28 febbraio 2010

Fidarsi delle banche?

I prodotti della casa sono sempre i più buoni? Forse in ambito agro-alimentare, ma di certo non se si tratta di prodotti finanziari distribuiti dalle banche. Soprattutto se, abbinati alla vendita di questi investimenti, ci sono lauti bonus per i dirigenti che li consigliano ai risparmiatori, spesso ignari dei meccanismi che ci sono dietro ai "consigli per gli acquisti". Non è bello, insomma, che una banca spinga a comprare i prodotti finanziari che ha più urgenza di piazzare invece di quelli più adatti alle esigenze del cliente.
Sul tema, odioso dopo i tanti scandali finanziari che hanno distrutto l'immagine del settore in Italia, è tornata la Consob, che ha richiamato due settimane fa due istituti (il nome resta ancora oggi misterioso) a una maggiore disciplina nell'ambito della distribuzione di prodotti finanziari, e di una maggiore aderenza alle norme della direttiva europea Mifid, che prevede una forte tutela degli interessi esterni all'intermediario.
Il problema, però, sta tanto nella condotta fraudolenta delle banche quanto nell’ignoranza dei clienti, solitamente del tutto incapaci di muoversi autonomamente nel globale supermercato dei prodotti finanziari. Davanti al feroce corporativismo del sistema bancario e preso atto della sua influenza sulla casta politica, s’impone al nutrito popolo dei risparmiatori una maggiore consapevolezza dei meccanismi che regolano l’universo della finanza. Sempre più spesso, infatti, si sente parlare d’ignoranza finanziaria del popolo italiano. Non che questo nella sua media sia particolarmente colto, ma certamente in tema di mercati e finanza è tra i più ignoranti d'Europa. Politici, banchieri centrali e uomini d'affari lamentano periodicamente l'ignoranza del pubblico in tema di denaro, e hanno ragione.
Ciò, ovviamente, nulla toglie alla responsabilità di quegli istituti che, forti di una posizione di evidente superiorità rispetto al risparmiatore, sfruttano la propria posizione per liberarsi fraudolentemente dei rischi assunti scaricandoli sulla clientela. Sarebbe tuttavia logico aspettarsi un vero e proprio esodo dei risparmiatori da quelle realtà finanziarie che, di volta in volta, vengono coinvolte in simili scandali. Purtroppo, però, non è mai accaduto nulla di simile. Ma quali sono le due banche colpevoli di aver agito con troppa leggerezza nei confronti della clientela? La commissione guidata da Lamberto Cardia - Presidente della CONSOB, la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa - non ne fa menzione per non scatenare la rivolta dei risparmiatori. La mancanza dei nomi ha tuttavia scatenato il tran tran di voci.
Nessun istituto si può escludere a priori, ma sembra che il richiamo, che si concretizzerà nella convocazione del consiglio di amministrazione dei due istituti, per l'esame di tematiche inerenti alla prestazione di servizi di investimento, non sia stato rivolto alle due big d'Italia, Unicredit e Intesa San Paolo. Voci accreditate dalle testate giornalistiche del settore sembrano escludere anche gruppi come Banca popolare di Milano, peraltro già toccata da rilievi Consob circa l'emissione di obbligazioni. Qualcuno comincia a fare i nomi di Banca Carige, Monte dei Paschi di Siena, Ubi banca, Banco Desio e Banca Etruria, ma le banche sospettate sono tante tra gruppi medi e medio grandi.
A breve si attendono le smentite degli istituti tirati al centro delle voci in un gioco a esclusione, fino ad arrivare alle due che da smentire avranno ben poco. Tra gli operatori le orecchie sono ben tese per carpire gli argomenti dei prossimi consigli di amministrazione in programma, per verificare se nell'ordine del giorno ci sono questioni inerenti la Mifid. Quel che è certo, tuttavia, è che la crisi finanziaria fatto riemergere in qualcuno vecchi vizi difficili da sradicare.
Rimane, però, il problema della facilità con cui gli squali della finanza riescano a mietere vittime tra i piccoli risparmiatori. Il problema è serio e si va imponendo all’attenzione generale a causa della sempre crescente volontà politica di rimettere all’autonomia privata scelte un tempo rimesse all’esclusiva competenza dello Stato. Una società moderna si aspetta che la maggior parte degli individui si assumano la responsabilità della gestione della spesa del proprio reddito (al netto delle tasse); che la maggior parte dei cittadini adulti sia proprietaria della propria casa di abitazione e che gli individui decidano quanto risparmiare per la pensione e se coprirsi da eventuali rischi attraverso la sottoscrizione di un'assicurazione. Ma una società che non fornisce ai propri cittadini gli strumenti necessari a prendere sagge decisioni finanziarie. Di più, sono in molti a sostenere che l'attuale crisi sia in parte dovuta alla diffusa ignoranza della storia finanziaria, non solo fra la gente comune. Conoscere, infatti, significa soprattutto essere messi nelle condizioni ottimali per poter operare una scelta coerente con le proprie esigenze.
Tra i tanti problemi del sistema finanziario il difetto principale è che esso riflette e accentua le debolezze umane. Come dimostra un numero crescente di ricerche sulla finanza comportamentale, il denaro accresce la nostra tendenza a reazioni eccessive, a passare dall'euforia quando le cose vanno bene alla depressione quando le cose vanno male. Il gonfiarsi e lo sgonfiarsi delle bolle finanziarie, in ultima istanza, è il frutto della nostra instabilità emotiva, della nostra incapacità di rimanere razionali quando tutto intorno a noi incomincia ad impazzire. Ma la finanza accentua anche le differenze fra gli uomini, arricchendo chi è intelligente e fortunato e impoverendo chi non è altrettanto intelligente e fortunato.
La stessa globalizzazione finanziaria potrebbe portare enormi benefici, se solo i soggetti ad ogni titolo in essa coinvolti fossero nelle condizioni per agire con piena coscienza e volontà; in linea teorica potrebbe portare, dopo più di trecento anni, al drastico ridimensionamento della divisione tra paesi ricchi e sviluppati e paesi poveri meno sviluppati. Sul piano strettamente dottrinario, infatti, quanto più i mercati finanziari s’integrano, tanto maggiori sono le opportunità per le persone che capiscono la finanza di migliorare le proprie condizioni, ovunque vivano, e parallelamente tanto maggiore è il rischio di una perdita di status sociale da parte di chi nulla sa di finanza. Ma i risultati dicono praticamente il contrario.
In termini di distribuzione generale del reddito, il mondo moderno non è un mondo piatto, semplicemente perché la remunerazione del capitale è aumentata esponenzialmente rispetto alla remunerazione del lavoro non qualificato. In altre parole, il premio riservato a chi conosce non è mai stato così elevato e la pena per l'ignoranza finanziaria non è mai stata così severa. Conoscere dunque le regole del gioco assume oggi un'importanza assolutamente fondamentale. Come nella vita di ogni giorno, è facile constatare che chi conosce agisce, mentre chi non conosce rimane immobile in un mondo che muta in modo troppo veloce per tollerare l'inerzia.

di Ilvio Pannullo

Iran. Confessione stragista Rigi: Stati Uniti mi offrirono base militare e soldi illimitati


L’amministrazione di Barack Obama aveva offerto ad Abdolmalek Rigi una base militare in Afghanistan e soldi illimitati per incoraggiarlo a proseguire le sue attività terroristiche ai danni della Repubblica Islamica dell’Iran e dei suoi cittadini.

La rete satellitare in lingua inglese PressTv, entrata in possesso della confessione fatta durante il suo primo interrogatorio dal feroce terrorista Abdolmalek Rigi rivela parti importanti delle sue dichiarazioni: “Dopo che Obama venne eletto, gli americani ci contattarono e mi incontrarono in Pakistan. Lui (l’agente americano/ndr) mi disse che gli americani chiedevano un colloquio”.
Rigi ha proseguito: “Io all’inizio non accettai ma lui promise a noi grande cooperazione. Disse che ci avrebbe dato armi, mitragliatrici ed equipaggiamenti militari; loro ci promisero pure una base militare in Afghanistan, a ridosso del confine con l’Iran”.

Il terrorista arrestato nei giorni scorsi ha proseguito: “Il nostro meeting avvenne a Dubai e anche lì ripeterono che avrebbero dato a noi la base in Afghanistan e che avrebbero garantito la mia sicurezza in tutti i paesi limitrofi dell’Iran in modo che io possa mettere in atto le mie operazioni”.

Riguardo all’ultima fase prima della sua cattura Rigi spiega: “Mi dissero che un’alto esponente americano mi voleva vedere e che lui mi aspettava alla base militare di Manas, vicino Bishkek, in Kirkizistan. Mi dissero che se questo alto esponente viaggiava negli Emirati poteva essere riconosciuto e perciò dovevo andare io da lui”.

Il terrorista arrestato proprio sul volo che da Dubai si dirigeva verso Bishkek ha inoltre rivelato:
“Nei nostri meeting gli americani dicevano che l’Iran aveva preso la sua strada e che al momento il loro problema era proprio l’Iran e non Al-Qaeda e nemmeno i talebani; solo e solamente l’Iran. Dicevano di non avere un piano militare adatto per attaccare l’Iran; questo, dicevano, è molto difficile per noi. Ma dicevano che la Cia, narra Rigi, conta su di me perchè crede che la mia organizzazione è in grado di destabilizzare il paese”.

Abdolmalek Rigi ha inoltre spiegato: “Un ufficiale della Cia mi disse che era molto difficile per loro attaccare l’Iran e che perciò il governo americano aveva deciso di dare supporto a tutti i gruppi anti-iraniani capaci di creare difficoltà al governo islamico. Per questo mi dissero che erano pronti a darci ogni sorta di addestramento, aiuti, soldi quanti ne volevamo e la base per poter mettere in atto le nostre azioni”.
by saigon2k

23 febbraio 2010

Il professor Azzeccagarbugli



Secondo la Corte dei Conti le denunce per corruzione sono aumentate, dal 2008 al 2009, del 220% e quelle per concussione del 150%. La denuncia della Corte non fa che ufficializzare ciò che è sotto gli occhi di tutti, con le inchieste di Milano, di Firenze, di Bari, di Palermo.
Sul Corriere il professor Ernesto Galli Della Loggia scrive che Mani Pulite è stata "inutile". E come potrebbe essere diversamente? Sono quindici anni che assistiamo ad una quotidiana, costante e devastante campagna di delegittimazione della Magistratura italiana, da parte dell’onorevole Berlusconi, delle sue Tv, dei suoi giornali, dei suoi parlamentari e anche, in misura molto minore, del centrosinistra. I magistrati sono stati accusati di "complotto", di "uso politico della giustizia", di "indebita supplenza", di "giustizialismo", di "giustizia a orologeria"; ogni volta che hanno cercato di colpire la corruzione politica, amministrativa e imprenditoriale; a quest’opera di demolizione sistematica ha attivamente partecipato il principale quotidiano della borghesia, Il Corriere della Sera, con i suoi editorialisti liberali, Angelo Panebianco, Galli della Loggia, Piero Ostellino (Panebianco è arrivato a scrivere che "la legalità, semplicemente non è, e non può essere, un valore in sé" - Corriere, 16/3/1998). Di recente l’onorevole Berlusconi, riferendosi all’inchiesta di Firenze, ha affermato che "i magistrati dovrebbero vergognarsi", insultando non solo i Pubblici Ministeri ma anche i Carabinieri che hanno steso i rapporti in base ai quali i primi hanno proceduto.
Io mi stupisco che ci siano magistrati e organi della polizia giudiziaria (i rappresentanti di quel "law and order" che è il cardine delle destre di ogni Paese) che abbiano ancora voglia di fare il loro mestiere. Tanto più che sanno che anche questa volta, come per Mani Pulite, sarà "inutile"; se ne avvertono già ora i segnali. Sul Corriere Galli della Loggia scrive: "non crederemo davvero che la corruzione italiana si riduce a quella dei politici? La verità è che è l’Italia la causa della corruzione". È il vecchio trucco del "tutti colpevoli, quindi nessuno è colpevole". Comunque, è vero, l’Italia è marcia fino al midollo. Ma la corruzione non sale dalla società verso i partiti, come sostiene il Galli della Loggia, ma è vero il contrario. In una democrazia corrotta i partiti comprano il consenso. E per comprarlo hanno bisogno di soldi, di tangenti, di uso a tappeto del clientelismo e dell’affiliazione paramafiosa. È così che la corruzione, discendendo giù per i rami, arriva alla società e la inquina.
Il Galli, per salvare ancora una volta i partiti, di destra e di sinistra, trova che le radici della corruzione italiana stanno "nella nostra storia profonda". Sarà, ma io ricordo anche un’altra Italia, e dovrebbe ricordarla anche il Galli della Loggia. Nell’Italia dei ’50 e dei ’60 l’onestà era un valore per tutti. Per la borghesia, se non altro perché dava credito. Per il mondo contadino dove la stretta di mano valeva più di un contratto e le sua violazione costava l’emarginazione della comunità. E per il proletariato.
Scrive ancora il Galli della Loggia che l'ultimo film di Pupi Avati è "un ritratto spietato di che cosa è diventato questo Paese". Sì, ma anche grazie al professor Ernesto Galli della Loggia e agli intellettuali azzeccagarbugli che invece di chiarire le idee alla gente gliele confondono
Massimo Fini

22 febbraio 2010

La strada dei Pigs


Intervista di Marco Della Luna al Prof. Claudio Pioli

Recentemente diversi articoli sono comparsi sulla stampa italiana e straniera, a indicare che l’Italia non è messa meglio della Grecia, in fatto di conti pubblici, e che esiste una concreta possibilità che i paesi con le finanze più dissestate dell’Eurozona si trovino presto costretti e misure radicali, come l’uscita dall’Euro (vi è chi la ritiene legalmente possibile, e chi no), oppure altre.

Abbiamo richiesto al Prof. On. Claudio Pioli, esperto di finanza e macroeconomia, di delineare gli scenari secondo lui più verosimili per l’Italia.

La sua risposta è stata efficace quanto inquietante:

In effetti è l’Italia il vero pericolo per la zona EURO, nel senso di dare credibilità ad un gruppo di stati non omogenei fra di loro per politica economica, sociale, fiscale e tributaria, uniti, in effetti, soltanto da un’unica moneta.

Che cosa potrebbe succedere (mi permetta pur sempre il condizionale, visto che non sono io a prendere delle decisioni, ma cerco soltanto di pensare a quello che potrebbe accadere di fronte ad un default del debito pubblico italiano, che sta diventando il pericolo pubblico italiano numero uno).

Occorre fare delle premesse e ricordare innanzitutto i patti di ">Maastricht, che impongono dei tetti al deficit ed all’indebitamento complessivo della Pubblica Amministrazione (60% del PIL, per quanto riguarda l’indebitamento complessivo. L’Italia era entrata nella zona EURO «in deroga», in quanto Ciampi, il solito, aveva previsto un aumento del PIL italiano, che avrebbe permesso di rientrare nei parametri entro una decina d’anni, ormai trascorsi…., e 2,5% o giù di li’ per il deficit annuo dei paesi aderenti).

La crisi ha fatto si’ che la Commissione Europea abbia concesso alcuni anni di respiro: gli stati aderenti ne hanno approfittato per finanziare i rispettivi sistemi bancari.

Ma la Commissione, in occasione dell’esplosione della crisi greca, ha sottolineato che non ci saranno aiuti «europei», anche perché nessuno stato da solo o insieme ad altri potrebbe permetterselo in questi momenti.

In tal caso, se entro il 2012 gli stati non daranno segni palesi di buona volontà e di gestione budgetaria, saranno richieste delle garanzie (versamento di penalità alla BCE).

Ma esistono anche altre «voci», che vorrebbero alcuni paesi messi «al di fuori» della zona EURO: se «costituzionalmente» pare impossibile (chi è entrato non può’ più uscire, in quanto non è prevista la procedura), è pur vero che la BCE potrebbe prendere delle decisioni contemporanee a quelle della UE, o, è meglio dire, di concerto con….

Come afferma il premio Nobel per l'economia 1999 Robert Mundell, l’Italia ha usufruito sino ai nostri giorni, e cioè da una decina d’anni a questa parte, di tassi d’interesse bassi, inferiori al tasso d’inflazione (parliamo in termini medi, prendendo in considerazione la serie storica 2000 – 2010).

I risparmiatori sono stati remunerati di meno del dovuto (il tasso di remunerazione dovrebbe essere sempre maggiore di quello inflazionistico: in caso contrario si invoglia il risparmiatore a cercare altre destinazioni delle sue scorte monetarie, quali i «beni rifugio» ed il risparmiatore farebbe ancora la sua parte, come ben affermava Luigi Einaudi, in quanto il risparmio è insito nel carattere umano, ma in misura minore. Keynes sosteneva praticamente le stesse cose, più con concetti macroeconomici e con modelli econometrici che di comportamento sociale e psicologico) ed il montante: * capitale + interesse * delle loro economie è stato notevolmente ridotto, favorendo, invece, il sistema bancario, che notoriamente gioca sul differenziale tra interessi attivi ed interessi passivi.

Non solo il risparmiatore ci ha perso, ma ne ha risentito anche il contribuente italiano, che non riesce ad evadere e che è chiamato a sorreggere soggetti finanziari ed economici astronomicamente più forti di lui: ne risentirà ancora in futuro, tenendo conto del fatto che il debito pubblico si riconverte, prima o poi, in una maggior pressione contributivo – fiscale.

La Corte dei Conti ha ricordato che l’indebitamento della Pubblica Amministrazione, gestito con forme e procedure di ingegneria finanziaria, lascerà uno strascico sul debito pubblico per oltre vent’anni.

Che i tassi d’interesse debbano aumentare nei prossimi anni non c’è dubbio: Mundell fa capire che il problema «Italia» è ben notevole, perché l’Italia potrebbe non essere in grado di veder rinnovati i titoli del debito pubblico (aumentando il tasso d’interesse, il «costo del servizio del debito pubblico» aumenterebbe paurosamente).

Ed il debito pubblico italiano, nei confronti di quello greco, è come un elefante rispetto al topolino. Le azioni che potrebbero essere decise dalla Commissione Europea e dalla BCE, riguardano pertanto la creazione di «base monetaria in senso ampio», definita tecnicamente M3 dalla BCE, come ricorderemo ancora nel nostro discorso.

Le soluzioni, che non possono essere benefiche e senza effetti negativi nei confronti di tutti i soggetti, pubblici o privati che siano, potrebbero essere diverse.

Ma sia chiaro che i fallimenti ed i concordati puniscono sempre i creditori.

Bisognerà vedere in quale misura reagiranno la domanda e l’offerta di euro, in concomitanza dei rinnovi e delle nuove emissioni di titoli :

1. Il consolidamento di parte del debito pubblico (BOT) o l’attribuzione di cedole a tasso d’interesse «politico», inferiore al tasso d’inflazione, probabilmente non spendibili subito.

§ Le decisioni sul debito pubblico esistente potrebbero, comunque, scaturire da un mix di soluzioni riguardanti il tasso d’interesse, il capitale o l’allungamento, che piaccia o no, della durata dei titoli.

§ Decisioni di questo genere vennero prese in Italia negli anni Settanta, quando si stabili’ di limitare gli effetti dell’inflazione pagando una parte dei salari in BOT pluriennali.

§ In effetti la base monetaria allargata (M3, nella definizione della BCE), comprende anche i titoli di stato a breve, e cioè con scadenza sino a due anni, come i BOT italiani.

§ Se si vuol agire nei confronti della massa effettiva e potenziale della moneta in circolazione occorre pertanto agire, sulla base dei patti di Maastricht, sulla dinamica e sullo stock del debito pubblico, facendo rispettare i parametri di Maastricht senza deroghe di alcun tipo.

§ Sarà l’Italia (ed altri del gruppetto dei P.I.G.S.), a prendere le decisioni politiche (taglio drastico della spesa pubblica, liberalizzazioni, aumento delle imposte) per eseguire «gli ordini superiori» della UE.

§ Le conseguenze sociali si tradurranno inevitabilmente in gravi tensioni di ordine pubblico.

2. La Commissione Europea potrebbe chiedere un controllo ferreo sulla circolazione monetaria italiana (M0, secondo la definizione della BCE), facente parte della base monetaria, ben sapendo che questa componente costituisce, più dei depositi bancari, una bomba «a miccia corta», fermo restando la costituzione di una garanzia in denaro da costituirsi presso la BCE.

§ E’ facile pensare ad una misura propria di una «politica monetaria restrittiva», anche tenendo conto del fatto che l’Italia vanta un’elevatissima economia parallela (la velocità di circolazione della moneta corrente, proveniente dall’economia sommersa, è notoriamente ben superiore a quella dell’economia legale di un paese).

3. La Commissione Europea, di concerto con la BCE, potrebbe decidere di sovrastampare la moneta «uscente dai paesi in défaut», come successe in Germania ai tempi della Repubblica di Weimar.

§ Questa decisione corrisponderebbe, di fatto, alla coesistenza di due monete: una più forte per i paesi del nord ed una debole per quelli del sud Europa.

§ Come vede parlo anche degli altri paesi in crisi, poichè ormai si è capito che, l’omogeneizzazione monetaria, non preceduta dall’omogeneizzazione delle politiche sociali, industriali, fiscali eccetera, ha semplicemente permesso di far provare alle popolazioni sud-europee un fenomeno già visto in Argentina, quando volle ancorare la propria moneta al dollaro (economie deboli con moneta forte).

La domanda che ci si pone: che cosa avverrà dei depositi, nei casi estremi di sovrastampa della moneta o di decisioni analoghe?

E’ ovvio che verrebbero svalutati proporzionalmente alla diminuzione di potere d’acquisto della «nuova moneta», salvo, forse, per quelli detenuti da non residenti, per i quali si potrebbero stabilire delle moratorie e delle sostituzioni.

La mossa dello scudo fiscale, che non ha dato i risultati sperati (85 miliardi contro i 110 sperati da Tremonti e compagni, ma, nel passato, si è parlato di 1000 miliardi di Euro portati all’estero), è stata fatta forse, tra l’altro, anche per non far entrare più tardi, dopo un eventuale default del debito pubblico, una valanga di denaro spendibile ed un numero maggiore di contenziosi con gli stati e le banche estere (tipo bond argentini, messicani eccetera di qualche anno fa).

21 febbraio 2010

Potere e comando, volonta' e richiesta


Ogni volta che parlo di politica casco sempre nelle stesse inutili discussioni. Sembra che per l'italiano medio sia impossibile distinguere il potere dal comando, e che sia impossibile distinguere la volonta' dalle richieste. Andiamo un attimo nel dettaglio.

Nessuno capisce quello che intendo dire quando dico che Obama sta fallendo perche' non e' un uomo potente. Tutti dicono che e' Presidente, quindi e' potente. No. La democrazia NON da nessun genere di potere agli eletti. Da' soltanto la posizione di comando. Che non e' automaticamente una posizione di potere. Facciamo un esempio stupido: le leggi del presidente devono venire approvate dal senato. Cosa succede se un senatore democratico vota contro? Obama non gli puo' fare nulla di nulla, e la legge viene respinta o modificata. Adesso supponiamo che al posto di Obama ci sia Hillary. E il senatore democratico dell' Oklahoma vuole votare contro. Hillary lo convochera', e gli fara' sapere che e' il suo clan politico e la sua rete di networking a decidere chi sara' il prossimo candidato democratico in Oklahoma. E se il signore desidera continuare a sedere sulla sua sedia, e' meglio che voti la legge di Hillary. Questa e' la differenza tra potere e comando: la democrazia ha dato a Obama il comando. Ma non il potere. Il potere esiste a prescindere dalle elezioni, e puo' diventare comando se il cittadino vuole. Ma attenzione: il cittadino NON puo' decidere chi avra' il comando, ma quale potente avra' il comando. Perche' se si illude che il comando produca il potere, mettera' al comando un individuo impotente come Obama. E il comando sara' inutile. Lo stesso vale per le lobby. Se la lobby delle assicurazioni si oppone ad Obama, lui puo' farci poco. Se la lobby delle assicurazioni si oppone a Hillary, Hillary puo' semplicemente dire: signori, grazie allo spoil system(1) il direttore/altro pezzo grosso dell' IRS e' uno del mio clan. Siete in regola col fisco? Magicamente, la Lobby le obbedira'. Morale della storia: il popolo non puo' davvero decidere chi mandare al governo. Se vuole un governo ce faccia delle cose, deve garantirsi sia il comando (col voto) che il potere (un candidato con un grosso clan di amicizie e alleanze alle spalle). Ovviamente, il popolo puo' cortocircuitare il processo e mandare un uomo senza potere al comando. Il risultato sara' che dopo due anni di "change" non si e' ancora visto nulla. Perche' Obama e' al comando ma NON ha il potere. Questa e' la ragione per cui approvo l'attuale sistema elettorale italiano: poiche' il partito decide chi candidare e chi no, ha potere sui parlamentari, tranne alcune finestre nelle quali si apre una trattativa coi gia' eletti, prima delle elezioni amministrative. In questo modo, i parlamentari devono marciare allineati e coperti, e chi ha il comando ha anche il potere. Inoltre, Berlusconi e' gia' potente senza elezioni, quindi ha ancora piu' leve. Anche se vincesse la sinistra, essendo praticamente un partito privo di potere, non combinerebbe una cippa, come e' sempre stato sinora. In Emilia governano perche' oltre al comando hanno un certo potere collaterale: altrimenti , non hanno speranza. Non votero' mai, alle politiche, un candidato che non abbia potere, perche' so come finira'. In definitiva, Governo = Comando * Potere. Se il potere e' nullo, non si governa: pur avendo ricevuto il comando dalle elezioni. Il vero requisito alla candidatura dovrebbe essere il potere gia' in mano al candidato. Altrimenti, questo rendera' inutile il comando. E si mandera' al comando un inutile temporeggiatore. Le elezioni possono dare un posto di comando, ma non il potere. Secondo punto: la democrazia fa sempre quello che il cittadino VUOLE. Quando dico questo, nasce un gigantesco malinteso tra cio' che il cittadino "vuole" e cio' che il cittadino "chiede". La richiesta e' l'argomento politico, che permette al partito di fare politica. La volonta' e' il risultato oggettivo che il cittadino desidera sperimentare nella vita quotidiana. Tutti i cittadini di Milano chiedono al comune meno traffico e meno inquinamento. Esistono in commercio automobili ibride che consumano, sul tratto urbano, circa un terzo delle altre.(2) Se tutti usassero auto ibride in citta', sarebbe come fermare il traffico due giorni alla settimana. I cittadini che chiedono meno inquinamento si sono tuffati a comprare auto ibride? Lo hanno fatto i verdi? No. Il cittadino CHIEDE meno inquinamento, ma VUOLE guidate un'automobile inquinante. I cittadini chiedono un traffico migliore. Quando il cittadino di Milano parcheggia in doppia fila, che cosa vuole? Vuole , ovviamente, che nessuno gli faccia una contravvenzione. Molto bene: torniamo alla mia affermazione. Il governo democratico fa quello che il cittadino VUOLE e non quello che il cittadino CHIEDE significa che accontentera' il cittadino quando compra auto inquinanti in citta' e quando parcheggia in doppia fila. Se possibile, si sforzera' anche di migliorare il traffico, ma la priorita' e' quanto il cittadino VUOLE. Se tutti CHIEDIAMO piu' meritocrazia ma contemporaneamente ci presentiamo agli esami con tesine copiate e appunti nascosti ovunque, quello che vogliamo e' MENO meritocrazia. E la democrazia fa sempre quello che VOGLIAMO. E' semplice: non sempre si chiede cio' che si vuole. Non e' possibile fare un partito che dica "voglio parcheggiare in doppia fila", il partito puo' solo "chiedere meno traffico". I governi democratici hanno imparato bene questa differenza, e sanno bene che se non danno al cittadino quel che chiede, bastano due o tre chiacchiere e il cittadino li rivota. Se invece non danno al cittadino cio' che VUOLE, egli viene colpito nella sua esistenza quotidiana, e si infuria. Il cittadino essenzialmente VUOLE delle cose che esistono gia', ma CHIEDE delle cose che non esistono ancora. Ovviamente, e' molto piu' sgradito al cittadino il governo che colpisca l'esistente, piuttosto che un governo che non realizzi l'inesistente. Se il comune di Milano non da' un traffico migliore, si rimane cosi'. Il cittadino valuta se accettare o meno le scuse per il mancato miglioramento. Se invece iniziamo a multare chi parcheggia in doppia fila, a tappeto, il cittadino perde qualcosa che ha gia': la possibilita' di fare i propri porci comodi.

  • Il cittadino VUOLE le cose che effettivamente fa o ha fatto o fara', con i relativi vantaggi.
  • Il cittadino CHIEDE cose che non ci sono ancora e delle quali piacerebbe godere.

E' ovvio che disattendere la prima richiesta colpisce direttamente il cittadino nel quotidiano, mentre disattendere la seconda si limita a mortificare i suoi desideri o i suoi ideali. E' ovvio che un governo basato sul consenso badera' alla prima delle richieste, e si dedichera' alla seconda solo se resta tempo, o restano risorse. Se le due richieste sono incompatibili, perche' e' impossibile avere un traffico migliore (richiesta) se tutti parcheggiano in doppia fila impuniti (volonta') allora vincera' la volonta' sulla richiesta. E' semplicissimo, e mi meraviglia di dover puntualizzare questi due semplicissimi concetti ogni volta che parlo di politica.

note

(1) In italiano: lottizzazione. Ma in USA e' figo perche' si chiama spoil system, provincialotti che non siete altro. (2) Ho chiesto conferma di questa affermazione ad alcuni tassisti, che la usano e ne sono entusiasti. Tra l'altro apprezzano molto la sua silenziosita', cosa che capisco perche' abitano l'auto per molto tempo.

di Uriel

19 febbraio 2010

Il perché dobbiamo cambiare il capitalismo.




In un estratto del suo nuovo libro, Freefall, l'ex economista capo della Banca mondiale spiega perché le banche dovrebbero essere smembrate e perché l'Occidente dovrebbe ridurre i consumi.

Nel corso della Grande recessione cominciata nel 2008 milioni di persone, negli USA e nel resto del mondo, hanno perso casa e lavoro, molti altri hanno temuto di dover subire la stessa sorte, e praticamente tutti quelli che avevano accantonato soldi per la pensione o per l'istruzione dei figli hanno visto i propri risparmi ridursi a una frazione del valore iniziale.

Una crisi scoppiata negli Usa è diventata ben presto globale, man mano che in tutto il mondo decine di milioni d'individui – venti nella sola Cina - perdevano il posto di lavoro e altrettanti si scoprivano poveri.



Non è così che si pensava sarebbero andate le cose. I moderni economisti, con la loro cieca fede nel libero mercato e nella globalizzazione, avevano promesso prosperità per tutti, e davano per scontato che la tanto decantata "Nuova economia", con le stupefacenti innovazioni (tra l'altro liberalizzazione e ingegneria finanziaria) che avevano marcato la seconda metà del XX secolo, avrebbe consentito una migliore gestione dei rischi e posto fine al susseguirsi dei cicli economici. Se la combinazione di Nuova economia e nuovi strumenti economici non poteva eliminare del tutto le fluttuazioni economiche poteva quanto meno tenerle sotto controllo. O almeno questo ci hanno raccontato.

La Grande recessione, il peggior incubo dopo la Grande depressione di 75 anni prima, ha spazzato via tutte le illusioni, e ci sta obbligando a ripensare i nostri tanto amati punti di vista.

Per 25 anni alcune dottrine sui liberi mercati hanno dominato incontrastate: i mercati liberi e senza controlli sono efficienti e se sbagliano si autocorreggono rapidamente, il miglior governo è un governo con pochi poteri, le normative non fanno altro che ostacolare l'innovazione, le banche centrali dovrebbero essere indipendenti e concentrarsi sul contenimento dell'inflazione.

Oggigiorno anche Alan Greenspan, il grande sacerdote dell'ideologia liberista a capo della FED nel periodo in cui tali opinioni prevalevano, ha dovuto ammettere che in questo modo di pensare c'erano delle falle, ma la sua confessione è arrivata troppo tardi per tutti coloro che ne hanno subito le conseguenze.

Col tempo qualsiasi crisi viene superata, ma tutte, in particolare se così drammatiche, lasciano il segno. Quella del 2008 offre nuovi punti di riflessione nella tradizionale disputa sul sistema economico capace di distribuire i massimi benefici.

Credo che i mercati siano alla base di qualsiasi economia di successo, ma che non funzionino automaticamente bene. In questo senso seguo la linea del noto economista britannico John Maynard Keynes, la cui influenza domina negli studi dei moderni economisti.

I governi hanno un ruolo da svolgere, che non si riduce a salvare l'economia quando i mercati crollano o a regolamentarli per evitare il tipo di problemi che abbiamo appena sperimentato. Le economie esigono un equilibrio tra il ruolo dei mercati e quello del governo, con apporti fondamentali delle istituzioni private e senza fine di lucro; ma negli ultimi 25 anni gli USA non hanno rispettato questo equilibrio e hanno anzi esportato la loro visione distorta in tutto il mondo.

La crisi attuale ha messo in luce i difetti fondamentali del capitalismo, o per meglio dire di quella particolare versione del capitalismo (a volte definito capitalismo in stile americano) che ha visto la luce nell'ultima parte del XX secolo negli USA. Non si tratta solo di singole persone, di errori specifici, di problemi di dettaglio da risolvere, o di norme da modificare.

È stato difficile scoprire le falle, perché noi americani volevamo assolutamente credere nel nostro sistema economico: i "nostri ragazzi" avevano ottenuto risultati così spettacolari rispetto ai tradizionali arcinemici del blocco sovietico.

I numeri rafforzano la delusione. Dopo tutto la nostra economia stava crescendo molto più velocemente di quasi tutte le altre, a eccezione della Cina; e alla luce delle difficoltà che credevamo di scorgere nel sistema bancario cinese, era solo questione di tempo prima che implodesse.

Anche adesso, molti negano l'ampiezza dei problemi cui deve far fronte la nostra economia di mercato; una volta usciti dalla situazione attuale, e tutte le recessioni finiscono prima o poi, scommettono su una nuova vigorosa crescita. Ma uno sguardo più attento all'economia statunitense lascia intravedere altri problemi ben più profondi: una società in cui persino la classe media ha visto i propri guadagni stagnare per decenni, caratterizzata da una crescente ineguaglianza, e in cui, anche se vi sono notevoli eccezioni, le probabilità per un americano povero di arrivare al vertice sono inferiori a quelle della "vecchia Europa".

Si dice che l'esperienza di premorte obbliga a rivalutare le priorità e la scala di valori, e l'economia globale l'ha appunto provata. La crisi ha portato in luce non solo i difetti del modello economico imperante, ma anche quelli della nostra società: troppa gente ha profittato dei suoi simili. Quasi ogni giorno sono venuti alla luce comportamenti scorretti di coloro che lavorano nel settore finanziario: schema di Ponzi (una sorta di catena di S.Antonio in campo economico. NdT), uso d'informazioni riservate, comportamenti predatori, programmi di concessione di carte di credito per scroccare il più possibile agli sfortunati utilizzatori.

Il mio libro, Freefall, si occupa però non di quelli che hanno violato la legge ma di tutti coloro che, pur nel suo rispetto formale, hanno creato, impacchettato, spacchettato, e venduto prodotti tossici, lasciandosi coinvolgere in una spericolata attività che ha rischiato di distruggere l'intero sistema economico e finanziario. Il sistema è stato salvato, ma a un prezzo che è ancora difficile valutare.

Dovremmo considerare quello attuale un momento di analisi e riflessione, per pensare al tipo di società in cui vogliamo vivere e per chiederci: stiamo creando un'economia in grado di aiutarci a soddisfare le nostre aspirazioni?

Siamo andati ben avanti su una strada alternativa, creando una società in cui il materialismo ha il sopravvento sull'impegno morale, in cui il rapido sviluppo che abbiamo ottenuto non è sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale, in cui non operiamo tutti assieme come società civile per far fronte ai bisogni comuni, in parte perché un feroce individualismo e un mercato fondamentalista hanno eroso il senso di appartenenza a un gruppo e hanno reso possibili un violento sfruttamento degl'individui privi di protezione.

Senza volerlo, gli economisti hanno offerto una giustificazione a questa mancanza di responsabilità morale. Una lettura superficiale dei suoi scritti ha instillato l'idea che Adam Smith avesse escluso ogni scrupolo morale da parte di chi operava sui mercati. Dopo tutto, se la ricerca dell'interesse personale conduce, come una mano invisibile, al benessere della società, tutto quello che bisogna fare è assicurarsi di star perseguendo al meglio l'interesse personale. Ed è proprio quello che sembrano aver fatto gli operatori del settore finanziario. Ma ovviamente, la ricerca dell'interesse personale, l'ingordigia, non ha condotto al benessere della società.

Il modello che combina individualismo esasperato e fondamentalismo di mercato ha modificato non solo il modo in cui i singoli vedono se stessi e le loro preferenze, ma anche il modo in cui si relazionano con gli altri. In un mondo d'individualismo esasperato non c'è bisogno di una comunità di soggetti o di una forma di società civile. Il governo rappresenta un ostacolo; è il problema, non la soluzione.

Ma se i difetti del mercato sono pervasivi è necessaria un'azione collettiva; gli accordi volontari non sono sufficienti (semplicemente perché non c'è alcun "obbligo"). Peggio ancora, l'individualismo esasperato e il materialismo rampante hanno finito col minare la fiducia. Anche in un'economia di mercato, la fiducia è il lubrificante che fa funzionare la società. Talvolta la società può funzionare anche in mancanza di fiducia, ma è un'alternativa molto meno interessante.


Nella crisi attuale i banchieri hanno perso la nostra fiducia e quella reciproca. Gli storici dell'economia hanno sottolineato il ruolo della fiducia nello sviluppo del commercio e delle attività bancarie. Se certe comunità si sono sviluppate a livello globale nei settori commerciale e finanziario è proprio perché i suoi membri avevano fiducia gli uni negli altri. La grande lezione di questa crisi è che, nonostante tutti i cambiamenti degli ultimi secoli, il nostro complesso settore finanziario continua a fondarsi sulla fiducia: quando viene meno, il sistema finanziario si blocca.

È facile evitare l'assunzione di rischi eccessivi; basta diffidare le banche dal farlo. Impedire alle istituzioni bancarie di usare meccanismi d'incentivazione che incoraggiano l'assunzione di rischi eccessivi e obbligarle ad una maggiore trasparenza richiederà molto tempo. Costringerà tra l'altro quelle che s'ingaggeranno in attività ad alto rischio ad aumentare di molto il capitale e a pagare più elevati premi assicurativi sui depositi. Ma sono necessarie anche altre riforme: sarà necessario limitare i leverage (quoziente d'indebitamento. NdT) e imporre restrizioni su alcuni prodotti particolarmente rischiosi.

Visto quello che è accaduto al settore economico, è ovvio che il governo federale dovrà approvare una versione aggiornata del Glass-Steagall Act. Non c'è scelta: bisogna severamente limitare la possibilità di assunzione dei rischi da parte delle istituzioni che sfruttano la posizione di banca commerciale – incluse le reti di protezione governative.

Ci sono troppi conflitti d'interesse e troppe difficoltà per consentire che le attività delle banche commerciali si mescolino con quelle delle banche d'investimento. I vantati benefici legati all'abolizione del Glass-Steagall Act si sono rivelati illusori, e i costi di gran lunga maggiori di quelli che anche i più feroci critici avevano temuto. I problemi sono particolarmente gravi nel caso delle banche "troppo grandi per poter fallire".

La necessità di rimettere in vigore il più rapidamente possibile il Glass-Steagall Act ci viene suggerita dal recente comportamento di alcune banche d'investimento, per le quali, ancora una volta, la trattazione di titoli si è dimostrata una proficua fonte d'investimenti.

La rapidità con cui, nell'autunno 2008, tutte le più importanti banche d'investimento si sono riconvertite in banche commerciali è preoccupante: avevano previsto il regalo del governo federale, ed erano evidentemente sicure che il loro modo di assumere rischi non avrebbe subito serie limitazioni. Adesso possono sfruttare le facilitazione offerte dalla FED e ottenere prestiti a costo zero. Sanno di essere protette da una nuova rete di sicurezza ma di potere al tempo stesso continuare indisturbate le loro operazioni ad alto rischio. È una situazione totalmente inaccettabile.

Esiste una ovvia soluzione al problema delle banche "troppo grandi per poter fallire": smembrarle. La sopravvivenza di queste istituzioni sarebbe giustificata solamente se permettessero significative economie di scala o copertura che altrimenti andrebbero perse. Non solo non ho trovato nessuna prova di un tale effetto, ma anzi tutto punta verso la conclusione che queste banche "troppo grandi per poter fallire" e troppo grandi per poter essere smembrate sono anche troppo grandi per poter essere gestite. Il loro vantaggio sul piano della concorrenza deriva dal loro potere monopolistico e dai sussidi governativi.

La crisi ha messo in luce, da Wall Street a Main Street, un profondo abisso tra la classe ricca statunitense e il resto della società: mentre i ricchi hanno ottenuto ottimi risultati negli ultimi 30 anni, le entrate della maggior parte dei cittadini sono rimaste stagnanti o si sono ridotte.

Le conseguenze sono state celate: quelli della classe inferiore, o anche della classe media, sono stati sollecitati a continuare a spendere come se i loro stipendi aumentassero senza sosta, a prendere soldi in prestito e a vivere al di sopra dei propri mezzi (e le bolle speculative hanno reso la cosa possibile). Le conseguenze del brusco ritorno alla realtà sono semplici: il livello di vita dovrà ridursi.

Qualcuno dovrà pagare il conto del salvataggio delle banche. Per la maggior parte degli americani, anche una ripartizione proporzionale sarebbe disastrosa. Con un reddito familiare mediano (reddito medio e reddito mediano non sono la stessa cosa. Il primo è la media dei vari valori della seriazione, il secondo è il suo valore centrale. NdT) che dal 2000 ha perso circa il 4%, non c'è scelta: se vogliamo preservare un barlume di giustizia, i costi devono essere a carico della classe alta, che ha tratto vantaggi sproporzionati negli ultimi 30 anni, e del settore finanziario, che ha scaricato tutti gli oneri sul resto della società.

Ma passare ai fatti non sarà facile. Il settore finanziario è riluttante ad ammettere i propri errori. Fa parte del comportamento morale e della responsabilità individuale accettare il biasimo quando è meritato: tutti gli esseri umani sono fallibili, anche i banchieri, che però, come possiamo constatare, si sono dati da fare per scaricarlo sugli altri, anche sulle vittime.

Gli USA non sono i soli a dover affrontare un duro riallineamento. Il sistema finanziario britannico è stato ancor più presuntuoso di quello statunitense. Prima del collasso, la Royal Bank of Scotland era la più grande banca europea; nel 2008 ha subito più perdite di qualsiasi altra banca al mondo. Proprio come negli USA, anche nel Regno Unito abbiamo assistito a una bolla speculativa immobiliare che è ora scoppiata. Adattarsi alla nuova realtà può significare una riduzione dei consumi del 10%.

Ne ho dedotto che le difficoltà cui devono far fronte il nostro paese e il resto del mondo impongono qualcosa di più di un piccolo riallineamento del sistema finanziario. Alcuni hanno detto che abbiamo avuto un piccolo problema nel nostro impianto idraulico: alcuni tubi si sono ostruiti. E abbiamo chiamato gli stessi idraulici che avevano installato l'impianto: avendo creato il pasticcio erano probabilmente gli unici a sapere come tirarcene fuori. Poco importa se ci hanno fatturato l'impianto e se ora ci fatturano la riparazione: dovremmo essere contenti perché il sistema funziona di nuovo, pagare il conto senza protestare, e sperare che questa volta abbiano fatto un lavoro migliore.

Ma si tratta di qualcosa di più grave di un semplice "problema idraulico": i difetti del sistema finanziario sono il segno di difetti ancora più gravi del sistema economico, e i difetti del sistema economico riflettono a loro volta quelli più profondi della nostra società. Abbiamo avviato il salvataggio senza avere le idee chiare sul tipo di sistema finanziario che volevamo, e il risultato è stato manipolato dalle stesse forze politiche che ci avevano messo nei guai. Eppure credevamo che il cambiamento fosse non solo possibile ma necessario.

Che alla fine della crisi vi saranno stati dei cambiamenti è sicuro; non possiamo tornare al mondo di prima. Ma le domande da porsi sono: quanto saranno profondi e importanti i cambiamenti? E andranno nella giusta direzione? In varie aree critiche, le cose sono andate ancora peggiorando nel corso della crisi. Abbiamo distorto non solo le nostre istituzioni, incoraggiando una maggiore concentrazione nel settore finanziario, ma le stesse regole del capitalismo. Abbiamo annunciato che le istituzioni privilegiate verranno sottoposte a una disciplina limitata, o nulla. Abbiamo creato un surrogato di capitalismo con regole poco chiare ma con prevedibili risultati: crisi future, assunzione indebita di rischi a spese della comunità (quali che siano le promesse di un nuovo regime normativo), e un'accresciuta inefficienza.

Abbiamo sostenuto l'importanza della trasparenza, ma abbiamo aumentato le possibilità delle banche di manipolare i libri contabili. Nelle crisi precedenti ci si preoccupava del rischio morale e degl'incentivi forniti dalle procedure di salvataggio; l'ampiezza di quella attuale ha mutato il significato di tali principi.

È diventato un luogo comune sottolineare che i caratteri cinesi della parola "crisi" riflettono "pericolo" e "opportunità". Ci siamo resi conto del pericolo. La domanda è: approfitteremo dell'opportunità per ridar vigore al principio di equilibrio tra mercato e stato, tra individualismo e comunità, tra uomo e natura, tra fine e mezzi?

In questo momento abbiamo l'opportunità di dar vita a un nuovo sistema finanziario che faccia ciò che gli essere umani pensano debba fare, di dar vita a un nuovo sistema economico che crei posti di lavoro utili e un lavoro dignitoso per tutti, e nel quale la differenza tra chi ha e chi non ha si riduca invece di allargarsi, e, soprattutto, di dar vita a una nuova società in cui ciascuno sia in grado di realizzare le proprie aspirazioni e potenzialità, in cui i cittadini condividano ideali e valori, in cui il nostro pianeta venga trattato col rispetto che esige. Ecco le vere opportunità. Il vero pericolo è che l'umanità non sia in grado di approfittarne.

Joseph Stiglitz

18 febbraio 2010

La politica: un poker con carte truccate

Chi scende in politica deve preventivare di sporcarsi le mani. I protagonisti di Razz (Daniela Piazza Editore, pagg. 228, euro 17) se le sporcano come non mai. Uomini e donne, di sinistra e di destra, non se ne salva nessuno. La Torino descritta da Augusto Grandi, giornalista del Sole 24 Ore, non è quella della Fiat, delle tradizioni occulte, dell’immigrazione selvaggia. È invece quella del sottobosco della politica-politicante che l’autore narra quasi in presa diretta, senza far sconti a nessuno. Un mondo che conosce molto bene e che ammanta del velo, in alcuni casi trasparente, in altri assai meno, dell’«opera di totale fantasia» sicché «ogni riferimento a persone e avvenimenti è del tutto casuale».

Sarà pure così, ma l’avventura di Dario Lo Gatto, avellinese trapiantato a Torino dove è diventato uno dei maggiori amministratori di condominio della città, e di tutte le figure politiche del centrodestra e del centrosinistra che lo circondano è emblematica di un modo corrente di vedere questo ambiente, sia piemontese che di ogni altra regione italiana. Emblematico quanto il titolo, perché Razz è il nome del poker californiano che si vince con il punteggio più basso. Siamo lì: la genìa rappresentata da Lo Gatto & soci esprime una politica in cui vince chi scende sempre più in basso moralmente, pur se in apparenza abita ai piani alti: dai capigruppo in Comune ai segretari politici locali, ai vicesegretari nazionali, dai sindaci ai prefetti, ai procuratori generali. È tutto un turbinoso incrociarsi di lotte intestine, spesso complicatissime, che servono a fare le scarpe non tanto ai nemici quanto agli amici, con l’unico scopo della carriera politica, costi quel che costi, anche vendendo e prostituendo (sapendo benissimo di farlo) corpi, menti e anime, maschili e femminili. Unico vero nemico è la cultura perché «con la filosofia non si mangia»…

Razz è la storia dell’ignorante ma saccente Dario, coinvolto in una partita di poker più grande di lui che vede dall’altro lato del tavolo massoneria, mafia russa, politica internazionale sotto forma di speculazione edilizia. La bolla si gonfierà, poi esploderà, ma alla fine, grazie a compromessi insospettabili fra politica, magistratura e stampa, si affloscerà. Passata la grande paura ogni cosa ricomincerà come prima. Gli unici a rimetterci saranno Dario, alle prese con un figlio insospettabilmente drogato, e la povera signora Gina, brava a vincere a poker, ma non a sfuggire a una morte che poteva servire a qualcuno e invece non servirà a nulla.

Chiari i bersagli di Grandi: la cosiddetta società civile, arrogante e incolta; la sfrenata corsa al potere a ogni livello; l’assoluta mancanza di onestà, dignità e idealità: l’amicizia è bandita, e l’accordo sotterraneo fra apparenti avversari politici per il bene di ognuno è quasi la prassi; soprattutto il disprezzo per la cultura che si manifesta attraverso un linguaggio sboccato e da trivio. Insomma, un affresco terribilmente impietoso, ma purtroppo veritiero quello di Augusto Grandi che evidentemente certi ambienti li conosce bene.

di Gianfranco de Turris

17 febbraio 2010

L'illusione dell'onnipotenza


Prima accecato dai suoi deliri di onnipotenza e poi tradito dalla sua stessa tracotanza, il governissimo Berlusconi-Bertolaso prepara un'indecorosa ritirata. L'insano progetto della Protezione civile Spa, con ogni probabilità, non si farà più. Lo lasciano intendere le flautate ma imbarazzate parole di Gianni Letta. Lo confermano quelle meno paludate di Paolo Bonaiuti. Il decreto legge 90/2008 che trasforma la struttura pubblica creata per fronteggiare le grandi emergenze in una società per azioni di natura privatistica sarà riscritto radicalmente alla Camera. In subordine, sarà approvato a Montecitorio, ma poi sarà abbandonato su un binario morto al Senato.

Nel turbine di uno scandalo nello scandalo (il disossamento di un pezzo dello Stato, nel cuore di una Tangentopoli di appalti truccati, costi gonfiati e favori sessuali prestati) arriva finalmente una buona notizia. Il Leviatano delle Spa pubbliche non nascerà. Il nuovo "mostro" che privatizza le istituzioni, con il finto pretesto delle emergenze e la pratica incontrollata delle ordinanze, muore prima ancora di essere nato. Merito della denuncia di questo giornale, che per primo ha acceso i riflettori sul tentativo del governo, neanche troppo strisciante, di sospendere ancora una volta le garanzie costituzionali e le procedure legali, per trasformare il Paese in un gigantesco "cantiere" autonomo che lavora in deroga permanente a tutte le regole e le normative vigenti. Merito della reazione determinata di una parte delle opposizioni, che ha dato battaglia in Parlamento. Merito dell'indignazione spontanea di tanti cittadini, a partire dagli oltre 30 mila che in un solo giorno hanno aderito all'appello di "Repubblica", per confermare che c'è almeno un pezzo d'Italia pronta, in nome del senso civico e del dissenso democratico, a resistere alle forzature populiste e autoritarie del potere berlusconiano.


Ora il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio ha un bel dire che nel centrodestra nessuno pensava di "trasformare la Protezione civile in una spa", e che si voleva dotare l'organismo finora guidato da Bertolaso di "uno strumento ulteriore, aggiuntivo". Il centrodestra, in realtà, aveva in mente esattamente questo: un modello di amministrazione della cosa pubblica, gestita da mani fidate per conto di Palazzo Chigi. Il piano prevedeva prima la nascita della Protezione civile Spa, con budget iniziale stimato in 1 miliardo 607 milioni. Poi, per partenogenesi, anche la Difesa Servizi Spa, con un portafoglio di opere calcolabile in 3-5 miliardi. E così via. In un regime di palese sospensione dei controlli ordinari. E in un quadro di palese violazione della sentenza numero 466 della Consulta, che nel '93 stabilì l'imprescindibilità costituzionale del controllo della magistratura contabile su tutti gli atti di una Spa nella quale il potere pubblico detenga la maggioranza.
Questo disegno (ancora una volta tecnicamente "eversivo", nel solco di quella "rivoluzione istituzionale" propria del berlusconismo) si infrange nella rete micidiale del malaffare che lo stesso sistema tende a riprodurre. Una colossale ragnatela di inchieste vere e di complotti inventati, di intercettazioni e di pedinamenti, di autentiche satrapie e di false fisioterapie. Sembra di leggere "L'incanto del lotto 49". Con una sola, decisiva differenza. Nell'irrealtà virtuale raccontata da Thomas Pynchon erano i cittadini ad aver creato, con il "Trystero", un sistema di comunicazione che ingannava il governo. Nella realtà fattuale costruita da Berlusconi è il governo ad aver creato un sistema di gestione che danneggia la democrazia. Ma almeno stavolta non ha funzionato. Qualcuno li ha sorpresi con le mani nella gelatina.
m.giannini@repubblica.it

16 febbraio 2010

L'arma del giudizio (finanziario)

Poiche' il primo presidente inutilmente negro degli USA non ha fatto una cippa di nulla se non parlare ed essere negro, e lo stesso dicasi di quel patetico cialtrone di Brown, le due borse piu' inutili e dannose del mondo, Wall Street e Londra hanno continuato bellamente a cercare di recuperare i danni speculando ancora di piu'.

Il meccanismo che e' in azione funziona cosi':

1. Inizia una grande manovra speculativa. Le finanziarie preferiscono investire li' che sulle aziende vere.
2. Le aziende entrano in crisi o finiscono col badare piu' alla riduzione delle spese che agli investimenti.
3. Siccome le aziende non rilanciano , le banche si rivolgono ancora di piu' alla speculazione.
4. Le aziende rimangono senza credito ancora di piu', si sfogano sul costo del lavoro , delocalizzano o altro.
5. Scoppia la bolla.
6. I consumi crollano.
7. Le aziende soffrono ancora di piu'.
8. Poiche' le aziende sono rischiose, ancora di piu' banche e finanza vanno sulla speculazione.
9. GOTO 1

E' abbastanza ovvio dove conduca questo loop: alla desertificazione industriale completa.

Quello che si fatica a capire, invece, e' l'effetto che il loop faccia sul debito pubblico.

Il problema vero e' la difficolta' nel riscuotere tasse sui prodotti finanziari. Se -in teoria- i guadagni ottenuti sono ancora reddito a tutti gli effetti, il problema che si pone e' il seguente:

* In molti paesi si tratta anche e spesso di prodotti pensionistici, per i quali esiste una tassazione inferiore.
* In quasi tutti i paesi del mondo i guadagni di rendita e i guadagni finanziari godono di una tassazione differente.
* Gli Hedge fund e in generale il venture capital godono, quasi ovunque, di una tassazione favorevole.
* La tassazione sul lavoro in questi settori e' piu' bassa.

Morale della storia: la cosa che nessuno ci ha detto sulla famosa "terziarizzazione" dell'economia (tanto cara a gente come De Benedetti) e' che tale terziarizzazione produce un effetto devastante sulle finanze pubbliche. A parita' di PIL, una nazione molto industriale ricavera' molte piu' tasse (in percentuale) e molta piu' contribuzione sociale rispetto ad una molto terziarizzata.
Morale della storia: da un paese terziarizzato possiamo aspettarci un welfare minore. Direte voi: ma non e' vero, perche' gli UK sono terziarizzati ed il welfare c'e'. Ni.

Innanzitutto, gli UK hanno avuto un PIL cosi' gonfiato che la riduzione percentuale del gettito fiscale sulle speculazioni e' stata compensata dall'enorme dimensione della speculazione stessa. In secondo luogo, la dimensione internazionale delle speculazioni e' tale che la quantita' di servizi richiesti allo stato e' inferiore.

Se io faccio una fabbrica o una zona industriale, dovro' badare agli ospedali per la manodopera, ai trasporti per manodopera e merci, alle scuole per le famiglie dei lavoratori che inevitabilmente verranno li'. A parita' di occupati e di PIL, un'attivita' finanziaria in senso speculativo non ha bisogno di nulla di tutto questo.

La morale della storia e' che lentamente questo gorgo finanziario ha definanziato gli stati e strangolato le imprese, sino al punto in cui oggi alcuni paesi sono in situazioni catastrofiche.

Ovviamente, quello greco NON e' il problema maggiore. In Europa, gli UK sono arrivati al 170% del PIL di debito, e appaiono attorno al 95% solo perche' rifiutano (come richiesto dalla BCE) di contabilizzare le spese di salvataggio delle banche nel debito pubblico e di seguire i criteri contabili comuni.

Su scala mondiale, il Giappone rasenta il 250% del PIL come debito pubblico, e gli USA , se consolidait, stanno rasentando il 200% del PIL. Morale della storia: i cosiddetti PIIGS sono un'invenzione della stampa anglosassone, che si sforza di deviare su alcuni paesi dei problemi che nel mondo anglosassone esistono in misura maggiore.

Invenzioni propagandistiche o meno, il concetto e' che enormi capitali sono concentrati nei debiti di questi paesi, secondo l'ideologia che vuole il debito pubblico a basso rischio. Il problema viene , pero' , dalla scarsa intelligenza delle borse e dei relativi operatori.

L'operatore di borsa non e' abbastanza intelligente da essere considerato umano: ha letto (quando sa leggere un articolo fino alla fine) che ci sono paesi chiamati PIIGS, e sa che deve fuggire al rischio. Non appena uno dei paesi della lista dei PIIGS fallisse, l'operatore di borsa si limiterebbe ad inseguire la propria coscienza sub-animale e ad abbandonare tutti gli investimenti nel debito pubblico.

E la cosa non si fermerebbe qui: se si inizia a mettere in dubbio la tenuta dei debiti pubblici, c'e' il rischio di un abbandono generale dei debiti nazionali come investimento a basso rischio. In questo caso, il default greco inizierebbe una serie di default che investirebbero tutti i paesi occidentali, UK e USA compresi.

Cosi', sebbene di per se' il debito pubblico greco non sia allarmante (quasi tutto interno, e come se non bastasse di piccola entita'), la BCE ha dovuto chiarire che si studieranno strumenti per evitare il default ed evitare le speculazioni.

Nelle scorse settimane, c'e' stata una vera e propria corsa all'acquisto di swap per il debito pubblico dei paesi cosiddetti "PIIGS". Quello che criminali come Soros e altri vogliono fare e' di ottenere il default di uno di tali paesi, in maniera tale da guadagnare prima dallo swap, e poi comprando i titoli a costo irrisorio andare a negoziare le condizioni coi governi falliti.

La BCE ha potere di difendere la Grecia? Probabilmente si'. Dopo la grecia, chi?

La mia opinione e' che prima tenteranno con la Spagna, poi col Portogallo, poi con l'Irlanda. L'italia e' un boccone grossino, per via di una semplice ragione: troppe pensioni USA dipendono dal debito italiano, e troppa parte del debito italiano e' all'estero, con altissimi volumi di scambio.

Quindi, il problema adesso e' semplice: se la BCE salva la Grecia, presto si trovera' nelle condizioni di salvare anche Spagna, Portogallo e Irlanda. E, se i criminali come Soros vogliono il gioco duro,anche Italia.

La mia personale opinione e' molto semplice: lasciamo pure che facciano. Lasciamo che si pestino pure i piedi facendo andare in default tutti i PIIGS. Dopodiche' dovranno spiegare per quale motivo , dopo perdite enormi, qualcuno dovrebbe comprare debito USA o UK.

Dopotutto, male che va noi ci rimettiamo i debiti..... sono loro che hanno la necessita' di tenere in piede l'allegra baracca dei finanzieri. Molto piu' di noi.

Anche perche', negli USA sta arrivando questo,e quindi devono trovare un bel pochino di soldini entro 3 anni:

by Uriel

14 febbraio 2010

Finanza islamica.



Intevista a Stefano M. Masullo



…“una volta risolti i problemi di carattere fiscale e normativo, il nostro paese potrà svolgere un ruolo centrale nel mediterraneo. L'Italia, infatti, oltre ad avere una bilancia commerciale di svariati miliardi di dollari con i paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo, svolge un ruolo chiave nel dialogo euro-arabo, rappresentando il paese del G7 più vicino al mondo arabo. L'interesse verso la finanza islamica si pone, dunque, come una questione di posizionamento strategico-politico, anche in relazione alla nascita dell'Unione per il Mediterraneo che punta a coinvolgere economicamente i quarantatre paesi del mediterraneo meridionale e orientale, attraverso la loro cooperazione in specifiche attività pubbliche e private”… (Stefano M . Masullo)

Nell’attuale panorama economico e finanziario internazionale che ruolo può giocare l’introduzione dell’islamic banking?

MASULLO - In una prospettiva di sviluppo di lungo periodo può giocare un ruolo chiave l’introduzione dell’islamic banking, il settore più redditizio di tutto lo scenario finanziario internazionale che, grazie al suo costante collegamento con l’economia reale, sembra offrire una valida alternativa in termini di stabilità all’eccessiva finanziarizzazione odierna o meglio, allo scollamento creatosi tra attività finanziaria e legale, causa ed effetto della crisi.

Quale è il messaggio alternativo della finanza islamica?

MASULLO - Il messaggio alternativo della finanza islamica deriva dalla forte dipendenza dai testi sacri e dalla loro notevole influenza sul diritto. L’islam, pur riconoscendo l’opportunità di una crescita del valore della moneta nel tempo, ne vieta la sua realizzazione nel prestito permettendola solo come parte integrante di una transazione reale. Rifuggendo l’interesse, il mondo islamico basa il sistema finanziario sul concetto della Shirkah, ossia la condivisione dei profitti e delle perdite di qualsiasi attività imprenditoriale. Tecnica, questa, accreditata in letteratura per avere effetti particolarmente positivi sugli aggregati dell’economia reale, sullo sviluppo e sulla distribuzione del reddito. Tali caratteristiche portano le istituzioni finanziarie Sharia-compliant ad allontanarsi dalla figura di “debt holder” propria del modello convenzionale, per avvicinarsi di più a quella di “equity investor”, spingendole così ad assumere caratteristiche più simili alle merchant bank. Le peculiarità del sistema islamico richiedono uno sforzo maggiore verso l’armonizzazione degli standard prudenziali e di vigilanza, al fine di limitare gli arbitraggi regolamentari e assicurare regole minime comuni su cui fondare l’ordinato funzionamento del sistema finanziario globale. Al riguardo, sembra auspicabile una estensione al sistema tradizionale di alcuni comportamenti tipici del sistema islamico.

Come opera l’islamic banking nello scenario internazionale?

MASULLO - Nello scenario internazionale, l’islamic banking si presenta con caratteristiche diverse nei vari paesi in cui è operativo, in base al grado di islamizzazione del sistema finanziario ritenuto opportuno dai rispettivi governi. Al riguardo, nella maggior parte delle esperienze nazionali, si è optato per un sistema di dual-banking, in cui i due differenti sistemi finanziari condividono lo stesso ambiente macroeconomico con interessanti reciproche interdipendenze. In una prospettiva di lungo periodo, gli oltre quindici milioni di musulmani presenti sul territorio europeo, la forte liquidità a disposizione dei paesi arabi e la risposta molto positiva dell’islamic banking alle recenti crisi rendono lo sviluppo della finanza islamica una necessità anche per il vecchio continente. La situazione europea vede il persistere del ruolo di Londra come mercato occidentale leader del settore, ma altre importanti iniziative si registrano in paesi come Francia e Italia.

Anche in Italia si iniziano a valutare le enormi opportunità che offre il settore islamico?

MASULLO - Il nostro paese sembra iniziare a prendere coscienza delle enormi opportunità che l’implementazione del settore islamico offre, soprattutto da un punto di vista strategico-politico, alla luce della recente nascita dell’Unione per il Mediterraneo, potenzialmente foriera di eccezionali possibilità cooperative per l’asse italo-arabo.

La finanza islamica ha una stretta dipendenza dai testi sacri?

MASULLO - La cornice di riferimento dell’etica commerciale islamica, è infatti, da un millennio la Sharia, termine arabo usato per indicare la legge divina contenuta nel Corano e nella Sunna. Il Corano contiene l’insieme delle rivelazioni che il Profeta Maometto afferma di aver ricevuto quattordici secoli fa da Allah ed è destinato ad ogni uomo sulla terra a prescindere dalla sua fede religiosa. La Sunna, invece, seconda fonte della legge islamica, è costituita dagli atti e dai detti del Profeta, trasmessi negli Hadith. Nell’analisi delle fonti religiose, un ruolo centrale è quello del Fiqh, la giurisprudenza islamica, che permette una lettura appropriata ed una corretta interpretazione della volontà divina. Sembra evidente a questo punto, come risulti difficile gestire l’islamic banking solo con le leggi del sistema bancario-finanziario capitalistico, troppo lontano dal preciso utilizzo del denaro dettato dalla legge coranica. Nei paesi in cui la Sharia è legge di stato, come in Iran, Sudan, Pakistan, si è giunti alla completa islamizzazione del sistema bancario, con la scomparsa delle banche convenzionali. Negli altri paesi a maggioranza musulmana, invece, i due tipi di istituti bancari convivono in un esempio di dual banking. In realtà, la legge cranica nell’enunciare i principi economici, si presta a varie interpretazioni critiche dei testi sacri, lasciando spazio ai differenti punti di vista delle diverse scuole di pensiero.

I cinque pilastri dell’Islam fondamenta della fede islamica, sono condivisi in tutta la popolazione musulmana?

MASULLO - Il primo pilastro dell’Islam è rappresentato dalla proibizione del prestito a interesse legato al fattore temporale, Riba, che, equiparato all’usura, è visto alla stregua di uno sfruttamento e un’ingiustizia. Queste stesse restrizioni hanno operato per secoli anche nel cristianesimo, per poi gradualmente piegarsi alla pressione dei riformisti e ai bisogni del commercio. La Riba rappresenta, comunque, solo il primo dei cinque principi base islamici, che influiscono direttamente sulla vita quotidiana della popolazione musulmana vietando alcuni comportamenti, con conseguenze notevoli anche sulle pratiche economiche. Le altre limitazioni riguardano il divieto di intraprendere iniziative Gharar, attività con alla base una irragionevole incertezza; Maisir, molto simile alla speculazione; Haram, attività in settori esplicitamente proibiti dal Corano, come la distribuzione e produzione di alcol, tabacco, armi, carne suina, pornografia e gioco d’azzardo. Il quinto ed ultimo pilastro della religione islamica è la Zakat, ossia, l'obbligo religioso di "purificazione" della propria ricchezza, che ogni musulmano deve adempiere per potersi definire un vero credente. Spesso vista come elemosina, la Zakat, non ha alcun elemento di volontarietà. Nasce, infatti, come un prelievo sui beni superflui di ciascuno e serve a rendere lecita e fruibile alla comunità la propria ricchezza materiale. Tutto ciò si concretizza in un pagamento di una quota-parte dei guadagni, che viene ridistribuita in favore delle categorie più svantaggiate della società islamica. Le banche islamiche, vista la proibizione della Riba, hanno dovuto implementare un metodo alternativo di allocazione delle risorse, che tradizionalmente si è concretizzato soprattutto nella tecnica della condivisione delle perdite e dei profitti. Nell’islamic banking il profitto può essere legittimato esclusivamente dalla componente di rischio, in quanto, secondo la Sharia, il guadagno non è ammissibile, a meno che non sia connesso all’assunzione di rischi. Si tratta, dunque, di un nuovo e diverso rapporto tra il creditore e debitore. La compartecipazione, comunque, è un concetto comune a più religioni e comunità, ma è in questa cultura che è divenuto fondamento della vita economica oltre che sociale, portando molti osservatori a riconoscere una potenziale maggiore equità della finanza islamica. In un sistema centrato sulla compartecipazione, chi presta denaro non richiede interesse, ma prende parte a quelli che saranno i risultati dell’attività, in percentuale sugli utili futuri. Allo stesso modo, l’erosione del capitale, in caso di perdite, sarà sopportata da entrambe le controparti.

Su cosa si basa questo modello di partecipazione?

MASULLO - Tale modello di partecipazione si basa essenzialmente su due elementi fondamentali: il rapporto di fiducia tra chi mette a disposizione i capitali e chi li utilizza, condividere le stesse sorti impone la creazione di una relazione proficua e duratura basata sul reciproco interesse; l’impossibilità della formazione di sacche di ricchezza a discapito solitamente dei più deboli e con minori capacità di contrattazione. In un’economia completamente islamica, dunque, essendo le relazioni economiche legate da rapporti di condivisione dei risultati economici, più un’impresa produce profitti, più la banca finanziatrice ottiene a titolo di remunerazione del finanziamento. Contestualmente, inoltre, i depositanti acquisiscono un ammontare di ricchezza, tanto maggiore quanto maggiori saranno gli utili dell’istituzione finanziaria. Si verrebbe così a creare un automatico processo di allocazione della ricchezza, che nell’economia occidentale risulta eventuale ed impantanato in tutta una serie di accordi, compromessi, conflitti di potere. Il confronto sulla distribuzione della ricchezza spinge ad affermare la maggiore equità sociale della finanza islamica, al di là di quelle che siano le convinzioni religiose, politiche e culturali. In questo senso, la maggiore attenzione che una banca islamica deve avere riguardo alla solidità del progetto e alle competenze gestionali dell’imprenditore, rende il merito creditizio relativamente meno importante.

Le banche islamiche posso finanziare progetti non finanziabili dalle banche convenzionali?

MASULLO - I progetti non finanziabili dalle banche convenzionali, possono essere egregiamente finanziati dalle banche islamiche attraverso la tecnica del profit loss sharing, che può servire da stimolo al progresso economico nei paesi in via di sviluppo. In questo senso, la maggiore attenzione che una banca islamica deve avere riguardo alla solidità del progetto e alle competenze gestionali dell’imprenditore, rende il merito creditizio relativamente meno importante.

Che rilevanza assumono la corporate governance e il governo societario?

MASULLO - In ottica prettamente gestionale, le tematiche come la corporate governance e il governo societario, assumono maggiore rilevanza nella realtà islamica, visto il carattere religioso alla base del finanziamento e l’addizionale strato di governo derivante dagli Sharia Supervisory Boards. La caratteristica comune a tutte le istituzioni finanziarie è la presenza di tale comitato indipendente, costituito da esperti di diritto e finanza islamica, che vigila ex-ante, sulla conformità della gestione alla Sharia. In materia di corporate governance, è inoltre indubbiamente riconosciuta, anche nel mondo finanziario islamico, l’indispensabilità del risk management. Il sistema bancario islamico, nonostante le differenze significative in materia, non sembra voler rinunciare a confrontarsi col principio “convenzionale” della regolamentazione del capitale, alla luce della posizione di assoluta preminenza che l’Accordo di Basilea ha conquistato a livello internazionale. Si può cercare di descrivere le fasi e le soluzioni adottate per rimodulare il conventional banking verso l’introduzione della finanza islamica. Naturalmente una scelta così importante quale può essere l’introduzione dell’islamic banking deve essere motivata da adeguate necessità in termini di domanda. Infatti, proprio la richiesta di tali prodotti, come visto precedentemente, è in costante sviluppo. Quest’ultimo è dovuto al crescente interesse degli investitori islamici guidati soprattutto da sigenze di diversificazione geografica del loro portafoglio. Chiaramente, lo sviluppo ed il recepimento di normative in materia di implementazione di un sistema finanziario islamico necessitano di addetti ai lavori altamente preparati in materia, per provvedere alla domanda dei consumatori che vogliono rispettare i dettami del corano.

Quali sono le aree di maggiore rilevanza per l’introduzione di una banca islamica?

MASULLO - Le aree di maggiore rilevanza nella fase di introduzione di una banca islamica sono quattro: la conformità alla sharia, la netta separazione dei fondi islamici da quelli convenzionali, la creazione e la diffusione di standard di contabilità e l’aumento del numero delle campagne di consapevolezza. In materia di conformità alla Sharia ci si affida agli Sharia Scholars, ovvero esperti di legge islamica, con la funzione di certificare che l’attività bancaria avvenga nel rispetto dei principi islamici. Tali esperti, dividendosi nelle varie istituzioni, promuovono una coerenza generale dei servizi offerti. La prima misura da intraprendere se si desidera offrire prodotti islamici è quindi la nomina di uno Sharia board, che consente di minimizzare il rischio Sharia. Un ruolo importante in materia di indirizzo è quello delle diverse istituzioni multilaterali internazionali create per favorire lo sviluppo dell’islamic banking. Tali istituzioni, pur non avendo poteri vincolanti, godono però di alta considerazione da parte dei policy-makers internazionali. Un secondo punto da affrontare con chiarezza durante le prime fasi dell’implementazione è la netta egregazione dei fondi islamici da quelli convenzionali. Si tratta, in questo caso, di un principio base stabilito per mantenere la purezza morale di tutte le transazioni islamiche. La terza variabile da considerare è il panorama contabile. Purtroppo, infatti, la rapida espansione dell’islamic banking non è stata accompagnata da uno stesso sviluppo di regole di contabilità internazionalmente riconosciute, non favorendo l’impressione della massima trasparenza del settore islamico. Riguardo la trasparenza, inoltre, l’informazione che i depositanti e gli investitori hanno sui rischi sarà determinante per lo sviluppo dell’islamic banking. Occorre, quindi, che il consumatore sia informato e in questo senso potrebbero risultare molto utili le campagne di consapevolezza.

Quando è possibile la conversione all’islamic banking?

MASULLO - La conversione all’islamic banking risulta possibile in diverse forme, in base alla volontà dell’intermediario stesso e al suo interesse nel settore. Generalmente le istituzioni finanziarie convenzionali preferiscono, durante la fase iniziale, sondare le potenzialità del mercato attraverso un progetto pilota che prende la forma delle islamic windows. Le finestre islamiche, infatti, permettono di soddisfare i bisogni base della clientela di una società islamica, offrendo principalmente depositi e strumenti trade-finance per piccole e medie imprese. Una volta implementato un’islamic window, e avendolo portato avanti per un periodo di tempo necessario a garantirsi una clientela base, l’istituzione finanziaria può decidere se stabilire una controllata islamica o convertirsi in una banca completamente islamizzata. Il vantaggio di optare per la controllata è la possibilità di continuare a servire i clienti convenzionali, mentre quello di scegliere per la conversione in una banca completamente islamica sono le significative ricadute positive in termini di credibilità. In conclusione, vi è un acceso dibattito in materia di coerenza con la Sharia, riguardo all’istituzione delle banche islamiche con capitali provenienti da banche convenzionali. In questo caso, infatti, non risulta assolutamente garantito che i fondi in questione siano originati da attività conformi all’Islam. Al riguardo, spesso la soluzione adottata è stata quella di permettere la formazione della nuova istituzione islamica in ogni caso, purché deliberi future donazioni caritatevoli come via di purificazione dei fondi.

Come era l’interazione tra economia-religione-etica nell’Europa?

MASULLO - Nel vecchio continente è stata sempre molto viva l’interazione tra economia, religione ed etica. La storia economica europea è, in effetti, un esempio di come l'intreccio dell’attività economica e finanziaria con i credo religiosi e le tradizioni sia sempre stato in costante evoluzione e finalizzato a fornire risposte adeguate all’evolversi della società. La presenza araba in Europa tra l’ottavo e l’undicesimo secolo, soprattutto in Spagna, Francia, Portogallo e Italia, è stata un esempio di società votata alla cultura, alla tolleranza e alla prosperità economica grazie soprattutto ai fiorenti commerci fra oriente ed occidente. Tali connessioni storiche, sommate alla recente spinta verso la globalizzazione in termini sia di flussi migratori musulmani verso l’Europa sia di internazionalizzazione dei mercati, rinvigoriscono l’interesse per la finanza islamica da parte del vecchio continente. Non sembra casuale, quindi, la domanda di finanziamenti e di prodotti bancari conformi alla Sharia venuta recentemente alla luce in numerosi paesi europei. La risposta istituzionale in materia sia da parte dei governi che delle autorità di controllo del sistema bancario, si è rivelata molto differente nelle varie nazioni. Regno Unito, Francia e Germania hanno risposto, seppur con intensità diversa, a tali necessità. In altre realtà, invece, il grande interesse in materia è stato frenato dall’atteggiamento di prudente attesa che, come nel caso italiano, ha limitato quasi totalmente lo sviluppo di questo alternativo sistema finanziario. Le potenzialità future di tale domanda sono riscontrabili nel fatto che l'Islam sia oggi la religione in più rapida ascesa a livello mondiale e che tale sviluppo sia accompagnato, soprattutto nei paesi europei, anche da un aumento della classe media musulmana.

I clienti musulmani europei preferiscono la gestione Halal dei propri affari finanziari?

MASULLO - E’ difficile, quindi, non ipotizzare per il prossimo futuro la crescita della finanza islamica in Europa, spinta inoltre dalla preferenza, sempre più decisa, del cliente musulmano europeo alla gestione Halal dei propri affari finanziari. Ad oggi, sono circa quindici i milioni di musulmani residenti nel vecchio continente, con un ammontare totale di risparmio gestito, stimato in quattordici bilioni di dollari nel 2020. In questo senso, gioca un ruolo importante anche il crescente interesse per i prodotti finanziari islamici mostrato anche da parte della popolazione non musulmana, vista la sicurezza che i prodotti Sharia compatibili offrono sia in termini etici che di collegamento con il sistema reale. Tutte queste variabili hanno spinto le autorità competenti in materia, negli ultimi anni, ad accogliere e cercare di soddisfare tutte le richieste della comunità musulmane europea, spesso ignorate in passato. Inoltre, la crescente richiesta di prodotti islamici da parte di investitori professionali per ragioni di diversificazione di portafoglio, ha spinto verso la visione dell’islamic banking come una lucrativa opportunità di business. La prova tangibile delle potenzialità del settore islamico e di una sua, seppur limitata, maturità raggiunta si è avuta in questo ultimo periodo di completa instabilità dei mercati internazionali. Sembra, infatti, che “il business della finanza islamica non sia stato toccato dalla tempesta subprime. Anzi, la crisi del credito potrebbe favorire l'espansione dei prodotti finanziari compatibili con le leggi islamiche anche al di fuori dei mercati asiatici e dei paesi del golfo, grazie al loro collegamento costante con l’economia reale. Una conferma a questa tesi arriva dall’andamento dei principali indici azionari del settore islamico. Nel 2007, infatti, il DJIM e il DJIM Europe si sono apprezzati rispettivamente, del sedici e del venti per cento, rendimenti di gran lunga superiori ai rispettivi indici americani. Nello stesso anno, infatti, il DJUS ha registrato un aumento nell’ordine del sei per cento. Dopo queste considerazioni, sembra lecito concludere che i prodotti finanziari islamici si stiano spostando nell’Europa continentale, con diversa intensità nei vari paesi, da prodotti di nicchia a prodotti di più ampio espiro. Inizia a diffondersi nell’opinione pubblica europea la considerazione, del sistema di relazioni economico finanziarie regolamentate dal diritto islamico come una solida e praticabile alternativa, o meglio un’aggiunta al sistema finanziario convenzionale.

Come si comporta la lobby bancaria tradizionale?

MASULLO - Al riguardo, la lobby bancaria tradizionale non ha alcun interesse a perdere quote di mercato e, quindi, la sua posizione monopolistica nei mercati finanziari europei a favore delle istituzioni finanziarie islamiche. Tuttavia, come visto, nello stesso tempo, non può permettersi di non considerare l’importante realtà del risparmio islamico. In questo senso, la soluzione di compromesso sembra essere stata raggiunta attraverso l’implementazione, nella quasi totalità dei casi europei, delle islamic windows da parte delle istituzioni convenzionali. In occidente, in particolare in Europa, il sistema bancario islamico ha catturato l’attenzione della comunità finanziaria e delle autorità regolamentari negli ultimi decenni del ventesimo secolo. La questione è stata affrontata diversamente nei vari paesi, ma tuttavia resta l’Inghilterra la nazione ad aver maturato l’esperienza più significativa in materia, rappresentando un modello da seguire nell’adozione dell’islamic banking per i paesi a maggioranza non musulmana. Il Regno Unito è stato capace di attrarre le maggiori banche islamiche oltre che per la numerosa popolazione musulmana residente, conseguenza delle forti relazioni storiche con vari paesi orientali, anche grazie alle notevoli capacità degli operatori del settore finanziario e all’importanza a livello internazionale del mercato inglese. A livello geografico poi, l’alternativa inglese risulta allettante se confrontata con quella americana, peraltro sfavorita dagli attuali rapporti politici con alcuni paesi islamici. La somma di tutte queste variabili ha portato ad un naturale indirizzo del mondo musulmano verso l’Inghilterra.

Quando nasce l’islamic banking in Inghilterra?

MASULLO - Formalmente, la nascita dell’islamic banking in Inghilterra risale al 1982, con l’istituzione dell’Al Baraka International Bank a Londra. Da quel momento e nel corso degli anni, gli inglesi hanno affrontato l’implementazione della finanza islamica evitando ogni discussione di carattere religioso o culturale. L’islamic banking è stato considerato semplicemente un’innovazione finanziaria, emersa nell’ambito dell’industria dei servizi finanziari. Si è, infatti, evitato una legislazione che fosse legata a uno specifico credo religioso, mantenendo l’importante principio dell’unica licenza bancaria, a differenza di altri paesi, che come visto hanno invece optato per un sistema di dual banking. Il processo d’implementazione di una istituzione finanziaria islamica nel Regno Unito risulta, quindi, uguale a quello di una qualsiasi banca convenzionale. Questo perché si è ritenuto opportuno non introdurre la categoria della banca islamica ma solo modificare opportunamente la normativa esistente al fine di consentirle di operare. Due problematiche hanno catalizzato particolarmente l’attenzione, la neutralità fiscale dei prodotti Sharia compliant e il principio della tutela dei depositi. I primi interventi per garantire una tassazione neutrale ai due diversi sistemi finanziari si sono avuti con il “Finance Act” del 2003 e le successive modifiche del 2005. E’ stata, infatti, prima introdotta l’abolizione della doppia imposta di registro nelle transazioni immobiliari assimilabili al contratto Murabaha e poi creata la nozione di «reddito finanziario alternativo, alla quale si è conferita la medesima deducibilità fiscale degli interessi passivi. Senza mai citare nomi di strutture contrattuali islamiche, il legislatore inglese ha definito delle nozioni generiche, specificando però precise condizioni entro le quali è possibile far rientrare i principali contratti islamici. In questo senso, fu riconosciuto al canone di un’Ijara immobiliare o di un Musharaka, la stessa deducibilità fiscale degli interessi passivi di un mutuo. In materia di tutela dei depositi, invece, un ruolo importante è stato quello della Islamic Bank of Britain, istituita nel 2004. Al riguardo la normativa inglese richiede l’obbligatorietà del rimborso affinché si abbia un deposito. Tuttavia, come ribadito nel testo, ciò contrasta con i principi base della finanza islamica, che condiziona il rimborso al risultato dell’attività imprenditoriale collegata. Il problema è stato agevolmente superato con l’inclusione, nella legislazione inglese, di alcune specifiche clausole nel contratto di deposito. Nella Islamic Bank of Britain, infatti, iltitolare di depositi d’investimento si espone al rischio di vedere intaccato il valore nominale del deposito. Tuttavia, nel caso in cui ciò avvenga, la banca ha la possibilità di mitigare la perdita del depositante, diminuendo o rinunciando all’incasso di commissioni o attingendo direttamente ad un fondo destinato alla stabilizzazione degli utili. E’ importante, però, sottolineare come la banca in questione sia comunque tenuta ad offrire al depositante un pagamento per l’ammontare della perdita subita. Nel caso in cui il depositante decidesse di accettare l’offerta ricevendo dalla banca il corrispettivo per la perdita subita, non sarà più considerato coerente con i principi islamici. Con queste specifiche clausole si è riusciti a preservare sia il principio di partecipazione ai profitti e alle perdite sia quello di tutela dei depositi. L’istituzione dell’Islamic Bank of Britain ha favorito, inoltre, la nascita di una realtà operativa retail, che visti gli attuali due milioni di musulmani residenti nel paese, presenta un ottimo mercato domestico potenziale che chiede di essere seriamente considerato. Oggi, alcune conventional banks operanti nel paese, offrono ai clienti britannici un’ampia scelta di prodotti e servizi. Particolare interesse riscuotono l’investment banking, il project finance, il private banking e alcuni finanziamenti retail, soprattutto nella forma della Musharaka decrescente. In questa figura contrattuale, il prenditore progressivamente acquisisce le attività del prestatore, pagando contestualmente un canone di affitto. Gli attuali venti bilioni di dollari in attività Sharia-compliant, fanno del mercato inglese l’ottavo centro finanziario islamico al modo ed il primo nei paesi occidentali.

Quali sono gli obiettivi attuali del governo britannico in materia di finanza islamica?

MASULLO - Gli obiettivi attuali del governo britannico in materia di finanza islamica sono chiari e consistono, nel mantenere la posizione leader di Londra come centro finanziario internazionale, continuando ad ampliare il range di prodotti finanziari a disposizione dei consumatori e nell’assicurare che a nessuno venga negato di intraprendere qualsiasi attività finanziaria, a causa di discriminazioni religiose. La scelta legislativa inglese, riguardo al principio della licenza bancaria unica, sembra aver indirettamente influito sulla scelta comune alla maggioranza delle istituzioni finanziarie convenzionali riguardo l’adozione delle “Islamic Windows”. Queste comode finestre sul mondo delle islamic banking, permettevano, infatti, una prima analisi della reale domanda del settore islamico. Tale formula operativa, si è rivelata un fattore chiave, nel recente sviluppo della finanza islamica nel Regno Unito. In conclusione, le ultime novità legislative del paese in materia di islamic banking riguardano l’introduzione della possibilità di emendare la legislazione in materia finanziaria attraverso la legislazione secondaria, in modo tale da assicurare maggiore flessibilità al sistema. Proprio tale flessibilità dovrebbe aiutare il settore islamico a raggiungere obiettivi importanti, in termini di standardizzazione di prodotti e servizi, spesso mancati in passato. Il recente sviluppo esponenziale del settore e i problemi derivanti dalle differenti interpretazioni degli Sharia Scholars, non sembrano, infatti, aver favorito la standardizzazione delle procedure inglesi, in materia di islamic banking. Il governo di Londra intende rimuovere gli ultimi ostacoli tecnici che impediscono l'emissione di 'bond islamici', prodotti finanziari che rispettano la sharia, la legge islamica. Lo ha comunicato il Ministero del Tesoro; secondo molti banchieri islamici - nel Paese ci sono cinque banche islamiche - il Parlamento votera' il mese prossimo per definire i 'sukuk' come bond, piuttosto che come veicoli di investimento, e cio' favorira' lo sviluppo di questo mercato. Nel rispetto della legge islamica, i sukuk non prevedono il pagamento di interessi, ma dal punto di vista regolatorio sono stati finora difficili da classificare. Il provvedimento che il governo presentera' in parlamento ridurra' i costi legali e rimuovera' gli ostacoli alla loro emissione.Sarah McCarthy-Fry, sottosegretario al Tesoro ha spiegato che ''il governo intende migliorare la competitivita' del Regno Unito nei servizi finanzari mantenendo la posizione di leader nella finanza islamica internazionale, e facendo si' che chiunque, a prescindere dalla fede religiosa, abbia accesso a prodotti finanziari con prezzi competitivi.

In Europa quanti musulmani vi risiedono?

MASULLO - L’attuale popolazione musulmana del vecchio continente si aggira sull’ordine dei venti milioni di persone, la metà dei quali residenti nelle due grandi comunità francese e tedesca. Il primo paese europeo in termini di musulmani residenti è la Francia, anche se alcuni problemi di stima scaturiscono dal divieto di censire la popolazione della Repubblica francese in base al carattere religioso. Canzano 18 – Cosa succede in Francia?

MASULLO - I sei milioni di musulmani attualmente presenti sul territorio transalpino si collegano ai flussi migratori provenienti soprattutto da Algeria, Marocco e Tunisia. La Francia mantiene, infatti, una forte influenza economica e politica in questi paesi, frutto delle sue forti connessioni storiche e culturali con il mondo arabo in generale. Senza entrare nel merito dell’integrazione sociale, alcune caratteristiche qualitative della popolazione musulmana oltralpe risultano importanti: la metà dei musulmani residenti sono cittadini francesi a tutti gli effetti e spesso si tratta di immigrazione oramai di seconda o terza generazione. Peculiarità queste, che aumentano in maniera esponenziale la necessità dei servizi finanziari richiesti, soprattutto nel settore immobiliare. Tutte queste riflessioni sembrano, dunque, giustificare l’enorme interesse in materia di finanza islamica da parte del governo transalpino, interesse rinvigorito dalla recente richiesta di licenze per operare nel paese, da parte di tre tra le più importanti istituzioni finanziarie islamiche: la Qatar Islamic Bank, la Kuwait Finance House e Al-Baraka Islamic Bank. Al riguardo, è sembrato molto positivo il parere dell’attuale ministro francese dell’economia e delle finanze Christine Lagarde, che punta a rilasciare le dovute autorizzazioni già entro il 2010 . In materia di finanza islamica, l’obiettivo dichiarato del governo francese è quello di implementare vigorosamente il sistema Sharia-compliant, con un’attenzione particolare al segmento wholesale che rappresenta il business principale del settore islamico a livello globale. In una prima fase si punterà, quindi, soprattutto ai settori dell’investment e corporate banking e, solo in un secondo momento, si svilupperà l’allettante segmento retail. Tale pianificazione mira a portare in Francia una quota significativa della liquidità orientale per competere, nel lungo periodo, con Londra, per la leadership del settore a livello europeo. L’obiettivo della leadership europea potrebbe sembrare poco realizzabile, visto l’attuale significativo svantaggio francese in materia di islamic banking ma, con una più attenta valutazione, considerando le posizioni di partenza e le potenzialità, se ne rivaluta la credibilità, almeno per quanto riguarda l’obiettivo di lungo periodo. In questa direzione, la Francia sta lavorando molto per recuperare il terreno perso cercando di suscitare interesse nella comunità finanziaria francese sviluppando una più approfondita conoscenza in materia. Al riguardo, un ruolo fondamentale è stato quello dei primi due forum nazionali sull’islamic banking. Nel primo, del 2007, si è infatti chiarito alla comunità finanziaria francese, quali potessero essere i risvolti positivi, in termini di attrattiva internazionale, dell’implementazione dell’islamic banking nel mercato parigino. Nel secondo, tenutosi l’anno passato si sono, invece, analizzate le variabili su cui lavorare, affinché l’implementazione del settore islamico possa avvenire senza problemi. Attualmente il dibattito francese è incentrato sulle questioni politiche e regolamentari, per rendere possibili i necessari aggiustamenti tecnici alla legislazione francese in modo da ridurre i classici impedimenti di carattere fiscale e legale allo sviluppo della finanza islamica. In questa importante prima fase d’attuazione del sistema islamico, il Ministro Lagarde, supportata da una commissione di esperti finanziari, sembra voler dar vita ad un nuovo percorso attuativo basato sulle necessità della popolazione francese. E’ stata, infatti, proprio la forte comunità musulmana, attraverso varie associazioni, a spingere la politica ad una maggiore considerazione del settore in termini di riforme utili ad introdurre strumenti di finanza islamica. Al riguardo, nel 2007, l’autorità responsabile del mercato finanziario francese ha autorizzato la creazione di schemi di investimento collettivo Sharia-compliant, autorizzati in base al rispetto di particolari criteri come l’investimento in settori Halal e l’applicazione di alcuni ratio finanziari. Al riguardo, risultano escluse le compagnie con debito totale in bilancio superiore ad un terzo della loro capitalizzazione media dell’ultimo anno. Sotto il punto di vista tecnico, la piazza di Parigi sembra assicurare le necessarie competenze per riuscire a creare sinergie eccezionali tra il sistema islamico e quello convenzionale. La velocità con cui l’islamic banking si svilupperà nel territorio francese, dipenderà molto, quindi, dall’operato del governo e da come questo settore innovativo verrà percepito dalla popolazione.

E lo sviluppo del settore islamico in Germania?

MASULLO - Lo sviluppo del settore islamico in Germania, ha avuto invece, sorti differenti rispetto alla realtà francese. I cinque milioni di musulmani residenti nel territorio tedesco, per la maggior parte di origine turca, non sono riusciti a mantenere alto l’interesse del governo in materia. A tal proposito, nel recente passato, la Germania si era distinta per interventi pioneristici nell’islamic banking, come la prima emissione europea di sukuk nel 2004, di ammontare pari a cento milioni di euro, avvenuta nello stato federale della Saxony-Anhalt. Questa iniziativa, però, nonostante la risposta positiva in termini di sottoscrizione, non ha trovato il giusto seguito, perchè non favorita dall’attuale linea politica tedesca, caratterizzata da un progressivo calo d’interesse per il settore islamico, in controtendenza rispetto agli altri paesi europei. La mancanza di interesse politico in materia di islamic banking sembra scaturire soprattutto da problemi di educazione al mercato ed indirizzo del mercato stesso. Nel campo dell’educazione del mercato, il ruolo delle autorità tedesche sembra, in questa fase, insufficiente a favorire lo sviluppo del settore islamico mentre sotto il punto di vista dell’indirizzo del mercato, molte istituzioni finanziarie tedesche sono operative nel settore, operando però, solo oltre i confini nazionali. Al riguardo, la Bundesbank non ha rilasciato alcun tipo di licenze in materia, obbligando tutte le operazioni Sharia-compliant effettuate sul territorio nazionale, ad essere strutturate in collaborazione con banche islamiche estere. Il generale disinteresse politico teutonico, comunque, non sembra aver limitato molto l’ammontare degli investimenti arabi sia nel mercato di capitali sia nel settore immobiliare tedeschi. Inoltre, il carattere meno discriminatorio del sistema giuridico tedesco rispetto alle esigenze dell’islamic banking, inteso soprattutto a livello di ingerenza fiscale, sembra aver favorito la crescita delle operazioni di finanza islamica, strutturate principalmente sotto forma di Sukuk, Mudaraba e Musharaka. In conclusione, la forte componente musulmana in Germania, il suo potenziale economico a livello mondiale e gli effetti della recente crisi finanziaria, non potranno che favorire lo sviluppo dell’islamic banking sia come risposta ai bisogni della comunità musulmana residente sia come alternativa, in termini di diversificazione, per la totalità della popolazione tedesca. Risulta chiaro, dunque, come la quota di mercato attuale della finanza islamica in Germania sia molto lontana dal suo. Gli investimenti arabi nel settore immobiliare tedesco ammontano a più di 400 milioni di euro di attività in possesso e altri 300 milioni sono attesi per l’anno in corso. potenziale, considerazione questa, che contribuisce ad alimentare l’interesse in materia.

La situazione italiana e il potenziale mercato dell’islamic banking?

MASULLO - La storia dell'Islam in Italia ha radici profonde che risalgono all’ Ottocento, periodo in cui la Sicilia e altre regioni meridionali subirono la dominazione araba per oltre due secoli. Oggi, l'Italia ospita quasi un milione e mezzo di musulmani che rappresentano, oltre il trenta per cento della popolazione straniera residente e quasi il tre per cento dell’intera popolazione nazionale. In termini di rilevanza economica, si noti, inoltre, come il sei per cento del Prodotto Interno Lordo italiano sia prodotto esclusivamente da immigrati e come le necessità finanziarie della popolazione islamica residente si siano evolute, parallelamente al più alto livello di integrazione raggiunto, verso più sofisticate tecniche economiche. Da bisogni finanziari base come le rimesse degli emigranti o i servizi di pagamento, si è passati a necessità di più lungo periodo, tipiche di una popolazione di seconda generazione che continua a crescere anche in termini di disponibilità economiche. Con il consolidamento della presenza sul territorio, la comunità islamica ha avviato operazioni di acquisto di proprietà immobiliari, sia private che commerciali, finanziate tramite strumenti bancari convenzionali o attraverso rare soluzioni mirate offerte da istituti di credito nazionali. A livello imprenditoriale, inoltre, nel territorio italiano si contano circa settantamila imprese avviate da cittadini musulmani che necessitano di una maggiore innovazione finanziaria. Lo sviluppo della finanza Shariah-compliant in Italia risponde, dunque, sia ad esigenze di investimento sia a quelle di risparmio da parte della collettività islamica presente a livello nazionale. Nonostante tali connessioni sia storiche che attuali, l’Italia resta uno dei pochissimi primari paesi europei a non aver ancora implementato il sistema finanziario islamico, diffuso ormai in tutte le principali piazze finanziarie globali. In Italia si nota però, un recente significativo interessamento in questo senso da parte sia del mercato che del sistema politico in generale. Le banche italiane stanno, infatti, lentamente prendendo coscienza delle opportunità che l’implementazione del settore islamico offre in termini competitivi, tra le quali una maggiore raccolta bancaria, le potenziali sinergie con l’intero mondo arabo, la maggiore capacità di internazionalizzazione delle imprese e il forte messaggio di integrazione sociale. Come prova di tale interesse in materia, nel 2007 l’associazione bancaria italiana e l’Union of Arab Banks, ossia l’insieme dell’industria bancaria araba, hanno firmato un memorandum di intenti, in base al quale è stata programmata una attiva collaborazione fra le parti. E’ stata prevista, infatti, un’opera di avvicinamento e cooperazione, fra i due sistemi bancari, per cercare di accrescere i già forti rapporti economici tra i paesi arabi e quelli del mediterraneo, Italia in primis. In Italia è stata conclusa, nel 2006, la prima operazione finanziaria islamica in Italia, una Murabaha applicato ad una operazione immobiliare a Pavia. Nonostante l’indubbio valore simbolico, tale operazione si è rivelata per la verità molto costosa, visto il permanere in Italia, della doppia imposta di registro sulla Murabaha, a causa del fittizio doppio trasferimento di proprietà dell’immobile. Problematica fiscale, questa, comune ad altri paesi europei. La seconda iniziativa italiana nel settore islamico, riguarda l’implementazione di una transazione Ijara Wa Iqtina e sta richiedendo diversi mesi di analisi giuridica e fiscale per riuscire a soddisfare sia le esigenze della Sharia che quelle del codice civile italiano. Nonostante questi singoli esempi, tuttavia, gli operatori bancari sono stati fortemente sfavoriti dalla mancanza di un quadro normativo di riferimento, indispensabile per lo sviluppo del settore. La diffusione di strumenti finanziari Sharia-compliant in Italia è sicuramente un'esigenza per la competitività del paese e di adeguamento al trend internazionale, ma la loro introduzione ed il loro utilizzo richiedono una adeguata gestione e supervisione per le molteplici difficoltà connesse sia alla loro interpretazione che alla loro implementazione.

Quali sono problematiche legate all’apertura di una banca islamica in Italia?

MASULLO - Da un punto di vista civilistico, il problema sostanziale è lo schema di raccolta e prestito della banca islamica che non richiede l’obbligo di rimborso, necessario, invece, nei sistemi bancari convenzionali. In ambito fiscale, inoltre, si presentano numerosi ostacoli operativi, come la doppia imposta di registro su una transazione immobiliare strutturata su una Murabaha e la non deducibilità fiscale degli oneri finanziari di una Ijara immobiliare. Al riguardo, l'impostazione concettualmente corretta sembra essere quella basata sul trattamento fiscale applicato all'aspetto economico delle transazioni e non a quello giuridico. Il modello inglese menzionato prima, avendo già affrontato e risolto tali problemi, può senza dubbio rappresentare un modello a cui ispirarsi. La scelta britannica di non definire una normativa a parte cercando, invece, di inquadrare con flessibilità il fenomeno dell’islamic banking nel quadro normativo esistente sembra, infatti, la più opportuna per i paesi europei. Ad una prima analisi delle condizioni esistenti ritengo che l’implementazione di una banca islamica in Italia, obiettivo di tutte le iniziative elencate, possa largamente favorire il paese, quale ulteriore canale di sviluppo economico-finanziario a disposizione della popolazione nello sviluppo dei suoi rapporti economici con il vicino mondo arabo. Sembra necessario, infatti, vista la globale crisi di liquidità, promuovere investimenti nelle due direzioni ed intercettare una parte di surplus di risparmio proveniente dal mondo islamico. In conclusione, il posizionamento strategico dell’Italia, la sua fitta rete di piccole istituzioni finanziarie distribuite sul territorio e il più forte movimento di finanza etica in Europa, rendono l'Italia un candidato naturale per lo sviluppo del settore islamico. Ritengo, a questo proposito, che una volta risolti i problemi di carattere fiscale e normativo, l ' Italia potrà svolgere un ruolo centrale nel mediterraneo ; il paese infatti, oltre ad avere una bilancia commerciale di svariati miliardi di dollari con i paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo, svolge un ruolo chiave nel dialogo euro-arabo, rappresentando il paese del G7 più vicino al mondo arabo. L'interesse verso la finanza islamica si pone, dunque, come una questione di posizionamento strategico-politico, anche in relazione alla nascita dell'Unione per il Mediterraneo che punta a coinvolgere economicamente i quarantatre paesi del mediterraneo meridionale e orientale, attraverso la loro cooperazione in specifiche attività pubbliche e private.

Resta sempre aperto il dibattito sulla compatibilità delle attività islamiche con l'attuale sistema di regolamentazione bancario italiano?

MASULLO - Sebbene il dibattito sulla compatibilità delle attività islamiche con l'attuale sistema di regolamentazione bancario italiano resti ancora aperto, la seconda direttiva UE sul settore bancario, grazie al principio del “mutuo riconoscimento” sembra facilitare, almeno in linea di principio, l'apertura di una banca islamica sul territorio italiano. L’utilizzo del passaporto bancario che permette ad un ente bancario autorizzato in un paese europeo di offrire prodotti in tutta l'Unione Europea senza la necessità di disporre di autorizzazione separata sembra, infatti, una valida alternativa in termini operativi. La situazione attuale, vede però, il persistere delle difficoltà del sistema bancario italiano, soprattutto nel confronto con un modello di intermediazione del credito basato su principi di natura religiosa. I prodotti finanziari e i concetti della finanza islamica restano poco conosciuti anche all’interno della comunità finanziaria e imprenditoriale italiana. Si nota, comunque, al riguardo un forte aumento dell’interesse in materia, focalizzato soprattutto sulla risoluzione di importanti questioni interpretative a livello civilistico, come la tutela dei depositi, e sulla qualificazione giuridica-fiscale delle attività islamiche. In conclusione, le varie operazioni arabe in programma in Italia serviranno da volano al settore islamico. Al riguardo, il progetto più importante riguarda Palermo, dove con oltre due miliardi di euro, la Limirless, società degli Emirati Arabi Uniti, punta a risanare il centro storico, gestire il porto e creare nuove aree turistiche. Il tutto rispettando, naturalmente, i principi della Sharia.

28 febbraio 2010

Fidarsi delle banche?

I prodotti della casa sono sempre i più buoni? Forse in ambito agro-alimentare, ma di certo non se si tratta di prodotti finanziari distribuiti dalle banche. Soprattutto se, abbinati alla vendita di questi investimenti, ci sono lauti bonus per i dirigenti che li consigliano ai risparmiatori, spesso ignari dei meccanismi che ci sono dietro ai "consigli per gli acquisti". Non è bello, insomma, che una banca spinga a comprare i prodotti finanziari che ha più urgenza di piazzare invece di quelli più adatti alle esigenze del cliente.
Sul tema, odioso dopo i tanti scandali finanziari che hanno distrutto l'immagine del settore in Italia, è tornata la Consob, che ha richiamato due settimane fa due istituti (il nome resta ancora oggi misterioso) a una maggiore disciplina nell'ambito della distribuzione di prodotti finanziari, e di una maggiore aderenza alle norme della direttiva europea Mifid, che prevede una forte tutela degli interessi esterni all'intermediario.
Il problema, però, sta tanto nella condotta fraudolenta delle banche quanto nell’ignoranza dei clienti, solitamente del tutto incapaci di muoversi autonomamente nel globale supermercato dei prodotti finanziari. Davanti al feroce corporativismo del sistema bancario e preso atto della sua influenza sulla casta politica, s’impone al nutrito popolo dei risparmiatori una maggiore consapevolezza dei meccanismi che regolano l’universo della finanza. Sempre più spesso, infatti, si sente parlare d’ignoranza finanziaria del popolo italiano. Non che questo nella sua media sia particolarmente colto, ma certamente in tema di mercati e finanza è tra i più ignoranti d'Europa. Politici, banchieri centrali e uomini d'affari lamentano periodicamente l'ignoranza del pubblico in tema di denaro, e hanno ragione.
Ciò, ovviamente, nulla toglie alla responsabilità di quegli istituti che, forti di una posizione di evidente superiorità rispetto al risparmiatore, sfruttano la propria posizione per liberarsi fraudolentemente dei rischi assunti scaricandoli sulla clientela. Sarebbe tuttavia logico aspettarsi un vero e proprio esodo dei risparmiatori da quelle realtà finanziarie che, di volta in volta, vengono coinvolte in simili scandali. Purtroppo, però, non è mai accaduto nulla di simile. Ma quali sono le due banche colpevoli di aver agito con troppa leggerezza nei confronti della clientela? La commissione guidata da Lamberto Cardia - Presidente della CONSOB, la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa - non ne fa menzione per non scatenare la rivolta dei risparmiatori. La mancanza dei nomi ha tuttavia scatenato il tran tran di voci.
Nessun istituto si può escludere a priori, ma sembra che il richiamo, che si concretizzerà nella convocazione del consiglio di amministrazione dei due istituti, per l'esame di tematiche inerenti alla prestazione di servizi di investimento, non sia stato rivolto alle due big d'Italia, Unicredit e Intesa San Paolo. Voci accreditate dalle testate giornalistiche del settore sembrano escludere anche gruppi come Banca popolare di Milano, peraltro già toccata da rilievi Consob circa l'emissione di obbligazioni. Qualcuno comincia a fare i nomi di Banca Carige, Monte dei Paschi di Siena, Ubi banca, Banco Desio e Banca Etruria, ma le banche sospettate sono tante tra gruppi medi e medio grandi.
A breve si attendono le smentite degli istituti tirati al centro delle voci in un gioco a esclusione, fino ad arrivare alle due che da smentire avranno ben poco. Tra gli operatori le orecchie sono ben tese per carpire gli argomenti dei prossimi consigli di amministrazione in programma, per verificare se nell'ordine del giorno ci sono questioni inerenti la Mifid. Quel che è certo, tuttavia, è che la crisi finanziaria fatto riemergere in qualcuno vecchi vizi difficili da sradicare.
Rimane, però, il problema della facilità con cui gli squali della finanza riescano a mietere vittime tra i piccoli risparmiatori. Il problema è serio e si va imponendo all’attenzione generale a causa della sempre crescente volontà politica di rimettere all’autonomia privata scelte un tempo rimesse all’esclusiva competenza dello Stato. Una società moderna si aspetta che la maggior parte degli individui si assumano la responsabilità della gestione della spesa del proprio reddito (al netto delle tasse); che la maggior parte dei cittadini adulti sia proprietaria della propria casa di abitazione e che gli individui decidano quanto risparmiare per la pensione e se coprirsi da eventuali rischi attraverso la sottoscrizione di un'assicurazione. Ma una società che non fornisce ai propri cittadini gli strumenti necessari a prendere sagge decisioni finanziarie. Di più, sono in molti a sostenere che l'attuale crisi sia in parte dovuta alla diffusa ignoranza della storia finanziaria, non solo fra la gente comune. Conoscere, infatti, significa soprattutto essere messi nelle condizioni ottimali per poter operare una scelta coerente con le proprie esigenze.
Tra i tanti problemi del sistema finanziario il difetto principale è che esso riflette e accentua le debolezze umane. Come dimostra un numero crescente di ricerche sulla finanza comportamentale, il denaro accresce la nostra tendenza a reazioni eccessive, a passare dall'euforia quando le cose vanno bene alla depressione quando le cose vanno male. Il gonfiarsi e lo sgonfiarsi delle bolle finanziarie, in ultima istanza, è il frutto della nostra instabilità emotiva, della nostra incapacità di rimanere razionali quando tutto intorno a noi incomincia ad impazzire. Ma la finanza accentua anche le differenze fra gli uomini, arricchendo chi è intelligente e fortunato e impoverendo chi non è altrettanto intelligente e fortunato.
La stessa globalizzazione finanziaria potrebbe portare enormi benefici, se solo i soggetti ad ogni titolo in essa coinvolti fossero nelle condizioni per agire con piena coscienza e volontà; in linea teorica potrebbe portare, dopo più di trecento anni, al drastico ridimensionamento della divisione tra paesi ricchi e sviluppati e paesi poveri meno sviluppati. Sul piano strettamente dottrinario, infatti, quanto più i mercati finanziari s’integrano, tanto maggiori sono le opportunità per le persone che capiscono la finanza di migliorare le proprie condizioni, ovunque vivano, e parallelamente tanto maggiore è il rischio di una perdita di status sociale da parte di chi nulla sa di finanza. Ma i risultati dicono praticamente il contrario.
In termini di distribuzione generale del reddito, il mondo moderno non è un mondo piatto, semplicemente perché la remunerazione del capitale è aumentata esponenzialmente rispetto alla remunerazione del lavoro non qualificato. In altre parole, il premio riservato a chi conosce non è mai stato così elevato e la pena per l'ignoranza finanziaria non è mai stata così severa. Conoscere dunque le regole del gioco assume oggi un'importanza assolutamente fondamentale. Come nella vita di ogni giorno, è facile constatare che chi conosce agisce, mentre chi non conosce rimane immobile in un mondo che muta in modo troppo veloce per tollerare l'inerzia.

di Ilvio Pannullo

Iran. Confessione stragista Rigi: Stati Uniti mi offrirono base militare e soldi illimitati


L’amministrazione di Barack Obama aveva offerto ad Abdolmalek Rigi una base militare in Afghanistan e soldi illimitati per incoraggiarlo a proseguire le sue attività terroristiche ai danni della Repubblica Islamica dell’Iran e dei suoi cittadini.

La rete satellitare in lingua inglese PressTv, entrata in possesso della confessione fatta durante il suo primo interrogatorio dal feroce terrorista Abdolmalek Rigi rivela parti importanti delle sue dichiarazioni: “Dopo che Obama venne eletto, gli americani ci contattarono e mi incontrarono in Pakistan. Lui (l’agente americano/ndr) mi disse che gli americani chiedevano un colloquio”.
Rigi ha proseguito: “Io all’inizio non accettai ma lui promise a noi grande cooperazione. Disse che ci avrebbe dato armi, mitragliatrici ed equipaggiamenti militari; loro ci promisero pure una base militare in Afghanistan, a ridosso del confine con l’Iran”.

Il terrorista arrestato nei giorni scorsi ha proseguito: “Il nostro meeting avvenne a Dubai e anche lì ripeterono che avrebbero dato a noi la base in Afghanistan e che avrebbero garantito la mia sicurezza in tutti i paesi limitrofi dell’Iran in modo che io possa mettere in atto le mie operazioni”.

Riguardo all’ultima fase prima della sua cattura Rigi spiega: “Mi dissero che un’alto esponente americano mi voleva vedere e che lui mi aspettava alla base militare di Manas, vicino Bishkek, in Kirkizistan. Mi dissero che se questo alto esponente viaggiava negli Emirati poteva essere riconosciuto e perciò dovevo andare io da lui”.

Il terrorista arrestato proprio sul volo che da Dubai si dirigeva verso Bishkek ha inoltre rivelato:
“Nei nostri meeting gli americani dicevano che l’Iran aveva preso la sua strada e che al momento il loro problema era proprio l’Iran e non Al-Qaeda e nemmeno i talebani; solo e solamente l’Iran. Dicevano di non avere un piano militare adatto per attaccare l’Iran; questo, dicevano, è molto difficile per noi. Ma dicevano che la Cia, narra Rigi, conta su di me perchè crede che la mia organizzazione è in grado di destabilizzare il paese”.

Abdolmalek Rigi ha inoltre spiegato: “Un ufficiale della Cia mi disse che era molto difficile per loro attaccare l’Iran e che perciò il governo americano aveva deciso di dare supporto a tutti i gruppi anti-iraniani capaci di creare difficoltà al governo islamico. Per questo mi dissero che erano pronti a darci ogni sorta di addestramento, aiuti, soldi quanti ne volevamo e la base per poter mettere in atto le nostre azioni”.
by saigon2k

23 febbraio 2010

Il professor Azzeccagarbugli



Secondo la Corte dei Conti le denunce per corruzione sono aumentate, dal 2008 al 2009, del 220% e quelle per concussione del 150%. La denuncia della Corte non fa che ufficializzare ciò che è sotto gli occhi di tutti, con le inchieste di Milano, di Firenze, di Bari, di Palermo.
Sul Corriere il professor Ernesto Galli Della Loggia scrive che Mani Pulite è stata "inutile". E come potrebbe essere diversamente? Sono quindici anni che assistiamo ad una quotidiana, costante e devastante campagna di delegittimazione della Magistratura italiana, da parte dell’onorevole Berlusconi, delle sue Tv, dei suoi giornali, dei suoi parlamentari e anche, in misura molto minore, del centrosinistra. I magistrati sono stati accusati di "complotto", di "uso politico della giustizia", di "indebita supplenza", di "giustizialismo", di "giustizia a orologeria"; ogni volta che hanno cercato di colpire la corruzione politica, amministrativa e imprenditoriale; a quest’opera di demolizione sistematica ha attivamente partecipato il principale quotidiano della borghesia, Il Corriere della Sera, con i suoi editorialisti liberali, Angelo Panebianco, Galli della Loggia, Piero Ostellino (Panebianco è arrivato a scrivere che "la legalità, semplicemente non è, e non può essere, un valore in sé" - Corriere, 16/3/1998). Di recente l’onorevole Berlusconi, riferendosi all’inchiesta di Firenze, ha affermato che "i magistrati dovrebbero vergognarsi", insultando non solo i Pubblici Ministeri ma anche i Carabinieri che hanno steso i rapporti in base ai quali i primi hanno proceduto.
Io mi stupisco che ci siano magistrati e organi della polizia giudiziaria (i rappresentanti di quel "law and order" che è il cardine delle destre di ogni Paese) che abbiano ancora voglia di fare il loro mestiere. Tanto più che sanno che anche questa volta, come per Mani Pulite, sarà "inutile"; se ne avvertono già ora i segnali. Sul Corriere Galli della Loggia scrive: "non crederemo davvero che la corruzione italiana si riduce a quella dei politici? La verità è che è l’Italia la causa della corruzione". È il vecchio trucco del "tutti colpevoli, quindi nessuno è colpevole". Comunque, è vero, l’Italia è marcia fino al midollo. Ma la corruzione non sale dalla società verso i partiti, come sostiene il Galli della Loggia, ma è vero il contrario. In una democrazia corrotta i partiti comprano il consenso. E per comprarlo hanno bisogno di soldi, di tangenti, di uso a tappeto del clientelismo e dell’affiliazione paramafiosa. È così che la corruzione, discendendo giù per i rami, arriva alla società e la inquina.
Il Galli, per salvare ancora una volta i partiti, di destra e di sinistra, trova che le radici della corruzione italiana stanno "nella nostra storia profonda". Sarà, ma io ricordo anche un’altra Italia, e dovrebbe ricordarla anche il Galli della Loggia. Nell’Italia dei ’50 e dei ’60 l’onestà era un valore per tutti. Per la borghesia, se non altro perché dava credito. Per il mondo contadino dove la stretta di mano valeva più di un contratto e le sua violazione costava l’emarginazione della comunità. E per il proletariato.
Scrive ancora il Galli della Loggia che l'ultimo film di Pupi Avati è "un ritratto spietato di che cosa è diventato questo Paese". Sì, ma anche grazie al professor Ernesto Galli della Loggia e agli intellettuali azzeccagarbugli che invece di chiarire le idee alla gente gliele confondono
Massimo Fini

22 febbraio 2010

La strada dei Pigs


Intervista di Marco Della Luna al Prof. Claudio Pioli

Recentemente diversi articoli sono comparsi sulla stampa italiana e straniera, a indicare che l’Italia non è messa meglio della Grecia, in fatto di conti pubblici, e che esiste una concreta possibilità che i paesi con le finanze più dissestate dell’Eurozona si trovino presto costretti e misure radicali, come l’uscita dall’Euro (vi è chi la ritiene legalmente possibile, e chi no), oppure altre.

Abbiamo richiesto al Prof. On. Claudio Pioli, esperto di finanza e macroeconomia, di delineare gli scenari secondo lui più verosimili per l’Italia.

La sua risposta è stata efficace quanto inquietante:

In effetti è l’Italia il vero pericolo per la zona EURO, nel senso di dare credibilità ad un gruppo di stati non omogenei fra di loro per politica economica, sociale, fiscale e tributaria, uniti, in effetti, soltanto da un’unica moneta.

Che cosa potrebbe succedere (mi permetta pur sempre il condizionale, visto che non sono io a prendere delle decisioni, ma cerco soltanto di pensare a quello che potrebbe accadere di fronte ad un default del debito pubblico italiano, che sta diventando il pericolo pubblico italiano numero uno).

Occorre fare delle premesse e ricordare innanzitutto i patti di ">Maastricht, che impongono dei tetti al deficit ed all’indebitamento complessivo della Pubblica Amministrazione (60% del PIL, per quanto riguarda l’indebitamento complessivo. L’Italia era entrata nella zona EURO «in deroga», in quanto Ciampi, il solito, aveva previsto un aumento del PIL italiano, che avrebbe permesso di rientrare nei parametri entro una decina d’anni, ormai trascorsi…., e 2,5% o giù di li’ per il deficit annuo dei paesi aderenti).

La crisi ha fatto si’ che la Commissione Europea abbia concesso alcuni anni di respiro: gli stati aderenti ne hanno approfittato per finanziare i rispettivi sistemi bancari.

Ma la Commissione, in occasione dell’esplosione della crisi greca, ha sottolineato che non ci saranno aiuti «europei», anche perché nessuno stato da solo o insieme ad altri potrebbe permetterselo in questi momenti.

In tal caso, se entro il 2012 gli stati non daranno segni palesi di buona volontà e di gestione budgetaria, saranno richieste delle garanzie (versamento di penalità alla BCE).

Ma esistono anche altre «voci», che vorrebbero alcuni paesi messi «al di fuori» della zona EURO: se «costituzionalmente» pare impossibile (chi è entrato non può’ più uscire, in quanto non è prevista la procedura), è pur vero che la BCE potrebbe prendere delle decisioni contemporanee a quelle della UE, o, è meglio dire, di concerto con….

Come afferma il premio Nobel per l'economia 1999 Robert Mundell, l’Italia ha usufruito sino ai nostri giorni, e cioè da una decina d’anni a questa parte, di tassi d’interesse bassi, inferiori al tasso d’inflazione (parliamo in termini medi, prendendo in considerazione la serie storica 2000 – 2010).

I risparmiatori sono stati remunerati di meno del dovuto (il tasso di remunerazione dovrebbe essere sempre maggiore di quello inflazionistico: in caso contrario si invoglia il risparmiatore a cercare altre destinazioni delle sue scorte monetarie, quali i «beni rifugio» ed il risparmiatore farebbe ancora la sua parte, come ben affermava Luigi Einaudi, in quanto il risparmio è insito nel carattere umano, ma in misura minore. Keynes sosteneva praticamente le stesse cose, più con concetti macroeconomici e con modelli econometrici che di comportamento sociale e psicologico) ed il montante: * capitale + interesse * delle loro economie è stato notevolmente ridotto, favorendo, invece, il sistema bancario, che notoriamente gioca sul differenziale tra interessi attivi ed interessi passivi.

Non solo il risparmiatore ci ha perso, ma ne ha risentito anche il contribuente italiano, che non riesce ad evadere e che è chiamato a sorreggere soggetti finanziari ed economici astronomicamente più forti di lui: ne risentirà ancora in futuro, tenendo conto del fatto che il debito pubblico si riconverte, prima o poi, in una maggior pressione contributivo – fiscale.

La Corte dei Conti ha ricordato che l’indebitamento della Pubblica Amministrazione, gestito con forme e procedure di ingegneria finanziaria, lascerà uno strascico sul debito pubblico per oltre vent’anni.

Che i tassi d’interesse debbano aumentare nei prossimi anni non c’è dubbio: Mundell fa capire che il problema «Italia» è ben notevole, perché l’Italia potrebbe non essere in grado di veder rinnovati i titoli del debito pubblico (aumentando il tasso d’interesse, il «costo del servizio del debito pubblico» aumenterebbe paurosamente).

Ed il debito pubblico italiano, nei confronti di quello greco, è come un elefante rispetto al topolino. Le azioni che potrebbero essere decise dalla Commissione Europea e dalla BCE, riguardano pertanto la creazione di «base monetaria in senso ampio», definita tecnicamente M3 dalla BCE, come ricorderemo ancora nel nostro discorso.

Le soluzioni, che non possono essere benefiche e senza effetti negativi nei confronti di tutti i soggetti, pubblici o privati che siano, potrebbero essere diverse.

Ma sia chiaro che i fallimenti ed i concordati puniscono sempre i creditori.

Bisognerà vedere in quale misura reagiranno la domanda e l’offerta di euro, in concomitanza dei rinnovi e delle nuove emissioni di titoli :

1. Il consolidamento di parte del debito pubblico (BOT) o l’attribuzione di cedole a tasso d’interesse «politico», inferiore al tasso d’inflazione, probabilmente non spendibili subito.

§ Le decisioni sul debito pubblico esistente potrebbero, comunque, scaturire da un mix di soluzioni riguardanti il tasso d’interesse, il capitale o l’allungamento, che piaccia o no, della durata dei titoli.

§ Decisioni di questo genere vennero prese in Italia negli anni Settanta, quando si stabili’ di limitare gli effetti dell’inflazione pagando una parte dei salari in BOT pluriennali.

§ In effetti la base monetaria allargata (M3, nella definizione della BCE), comprende anche i titoli di stato a breve, e cioè con scadenza sino a due anni, come i BOT italiani.

§ Se si vuol agire nei confronti della massa effettiva e potenziale della moneta in circolazione occorre pertanto agire, sulla base dei patti di Maastricht, sulla dinamica e sullo stock del debito pubblico, facendo rispettare i parametri di Maastricht senza deroghe di alcun tipo.

§ Sarà l’Italia (ed altri del gruppetto dei P.I.G.S.), a prendere le decisioni politiche (taglio drastico della spesa pubblica, liberalizzazioni, aumento delle imposte) per eseguire «gli ordini superiori» della UE.

§ Le conseguenze sociali si tradurranno inevitabilmente in gravi tensioni di ordine pubblico.

2. La Commissione Europea potrebbe chiedere un controllo ferreo sulla circolazione monetaria italiana (M0, secondo la definizione della BCE), facente parte della base monetaria, ben sapendo che questa componente costituisce, più dei depositi bancari, una bomba «a miccia corta», fermo restando la costituzione di una garanzia in denaro da costituirsi presso la BCE.

§ E’ facile pensare ad una misura propria di una «politica monetaria restrittiva», anche tenendo conto del fatto che l’Italia vanta un’elevatissima economia parallela (la velocità di circolazione della moneta corrente, proveniente dall’economia sommersa, è notoriamente ben superiore a quella dell’economia legale di un paese).

3. La Commissione Europea, di concerto con la BCE, potrebbe decidere di sovrastampare la moneta «uscente dai paesi in défaut», come successe in Germania ai tempi della Repubblica di Weimar.

§ Questa decisione corrisponderebbe, di fatto, alla coesistenza di due monete: una più forte per i paesi del nord ed una debole per quelli del sud Europa.

§ Come vede parlo anche degli altri paesi in crisi, poichè ormai si è capito che, l’omogeneizzazione monetaria, non preceduta dall’omogeneizzazione delle politiche sociali, industriali, fiscali eccetera, ha semplicemente permesso di far provare alle popolazioni sud-europee un fenomeno già visto in Argentina, quando volle ancorare la propria moneta al dollaro (economie deboli con moneta forte).

La domanda che ci si pone: che cosa avverrà dei depositi, nei casi estremi di sovrastampa della moneta o di decisioni analoghe?

E’ ovvio che verrebbero svalutati proporzionalmente alla diminuzione di potere d’acquisto della «nuova moneta», salvo, forse, per quelli detenuti da non residenti, per i quali si potrebbero stabilire delle moratorie e delle sostituzioni.

La mossa dello scudo fiscale, che non ha dato i risultati sperati (85 miliardi contro i 110 sperati da Tremonti e compagni, ma, nel passato, si è parlato di 1000 miliardi di Euro portati all’estero), è stata fatta forse, tra l’altro, anche per non far entrare più tardi, dopo un eventuale default del debito pubblico, una valanga di denaro spendibile ed un numero maggiore di contenziosi con gli stati e le banche estere (tipo bond argentini, messicani eccetera di qualche anno fa).

21 febbraio 2010

Potere e comando, volonta' e richiesta


Ogni volta che parlo di politica casco sempre nelle stesse inutili discussioni. Sembra che per l'italiano medio sia impossibile distinguere il potere dal comando, e che sia impossibile distinguere la volonta' dalle richieste. Andiamo un attimo nel dettaglio.

Nessuno capisce quello che intendo dire quando dico che Obama sta fallendo perche' non e' un uomo potente. Tutti dicono che e' Presidente, quindi e' potente. No. La democrazia NON da nessun genere di potere agli eletti. Da' soltanto la posizione di comando. Che non e' automaticamente una posizione di potere. Facciamo un esempio stupido: le leggi del presidente devono venire approvate dal senato. Cosa succede se un senatore democratico vota contro? Obama non gli puo' fare nulla di nulla, e la legge viene respinta o modificata. Adesso supponiamo che al posto di Obama ci sia Hillary. E il senatore democratico dell' Oklahoma vuole votare contro. Hillary lo convochera', e gli fara' sapere che e' il suo clan politico e la sua rete di networking a decidere chi sara' il prossimo candidato democratico in Oklahoma. E se il signore desidera continuare a sedere sulla sua sedia, e' meglio che voti la legge di Hillary. Questa e' la differenza tra potere e comando: la democrazia ha dato a Obama il comando. Ma non il potere. Il potere esiste a prescindere dalle elezioni, e puo' diventare comando se il cittadino vuole. Ma attenzione: il cittadino NON puo' decidere chi avra' il comando, ma quale potente avra' il comando. Perche' se si illude che il comando produca il potere, mettera' al comando un individuo impotente come Obama. E il comando sara' inutile. Lo stesso vale per le lobby. Se la lobby delle assicurazioni si oppone ad Obama, lui puo' farci poco. Se la lobby delle assicurazioni si oppone a Hillary, Hillary puo' semplicemente dire: signori, grazie allo spoil system(1) il direttore/altro pezzo grosso dell' IRS e' uno del mio clan. Siete in regola col fisco? Magicamente, la Lobby le obbedira'. Morale della storia: il popolo non puo' davvero decidere chi mandare al governo. Se vuole un governo ce faccia delle cose, deve garantirsi sia il comando (col voto) che il potere (un candidato con un grosso clan di amicizie e alleanze alle spalle). Ovviamente, il popolo puo' cortocircuitare il processo e mandare un uomo senza potere al comando. Il risultato sara' che dopo due anni di "change" non si e' ancora visto nulla. Perche' Obama e' al comando ma NON ha il potere. Questa e' la ragione per cui approvo l'attuale sistema elettorale italiano: poiche' il partito decide chi candidare e chi no, ha potere sui parlamentari, tranne alcune finestre nelle quali si apre una trattativa coi gia' eletti, prima delle elezioni amministrative. In questo modo, i parlamentari devono marciare allineati e coperti, e chi ha il comando ha anche il potere. Inoltre, Berlusconi e' gia' potente senza elezioni, quindi ha ancora piu' leve. Anche se vincesse la sinistra, essendo praticamente un partito privo di potere, non combinerebbe una cippa, come e' sempre stato sinora. In Emilia governano perche' oltre al comando hanno un certo potere collaterale: altrimenti , non hanno speranza. Non votero' mai, alle politiche, un candidato che non abbia potere, perche' so come finira'. In definitiva, Governo = Comando * Potere. Se il potere e' nullo, non si governa: pur avendo ricevuto il comando dalle elezioni. Il vero requisito alla candidatura dovrebbe essere il potere gia' in mano al candidato. Altrimenti, questo rendera' inutile il comando. E si mandera' al comando un inutile temporeggiatore. Le elezioni possono dare un posto di comando, ma non il potere. Secondo punto: la democrazia fa sempre quello che il cittadino VUOLE. Quando dico questo, nasce un gigantesco malinteso tra cio' che il cittadino "vuole" e cio' che il cittadino "chiede". La richiesta e' l'argomento politico, che permette al partito di fare politica. La volonta' e' il risultato oggettivo che il cittadino desidera sperimentare nella vita quotidiana. Tutti i cittadini di Milano chiedono al comune meno traffico e meno inquinamento. Esistono in commercio automobili ibride che consumano, sul tratto urbano, circa un terzo delle altre.(2) Se tutti usassero auto ibride in citta', sarebbe come fermare il traffico due giorni alla settimana. I cittadini che chiedono meno inquinamento si sono tuffati a comprare auto ibride? Lo hanno fatto i verdi? No. Il cittadino CHIEDE meno inquinamento, ma VUOLE guidate un'automobile inquinante. I cittadini chiedono un traffico migliore. Quando il cittadino di Milano parcheggia in doppia fila, che cosa vuole? Vuole , ovviamente, che nessuno gli faccia una contravvenzione. Molto bene: torniamo alla mia affermazione. Il governo democratico fa quello che il cittadino VUOLE e non quello che il cittadino CHIEDE significa che accontentera' il cittadino quando compra auto inquinanti in citta' e quando parcheggia in doppia fila. Se possibile, si sforzera' anche di migliorare il traffico, ma la priorita' e' quanto il cittadino VUOLE. Se tutti CHIEDIAMO piu' meritocrazia ma contemporaneamente ci presentiamo agli esami con tesine copiate e appunti nascosti ovunque, quello che vogliamo e' MENO meritocrazia. E la democrazia fa sempre quello che VOGLIAMO. E' semplice: non sempre si chiede cio' che si vuole. Non e' possibile fare un partito che dica "voglio parcheggiare in doppia fila", il partito puo' solo "chiedere meno traffico". I governi democratici hanno imparato bene questa differenza, e sanno bene che se non danno al cittadino quel che chiede, bastano due o tre chiacchiere e il cittadino li rivota. Se invece non danno al cittadino cio' che VUOLE, egli viene colpito nella sua esistenza quotidiana, e si infuria. Il cittadino essenzialmente VUOLE delle cose che esistono gia', ma CHIEDE delle cose che non esistono ancora. Ovviamente, e' molto piu' sgradito al cittadino il governo che colpisca l'esistente, piuttosto che un governo che non realizzi l'inesistente. Se il comune di Milano non da' un traffico migliore, si rimane cosi'. Il cittadino valuta se accettare o meno le scuse per il mancato miglioramento. Se invece iniziamo a multare chi parcheggia in doppia fila, a tappeto, il cittadino perde qualcosa che ha gia': la possibilita' di fare i propri porci comodi.

  • Il cittadino VUOLE le cose che effettivamente fa o ha fatto o fara', con i relativi vantaggi.
  • Il cittadino CHIEDE cose che non ci sono ancora e delle quali piacerebbe godere.

E' ovvio che disattendere la prima richiesta colpisce direttamente il cittadino nel quotidiano, mentre disattendere la seconda si limita a mortificare i suoi desideri o i suoi ideali. E' ovvio che un governo basato sul consenso badera' alla prima delle richieste, e si dedichera' alla seconda solo se resta tempo, o restano risorse. Se le due richieste sono incompatibili, perche' e' impossibile avere un traffico migliore (richiesta) se tutti parcheggiano in doppia fila impuniti (volonta') allora vincera' la volonta' sulla richiesta. E' semplicissimo, e mi meraviglia di dover puntualizzare questi due semplicissimi concetti ogni volta che parlo di politica.

note

(1) In italiano: lottizzazione. Ma in USA e' figo perche' si chiama spoil system, provincialotti che non siete altro. (2) Ho chiesto conferma di questa affermazione ad alcuni tassisti, che la usano e ne sono entusiasti. Tra l'altro apprezzano molto la sua silenziosita', cosa che capisco perche' abitano l'auto per molto tempo.

di Uriel

19 febbraio 2010

Il perché dobbiamo cambiare il capitalismo.




In un estratto del suo nuovo libro, Freefall, l'ex economista capo della Banca mondiale spiega perché le banche dovrebbero essere smembrate e perché l'Occidente dovrebbe ridurre i consumi.

Nel corso della Grande recessione cominciata nel 2008 milioni di persone, negli USA e nel resto del mondo, hanno perso casa e lavoro, molti altri hanno temuto di dover subire la stessa sorte, e praticamente tutti quelli che avevano accantonato soldi per la pensione o per l'istruzione dei figli hanno visto i propri risparmi ridursi a una frazione del valore iniziale.

Una crisi scoppiata negli Usa è diventata ben presto globale, man mano che in tutto il mondo decine di milioni d'individui – venti nella sola Cina - perdevano il posto di lavoro e altrettanti si scoprivano poveri.



Non è così che si pensava sarebbero andate le cose. I moderni economisti, con la loro cieca fede nel libero mercato e nella globalizzazione, avevano promesso prosperità per tutti, e davano per scontato che la tanto decantata "Nuova economia", con le stupefacenti innovazioni (tra l'altro liberalizzazione e ingegneria finanziaria) che avevano marcato la seconda metà del XX secolo, avrebbe consentito una migliore gestione dei rischi e posto fine al susseguirsi dei cicli economici. Se la combinazione di Nuova economia e nuovi strumenti economici non poteva eliminare del tutto le fluttuazioni economiche poteva quanto meno tenerle sotto controllo. O almeno questo ci hanno raccontato.

La Grande recessione, il peggior incubo dopo la Grande depressione di 75 anni prima, ha spazzato via tutte le illusioni, e ci sta obbligando a ripensare i nostri tanto amati punti di vista.

Per 25 anni alcune dottrine sui liberi mercati hanno dominato incontrastate: i mercati liberi e senza controlli sono efficienti e se sbagliano si autocorreggono rapidamente, il miglior governo è un governo con pochi poteri, le normative non fanno altro che ostacolare l'innovazione, le banche centrali dovrebbero essere indipendenti e concentrarsi sul contenimento dell'inflazione.

Oggigiorno anche Alan Greenspan, il grande sacerdote dell'ideologia liberista a capo della FED nel periodo in cui tali opinioni prevalevano, ha dovuto ammettere che in questo modo di pensare c'erano delle falle, ma la sua confessione è arrivata troppo tardi per tutti coloro che ne hanno subito le conseguenze.

Col tempo qualsiasi crisi viene superata, ma tutte, in particolare se così drammatiche, lasciano il segno. Quella del 2008 offre nuovi punti di riflessione nella tradizionale disputa sul sistema economico capace di distribuire i massimi benefici.

Credo che i mercati siano alla base di qualsiasi economia di successo, ma che non funzionino automaticamente bene. In questo senso seguo la linea del noto economista britannico John Maynard Keynes, la cui influenza domina negli studi dei moderni economisti.

I governi hanno un ruolo da svolgere, che non si riduce a salvare l'economia quando i mercati crollano o a regolamentarli per evitare il tipo di problemi che abbiamo appena sperimentato. Le economie esigono un equilibrio tra il ruolo dei mercati e quello del governo, con apporti fondamentali delle istituzioni private e senza fine di lucro; ma negli ultimi 25 anni gli USA non hanno rispettato questo equilibrio e hanno anzi esportato la loro visione distorta in tutto il mondo.

La crisi attuale ha messo in luce i difetti fondamentali del capitalismo, o per meglio dire di quella particolare versione del capitalismo (a volte definito capitalismo in stile americano) che ha visto la luce nell'ultima parte del XX secolo negli USA. Non si tratta solo di singole persone, di errori specifici, di problemi di dettaglio da risolvere, o di norme da modificare.

È stato difficile scoprire le falle, perché noi americani volevamo assolutamente credere nel nostro sistema economico: i "nostri ragazzi" avevano ottenuto risultati così spettacolari rispetto ai tradizionali arcinemici del blocco sovietico.

I numeri rafforzano la delusione. Dopo tutto la nostra economia stava crescendo molto più velocemente di quasi tutte le altre, a eccezione della Cina; e alla luce delle difficoltà che credevamo di scorgere nel sistema bancario cinese, era solo questione di tempo prima che implodesse.

Anche adesso, molti negano l'ampiezza dei problemi cui deve far fronte la nostra economia di mercato; una volta usciti dalla situazione attuale, e tutte le recessioni finiscono prima o poi, scommettono su una nuova vigorosa crescita. Ma uno sguardo più attento all'economia statunitense lascia intravedere altri problemi ben più profondi: una società in cui persino la classe media ha visto i propri guadagni stagnare per decenni, caratterizzata da una crescente ineguaglianza, e in cui, anche se vi sono notevoli eccezioni, le probabilità per un americano povero di arrivare al vertice sono inferiori a quelle della "vecchia Europa".

Si dice che l'esperienza di premorte obbliga a rivalutare le priorità e la scala di valori, e l'economia globale l'ha appunto provata. La crisi ha portato in luce non solo i difetti del modello economico imperante, ma anche quelli della nostra società: troppa gente ha profittato dei suoi simili. Quasi ogni giorno sono venuti alla luce comportamenti scorretti di coloro che lavorano nel settore finanziario: schema di Ponzi (una sorta di catena di S.Antonio in campo economico. NdT), uso d'informazioni riservate, comportamenti predatori, programmi di concessione di carte di credito per scroccare il più possibile agli sfortunati utilizzatori.

Il mio libro, Freefall, si occupa però non di quelli che hanno violato la legge ma di tutti coloro che, pur nel suo rispetto formale, hanno creato, impacchettato, spacchettato, e venduto prodotti tossici, lasciandosi coinvolgere in una spericolata attività che ha rischiato di distruggere l'intero sistema economico e finanziario. Il sistema è stato salvato, ma a un prezzo che è ancora difficile valutare.

Dovremmo considerare quello attuale un momento di analisi e riflessione, per pensare al tipo di società in cui vogliamo vivere e per chiederci: stiamo creando un'economia in grado di aiutarci a soddisfare le nostre aspirazioni?

Siamo andati ben avanti su una strada alternativa, creando una società in cui il materialismo ha il sopravvento sull'impegno morale, in cui il rapido sviluppo che abbiamo ottenuto non è sostenibile dal punto di vista ambientale e sociale, in cui non operiamo tutti assieme come società civile per far fronte ai bisogni comuni, in parte perché un feroce individualismo e un mercato fondamentalista hanno eroso il senso di appartenenza a un gruppo e hanno reso possibili un violento sfruttamento degl'individui privi di protezione.

Senza volerlo, gli economisti hanno offerto una giustificazione a questa mancanza di responsabilità morale. Una lettura superficiale dei suoi scritti ha instillato l'idea che Adam Smith avesse escluso ogni scrupolo morale da parte di chi operava sui mercati. Dopo tutto, se la ricerca dell'interesse personale conduce, come una mano invisibile, al benessere della società, tutto quello che bisogna fare è assicurarsi di star perseguendo al meglio l'interesse personale. Ed è proprio quello che sembrano aver fatto gli operatori del settore finanziario. Ma ovviamente, la ricerca dell'interesse personale, l'ingordigia, non ha condotto al benessere della società.

Il modello che combina individualismo esasperato e fondamentalismo di mercato ha modificato non solo il modo in cui i singoli vedono se stessi e le loro preferenze, ma anche il modo in cui si relazionano con gli altri. In un mondo d'individualismo esasperato non c'è bisogno di una comunità di soggetti o di una forma di società civile. Il governo rappresenta un ostacolo; è il problema, non la soluzione.

Ma se i difetti del mercato sono pervasivi è necessaria un'azione collettiva; gli accordi volontari non sono sufficienti (semplicemente perché non c'è alcun "obbligo"). Peggio ancora, l'individualismo esasperato e il materialismo rampante hanno finito col minare la fiducia. Anche in un'economia di mercato, la fiducia è il lubrificante che fa funzionare la società. Talvolta la società può funzionare anche in mancanza di fiducia, ma è un'alternativa molto meno interessante.


Nella crisi attuale i banchieri hanno perso la nostra fiducia e quella reciproca. Gli storici dell'economia hanno sottolineato il ruolo della fiducia nello sviluppo del commercio e delle attività bancarie. Se certe comunità si sono sviluppate a livello globale nei settori commerciale e finanziario è proprio perché i suoi membri avevano fiducia gli uni negli altri. La grande lezione di questa crisi è che, nonostante tutti i cambiamenti degli ultimi secoli, il nostro complesso settore finanziario continua a fondarsi sulla fiducia: quando viene meno, il sistema finanziario si blocca.

È facile evitare l'assunzione di rischi eccessivi; basta diffidare le banche dal farlo. Impedire alle istituzioni bancarie di usare meccanismi d'incentivazione che incoraggiano l'assunzione di rischi eccessivi e obbligarle ad una maggiore trasparenza richiederà molto tempo. Costringerà tra l'altro quelle che s'ingaggeranno in attività ad alto rischio ad aumentare di molto il capitale e a pagare più elevati premi assicurativi sui depositi. Ma sono necessarie anche altre riforme: sarà necessario limitare i leverage (quoziente d'indebitamento. NdT) e imporre restrizioni su alcuni prodotti particolarmente rischiosi.

Visto quello che è accaduto al settore economico, è ovvio che il governo federale dovrà approvare una versione aggiornata del Glass-Steagall Act. Non c'è scelta: bisogna severamente limitare la possibilità di assunzione dei rischi da parte delle istituzioni che sfruttano la posizione di banca commerciale – incluse le reti di protezione governative.

Ci sono troppi conflitti d'interesse e troppe difficoltà per consentire che le attività delle banche commerciali si mescolino con quelle delle banche d'investimento. I vantati benefici legati all'abolizione del Glass-Steagall Act si sono rivelati illusori, e i costi di gran lunga maggiori di quelli che anche i più feroci critici avevano temuto. I problemi sono particolarmente gravi nel caso delle banche "troppo grandi per poter fallire".

La necessità di rimettere in vigore il più rapidamente possibile il Glass-Steagall Act ci viene suggerita dal recente comportamento di alcune banche d'investimento, per le quali, ancora una volta, la trattazione di titoli si è dimostrata una proficua fonte d'investimenti.

La rapidità con cui, nell'autunno 2008, tutte le più importanti banche d'investimento si sono riconvertite in banche commerciali è preoccupante: avevano previsto il regalo del governo federale, ed erano evidentemente sicure che il loro modo di assumere rischi non avrebbe subito serie limitazioni. Adesso possono sfruttare le facilitazione offerte dalla FED e ottenere prestiti a costo zero. Sanno di essere protette da una nuova rete di sicurezza ma di potere al tempo stesso continuare indisturbate le loro operazioni ad alto rischio. È una situazione totalmente inaccettabile.

Esiste una ovvia soluzione al problema delle banche "troppo grandi per poter fallire": smembrarle. La sopravvivenza di queste istituzioni sarebbe giustificata solamente se permettessero significative economie di scala o copertura che altrimenti andrebbero perse. Non solo non ho trovato nessuna prova di un tale effetto, ma anzi tutto punta verso la conclusione che queste banche "troppo grandi per poter fallire" e troppo grandi per poter essere smembrate sono anche troppo grandi per poter essere gestite. Il loro vantaggio sul piano della concorrenza deriva dal loro potere monopolistico e dai sussidi governativi.

La crisi ha messo in luce, da Wall Street a Main Street, un profondo abisso tra la classe ricca statunitense e il resto della società: mentre i ricchi hanno ottenuto ottimi risultati negli ultimi 30 anni, le entrate della maggior parte dei cittadini sono rimaste stagnanti o si sono ridotte.

Le conseguenze sono state celate: quelli della classe inferiore, o anche della classe media, sono stati sollecitati a continuare a spendere come se i loro stipendi aumentassero senza sosta, a prendere soldi in prestito e a vivere al di sopra dei propri mezzi (e le bolle speculative hanno reso la cosa possibile). Le conseguenze del brusco ritorno alla realtà sono semplici: il livello di vita dovrà ridursi.

Qualcuno dovrà pagare il conto del salvataggio delle banche. Per la maggior parte degli americani, anche una ripartizione proporzionale sarebbe disastrosa. Con un reddito familiare mediano (reddito medio e reddito mediano non sono la stessa cosa. Il primo è la media dei vari valori della seriazione, il secondo è il suo valore centrale. NdT) che dal 2000 ha perso circa il 4%, non c'è scelta: se vogliamo preservare un barlume di giustizia, i costi devono essere a carico della classe alta, che ha tratto vantaggi sproporzionati negli ultimi 30 anni, e del settore finanziario, che ha scaricato tutti gli oneri sul resto della società.

Ma passare ai fatti non sarà facile. Il settore finanziario è riluttante ad ammettere i propri errori. Fa parte del comportamento morale e della responsabilità individuale accettare il biasimo quando è meritato: tutti gli esseri umani sono fallibili, anche i banchieri, che però, come possiamo constatare, si sono dati da fare per scaricarlo sugli altri, anche sulle vittime.

Gli USA non sono i soli a dover affrontare un duro riallineamento. Il sistema finanziario britannico è stato ancor più presuntuoso di quello statunitense. Prima del collasso, la Royal Bank of Scotland era la più grande banca europea; nel 2008 ha subito più perdite di qualsiasi altra banca al mondo. Proprio come negli USA, anche nel Regno Unito abbiamo assistito a una bolla speculativa immobiliare che è ora scoppiata. Adattarsi alla nuova realtà può significare una riduzione dei consumi del 10%.

Ne ho dedotto che le difficoltà cui devono far fronte il nostro paese e il resto del mondo impongono qualcosa di più di un piccolo riallineamento del sistema finanziario. Alcuni hanno detto che abbiamo avuto un piccolo problema nel nostro impianto idraulico: alcuni tubi si sono ostruiti. E abbiamo chiamato gli stessi idraulici che avevano installato l'impianto: avendo creato il pasticcio erano probabilmente gli unici a sapere come tirarcene fuori. Poco importa se ci hanno fatturato l'impianto e se ora ci fatturano la riparazione: dovremmo essere contenti perché il sistema funziona di nuovo, pagare il conto senza protestare, e sperare che questa volta abbiano fatto un lavoro migliore.

Ma si tratta di qualcosa di più grave di un semplice "problema idraulico": i difetti del sistema finanziario sono il segno di difetti ancora più gravi del sistema economico, e i difetti del sistema economico riflettono a loro volta quelli più profondi della nostra società. Abbiamo avviato il salvataggio senza avere le idee chiare sul tipo di sistema finanziario che volevamo, e il risultato è stato manipolato dalle stesse forze politiche che ci avevano messo nei guai. Eppure credevamo che il cambiamento fosse non solo possibile ma necessario.

Che alla fine della crisi vi saranno stati dei cambiamenti è sicuro; non possiamo tornare al mondo di prima. Ma le domande da porsi sono: quanto saranno profondi e importanti i cambiamenti? E andranno nella giusta direzione? In varie aree critiche, le cose sono andate ancora peggiorando nel corso della crisi. Abbiamo distorto non solo le nostre istituzioni, incoraggiando una maggiore concentrazione nel settore finanziario, ma le stesse regole del capitalismo. Abbiamo annunciato che le istituzioni privilegiate verranno sottoposte a una disciplina limitata, o nulla. Abbiamo creato un surrogato di capitalismo con regole poco chiare ma con prevedibili risultati: crisi future, assunzione indebita di rischi a spese della comunità (quali che siano le promesse di un nuovo regime normativo), e un'accresciuta inefficienza.

Abbiamo sostenuto l'importanza della trasparenza, ma abbiamo aumentato le possibilità delle banche di manipolare i libri contabili. Nelle crisi precedenti ci si preoccupava del rischio morale e degl'incentivi forniti dalle procedure di salvataggio; l'ampiezza di quella attuale ha mutato il significato di tali principi.

È diventato un luogo comune sottolineare che i caratteri cinesi della parola "crisi" riflettono "pericolo" e "opportunità". Ci siamo resi conto del pericolo. La domanda è: approfitteremo dell'opportunità per ridar vigore al principio di equilibrio tra mercato e stato, tra individualismo e comunità, tra uomo e natura, tra fine e mezzi?

In questo momento abbiamo l'opportunità di dar vita a un nuovo sistema finanziario che faccia ciò che gli essere umani pensano debba fare, di dar vita a un nuovo sistema economico che crei posti di lavoro utili e un lavoro dignitoso per tutti, e nel quale la differenza tra chi ha e chi non ha si riduca invece di allargarsi, e, soprattutto, di dar vita a una nuova società in cui ciascuno sia in grado di realizzare le proprie aspirazioni e potenzialità, in cui i cittadini condividano ideali e valori, in cui il nostro pianeta venga trattato col rispetto che esige. Ecco le vere opportunità. Il vero pericolo è che l'umanità non sia in grado di approfittarne.

Joseph Stiglitz

18 febbraio 2010

La politica: un poker con carte truccate

Chi scende in politica deve preventivare di sporcarsi le mani. I protagonisti di Razz (Daniela Piazza Editore, pagg. 228, euro 17) se le sporcano come non mai. Uomini e donne, di sinistra e di destra, non se ne salva nessuno. La Torino descritta da Augusto Grandi, giornalista del Sole 24 Ore, non è quella della Fiat, delle tradizioni occulte, dell’immigrazione selvaggia. È invece quella del sottobosco della politica-politicante che l’autore narra quasi in presa diretta, senza far sconti a nessuno. Un mondo che conosce molto bene e che ammanta del velo, in alcuni casi trasparente, in altri assai meno, dell’«opera di totale fantasia» sicché «ogni riferimento a persone e avvenimenti è del tutto casuale».

Sarà pure così, ma l’avventura di Dario Lo Gatto, avellinese trapiantato a Torino dove è diventato uno dei maggiori amministratori di condominio della città, e di tutte le figure politiche del centrodestra e del centrosinistra che lo circondano è emblematica di un modo corrente di vedere questo ambiente, sia piemontese che di ogni altra regione italiana. Emblematico quanto il titolo, perché Razz è il nome del poker californiano che si vince con il punteggio più basso. Siamo lì: la genìa rappresentata da Lo Gatto & soci esprime una politica in cui vince chi scende sempre più in basso moralmente, pur se in apparenza abita ai piani alti: dai capigruppo in Comune ai segretari politici locali, ai vicesegretari nazionali, dai sindaci ai prefetti, ai procuratori generali. È tutto un turbinoso incrociarsi di lotte intestine, spesso complicatissime, che servono a fare le scarpe non tanto ai nemici quanto agli amici, con l’unico scopo della carriera politica, costi quel che costi, anche vendendo e prostituendo (sapendo benissimo di farlo) corpi, menti e anime, maschili e femminili. Unico vero nemico è la cultura perché «con la filosofia non si mangia»…

Razz è la storia dell’ignorante ma saccente Dario, coinvolto in una partita di poker più grande di lui che vede dall’altro lato del tavolo massoneria, mafia russa, politica internazionale sotto forma di speculazione edilizia. La bolla si gonfierà, poi esploderà, ma alla fine, grazie a compromessi insospettabili fra politica, magistratura e stampa, si affloscerà. Passata la grande paura ogni cosa ricomincerà come prima. Gli unici a rimetterci saranno Dario, alle prese con un figlio insospettabilmente drogato, e la povera signora Gina, brava a vincere a poker, ma non a sfuggire a una morte che poteva servire a qualcuno e invece non servirà a nulla.

Chiari i bersagli di Grandi: la cosiddetta società civile, arrogante e incolta; la sfrenata corsa al potere a ogni livello; l’assoluta mancanza di onestà, dignità e idealità: l’amicizia è bandita, e l’accordo sotterraneo fra apparenti avversari politici per il bene di ognuno è quasi la prassi; soprattutto il disprezzo per la cultura che si manifesta attraverso un linguaggio sboccato e da trivio. Insomma, un affresco terribilmente impietoso, ma purtroppo veritiero quello di Augusto Grandi che evidentemente certi ambienti li conosce bene.

di Gianfranco de Turris

17 febbraio 2010

L'illusione dell'onnipotenza


Prima accecato dai suoi deliri di onnipotenza e poi tradito dalla sua stessa tracotanza, il governissimo Berlusconi-Bertolaso prepara un'indecorosa ritirata. L'insano progetto della Protezione civile Spa, con ogni probabilità, non si farà più. Lo lasciano intendere le flautate ma imbarazzate parole di Gianni Letta. Lo confermano quelle meno paludate di Paolo Bonaiuti. Il decreto legge 90/2008 che trasforma la struttura pubblica creata per fronteggiare le grandi emergenze in una società per azioni di natura privatistica sarà riscritto radicalmente alla Camera. In subordine, sarà approvato a Montecitorio, ma poi sarà abbandonato su un binario morto al Senato.

Nel turbine di uno scandalo nello scandalo (il disossamento di un pezzo dello Stato, nel cuore di una Tangentopoli di appalti truccati, costi gonfiati e favori sessuali prestati) arriva finalmente una buona notizia. Il Leviatano delle Spa pubbliche non nascerà. Il nuovo "mostro" che privatizza le istituzioni, con il finto pretesto delle emergenze e la pratica incontrollata delle ordinanze, muore prima ancora di essere nato. Merito della denuncia di questo giornale, che per primo ha acceso i riflettori sul tentativo del governo, neanche troppo strisciante, di sospendere ancora una volta le garanzie costituzionali e le procedure legali, per trasformare il Paese in un gigantesco "cantiere" autonomo che lavora in deroga permanente a tutte le regole e le normative vigenti. Merito della reazione determinata di una parte delle opposizioni, che ha dato battaglia in Parlamento. Merito dell'indignazione spontanea di tanti cittadini, a partire dagli oltre 30 mila che in un solo giorno hanno aderito all'appello di "Repubblica", per confermare che c'è almeno un pezzo d'Italia pronta, in nome del senso civico e del dissenso democratico, a resistere alle forzature populiste e autoritarie del potere berlusconiano.


Ora il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio ha un bel dire che nel centrodestra nessuno pensava di "trasformare la Protezione civile in una spa", e che si voleva dotare l'organismo finora guidato da Bertolaso di "uno strumento ulteriore, aggiuntivo". Il centrodestra, in realtà, aveva in mente esattamente questo: un modello di amministrazione della cosa pubblica, gestita da mani fidate per conto di Palazzo Chigi. Il piano prevedeva prima la nascita della Protezione civile Spa, con budget iniziale stimato in 1 miliardo 607 milioni. Poi, per partenogenesi, anche la Difesa Servizi Spa, con un portafoglio di opere calcolabile in 3-5 miliardi. E così via. In un regime di palese sospensione dei controlli ordinari. E in un quadro di palese violazione della sentenza numero 466 della Consulta, che nel '93 stabilì l'imprescindibilità costituzionale del controllo della magistratura contabile su tutti gli atti di una Spa nella quale il potere pubblico detenga la maggioranza.
Questo disegno (ancora una volta tecnicamente "eversivo", nel solco di quella "rivoluzione istituzionale" propria del berlusconismo) si infrange nella rete micidiale del malaffare che lo stesso sistema tende a riprodurre. Una colossale ragnatela di inchieste vere e di complotti inventati, di intercettazioni e di pedinamenti, di autentiche satrapie e di false fisioterapie. Sembra di leggere "L'incanto del lotto 49". Con una sola, decisiva differenza. Nell'irrealtà virtuale raccontata da Thomas Pynchon erano i cittadini ad aver creato, con il "Trystero", un sistema di comunicazione che ingannava il governo. Nella realtà fattuale costruita da Berlusconi è il governo ad aver creato un sistema di gestione che danneggia la democrazia. Ma almeno stavolta non ha funzionato. Qualcuno li ha sorpresi con le mani nella gelatina.
m.giannini@repubblica.it

16 febbraio 2010

L'arma del giudizio (finanziario)

Poiche' il primo presidente inutilmente negro degli USA non ha fatto una cippa di nulla se non parlare ed essere negro, e lo stesso dicasi di quel patetico cialtrone di Brown, le due borse piu' inutili e dannose del mondo, Wall Street e Londra hanno continuato bellamente a cercare di recuperare i danni speculando ancora di piu'.

Il meccanismo che e' in azione funziona cosi':

1. Inizia una grande manovra speculativa. Le finanziarie preferiscono investire li' che sulle aziende vere.
2. Le aziende entrano in crisi o finiscono col badare piu' alla riduzione delle spese che agli investimenti.
3. Siccome le aziende non rilanciano , le banche si rivolgono ancora di piu' alla speculazione.
4. Le aziende rimangono senza credito ancora di piu', si sfogano sul costo del lavoro , delocalizzano o altro.
5. Scoppia la bolla.
6. I consumi crollano.
7. Le aziende soffrono ancora di piu'.
8. Poiche' le aziende sono rischiose, ancora di piu' banche e finanza vanno sulla speculazione.
9. GOTO 1

E' abbastanza ovvio dove conduca questo loop: alla desertificazione industriale completa.

Quello che si fatica a capire, invece, e' l'effetto che il loop faccia sul debito pubblico.

Il problema vero e' la difficolta' nel riscuotere tasse sui prodotti finanziari. Se -in teoria- i guadagni ottenuti sono ancora reddito a tutti gli effetti, il problema che si pone e' il seguente:

* In molti paesi si tratta anche e spesso di prodotti pensionistici, per i quali esiste una tassazione inferiore.
* In quasi tutti i paesi del mondo i guadagni di rendita e i guadagni finanziari godono di una tassazione differente.
* Gli Hedge fund e in generale il venture capital godono, quasi ovunque, di una tassazione favorevole.
* La tassazione sul lavoro in questi settori e' piu' bassa.

Morale della storia: la cosa che nessuno ci ha detto sulla famosa "terziarizzazione" dell'economia (tanto cara a gente come De Benedetti) e' che tale terziarizzazione produce un effetto devastante sulle finanze pubbliche. A parita' di PIL, una nazione molto industriale ricavera' molte piu' tasse (in percentuale) e molta piu' contribuzione sociale rispetto ad una molto terziarizzata.
Morale della storia: da un paese terziarizzato possiamo aspettarci un welfare minore. Direte voi: ma non e' vero, perche' gli UK sono terziarizzati ed il welfare c'e'. Ni.

Innanzitutto, gli UK hanno avuto un PIL cosi' gonfiato che la riduzione percentuale del gettito fiscale sulle speculazioni e' stata compensata dall'enorme dimensione della speculazione stessa. In secondo luogo, la dimensione internazionale delle speculazioni e' tale che la quantita' di servizi richiesti allo stato e' inferiore.

Se io faccio una fabbrica o una zona industriale, dovro' badare agli ospedali per la manodopera, ai trasporti per manodopera e merci, alle scuole per le famiglie dei lavoratori che inevitabilmente verranno li'. A parita' di occupati e di PIL, un'attivita' finanziaria in senso speculativo non ha bisogno di nulla di tutto questo.

La morale della storia e' che lentamente questo gorgo finanziario ha definanziato gli stati e strangolato le imprese, sino al punto in cui oggi alcuni paesi sono in situazioni catastrofiche.

Ovviamente, quello greco NON e' il problema maggiore. In Europa, gli UK sono arrivati al 170% del PIL di debito, e appaiono attorno al 95% solo perche' rifiutano (come richiesto dalla BCE) di contabilizzare le spese di salvataggio delle banche nel debito pubblico e di seguire i criteri contabili comuni.

Su scala mondiale, il Giappone rasenta il 250% del PIL come debito pubblico, e gli USA , se consolidait, stanno rasentando il 200% del PIL. Morale della storia: i cosiddetti PIIGS sono un'invenzione della stampa anglosassone, che si sforza di deviare su alcuni paesi dei problemi che nel mondo anglosassone esistono in misura maggiore.

Invenzioni propagandistiche o meno, il concetto e' che enormi capitali sono concentrati nei debiti di questi paesi, secondo l'ideologia che vuole il debito pubblico a basso rischio. Il problema viene , pero' , dalla scarsa intelligenza delle borse e dei relativi operatori.

L'operatore di borsa non e' abbastanza intelligente da essere considerato umano: ha letto (quando sa leggere un articolo fino alla fine) che ci sono paesi chiamati PIIGS, e sa che deve fuggire al rischio. Non appena uno dei paesi della lista dei PIIGS fallisse, l'operatore di borsa si limiterebbe ad inseguire la propria coscienza sub-animale e ad abbandonare tutti gli investimenti nel debito pubblico.

E la cosa non si fermerebbe qui: se si inizia a mettere in dubbio la tenuta dei debiti pubblici, c'e' il rischio di un abbandono generale dei debiti nazionali come investimento a basso rischio. In questo caso, il default greco inizierebbe una serie di default che investirebbero tutti i paesi occidentali, UK e USA compresi.

Cosi', sebbene di per se' il debito pubblico greco non sia allarmante (quasi tutto interno, e come se non bastasse di piccola entita'), la BCE ha dovuto chiarire che si studieranno strumenti per evitare il default ed evitare le speculazioni.

Nelle scorse settimane, c'e' stata una vera e propria corsa all'acquisto di swap per il debito pubblico dei paesi cosiddetti "PIIGS". Quello che criminali come Soros e altri vogliono fare e' di ottenere il default di uno di tali paesi, in maniera tale da guadagnare prima dallo swap, e poi comprando i titoli a costo irrisorio andare a negoziare le condizioni coi governi falliti.

La BCE ha potere di difendere la Grecia? Probabilmente si'. Dopo la grecia, chi?

La mia opinione e' che prima tenteranno con la Spagna, poi col Portogallo, poi con l'Irlanda. L'italia e' un boccone grossino, per via di una semplice ragione: troppe pensioni USA dipendono dal debito italiano, e troppa parte del debito italiano e' all'estero, con altissimi volumi di scambio.

Quindi, il problema adesso e' semplice: se la BCE salva la Grecia, presto si trovera' nelle condizioni di salvare anche Spagna, Portogallo e Irlanda. E, se i criminali come Soros vogliono il gioco duro,anche Italia.

La mia personale opinione e' molto semplice: lasciamo pure che facciano. Lasciamo che si pestino pure i piedi facendo andare in default tutti i PIIGS. Dopodiche' dovranno spiegare per quale motivo , dopo perdite enormi, qualcuno dovrebbe comprare debito USA o UK.

Dopotutto, male che va noi ci rimettiamo i debiti..... sono loro che hanno la necessita' di tenere in piede l'allegra baracca dei finanzieri. Molto piu' di noi.

Anche perche', negli USA sta arrivando questo,e quindi devono trovare un bel pochino di soldini entro 3 anni:

by Uriel

14 febbraio 2010

Finanza islamica.



Intevista a Stefano M. Masullo



…“una volta risolti i problemi di carattere fiscale e normativo, il nostro paese potrà svolgere un ruolo centrale nel mediterraneo. L'Italia, infatti, oltre ad avere una bilancia commerciale di svariati miliardi di dollari con i paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo, svolge un ruolo chiave nel dialogo euro-arabo, rappresentando il paese del G7 più vicino al mondo arabo. L'interesse verso la finanza islamica si pone, dunque, come una questione di posizionamento strategico-politico, anche in relazione alla nascita dell'Unione per il Mediterraneo che punta a coinvolgere economicamente i quarantatre paesi del mediterraneo meridionale e orientale, attraverso la loro cooperazione in specifiche attività pubbliche e private”… (Stefano M . Masullo)

Nell’attuale panorama economico e finanziario internazionale che ruolo può giocare l’introduzione dell’islamic banking?

MASULLO - In una prospettiva di sviluppo di lungo periodo può giocare un ruolo chiave l’introduzione dell’islamic banking, il settore più redditizio di tutto lo scenario finanziario internazionale che, grazie al suo costante collegamento con l’economia reale, sembra offrire una valida alternativa in termini di stabilità all’eccessiva finanziarizzazione odierna o meglio, allo scollamento creatosi tra attività finanziaria e legale, causa ed effetto della crisi.

Quale è il messaggio alternativo della finanza islamica?

MASULLO - Il messaggio alternativo della finanza islamica deriva dalla forte dipendenza dai testi sacri e dalla loro notevole influenza sul diritto. L’islam, pur riconoscendo l’opportunità di una crescita del valore della moneta nel tempo, ne vieta la sua realizzazione nel prestito permettendola solo come parte integrante di una transazione reale. Rifuggendo l’interesse, il mondo islamico basa il sistema finanziario sul concetto della Shirkah, ossia la condivisione dei profitti e delle perdite di qualsiasi attività imprenditoriale. Tecnica, questa, accreditata in letteratura per avere effetti particolarmente positivi sugli aggregati dell’economia reale, sullo sviluppo e sulla distribuzione del reddito. Tali caratteristiche portano le istituzioni finanziarie Sharia-compliant ad allontanarsi dalla figura di “debt holder” propria del modello convenzionale, per avvicinarsi di più a quella di “equity investor”, spingendole così ad assumere caratteristiche più simili alle merchant bank. Le peculiarità del sistema islamico richiedono uno sforzo maggiore verso l’armonizzazione degli standard prudenziali e di vigilanza, al fine di limitare gli arbitraggi regolamentari e assicurare regole minime comuni su cui fondare l’ordinato funzionamento del sistema finanziario globale. Al riguardo, sembra auspicabile una estensione al sistema tradizionale di alcuni comportamenti tipici del sistema islamico.

Come opera l’islamic banking nello scenario internazionale?

MASULLO - Nello scenario internazionale, l’islamic banking si presenta con caratteristiche diverse nei vari paesi in cui è operativo, in base al grado di islamizzazione del sistema finanziario ritenuto opportuno dai rispettivi governi. Al riguardo, nella maggior parte delle esperienze nazionali, si è optato per un sistema di dual-banking, in cui i due differenti sistemi finanziari condividono lo stesso ambiente macroeconomico con interessanti reciproche interdipendenze. In una prospettiva di lungo periodo, gli oltre quindici milioni di musulmani presenti sul territorio europeo, la forte liquidità a disposizione dei paesi arabi e la risposta molto positiva dell’islamic banking alle recenti crisi rendono lo sviluppo della finanza islamica una necessità anche per il vecchio continente. La situazione europea vede il persistere del ruolo di Londra come mercato occidentale leader del settore, ma altre importanti iniziative si registrano in paesi come Francia e Italia.

Anche in Italia si iniziano a valutare le enormi opportunità che offre il settore islamico?

MASULLO - Il nostro paese sembra iniziare a prendere coscienza delle enormi opportunità che l’implementazione del settore islamico offre, soprattutto da un punto di vista strategico-politico, alla luce della recente nascita dell’Unione per il Mediterraneo, potenzialmente foriera di eccezionali possibilità cooperative per l’asse italo-arabo.

La finanza islamica ha una stretta dipendenza dai testi sacri?

MASULLO - La cornice di riferimento dell’etica commerciale islamica, è infatti, da un millennio la Sharia, termine arabo usato per indicare la legge divina contenuta nel Corano e nella Sunna. Il Corano contiene l’insieme delle rivelazioni che il Profeta Maometto afferma di aver ricevuto quattordici secoli fa da Allah ed è destinato ad ogni uomo sulla terra a prescindere dalla sua fede religiosa. La Sunna, invece, seconda fonte della legge islamica, è costituita dagli atti e dai detti del Profeta, trasmessi negli Hadith. Nell’analisi delle fonti religiose, un ruolo centrale è quello del Fiqh, la giurisprudenza islamica, che permette una lettura appropriata ed una corretta interpretazione della volontà divina. Sembra evidente a questo punto, come risulti difficile gestire l’islamic banking solo con le leggi del sistema bancario-finanziario capitalistico, troppo lontano dal preciso utilizzo del denaro dettato dalla legge coranica. Nei paesi in cui la Sharia è legge di stato, come in Iran, Sudan, Pakistan, si è giunti alla completa islamizzazione del sistema bancario, con la scomparsa delle banche convenzionali. Negli altri paesi a maggioranza musulmana, invece, i due tipi di istituti bancari convivono in un esempio di dual banking. In realtà, la legge cranica nell’enunciare i principi economici, si presta a varie interpretazioni critiche dei testi sacri, lasciando spazio ai differenti punti di vista delle diverse scuole di pensiero.

I cinque pilastri dell’Islam fondamenta della fede islamica, sono condivisi in tutta la popolazione musulmana?

MASULLO - Il primo pilastro dell’Islam è rappresentato dalla proibizione del prestito a interesse legato al fattore temporale, Riba, che, equiparato all’usura, è visto alla stregua di uno sfruttamento e un’ingiustizia. Queste stesse restrizioni hanno operato per secoli anche nel cristianesimo, per poi gradualmente piegarsi alla pressione dei riformisti e ai bisogni del commercio. La Riba rappresenta, comunque, solo il primo dei cinque principi base islamici, che influiscono direttamente sulla vita quotidiana della popolazione musulmana vietando alcuni comportamenti, con conseguenze notevoli anche sulle pratiche economiche. Le altre limitazioni riguardano il divieto di intraprendere iniziative Gharar, attività con alla base una irragionevole incertezza; Maisir, molto simile alla speculazione; Haram, attività in settori esplicitamente proibiti dal Corano, come la distribuzione e produzione di alcol, tabacco, armi, carne suina, pornografia e gioco d’azzardo. Il quinto ed ultimo pilastro della religione islamica è la Zakat, ossia, l'obbligo religioso di "purificazione" della propria ricchezza, che ogni musulmano deve adempiere per potersi definire un vero credente. Spesso vista come elemosina, la Zakat, non ha alcun elemento di volontarietà. Nasce, infatti, come un prelievo sui beni superflui di ciascuno e serve a rendere lecita e fruibile alla comunità la propria ricchezza materiale. Tutto ciò si concretizza in un pagamento di una quota-parte dei guadagni, che viene ridistribuita in favore delle categorie più svantaggiate della società islamica. Le banche islamiche, vista la proibizione della Riba, hanno dovuto implementare un metodo alternativo di allocazione delle risorse, che tradizionalmente si è concretizzato soprattutto nella tecnica della condivisione delle perdite e dei profitti. Nell’islamic banking il profitto può essere legittimato esclusivamente dalla componente di rischio, in quanto, secondo la Sharia, il guadagno non è ammissibile, a meno che non sia connesso all’assunzione di rischi. Si tratta, dunque, di un nuovo e diverso rapporto tra il creditore e debitore. La compartecipazione, comunque, è un concetto comune a più religioni e comunità, ma è in questa cultura che è divenuto fondamento della vita economica oltre che sociale, portando molti osservatori a riconoscere una potenziale maggiore equità della finanza islamica. In un sistema centrato sulla compartecipazione, chi presta denaro non richiede interesse, ma prende parte a quelli che saranno i risultati dell’attività, in percentuale sugli utili futuri. Allo stesso modo, l’erosione del capitale, in caso di perdite, sarà sopportata da entrambe le controparti.

Su cosa si basa questo modello di partecipazione?

MASULLO - Tale modello di partecipazione si basa essenzialmente su due elementi fondamentali: il rapporto di fiducia tra chi mette a disposizione i capitali e chi li utilizza, condividere le stesse sorti impone la creazione di una relazione proficua e duratura basata sul reciproco interesse; l’impossibilità della formazione di sacche di ricchezza a discapito solitamente dei più deboli e con minori capacità di contrattazione. In un’economia completamente islamica, dunque, essendo le relazioni economiche legate da rapporti di condivisione dei risultati economici, più un’impresa produce profitti, più la banca finanziatrice ottiene a titolo di remunerazione del finanziamento. Contestualmente, inoltre, i depositanti acquisiscono un ammontare di ricchezza, tanto maggiore quanto maggiori saranno gli utili dell’istituzione finanziaria. Si verrebbe così a creare un automatico processo di allocazione della ricchezza, che nell’economia occidentale risulta eventuale ed impantanato in tutta una serie di accordi, compromessi, conflitti di potere. Il confronto sulla distribuzione della ricchezza spinge ad affermare la maggiore equità sociale della finanza islamica, al di là di quelle che siano le convinzioni religiose, politiche e culturali. In questo senso, la maggiore attenzione che una banca islamica deve avere riguardo alla solidità del progetto e alle competenze gestionali dell’imprenditore, rende il merito creditizio relativamente meno importante.

Le banche islamiche posso finanziare progetti non finanziabili dalle banche convenzionali?

MASULLO - I progetti non finanziabili dalle banche convenzionali, possono essere egregiamente finanziati dalle banche islamiche attraverso la tecnica del profit loss sharing, che può servire da stimolo al progresso economico nei paesi in via di sviluppo. In questo senso, la maggiore attenzione che una banca islamica deve avere riguardo alla solidità del progetto e alle competenze gestionali dell’imprenditore, rende il merito creditizio relativamente meno importante.

Che rilevanza assumono la corporate governance e il governo societario?

MASULLO - In ottica prettamente gestionale, le tematiche come la corporate governance e il governo societario, assumono maggiore rilevanza nella realtà islamica, visto il carattere religioso alla base del finanziamento e l’addizionale strato di governo derivante dagli Sharia Supervisory Boards. La caratteristica comune a tutte le istituzioni finanziarie è la presenza di tale comitato indipendente, costituito da esperti di diritto e finanza islamica, che vigila ex-ante, sulla conformità della gestione alla Sharia. In materia di corporate governance, è inoltre indubbiamente riconosciuta, anche nel mondo finanziario islamico, l’indispensabilità del risk management. Il sistema bancario islamico, nonostante le differenze significative in materia, non sembra voler rinunciare a confrontarsi col principio “convenzionale” della regolamentazione del capitale, alla luce della posizione di assoluta preminenza che l’Accordo di Basilea ha conquistato a livello internazionale. Si può cercare di descrivere le fasi e le soluzioni adottate per rimodulare il conventional banking verso l’introduzione della finanza islamica. Naturalmente una scelta così importante quale può essere l’introduzione dell’islamic banking deve essere motivata da adeguate necessità in termini di domanda. Infatti, proprio la richiesta di tali prodotti, come visto precedentemente, è in costante sviluppo. Quest’ultimo è dovuto al crescente interesse degli investitori islamici guidati soprattutto da sigenze di diversificazione geografica del loro portafoglio. Chiaramente, lo sviluppo ed il recepimento di normative in materia di implementazione di un sistema finanziario islamico necessitano di addetti ai lavori altamente preparati in materia, per provvedere alla domanda dei consumatori che vogliono rispettare i dettami del corano.

Quali sono le aree di maggiore rilevanza per l’introduzione di una banca islamica?

MASULLO - Le aree di maggiore rilevanza nella fase di introduzione di una banca islamica sono quattro: la conformità alla sharia, la netta separazione dei fondi islamici da quelli convenzionali, la creazione e la diffusione di standard di contabilità e l’aumento del numero delle campagne di consapevolezza. In materia di conformità alla Sharia ci si affida agli Sharia Scholars, ovvero esperti di legge islamica, con la funzione di certificare che l’attività bancaria avvenga nel rispetto dei principi islamici. Tali esperti, dividendosi nelle varie istituzioni, promuovono una coerenza generale dei servizi offerti. La prima misura da intraprendere se si desidera offrire prodotti islamici è quindi la nomina di uno Sharia board, che consente di minimizzare il rischio Sharia. Un ruolo importante in materia di indirizzo è quello delle diverse istituzioni multilaterali internazionali create per favorire lo sviluppo dell’islamic banking. Tali istituzioni, pur non avendo poteri vincolanti, godono però di alta considerazione da parte dei policy-makers internazionali. Un secondo punto da affrontare con chiarezza durante le prime fasi dell’implementazione è la netta egregazione dei fondi islamici da quelli convenzionali. Si tratta, in questo caso, di un principio base stabilito per mantenere la purezza morale di tutte le transazioni islamiche. La terza variabile da considerare è il panorama contabile. Purtroppo, infatti, la rapida espansione dell’islamic banking non è stata accompagnata da uno stesso sviluppo di regole di contabilità internazionalmente riconosciute, non favorendo l’impressione della massima trasparenza del settore islamico. Riguardo la trasparenza, inoltre, l’informazione che i depositanti e gli investitori hanno sui rischi sarà determinante per lo sviluppo dell’islamic banking. Occorre, quindi, che il consumatore sia informato e in questo senso potrebbero risultare molto utili le campagne di consapevolezza.

Quando è possibile la conversione all’islamic banking?

MASULLO - La conversione all’islamic banking risulta possibile in diverse forme, in base alla volontà dell’intermediario stesso e al suo interesse nel settore. Generalmente le istituzioni finanziarie convenzionali preferiscono, durante la fase iniziale, sondare le potenzialità del mercato attraverso un progetto pilota che prende la forma delle islamic windows. Le finestre islamiche, infatti, permettono di soddisfare i bisogni base della clientela di una società islamica, offrendo principalmente depositi e strumenti trade-finance per piccole e medie imprese. Una volta implementato un’islamic window, e avendolo portato avanti per un periodo di tempo necessario a garantirsi una clientela base, l’istituzione finanziaria può decidere se stabilire una controllata islamica o convertirsi in una banca completamente islamizzata. Il vantaggio di optare per la controllata è la possibilità di continuare a servire i clienti convenzionali, mentre quello di scegliere per la conversione in una banca completamente islamica sono le significative ricadute positive in termini di credibilità. In conclusione, vi è un acceso dibattito in materia di coerenza con la Sharia, riguardo all’istituzione delle banche islamiche con capitali provenienti da banche convenzionali. In questo caso, infatti, non risulta assolutamente garantito che i fondi in questione siano originati da attività conformi all’Islam. Al riguardo, spesso la soluzione adottata è stata quella di permettere la formazione della nuova istituzione islamica in ogni caso, purché deliberi future donazioni caritatevoli come via di purificazione dei fondi.

Come era l’interazione tra economia-religione-etica nell’Europa?

MASULLO - Nel vecchio continente è stata sempre molto viva l’interazione tra economia, religione ed etica. La storia economica europea è, in effetti, un esempio di come l'intreccio dell’attività economica e finanziaria con i credo religiosi e le tradizioni sia sempre stato in costante evoluzione e finalizzato a fornire risposte adeguate all’evolversi della società. La presenza araba in Europa tra l’ottavo e l’undicesimo secolo, soprattutto in Spagna, Francia, Portogallo e Italia, è stata un esempio di società votata alla cultura, alla tolleranza e alla prosperità economica grazie soprattutto ai fiorenti commerci fra oriente ed occidente. Tali connessioni storiche, sommate alla recente spinta verso la globalizzazione in termini sia di flussi migratori musulmani verso l’Europa sia di internazionalizzazione dei mercati, rinvigoriscono l’interesse per la finanza islamica da parte del vecchio continente. Non sembra casuale, quindi, la domanda di finanziamenti e di prodotti bancari conformi alla Sharia venuta recentemente alla luce in numerosi paesi europei. La risposta istituzionale in materia sia da parte dei governi che delle autorità di controllo del sistema bancario, si è rivelata molto differente nelle varie nazioni. Regno Unito, Francia e Germania hanno risposto, seppur con intensità diversa, a tali necessità. In altre realtà, invece, il grande interesse in materia è stato frenato dall’atteggiamento di prudente attesa che, come nel caso italiano, ha limitato quasi totalmente lo sviluppo di questo alternativo sistema finanziario. Le potenzialità future di tale domanda sono riscontrabili nel fatto che l'Islam sia oggi la religione in più rapida ascesa a livello mondiale e che tale sviluppo sia accompagnato, soprattutto nei paesi europei, anche da un aumento della classe media musulmana.

I clienti musulmani europei preferiscono la gestione Halal dei propri affari finanziari?

MASULLO - E’ difficile, quindi, non ipotizzare per il prossimo futuro la crescita della finanza islamica in Europa, spinta inoltre dalla preferenza, sempre più decisa, del cliente musulmano europeo alla gestione Halal dei propri affari finanziari. Ad oggi, sono circa quindici i milioni di musulmani residenti nel vecchio continente, con un ammontare totale di risparmio gestito, stimato in quattordici bilioni di dollari nel 2020. In questo senso, gioca un ruolo importante anche il crescente interesse per i prodotti finanziari islamici mostrato anche da parte della popolazione non musulmana, vista la sicurezza che i prodotti Sharia compatibili offrono sia in termini etici che di collegamento con il sistema reale. Tutte queste variabili hanno spinto le autorità competenti in materia, negli ultimi anni, ad accogliere e cercare di soddisfare tutte le richieste della comunità musulmane europea, spesso ignorate in passato. Inoltre, la crescente richiesta di prodotti islamici da parte di investitori professionali per ragioni di diversificazione di portafoglio, ha spinto verso la visione dell’islamic banking come una lucrativa opportunità di business. La prova tangibile delle potenzialità del settore islamico e di una sua, seppur limitata, maturità raggiunta si è avuta in questo ultimo periodo di completa instabilità dei mercati internazionali. Sembra, infatti, che “il business della finanza islamica non sia stato toccato dalla tempesta subprime. Anzi, la crisi del credito potrebbe favorire l'espansione dei prodotti finanziari compatibili con le leggi islamiche anche al di fuori dei mercati asiatici e dei paesi del golfo, grazie al loro collegamento costante con l’economia reale. Una conferma a questa tesi arriva dall’andamento dei principali indici azionari del settore islamico. Nel 2007, infatti, il DJIM e il DJIM Europe si sono apprezzati rispettivamente, del sedici e del venti per cento, rendimenti di gran lunga superiori ai rispettivi indici americani. Nello stesso anno, infatti, il DJUS ha registrato un aumento nell’ordine del sei per cento. Dopo queste considerazioni, sembra lecito concludere che i prodotti finanziari islamici si stiano spostando nell’Europa continentale, con diversa intensità nei vari paesi, da prodotti di nicchia a prodotti di più ampio espiro. Inizia a diffondersi nell’opinione pubblica europea la considerazione, del sistema di relazioni economico finanziarie regolamentate dal diritto islamico come una solida e praticabile alternativa, o meglio un’aggiunta al sistema finanziario convenzionale.

Come si comporta la lobby bancaria tradizionale?

MASULLO - Al riguardo, la lobby bancaria tradizionale non ha alcun interesse a perdere quote di mercato e, quindi, la sua posizione monopolistica nei mercati finanziari europei a favore delle istituzioni finanziarie islamiche. Tuttavia, come visto, nello stesso tempo, non può permettersi di non considerare l’importante realtà del risparmio islamico. In questo senso, la soluzione di compromesso sembra essere stata raggiunta attraverso l’implementazione, nella quasi totalità dei casi europei, delle islamic windows da parte delle istituzioni convenzionali. In occidente, in particolare in Europa, il sistema bancario islamico ha catturato l’attenzione della comunità finanziaria e delle autorità regolamentari negli ultimi decenni del ventesimo secolo. La questione è stata affrontata diversamente nei vari paesi, ma tuttavia resta l’Inghilterra la nazione ad aver maturato l’esperienza più significativa in materia, rappresentando un modello da seguire nell’adozione dell’islamic banking per i paesi a maggioranza non musulmana. Il Regno Unito è stato capace di attrarre le maggiori banche islamiche oltre che per la numerosa popolazione musulmana residente, conseguenza delle forti relazioni storiche con vari paesi orientali, anche grazie alle notevoli capacità degli operatori del settore finanziario e all’importanza a livello internazionale del mercato inglese. A livello geografico poi, l’alternativa inglese risulta allettante se confrontata con quella americana, peraltro sfavorita dagli attuali rapporti politici con alcuni paesi islamici. La somma di tutte queste variabili ha portato ad un naturale indirizzo del mondo musulmano verso l’Inghilterra.

Quando nasce l’islamic banking in Inghilterra?

MASULLO - Formalmente, la nascita dell’islamic banking in Inghilterra risale al 1982, con l’istituzione dell’Al Baraka International Bank a Londra. Da quel momento e nel corso degli anni, gli inglesi hanno affrontato l’implementazione della finanza islamica evitando ogni discussione di carattere religioso o culturale. L’islamic banking è stato considerato semplicemente un’innovazione finanziaria, emersa nell’ambito dell’industria dei servizi finanziari. Si è, infatti, evitato una legislazione che fosse legata a uno specifico credo religioso, mantenendo l’importante principio dell’unica licenza bancaria, a differenza di altri paesi, che come visto hanno invece optato per un sistema di dual banking. Il processo d’implementazione di una istituzione finanziaria islamica nel Regno Unito risulta, quindi, uguale a quello di una qualsiasi banca convenzionale. Questo perché si è ritenuto opportuno non introdurre la categoria della banca islamica ma solo modificare opportunamente la normativa esistente al fine di consentirle di operare. Due problematiche hanno catalizzato particolarmente l’attenzione, la neutralità fiscale dei prodotti Sharia compliant e il principio della tutela dei depositi. I primi interventi per garantire una tassazione neutrale ai due diversi sistemi finanziari si sono avuti con il “Finance Act” del 2003 e le successive modifiche del 2005. E’ stata, infatti, prima introdotta l’abolizione della doppia imposta di registro nelle transazioni immobiliari assimilabili al contratto Murabaha e poi creata la nozione di «reddito finanziario alternativo, alla quale si è conferita la medesima deducibilità fiscale degli interessi passivi. Senza mai citare nomi di strutture contrattuali islamiche, il legislatore inglese ha definito delle nozioni generiche, specificando però precise condizioni entro le quali è possibile far rientrare i principali contratti islamici. In questo senso, fu riconosciuto al canone di un’Ijara immobiliare o di un Musharaka, la stessa deducibilità fiscale degli interessi passivi di un mutuo. In materia di tutela dei depositi, invece, un ruolo importante è stato quello della Islamic Bank of Britain, istituita nel 2004. Al riguardo la normativa inglese richiede l’obbligatorietà del rimborso affinché si abbia un deposito. Tuttavia, come ribadito nel testo, ciò contrasta con i principi base della finanza islamica, che condiziona il rimborso al risultato dell’attività imprenditoriale collegata. Il problema è stato agevolmente superato con l’inclusione, nella legislazione inglese, di alcune specifiche clausole nel contratto di deposito. Nella Islamic Bank of Britain, infatti, iltitolare di depositi d’investimento si espone al rischio di vedere intaccato il valore nominale del deposito. Tuttavia, nel caso in cui ciò avvenga, la banca ha la possibilità di mitigare la perdita del depositante, diminuendo o rinunciando all’incasso di commissioni o attingendo direttamente ad un fondo destinato alla stabilizzazione degli utili. E’ importante, però, sottolineare come la banca in questione sia comunque tenuta ad offrire al depositante un pagamento per l’ammontare della perdita subita. Nel caso in cui il depositante decidesse di accettare l’offerta ricevendo dalla banca il corrispettivo per la perdita subita, non sarà più considerato coerente con i principi islamici. Con queste specifiche clausole si è riusciti a preservare sia il principio di partecipazione ai profitti e alle perdite sia quello di tutela dei depositi. L’istituzione dell’Islamic Bank of Britain ha favorito, inoltre, la nascita di una realtà operativa retail, che visti gli attuali due milioni di musulmani residenti nel paese, presenta un ottimo mercato domestico potenziale che chiede di essere seriamente considerato. Oggi, alcune conventional banks operanti nel paese, offrono ai clienti britannici un’ampia scelta di prodotti e servizi. Particolare interesse riscuotono l’investment banking, il project finance, il private banking e alcuni finanziamenti retail, soprattutto nella forma della Musharaka decrescente. In questa figura contrattuale, il prenditore progressivamente acquisisce le attività del prestatore, pagando contestualmente un canone di affitto. Gli attuali venti bilioni di dollari in attività Sharia-compliant, fanno del mercato inglese l’ottavo centro finanziario islamico al modo ed il primo nei paesi occidentali.

Quali sono gli obiettivi attuali del governo britannico in materia di finanza islamica?

MASULLO - Gli obiettivi attuali del governo britannico in materia di finanza islamica sono chiari e consistono, nel mantenere la posizione leader di Londra come centro finanziario internazionale, continuando ad ampliare il range di prodotti finanziari a disposizione dei consumatori e nell’assicurare che a nessuno venga negato di intraprendere qualsiasi attività finanziaria, a causa di discriminazioni religiose. La scelta legislativa inglese, riguardo al principio della licenza bancaria unica, sembra aver indirettamente influito sulla scelta comune alla maggioranza delle istituzioni finanziarie convenzionali riguardo l’adozione delle “Islamic Windows”. Queste comode finestre sul mondo delle islamic banking, permettevano, infatti, una prima analisi della reale domanda del settore islamico. Tale formula operativa, si è rivelata un fattore chiave, nel recente sviluppo della finanza islamica nel Regno Unito. In conclusione, le ultime novità legislative del paese in materia di islamic banking riguardano l’introduzione della possibilità di emendare la legislazione in materia finanziaria attraverso la legislazione secondaria, in modo tale da assicurare maggiore flessibilità al sistema. Proprio tale flessibilità dovrebbe aiutare il settore islamico a raggiungere obiettivi importanti, in termini di standardizzazione di prodotti e servizi, spesso mancati in passato. Il recente sviluppo esponenziale del settore e i problemi derivanti dalle differenti interpretazioni degli Sharia Scholars, non sembrano, infatti, aver favorito la standardizzazione delle procedure inglesi, in materia di islamic banking. Il governo di Londra intende rimuovere gli ultimi ostacoli tecnici che impediscono l'emissione di 'bond islamici', prodotti finanziari che rispettano la sharia, la legge islamica. Lo ha comunicato il Ministero del Tesoro; secondo molti banchieri islamici - nel Paese ci sono cinque banche islamiche - il Parlamento votera' il mese prossimo per definire i 'sukuk' come bond, piuttosto che come veicoli di investimento, e cio' favorira' lo sviluppo di questo mercato. Nel rispetto della legge islamica, i sukuk non prevedono il pagamento di interessi, ma dal punto di vista regolatorio sono stati finora difficili da classificare. Il provvedimento che il governo presentera' in parlamento ridurra' i costi legali e rimuovera' gli ostacoli alla loro emissione.Sarah McCarthy-Fry, sottosegretario al Tesoro ha spiegato che ''il governo intende migliorare la competitivita' del Regno Unito nei servizi finanzari mantenendo la posizione di leader nella finanza islamica internazionale, e facendo si' che chiunque, a prescindere dalla fede religiosa, abbia accesso a prodotti finanziari con prezzi competitivi.

In Europa quanti musulmani vi risiedono?

MASULLO - L’attuale popolazione musulmana del vecchio continente si aggira sull’ordine dei venti milioni di persone, la metà dei quali residenti nelle due grandi comunità francese e tedesca. Il primo paese europeo in termini di musulmani residenti è la Francia, anche se alcuni problemi di stima scaturiscono dal divieto di censire la popolazione della Repubblica francese in base al carattere religioso. Canzano 18 – Cosa succede in Francia?

MASULLO - I sei milioni di musulmani attualmente presenti sul territorio transalpino si collegano ai flussi migratori provenienti soprattutto da Algeria, Marocco e Tunisia. La Francia mantiene, infatti, una forte influenza economica e politica in questi paesi, frutto delle sue forti connessioni storiche e culturali con il mondo arabo in generale. Senza entrare nel merito dell’integrazione sociale, alcune caratteristiche qualitative della popolazione musulmana oltralpe risultano importanti: la metà dei musulmani residenti sono cittadini francesi a tutti gli effetti e spesso si tratta di immigrazione oramai di seconda o terza generazione. Peculiarità queste, che aumentano in maniera esponenziale la necessità dei servizi finanziari richiesti, soprattutto nel settore immobiliare. Tutte queste riflessioni sembrano, dunque, giustificare l’enorme interesse in materia di finanza islamica da parte del governo transalpino, interesse rinvigorito dalla recente richiesta di licenze per operare nel paese, da parte di tre tra le più importanti istituzioni finanziarie islamiche: la Qatar Islamic Bank, la Kuwait Finance House e Al-Baraka Islamic Bank. Al riguardo, è sembrato molto positivo il parere dell’attuale ministro francese dell’economia e delle finanze Christine Lagarde, che punta a rilasciare le dovute autorizzazioni già entro il 2010 . In materia di finanza islamica, l’obiettivo dichiarato del governo francese è quello di implementare vigorosamente il sistema Sharia-compliant, con un’attenzione particolare al segmento wholesale che rappresenta il business principale del settore islamico a livello globale. In una prima fase si punterà, quindi, soprattutto ai settori dell’investment e corporate banking e, solo in un secondo momento, si svilupperà l’allettante segmento retail. Tale pianificazione mira a portare in Francia una quota significativa della liquidità orientale per competere, nel lungo periodo, con Londra, per la leadership del settore a livello europeo. L’obiettivo della leadership europea potrebbe sembrare poco realizzabile, visto l’attuale significativo svantaggio francese in materia di islamic banking ma, con una più attenta valutazione, considerando le posizioni di partenza e le potenzialità, se ne rivaluta la credibilità, almeno per quanto riguarda l’obiettivo di lungo periodo. In questa direzione, la Francia sta lavorando molto per recuperare il terreno perso cercando di suscitare interesse nella comunità finanziaria francese sviluppando una più approfondita conoscenza in materia. Al riguardo, un ruolo fondamentale è stato quello dei primi due forum nazionali sull’islamic banking. Nel primo, del 2007, si è infatti chiarito alla comunità finanziaria francese, quali potessero essere i risvolti positivi, in termini di attrattiva internazionale, dell’implementazione dell’islamic banking nel mercato parigino. Nel secondo, tenutosi l’anno passato si sono, invece, analizzate le variabili su cui lavorare, affinché l’implementazione del settore islamico possa avvenire senza problemi. Attualmente il dibattito francese è incentrato sulle questioni politiche e regolamentari, per rendere possibili i necessari aggiustamenti tecnici alla legislazione francese in modo da ridurre i classici impedimenti di carattere fiscale e legale allo sviluppo della finanza islamica. In questa importante prima fase d’attuazione del sistema islamico, il Ministro Lagarde, supportata da una commissione di esperti finanziari, sembra voler dar vita ad un nuovo percorso attuativo basato sulle necessità della popolazione francese. E’ stata, infatti, proprio la forte comunità musulmana, attraverso varie associazioni, a spingere la politica ad una maggiore considerazione del settore in termini di riforme utili ad introdurre strumenti di finanza islamica. Al riguardo, nel 2007, l’autorità responsabile del mercato finanziario francese ha autorizzato la creazione di schemi di investimento collettivo Sharia-compliant, autorizzati in base al rispetto di particolari criteri come l’investimento in settori Halal e l’applicazione di alcuni ratio finanziari. Al riguardo, risultano escluse le compagnie con debito totale in bilancio superiore ad un terzo della loro capitalizzazione media dell’ultimo anno. Sotto il punto di vista tecnico, la piazza di Parigi sembra assicurare le necessarie competenze per riuscire a creare sinergie eccezionali tra il sistema islamico e quello convenzionale. La velocità con cui l’islamic banking si svilupperà nel territorio francese, dipenderà molto, quindi, dall’operato del governo e da come questo settore innovativo verrà percepito dalla popolazione.

E lo sviluppo del settore islamico in Germania?

MASULLO - Lo sviluppo del settore islamico in Germania, ha avuto invece, sorti differenti rispetto alla realtà francese. I cinque milioni di musulmani residenti nel territorio tedesco, per la maggior parte di origine turca, non sono riusciti a mantenere alto l’interesse del governo in materia. A tal proposito, nel recente passato, la Germania si era distinta per interventi pioneristici nell’islamic banking, come la prima emissione europea di sukuk nel 2004, di ammontare pari a cento milioni di euro, avvenuta nello stato federale della Saxony-Anhalt. Questa iniziativa, però, nonostante la risposta positiva in termini di sottoscrizione, non ha trovato il giusto seguito, perchè non favorita dall’attuale linea politica tedesca, caratterizzata da un progressivo calo d’interesse per il settore islamico, in controtendenza rispetto agli altri paesi europei. La mancanza di interesse politico in materia di islamic banking sembra scaturire soprattutto da problemi di educazione al mercato ed indirizzo del mercato stesso. Nel campo dell’educazione del mercato, il ruolo delle autorità tedesche sembra, in questa fase, insufficiente a favorire lo sviluppo del settore islamico mentre sotto il punto di vista dell’indirizzo del mercato, molte istituzioni finanziarie tedesche sono operative nel settore, operando però, solo oltre i confini nazionali. Al riguardo, la Bundesbank non ha rilasciato alcun tipo di licenze in materia, obbligando tutte le operazioni Sharia-compliant effettuate sul territorio nazionale, ad essere strutturate in collaborazione con banche islamiche estere. Il generale disinteresse politico teutonico, comunque, non sembra aver limitato molto l’ammontare degli investimenti arabi sia nel mercato di capitali sia nel settore immobiliare tedeschi. Inoltre, il carattere meno discriminatorio del sistema giuridico tedesco rispetto alle esigenze dell’islamic banking, inteso soprattutto a livello di ingerenza fiscale, sembra aver favorito la crescita delle operazioni di finanza islamica, strutturate principalmente sotto forma di Sukuk, Mudaraba e Musharaka. In conclusione, la forte componente musulmana in Germania, il suo potenziale economico a livello mondiale e gli effetti della recente crisi finanziaria, non potranno che favorire lo sviluppo dell’islamic banking sia come risposta ai bisogni della comunità musulmana residente sia come alternativa, in termini di diversificazione, per la totalità della popolazione tedesca. Risulta chiaro, dunque, come la quota di mercato attuale della finanza islamica in Germania sia molto lontana dal suo. Gli investimenti arabi nel settore immobiliare tedesco ammontano a più di 400 milioni di euro di attività in possesso e altri 300 milioni sono attesi per l’anno in corso. potenziale, considerazione questa, che contribuisce ad alimentare l’interesse in materia.

La situazione italiana e il potenziale mercato dell’islamic banking?

MASULLO - La storia dell'Islam in Italia ha radici profonde che risalgono all’ Ottocento, periodo in cui la Sicilia e altre regioni meridionali subirono la dominazione araba per oltre due secoli. Oggi, l'Italia ospita quasi un milione e mezzo di musulmani che rappresentano, oltre il trenta per cento della popolazione straniera residente e quasi il tre per cento dell’intera popolazione nazionale. In termini di rilevanza economica, si noti, inoltre, come il sei per cento del Prodotto Interno Lordo italiano sia prodotto esclusivamente da immigrati e come le necessità finanziarie della popolazione islamica residente si siano evolute, parallelamente al più alto livello di integrazione raggiunto, verso più sofisticate tecniche economiche. Da bisogni finanziari base come le rimesse degli emigranti o i servizi di pagamento, si è passati a necessità di più lungo periodo, tipiche di una popolazione di seconda generazione che continua a crescere anche in termini di disponibilità economiche. Con il consolidamento della presenza sul territorio, la comunità islamica ha avviato operazioni di acquisto di proprietà immobiliari, sia private che commerciali, finanziate tramite strumenti bancari convenzionali o attraverso rare soluzioni mirate offerte da istituti di credito nazionali. A livello imprenditoriale, inoltre, nel territorio italiano si contano circa settantamila imprese avviate da cittadini musulmani che necessitano di una maggiore innovazione finanziaria. Lo sviluppo della finanza Shariah-compliant in Italia risponde, dunque, sia ad esigenze di investimento sia a quelle di risparmio da parte della collettività islamica presente a livello nazionale. Nonostante tali connessioni sia storiche che attuali, l’Italia resta uno dei pochissimi primari paesi europei a non aver ancora implementato il sistema finanziario islamico, diffuso ormai in tutte le principali piazze finanziarie globali. In Italia si nota però, un recente significativo interessamento in questo senso da parte sia del mercato che del sistema politico in generale. Le banche italiane stanno, infatti, lentamente prendendo coscienza delle opportunità che l’implementazione del settore islamico offre in termini competitivi, tra le quali una maggiore raccolta bancaria, le potenziali sinergie con l’intero mondo arabo, la maggiore capacità di internazionalizzazione delle imprese e il forte messaggio di integrazione sociale. Come prova di tale interesse in materia, nel 2007 l’associazione bancaria italiana e l’Union of Arab Banks, ossia l’insieme dell’industria bancaria araba, hanno firmato un memorandum di intenti, in base al quale è stata programmata una attiva collaborazione fra le parti. E’ stata prevista, infatti, un’opera di avvicinamento e cooperazione, fra i due sistemi bancari, per cercare di accrescere i già forti rapporti economici tra i paesi arabi e quelli del mediterraneo, Italia in primis. In Italia è stata conclusa, nel 2006, la prima operazione finanziaria islamica in Italia, una Murabaha applicato ad una operazione immobiliare a Pavia. Nonostante l’indubbio valore simbolico, tale operazione si è rivelata per la verità molto costosa, visto il permanere in Italia, della doppia imposta di registro sulla Murabaha, a causa del fittizio doppio trasferimento di proprietà dell’immobile. Problematica fiscale, questa, comune ad altri paesi europei. La seconda iniziativa italiana nel settore islamico, riguarda l’implementazione di una transazione Ijara Wa Iqtina e sta richiedendo diversi mesi di analisi giuridica e fiscale per riuscire a soddisfare sia le esigenze della Sharia che quelle del codice civile italiano. Nonostante questi singoli esempi, tuttavia, gli operatori bancari sono stati fortemente sfavoriti dalla mancanza di un quadro normativo di riferimento, indispensabile per lo sviluppo del settore. La diffusione di strumenti finanziari Sharia-compliant in Italia è sicuramente un'esigenza per la competitività del paese e di adeguamento al trend internazionale, ma la loro introduzione ed il loro utilizzo richiedono una adeguata gestione e supervisione per le molteplici difficoltà connesse sia alla loro interpretazione che alla loro implementazione.

Quali sono problematiche legate all’apertura di una banca islamica in Italia?

MASULLO - Da un punto di vista civilistico, il problema sostanziale è lo schema di raccolta e prestito della banca islamica che non richiede l’obbligo di rimborso, necessario, invece, nei sistemi bancari convenzionali. In ambito fiscale, inoltre, si presentano numerosi ostacoli operativi, come la doppia imposta di registro su una transazione immobiliare strutturata su una Murabaha e la non deducibilità fiscale degli oneri finanziari di una Ijara immobiliare. Al riguardo, l'impostazione concettualmente corretta sembra essere quella basata sul trattamento fiscale applicato all'aspetto economico delle transazioni e non a quello giuridico. Il modello inglese menzionato prima, avendo già affrontato e risolto tali problemi, può senza dubbio rappresentare un modello a cui ispirarsi. La scelta britannica di non definire una normativa a parte cercando, invece, di inquadrare con flessibilità il fenomeno dell’islamic banking nel quadro normativo esistente sembra, infatti, la più opportuna per i paesi europei. Ad una prima analisi delle condizioni esistenti ritengo che l’implementazione di una banca islamica in Italia, obiettivo di tutte le iniziative elencate, possa largamente favorire il paese, quale ulteriore canale di sviluppo economico-finanziario a disposizione della popolazione nello sviluppo dei suoi rapporti economici con il vicino mondo arabo. Sembra necessario, infatti, vista la globale crisi di liquidità, promuovere investimenti nelle due direzioni ed intercettare una parte di surplus di risparmio proveniente dal mondo islamico. In conclusione, il posizionamento strategico dell’Italia, la sua fitta rete di piccole istituzioni finanziarie distribuite sul territorio e il più forte movimento di finanza etica in Europa, rendono l'Italia un candidato naturale per lo sviluppo del settore islamico. Ritengo, a questo proposito, che una volta risolti i problemi di carattere fiscale e normativo, l ' Italia potrà svolgere un ruolo centrale nel mediterraneo ; il paese infatti, oltre ad avere una bilancia commerciale di svariati miliardi di dollari con i paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo, svolge un ruolo chiave nel dialogo euro-arabo, rappresentando il paese del G7 più vicino al mondo arabo. L'interesse verso la finanza islamica si pone, dunque, come una questione di posizionamento strategico-politico, anche in relazione alla nascita dell'Unione per il Mediterraneo che punta a coinvolgere economicamente i quarantatre paesi del mediterraneo meridionale e orientale, attraverso la loro cooperazione in specifiche attività pubbliche e private.

Resta sempre aperto il dibattito sulla compatibilità delle attività islamiche con l'attuale sistema di regolamentazione bancario italiano?

MASULLO - Sebbene il dibattito sulla compatibilità delle attività islamiche con l'attuale sistema di regolamentazione bancario italiano resti ancora aperto, la seconda direttiva UE sul settore bancario, grazie al principio del “mutuo riconoscimento” sembra facilitare, almeno in linea di principio, l'apertura di una banca islamica sul territorio italiano. L’utilizzo del passaporto bancario che permette ad un ente bancario autorizzato in un paese europeo di offrire prodotti in tutta l'Unione Europea senza la necessità di disporre di autorizzazione separata sembra, infatti, una valida alternativa in termini operativi. La situazione attuale, vede però, il persistere delle difficoltà del sistema bancario italiano, soprattutto nel confronto con un modello di intermediazione del credito basato su principi di natura religiosa. I prodotti finanziari e i concetti della finanza islamica restano poco conosciuti anche all’interno della comunità finanziaria e imprenditoriale italiana. Si nota, comunque, al riguardo un forte aumento dell’interesse in materia, focalizzato soprattutto sulla risoluzione di importanti questioni interpretative a livello civilistico, come la tutela dei depositi, e sulla qualificazione giuridica-fiscale delle attività islamiche. In conclusione, le varie operazioni arabe in programma in Italia serviranno da volano al settore islamico. Al riguardo, il progetto più importante riguarda Palermo, dove con oltre due miliardi di euro, la Limirless, società degli Emirati Arabi Uniti, punta a risanare il centro storico, gestire il porto e creare nuove aree turistiche. Il tutto rispettando, naturalmente, i principi della Sharia.