sempre reticente. La seconda prova della propensione mondialista del professor Monti risiede nel fatto che egli faccia anche parte della Trilateral Commission.

aAnzi, per essere precisi, ricopre la carica di presidente per l'Europa nel triennio 2010-2012. Chi ha l'avventura di accedere al sito ufficiale di quella istituzione (www.trilateral.org), troverà, infatti, una lettera di presentazione sottoscritta da Mario Monti, quale European Chair, da Joseph S. Nye, Jr., quale North American Chair, e da Yotaro Kobayashi, quale Pacific Asian Chair, con tanto di fotografia.

Ufficialmente si tratta di un think-tank fondato nel 1973 da David Rockefeller con forte impronta mondialista. Il professor Piergiorgio Odifreddi ha invece liquidato il prestigioso pensatoio internazionale definendolo, su Repubblica (9 novembre 2011), «una specie di massoneria ultraliberista statunitense, europea e nipponica ispirata da David Rockefeller e Henry Kissinger». Quella di Odifreddi non rappresenta, ovviamente, l'unica voce critica nei confronti della Trilateral.

Nel 1979 l'ex governatore repubblicano Barry Goldwater la descriveva come «un abile e coordinato sforzo per prendere il controllo e consolidare i quattro centri di potere: politico, monetario, intellettuale ed ecclesiastico grazie alla creazione di una potenza economica mondiale superiore ai governi politici degli stati coinvolti».

Lo scrittore francese Jacques Bordiot sosteneva, inoltre, che per far parte della Trilateral, era necessario che i candidati fossero «giudicati in grado di comprendere il grande disegno mondiale dell'organizzazione e di lavorare utilmente alla sua realizzazione », e precisava che il vero obiettivo della Trilateral fosse quello «di esercitare una pressione politica concertata sui governi delle nazioni industrializzate, per portarle a sottomettersi alla loro strategia globale».

Il canadese Gilbert Larochelle, professore di filosofia politica presso l'Università del Québec, nel suo interessante saggio L'imaginaire technocratique, pubblicato a Montréal nel 1990, ha definito, più semplicemente, la Trilateral come una privilegiata élite tecnocratica: «La cittadella trilaterale è un luogo protetto dove la téchne è legge e dove sentinelle, dalle torri di guardia, vegliano e sorvegliano. Ricorrere alla competenza non è affatto un lusso, ma offre la possibilità di mettere la società di fronte a se stessa. Il maggiore benessere deriva solo dai migliori che, nella loro ispirata superiorità, elaborano criteri per poi inviarli verso il basso».

Il connotato resta sempre il medesimo: poca democrazia e poca trasparenza. Piccolo inciso legato all'attualità della cronaca politica: un altro italiano membro della Trilateral è l'onorevole Enrico Letta, al centro di una polemica per uno strano biglietto inviato al consociato professor Monti. La terza prova della visione mondialista di Mario Monti sta nel fatto di essere un uomo Goldman Sachs. Per comprendere la reale natura di tale istituzione non occorre addentrarsi nei siti complottisti.

È sufficiente leggere sul Monde del 16 novembre 2011 (giorno dell'investitura di Monti) l'articolo di Marc Roche, corrispondente da Londra, dal titolo sintomatico: «La "franc-maçonnerie" européenne de Goldman Sachs». Si tratta di una vera e propria requisitoria contro la potente banca d'affari. Per il Monde, Goldman Sachs funziona come la massoneria, in cui ex dirigenti, consiglieri ma anche trader della banca d'affari americana si ritrovano oggi al potere nei paesi europei chiave per la gestione della crisi finanziaria. In Europa, Goldman Sachs si è fatta fautrice di una forma di «capitalismo delle relazioni », e punta a piazzare i suoi uomini.

Può sembrare esagerato il giudizio del Monde, ma forse non lo è se si pensa a un'altra singolare coincidenza. Si tratta del fatto che l'omologo greco di Mario Monti, il professor Lucas Papademos (anch'egli studi statunitensi), già vicepresidente della Bce (dal 2002 al 2010), e ora tecnocrate mandato a commissariare il governo ellenico, è un altro uomo Goldman Sachs. Oltre che - guarda caso - membro anche lui della Trilateral Commission. Il panorama si fa ancora più inquietante se si considera che l'uomo Goldman Sachs più potente in Europa è Mario Draghi.

Nonostante tutte queste sinistre coincidenze, faccio ancora fatica a cedere alle suggestioni complottiste. Confesso, però, che quando ho letto sul quotidiano economico Milano Finanza che è stata proprio Goldman Sachs a innescare l'ondata di vendite di Btp il 10 novembre scorso, un pensiero cattivo mi ha attraversato la mente. Sarà forse perché il giorno prima, il 9 novembre, Mario Monti è stato nominato senatore a vita dal presidente della repubblica Giorgio Napolitano. Una settimana dopo sarebbe diventato premier sull'onda degli spread. Coincidenze, ne sono certo.

di Gianfranco Amato