30 settembre 2010

11 settembre, la madre di tutte le coincidenze


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Vi proponiamo la traduzione di un articolo sull’11/9 scritto da un giornalista statunitense, Eric S. Margolis, che ha collaborato spesso con i media mainstream, dai tradizionali «Toronto Sun» e «New York Times» al più recente aggregatore di notizie «Huffington Post». L’articolo sembra segnalare che tira un’aria diversa sul tema 11 settembre. Perfino un giornalista che finora non si è discostato troppo dalle versioni governative - un conservatore che fa parte del think tank International Institute of Strategic Studies, una vita da inviato globetrotter nelle aree di crisi - perfino lui riorganizza i discorsi, i ricordi, i collegamenti dei fatti connessi all’11/9, per concludere che la verità è stata insabbiata.

Rivela anche di aver incontrato Bin Laden negli anni novanta, sebbene questa rimanga solo una sua dichiarazione.

«Huffington Post» ha subito cancellato questo articolo scomodo. Non sarà l’unica resistenza ai ripensamenti, ma un giornalista a fine carriera si può concedere libertà sconosciute, e allargare l’area che rompe i tabù.

"Gli interessi economici degli Stati Uniti e strategici in Medio Oriente e il mondo musulmano sono minacciati dall’agonia della Palestina, che inevitabilmente si difende pianificando azioni terroristiche volte a colpire le ricchezze americane e persino gli stessi cittadini"

Eric Margolis. Sun Media. 2 settembre 2001.

Dall’11 settembre i lettori chiedono di continuo il mio parere su questi attacchi. Sono stato talmente sommerso da migliaia di e-mail che ancora mi gira la testa.

Una delle teorie più pittoresche è quella del generale Hamid Gul, ex direttore dell'ISI, (l’agenzia dei servizi di intelligence pakistani) Continua a sostenere che l’11-settembre fu organizzato dal Mossad israeliano e da un gruppuscolo di estrema destra formato da generali della US Air Force

Ho ispezionato le rovine delle Torri Gemelle a New York, dove mi era capitato abbastanza spesso di cenare al ristorante dell’ultimo piano. Il centro ("Downtown") di Manhattan era avvolto da miasmi orribili e maleodoranti dovuti agli attentati. Non avevo mai respirato niente di tanto nauseante. Ho impiegato giorni per liberarmi da questo odore. Come newyorkese, questi avvenimenti mi hanno fortemente sconvolto, ma non mi hanno sorpreso, giacché nove giorni prima avevo previsto un attacco di grande portata contro gli USA. [Vedere citazione sopra – NdT]

Nel corso di una delle mie visite al Pentagono per una riunione sul Medio Oriente, ho ispezionato anche il muro esterno colpito dal terzo aereo dirottato.

Ho visto delle foto del luogo dell'impatto e non comprendo cosa sia successo a tutti i detriti dell'aereo. Non ne restava praticamente nulla.

Nel 1993, il mio volo Lufthansa per il Cairo è stato dirottato mentre sorvolava la Germania. Il pirata dell'aria di origine etiope, ci ha riportato fino a New York. Minacciava di fare schiantare l'aereo su Wall Street.

Il nostro aereo fu intercettato dai caccia F15 americani che avevano ricevuto l'ordine di sparare in caso di necessità. Ma dov’era la difesa aerea l’11 settembre 2001?

All'indomani dell’11-settembre, la CNN mi ha chiesto se ci fosse Bin Laden dietro questi attacchi. «Dobbiamo ancora vedere le prove» ho risposto. E a tutt’oggi mantengo questa stessa posizione.

Bin Laden ha negato che lui o al-Qa‛ida fossero i responsabili degli attacchi aerei dell’11/9 e della morte di quasi 3000 persone. Il complotto è stato organizzato ad Amburgo in Germania e a Madrid in Spagna, non in Afghanistan. Un pakistano, Khalid Sheik Mohammed, ha affermato di essere lui la mente dell’11 settembre, ma questo dopo che la CIA lo ha torturato sottoponendolo a 183 sedute con simulazione di annegamento.

Pur negando ogni sua implicazione, Osama Bin Laden ha detto che secondo lui le motivazioni degli attacchi di New York erano da ricercarsi parzialmente nella distruzione da parte di l'Israele del centro di Beirut all'epoca dell'invasione del Libano nel 1982, che aveva provocato circa 18mila vittime civili.

I video trasmessi in seguito per confermare che Bin Laden era colpevole sono dei falsi mal confezionati. Sono stati ritrovati a loro dire in Afghanistan dagli uomini dell’Alleanza del Nord che combatte i taliban, che era stata creata e finanziata dai servizi segreti russi.

Ho incontrato Osama Bin Laden in Afghanistan e ho detto alla CNN che non era l'uomo che appariva su questi video.

Subito dopo l’11 settembre, il Segretario di Stato Colin Powell aveva promesso agli americani che il Dipartimento di Stato avrebbe divulgato un "White Paper" con le prove dettagliate della colpevolezza di Bin Laden. Il governo taliban dell'Afghanistan aveva richiesto questo documento come preliminare all'estradizione di Bin Laden richiesta dagli USA.

Ebbene, questo famoso "White Paper" non è mai stato diffuso, gli USA hanno ignorato le procedure legali in vigore e hanno invaso l'Afghanistan. Stiamo ancora aspettando queste famose prove.

Io non so ancora se Osama Bin Laden fosse davvero dietro questi attacchi. Numerosi elementi fattuali potrebbero far sospettare di lui e di al-Qa‛ida, ma mancano sempre all’appello le prove certe a sostegno di questa ipotesi. Una cosa è sicura: gli attacchi furono pianificati e organizzati in Germania, non in Afghanistan. Dei 19 pirati dell'aria, 15 erano sauditi, due erano originari degli Emirati arabi uniti, uno era egiziano e un altro libanesi.

Peraltro, ho detto e ripetuto fin dal giorno dell’11/9 come la pericolosità e le dimensioni di al-Qa‛ida fossero state immensamente esagerate, cosa del resto confermata dal prestigioso Istituto Internazionale di studi Strategici (IISS) nell’esplosivo rapporto pubblicato a Londra questa settimana. Il numero di membri di al-Qa‛ida nata per combattere i comunisti afgani non ha mai superato le 300 unità.

Attualmente, secondo Léon Panetta, capo della CIA, non ci sono non più di 50 uomini di al-Qa‛ida in Afghanistan. E tuttavia, il presidente Obama ha triplicato le truppe USA in Afghanistan, portando il loro numero a 120mila, a causa di ciò che lui definisce "la minaccia" al-Qa‛ida. Che cosa succede?

Sono tanti coloro che credono che al-Qa‛ida sia un'invenzione americana utilizzata per giustificare le operazioni militari all'estero. Non condivido questo punto di vista. Osama Bin Laden non è stato mai un agente della CIA, anche se il suo gruppo ha beneficiato indirettamente di fondi da parte della CIA per combattere i comunisti.

Tornando all’11 settembre, non riesco a capire come dei piloti dilettanti siano stati in grado di manovrare a bassa quota aerei di quelle dimensioni e colpire esattamente il WTC ed il Pentagono. Come mi faceva notare un agente dell’Intelligence pakistana, «se fossero stati veramente dei dilettanti, avrebbero fatto schiantare i loro aerei l'uno contro l'altro, non sul World Trade Center!».

L'arresto di "addetti ai traslochi" israeliani mentre filmavano gli attacchi danzando di gioia, e quello seguente di gruppi di studenti israeliani che avrebbero "seguito" i futuri pirati dell'aria, resta un profondo mistero per me. Stessa cosa dicasi per l’immobilità della difesa aerea.

La Commissione di inchiesta sull’11/9 e stata un'operazione di cancellazione, come tutte le commissioni governative. Esse nascono appositamente per occultare e non per rivelare la verità.

Nel 2006, un sondaggio di Scripps Howard e del «Washington Post» ha rivelato che il 36% di un campione di 1000 americani interrogati era convinto che dietro gli attacchi ci sia stato il governo USA. Sono molti gli americani che non credono nella versione ufficiale sull’11-settembre.

Stessa cosa per gli europei. Il mondo musulmano nel suo complesso pensa che l’11 settembre sia stato opera d’Israele e dell’estrema destra neoconservatrice guidata da Dick Cheney

Se la versione ufficiale sull’11/9 fosse vera significherebbe che gli attacchi hanno sorpreso l'amministrazione in piena letargia mentre al contrario, proprio in quel periodo, avrebbe dovuto essere in massima allerta. Condoleezza Rice, l’incompetente perfetta, la Consigliera nazionale per la sicurezza di George W. Bush, non solo ignorò tutta una serie di avvertimenti molto preoccupanti riguardo a probabili futuri attentati, ma tagliò persino i fondi la lotta antiterroristica proprio nel periodo antecedente l’ 11/9.

La Casa Bianca ed i media si sono precipitati ad incolpare i musulmani sostenendo che questi «odiavano lo stile di vita ed i valori americani», diffondendo così il concetto di «terrorismo islamico» che vuole che sia la fede musulmana, e non i problemi politici, all'origine degli attacchi.

Questo balla pericolosa ha contaminato l'America, e ha portato ai massimi livelli l'islamofobia. Il continuo fracasso creato attorno alla costruzione di una moschea nel centro di Manhattan, e le minacce di un prete della Florida di bruciare testi del Corano sono i due più recenti e deplorevoli esempi di quanto possa essersi inasprito l’odio religioso.

Il commando suicida che aveva attaccato New York e Washington aveva giustificato chiaramente il suo atto: a) punire gli Stati Uniti per il loro appoggio a Israele nella sua politica di repressione contro i palestinesi; b) ciò che essi definiscono come occupazione USA dell’Arabia saudita. Benché fossero tutti musulmani, la religione non era il fattore scatenante

Come ha ben fatto notare il veterano della del CIA Michael Scheuer, il mondo musulmano era furioso contro gli Stati Uniti per la loro politica nella regione, e non per i valori, le libertà o la religione americana.

Queste motivazioni all'origine degli attacchi dell’11/9 sono state largamente ignorate dall'isteria crescente per via del " terrorismo islamico." L’invio di lettere contenenti antrace spedite a New York, in Florida ed a Washington proprio subito dopo l’11/9 aveva chiaramente per scopo quello di aumentare la collera contro i musulmani.

Gli autori di queste missive avvelenate non sono mai stati identificati.

Tuttavia, questi attacchi all'antrace hanno accelerato l'approvazione delle leggi semi-totalitarie del PATRIOT ACT, che hanno limitato drasticamente le libertà individuali degli americani e hanno imposto nuove leggi draconiane.

I falsi video e le cassette audio di Bin Laden. Gli attacchi all'antrace. Il Corano ritrovato intatto in modo del tutto improbabile a Ground Zero. Le prove ritrovate nella valigia che uno dei pirati pare non fosse riuscito a far imbarcare sull’aereo poi dirottato. Le affermazioni immediatamente diffuse a solo poche ore di distanza dagli eventi secondo cui al-Qai‛da fosse dietro gli attentati. Questi piloti dilettanti kamikaze e l’anomalo velocissimo cedimento delle Torri.

Ma ancora più scioccante, la registrazione del colloquio a Londra tra il presidente George Bush e il primo ministro Tony Blair, laddove si sente il presidente degli USA fare questa terribile proposta per scatenare la guerra con l'Iraq: dipingere degli aerei USA con colori dell'ONU e provocare le difese aeree irachene per spingerle ad attaccare sparando ebcreando così un "casus belli". Bush avrebbe anche preannunciato a Blair che dopo l'Iraq, avrebbe attaccato l'Arabia saudita, la Siria ed il Pakistan.

Nel 1939, la Germania nazista aveva travestito i suoi soldati con le uniformi polacche al fine di provocare un incidente di frontiera e giustificare così l'invasione della Polonia da parte della Germania. I piani di Bush erano dello stesso stampo. Un presidente capace di concepire tali operazioni criminali potrebbe andare ben più oltre pur di realizzare i suoi sogni imperialistici.

Per un vecchio giornalista come me tutto ciò odora di marcio. Ci sono veramente troppe domande senza risposte, troppi sospetti, e poi non dimentichiamo la famosa locuzione di Cicerone che dice "cui bono", "a chi giova tutto ciò?"

Il 28 febbraio 1933, un incendio, scatenato da un ebreo olandese, distrusse il Parlamento tedesco, il Reichstag (dove Hitler non si sedette mai, NdT)

Mentre le rovine del Reichstag fumavano ancora, Adolf Hitler dichiarò «guerra al terrorismo».

Venne promulgato un decreto «per la Protezione del Popolo e dello Stato», che sospendeva tutte le protezioni legali in materia di libertà di parola, di riuniobe, di proprietà, e di libertà individuali. L'incendio del Reichstag permise al governo di fermare senza la benché minima procedura legale le persone sospettate di terrorismo e di dare praticamente i pieni poteri alla Polizia.

Tutto questo vi ricorda qualche cosa?

Ed ecco un'altra coincidenza sorprendente. Due anni prima dell’11/9, una serie di esplosioni in edifici abitativi in Russia uccise più di 200 persone. Si accusò il " terrorismo islamico" ceceno.

Il panico invase la Russia e favorì l'ascesa al potere dell'ex-agente del KGB Vladimir Putin.

Agenti della sicurezza russa appartenenti al FSB furono presi con le mani nel sacco mentre tentavano di piazzare esplosivi in un altro edificio, ma la storia fu soffocata.

Un ex agente del FSB, Alexander Litvinenko, che tentò di fa luce su questo episodio, fu assassinato a Londra avvelenato con polonio radioattivo.

Con lo stesso sistema i neoconservatori dell'amministrazione Bush utilizzarono sfacciatamente l’attentato dell’ 11/9 per promuovere l'invasione dell'Iraq.

Subito prima dell'invasione i sondaggi mostravano come l’80% degli americani fossero convinti, a torto, che Saddam Hussein fosse dietro gli attacchi dell’11/9.

Il Dottor Goebbels sarebbe stato fiero.

Alla fine cosa possiamo concludere?

1) Non sappiamo ancora che cosa sia veramente accaduto l’11 settembre.

2) La versione ufficiale non è credibile.

3) L’11 settembre è servito per giustificare le invasioni strategiche dell'Afghanistan e dell'Iraq ricco in petrolio.

4) gli attacchi hanno precipitato il popolo americano in guerre contro il mondo musulmano e hanno arricchito l'industria USA degli armamenti.

5) L’11 settembre ha favorito i neoconservatori pro-israeliani, dando le redini del potere a questo gruppo inizialmente marginale, e con questi ha rafforzato anche l'estrema destra totalitaria americana.

6) la guerra ingiustificata di Bush contro l'Iraq ha distrutto uno dei due grandi nemici dell'Israele.

7) L’11 settembre ha immerso l'America in quello che potrebbe essere definito uno stato di guerra permanente contro il mondo musulmano, il che era uno dei principali obiettivi dei neoconservatori.

Ma a tutt’oggi io non ho prove di come l’11 settembre sia stato un complotto ordito dall'estrema destra o da Israele oppure sia il risultato di una gigantesca operazione di depistaggio («cover-up»).

Forse fu soltanto la "madre" di tutte le coincidenze.

Oppure ha potuto non essere che l’azione di 19 arabi furibondi e un'amministrazione Bush maldestra alla ricerca di un capro espiatorio.

di Eric Margolis

Rifiuti campani: la politica delle pezze


Tutto secondo copione, poco più di due anni dopo una campagna elettorale in cui l'emergenza rifiuti in Campania era stato il tema centrale dello scontro politico ed il terreno su cui si era giocato lo spostamento di milioni di voti: nei telegiornali sono tornate le immagini dei cassonetti campani stracolmi di rifiuti, della polizia in tenuta antisommossa a presidiare le discariche, dei cittadini inferociti, per i quali ci sono sempre le due solite etichette, "fiancheggiatori della camorra" oppure "pochi isolati dell'area dell'antagonismo". Niente di nuovo sotto il sole del Golfo.

Ancora una volta, si tratta di un'emergenza che viene sovraesposta mediaticamente per un solo aspetto, quello dei rifiuti urbani. Ma è solo l'ennesima falsa emergenza, presentata da una sola angolazione. Infatti, non è certo questo che preoccupa. A dare pensieri seri a chi è competente in materia, é semmai la totale assenza di una progettualità, di una seppure vaga idea di un ciclo integrato dei rifiuti. Certo, qui la camorra non c'entra molto, anzi quasi nulla: la storia della mancata risoluzione del problema dei rifiuti campano (e di tante altre regioni italiane) è una storia di mala politica, di mala amministrazione, piuttosto che di malavita.

In Campania la produzione di rifiuti è nota e ben misurata. Attualmente, la regione produce in un anno 2.8 milioni di tonnellate di rifiuti urbani e ben 4.5 milioni di rifiuti speciali di provenienza industriale, e la Campania non è certo una delle regioni più industrializzate d'Italia. Da altre parti, spesso e volentieri i rifiuti speciali sono oltre il doppio di quelli urbani, e solo per questo dovrebbe risultare alquanto sospetto che un'emergenza rifiuti riguardi i soli rifiuti solidi provenienti dalle utenze domestiche. I sospetti aumentano se si nota che in Campania non esiste né un ciclo integrato per i rifiuti urbani né uno per i rifiuti speciali, anche se di questi ultimi si tende fin troppo spesso a non parlare. Ed è proprio in questo settore, invece, che la malavita s’innesta alla perfezione.

In questo quadro, quel che trova spazio nel panorama informativo italiano sono gli attacchi con vetri rotti ai mezzi di trasporto, gli scontri con la polizia. Cioè solo ad alcuni effetti del problema, ma non certo al problema stesso. Anche quando si parla dei rifiuti, si parla solo dello stadio finale, dello smaltimento. Come se aprire una discarica, che prima o poi si esaurirà, o un inceneritore - che chiederà maggiori quantità di rifiuti e prima o poi non basterà più - possa essere la soluzione. Sarebbe certamente più serio e costruttivo parlare di politica dei processi industriali, di come modificarli affinché generino minori quantità di scarti e scorie, di politica dei materiali e tutto il resto. Ma in Italia, si sa, si preferisce alla politica la mala politica e soprattutto si preferisce fare cose che permettano spese ingenti di capitali pubblici e che facciano girare i soldi. Soldi che oggi girano per aprire una nuova discarica a Terzigno, domani da qualche altra parte.

Nel caso particolare di questi giorni, l'attuale maggioranza di governo del Paese attribuisce la responsabilità della situazione alle aziende municipalizzate: sarebbe quindi un problema organizzativo delle singole realtà municipali. Per l'opposizione, l'Esecutivo non ha fatto altro che illudere i cittadini, non fornendo un ciclo completo e virtuoso per lo smaltimento dei rifiuti. I cittadini, in realtà, per ora si chiedono dove sia la verità; anzi, a dire il vero, sono 16 anni che se lo chiedono.

Nella Campania reduce da una gestione commissariale straordinaria che dura dal febbraio 1994, la famosa "soluzione" sbandierata da Berlusconi all'indomani della vittoria elettorale del 2008 è stata quella di mettere qualche "toppa" qua e là, costituita da qualche discarica poco capiente, spesso e volentieri di rifiuti indifferenziati. Esaurita la discarica, se n’é aperta un'altra, poi un'altra ancora, sempre con spirito "emergenziale". Facendo sempre attenzione a rimuovere bene i rifiuti dal centro-salotto del capoluogo, visitato dai turisti e a limitare la circolazione di stampa e telecamere nelle periferie. In pratica, volendo fare un paragone con una partita a scacchi, si è scelto di giocare senza un piano. E giocare a scacchi senza un piano, è sempre una strada perdente.

Lo si vede in questi giorni a Terzigno: questo continuo andare a risolvere con delle toppe messe qua e la, poteva al massimo far tardare di qualche mese la venuta dei nodi al pettine e fa emergere in modo inconfutabile la mancanza di un vero e proprio ciclo integrato dei rifiuti. Questa è la situazione di oggi in Campania: una vera soluzione non è mai stata adottata, anzi addirittura neanche pensata. Si è preferito applicare delle pezze successive. In nome della situazione di emergenza, le discariche sono state imposte con la forza in luoghi dove non dovrebbero essere situate, come a ridosso di centri abitati o all'interno di un parco nazionale. Tutto è stato fatto nel nome dell'emergenza e del "fare presto", sacrificando quindi continuamente il "fare bene" e, in fin dei conti, la legge stessa.

Anche per quanto riguarda la permeabilità del sistema dei rifiuti dalla criminalità organizzata, delle vere e proprie misure non sono mai state prese. Per tutta l'epoca commissariale si è agito, ancora una volta per "emergenza", senza fare delle gare di appalto regolari, senza svolgere regolari controlli antimafia. Il risultato è che il ciclo criminale dei rifiuti speciali, compresi quelli tossico nocivi, ancora oggi (contrariamente a quel che sbandiera chi si ostina a negare) gode di ottima salute e si sovrappone non solo al ciclo del cemento, come avviene da trent’anni, ma sta invadendo in pieno il ciclo agricolo, facendo finire i rifiuti anche sulle nostre tavole.

Eppure le soluzioni esistono, ma tutte le buone soluzioni non possono certo essere imposte dall'alto da questo o quel prefetto, vanno invece concertate con tutta la società civile. Peccato che proprio la concertazione è venuta a mancare in Campania da almeno otto anni, provocando una gravissima frattura, tuttora non sanata, nella democrazia della regione. Sono le conseguenze di questa frattura democratica, quelle che ci fanno vedere nei TG, non certo le conseguenze di "fiancheggiatori della camorra", che di solito si guardano bene dall'andare a fare tafferugli con la polizia fuori le discariche. Sono i segni della frattura democratica causata dal fatto che fino ad oggi si è sempre cercato di imporre dall'alto certi determinati modelli di soluzione al problema dei rifiuti, sempre limitatamente a quelli urbani. Ma sono modelli che non sono né accettati né ben visti dalla società civile e neanche dai tecnici, che di ciclo dei rifiuti ne capiscono.

Intanto, se oggi tocca alla Campania e alla Sicilia, si vedrà domani a chi toccherà: la Campania e la Sicilia non sono le uniche regioni italiane ad essere in emergenza rifiuti, sono in compagnia di Calabria, Puglia e Lazio e, prima o poi, toccherà anche ad altre regioni. D'altronde, in un'Italia che sembra aver perso ogni forma di memoria, sia storica sia a breve termine, pare che nessuno ricordi più dei primi anni '90, quando l'emergenza rifiuti era in Lombardia e Milano era ricoperta di rifiuti. All'epoca il problema venne risolto da qualcuno che poi è andato a ricoprire un ruolo di primo piano anche nell'emergenza campana: lo fece circondando la città di inceneritori, che al passare degli anni non bastano più, perché hanno spinto tutta la società ad incrementare la mole dei rifiuti prodotti, ad usare prodotti usa e getta.

Tornando alla Campania, dove le cose sono molto più gravi che nella Lombardia di 15 anni fa, il territorio è martoriato da migliaia di discariche abusive, alcune delle quali hanno un'età talmente elevata da essere prossime al maturare una pensione INPS. Mai bonificate, con un traffico di rifiuti speciali e tossico-nocivi di provenienza extra-regionale mai terminato e che oggi si cerca addirittura di negare. Non esiste alcuna forma di gestione dei rifiuti, qualunque essi siano, ma si preferisce far notare che qualcuno va a fare a botte con la polizia, cercando di sdoganare il messaggio che la cittadinanza si oppone alla soluzione del problema ed alla rimozione dei rifiuti dalle strade.

Ottima scelta per fuorviare chi in Campania non ci vive, ma il vero risultato che si cerca di perseguire è duplice: nascondere l'incapacità, come la mancanza di volontà, di gestire seriamente il ciclo dei rifiuti urbani, magari con meno sprechi monetari, e soprattutto mantenere sotto silenzio e lontano dall'opinione pubblica quel che succede in tutta Italia con i rifiuti di provenienza industriale. Peccato che ancora una volta sia la politica del "metterci una pezza dopo l'altra". Politica pericolosa e che non sempre paga.

di Alessandro Iacuelli

29 settembre 2010

Basilea III: banche mondiali sull'orlo del precipizio







Le banche “Troppo Grandi Per Fallire” di tutto il mondo si trovano in una condizione così precaria che, nei prossimi mesi, letteralmente qualsiasi cosa può provocare un crollo.

Ho letto commenti recenti su Basilea III postati su vari siti web e pubblicazioni finanziarie importanti ma questi non hanno colto (o hanno sviato di proposito) il messaggio sottinteso delle proposte, la cui implementazione sarà posticipata in parte al 2017 e in parte al 2019.

Basilea III è pura propaganda e il momento per la sua introduzione è stato scelto per placare i forti timori che non ci siano soluzioni in vista per trarre in salvo il sistema della moneta a corso forzoso e il sistema bancario a riserva frazionaria.



IL PROBLEMA

Le principali banche mondiali sono tutte sottocapitalizzate e questo è apparso del tutto evidente quando è crollata Lehman Brothers. Le banche stavano prendendo a prestito così tanti soldi e giocavano in modo così spericolato nel casinò globale che quando le scommesse sono andate a rotoli, si sono trovate di fronte ad un buco nero nell’ordine di migliaia di miliardi di dollari. In realtà le banche sono tutte insolventi.

Il problema si è aggravato quando i banchieri centrali (tutti corrotti, senza eccezioni) e i regolatori hanno chiuso un occhio sul modo con cui i banchieri avevano definito gli elementi che costituivano il “capitale”, così da aggirare la necessità di mantenere il rapporto di capitale.

LA SOLUZIONE DI BASILEA III

Nella sua riunione del 12 settembre 2010, il Gruppo dei Governatori e dei Supervisori, l’organismo di controllo della Commissione di Basilea sulla vigilanza bancaria, ha annunciato un importante rafforzamento dei requisiti sul capitale esistente e ha approvato all’unanimità l’accordo che aveva raggiunto il 26 luglio 2010. Queste riforme sul capitale, insieme all’introduzione di uno standard sulla liquidità globale, sono al centro del programma di riforma finanziaria globale e saranno presentate al summit dei leader del G20 che si terrà a Seul a novembre.

Il pacchetto di riforme della Commissione aumenterà i requisiti minimi di common equity dal 2% al 4,5%

Inoltre, alle banche verrà richiesto di mantenere un cuscinetto di capitali del 2,5% per sostenere futuri periodi di sollecitazioni, il che porta i requisiti complessivi di common equity al 7%.


Questo consolida la definizione più stringente di capitale concordata dai Governatori e dai Supervisori a luglio e i requisiti di capitale più elevati per le attività di trading, sui derivati e di cartolarizzazione che saranno introdotti alla fine del 2011.

Aumento dei requisiti di capitale

Secondo gli accordi raggiunti, i requisiti minimi per il common equity, la forma più alta di capitale in grado di assorbire le perdite, saranno innalzati dal livello attuale del 2%, prima dell’applicazione delle modifiche regolamentari, al 4,5% dopo l’applicazione di modifiche più severe.

Tutto questo sarà introdotto gradualmente entro il 1° gennaio 2015.

I requisiti di capitale Tier 1, che comprende il common equity ed altri strumenti finanziari che si basano su criteri più severi, aumenteranno dal 4% al 6% nel corso dello stesso periodo.


Il Gruppo dei Governatori e dei Supervisori ha inoltre convenuto sul fatto che il cuscinetto di conservazione del capitale oltre i requisiti minimi regolamentari verrà tarato al 2,5% e dovrà coincidere con il common equity, al netto delle deduzioni.

Lo scopo del cuscinetto di conservazione è quello di garantire che le banche mantengano un cuscinetto di capitale da poter utilizzare per assorbire le perdite nel corso di periodi di sollecitazioni finanziarie ed economiche.

Mentre alle banche viene permesso di attingere al cuscinetto nel corso di tali periodi di sollecitazioni, più si assottiglierà il rapporto sui requisiti minimi di capitale e maggiori saranno i vincoli sulla ripartizione degli utili.

Questa struttura consoliderà l’obiettivo di una supervisione e di una governance bancaria efficace e affronterà il problema dell’azione collettiva che ha impedito ad alcune banche di limitare le ripartizioni (come i bonus discrezionali ed i grossi dividendi), anche di fronte a situazioni con capitale in deterioramento. Un cuscinetto anticiclico che va dallo 0% al 2,5% di common equity o di altro capitale in grado di assorbire le perdite sarà implementato a seconda delle circostanze dei singoli stati nazionali.

Lo scopo del cuscinetto anticiclico è quello di raggiungere l’obiettivo macroprudenziale più ampio di proteggere il settore bancario dai periodi di eccessiva crescita del credito aggregato.

Per ogni paese, questo cuscinetto sarà in vigore solamente quando ci sarà una crescita eccessiva di credito che avrà come risultato un innalzamento del rischio a livello di sistema.

Il cuscinetto anticiclico, quando sarà in vigore, verrebbe introdotto come un’estensione del cuscinetto di conservazione.

Questi requisiti di capitale sono integrati da un rapporto sulla leva non basato sul rischio che servirà di rinforzo alle misure basate sul rischio descritte sopra.

A luglio, i Governatori e i Supervisori avevano convenuto di testare un rapporto minimo sulla leva del Tier 1 del 3% nel corso del periodo di prova in parallelo.

Sulla base ai risultati del periodo di prova in parallelo, le ultime modifiche verrebbero effettuate nella prima metà del 2017 con la prospettiva di migrare al trattamento del Pillar 1 il 1° gennaio 2018, sulla base di una corretta verifica e taratura.

In modo sistemico le banche importanti dovrebbero avere una capacità di assorbimento delle perdite superiore agli standard annunciati oggi e il lavoro su questa questione continua nei gruppi di attività del Financial Stability Board e della Commissione di Basilea.

LA SCAPPATOIA & L’AMMISSIONE DI INSOLVENZA

Fin dall’inizio della crisi le banche si sono assunte l’impegno di aumentare i loro livelli di capitale.

Tuttavia, i risultati preliminari dell’esauriente studio sull’impatto quantitativo condotto dalla Commissione mostra che, a partire dalla fine del 2009, le grandi banche avranno bisogno, in totale, di una quantità significativa di capitale aggiuntivo per rispondere a questi nuovi requisiti.

Le banche più piccole, particolarmente importanti per i prestiti erogati alle piccole e medie imprese, nella maggior parte dei casi rispondono già a questi standard più elevati.

I Governatori ed i Supervisori hanno anche convenuto su accordi di transizione per implementare i nuovi standard.

Questo per garantire che il settore bancario possa soddisfare gli standard più elevati sui capitali attraverso trattenute equilibrate sugli utili e aumenti di capitale, e nel contempo continuando ad erogare prestiti all’economia.

LA PROVA INCONFUTABILE CHE LE BANCHE SI TROVANO NELLA MERDA FINO AL COLLO

Siete pregati di leggere tutti i passaggi che ho evidenziato in grassetto sopra. Se le banche fossero sempre capitalizzate in modo adeguato e se ai banchieri centrali collusi con questi bankster fosse impedito di effettuare manipolazioni, non ci sarebbe alcun bisogno delle regole di Basilea III.

Nel dire questo non sto assolutamente ammettendo che con questi nuovi requisiti le banche saranno capitalizzate in modo adeguato.

La semplice verità è che fintanto che il casinò dei derivati sarà aperto e alle banche sarà concesso di continuare le loro attività fuori bilancio, non si risolverà nulla. Le due tabelle qui sotto la dicono tutta:




Fonte: Basel iii Compliance Professionals Association (B iii CPA)


Come può essere sufficiente un requisito finale di capitale dell’8 per cento quando la leva, secondo Basilea III, può ancora essere al livello astronomico di 33 a 1 ? Nella seconda tabella, non ci vuole un genio per concludere che la crisi del settore bancario (se saremo fortunati) potrebbe “risolversi” entro il 2015 ma è più probabile che potrà risolversi soltanto entro il 2017/2018.

Questa è una chiara ammissione del fatto che tutte le banche avrebbero bisogno di un simile periodo di transizione per adeguarsi ai nuovi requisiti!

La cruda realtà è che in questo momento critico le banche “Troppo Grandi Per Fallire” non hanno né la capacità né i mezzi per aumentare il capitale. Per usare un’analogia, il paziente bancario sarà in terapia intensiva fino al 2017, cosa piuttosto ottimistica perché questa previsione crede che il paziente sarà in grado di riprendersi.

La mia opinione è che Basilea III sia pura propaganda e sia intesa per dare l’impressione che i banchieri centrali e i regolatori abbiano tutto sotto controllo. Ma è una grossa bugia!

Avevo detto in un mio articolo precedente che la FED, attraverso il QE I, aveva acquistato degli asset tossici dalle banche: una parte di quei fondi erano stati utilizzati per sostenere le riserve mentre un’altra parte per acquistare Buoni del Tesoro (per dare l’illusione di asset di qualità migliore nei bilanci delle banche). Ce ne sono molti di più, migliaia di miliardi di dollari di rifiuti tossici che nessun QE (quantitative easing) può eliminare. Questa situazione non tiene nemmeno in considerazione i rifiuti tossici negli SPV – quelle cose astruse tenute fuori bilancio. La FED e gli organismi di controllo hanno sospeso le norme contabili che hanno permesso alle banche di nascondere questa spazzatura tossica negli SPV e di non doverla annoverare nei loro bilanci.

SUPPORTO VITALE

Il QE I ha solamente permesso alle banche “Troppo Grandi Per Fallire” di continuare un qualche genere di attività bancaria nascondendo pertanto all’opinione pubblica che erano insolventi, e quindi impedendo una corsa agli sportelli.

Ma i banchieri centrali non possono avere la botte piena e la moglie ubriaca. Nel tentativo di sostenere la fiducia dell’opinione pubblica nelle banche con l’introduzione di Basilea III, hanno senza volere sputato il rospo e, come mostrano le due tabelle, le banche sono tutte insolventi.

Inoltre, qualunque siano le riserve accumulate, queste sono insufficienti per incentivare ulteriormente i prestiti, perché le banche hanno raggiunto i loro limiti in base al sistema di riserva frazionaria. Questo è il motivo della contrazione del credito e non, come ha ipotizzato un commentatore, che Basilea III “contrarrebbe il credito”.

Due sono i problemi che gravano sulle banche:

1) capitale insufficiente per far fronte alle passività (prestiti); e

2) riserve insufficienti nel sistema a riserva frazionaria.

Questo è un grosso casino!

IL GIOCO DELLA FIDUCIA

In questo momento non riesco a dare una tempistica precisa su quanto la FED e i banchieri centrali di tutto il mondo possano ancora prolungare il gioco della fiducia, illudendo l’opinione pubblica e i creditori sovrani che vada tutto bene.

Quando, per qualsiasi ragione, la fiducia nelle banche svanirà, le conseguenza saranno terribili e ci saranno grandissime rivolte in tutto il mondo. Il primo segnale che il gioco sta per finire sarà quando la FED aumenterà gli acquisti di Buoni del Tesoro americano per compensare i deficit dei creditori stranieri e per finanziare la crescita del deficit degli Stati Uniti.

Tutto ad un tratto alcuni enti potrebbero iniziare veramente ad innervosirsi e a disfarsi dei Buoni del Tesoro, e la FED interverrebbe per sostenerli. Quindi verrà raggiunto il punto di non ritorno e si scatenerà l’inferno!

Anche la Cina fa parte di questo gioco della fiducia.

Ma, contrariamente al FMI e ad altri rinomati economisti che stanno scommettendo sulle cosiddette forze economiche di Cina e Asia, sono del parere che i Buoni del Tesoro americano crolleranno, la fiducia in tutta la moneta a corso forzoso svanirà in modo analogo e ci sarà un enorme flusso di capitale verso le materie prime, specialmente oro, argento e petrolio.

I mercati azionari asiatici saranno devastati e ci sarà una forte volatilità nei prezzi delle valute.

Quindi è pura follia e sconsideratezza quella della banca centrale malaysiana (Bank Negara) e del governo anche solo prendere in considerazione lo scambio di ringgit. Quando svanirà la fiducia negli asset espressi in dollari, la Cina sarà colpita in pieno. La terza e ultima fase dello Tsunami Finanziario Globale devasterà le economie asiatiche e questo avrà come conseguenza la più grande depressione della storia.

Tempistiche?

Tra oggi e un qualunque periodo del 2011.

Al massimo, il 2012.

Dio ci aiuti.

di Matthias Chang

Fonte: www.globalresearch.ca

28 settembre 2010

I servizi segreti nell'ambito dei tre poteri dello Stato


Sommario. 1. Premessa. La teoria della tripartizione. 2. Come funzionano i servizi segreti in teoria. 3. Come funzionano i servizi segreti in pratica. 4. Il vero potere dello stato il potere economico. 5. Conseguenze e ricadute giuridiche. 6. Conclusioni e prospettive di riforma. 7. Una storia finale.

1. Premessa. La teoria della tripartizione.

Come abbiamo più volte sottolineato in questo blog, e come è noto a chi si informa da fonti non ufficiali, ogni cittadino, non solo italiano, viene bombardato di false notizie fin dall’infanzia, in modo che non abbia chiara la percezione di come funziona il mondo.
La disinformazione fa da padrona anche nell’Università, che in teoria dovrebbe essere il tempio del sapere.
Per quanto riguarda la facoltà di legge, una delle bufale che ci propinano fin dal primo anno, all’esame di diritto costituzionale, è quella della teoria della tripartizione.

Questa teoria risalirebbe a Montesquieu, e sarebbe valida ancora oggi perché lo stato moderno sarebbe fondato, secondo tutti gli studiosi concordi, sui suoi principi.

In base ad essa i poteri dello stato sarebbero tre:
legislativo (il parlamento);
esecutivo (il governo);
giudiziario (la magistratura).

Tale teoria la troviamo trasposta anche nella Costituzione, ove la parte II si intitola infatti “Ordinamento della Repubblica”, ed è divisa in: Parlamento, Governo, Magistratura.

Questi tre poteri sarebbero direttamente riconducibili alla volontà popolare, secondo l’articolo 1 che enuncia: “la sovranità appartiene al popolo”.
Il popolo infatti eleggerebbe i rappresentanti in parlamento: i politici eletti farebbero le leggi; il governo dovrebbe eseguire le leggi; e la magistratura dovrebbe vigilare sulla corretta applicazione delle leggi.
Tutti i poteri in altre parole discenderebbero dal popolo, che sarebbe, appunto, sovrano.

Questa ricostruzione è una balla colossale per due ragioni.
Anzitutto perché in realtà il popolo non è affatto sovrano, in quanto non ha il potere di scegliere i suoi rappresentanti; le ultime leggi elettorali, infatti, hanno completamente azzerato il rapporto diretto tra eletti ed elettori.
In secondo luogo, i politici dipendono strettamente dal potere economico, e dai servizi segreti, di cui eseguono supinamente le direttive.

Se ciò che dico pare esagerato, vediamo di affrontare meglio la questione.

2. Come funzionano i servizi segreti in teoria.

I servizi segreti, in ogni paese, sono quegli organi deputati alla difesa dello Stato, con il compito di raccogliere informazioni rilevanti per il governo e il parlamento; la loro particolarità è che possono agire anche con mezzi non ortodossi, ovverosia illegali, commettendo reati. E dispongono di fondi, molti dei quali fuori da ogni controllo istituzionale.

Per capire come funzionano i servizi segreti sono fondamentali due libri: quello di Aldo Giannuli, divulgativo e di facile lettura, che ne spiega il funzionamento in teoria (sia pure con molti esempi pratici); e quello di Giuseppe De Lutiis, I servizi segreti in Italia, che traccia la storia dei nostri servizi segreti, dimostrando, dati e fatti alla mano, come tale organo abbia influenzato la politica italiana nel corso di questi ultimi decenni, a tal punto che si può affermare che sono loro il vero motore del paese.

Partiamo da una prima constatazione. I servizi segreti sono denominati in realtà “servizi di informazione”.
I loro nomi sono infatti attualmente AISE (agenzia di informazioni e sicurezza esterna) e AISI (agenzia di informazioni e sicurezza interna).

Il vero compito di un servizio segreto, infatti, non è solo uccidere, combattere i servizi segreti di altri paesi, sventare attentati, sequestrare e uccidere politici come Moro, ecc. Quella è una parte poco rilevante dell’attività dei servizi, tra le meno importanti.

L’attività principale di un servizio segreto è quella di raccogliere informazioni.
In teoria un servizio segreto (un servizio segreto vero, intendo), che sia al soldo di un governo veramente democratico, dovrebbe raccogliere informazioni su chiunque (anche semplici cittadini, perché no? nonché politici magistrati, ma soprattutto su criminalità organizzata, terrorismo, ecc.) e poi relazionare al governo, o agli organi che lo richiedono, affinché si neutralizzino i pericoli per la democrazia e il paese.
Il compito di neutralizzare i pericoli non spetta poi al servizio segreto, ma a tre organi diversi:
1) alla polizia (quando si tratta di pericoli derivanti dalla criminalità comune),
2) all’esercito (quando il pericolo deriva da uno stato estero),
3) o al parlamento.
Ad esempio: i ministri di un governo da poco insediato, con politici magari al loro primo incarico, saranno completamente all’oscuro dei pericoli derivanti da stati esteri, del modo di agire delle varie mafie, delle cellule terroristiche presenti nel territorio, ecc. Spetterà quindi ai servizi segreti fare relazioni sui pericoli prioritari per la sicurezza nazionale, allertare chi di dovere di eventuali infiltrati negli apparati di governo, ecc.
E in base a queste informazioni il governo deciderà poi dove e come stanziare fondi, se per la lotta alla droga, alla mafia, al terrorismo, ecc., le zone in cui operare, ecc.

In tal modo è ovvio che si influenza in modo decisivo la linea di politica interna ed esterna.

Ora, date queste caratteristiche, le loro operazioni, nelle mani giuste (cioè con i politici giusti e con le leggi giuste) possono trasformare un paese in un’oasi di sicurezza e di pace.
In uno Stato realmente democratico, ove i funzionari dei servizi fossero scelti per meriti, per lealtà allo Stato, e per onestà, il servizio segreto sarebbe un organo vitale per la difesa dei cittadini e della democrazia.

3. Come funzionano i servizi segreti in pratica.

Fin qui la teoria.
Nella pratica però inizia il problema.
Nelle mani sbagliate i servizi segreti possono trasformarsi in un micidiale strumento di morte e di sopraffazione della popolazione.
Dal momento che sono in possesso di informazioni vitali su stati esteri, criminalità interna esterna, cittadini, politici, aziende, ecc., possono condizionare a loro piacimento la politica del paese.

Se i servizi segreti utilizzano male il loro potere, possono distorcere le informazioni, e piegare gli organi costituzionali, siano essi il governo, il parlamento o la magistratura, ai loro scopi.

Inoltre potendo operare nell’illegalità, e potendo trincerarsi dietro al “segreto” apposto sulle loro operazioni, possono compiere qualsiasi tipo di operazione illegale.

Qui nasce il pericolo.

Infatti il servizio segreto ha il potere di inventare pericoli inesistenti; di minimizzare il rischio derivanti da singoli settori della criminalità, ecc.
Inventando pericoli militari inesistenti possono ad esempio far affluire soldi al ministro della difesa piuttosto che a quello dell’istruzione.
Minimizzando la potenza delle varie mafie distoglieranno fondi dalle forze di polizia, ecc.
Confezionando scandali ad hoc potranno far saltare poltrone, promuovere la nomina di determinate persone; possono uccidere testimoni scomodi, possono ditruggere organizzazioni politiche infiltrandole ed eterodirigendone i fini, possono ricattare.

E questo pericolo è tanto più concreto, quanto più il sistema di reclutamento dei funzionari dei servizi sia poco trasparente e corrotto; ora, dal momento che è noto il grado di corruzione a tutti i livelli, dei politici e dei funzionari pubblici in generale, va da sé che con lo stesso metodo saranno reclutati i dipendenti del servizio segreto.
Con quale risultato è facile immaginare. E’ sufficiente rammentare alcuni fatti:

- in ogni strage italiana, da Capaci, a Portella della Ginestra, passando per casi eclatanti come il sequestro Moro, c’era sempre dietro lo zampino dei servizi che – quanto meno – hanno depistato e deviato le indagini.

In alcuni casi, come quello del sequestro Moro, c’è praticamente la certezza che i servizi abbiano organizzato e condotto tutto il sequestro, come abbiamo avuto modo di vedere proprio su questo blog.

Per le stragi di Capaci e via D’Amelio, è praticamente provato che il telecomando che fece saltare in aria Borsellino fu azionato dal Cerisde di Palermo, situato a Castel Utveggio, sede dei servizi segreti; e che dalla stessa sede partì la telefonata che avvertì Brusca dell’arrivo di Falcone a Punta Raisi.
Di più. La strage di Via D’Amelio pare sia stata organizzata dai SOLI servizi segreti, senza la mafia, che si è solo presa la colpa, così come a suo tempo i brigatisti rossi si presero la responsabilità del sequestro Moro (ma è stato dimostrato che i brigatisti più noti erano in realtà uomini dei servizi).

E questi sono esempi.

In compenso non esiste una sola strage in Italia, o un solo evento importante, che i servizi segreti abbiano contribuito a risolvere, facendo arrestare i colpevoli. Anzi. Nei vari processi per strage italiani, da Ustica a Piazza della Loggia al Mostro di Firenze, si riscontra sempre, inevitabilmente, con una precisione quasi chirurgica, la morte di tutti i testimoni chiave, degli investigatori, ecc. Sono morti per incidenti, per malori improvvisi, ecc., ma – come abbiamo trattato diffusamente in molti articoli del nostro blog – si tratta di morti effettuate con la stessa tecnica, con le stesse modalità, con la stessa tempistica, addirittura con identici simbolismi; e queste morti non sono attribuibili alla mafia, o alla criminalità organizzata in genere. Tecniche così sofisticate e precise possono essere il frutto unicamente di un lavoro effettuato dai servizi segreti.

. Ricordiamo poi vicende come quella del Generale Santovito, imputato nel traffico d’armi in una vicenda che coinvolgeva OLP e BR, morto prima della sentenza. O quella del generale dei ROS Ganzer, condannato a 14 anni per traffico di stupefacenti; poi i depistaggi dei servizi nella vicenda Toni e De Palo, ecc. L’elenco è infinito e potrebbe continuare a lungo.

- i funzionari dei servizi corrotti, o implicati in qualche scandalo, sono stati non arrestati e degradati, come dovrebbe essere, ma addirittura promossi o collocati in posti di prestigio. Ricordiamo ad esempio il caso del generale Mori che, messo sotto inchiesta per la mancata perquisizione al covo di Riina, è stato prima nominato capo della sicurezza del Porto di Gioia Tauro, e poi capo della sicurezza del Comune di Roma, da Alemanno.

Il genersale Miceli, capo del SID, arrestato per cospirazione contro lo stato, e sospettato di essere coinvolto in attentati, stragi, nel Golpe Borghese e delitti vari (in quanto faceva parte dell'organizzazione Rosa dei venti), coinvolto nella P2, fu assolto e promosso a generale d'armata. E, giusto per non farsi mancare niente, come ulteriore premio fu eletto deputato nell'MSI.

A questi dati ne dobbiamo aggiungere un altro:

- I vertici dei servizi, per anni, sono stati anche membri della P2 o della massoneria. Nella lista della P2 c'erano 22 generali dell'esercito e 12 generali dei Caraninieri. Nonchè tutti i vertici dei servizi segreti, Miceli, Santovito, Pelosi, Allavena, Grassini, La Bruna.

Che significa questo?
Significa che è fortissimo il legame tra servizi segreti e massoneria. Per dirla tutta, e con parole chiare, il sospetto è che i servizi segreti dipendano in realtà non dal ministro in carica, ma dai vertici della massoneria. E che cariche, compiti, fini, siano decisi non a livello politico ma massonico.

I risultati pratici ed operativi di questa situazione possono essere riassunti con alcuni esempi.

Si deve far saltare la poltrona su cui siede Marrazzo? Ecco confezionato ad hoc lo scandalo dei trans. La firma dei servizi è inequivocabile, non solo per la tecnica usata, ma anche perché il luogo dello scandalo era quella famosa via Gradoli, dove dicono fu tenuto Moro prigioniero, che altro non è se non uno stabile di proprietà dei servizi segreti.

Si deve mandare un pesante avvertimento ad Andreotti? Ecco lì belli e pronti alcuni falsi pentiti che dichiarano pure di aver visto Andreotti baciarsi con Riina.
Beninteso: non sto dicendo che le accuse mosse ad Andreotti fossero false. Sto solo dicendo che ad essere falso era in realtà il processo, perché i sospetti sulla collusioni di Andreotti con la mafia (per non dire le certezze) esistevano da molto tempo (dai tempi in cui Nando Dalla Chiesa scrisse “Delitto imperfetto”). Il punto è che le accuse sono emerse solo dopo molto tempo, e solo quando si trattava di punire Andreotti per ben altri motivi; motivi tutti interni alla massoneria internazionale, e che nulla hanno a che vedere con ragioni come legalità e giustizia.

Stessa cosa è stata fatta per Berlusconi. Le accuse di collusioni con la mafia ci sono da anni; sono note le vicende di Mangano, la condanna di Dell’Utri per associazione a delinquere di stampo mafioso, ecc., ma la notizia delle collusioni tra mafia e Forza Italia è stata sparata su tutti i giornali e sulle stesse TV di Berlusconi solo al momento giusto, quando cioè si trattava di dare un ulteriore colpo a Berlusconi, per affossarne la leadership. C’è poco da dubitare che le dichiarazioni del pentito Spatuzza (irrilevanti a livello giuridico, come abbiamo detto in un altro nostro articolo) siano un’operazione ben congegnata dei servizi.

Si deve mandare un messaggio trasversale, un ricatto, una minaccia? Ecco pronto il dossier sull’acquisto irregolare di una casa per Fini, per D’Alema, e per chiunque, detto in parole povere, rompa i coglioni.

E' nata un'organizzazione politica che si impegna troppo nel sociale? E' stato creato un centro sociale che potrebbe attivarsi troppo per far capire alla gente come funziona il sistema?
Ecco inviati un bel po' di infiltrati dei servizi, che in poco tempo distruggono l'organizzazione, o la rendono innocua uccidendo o mettendo fuori gioco i membri più pericolosi. Qualche esempio pratico? Eccolo.

Forza Nuova ha un programma troppo smaccatamente antisistema e troppo pericoloso? Ecco belli pronti e confezionati degli articoli di giornale che li presentano come razzisti e fascisti; ecco confezionato qualche bell'incidente che coinvolga i Forzanovisti, magari con qualche morto (come quello di Nicola Tommasoli) in modo che la gente associ il nome di Forza Nuova a quello di razzisti assassini. Non a caso Forza Nuova è l'unico movimento che si batte avendo tra i 9 punti del suo programma ufficiale l'abolizione dei servizi segreti.

Il centro sociale Leoncavallo è troppo attivo? Ecco qui belli e pronti incidenti stradali per i più pericolosi:
- un bel suicidio per l'avvocato del leoncavallo Lucio Iassa;
- una morte tra le fiamme, per Betty Altomare,
- un assassinio per Fausto e Iaio (ovviamente attribuito ai fascisti) ecc.
- Se poi qualche giornalista, come Mauro Brutto, inizia a sospettare che dietro ai due omicidi non ci sono i fascisti, ma i servizi segreti, no problem: lo si fa investire da una Simca 1100 che toglie di mezzo il rompicoglioni.

Delle morti sospette nei centri sociali ne abbiamo parlato più diffusamente qui.:

http://paolofranceschetti.blogspot.com/2009/01/lettere-da-una-lettrice-sui-centri.html

L’immenso potere dei servizi spiega, ad esempio, come possa essere eletto parlamentare un politico come D’Elia, che si è fatto venti anni di galera per aver ucciso a sangue freddo un poliziotto; non perché – come ha detto il prode difensore dei deboli Bertinotti – è un uomo che ha pagato il suo debito con la giustizia, ma perché era un uomo dei servizi, che ha agito sotto copertura, e che poi è stato premiato per il “servizio” reso ai “servizi”.

4. Il vero potere dello Stato. Il potere economico.

A questo punto però c’è da rispondere ad una domanda fondamentale.
A chi rispondono i servizi?
Se è vero infatti che sono questi l’organo più potente dello Stato, è anche vero che essi non hanno finalità proprie, ma dipendono a loro volta da altri poteri.
Per rispondere occorre conoscere la storia, il diritto, e la cronaca giudiziaria, per capire che sono tre gli enti cui fanno realmente capo i servizi, ma nessuno di essi è un organo regolare.
Andiamo con ordine.

Dal punto di vista giuridico, occorre leggere la nostra costituzione e alcune leggi che riguardano gli organi statali più importanti, e allora è facile individuare la prima risposta: le banche. Senza leggere teorie complottiste o autori notoriamente antisistema, è sufficiente leggere la legge con cui viene regolato il funzionamento della Banca D’Italia e della BCE, per capire che sono le banche i veri padroni del sistema in cui viviamo (capisaldi di questa legislazione delirante sono: le immunità di cui godono gli amministratori della BCE, la completa indipendenza da parlamenti e governi, e il totale assoggettamento delle banche centrali al potere delle banche private anche estere).

Dal punto di vista storico, un’analisi dei rapporti tra il nostro Stato e gli USA ci fa capire che noi siamo uno Stato a sovranità limitata, nel senso che dipendiamo sia economicamente sia dal punto di vista militare dagli USA, quindi dalla CIA. Lo dimostrano, a tacer d’altro, le innumerevoli basi NATO sparse sul territorio nazionale, che sarebbero impensabili in uno Stato veramente sovrano.

Infine, la cronaca giudiziaria – che ha dimostrato come i vertici dei servizi per decenni fossero tutti scelti all’interno della P2 – ha dimostrato che l’ente più potente, che comanda direttamente i servizi segreti, è un ente non statale: la massoneria.

Massoneria, banche e servizi segreti costituiscono quindi un connubio indissolubile, e sono portatori di interessi unitari; interessi che vengono perseguiti tramite i servizi segreti, che sono quindi un organo non al servizio del nostro governo (spesso i ministri in carica non sanno neanche come funzionano nella pratica, i servizi) ma al servizio del potere economico internazionale.
A tal proposito mi ricordo un colloquio che ebbi con l’onorevole Falco Accame, tempo fa, il quale mi disse che all’epoca in cui fu nominato sottosegretario alla Difesa, passando per gli uffici della Difesa notava degli uffici con scritto “Ufficio SB”; racconta che con alcuni suoi amici, non sapendo di cosa si trattasse, e non riuscendo a capire quali funzioni avessero questi uffici, ironizzava su di essi e li chiamavano “uffici servizi bassi”. Solo dopo molto tempo capì che era “ufficio Stay Behind”: Gladio, insomma.

5. Ricadute giuridiche di questa situazione.

In altre parole, e concludendo, viviamo in un paese ove l’organo più delicato e potente dello Stato non ha alcuna garanzia costituzionale e opera fuori da ogni controllo e al soldo di poteri che non sono affatto previsti dalla Costituzione.
Le ricadute di questa situazione dal punto di vista giuridico sono molteplici.

Primo. La sovranità non appartiene al popolo, ma al potere economico. Non a caso la sovranità monetaria, una delle più importanti forme di sovranità statale, è in mano alle banche private.
Se ne va a farsi benedire quindi l’articolo 1 della Costituzione.

Secondo. Il diritto all’informazione è una vana chimera. La verità è che le informazioni sono filtrate, manipolate, condizionate dai servizi segreti. Talvolta le notizie non sono semplicemente manipolate: sono addirittura create ad hoc (si pensi al falso dossier sulle famigerate armi chimiche inesistenti di Saddam Hussein, preparato dal nostro governo, che fu – ufficialmente – la scintilla che fece scoppiare la guerra in Iraq).
Viene vanificato cioè l’articolo 21 della Costituzione.

Terzo. Il diritto alla giustizia è, nei casi più gravi, nulla più che una chimera. I processi più importanti sono manipolati in modo da lasciare impuniti i colpevoli, in quanto la giustizia viene condizionata in vario modo, dall’uccisione dei testimoni alla corruzione dei magistrati, fino all’eliminazione fisica di magistrati, poliziotti o carabinieri che conducono seriamente le indagini.
Come abbiamo detto, è da spiegare nell’intervento costante dei servizi segreti in ogni strage italiana, nonché nei delitti più importanti, il motivo della mancata assicurazione alla giustizia dei responsabili.
In poche parole, viene reso come carta straccia tutto il titolo IV della Costituzione, dedicato alla magistratura.

Quarto. Una chimera senza fondamento è l’articolo 28, secondo cui i funzionari dello Stato sono direttamente responsabili degli atti compiuti in violazione di diritti. La recente legge sui servizi segreti, infatti, la L. 124/2007 ha addirittura rafforzato la possibilità per i dipendenti di questi organi, la possibilità di commettere reati e l’impunità per la loro commissione.
Quindi la verità è che ad essere responsabili saranno tutt’al più alcuni dipendenti pubblici in settori non vitali della Repubblica; ma i funzionari che ricoprono incarichi più delicati potranno fare quello che vogliono, sicuri della totale immunità.

6. Conclusioni e prospettive di riforma.

La situazione che abbiamo delineato sembrerebbe drammatica ma non lo è così tanto, sol che si pensi che la nostra nazione è diventata democratica da poco più di un secolo; e la monarchia è scomparsa definitivamente solo dal ’47 in poi.

Poco più di sessanta anni non possono garantire un passaggio da millenni di stato assoluto ad uno stato democratico. Per far questo ci vorranno ancora molti decenni, molto sangue, molte ingiustizie.
Presa coscienza del problema, i primi progetti politici seri dovranno essere quelli di una riforma dei servizi in senso democratico, dando a questo organo delle garanzie costituzionali; riforma non disgiunta da una completa revisione della Costituzione, in modo che siano veramente assicurati i diritto fondamentali ad ogni individuo.

In particolare, sarà necessario adeguare sempre di più i servizi al quel principio di trasparenza che, in teoria, dovrebbe permeare tutto il sistema amministrativo italiano, ricordandoci che anche tali organi sono pur sempre organi amministrativi, soggetti alle regole del diritto costituzionale e amministrativo.

Per ora, noi cittadini dobbiamo accontentarci di capire il sistema, sperando che sensibilizzando un numero maggiore di persone, venga presto il giorno in cui saranno in molti a chiedere una riforma dei servizi segreti, per trasformarli in un organo realmente a difesa del cittadino.
Tale trasformazione dovrebbe essere chiesta anche dagli appartenenti ai servizi stessi, perché i primi a pagare il prezzo di questo sistema sono i dipendenti dei servizi stessi, che – vivendo nell’illegalità e nell’ombra – possono essere uccisi da un momento all’altro quando giudicati scomodi per qualche motivo, o quando siano portatori di segreti troppo pericolosi.
Per esemplificare la drammatica situazione in cui vivono i dipendenti dei servizi stessi, concludo con il racconto di un mio amico di infanzia, il cui padre era un funzionario dei servizi segreti. All’età di dodici anni gli uccisero il padre, e la cosa – manco a dirlo – fu fatta passare per suicidio. In quello stesso periodo si “suicidarono” altri due funzionari dei servizi nel paese in cui viveva, Bracciano.

7. Una storia finale.

Per esemplificare la drammatica situazione in cui hanno sempre vissuto i dipendenti dei servizi stessi, concludo con il racconto di un mio amico di infanzia, che per comodità potremmo chiamare Giulio, Adriano o Cesare.
Il padre era un funzionario dei servizi segreti durante gli “anni di piombo”.
All’età di dodici anni perse il padre, secondo quella che definirei una “moda intramontabile”, ovvero il suicidio. Naturalmente, con il passare del tempo e l’aumento di queste morti a dir poco sospette, la storia ufficiale ha riconosciuto, con un abile gioco di parole, che non “si suicidarono” ma “furono suicidati”. D’altronde - mi racconta Giulio - era in corso una vera e propria guerra, nella quale era difficile comprendere quali fazioni fossero al servizio dello Stato e quali invece fossero “deviate”, tanto che fin troppo spesso questa verità era ignota anche agli stessi agenti.
Il trasferimento da un nuovo incarico, anche di maggior prestigio, non rappresentava quasi mai una promozione, ma solo la morte di un collega: per questo, appena giunta la notizia del richiamo in patria, il padre di Giulio comprese immediatamente la situazione. Sapeva che sarebbe morto e ne rese partecipe la famiglia, cercando di prepararla alle difficili situazioni che sarebbero seguite.
Purtroppo al peggio non c’è limite e neanche il momento di maggior dolore è in grado di allontanare la “guerra” dai superstiti, i familiari, vittime anch’essi di questi giochi di potere. La storia delle famiglie di almeno un’ottantina di fedeli servitori dello Stato è stata sempre la stessa:
- sequestro dei corpi ed esami autoptici condotti da medici legali “autorizzati”;

- perquisizioni effettuate tra i parenti in lacrime, finalizzate alla ricerca di armi, documenti ed effetti personali;

- funerali blindati, ai quali non è mai intervenuta nessuna autorità, né collega;

- blocco dei conti bancari noti ed insabbiamento delle pratiche pensionistiche, qualora una famiglia osi chiedere il riconoscimento della morte in servizio o per cause inerenti il servizio: in questo caso, nell’ottica che infangare è più semplice che premiare (ovvero spiegare al popolo fatti oggettivamente scomodi), sono stati versati fiumi di veleno che giustificassero quanto avvenuto. Il padre di Giulio, come gli altri, fu descritto come uno che aveva avuto relazioni extraconiugali, debiti, che amava la bella vita, le auto di lusso e le donne: al tempo stesso però, la sera era sempre rientrato a casa, giocava con i figli e non litigava mai con la moglie. Aveva un orticello dove coltivava la terra e trascorreva le poche giornate libere con la famiglia e gli amici e Giulio non vide mai queste belle donne e queste macchine.

Fortunatamente però le giornate duravano solo 24 ore anche per gli agenti dei servizi segreti, e quindi Giulio non credette mai a quanto veniva riportato dai giornali. Sua madre, una donna dal carattere molto forte e legata al marito da un amore indissolubile, gli ricordò quanto aveva detto suo padre ed intraprese la strada più difficile, passando attraverso tutte le tappe, tra ricatti, difficoltà economiche e minacce di morte.

Ad ogni loro mossa venivano avvicinati da uno sconosciuto che gli consigliava di salutarsi, perché magari Giulio non sarebbe tornato da scuola o non avrebbe trovato la madre al suo ritorno. Ogni mattina Giulio trovava sul cammino da casa a scuola uno sconosciuto che gli diceva "Bambino, saluta tua madre, perchè non sai se la rivedrai al tuo ritorno". Con questo stato d’animo Giulio veniva a scuola senza raccontare a nessuno quel che gli succedeva, perché non avrebbero capito. In questa situazione hanno vissuto e vivono tuttora molte famiglie di persone che sono morte credendo di fare qualcosa di buono per lo stato; credendo che il loro lavoro servisse per un fine più nobile di uno sporco gioco di potere.

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A Giulio che ho rincontrato dopo oltre venti anni e che è rimasto come allora.
Quando eravamo adolescenti dicevo spesso “mi sta molto simpatico ma nasconde qualcosa. Ride troppo e scherza troppo”.
Oggi ho capito cosa nascondeva.
Che il sacrificio di tuo padre in futuro si trasformi in energia positiva e possa essere un piccolo contributo per un miglioramento futuro della nostra società.
E che questa carneficina possa finire un giorno.

di Paolo Franceschetti

27 settembre 2010

il FMI mette le mani avanti sul debito pubblico

Il FMI con questa analisi inizia a mettere le mani avanti su quello che molto probabilmente accadrà all’Italia nel prossimo, molto prossimo, futuro.

Debito insostenibile, poco margine di manovra, necessità di misure di lungo periodo.

L’Italia ha già raggiunto la soglia che nel 1992 costò anni di lacrime e sangue per la popolazione (120% del debito pubblico sul PIL) e che ha dato alla Grecia notti insonni. La situazione in questo frangente è chiara: a questi livelli la fiducia di coloro che comprano titoli del debito pubblico diminuisce e si chiede un aumento del premio di rischio (Leggi tasso di interesse) per continuare a dare fiducia. In questo va letto l’aumento dello spread fra Bund e BTP e la recente manovra del tesoro di annullare l’asta di agosto onde evitare brutte sorprese in un clima politico precario e incandescente. Ovviamente non si parla nemmeno di possibile default, ma solo di onerosità del debito. In questo frangente però la miscela è esplosiva in quanto la crescita è a 0 e invece la macchina statale fagocita spese sempre maggiori e non si arresta se non con misure drastiche ed impopolari che si cerca di rimandare per evitare shock politici ulteriori anche se l’insofferenza della popolazione alla politica si sta facendo sempre più forte visto i fischi a Letta, prima all’Aquila e ieri a Venezia…e le contestazioni a dell’Utri.

Oggi il debito pubblico italiano è quasi totalmente in mano a banche e istituzioni finanziarie per l’86,34% e solo il 13,66% in mano alle famiglie (fonte ADUSBEF) e questo rende la situazione ancora più difficile e manovrabile dall’esterno. Per una comparazione della situazione dobbiamo risalire al 1991 quando le famiglie detenevano il 58,64% e il debito era detenuto all’estero solo per il 5,99% (nel 2005 la quota detenuta all’estero era passata al 53,31%).

Allora avevamo una valuta sulla quale si avventarono gli avvoltoi, ricordate la svalutazione del meno 30% in una notte e l'uscita della lira dallo SME? oggi con l'euro l'unico mezzo è quello di non comprare i titoli del debito pubblico. Le conseguenze però sarebbero le stesse...

di P. Paoletti

25 settembre 2010

Basilea 3: un rimedio peggiore del male


Le nuove regole bancarie che vanno sotto il nome di "Basilea 3" ricordano il famoso falegname che, accortosi che il tavolo aveva una gamba più corta, finì col tagliare a zero tutte le gambe nel tentativo di allineare le altre tre. Sarebbe solo un altro capitolo nel manuale delle sciocchezze delle banche centrali, se non ci fosse un processo di disintegrazione finanziaria in corso. Questa decisione accelera la disintegrazione.

In primo luogo, Basilea 3 non risolve il problema centrale, che è quello del debito. Il debito tossico non verrà eliminato. In secondo luogo, le banche vengono sottoposte ad un regime restrittivo lasciando intatto l'intero settore dello "shadow banking". Così, alla City di Londra se ne infischiano perché l'attività finanziaria è prevalentemente di natura non bancaria e quindi le nuove regole non li riguardano. In terzo luogo, Basilea 3 è coerente con la politica di bilancio imposta dall'UE agli stati membri, e avrà effetti deflazionistici perché le banche ridurranno il credito per poter rispettare i requisiti di capitale. E infine, esigendo dalle banche una maggiore provvista di "titoli liquidi di alta qualità", le banche centrali spingono gli istituti di credito ad acquistare più obbligazioni e titoli di stato, forse allo scopo di migliorare i bilanci statali dopo averli appesantiti con i debiti delle banche stesse. Insomma, si finisce come nello sketch del famoso falegname.

Siamo alle ennesime misure monetarie che ambiscono a curare una crisi del debito con maggiore debito. L'unica soluzione, una separazione delle attività bancarie alla Glass-Steagall come preludio per cancellare la bolla speculativa, non è stata nemmeno considerata. Come ha scritto Massimo Mucchetti su Il Corriere della Sera il 14 settembre, "la crisi bancaria internazionale è figlia dell'economia del debito, che gonfia lo sviluppo con i soldi degli altri. Di quest'economia drogata le banche sono state effetto, causa e motore. Il rimedio sarebbe la graduale (e dolorosa) riduzione del debito per tornare a crescere domani, magari meno di prima ma in modo più sano, equo e, diciamolo, onesto. Difficile seguire altre strade… ma il rimedio, proprio perché duro, implicherebbe uno sforzo riformista grande, diffuso in tutte le attività e non solo nella finanza. Negli anni '30, il New Deal non ruppe solo la fratellanza siamese tra banca commerciale e credito finanziario, suscitando le ire di Wall Street, ma cambiò il modo di vivere dell'Occidente. Basilea 3 ha un tale respiro? La risposta è no".

Poiché "di fronte a una vera crisi di liquidità non c'è capitale che tenga", una vera soluzione richiederebbe "dei Roosevelt del nuovo millennio e non banche centrali e governi comunque legati al passato. Che negli USA, il Paese guida, si riassume in due dati: il debito globale americano era di 47 mila miliardi di dollari nel giugno 2007, alla vigilia del disastro, ed è a 52 mila miliardi adesso. Non solo l'Italia, ma l'Occidente sta galleggiando. Nella speranza che i guai si risolvano da soli".

Parallelamente a Basilea 3, il Commissario UE Michel Barnier ha presentato una proposta per "regolare i derivati" che i media hanno presentato come una vera rivoluzione. Barnier propone di mettere tutti i derivati OTC (Over The Counter) in uno sportello ("Under" The Counter), e di permettere ai governi e ai supervisori finanziari di bloccare le vendite allo scoperto e i CDS qualora essi minaccino la stabilità finanziaria di un paese membro dell'UE. La proposta di Barnier, anche se venisse accettata, non funzionerebbe mai. Con i derivati è come con le gravidanze: la ragazza non è mai "un po'" incinta. Barnier ha fatto chiaramente capire le sue intenzioni in un'intervista a Les Echos del 15 settembre. Alla domanda "Perché non vietare semplicemente le vendite allo scoperto di prodotti altamente speculativi?", Barnier ha risposto: "Perché c'è bisogno di vendite allo scoperto! Queste vendite aumentano la liquidità. E' fuori discussione vietare la speculazione, che da tempo immemorabile fa parte della vita economica. Sarebbe come vietare la pioggia!".

by (MoviSol)

L'affitto d'oro della Camera da 150mila euro al giorno

La scoperta sa di acqua calda. Ma la cifra al dettaglio è una novità e soprattutto ha del clamoroso. I 630 deputati non costano solo i 14 mila e passa euro al mese tra indennità (ridotta di mille euro, sì, ma solo dal prossimo gennaio), diaria e rimborsi spese. Ma 22 mila euro. Non il doppio ma giù di lì. E se la denuncia, confermata da tabelle e dati ufficiali, non ha suscitato clamore, è perché avvenuta in una sala di Montecitorio deserta, lunedì pomeriggio, quando solo una manciata di parlamentari si sono presentati in aula per discutere il bilancio interno 2010 della Camera. Come sempre un affare tra intimi, come sempre quando l'anno in esame sta quasi per terminare. Che il re è nudo lo ha proclamato la radicale Rita Bernardini. E anche i deputati questori, guidati dal pidiellino Francesco Colucci, non hanno potuto fare altro che ammettere la debacle. «Vi rendete conto o no, colleghi, che tra palazzi e uffici, Montecitorio spende ormai in affitti 54 milioni di euro l'anno, ovvero 147mila euro al giorno? E sapete questo cosa vuol dire? Che ciascun onorevole, ciascuno di noi, costa 8 mila euro al mese. È evidente che qualsiasi italiano, con quella cifra in mano, si affitterebbe una stanza perfino più grande e comoda rispetto a quelle che concedono. E soprattutto si pagherebbe anche la segreteria».
Già, la segreteria. Perché invece ai deputati, come ai senatori, viene pagata a parte, con tanto di voce mensile da 4 mila euro. Soldi com'è noto affidati direttamente all'onorevole che poi li gestisce a proprio piacimento. Non l'ennesima trovata dei radicali, stavolta. Quando ieri pomeriggio il bilancio interno è stato approvato, è passato anche l'ordine del giorno del pidiellino napoletano Amedeo Labocetta che così lo ha commentato in aula: «Con l'approvazione dell'ordine del giorno si potrà finalmente porre fine allo scandalo che riguarda l'affitto degli immobili della Camera e che rende sempre più ricco l'imprenditore Sergio Scarpellini (titolare della società unica titolare della decina dei immobili affittati da Montecitorio, ndr). Che ha sin qui ricevuto negli anni, dalla presidenza Violante ad oggi, oltre trecento milioni di euro per immobili che valgono al massimo centocinquanta milioni senza che nessuno dei suoi successori, Casini, Bertinotti e Fini, intervenisse per porre fine a questo enorme sperpero di denaro pubblico». La sua tesi è che spendendo meno di un terzo di quanto oggi paga per l'affitto, la Camera potrebbe diventare proprietaria degli immobili. Ma che il vento fosse cambiato lo si è capito quando a prendere la parola è stato il questore (da più legislature) Colucci, anche lui espressione della maggioranza. «Può essere ancora valido il principio a suo tempo approvato secondo cui la Camera deve garantire un ufficio a ciascun deputato?» ha chiesto rivolto ai pochi colleghi in aula. Da qui, la rescissione dei contratti di affitto di palazzo Marini, tanto per cominciare. E a seguire gli altri. Ma per ottenere risparmi a sei zeri, bisognerà attendere anni. Mentre è stato bocciato ieri un altro ordine del giorno firmato Idv che prevedeva la cancellazione, tranchant, del vitalizio degli onorevoli. Per il momento, il bilancio comunque virtuoso 2010 certifica risparmi da 315 milioni di euro consolidati nel periodo 2006 2011, che aumenteranno fino al 2013, quando si sentiranno gli effetti della "sforbiciata" di 1.000 euro dalla busta paga dei deputati, e del 5% sulle retribuzioni dei dipendenti che guadagnano tra 90mila e 150mila euro, fino al 10% degli stipendi sopra i 150mila euro, oltre a un taglio delle spese non vincolate, per un totale di 60 milioni di euro. Nel 2010 la Camera costerà quasi un miliardo di euro, con un tasso di crescita della spesa dell' 1,3%0: il più basso negli ultimi 10 anni. Disco verde ieri anche ai conti di quest'anno del Senato, che il presidente Schifani ha definito "virtuosi". Tutto all'insegna dell'austerity anche lì. Scure sul ventre molle delle pensioni dei dipendenti. La pianta organica di Palazzo Madama sarà ridotta del 20% rispetto al limite massimo previsto, sarà bloccato il turnover per due anni e innalzato il limite per la pensione. Che finora consentiva, come alla Camera, scivoli shock già a 57 anni.
di Carmelo Lopapa

24 settembre 2010

"Sorpasso storico" Il fotovoltaico batte il nucleare in termini di costi

Quello che fino a qualche tempo fa poteva essere semplicemente un sospetto o un desiderio diventa oggi una consolidata realtà, almeno per quanto attiene uno studio proveniente dagli USA, della Duke University che, in base a tecniche di comparazione su costi e produzione, ha decretato che si è oramai sancito quello che gli addetti al settore hanno già definito un vero e proprio “sorpasso storico”.

La notizia difatti sembra essere la prova oggettiva tanto attesa da chi, come Fare Verde, ha sempre sostenuto la produzione di energia tramite l’ausilio di fonti energetiche rinnovabili.

Il dato è confermato quindi: l’energiasolare costa meno di quella nucleare!

Difatti se si conduce un’attenta analisi sui costi di produzione del fotovoltaico comparandoli con quelli derivanti dall’utilizzo delle centrali nucleari programmate nel paese, il dato emerge con netta chiarezza, Il solare fotovoltaico ha conquistato una vera e propria posizione di spicco tra le varie alternative, superando perfino il nucleare!

A divulgare la notizia John Blackburn,un docente di economia dell’università, che ha riportato i risultati raggiunti tramite la propria ricerca, all‘interno dell‘articolo “Solar and Nuclear Costs – The Historic Crossover”(http://www.ncwarn.org/?p=2290)

A quanto pare in termini monetari il solare ha raggiunto addirittura i 16 centesimi di dollaro akilowattora.

Una progressiva e costante riduzione dei costi in meno di otto anni a dispetto di quelli impiegati perportare avanti i reattori nucleari che, invece, hanno subito un incremento passando da 2 miliardi di dollari nel 2002 a 10 nel 2010.

Un vero e proprio smacco per l’Italia, che testardamente continua ad investire nella parte sbagliata.

Si segnala inoltre, un altro importantestudio che va a sottolineare l'inversione di tendenza e la fiduciadimostrata dai grandi e piccoli investimenti nel comparto delleenergie rinnovabili a discapito delle energie tradizionali.

A rilevare l’ottimo andamento del mercato delle energie pulite è lo Iefe, l’Istituto di economia e politica dell’energia e dell’ambiente dell’Università Bocconi,che ieri, lunedì 20 settembre, ha presentato nell’ateneo milanese il rapporto "Investimenti all’estero in energie rinnovabili e ruolo delle politiche pubbliche", condotto in collaborazione con Ernst &Young. Secondo il report nel 2009, per il secondo anno consecutivo, i nuovi investimenti nel mondo (163 miliardi di dollari) hanno superato quelli nelle energie tradizionali portando le rinnovabili a coprire il 25% della generazione elettrica mondiale.

di Di Maio Massimo

23 settembre 2010

Profumo: puzza di bruciato e spartizione delle banche



L’antefatto è notissimo: le dimissioni del top manager bancario Alessandro Profumo dalla carica di Ad di Unicredit, carica che occupava se ben ricordo dal lontano 1998, frutto di un’affermazione personale progressiva, dopo la rapida scalata in Credito Italiano avvenuta negli anni novanta.
Alessandro Profumo sembra essere un self made man inserito non in un American Dream, ma in più modesto Italian Dream, che da giovanetto è partito come impiegato al Banco Lariano, in posizione umile, lavorando durante il giorno allo sportello e la sera “studiando alla candela” per una laurea alla prestigiosa Bocconi.

Poi è “cresciuto”, naturalmente in termini aziendalistici di affermazione personale e di scalata, entrando in McKinsey e successivamente in RAS.


Certo non è uno degli squali finanziari peggiori, ma è comunque un Top Manager, un Banchiere contemporaneo, uno che cura gli impietosi interessi degli Investitori, oltre che i suoi personali, e quindi per tutti noi non può che rappresentare un nemico.

Volendo fare un po’ di chiarezza nell’intricata vicenda del repentino “siluramento” di Profumo, senza troppe pretese di scoprire verità assolute o segreti inquietanti, è bene porsi alcune domande.

Normale avvicendamento al vertice di una delle due più grandi banche della penisola?


E’ l’ipotesi meno probabile, anche se Mercati ed Investitori talora esigono sacrifici umani fra gli stessi VIP che ne curano gli interessi, per spingere l’acceleratore sul valore creato e sul profitto.
Non dovrebbe essere questo il caso di Profumo, definibile come un banchiere con tendenze “globali”, ben attento al dividendo da distribuire alla Sovrana Proprietà ed ai Rentiers, orientato verso le grandi acquisizioni [l’HVB tedesca e Capitalia, ad esempio] e il superamento degli angusti confini nazionali.

Esito di una lotta ai coltelli per il controllo di pezzi importanti del sistema bancario nazionale?


Il Profumo di turno ha votato alle primarie del Pd e in qualche modo appartiene a questa trista fazione della politica sistemica, non potendo escludere, nonostante si sia parlato spesso di lui come di un manager “distante” dalla politica, una sua prossima “discesa in campo”
Alessandro come prossimo anti-Silvio?
C’è chi lo vede come il possibile, futuro, “Papa straniero” nel Pd, il quale dovrebbe risolvere i problemi di questo cartello elettorale che sembra molto vicino allo sfaldamento.
Ma i giochi sono complessi più di quanto può sembrare, e l’intricata jungla pidiina, infestata di nomenklature postcomuniste e postdemocristiane in reciproca lotta, prive di qualsivoglia programma ma affamate di posti di potere, è forse un po’ troppo anche per un “collaudato” manager come Profumo, per anni al vertice di un organismo finanziario sempre più multinazionale, che vanta oltre 10.000 filiali in 22 paesi [http://www.unicreditgroup.eu/it/About_us/About_us.htm].
Inoltre, una liquidazione di ben 40 milioni di euro – autentica buonuscita da manager globalista di media tacca – potrebbe suscitare qualche piccola discussione, anche se la cosa non dovrebbe avere troppo peso all’interno della cinica burocrazia pidiina, la quale ha da tempo [e volentieri] rinunciato alla battaglia per la giustizia sociale e la difesa dei subalterni impoveriti, schierandosi apertamente sul fronte opposto.
Dall’altra parte della politica sistemica, è fin troppo chiaro che l’interesse di un Berlusconi in difficoltà, in vistoso calo di consensi nei sondaggi – il quale si è finalmente accorto, seppur in ritardo, che la truffa del berlusconismo è ormai scoperta – è proprio quello di controllare quanti più organismi possibili [bancari e non] per mantenersi ancora in sella a qualsiasi costo, e di metterci ai vertici suoi burattini, o comunque personaggi non potenzialmente ostili al suo gruppo di potere e alle politiche, talora feudali, localistiche e regionaliste, che questo esprime, complici le pressioni [e i molti casi i diktat] di una Lega sempre più determinante.
Da più parti si ricorda che Alessandro Profumo intendeva fare di Unicredit una vera e propria “banca globale”, confliggendo con tutta una serie di interessi consolidati proprio all’interno del gruppo, non di rado di natura localistica/ regionalista.

C’è di mezzo il solito Gheddafi con i cospicui capitali libici da investire in “paesi amici”?


Anche, ma forse non è la ragione principale del “siluramento” di Profumo, pur potendo avere qualche peso nella complessa vicenda che ha indotto il consiglio di amministrazione della banca a sfiduciare il brillante manager, dando mandato al presidente Dieter Rampl di “trattare la resa” con il manager e attribuendogli temporaneamente le deleghe dell’Ad.
In effetti, la banca centrale libica ha un suo alto rappresentate in Unicredit ed una cospicua partecipazione nell’istituto, tendenzialmente in crescita. E’ possibile che nel contrasto fra l’Ad “storico” di Unicredit e i soci, più della controversa questione della “penetrazione libica”, pesi la questione delle Fondazioni, principali azioniste della banca, ormai nemiche giurate del Profumo con aspirazioni “globali”, tendente alla banca unitaria che parla fluentemente inglese e che non dovrebbe piacere molto alle Fondazioni stesse.

Quanto conta in questa vicenda la Lega, che preme da buon parvenu per un suo feudo bancario?


La Lega si è finalmente integrata in “Roma ladrona” – non più tanto sputtanata, se non per tener buoni i bruti nelle sagre padane – ed aspira ad avere un suo peso nelle banche, anzi, vorrebbe una banca importante e “tutta sua”, come la volevano non troppo tempo fa [2005] i capi diessini Fassino, i D’Alema, i La Torre intercettati telefonicamente, che facevano il tifo per l’intraprendente Unipol di Gianni Consorte [al quale D’Alema disse telefonicamente “facci sognare”].

Come i politici diessini di allora[non c’era ancora il Pd], che in pieno 2005 volevano una banca tutta loro a costo di andare a braccetto con i “furbetti del quartierino”, anche i leghisti che ormai fanno parte a tutti gli effetti del sistema della piccola politica corrotta e cialtrona, aspirano ad entrare nei salotti buoni finanziari, pur a livello locale, non potendo puntare più in alto, ad esempio a JP Morgan Chase/ Chase Manhattan Bank, alle guglie più alte del capitalismo contemporaneo finanziarizzato, come farebbero i tutti gli strateghi globalisti che si rispettano …
E’ chiaro che la Lega deve accontentarsi di ciò “che passa il convento”, essendo il sistema bancario italiano piuttosto provinciale, ancora in parte protetto e “riserva di caccia” per cordate indigene politico-economiche, nonché giudicato un po’ “asfittico” e arretrato rispetto ai brillanti attori finanziari occidentali del collasso “sub-prime” e della più folle finanza creativa.

La Lega giustifica i suoi appetiti in campo bancario, le sue pulsioni acquisitive, con la necessità di concedere credito alla PMI del nord in agonia, soffocata dal credit crunch e bisognosa di supporto finanziario per poter sperare di sopravvivere ancora un po’, ed in effetti è in parte vero, perché si tratta di una fetta importante del suo elettorato tipico, che deve essere preservata per poter continuare la scalata al potere.
La Lega, inoltre, oltre alla naturale avversione per la penetrazione dei capitali libici nel sistema bancario italiano, ha mostrato di essere contraria alla visione politico-strategica di Profumo, un po’ troppo globalista/ mondialista per gli xenofobi-regionalisti padani, ben arroccati nei loro feudi, influenti nella Fondazione Cariverona che partecipa al capitale del gruppo, nonché pilastro principale del IV esecutivo Berlusconi.
In conclusione, tanti sono gli attori della partita per il controllo di Unicredit, dalle Fondazioni ai libici [i cui interessi sembrano divergenti], dalla Lega a Berlusconi [i cui interessi non sempre sono coincidenti], trattandosi di almeno tre o quattro parti in lizza per determinare il futuro della banca, ma ciò che emerge è che sia le Fondazioni sia la Lega, incatenando il gruppo bancario ai feudi sul territorio, respingendo la visione un po’ ”globalista” dell’estromesso Profumo, oggettivamente ed occasionalmente incarnano la resistenza locale/ regionale all’avanzare inesorabile della globalizzazione finanziaria, che prima o poi dovrà investire in pieno anche il sistema bancario italiano, per ora ancora soggetto ai giochi di potere interni.

Più che Profumo, c’è un po’ di puzza di bruciato nella complessa vicenda, che è tuttora in sviluppo non essendoci ancora il successore dell’Ad costretto alle dimissioni, il quale dovrà essere formalmente nominato dal presidente Rampl scegliendo in una ristretta rosa di nomi. La partita è quindi aperta, e se provvisoriamente la vittoria può essere assegnata alle Fondazioni bancarie e alla Lega bossiana, alleati nei fatti contro Profumo, nessuno può escludere colpi di scena futuri.

Ad infima!


di Eugenio Orso




30 settembre 2010

11 settembre, la madre di tutte le coincidenze


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Vi proponiamo la traduzione di un articolo sull’11/9 scritto da un giornalista statunitense, Eric S. Margolis, che ha collaborato spesso con i media mainstream, dai tradizionali «Toronto Sun» e «New York Times» al più recente aggregatore di notizie «Huffington Post». L’articolo sembra segnalare che tira un’aria diversa sul tema 11 settembre. Perfino un giornalista che finora non si è discostato troppo dalle versioni governative - un conservatore che fa parte del think tank International Institute of Strategic Studies, una vita da inviato globetrotter nelle aree di crisi - perfino lui riorganizza i discorsi, i ricordi, i collegamenti dei fatti connessi all’11/9, per concludere che la verità è stata insabbiata.

Rivela anche di aver incontrato Bin Laden negli anni novanta, sebbene questa rimanga solo una sua dichiarazione.

«Huffington Post» ha subito cancellato questo articolo scomodo. Non sarà l’unica resistenza ai ripensamenti, ma un giornalista a fine carriera si può concedere libertà sconosciute, e allargare l’area che rompe i tabù.

"Gli interessi economici degli Stati Uniti e strategici in Medio Oriente e il mondo musulmano sono minacciati dall’agonia della Palestina, che inevitabilmente si difende pianificando azioni terroristiche volte a colpire le ricchezze americane e persino gli stessi cittadini"

Eric Margolis. Sun Media. 2 settembre 2001.

Dall’11 settembre i lettori chiedono di continuo il mio parere su questi attacchi. Sono stato talmente sommerso da migliaia di e-mail che ancora mi gira la testa.

Una delle teorie più pittoresche è quella del generale Hamid Gul, ex direttore dell'ISI, (l’agenzia dei servizi di intelligence pakistani) Continua a sostenere che l’11-settembre fu organizzato dal Mossad israeliano e da un gruppuscolo di estrema destra formato da generali della US Air Force

Ho ispezionato le rovine delle Torri Gemelle a New York, dove mi era capitato abbastanza spesso di cenare al ristorante dell’ultimo piano. Il centro ("Downtown") di Manhattan era avvolto da miasmi orribili e maleodoranti dovuti agli attentati. Non avevo mai respirato niente di tanto nauseante. Ho impiegato giorni per liberarmi da questo odore. Come newyorkese, questi avvenimenti mi hanno fortemente sconvolto, ma non mi hanno sorpreso, giacché nove giorni prima avevo previsto un attacco di grande portata contro gli USA. [Vedere citazione sopra – NdT]

Nel corso di una delle mie visite al Pentagono per una riunione sul Medio Oriente, ho ispezionato anche il muro esterno colpito dal terzo aereo dirottato.

Ho visto delle foto del luogo dell'impatto e non comprendo cosa sia successo a tutti i detriti dell'aereo. Non ne restava praticamente nulla.

Nel 1993, il mio volo Lufthansa per il Cairo è stato dirottato mentre sorvolava la Germania. Il pirata dell'aria di origine etiope, ci ha riportato fino a New York. Minacciava di fare schiantare l'aereo su Wall Street.

Il nostro aereo fu intercettato dai caccia F15 americani che avevano ricevuto l'ordine di sparare in caso di necessità. Ma dov’era la difesa aerea l’11 settembre 2001?

All'indomani dell’11-settembre, la CNN mi ha chiesto se ci fosse Bin Laden dietro questi attacchi. «Dobbiamo ancora vedere le prove» ho risposto. E a tutt’oggi mantengo questa stessa posizione.

Bin Laden ha negato che lui o al-Qa‛ida fossero i responsabili degli attacchi aerei dell’11/9 e della morte di quasi 3000 persone. Il complotto è stato organizzato ad Amburgo in Germania e a Madrid in Spagna, non in Afghanistan. Un pakistano, Khalid Sheik Mohammed, ha affermato di essere lui la mente dell’11 settembre, ma questo dopo che la CIA lo ha torturato sottoponendolo a 183 sedute con simulazione di annegamento.

Pur negando ogni sua implicazione, Osama Bin Laden ha detto che secondo lui le motivazioni degli attacchi di New York erano da ricercarsi parzialmente nella distruzione da parte di l'Israele del centro di Beirut all'epoca dell'invasione del Libano nel 1982, che aveva provocato circa 18mila vittime civili.

I video trasmessi in seguito per confermare che Bin Laden era colpevole sono dei falsi mal confezionati. Sono stati ritrovati a loro dire in Afghanistan dagli uomini dell’Alleanza del Nord che combatte i taliban, che era stata creata e finanziata dai servizi segreti russi.

Ho incontrato Osama Bin Laden in Afghanistan e ho detto alla CNN che non era l'uomo che appariva su questi video.

Subito dopo l’11 settembre, il Segretario di Stato Colin Powell aveva promesso agli americani che il Dipartimento di Stato avrebbe divulgato un "White Paper" con le prove dettagliate della colpevolezza di Bin Laden. Il governo taliban dell'Afghanistan aveva richiesto questo documento come preliminare all'estradizione di Bin Laden richiesta dagli USA.

Ebbene, questo famoso "White Paper" non è mai stato diffuso, gli USA hanno ignorato le procedure legali in vigore e hanno invaso l'Afghanistan. Stiamo ancora aspettando queste famose prove.

Io non so ancora se Osama Bin Laden fosse davvero dietro questi attacchi. Numerosi elementi fattuali potrebbero far sospettare di lui e di al-Qa‛ida, ma mancano sempre all’appello le prove certe a sostegno di questa ipotesi. Una cosa è sicura: gli attacchi furono pianificati e organizzati in Germania, non in Afghanistan. Dei 19 pirati dell'aria, 15 erano sauditi, due erano originari degli Emirati arabi uniti, uno era egiziano e un altro libanesi.

Peraltro, ho detto e ripetuto fin dal giorno dell’11/9 come la pericolosità e le dimensioni di al-Qa‛ida fossero state immensamente esagerate, cosa del resto confermata dal prestigioso Istituto Internazionale di studi Strategici (IISS) nell’esplosivo rapporto pubblicato a Londra questa settimana. Il numero di membri di al-Qa‛ida nata per combattere i comunisti afgani non ha mai superato le 300 unità.

Attualmente, secondo Léon Panetta, capo della CIA, non ci sono non più di 50 uomini di al-Qa‛ida in Afghanistan. E tuttavia, il presidente Obama ha triplicato le truppe USA in Afghanistan, portando il loro numero a 120mila, a causa di ciò che lui definisce "la minaccia" al-Qa‛ida. Che cosa succede?

Sono tanti coloro che credono che al-Qa‛ida sia un'invenzione americana utilizzata per giustificare le operazioni militari all'estero. Non condivido questo punto di vista. Osama Bin Laden non è stato mai un agente della CIA, anche se il suo gruppo ha beneficiato indirettamente di fondi da parte della CIA per combattere i comunisti.

Tornando all’11 settembre, non riesco a capire come dei piloti dilettanti siano stati in grado di manovrare a bassa quota aerei di quelle dimensioni e colpire esattamente il WTC ed il Pentagono. Come mi faceva notare un agente dell’Intelligence pakistana, «se fossero stati veramente dei dilettanti, avrebbero fatto schiantare i loro aerei l'uno contro l'altro, non sul World Trade Center!».

L'arresto di "addetti ai traslochi" israeliani mentre filmavano gli attacchi danzando di gioia, e quello seguente di gruppi di studenti israeliani che avrebbero "seguito" i futuri pirati dell'aria, resta un profondo mistero per me. Stessa cosa dicasi per l’immobilità della difesa aerea.

La Commissione di inchiesta sull’11/9 e stata un'operazione di cancellazione, come tutte le commissioni governative. Esse nascono appositamente per occultare e non per rivelare la verità.

Nel 2006, un sondaggio di Scripps Howard e del «Washington Post» ha rivelato che il 36% di un campione di 1000 americani interrogati era convinto che dietro gli attacchi ci sia stato il governo USA. Sono molti gli americani che non credono nella versione ufficiale sull’11-settembre.

Stessa cosa per gli europei. Il mondo musulmano nel suo complesso pensa che l’11 settembre sia stato opera d’Israele e dell’estrema destra neoconservatrice guidata da Dick Cheney

Se la versione ufficiale sull’11/9 fosse vera significherebbe che gli attacchi hanno sorpreso l'amministrazione in piena letargia mentre al contrario, proprio in quel periodo, avrebbe dovuto essere in massima allerta. Condoleezza Rice, l’incompetente perfetta, la Consigliera nazionale per la sicurezza di George W. Bush, non solo ignorò tutta una serie di avvertimenti molto preoccupanti riguardo a probabili futuri attentati, ma tagliò persino i fondi la lotta antiterroristica proprio nel periodo antecedente l’ 11/9.

La Casa Bianca ed i media si sono precipitati ad incolpare i musulmani sostenendo che questi «odiavano lo stile di vita ed i valori americani», diffondendo così il concetto di «terrorismo islamico» che vuole che sia la fede musulmana, e non i problemi politici, all'origine degli attacchi.

Questo balla pericolosa ha contaminato l'America, e ha portato ai massimi livelli l'islamofobia. Il continuo fracasso creato attorno alla costruzione di una moschea nel centro di Manhattan, e le minacce di un prete della Florida di bruciare testi del Corano sono i due più recenti e deplorevoli esempi di quanto possa essersi inasprito l’odio religioso.

Il commando suicida che aveva attaccato New York e Washington aveva giustificato chiaramente il suo atto: a) punire gli Stati Uniti per il loro appoggio a Israele nella sua politica di repressione contro i palestinesi; b) ciò che essi definiscono come occupazione USA dell’Arabia saudita. Benché fossero tutti musulmani, la religione non era il fattore scatenante

Come ha ben fatto notare il veterano della del CIA Michael Scheuer, il mondo musulmano era furioso contro gli Stati Uniti per la loro politica nella regione, e non per i valori, le libertà o la religione americana.

Queste motivazioni all'origine degli attacchi dell’11/9 sono state largamente ignorate dall'isteria crescente per via del " terrorismo islamico." L’invio di lettere contenenti antrace spedite a New York, in Florida ed a Washington proprio subito dopo l’11/9 aveva chiaramente per scopo quello di aumentare la collera contro i musulmani.

Gli autori di queste missive avvelenate non sono mai stati identificati.

Tuttavia, questi attacchi all'antrace hanno accelerato l'approvazione delle leggi semi-totalitarie del PATRIOT ACT, che hanno limitato drasticamente le libertà individuali degli americani e hanno imposto nuove leggi draconiane.

I falsi video e le cassette audio di Bin Laden. Gli attacchi all'antrace. Il Corano ritrovato intatto in modo del tutto improbabile a Ground Zero. Le prove ritrovate nella valigia che uno dei pirati pare non fosse riuscito a far imbarcare sull’aereo poi dirottato. Le affermazioni immediatamente diffuse a solo poche ore di distanza dagli eventi secondo cui al-Qai‛da fosse dietro gli attentati. Questi piloti dilettanti kamikaze e l’anomalo velocissimo cedimento delle Torri.

Ma ancora più scioccante, la registrazione del colloquio a Londra tra il presidente George Bush e il primo ministro Tony Blair, laddove si sente il presidente degli USA fare questa terribile proposta per scatenare la guerra con l'Iraq: dipingere degli aerei USA con colori dell'ONU e provocare le difese aeree irachene per spingerle ad attaccare sparando ebcreando così un "casus belli". Bush avrebbe anche preannunciato a Blair che dopo l'Iraq, avrebbe attaccato l'Arabia saudita, la Siria ed il Pakistan.

Nel 1939, la Germania nazista aveva travestito i suoi soldati con le uniformi polacche al fine di provocare un incidente di frontiera e giustificare così l'invasione della Polonia da parte della Germania. I piani di Bush erano dello stesso stampo. Un presidente capace di concepire tali operazioni criminali potrebbe andare ben più oltre pur di realizzare i suoi sogni imperialistici.

Per un vecchio giornalista come me tutto ciò odora di marcio. Ci sono veramente troppe domande senza risposte, troppi sospetti, e poi non dimentichiamo la famosa locuzione di Cicerone che dice "cui bono", "a chi giova tutto ciò?"

Il 28 febbraio 1933, un incendio, scatenato da un ebreo olandese, distrusse il Parlamento tedesco, il Reichstag (dove Hitler non si sedette mai, NdT)

Mentre le rovine del Reichstag fumavano ancora, Adolf Hitler dichiarò «guerra al terrorismo».

Venne promulgato un decreto «per la Protezione del Popolo e dello Stato», che sospendeva tutte le protezioni legali in materia di libertà di parola, di riuniobe, di proprietà, e di libertà individuali. L'incendio del Reichstag permise al governo di fermare senza la benché minima procedura legale le persone sospettate di terrorismo e di dare praticamente i pieni poteri alla Polizia.

Tutto questo vi ricorda qualche cosa?

Ed ecco un'altra coincidenza sorprendente. Due anni prima dell’11/9, una serie di esplosioni in edifici abitativi in Russia uccise più di 200 persone. Si accusò il " terrorismo islamico" ceceno.

Il panico invase la Russia e favorì l'ascesa al potere dell'ex-agente del KGB Vladimir Putin.

Agenti della sicurezza russa appartenenti al FSB furono presi con le mani nel sacco mentre tentavano di piazzare esplosivi in un altro edificio, ma la storia fu soffocata.

Un ex agente del FSB, Alexander Litvinenko, che tentò di fa luce su questo episodio, fu assassinato a Londra avvelenato con polonio radioattivo.

Con lo stesso sistema i neoconservatori dell'amministrazione Bush utilizzarono sfacciatamente l’attentato dell’ 11/9 per promuovere l'invasione dell'Iraq.

Subito prima dell'invasione i sondaggi mostravano come l’80% degli americani fossero convinti, a torto, che Saddam Hussein fosse dietro gli attacchi dell’11/9.

Il Dottor Goebbels sarebbe stato fiero.

Alla fine cosa possiamo concludere?

1) Non sappiamo ancora che cosa sia veramente accaduto l’11 settembre.

2) La versione ufficiale non è credibile.

3) L’11 settembre è servito per giustificare le invasioni strategiche dell'Afghanistan e dell'Iraq ricco in petrolio.

4) gli attacchi hanno precipitato il popolo americano in guerre contro il mondo musulmano e hanno arricchito l'industria USA degli armamenti.

5) L’11 settembre ha favorito i neoconservatori pro-israeliani, dando le redini del potere a questo gruppo inizialmente marginale, e con questi ha rafforzato anche l'estrema destra totalitaria americana.

6) la guerra ingiustificata di Bush contro l'Iraq ha distrutto uno dei due grandi nemici dell'Israele.

7) L’11 settembre ha immerso l'America in quello che potrebbe essere definito uno stato di guerra permanente contro il mondo musulmano, il che era uno dei principali obiettivi dei neoconservatori.

Ma a tutt’oggi io non ho prove di come l’11 settembre sia stato un complotto ordito dall'estrema destra o da Israele oppure sia il risultato di una gigantesca operazione di depistaggio («cover-up»).

Forse fu soltanto la "madre" di tutte le coincidenze.

Oppure ha potuto non essere che l’azione di 19 arabi furibondi e un'amministrazione Bush maldestra alla ricerca di un capro espiatorio.

di Eric Margolis

Rifiuti campani: la politica delle pezze


Tutto secondo copione, poco più di due anni dopo una campagna elettorale in cui l'emergenza rifiuti in Campania era stato il tema centrale dello scontro politico ed il terreno su cui si era giocato lo spostamento di milioni di voti: nei telegiornali sono tornate le immagini dei cassonetti campani stracolmi di rifiuti, della polizia in tenuta antisommossa a presidiare le discariche, dei cittadini inferociti, per i quali ci sono sempre le due solite etichette, "fiancheggiatori della camorra" oppure "pochi isolati dell'area dell'antagonismo". Niente di nuovo sotto il sole del Golfo.

Ancora una volta, si tratta di un'emergenza che viene sovraesposta mediaticamente per un solo aspetto, quello dei rifiuti urbani. Ma è solo l'ennesima falsa emergenza, presentata da una sola angolazione. Infatti, non è certo questo che preoccupa. A dare pensieri seri a chi è competente in materia, é semmai la totale assenza di una progettualità, di una seppure vaga idea di un ciclo integrato dei rifiuti. Certo, qui la camorra non c'entra molto, anzi quasi nulla: la storia della mancata risoluzione del problema dei rifiuti campano (e di tante altre regioni italiane) è una storia di mala politica, di mala amministrazione, piuttosto che di malavita.

In Campania la produzione di rifiuti è nota e ben misurata. Attualmente, la regione produce in un anno 2.8 milioni di tonnellate di rifiuti urbani e ben 4.5 milioni di rifiuti speciali di provenienza industriale, e la Campania non è certo una delle regioni più industrializzate d'Italia. Da altre parti, spesso e volentieri i rifiuti speciali sono oltre il doppio di quelli urbani, e solo per questo dovrebbe risultare alquanto sospetto che un'emergenza rifiuti riguardi i soli rifiuti solidi provenienti dalle utenze domestiche. I sospetti aumentano se si nota che in Campania non esiste né un ciclo integrato per i rifiuti urbani né uno per i rifiuti speciali, anche se di questi ultimi si tende fin troppo spesso a non parlare. Ed è proprio in questo settore, invece, che la malavita s’innesta alla perfezione.

In questo quadro, quel che trova spazio nel panorama informativo italiano sono gli attacchi con vetri rotti ai mezzi di trasporto, gli scontri con la polizia. Cioè solo ad alcuni effetti del problema, ma non certo al problema stesso. Anche quando si parla dei rifiuti, si parla solo dello stadio finale, dello smaltimento. Come se aprire una discarica, che prima o poi si esaurirà, o un inceneritore - che chiederà maggiori quantità di rifiuti e prima o poi non basterà più - possa essere la soluzione. Sarebbe certamente più serio e costruttivo parlare di politica dei processi industriali, di come modificarli affinché generino minori quantità di scarti e scorie, di politica dei materiali e tutto il resto. Ma in Italia, si sa, si preferisce alla politica la mala politica e soprattutto si preferisce fare cose che permettano spese ingenti di capitali pubblici e che facciano girare i soldi. Soldi che oggi girano per aprire una nuova discarica a Terzigno, domani da qualche altra parte.

Nel caso particolare di questi giorni, l'attuale maggioranza di governo del Paese attribuisce la responsabilità della situazione alle aziende municipalizzate: sarebbe quindi un problema organizzativo delle singole realtà municipali. Per l'opposizione, l'Esecutivo non ha fatto altro che illudere i cittadini, non fornendo un ciclo completo e virtuoso per lo smaltimento dei rifiuti. I cittadini, in realtà, per ora si chiedono dove sia la verità; anzi, a dire il vero, sono 16 anni che se lo chiedono.

Nella Campania reduce da una gestione commissariale straordinaria che dura dal febbraio 1994, la famosa "soluzione" sbandierata da Berlusconi all'indomani della vittoria elettorale del 2008 è stata quella di mettere qualche "toppa" qua e là, costituita da qualche discarica poco capiente, spesso e volentieri di rifiuti indifferenziati. Esaurita la discarica, se n’é aperta un'altra, poi un'altra ancora, sempre con spirito "emergenziale". Facendo sempre attenzione a rimuovere bene i rifiuti dal centro-salotto del capoluogo, visitato dai turisti e a limitare la circolazione di stampa e telecamere nelle periferie. In pratica, volendo fare un paragone con una partita a scacchi, si è scelto di giocare senza un piano. E giocare a scacchi senza un piano, è sempre una strada perdente.

Lo si vede in questi giorni a Terzigno: questo continuo andare a risolvere con delle toppe messe qua e la, poteva al massimo far tardare di qualche mese la venuta dei nodi al pettine e fa emergere in modo inconfutabile la mancanza di un vero e proprio ciclo integrato dei rifiuti. Questa è la situazione di oggi in Campania: una vera soluzione non è mai stata adottata, anzi addirittura neanche pensata. Si è preferito applicare delle pezze successive. In nome della situazione di emergenza, le discariche sono state imposte con la forza in luoghi dove non dovrebbero essere situate, come a ridosso di centri abitati o all'interno di un parco nazionale. Tutto è stato fatto nel nome dell'emergenza e del "fare presto", sacrificando quindi continuamente il "fare bene" e, in fin dei conti, la legge stessa.

Anche per quanto riguarda la permeabilità del sistema dei rifiuti dalla criminalità organizzata, delle vere e proprie misure non sono mai state prese. Per tutta l'epoca commissariale si è agito, ancora una volta per "emergenza", senza fare delle gare di appalto regolari, senza svolgere regolari controlli antimafia. Il risultato è che il ciclo criminale dei rifiuti speciali, compresi quelli tossico nocivi, ancora oggi (contrariamente a quel che sbandiera chi si ostina a negare) gode di ottima salute e si sovrappone non solo al ciclo del cemento, come avviene da trent’anni, ma sta invadendo in pieno il ciclo agricolo, facendo finire i rifiuti anche sulle nostre tavole.

Eppure le soluzioni esistono, ma tutte le buone soluzioni non possono certo essere imposte dall'alto da questo o quel prefetto, vanno invece concertate con tutta la società civile. Peccato che proprio la concertazione è venuta a mancare in Campania da almeno otto anni, provocando una gravissima frattura, tuttora non sanata, nella democrazia della regione. Sono le conseguenze di questa frattura democratica, quelle che ci fanno vedere nei TG, non certo le conseguenze di "fiancheggiatori della camorra", che di solito si guardano bene dall'andare a fare tafferugli con la polizia fuori le discariche. Sono i segni della frattura democratica causata dal fatto che fino ad oggi si è sempre cercato di imporre dall'alto certi determinati modelli di soluzione al problema dei rifiuti, sempre limitatamente a quelli urbani. Ma sono modelli che non sono né accettati né ben visti dalla società civile e neanche dai tecnici, che di ciclo dei rifiuti ne capiscono.

Intanto, se oggi tocca alla Campania e alla Sicilia, si vedrà domani a chi toccherà: la Campania e la Sicilia non sono le uniche regioni italiane ad essere in emergenza rifiuti, sono in compagnia di Calabria, Puglia e Lazio e, prima o poi, toccherà anche ad altre regioni. D'altronde, in un'Italia che sembra aver perso ogni forma di memoria, sia storica sia a breve termine, pare che nessuno ricordi più dei primi anni '90, quando l'emergenza rifiuti era in Lombardia e Milano era ricoperta di rifiuti. All'epoca il problema venne risolto da qualcuno che poi è andato a ricoprire un ruolo di primo piano anche nell'emergenza campana: lo fece circondando la città di inceneritori, che al passare degli anni non bastano più, perché hanno spinto tutta la società ad incrementare la mole dei rifiuti prodotti, ad usare prodotti usa e getta.

Tornando alla Campania, dove le cose sono molto più gravi che nella Lombardia di 15 anni fa, il territorio è martoriato da migliaia di discariche abusive, alcune delle quali hanno un'età talmente elevata da essere prossime al maturare una pensione INPS. Mai bonificate, con un traffico di rifiuti speciali e tossico-nocivi di provenienza extra-regionale mai terminato e che oggi si cerca addirittura di negare. Non esiste alcuna forma di gestione dei rifiuti, qualunque essi siano, ma si preferisce far notare che qualcuno va a fare a botte con la polizia, cercando di sdoganare il messaggio che la cittadinanza si oppone alla soluzione del problema ed alla rimozione dei rifiuti dalle strade.

Ottima scelta per fuorviare chi in Campania non ci vive, ma il vero risultato che si cerca di perseguire è duplice: nascondere l'incapacità, come la mancanza di volontà, di gestire seriamente il ciclo dei rifiuti urbani, magari con meno sprechi monetari, e soprattutto mantenere sotto silenzio e lontano dall'opinione pubblica quel che succede in tutta Italia con i rifiuti di provenienza industriale. Peccato che ancora una volta sia la politica del "metterci una pezza dopo l'altra". Politica pericolosa e che non sempre paga.

di Alessandro Iacuelli

29 settembre 2010

Basilea III: banche mondiali sull'orlo del precipizio







Le banche “Troppo Grandi Per Fallire” di tutto il mondo si trovano in una condizione così precaria che, nei prossimi mesi, letteralmente qualsiasi cosa può provocare un crollo.

Ho letto commenti recenti su Basilea III postati su vari siti web e pubblicazioni finanziarie importanti ma questi non hanno colto (o hanno sviato di proposito) il messaggio sottinteso delle proposte, la cui implementazione sarà posticipata in parte al 2017 e in parte al 2019.

Basilea III è pura propaganda e il momento per la sua introduzione è stato scelto per placare i forti timori che non ci siano soluzioni in vista per trarre in salvo il sistema della moneta a corso forzoso e il sistema bancario a riserva frazionaria.



IL PROBLEMA

Le principali banche mondiali sono tutte sottocapitalizzate e questo è apparso del tutto evidente quando è crollata Lehman Brothers. Le banche stavano prendendo a prestito così tanti soldi e giocavano in modo così spericolato nel casinò globale che quando le scommesse sono andate a rotoli, si sono trovate di fronte ad un buco nero nell’ordine di migliaia di miliardi di dollari. In realtà le banche sono tutte insolventi.

Il problema si è aggravato quando i banchieri centrali (tutti corrotti, senza eccezioni) e i regolatori hanno chiuso un occhio sul modo con cui i banchieri avevano definito gli elementi che costituivano il “capitale”, così da aggirare la necessità di mantenere il rapporto di capitale.

LA SOLUZIONE DI BASILEA III

Nella sua riunione del 12 settembre 2010, il Gruppo dei Governatori e dei Supervisori, l’organismo di controllo della Commissione di Basilea sulla vigilanza bancaria, ha annunciato un importante rafforzamento dei requisiti sul capitale esistente e ha approvato all’unanimità l’accordo che aveva raggiunto il 26 luglio 2010. Queste riforme sul capitale, insieme all’introduzione di uno standard sulla liquidità globale, sono al centro del programma di riforma finanziaria globale e saranno presentate al summit dei leader del G20 che si terrà a Seul a novembre.

Il pacchetto di riforme della Commissione aumenterà i requisiti minimi di common equity dal 2% al 4,5%

Inoltre, alle banche verrà richiesto di mantenere un cuscinetto di capitali del 2,5% per sostenere futuri periodi di sollecitazioni, il che porta i requisiti complessivi di common equity al 7%.


Questo consolida la definizione più stringente di capitale concordata dai Governatori e dai Supervisori a luglio e i requisiti di capitale più elevati per le attività di trading, sui derivati e di cartolarizzazione che saranno introdotti alla fine del 2011.

Aumento dei requisiti di capitale

Secondo gli accordi raggiunti, i requisiti minimi per il common equity, la forma più alta di capitale in grado di assorbire le perdite, saranno innalzati dal livello attuale del 2%, prima dell’applicazione delle modifiche regolamentari, al 4,5% dopo l’applicazione di modifiche più severe.

Tutto questo sarà introdotto gradualmente entro il 1° gennaio 2015.

I requisiti di capitale Tier 1, che comprende il common equity ed altri strumenti finanziari che si basano su criteri più severi, aumenteranno dal 4% al 6% nel corso dello stesso periodo.


Il Gruppo dei Governatori e dei Supervisori ha inoltre convenuto sul fatto che il cuscinetto di conservazione del capitale oltre i requisiti minimi regolamentari verrà tarato al 2,5% e dovrà coincidere con il common equity, al netto delle deduzioni.

Lo scopo del cuscinetto di conservazione è quello di garantire che le banche mantengano un cuscinetto di capitale da poter utilizzare per assorbire le perdite nel corso di periodi di sollecitazioni finanziarie ed economiche.

Mentre alle banche viene permesso di attingere al cuscinetto nel corso di tali periodi di sollecitazioni, più si assottiglierà il rapporto sui requisiti minimi di capitale e maggiori saranno i vincoli sulla ripartizione degli utili.

Questa struttura consoliderà l’obiettivo di una supervisione e di una governance bancaria efficace e affronterà il problema dell’azione collettiva che ha impedito ad alcune banche di limitare le ripartizioni (come i bonus discrezionali ed i grossi dividendi), anche di fronte a situazioni con capitale in deterioramento. Un cuscinetto anticiclico che va dallo 0% al 2,5% di common equity o di altro capitale in grado di assorbire le perdite sarà implementato a seconda delle circostanze dei singoli stati nazionali.

Lo scopo del cuscinetto anticiclico è quello di raggiungere l’obiettivo macroprudenziale più ampio di proteggere il settore bancario dai periodi di eccessiva crescita del credito aggregato.

Per ogni paese, questo cuscinetto sarà in vigore solamente quando ci sarà una crescita eccessiva di credito che avrà come risultato un innalzamento del rischio a livello di sistema.

Il cuscinetto anticiclico, quando sarà in vigore, verrebbe introdotto come un’estensione del cuscinetto di conservazione.

Questi requisiti di capitale sono integrati da un rapporto sulla leva non basato sul rischio che servirà di rinforzo alle misure basate sul rischio descritte sopra.

A luglio, i Governatori e i Supervisori avevano convenuto di testare un rapporto minimo sulla leva del Tier 1 del 3% nel corso del periodo di prova in parallelo.

Sulla base ai risultati del periodo di prova in parallelo, le ultime modifiche verrebbero effettuate nella prima metà del 2017 con la prospettiva di migrare al trattamento del Pillar 1 il 1° gennaio 2018, sulla base di una corretta verifica e taratura.

In modo sistemico le banche importanti dovrebbero avere una capacità di assorbimento delle perdite superiore agli standard annunciati oggi e il lavoro su questa questione continua nei gruppi di attività del Financial Stability Board e della Commissione di Basilea.

LA SCAPPATOIA & L’AMMISSIONE DI INSOLVENZA

Fin dall’inizio della crisi le banche si sono assunte l’impegno di aumentare i loro livelli di capitale.

Tuttavia, i risultati preliminari dell’esauriente studio sull’impatto quantitativo condotto dalla Commissione mostra che, a partire dalla fine del 2009, le grandi banche avranno bisogno, in totale, di una quantità significativa di capitale aggiuntivo per rispondere a questi nuovi requisiti.

Le banche più piccole, particolarmente importanti per i prestiti erogati alle piccole e medie imprese, nella maggior parte dei casi rispondono già a questi standard più elevati.

I Governatori ed i Supervisori hanno anche convenuto su accordi di transizione per implementare i nuovi standard.

Questo per garantire che il settore bancario possa soddisfare gli standard più elevati sui capitali attraverso trattenute equilibrate sugli utili e aumenti di capitale, e nel contempo continuando ad erogare prestiti all’economia.

LA PROVA INCONFUTABILE CHE LE BANCHE SI TROVANO NELLA MERDA FINO AL COLLO

Siete pregati di leggere tutti i passaggi che ho evidenziato in grassetto sopra. Se le banche fossero sempre capitalizzate in modo adeguato e se ai banchieri centrali collusi con questi bankster fosse impedito di effettuare manipolazioni, non ci sarebbe alcun bisogno delle regole di Basilea III.

Nel dire questo non sto assolutamente ammettendo che con questi nuovi requisiti le banche saranno capitalizzate in modo adeguato.

La semplice verità è che fintanto che il casinò dei derivati sarà aperto e alle banche sarà concesso di continuare le loro attività fuori bilancio, non si risolverà nulla. Le due tabelle qui sotto la dicono tutta:




Fonte: Basel iii Compliance Professionals Association (B iii CPA)


Come può essere sufficiente un requisito finale di capitale dell’8 per cento quando la leva, secondo Basilea III, può ancora essere al livello astronomico di 33 a 1 ? Nella seconda tabella, non ci vuole un genio per concludere che la crisi del settore bancario (se saremo fortunati) potrebbe “risolversi” entro il 2015 ma è più probabile che potrà risolversi soltanto entro il 2017/2018.

Questa è una chiara ammissione del fatto che tutte le banche avrebbero bisogno di un simile periodo di transizione per adeguarsi ai nuovi requisiti!

La cruda realtà è che in questo momento critico le banche “Troppo Grandi Per Fallire” non hanno né la capacità né i mezzi per aumentare il capitale. Per usare un’analogia, il paziente bancario sarà in terapia intensiva fino al 2017, cosa piuttosto ottimistica perché questa previsione crede che il paziente sarà in grado di riprendersi.

La mia opinione è che Basilea III sia pura propaganda e sia intesa per dare l’impressione che i banchieri centrali e i regolatori abbiano tutto sotto controllo. Ma è una grossa bugia!

Avevo detto in un mio articolo precedente che la FED, attraverso il QE I, aveva acquistato degli asset tossici dalle banche: una parte di quei fondi erano stati utilizzati per sostenere le riserve mentre un’altra parte per acquistare Buoni del Tesoro (per dare l’illusione di asset di qualità migliore nei bilanci delle banche). Ce ne sono molti di più, migliaia di miliardi di dollari di rifiuti tossici che nessun QE (quantitative easing) può eliminare. Questa situazione non tiene nemmeno in considerazione i rifiuti tossici negli SPV – quelle cose astruse tenute fuori bilancio. La FED e gli organismi di controllo hanno sospeso le norme contabili che hanno permesso alle banche di nascondere questa spazzatura tossica negli SPV e di non doverla annoverare nei loro bilanci.

SUPPORTO VITALE

Il QE I ha solamente permesso alle banche “Troppo Grandi Per Fallire” di continuare un qualche genere di attività bancaria nascondendo pertanto all’opinione pubblica che erano insolventi, e quindi impedendo una corsa agli sportelli.

Ma i banchieri centrali non possono avere la botte piena e la moglie ubriaca. Nel tentativo di sostenere la fiducia dell’opinione pubblica nelle banche con l’introduzione di Basilea III, hanno senza volere sputato il rospo e, come mostrano le due tabelle, le banche sono tutte insolventi.

Inoltre, qualunque siano le riserve accumulate, queste sono insufficienti per incentivare ulteriormente i prestiti, perché le banche hanno raggiunto i loro limiti in base al sistema di riserva frazionaria. Questo è il motivo della contrazione del credito e non, come ha ipotizzato un commentatore, che Basilea III “contrarrebbe il credito”.

Due sono i problemi che gravano sulle banche:

1) capitale insufficiente per far fronte alle passività (prestiti); e

2) riserve insufficienti nel sistema a riserva frazionaria.

Questo è un grosso casino!

IL GIOCO DELLA FIDUCIA

In questo momento non riesco a dare una tempistica precisa su quanto la FED e i banchieri centrali di tutto il mondo possano ancora prolungare il gioco della fiducia, illudendo l’opinione pubblica e i creditori sovrani che vada tutto bene.

Quando, per qualsiasi ragione, la fiducia nelle banche svanirà, le conseguenza saranno terribili e ci saranno grandissime rivolte in tutto il mondo. Il primo segnale che il gioco sta per finire sarà quando la FED aumenterà gli acquisti di Buoni del Tesoro americano per compensare i deficit dei creditori stranieri e per finanziare la crescita del deficit degli Stati Uniti.

Tutto ad un tratto alcuni enti potrebbero iniziare veramente ad innervosirsi e a disfarsi dei Buoni del Tesoro, e la FED interverrebbe per sostenerli. Quindi verrà raggiunto il punto di non ritorno e si scatenerà l’inferno!

Anche la Cina fa parte di questo gioco della fiducia.

Ma, contrariamente al FMI e ad altri rinomati economisti che stanno scommettendo sulle cosiddette forze economiche di Cina e Asia, sono del parere che i Buoni del Tesoro americano crolleranno, la fiducia in tutta la moneta a corso forzoso svanirà in modo analogo e ci sarà un enorme flusso di capitale verso le materie prime, specialmente oro, argento e petrolio.

I mercati azionari asiatici saranno devastati e ci sarà una forte volatilità nei prezzi delle valute.

Quindi è pura follia e sconsideratezza quella della banca centrale malaysiana (Bank Negara) e del governo anche solo prendere in considerazione lo scambio di ringgit. Quando svanirà la fiducia negli asset espressi in dollari, la Cina sarà colpita in pieno. La terza e ultima fase dello Tsunami Finanziario Globale devasterà le economie asiatiche e questo avrà come conseguenza la più grande depressione della storia.

Tempistiche?

Tra oggi e un qualunque periodo del 2011.

Al massimo, il 2012.

Dio ci aiuti.

di Matthias Chang

Fonte: www.globalresearch.ca

28 settembre 2010

I servizi segreti nell'ambito dei tre poteri dello Stato


Sommario. 1. Premessa. La teoria della tripartizione. 2. Come funzionano i servizi segreti in teoria. 3. Come funzionano i servizi segreti in pratica. 4. Il vero potere dello stato il potere economico. 5. Conseguenze e ricadute giuridiche. 6. Conclusioni e prospettive di riforma. 7. Una storia finale.

1. Premessa. La teoria della tripartizione.

Come abbiamo più volte sottolineato in questo blog, e come è noto a chi si informa da fonti non ufficiali, ogni cittadino, non solo italiano, viene bombardato di false notizie fin dall’infanzia, in modo che non abbia chiara la percezione di come funziona il mondo.
La disinformazione fa da padrona anche nell’Università, che in teoria dovrebbe essere il tempio del sapere.
Per quanto riguarda la facoltà di legge, una delle bufale che ci propinano fin dal primo anno, all’esame di diritto costituzionale, è quella della teoria della tripartizione.

Questa teoria risalirebbe a Montesquieu, e sarebbe valida ancora oggi perché lo stato moderno sarebbe fondato, secondo tutti gli studiosi concordi, sui suoi principi.

In base ad essa i poteri dello stato sarebbero tre:
legislativo (il parlamento);
esecutivo (il governo);
giudiziario (la magistratura).

Tale teoria la troviamo trasposta anche nella Costituzione, ove la parte II si intitola infatti “Ordinamento della Repubblica”, ed è divisa in: Parlamento, Governo, Magistratura.

Questi tre poteri sarebbero direttamente riconducibili alla volontà popolare, secondo l’articolo 1 che enuncia: “la sovranità appartiene al popolo”.
Il popolo infatti eleggerebbe i rappresentanti in parlamento: i politici eletti farebbero le leggi; il governo dovrebbe eseguire le leggi; e la magistratura dovrebbe vigilare sulla corretta applicazione delle leggi.
Tutti i poteri in altre parole discenderebbero dal popolo, che sarebbe, appunto, sovrano.

Questa ricostruzione è una balla colossale per due ragioni.
Anzitutto perché in realtà il popolo non è affatto sovrano, in quanto non ha il potere di scegliere i suoi rappresentanti; le ultime leggi elettorali, infatti, hanno completamente azzerato il rapporto diretto tra eletti ed elettori.
In secondo luogo, i politici dipendono strettamente dal potere economico, e dai servizi segreti, di cui eseguono supinamente le direttive.

Se ciò che dico pare esagerato, vediamo di affrontare meglio la questione.

2. Come funzionano i servizi segreti in teoria.

I servizi segreti, in ogni paese, sono quegli organi deputati alla difesa dello Stato, con il compito di raccogliere informazioni rilevanti per il governo e il parlamento; la loro particolarità è che possono agire anche con mezzi non ortodossi, ovverosia illegali, commettendo reati. E dispongono di fondi, molti dei quali fuori da ogni controllo istituzionale.

Per capire come funzionano i servizi segreti sono fondamentali due libri: quello di Aldo Giannuli, divulgativo e di facile lettura, che ne spiega il funzionamento in teoria (sia pure con molti esempi pratici); e quello di Giuseppe De Lutiis, I servizi segreti in Italia, che traccia la storia dei nostri servizi segreti, dimostrando, dati e fatti alla mano, come tale organo abbia influenzato la politica italiana nel corso di questi ultimi decenni, a tal punto che si può affermare che sono loro il vero motore del paese.

Partiamo da una prima constatazione. I servizi segreti sono denominati in realtà “servizi di informazione”.
I loro nomi sono infatti attualmente AISE (agenzia di informazioni e sicurezza esterna) e AISI (agenzia di informazioni e sicurezza interna).

Il vero compito di un servizio segreto, infatti, non è solo uccidere, combattere i servizi segreti di altri paesi, sventare attentati, sequestrare e uccidere politici come Moro, ecc. Quella è una parte poco rilevante dell’attività dei servizi, tra le meno importanti.

L’attività principale di un servizio segreto è quella di raccogliere informazioni.
In teoria un servizio segreto (un servizio segreto vero, intendo), che sia al soldo di un governo veramente democratico, dovrebbe raccogliere informazioni su chiunque (anche semplici cittadini, perché no? nonché politici magistrati, ma soprattutto su criminalità organizzata, terrorismo, ecc.) e poi relazionare al governo, o agli organi che lo richiedono, affinché si neutralizzino i pericoli per la democrazia e il paese.
Il compito di neutralizzare i pericoli non spetta poi al servizio segreto, ma a tre organi diversi:
1) alla polizia (quando si tratta di pericoli derivanti dalla criminalità comune),
2) all’esercito (quando il pericolo deriva da uno stato estero),
3) o al parlamento.
Ad esempio: i ministri di un governo da poco insediato, con politici magari al loro primo incarico, saranno completamente all’oscuro dei pericoli derivanti da stati esteri, del modo di agire delle varie mafie, delle cellule terroristiche presenti nel territorio, ecc. Spetterà quindi ai servizi segreti fare relazioni sui pericoli prioritari per la sicurezza nazionale, allertare chi di dovere di eventuali infiltrati negli apparati di governo, ecc.
E in base a queste informazioni il governo deciderà poi dove e come stanziare fondi, se per la lotta alla droga, alla mafia, al terrorismo, ecc., le zone in cui operare, ecc.

In tal modo è ovvio che si influenza in modo decisivo la linea di politica interna ed esterna.

Ora, date queste caratteristiche, le loro operazioni, nelle mani giuste (cioè con i politici giusti e con le leggi giuste) possono trasformare un paese in un’oasi di sicurezza e di pace.
In uno Stato realmente democratico, ove i funzionari dei servizi fossero scelti per meriti, per lealtà allo Stato, e per onestà, il servizio segreto sarebbe un organo vitale per la difesa dei cittadini e della democrazia.

3. Come funzionano i servizi segreti in pratica.

Fin qui la teoria.
Nella pratica però inizia il problema.
Nelle mani sbagliate i servizi segreti possono trasformarsi in un micidiale strumento di morte e di sopraffazione della popolazione.
Dal momento che sono in possesso di informazioni vitali su stati esteri, criminalità interna esterna, cittadini, politici, aziende, ecc., possono condizionare a loro piacimento la politica del paese.

Se i servizi segreti utilizzano male il loro potere, possono distorcere le informazioni, e piegare gli organi costituzionali, siano essi il governo, il parlamento o la magistratura, ai loro scopi.

Inoltre potendo operare nell’illegalità, e potendo trincerarsi dietro al “segreto” apposto sulle loro operazioni, possono compiere qualsiasi tipo di operazione illegale.

Qui nasce il pericolo.

Infatti il servizio segreto ha il potere di inventare pericoli inesistenti; di minimizzare il rischio derivanti da singoli settori della criminalità, ecc.
Inventando pericoli militari inesistenti possono ad esempio far affluire soldi al ministro della difesa piuttosto che a quello dell’istruzione.
Minimizzando la potenza delle varie mafie distoglieranno fondi dalle forze di polizia, ecc.
Confezionando scandali ad hoc potranno far saltare poltrone, promuovere la nomina di determinate persone; possono uccidere testimoni scomodi, possono ditruggere organizzazioni politiche infiltrandole ed eterodirigendone i fini, possono ricattare.

E questo pericolo è tanto più concreto, quanto più il sistema di reclutamento dei funzionari dei servizi sia poco trasparente e corrotto; ora, dal momento che è noto il grado di corruzione a tutti i livelli, dei politici e dei funzionari pubblici in generale, va da sé che con lo stesso metodo saranno reclutati i dipendenti del servizio segreto.
Con quale risultato è facile immaginare. E’ sufficiente rammentare alcuni fatti:

- in ogni strage italiana, da Capaci, a Portella della Ginestra, passando per casi eclatanti come il sequestro Moro, c’era sempre dietro lo zampino dei servizi che – quanto meno – hanno depistato e deviato le indagini.

In alcuni casi, come quello del sequestro Moro, c’è praticamente la certezza che i servizi abbiano organizzato e condotto tutto il sequestro, come abbiamo avuto modo di vedere proprio su questo blog.

Per le stragi di Capaci e via D’Amelio, è praticamente provato che il telecomando che fece saltare in aria Borsellino fu azionato dal Cerisde di Palermo, situato a Castel Utveggio, sede dei servizi segreti; e che dalla stessa sede partì la telefonata che avvertì Brusca dell’arrivo di Falcone a Punta Raisi.
Di più. La strage di Via D’Amelio pare sia stata organizzata dai SOLI servizi segreti, senza la mafia, che si è solo presa la colpa, così come a suo tempo i brigatisti rossi si presero la responsabilità del sequestro Moro (ma è stato dimostrato che i brigatisti più noti erano in realtà uomini dei servizi).

E questi sono esempi.

In compenso non esiste una sola strage in Italia, o un solo evento importante, che i servizi segreti abbiano contribuito a risolvere, facendo arrestare i colpevoli. Anzi. Nei vari processi per strage italiani, da Ustica a Piazza della Loggia al Mostro di Firenze, si riscontra sempre, inevitabilmente, con una precisione quasi chirurgica, la morte di tutti i testimoni chiave, degli investigatori, ecc. Sono morti per incidenti, per malori improvvisi, ecc., ma – come abbiamo trattato diffusamente in molti articoli del nostro blog – si tratta di morti effettuate con la stessa tecnica, con le stesse modalità, con la stessa tempistica, addirittura con identici simbolismi; e queste morti non sono attribuibili alla mafia, o alla criminalità organizzata in genere. Tecniche così sofisticate e precise possono essere il frutto unicamente di un lavoro effettuato dai servizi segreti.

. Ricordiamo poi vicende come quella del Generale Santovito, imputato nel traffico d’armi in una vicenda che coinvolgeva OLP e BR, morto prima della sentenza. O quella del generale dei ROS Ganzer, condannato a 14 anni per traffico di stupefacenti; poi i depistaggi dei servizi nella vicenda Toni e De Palo, ecc. L’elenco è infinito e potrebbe continuare a lungo.

- i funzionari dei servizi corrotti, o implicati in qualche scandalo, sono stati non arrestati e degradati, come dovrebbe essere, ma addirittura promossi o collocati in posti di prestigio. Ricordiamo ad esempio il caso del generale Mori che, messo sotto inchiesta per la mancata perquisizione al covo di Riina, è stato prima nominato capo della sicurezza del Porto di Gioia Tauro, e poi capo della sicurezza del Comune di Roma, da Alemanno.

Il genersale Miceli, capo del SID, arrestato per cospirazione contro lo stato, e sospettato di essere coinvolto in attentati, stragi, nel Golpe Borghese e delitti vari (in quanto faceva parte dell'organizzazione Rosa dei venti), coinvolto nella P2, fu assolto e promosso a generale d'armata. E, giusto per non farsi mancare niente, come ulteriore premio fu eletto deputato nell'MSI.

A questi dati ne dobbiamo aggiungere un altro:

- I vertici dei servizi, per anni, sono stati anche membri della P2 o della massoneria. Nella lista della P2 c'erano 22 generali dell'esercito e 12 generali dei Caraninieri. Nonchè tutti i vertici dei servizi segreti, Miceli, Santovito, Pelosi, Allavena, Grassini, La Bruna.

Che significa questo?
Significa che è fortissimo il legame tra servizi segreti e massoneria. Per dirla tutta, e con parole chiare, il sospetto è che i servizi segreti dipendano in realtà non dal ministro in carica, ma dai vertici della massoneria. E che cariche, compiti, fini, siano decisi non a livello politico ma massonico.

I risultati pratici ed operativi di questa situazione possono essere riassunti con alcuni esempi.

Si deve far saltare la poltrona su cui siede Marrazzo? Ecco confezionato ad hoc lo scandalo dei trans. La firma dei servizi è inequivocabile, non solo per la tecnica usata, ma anche perché il luogo dello scandalo era quella famosa via Gradoli, dove dicono fu tenuto Moro prigioniero, che altro non è se non uno stabile di proprietà dei servizi segreti.

Si deve mandare un pesante avvertimento ad Andreotti? Ecco lì belli e pronti alcuni falsi pentiti che dichiarano pure di aver visto Andreotti baciarsi con Riina.
Beninteso: non sto dicendo che le accuse mosse ad Andreotti fossero false. Sto solo dicendo che ad essere falso era in realtà il processo, perché i sospetti sulla collusioni di Andreotti con la mafia (per non dire le certezze) esistevano da molto tempo (dai tempi in cui Nando Dalla Chiesa scrisse “Delitto imperfetto”). Il punto è che le accuse sono emerse solo dopo molto tempo, e solo quando si trattava di punire Andreotti per ben altri motivi; motivi tutti interni alla massoneria internazionale, e che nulla hanno a che vedere con ragioni come legalità e giustizia.

Stessa cosa è stata fatta per Berlusconi. Le accuse di collusioni con la mafia ci sono da anni; sono note le vicende di Mangano, la condanna di Dell’Utri per associazione a delinquere di stampo mafioso, ecc., ma la notizia delle collusioni tra mafia e Forza Italia è stata sparata su tutti i giornali e sulle stesse TV di Berlusconi solo al momento giusto, quando cioè si trattava di dare un ulteriore colpo a Berlusconi, per affossarne la leadership. C’è poco da dubitare che le dichiarazioni del pentito Spatuzza (irrilevanti a livello giuridico, come abbiamo detto in un altro nostro articolo) siano un’operazione ben congegnata dei servizi.

Si deve mandare un messaggio trasversale, un ricatto, una minaccia? Ecco pronto il dossier sull’acquisto irregolare di una casa per Fini, per D’Alema, e per chiunque, detto in parole povere, rompa i coglioni.

E' nata un'organizzazione politica che si impegna troppo nel sociale? E' stato creato un centro sociale che potrebbe attivarsi troppo per far capire alla gente come funziona il sistema?
Ecco inviati un bel po' di infiltrati dei servizi, che in poco tempo distruggono l'organizzazione, o la rendono innocua uccidendo o mettendo fuori gioco i membri più pericolosi. Qualche esempio pratico? Eccolo.

Forza Nuova ha un programma troppo smaccatamente antisistema e troppo pericoloso? Ecco belli pronti e confezionati degli articoli di giornale che li presentano come razzisti e fascisti; ecco confezionato qualche bell'incidente che coinvolga i Forzanovisti, magari con qualche morto (come quello di Nicola Tommasoli) in modo che la gente associ il nome di Forza Nuova a quello di razzisti assassini. Non a caso Forza Nuova è l'unico movimento che si batte avendo tra i 9 punti del suo programma ufficiale l'abolizione dei servizi segreti.

Il centro sociale Leoncavallo è troppo attivo? Ecco qui belli e pronti incidenti stradali per i più pericolosi:
- un bel suicidio per l'avvocato del leoncavallo Lucio Iassa;
- una morte tra le fiamme, per Betty Altomare,
- un assassinio per Fausto e Iaio (ovviamente attribuito ai fascisti) ecc.
- Se poi qualche giornalista, come Mauro Brutto, inizia a sospettare che dietro ai due omicidi non ci sono i fascisti, ma i servizi segreti, no problem: lo si fa investire da una Simca 1100 che toglie di mezzo il rompicoglioni.

Delle morti sospette nei centri sociali ne abbiamo parlato più diffusamente qui.:

http://paolofranceschetti.blogspot.com/2009/01/lettere-da-una-lettrice-sui-centri.html

L’immenso potere dei servizi spiega, ad esempio, come possa essere eletto parlamentare un politico come D’Elia, che si è fatto venti anni di galera per aver ucciso a sangue freddo un poliziotto; non perché – come ha detto il prode difensore dei deboli Bertinotti – è un uomo che ha pagato il suo debito con la giustizia, ma perché era un uomo dei servizi, che ha agito sotto copertura, e che poi è stato premiato per il “servizio” reso ai “servizi”.

4. Il vero potere dello Stato. Il potere economico.

A questo punto però c’è da rispondere ad una domanda fondamentale.
A chi rispondono i servizi?
Se è vero infatti che sono questi l’organo più potente dello Stato, è anche vero che essi non hanno finalità proprie, ma dipendono a loro volta da altri poteri.
Per rispondere occorre conoscere la storia, il diritto, e la cronaca giudiziaria, per capire che sono tre gli enti cui fanno realmente capo i servizi, ma nessuno di essi è un organo regolare.
Andiamo con ordine.

Dal punto di vista giuridico, occorre leggere la nostra costituzione e alcune leggi che riguardano gli organi statali più importanti, e allora è facile individuare la prima risposta: le banche. Senza leggere teorie complottiste o autori notoriamente antisistema, è sufficiente leggere la legge con cui viene regolato il funzionamento della Banca D’Italia e della BCE, per capire che sono le banche i veri padroni del sistema in cui viviamo (capisaldi di questa legislazione delirante sono: le immunità di cui godono gli amministratori della BCE, la completa indipendenza da parlamenti e governi, e il totale assoggettamento delle banche centrali al potere delle banche private anche estere).

Dal punto di vista storico, un’analisi dei rapporti tra il nostro Stato e gli USA ci fa capire che noi siamo uno Stato a sovranità limitata, nel senso che dipendiamo sia economicamente sia dal punto di vista militare dagli USA, quindi dalla CIA. Lo dimostrano, a tacer d’altro, le innumerevoli basi NATO sparse sul territorio nazionale, che sarebbero impensabili in uno Stato veramente sovrano.

Infine, la cronaca giudiziaria – che ha dimostrato come i vertici dei servizi per decenni fossero tutti scelti all’interno della P2 – ha dimostrato che l’ente più potente, che comanda direttamente i servizi segreti, è un ente non statale: la massoneria.

Massoneria, banche e servizi segreti costituiscono quindi un connubio indissolubile, e sono portatori di interessi unitari; interessi che vengono perseguiti tramite i servizi segreti, che sono quindi un organo non al servizio del nostro governo (spesso i ministri in carica non sanno neanche come funzionano nella pratica, i servizi) ma al servizio del potere economico internazionale.
A tal proposito mi ricordo un colloquio che ebbi con l’onorevole Falco Accame, tempo fa, il quale mi disse che all’epoca in cui fu nominato sottosegretario alla Difesa, passando per gli uffici della Difesa notava degli uffici con scritto “Ufficio SB”; racconta che con alcuni suoi amici, non sapendo di cosa si trattasse, e non riuscendo a capire quali funzioni avessero questi uffici, ironizzava su di essi e li chiamavano “uffici servizi bassi”. Solo dopo molto tempo capì che era “ufficio Stay Behind”: Gladio, insomma.

5. Ricadute giuridiche di questa situazione.

In altre parole, e concludendo, viviamo in un paese ove l’organo più delicato e potente dello Stato non ha alcuna garanzia costituzionale e opera fuori da ogni controllo e al soldo di poteri che non sono affatto previsti dalla Costituzione.
Le ricadute di questa situazione dal punto di vista giuridico sono molteplici.

Primo. La sovranità non appartiene al popolo, ma al potere economico. Non a caso la sovranità monetaria, una delle più importanti forme di sovranità statale, è in mano alle banche private.
Se ne va a farsi benedire quindi l’articolo 1 della Costituzione.

Secondo. Il diritto all’informazione è una vana chimera. La verità è che le informazioni sono filtrate, manipolate, condizionate dai servizi segreti. Talvolta le notizie non sono semplicemente manipolate: sono addirittura create ad hoc (si pensi al falso dossier sulle famigerate armi chimiche inesistenti di Saddam Hussein, preparato dal nostro governo, che fu – ufficialmente – la scintilla che fece scoppiare la guerra in Iraq).
Viene vanificato cioè l’articolo 21 della Costituzione.

Terzo. Il diritto alla giustizia è, nei casi più gravi, nulla più che una chimera. I processi più importanti sono manipolati in modo da lasciare impuniti i colpevoli, in quanto la giustizia viene condizionata in vario modo, dall’uccisione dei testimoni alla corruzione dei magistrati, fino all’eliminazione fisica di magistrati, poliziotti o carabinieri che conducono seriamente le indagini.
Come abbiamo detto, è da spiegare nell’intervento costante dei servizi segreti in ogni strage italiana, nonché nei delitti più importanti, il motivo della mancata assicurazione alla giustizia dei responsabili.
In poche parole, viene reso come carta straccia tutto il titolo IV della Costituzione, dedicato alla magistratura.

Quarto. Una chimera senza fondamento è l’articolo 28, secondo cui i funzionari dello Stato sono direttamente responsabili degli atti compiuti in violazione di diritti. La recente legge sui servizi segreti, infatti, la L. 124/2007 ha addirittura rafforzato la possibilità per i dipendenti di questi organi, la possibilità di commettere reati e l’impunità per la loro commissione.
Quindi la verità è che ad essere responsabili saranno tutt’al più alcuni dipendenti pubblici in settori non vitali della Repubblica; ma i funzionari che ricoprono incarichi più delicati potranno fare quello che vogliono, sicuri della totale immunità.

6. Conclusioni e prospettive di riforma.

La situazione che abbiamo delineato sembrerebbe drammatica ma non lo è così tanto, sol che si pensi che la nostra nazione è diventata democratica da poco più di un secolo; e la monarchia è scomparsa definitivamente solo dal ’47 in poi.

Poco più di sessanta anni non possono garantire un passaggio da millenni di stato assoluto ad uno stato democratico. Per far questo ci vorranno ancora molti decenni, molto sangue, molte ingiustizie.
Presa coscienza del problema, i primi progetti politici seri dovranno essere quelli di una riforma dei servizi in senso democratico, dando a questo organo delle garanzie costituzionali; riforma non disgiunta da una completa revisione della Costituzione, in modo che siano veramente assicurati i diritto fondamentali ad ogni individuo.

In particolare, sarà necessario adeguare sempre di più i servizi al quel principio di trasparenza che, in teoria, dovrebbe permeare tutto il sistema amministrativo italiano, ricordandoci che anche tali organi sono pur sempre organi amministrativi, soggetti alle regole del diritto costituzionale e amministrativo.

Per ora, noi cittadini dobbiamo accontentarci di capire il sistema, sperando che sensibilizzando un numero maggiore di persone, venga presto il giorno in cui saranno in molti a chiedere una riforma dei servizi segreti, per trasformarli in un organo realmente a difesa del cittadino.
Tale trasformazione dovrebbe essere chiesta anche dagli appartenenti ai servizi stessi, perché i primi a pagare il prezzo di questo sistema sono i dipendenti dei servizi stessi, che – vivendo nell’illegalità e nell’ombra – possono essere uccisi da un momento all’altro quando giudicati scomodi per qualche motivo, o quando siano portatori di segreti troppo pericolosi.
Per esemplificare la drammatica situazione in cui vivono i dipendenti dei servizi stessi, concludo con il racconto di un mio amico di infanzia, il cui padre era un funzionario dei servizi segreti. All’età di dodici anni gli uccisero il padre, e la cosa – manco a dirlo – fu fatta passare per suicidio. In quello stesso periodo si “suicidarono” altri due funzionari dei servizi nel paese in cui viveva, Bracciano.

7. Una storia finale.

Per esemplificare la drammatica situazione in cui hanno sempre vissuto i dipendenti dei servizi stessi, concludo con il racconto di un mio amico di infanzia, che per comodità potremmo chiamare Giulio, Adriano o Cesare.
Il padre era un funzionario dei servizi segreti durante gli “anni di piombo”.
All’età di dodici anni perse il padre, secondo quella che definirei una “moda intramontabile”, ovvero il suicidio. Naturalmente, con il passare del tempo e l’aumento di queste morti a dir poco sospette, la storia ufficiale ha riconosciuto, con un abile gioco di parole, che non “si suicidarono” ma “furono suicidati”. D’altronde - mi racconta Giulio - era in corso una vera e propria guerra, nella quale era difficile comprendere quali fazioni fossero al servizio dello Stato e quali invece fossero “deviate”, tanto che fin troppo spesso questa verità era ignota anche agli stessi agenti.
Il trasferimento da un nuovo incarico, anche di maggior prestigio, non rappresentava quasi mai una promozione, ma solo la morte di un collega: per questo, appena giunta la notizia del richiamo in patria, il padre di Giulio comprese immediatamente la situazione. Sapeva che sarebbe morto e ne rese partecipe la famiglia, cercando di prepararla alle difficili situazioni che sarebbero seguite.
Purtroppo al peggio non c’è limite e neanche il momento di maggior dolore è in grado di allontanare la “guerra” dai superstiti, i familiari, vittime anch’essi di questi giochi di potere. La storia delle famiglie di almeno un’ottantina di fedeli servitori dello Stato è stata sempre la stessa:
- sequestro dei corpi ed esami autoptici condotti da medici legali “autorizzati”;

- perquisizioni effettuate tra i parenti in lacrime, finalizzate alla ricerca di armi, documenti ed effetti personali;

- funerali blindati, ai quali non è mai intervenuta nessuna autorità, né collega;

- blocco dei conti bancari noti ed insabbiamento delle pratiche pensionistiche, qualora una famiglia osi chiedere il riconoscimento della morte in servizio o per cause inerenti il servizio: in questo caso, nell’ottica che infangare è più semplice che premiare (ovvero spiegare al popolo fatti oggettivamente scomodi), sono stati versati fiumi di veleno che giustificassero quanto avvenuto. Il padre di Giulio, come gli altri, fu descritto come uno che aveva avuto relazioni extraconiugali, debiti, che amava la bella vita, le auto di lusso e le donne: al tempo stesso però, la sera era sempre rientrato a casa, giocava con i figli e non litigava mai con la moglie. Aveva un orticello dove coltivava la terra e trascorreva le poche giornate libere con la famiglia e gli amici e Giulio non vide mai queste belle donne e queste macchine.

Fortunatamente però le giornate duravano solo 24 ore anche per gli agenti dei servizi segreti, e quindi Giulio non credette mai a quanto veniva riportato dai giornali. Sua madre, una donna dal carattere molto forte e legata al marito da un amore indissolubile, gli ricordò quanto aveva detto suo padre ed intraprese la strada più difficile, passando attraverso tutte le tappe, tra ricatti, difficoltà economiche e minacce di morte.

Ad ogni loro mossa venivano avvicinati da uno sconosciuto che gli consigliava di salutarsi, perché magari Giulio non sarebbe tornato da scuola o non avrebbe trovato la madre al suo ritorno. Ogni mattina Giulio trovava sul cammino da casa a scuola uno sconosciuto che gli diceva "Bambino, saluta tua madre, perchè non sai se la rivedrai al tuo ritorno". Con questo stato d’animo Giulio veniva a scuola senza raccontare a nessuno quel che gli succedeva, perché non avrebbero capito. In questa situazione hanno vissuto e vivono tuttora molte famiglie di persone che sono morte credendo di fare qualcosa di buono per lo stato; credendo che il loro lavoro servisse per un fine più nobile di uno sporco gioco di potere.

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A Giulio che ho rincontrato dopo oltre venti anni e che è rimasto come allora.
Quando eravamo adolescenti dicevo spesso “mi sta molto simpatico ma nasconde qualcosa. Ride troppo e scherza troppo”.
Oggi ho capito cosa nascondeva.
Che il sacrificio di tuo padre in futuro si trasformi in energia positiva e possa essere un piccolo contributo per un miglioramento futuro della nostra società.
E che questa carneficina possa finire un giorno.

di Paolo Franceschetti

27 settembre 2010

il FMI mette le mani avanti sul debito pubblico

Il FMI con questa analisi inizia a mettere le mani avanti su quello che molto probabilmente accadrà all’Italia nel prossimo, molto prossimo, futuro.

Debito insostenibile, poco margine di manovra, necessità di misure di lungo periodo.

L’Italia ha già raggiunto la soglia che nel 1992 costò anni di lacrime e sangue per la popolazione (120% del debito pubblico sul PIL) e che ha dato alla Grecia notti insonni. La situazione in questo frangente è chiara: a questi livelli la fiducia di coloro che comprano titoli del debito pubblico diminuisce e si chiede un aumento del premio di rischio (Leggi tasso di interesse) per continuare a dare fiducia. In questo va letto l’aumento dello spread fra Bund e BTP e la recente manovra del tesoro di annullare l’asta di agosto onde evitare brutte sorprese in un clima politico precario e incandescente. Ovviamente non si parla nemmeno di possibile default, ma solo di onerosità del debito. In questo frangente però la miscela è esplosiva in quanto la crescita è a 0 e invece la macchina statale fagocita spese sempre maggiori e non si arresta se non con misure drastiche ed impopolari che si cerca di rimandare per evitare shock politici ulteriori anche se l’insofferenza della popolazione alla politica si sta facendo sempre più forte visto i fischi a Letta, prima all’Aquila e ieri a Venezia…e le contestazioni a dell’Utri.

Oggi il debito pubblico italiano è quasi totalmente in mano a banche e istituzioni finanziarie per l’86,34% e solo il 13,66% in mano alle famiglie (fonte ADUSBEF) e questo rende la situazione ancora più difficile e manovrabile dall’esterno. Per una comparazione della situazione dobbiamo risalire al 1991 quando le famiglie detenevano il 58,64% e il debito era detenuto all’estero solo per il 5,99% (nel 2005 la quota detenuta all’estero era passata al 53,31%).

Allora avevamo una valuta sulla quale si avventarono gli avvoltoi, ricordate la svalutazione del meno 30% in una notte e l'uscita della lira dallo SME? oggi con l'euro l'unico mezzo è quello di non comprare i titoli del debito pubblico. Le conseguenze però sarebbero le stesse...

di P. Paoletti

25 settembre 2010

Basilea 3: un rimedio peggiore del male


Le nuove regole bancarie che vanno sotto il nome di "Basilea 3" ricordano il famoso falegname che, accortosi che il tavolo aveva una gamba più corta, finì col tagliare a zero tutte le gambe nel tentativo di allineare le altre tre. Sarebbe solo un altro capitolo nel manuale delle sciocchezze delle banche centrali, se non ci fosse un processo di disintegrazione finanziaria in corso. Questa decisione accelera la disintegrazione.

In primo luogo, Basilea 3 non risolve il problema centrale, che è quello del debito. Il debito tossico non verrà eliminato. In secondo luogo, le banche vengono sottoposte ad un regime restrittivo lasciando intatto l'intero settore dello "shadow banking". Così, alla City di Londra se ne infischiano perché l'attività finanziaria è prevalentemente di natura non bancaria e quindi le nuove regole non li riguardano. In terzo luogo, Basilea 3 è coerente con la politica di bilancio imposta dall'UE agli stati membri, e avrà effetti deflazionistici perché le banche ridurranno il credito per poter rispettare i requisiti di capitale. E infine, esigendo dalle banche una maggiore provvista di "titoli liquidi di alta qualità", le banche centrali spingono gli istituti di credito ad acquistare più obbligazioni e titoli di stato, forse allo scopo di migliorare i bilanci statali dopo averli appesantiti con i debiti delle banche stesse. Insomma, si finisce come nello sketch del famoso falegname.

Siamo alle ennesime misure monetarie che ambiscono a curare una crisi del debito con maggiore debito. L'unica soluzione, una separazione delle attività bancarie alla Glass-Steagall come preludio per cancellare la bolla speculativa, non è stata nemmeno considerata. Come ha scritto Massimo Mucchetti su Il Corriere della Sera il 14 settembre, "la crisi bancaria internazionale è figlia dell'economia del debito, che gonfia lo sviluppo con i soldi degli altri. Di quest'economia drogata le banche sono state effetto, causa e motore. Il rimedio sarebbe la graduale (e dolorosa) riduzione del debito per tornare a crescere domani, magari meno di prima ma in modo più sano, equo e, diciamolo, onesto. Difficile seguire altre strade… ma il rimedio, proprio perché duro, implicherebbe uno sforzo riformista grande, diffuso in tutte le attività e non solo nella finanza. Negli anni '30, il New Deal non ruppe solo la fratellanza siamese tra banca commerciale e credito finanziario, suscitando le ire di Wall Street, ma cambiò il modo di vivere dell'Occidente. Basilea 3 ha un tale respiro? La risposta è no".

Poiché "di fronte a una vera crisi di liquidità non c'è capitale che tenga", una vera soluzione richiederebbe "dei Roosevelt del nuovo millennio e non banche centrali e governi comunque legati al passato. Che negli USA, il Paese guida, si riassume in due dati: il debito globale americano era di 47 mila miliardi di dollari nel giugno 2007, alla vigilia del disastro, ed è a 52 mila miliardi adesso. Non solo l'Italia, ma l'Occidente sta galleggiando. Nella speranza che i guai si risolvano da soli".

Parallelamente a Basilea 3, il Commissario UE Michel Barnier ha presentato una proposta per "regolare i derivati" che i media hanno presentato come una vera rivoluzione. Barnier propone di mettere tutti i derivati OTC (Over The Counter) in uno sportello ("Under" The Counter), e di permettere ai governi e ai supervisori finanziari di bloccare le vendite allo scoperto e i CDS qualora essi minaccino la stabilità finanziaria di un paese membro dell'UE. La proposta di Barnier, anche se venisse accettata, non funzionerebbe mai. Con i derivati è come con le gravidanze: la ragazza non è mai "un po'" incinta. Barnier ha fatto chiaramente capire le sue intenzioni in un'intervista a Les Echos del 15 settembre. Alla domanda "Perché non vietare semplicemente le vendite allo scoperto di prodotti altamente speculativi?", Barnier ha risposto: "Perché c'è bisogno di vendite allo scoperto! Queste vendite aumentano la liquidità. E' fuori discussione vietare la speculazione, che da tempo immemorabile fa parte della vita economica. Sarebbe come vietare la pioggia!".

by (MoviSol)

L'affitto d'oro della Camera da 150mila euro al giorno

La scoperta sa di acqua calda. Ma la cifra al dettaglio è una novità e soprattutto ha del clamoroso. I 630 deputati non costano solo i 14 mila e passa euro al mese tra indennità (ridotta di mille euro, sì, ma solo dal prossimo gennaio), diaria e rimborsi spese. Ma 22 mila euro. Non il doppio ma giù di lì. E se la denuncia, confermata da tabelle e dati ufficiali, non ha suscitato clamore, è perché avvenuta in una sala di Montecitorio deserta, lunedì pomeriggio, quando solo una manciata di parlamentari si sono presentati in aula per discutere il bilancio interno 2010 della Camera. Come sempre un affare tra intimi, come sempre quando l'anno in esame sta quasi per terminare. Che il re è nudo lo ha proclamato la radicale Rita Bernardini. E anche i deputati questori, guidati dal pidiellino Francesco Colucci, non hanno potuto fare altro che ammettere la debacle. «Vi rendete conto o no, colleghi, che tra palazzi e uffici, Montecitorio spende ormai in affitti 54 milioni di euro l'anno, ovvero 147mila euro al giorno? E sapete questo cosa vuol dire? Che ciascun onorevole, ciascuno di noi, costa 8 mila euro al mese. È evidente che qualsiasi italiano, con quella cifra in mano, si affitterebbe una stanza perfino più grande e comoda rispetto a quelle che concedono. E soprattutto si pagherebbe anche la segreteria».
Già, la segreteria. Perché invece ai deputati, come ai senatori, viene pagata a parte, con tanto di voce mensile da 4 mila euro. Soldi com'è noto affidati direttamente all'onorevole che poi li gestisce a proprio piacimento. Non l'ennesima trovata dei radicali, stavolta. Quando ieri pomeriggio il bilancio interno è stato approvato, è passato anche l'ordine del giorno del pidiellino napoletano Amedeo Labocetta che così lo ha commentato in aula: «Con l'approvazione dell'ordine del giorno si potrà finalmente porre fine allo scandalo che riguarda l'affitto degli immobili della Camera e che rende sempre più ricco l'imprenditore Sergio Scarpellini (titolare della società unica titolare della decina dei immobili affittati da Montecitorio, ndr). Che ha sin qui ricevuto negli anni, dalla presidenza Violante ad oggi, oltre trecento milioni di euro per immobili che valgono al massimo centocinquanta milioni senza che nessuno dei suoi successori, Casini, Bertinotti e Fini, intervenisse per porre fine a questo enorme sperpero di denaro pubblico». La sua tesi è che spendendo meno di un terzo di quanto oggi paga per l'affitto, la Camera potrebbe diventare proprietaria degli immobili. Ma che il vento fosse cambiato lo si è capito quando a prendere la parola è stato il questore (da più legislature) Colucci, anche lui espressione della maggioranza. «Può essere ancora valido il principio a suo tempo approvato secondo cui la Camera deve garantire un ufficio a ciascun deputato?» ha chiesto rivolto ai pochi colleghi in aula. Da qui, la rescissione dei contratti di affitto di palazzo Marini, tanto per cominciare. E a seguire gli altri. Ma per ottenere risparmi a sei zeri, bisognerà attendere anni. Mentre è stato bocciato ieri un altro ordine del giorno firmato Idv che prevedeva la cancellazione, tranchant, del vitalizio degli onorevoli. Per il momento, il bilancio comunque virtuoso 2010 certifica risparmi da 315 milioni di euro consolidati nel periodo 2006 2011, che aumenteranno fino al 2013, quando si sentiranno gli effetti della "sforbiciata" di 1.000 euro dalla busta paga dei deputati, e del 5% sulle retribuzioni dei dipendenti che guadagnano tra 90mila e 150mila euro, fino al 10% degli stipendi sopra i 150mila euro, oltre a un taglio delle spese non vincolate, per un totale di 60 milioni di euro. Nel 2010 la Camera costerà quasi un miliardo di euro, con un tasso di crescita della spesa dell' 1,3%0: il più basso negli ultimi 10 anni. Disco verde ieri anche ai conti di quest'anno del Senato, che il presidente Schifani ha definito "virtuosi". Tutto all'insegna dell'austerity anche lì. Scure sul ventre molle delle pensioni dei dipendenti. La pianta organica di Palazzo Madama sarà ridotta del 20% rispetto al limite massimo previsto, sarà bloccato il turnover per due anni e innalzato il limite per la pensione. Che finora consentiva, come alla Camera, scivoli shock già a 57 anni.
di Carmelo Lopapa

24 settembre 2010

"Sorpasso storico" Il fotovoltaico batte il nucleare in termini di costi

Quello che fino a qualche tempo fa poteva essere semplicemente un sospetto o un desiderio diventa oggi una consolidata realtà, almeno per quanto attiene uno studio proveniente dagli USA, della Duke University che, in base a tecniche di comparazione su costi e produzione, ha decretato che si è oramai sancito quello che gli addetti al settore hanno già definito un vero e proprio “sorpasso storico”.

La notizia difatti sembra essere la prova oggettiva tanto attesa da chi, come Fare Verde, ha sempre sostenuto la produzione di energia tramite l’ausilio di fonti energetiche rinnovabili.

Il dato è confermato quindi: l’energiasolare costa meno di quella nucleare!

Difatti se si conduce un’attenta analisi sui costi di produzione del fotovoltaico comparandoli con quelli derivanti dall’utilizzo delle centrali nucleari programmate nel paese, il dato emerge con netta chiarezza, Il solare fotovoltaico ha conquistato una vera e propria posizione di spicco tra le varie alternative, superando perfino il nucleare!

A divulgare la notizia John Blackburn,un docente di economia dell’università, che ha riportato i risultati raggiunti tramite la propria ricerca, all‘interno dell‘articolo “Solar and Nuclear Costs – The Historic Crossover”(http://www.ncwarn.org/?p=2290)

A quanto pare in termini monetari il solare ha raggiunto addirittura i 16 centesimi di dollaro akilowattora.

Una progressiva e costante riduzione dei costi in meno di otto anni a dispetto di quelli impiegati perportare avanti i reattori nucleari che, invece, hanno subito un incremento passando da 2 miliardi di dollari nel 2002 a 10 nel 2010.

Un vero e proprio smacco per l’Italia, che testardamente continua ad investire nella parte sbagliata.

Si segnala inoltre, un altro importantestudio che va a sottolineare l'inversione di tendenza e la fiduciadimostrata dai grandi e piccoli investimenti nel comparto delleenergie rinnovabili a discapito delle energie tradizionali.

A rilevare l’ottimo andamento del mercato delle energie pulite è lo Iefe, l’Istituto di economia e politica dell’energia e dell’ambiente dell’Università Bocconi,che ieri, lunedì 20 settembre, ha presentato nell’ateneo milanese il rapporto "Investimenti all’estero in energie rinnovabili e ruolo delle politiche pubbliche", condotto in collaborazione con Ernst &Young. Secondo il report nel 2009, per il secondo anno consecutivo, i nuovi investimenti nel mondo (163 miliardi di dollari) hanno superato quelli nelle energie tradizionali portando le rinnovabili a coprire il 25% della generazione elettrica mondiale.

di Di Maio Massimo

23 settembre 2010

Profumo: puzza di bruciato e spartizione delle banche



L’antefatto è notissimo: le dimissioni del top manager bancario Alessandro Profumo dalla carica di Ad di Unicredit, carica che occupava se ben ricordo dal lontano 1998, frutto di un’affermazione personale progressiva, dopo la rapida scalata in Credito Italiano avvenuta negli anni novanta.
Alessandro Profumo sembra essere un self made man inserito non in un American Dream, ma in più modesto Italian Dream, che da giovanetto è partito come impiegato al Banco Lariano, in posizione umile, lavorando durante il giorno allo sportello e la sera “studiando alla candela” per una laurea alla prestigiosa Bocconi.

Poi è “cresciuto”, naturalmente in termini aziendalistici di affermazione personale e di scalata, entrando in McKinsey e successivamente in RAS.


Certo non è uno degli squali finanziari peggiori, ma è comunque un Top Manager, un Banchiere contemporaneo, uno che cura gli impietosi interessi degli Investitori, oltre che i suoi personali, e quindi per tutti noi non può che rappresentare un nemico.

Volendo fare un po’ di chiarezza nell’intricata vicenda del repentino “siluramento” di Profumo, senza troppe pretese di scoprire verità assolute o segreti inquietanti, è bene porsi alcune domande.

Normale avvicendamento al vertice di una delle due più grandi banche della penisola?


E’ l’ipotesi meno probabile, anche se Mercati ed Investitori talora esigono sacrifici umani fra gli stessi VIP che ne curano gli interessi, per spingere l’acceleratore sul valore creato e sul profitto.
Non dovrebbe essere questo il caso di Profumo, definibile come un banchiere con tendenze “globali”, ben attento al dividendo da distribuire alla Sovrana Proprietà ed ai Rentiers, orientato verso le grandi acquisizioni [l’HVB tedesca e Capitalia, ad esempio] e il superamento degli angusti confini nazionali.

Esito di una lotta ai coltelli per il controllo di pezzi importanti del sistema bancario nazionale?


Il Profumo di turno ha votato alle primarie del Pd e in qualche modo appartiene a questa trista fazione della politica sistemica, non potendo escludere, nonostante si sia parlato spesso di lui come di un manager “distante” dalla politica, una sua prossima “discesa in campo”
Alessandro come prossimo anti-Silvio?
C’è chi lo vede come il possibile, futuro, “Papa straniero” nel Pd, il quale dovrebbe risolvere i problemi di questo cartello elettorale che sembra molto vicino allo sfaldamento.
Ma i giochi sono complessi più di quanto può sembrare, e l’intricata jungla pidiina, infestata di nomenklature postcomuniste e postdemocristiane in reciproca lotta, prive di qualsivoglia programma ma affamate di posti di potere, è forse un po’ troppo anche per un “collaudato” manager come Profumo, per anni al vertice di un organismo finanziario sempre più multinazionale, che vanta oltre 10.000 filiali in 22 paesi [http://www.unicreditgroup.eu/it/About_us/About_us.htm].
Inoltre, una liquidazione di ben 40 milioni di euro – autentica buonuscita da manager globalista di media tacca – potrebbe suscitare qualche piccola discussione, anche se la cosa non dovrebbe avere troppo peso all’interno della cinica burocrazia pidiina, la quale ha da tempo [e volentieri] rinunciato alla battaglia per la giustizia sociale e la difesa dei subalterni impoveriti, schierandosi apertamente sul fronte opposto.
Dall’altra parte della politica sistemica, è fin troppo chiaro che l’interesse di un Berlusconi in difficoltà, in vistoso calo di consensi nei sondaggi – il quale si è finalmente accorto, seppur in ritardo, che la truffa del berlusconismo è ormai scoperta – è proprio quello di controllare quanti più organismi possibili [bancari e non] per mantenersi ancora in sella a qualsiasi costo, e di metterci ai vertici suoi burattini, o comunque personaggi non potenzialmente ostili al suo gruppo di potere e alle politiche, talora feudali, localistiche e regionaliste, che questo esprime, complici le pressioni [e i molti casi i diktat] di una Lega sempre più determinante.
Da più parti si ricorda che Alessandro Profumo intendeva fare di Unicredit una vera e propria “banca globale”, confliggendo con tutta una serie di interessi consolidati proprio all’interno del gruppo, non di rado di natura localistica/ regionalista.

C’è di mezzo il solito Gheddafi con i cospicui capitali libici da investire in “paesi amici”?


Anche, ma forse non è la ragione principale del “siluramento” di Profumo, pur potendo avere qualche peso nella complessa vicenda che ha indotto il consiglio di amministrazione della banca a sfiduciare il brillante manager, dando mandato al presidente Dieter Rampl di “trattare la resa” con il manager e attribuendogli temporaneamente le deleghe dell’Ad.
In effetti, la banca centrale libica ha un suo alto rappresentate in Unicredit ed una cospicua partecipazione nell’istituto, tendenzialmente in crescita. E’ possibile che nel contrasto fra l’Ad “storico” di Unicredit e i soci, più della controversa questione della “penetrazione libica”, pesi la questione delle Fondazioni, principali azioniste della banca, ormai nemiche giurate del Profumo con aspirazioni “globali”, tendente alla banca unitaria che parla fluentemente inglese e che non dovrebbe piacere molto alle Fondazioni stesse.

Quanto conta in questa vicenda la Lega, che preme da buon parvenu per un suo feudo bancario?


La Lega si è finalmente integrata in “Roma ladrona” – non più tanto sputtanata, se non per tener buoni i bruti nelle sagre padane – ed aspira ad avere un suo peso nelle banche, anzi, vorrebbe una banca importante e “tutta sua”, come la volevano non troppo tempo fa [2005] i capi diessini Fassino, i D’Alema, i La Torre intercettati telefonicamente, che facevano il tifo per l’intraprendente Unipol di Gianni Consorte [al quale D’Alema disse telefonicamente “facci sognare”].

Come i politici diessini di allora[non c’era ancora il Pd], che in pieno 2005 volevano una banca tutta loro a costo di andare a braccetto con i “furbetti del quartierino”, anche i leghisti che ormai fanno parte a tutti gli effetti del sistema della piccola politica corrotta e cialtrona, aspirano ad entrare nei salotti buoni finanziari, pur a livello locale, non potendo puntare più in alto, ad esempio a JP Morgan Chase/ Chase Manhattan Bank, alle guglie più alte del capitalismo contemporaneo finanziarizzato, come farebbero i tutti gli strateghi globalisti che si rispettano …
E’ chiaro che la Lega deve accontentarsi di ciò “che passa il convento”, essendo il sistema bancario italiano piuttosto provinciale, ancora in parte protetto e “riserva di caccia” per cordate indigene politico-economiche, nonché giudicato un po’ “asfittico” e arretrato rispetto ai brillanti attori finanziari occidentali del collasso “sub-prime” e della più folle finanza creativa.

La Lega giustifica i suoi appetiti in campo bancario, le sue pulsioni acquisitive, con la necessità di concedere credito alla PMI del nord in agonia, soffocata dal credit crunch e bisognosa di supporto finanziario per poter sperare di sopravvivere ancora un po’, ed in effetti è in parte vero, perché si tratta di una fetta importante del suo elettorato tipico, che deve essere preservata per poter continuare la scalata al potere.
La Lega, inoltre, oltre alla naturale avversione per la penetrazione dei capitali libici nel sistema bancario italiano, ha mostrato di essere contraria alla visione politico-strategica di Profumo, un po’ troppo globalista/ mondialista per gli xenofobi-regionalisti padani, ben arroccati nei loro feudi, influenti nella Fondazione Cariverona che partecipa al capitale del gruppo, nonché pilastro principale del IV esecutivo Berlusconi.
In conclusione, tanti sono gli attori della partita per il controllo di Unicredit, dalle Fondazioni ai libici [i cui interessi sembrano divergenti], dalla Lega a Berlusconi [i cui interessi non sempre sono coincidenti], trattandosi di almeno tre o quattro parti in lizza per determinare il futuro della banca, ma ciò che emerge è che sia le Fondazioni sia la Lega, incatenando il gruppo bancario ai feudi sul territorio, respingendo la visione un po’ ”globalista” dell’estromesso Profumo, oggettivamente ed occasionalmente incarnano la resistenza locale/ regionale all’avanzare inesorabile della globalizzazione finanziaria, che prima o poi dovrà investire in pieno anche il sistema bancario italiano, per ora ancora soggetto ai giochi di potere interni.

Più che Profumo, c’è un po’ di puzza di bruciato nella complessa vicenda, che è tuttora in sviluppo non essendoci ancora il successore dell’Ad costretto alle dimissioni, il quale dovrà essere formalmente nominato dal presidente Rampl scegliendo in una ristretta rosa di nomi. La partita è quindi aperta, e se provvisoriamente la vittoria può essere assegnata alle Fondazioni bancarie e alla Lega bossiana, alleati nei fatti contro Profumo, nessuno può escludere colpi di scena futuri.

Ad infima!


di Eugenio Orso