30 agosto 2008

Il debito

Sull'Herald del 2 agosto un articolo di David Brooks intitolato "Missing Dean Acheson".
Sottotitolo: "Il nostro nuovo mondo pluralistico ha dato origine a una globosclerosi, incapacità di risolvere un problema dopo l'altro."
Il tema è quello della impossibilità di decidere. Brooks ricorda con nostalgia i bei tempi in cui il gruppo dirigente americano prendeva decisioni sulla base dei suoi interessi e li imponeva senza tante storie, con le buone o con le cattive (generalmente con le cattive) a tutto il mondo dominato.
A partire dagli anni '40 il potere è stato fortemente concentrato nelle mani della classe dirigente occidentale, ma oggi il potere è disperso.
"La dispersione dovrebbe in teoria essere una buona cosa, scrive Brooks, ma in pratica multipolarità significa potere di veto sull'azione collettiva. In pratica questo nuovo mondo pluralistico ha dato origine alla globosclerosi, incapacità di risolvere un problema dopo l'altro."
Poi il caro David viene al punto che più lo addolora:
"Questa settimana per la prima volta dalla seconda guerra mondiale, un tentativo di liberalizzare il mercato globale è fallito. Il Doha round ha subito un collasso perché il governo indiano non voleva offendere i piccoli contadini in previsione delle prossime elezioni."
A David Brooks dei piccoli contadini indiani non gliene può fregare di meno. Il suo problema è la fine della capacità di decisione economica da parte delle grandi potenze occidentali.
In effetti, nel corso dell'estate 2008 abbiamo avuto tre segnali impressionanti della fine della decisione politica, della fine del globalismo e della fine dell'egemonia occidentale. Il G8, il WTO, ed infine la NATO sono entrati in una sorta di paralisi.

All'inizio di luglio c'è stato il summit G8 di Hokkaido. Posti di fronte alla necessità di decidere qualcosa a proposito di processi che avanzano con velocità impressionante e distruggono il futuro del pianeta e dell'umanità (cambiamento climatico, crisi alimentare, crisi finanziaria) i capi delle potenze mondiali hanno fatto come suol dirsi scena muta.
Dovevano decidere qualcosa sul cambiamento climatico. La risoluzione finale relativa al cambiamento climatico dichiara semplicemente che nel 2050 le emissioni inquinanti saranno la metà di quelle attuali. Questo è quello che hanno stabilito i "Grandi". Come accadrà questo dimezzamento? Nessuno lo sa, nessuno lo ha detto. Ma tanto chi se ne frega, nel 2050 saremo tutti morti (probabilmente a causa del cambiamento climatico) quindi nessuno potrà recriminare.

Alla fine del mese di luglio c'è stato l'incontro di Ginevra del Doha Round del World trade organisation, dove è definitivamente fallito l'accordo sulla liberalizzazione del commercio internazionale - che per gli occidentali significa libertà di penetrazione nei mercati altrui e difesa protezionistica dei mercati propri.
Il WTO, l'organismo contro cui ci battemmo a Seattle nel 1999, quando il movimento no-global venne alla luce del sole, sembra defunto, non certo per la forza dei movimenti di contestazione, ma a causa dell'emergere di contrasti d'interesse inconciliabili, per il rifiuto che le nuove potenze economiche oppongono al globalismo a senso unico occidentale.

Poi c'è stata la guerra in Georgia. La lunga onda dell'89 è finita, ora rifluisce.
La Nato non ha potuto difendere in nessuna maniera il suo alleato georgiano, dimostrando che la presidenza Bush ha portato il sistema militare americano all'impotenza.
E l'Unione europea si trova ormai spaccata in due: da una parte coloro che per timore dell'aggressività russa vogliono puntare le armi contro Mosca, e dall'altra coloro che per timore della potenza energetica russa vorrebbero trovare un compromesso.

Sullo sfondo, mentre i vertici globali falliscono uno dopo l'altro, la guerra euroasiatica tende a saldarsi in un fronte variegato nel quale l'occidente perde tutte le battaglie.
La battaglia iraqena è ormai perduta da anni, la battaglia afghana sta diventando un inferno.
La battaglia iraniana volge a favore dell'oltranzismo nazional-islamista di Ahmadinejad e Khamenei, e la bomba sciita si delinea all'orizzonte mediorientale come una minaccia sempre meno immaginaria.
La battaglia libanese diventa ogni giorno più pericolosa per Israele, con il saldarsi di un fronte Siria-Hezbollah.
E per finire, più spaventosa di tutte, la battaglia pakistana sta rivelandosi un rovescio per gli americani. Il generale protetto dalla Casa Bianca deve andarsene, e Ahmad Gul, l'uomo forte dell'esercito, dichiara che il principale nemico del paese sono gli Stati Uniti d'America (e l'India dove la mettiamo?). Ah... dimenticavo: Kim Iong Il ha appena comunicato che la Corea del Nord riprende la produzione della bomba nonostante i mezzi accordi ottenuti dall'amministrazione Bush qualche mese fa.
Il clan Bush è riuscito in un capolavoro impensabile: la più grande potenza del mondo si è messa progressivamente in condizione di minorità militare e di paralisi politica. Com'è potuto accadere?

Occorre una nuova descrizione del mondo. Quelle di cui disponiamo non valgono più.
Fino al 1989 disponevamo di una descrizione del mondo che si era formata nel secondo dopoguerra, e delineava il futuro sulla base dell'opposizione tra capitalismo e socialismo.
Nel 1989 quella descrizione bipolare venne sostituita con una descrizione unipolare, fondata sull'egemonia della NATO e sul predominio di un nuovo modello di espansione capitalista.
Per un ventennio l'egemonia militare ha messo l'occidente in una posizione di predominio, che permetteva alla popolazione americana di indebitarsi illimitatamente, di mantenere un tenore di vita largamente superiore alla forza produttiva americana, e di consumare le risorse senza alcuna considerazione per il futuro del pianeta né per la sopravvivenza della specie umana.
L'undici settembre del 2001, con un'azione di eccezionale efficacia strategica, qualcuno (poco mi importa qui sapere chi) ha spinto la più grande potenza militare di tutti i tempi a compiere una serie di azioni completamente insensate, autodistruttive, di cui sette anni dopo, si misurano a pieno gli effetti. Dopo 911 il presidente degli Stati Uniti, che qualche mese prima non conosceva il nome del presidente golpista del Pakistan, decideva di lanciare una guerra poi un'altra guerra, senza considerarne le implicazioni geopolitiche, culturali, religiose, militari.
Io non so se questo sia dovuto all'ignoranza sbalorditiva del gruppo dirigente americano, o al cinismo di gruppi economici come la Halliburton la Bechtel la Texaco ecc che hanno considerato più importante il loro interesse economico immediato che la disfatta strategica del loro paese (non lo so nè qui mi interessa, per quanto si tratti di una questione appassionante). Mi limito a constatare l'evidenza: le guerre euroasiatiche scatenate dagli anglo-americani si sono risolte in una successione di sconfitte strategiche irrimediabili. L'egemonia militare dell'occidente è finita. Per sempre, credo.

Ma la sconfitta militare sta provocando una crisi di credibilità che ha risvolti finanziari ed economici. Il popolo americano ha potuto appropriarsi delle ricchezze del pianeta grazie all'(apparente) superiorità militare della NATO. Ora, dopo la disfatta strategica dell'occidente nel continente euroasiatico, il gioco è scoperto. L'occidente non dispone più della sua forza di ricatto.
Ora il pianeta gli presenta il conto. Temo che sarà salato.
Non si può più contare sul debito illimitato.
Il 15 agosto è uscito sulla Repubblica un articolo di Nouriel Roubini, professore alla Stern school della New York University. Titolo: "La tempesta perfetta".
Il quadro che descrive Roubini è quello di una recessione generalizzata, profonda, e di lungo periodo. Questo non è così grave, di recessioni ne abbiamo viste tante nel corso del novecento, prima o poi se ne esce.
Il problema è che stavolta la recessione coincide con la fine del predominio occidentale sul pianeta.
L'occidente può accettare un ridimensionamento, che significa prima di tutto una riduzione del consumo energetico, e del consumo in generale?
Gli americani accetteranno di rinunciare al privilegio economico e finanziario di cui hanno goduto negli ultimi venti anni? Saranno capaci di farlo?
Dopo il crollo del sistema di credito immobiliare, si sta aprendo il problema delle carte di credito. Dopo la bolla dei mutui sulla casa, è sul punto di esplodere anche la bolla dell'indebitamento privato. Mi pare che qui ci sia un nucleo essenziale della crisi finanziaria che si sta trasformando in recessione di lungo periodo: la fine della possibilità di indebitarsi indefinitamente puntando una rivoltella alla tempia del creditore.
Ora il creditore ha scoperto che la rivoltella è scarica.
Accetterà l'occidente, accetterà il popolo americano di pagare il suo debito?
Il debito. Ciò che dobbiamo agli altri.
Oppure sceglierà di usare l'arma estrema, la violenza impensabile, per riaffermare il proprio diritto di depredare il futuro di tutti?
Il pericolo che si delinea all'orizzonte è senza precedenti.
Non è vero che sia tornata la guerra fredda. Magari.
La Guerra fredda era fredda perché gli americani non avevano l'acqua alla gola e perché l'Unione sovietica era un sistema totalitario, ma il gruppo dirigente del PCUS aveva una logica politica diversa da quella della mafia e del KGB coalizzati.

Bifo
Fonte: www.rekombinant.org/

La fisica sul crollo delle Torri gemelle

Questo documento esamina le fasi di carico elastico e di deformazione plastica delle colonne del WTC1 dopo l'impatto degli ultimi 18 piani dell'edificio su quelli sottostanti ed il loro effetto sul trasferimento della quantità di moto dopo la collisione. Viene quindi derivata una equazione di bilancio energetico che mostra esserci un deficit di energia che avviene prima del completamento della fase di snervamento il quale non avrebbe permesso al collasso di proseguire, sotto le ipotesi formulate in questo documento.

Introduzione:

L'analisi precedente riguardo al trasferimento della quantità di moto durante il crollo delle torri le ha modellate come un insieme di piani sospesi nello spazio ed ha esaminato il processo di trasferimento della quantità di moto attraverso una serie di urti elastici ed anelastici, indipendenti gli uni dagli altri. Questo tipo di analisi estrapola il trasferimento della quantità di moto dal suo contesto, caratterizzato da altri effetti degli urti. Questo avviene perché questo tipo di analisi assume che gli impatti abbiano effetto soltanto sul piano superiore della sezione su cui essi avvengono.

La realtà dei fatti è invece che essi hanno un effetto su diversi piani della sezione sottostante e per effettuare un'analisi valida, bisogna tener conto di ognuno di questi trasferimenti della quantità di moto Se assumiamo che la sezione superiore, che comprende 16 piani in caduta, cada sotto una piena accelerazione gravitazionale attraverso lo spazio occupato da un piano (rimosso), per una distanza di 3,7 metri, possiamo calcolare che la sua velocità al momento dell'impatto sarà 8,52 metri al secondo e la sua energia cinetica, dovuta a massa e velocità, di circa 2.105 GJ (usando l'ipotesi di 58000 tonnellate come dettagliato nel rapport di Bazant & Zhou [1]).
Nella realtà ci dovrebbero essere alcune perdite di energia dovuta alla resistenza residua delle colonne in cedimento della sezione rimossa, ma esse vengono trascurate per lo scopo dell'analisi.

Al momento dell'impatto con la sezione sottostante, la massa in caduta dovrebbe trasmettere una tensione che crescerà da zero, sino alla tensione di snervamento delle colonne del piano impattato, in un periodo di tempo e percorrendo una distanza finita.

Questa forza verrà percepita anche dalle colonne al di sotto del piano urtato per primo.



Analisi:

La sezione superiore in caduta, con una velocità di non più di 8,5 metri al secondo, al momento dell'urto incontrerà la resistenza delle colonne impattate e, come prima operazione, dovrà necessariamente caricare queste colonne, dapprima nell'intervallo di carico elastico e quindi attraverso la fase di snervamento. Esamineremo per prima cosa questo intervallo di tempo incrementale.

Bazant/Zhou [1] mostrano, nella loro analisi, che il comportamento elastico e plastico di una colonna di acciaio, sottoposta ad un carico di punta dinamico consista in tre fasi distinte:

Esse possono essere visualizzate in un grafico tensione/deformazione e consistono in una fase iniziale elastica, una di snervamento ed una rapida fase di deformazione plastica.

1- La fase elastica mostra una relazione lineare tra carico e deformazione sino al limite di tensione elastica. Il carico a questo punto raggiunge la tensione di snervamento e la deformazione al limite elastico per l'acciaio è generalmente lo 0,2% della sua lunghezza iniziale.

2- La fase di snervamento permette che sia applicato lo stesso carico sino a quando la deformazione verticale raggiunge il 3%, punto in cui la colonna inizia a formare dei punti di imbozzamento.

3- La terza fase mostra una rapida discesa della tensione richiesta per continuare la deformazione, con la tensione necessaria minore di quella di snervamento. Questa fase continua fino a quanto la deformazione verticale eguaglia la lunghezza originale. In altre parole la colonna è piegata in due.

Per deformare le colonne del piano, impattato per primo, del 3%, cosa sufficiente per completare la fase di snervamento, cioè una distanza di circa 0,111 metri, sarebbero necessari un minimo di 0,013 secondi, supponendo una velocità costante di 8,5 metri al secondo.

La velocità dell'onda di propagazione attraverso un un materiale generico è data dalla formula generale di propagazione d'onda:

Velocità = radice quadrata (modulo compressibilità/densità)

Che per l'acciaio strutturale è dell'ordine di 4500 metri al secondo. L'onda di propagazione della forza d'impatto avrebbe viaggiato quindi per 58,7 metri nel tempo di 0,013 secondi. Questo significa che durante il tempo impiegato dalle colonne impattate nella fase di snervamento, la stessa tensione sarebbe stata avvertita ad una distanza minima di 58,7 metri, o approssimativamente 16 piani, dall'impatto.

Questi piani, perciò, avrebbero subito una deformazione elastica in reazione, e proporzionale, alla tensione di snervamento applicata al piano impattato. Queste deformazioni avrebbero esse stesse richiesto del tempo ed avrebbero fatto sì che l'onda di propagazione si muovesse ulteriormente verso il basso coinvolgendo, di nuovo, un numero maggiore di piani.

Possiamo stimare la deformazione elastica delle colonne di questi 16 piani come compresa tra 0 e 7 mm. La massima deformazione elastica di una colonna di 3,7m, usando l'approssimazione, comunemente accettata dello 0,2% della lunghezza iniziale, è di 7,4 mm. Le colonne nei piani superiori avrebbero subito una deformazione quasi pari alla massima deformazione elastica perché la loro tensione di snervamento è simile, benché leggermente più grande, a quella del piano impattato inizialmente.

Le colonne dei piani più distanti dalla zona dell'impatto avrebbero avuto una sezione trasversale maggiore, richiedendo quindi tensioni maggiori per causare la massima deformazione elastica. Usare soltanto metà della massima deformazione elastica, 56mm /16*7/2) è, di nuovo, un'assunzione a favore della continuazione del crollo.

La deformazione elastica dei piani sottostanti avrebbe aumentato la distanza attraverso la quale la sezione in caduta avrebbe dovuto muoversi per caricare le colonne impattate e completare la deformazione del 3% della fase di snervamento. Il tempo impiegato, utilizzando di nuovo una velocità costante di 8,5 m/sec,verrebbe innalzato a circa 0,02 secondi, permettendo all'onda di propagazione di muoversi ed avere effetto su 8 piani ulteriori.

Poiché queste colonne subiscono una deformazione verticale, i piani a cui sono fissate si muovono verso il basso ed avrebbero quindi anche loro una velocità ed una quantità di moto.

Perdite di energia:

Una semplice equazione della conservazione della quantità di moto, ignorando questi movimenti, considererebbe 16 piani in caduta che si muovono ad 8,5 m/sec prima dell'impatto che diventano 17 piani che cadono a (8,5*(16/17)) = 8m/sec dopo l'impatto. Questo non tiene conto del fatto che un minimo di ulteriori 24 piani sarebbero stati fatti muovere verso il basso a velocità variabili.

Per stimare ed illustrare queste ulteriori variazioni della quantità di moto, possiamo assumere che il piano che è 25 piani al di sotto della zona d'impatto rimanga statico e che la velocità dei 24 piani sovrastanti vari in modo lineare dalla velocità di caduta della sezione in caduta, sino a zero.

Quantità di moto prima dell'impatto = 16 piani che si muovono a 8,5 m/sec

Quantità di moto dopo l'impatto = 17 piani che si muovono a V2 m/sec + 1 piano che si muove a 23/24*V2 m/sec + 1 piano che si muove a 22/24*V2m/sec+....+1 piano che si muove a 2/24*V2 m/sec + 1 piano che si muove a 1/24*V2 m/sec.

16*8,5 = V2 (17 +11,5)
V2 = 16 * 8,5 /28,5 = 4,8 metri al secondo.

La velocità della sezione impattante verrebbe quindi ridotta, per la collisione, da 8,5 m/sec ad una velocità minore di 4,8 m/sec invece che gli 8m/sec derivati dall'equazione della quantità di moto che non include questo fattore. E' da notare anche che la riduzione della velocità darebbe ancora più tempo all'onda di propagazione per viaggiare verso il basso attraverso le colonne della torre, permettendo che altri, ulteriori, piani ne subiscano l'effetto..

L'energia cinetica della sezione in caduta sarebbe influenzata in modo simile ma, poiché essa dipende dal quadrato della velocità, la riduzione in energia cinetica sarebbe più pronunciata.

E.C. Della sezione in caduta prima dell'impatto =
16 piani che si muovono a (8,5 m/sec)^2
E.C. Della sezione in caduta dopo l'impatto =
17 piano che si muovono a (4,8 m/sec)^2
Perdita percentuale di E.C. = 1- (17 * 4.82) / (16 *8.52) * 100% = 66%

Questa è una stima per difetto della perdita energetica, poiché la decelerazione avrebbe concesso più tempo perché l'onda di propagazione viaggiasse ed avesse affetto su più piani, ma, anche così, si mostra un assorbimento di circa il 66% dell'energia cinetica totale della sezione in caduta.

Bilancio Energetico:

Poiché vi erano circa 2,1 GJ a disposizione al momento del primo urto, una perdita del 66% ridurrebbe questa stima a 714 MJ. L'energia cinetica verrebbe però incrementata dell'energia potenziale rilasciata dall'ulteriore movimento verso il basso della massa in caduta e, se assumiamo che la caduta sia avvenuta per l'intersa lunghezza del 3% assunto per la fase di snervamento del piano impattato e della deformazione elastica dei piani sottostanti, allora l'energia potenziale addizionale è

58*106 * g * (0.111 + .056) = + 95MJ.

L'energia di deformazione consumata dalle colonne del piano impattato, durante la fase elastica e quella di snervamento, può essere calcolata utilizzando la tensione di snervamento. Quella usata in questa analisi è derivata utilizzando la massa al di sopra della zona d'impatto, 58000 tonnellate, ed un fattore di sicurezza 4. L'esame della geometria della colonna con riferimento alle equazioni di Eulero mostra che questa è una sottostima sia della tensione di snervamento che della deformazione da compiere prima della rottura, e questa è una grossa assunzione a favore della continuazione del crollo. Un fattore di 0,029 è stato incluso per modellare il profilo della tensione durante la fase di snervamento (del 3%)

Il profilo della tensione mostra una crescita lineare da zero sino alla tensione di snervamento allo 0,2% della lunghezza, seguita da una tensione costante per il restante 2,8% della lunghezza.

Energia di deformazione plastica:

58 * 106kg * 4 * g * 3.7m * 0.029 = - 244 MJ.

Un valore simile ma lievemente inferiore a questo sarebbe necessario per il primo piano del blocco superiore che colpisce i piani sottostanti. Dato che questo piano portava un carico inferiore, 15 piani, rispetto al piano colpito, 17 piani, le sue capacità di progetto sarebbero state proporzionalmente inferiori. Forti di questa conoscenza è possibile stimare che l’energia consumata da questo piano sarebbe stata
(244 MJ * 15 / 17) = - 215 MJ.

La risposta elastica entro la capacità delle colonne del piano sottostante avrebbe richiesto ulteriore energia, assorbita sotto forma di energia di deformazione. Questa può essere stimata usando un coefficiente di sicurezza pari a 4, una massa di 58000 tonnellate, una distanza di 0.056 metri e un fattore pari a 0.5 per riflettere il profilo di tensione

58 * 106kg * 4 * g * 0.056m * 0.5 = - 64 MJ.

Il movimento verso il basso di questi piani in risposta all’impatto rilascerà altra energia potenziale dovuta alla loro compressione; usando le stesse deformazioni usate in precedenza e un valore di massa proporzionale al numero di piani, questa sarà

58 * 106kg * 24/16 * g * 0.056m / 2 = + 24 MJ.

Altre perdite di energia sono evidenti in un’analisi della compressione dei piani all’interno del blocco superiore in caduta. Questi piani, costruiti con colonne dotate di sezione inferiore rispetto a quelle colpite, sarebbero incapaci di sostenere il carico critico presente sul fronte di impatto e subirebbero deformazioni plastiche oltre il loro limite elastico, ma per semplicità assumiamo che subiscano solo la loro completa deformazione elastica. Questa è un’altra supposizione largamente favorevole al proseguimento del crollo.
La deformazione totale sarebbe pari a 15 piani moltiplicati per la curvatura elastica di 7.4mm, e l’energia di deformazione consumata può essere stimata come

15 * 7.4 * 10-3 * 4 * 58 * 106 * g / 2 = - 126 MJ.

Il movimento dei piani nel blocco superiore rilascerà ulteriore energia potenziale dovuta alla loro compressione e al conseguente movimento. E’ verosimile che questa energia si manifesti sotto forma di cedimenti all’interno della sezione superiore, ciononostante è stata aggiunta come energia disponibile per il proseguimento del crollo. Il piano più in alto si muoverà verso il basso di 15 volte la deformazione elastica mentre quello più in basso resterà statico, entrambi rispetto al punto di impatto, fornendo ulteriore energia potenziale

15 * 0.0074 * 58 * 106 * g / 2 = + 32 MJ.

Una considerevole quantità di energia sarebbe necessaria per polverizzare il calcestruzzo nella fine polvere che si può notare nelle fotografie e da altre fonti. Per quantificare questa energia è necessario usare il valore di energia di frattura, ma questo è variabile in funzione, tra gli altri fattori, della dimensione del pezzo di calcestruzzo e della sua composizione, in particolare della granulometria degli inerti. Non c’è un valore tipico. Per stimare l’energia consumata mi riferirò al lavoro del Dr. Frank Greening [2].

Bisogna notare che Greening, come Bazant, non ha al momento sostenuto che il crollo della torre sia stato provocato da altro che dal danno dovuto all’impatto dell’aereo con successivi e conseguenti incendi. La torre, usando i valori di Greening, conteneva approssimativamente 50000 tonnellate di calcestruzzo, e si suppone che solo il 10% di questo sia stato polverizzato ad una dimensione di 60 micrometri. Un kg di calcestruzzo con questa granulometria avrà una superficie di 67 m2. Possiamo ora usare il valore di Greening per l’energia di frattura del calcestruzzo, pari a 100 J/m2 per mostrare che l’energia richiesta per un piano sarebbe

50 * 106kg / 110piani * 67m2 * 100J/m2 * 10% = - 304 MJ.

Potrebbe essere considerato inverosimile che un impatto a bassa velocità possa impiegare grandi quantità di energia nella polverizzazione dei materiali, questo è più verosimile negli stadi successivi del crollo. Tuttavia, le vaste espulsioni di polvere sono state visivamente evidenti fin dall’inizio del crollo.

Riassunto dell’energia:

Il bilancio energetico può essere riassunto come

Energia disponibile;
Energia cinetica 2105 MJ
Energia potenziale Ulteriore movimento verso il basso 95 MJ
Compressione della sezione impattante 32 MJ
Compressione della sezione impattata 24 MJ
Energia disponibile totale 2256 MJ
Energia richiesta;
Perdite di quantità di moto 1389 MJ
Energia di deformazione plastica nel piano inferiore impattato 244 MJ
Energia di deformazione plastica nel piano superiore impattato 215 MJ
Energia di deformazione elastica nei piani inferiori 64 MJ
Energia di deformazione elastica nei piani superiori 126 MJ
Polverizzazione del calcestruzzo sul piano impattante 304 MJ
Polverizzazione del calcestruzzo sul piano impattato 304 MJ
Energia totale richiesta 2646 MJ
Deficit minimo di energia -390 MJ

Conclusioni:

Un meccanismo d’attivazione che coinvolga una perdita totale ed istantanea di tutta la capacità portante su un piano, sufficiente a causare una caduta di 3.7m in piena accelerazione gravitazionale, seguito da un impatto “pulito” non è realistico. Questo lavoro è presentato per mostrare le quantità relative delle energie coinvolte. Questa analisi sottostima le richieste energetiche utilizzando un valore costante di velocità, pari alla velocità all’impatto, di 8.5 m/s.

Questa è un’ipotesi in favore della continuazione del crollo.

La presente analisi presume inoltre che ogni piano avesse la medesima massa. L’effetto di questa ipotesi è quello di sottostimare le perdite energetiche all’impatto. Non si è tenuto conto della massa che cade al di fuori del perimetro della torre, né soprattutto dell’espulsione di grandi quantità di polvere all’inizio del crollo o dell’energia richiesta per provocare lo spostamento di queste masse oltre il perimetro.

Questa analisi non considera l’energia consumata per danneggiare le travi di collegamento o altri elementi strutturali, per sconnettere i pavimenti dai supporti sulle colonne, per distruggere il contenuto dei piani o altro. Non si tiene conto di alcun dispendio di energia di deformazione durante la caduta iniziale per tutta l’altezza di un piano, nonostante questa sarebbe una porzione sostanziale dell’input energetico iniziale.

Il bilancio energetico del crollo diventa deficitario durante la fase di compressione plastica delle prime colonne colpite, mostrando che non ci sarebbe sufficiente energia disponibile, a partire dall’energia potenziale rilasciata dalla sezione superiore, per soddisfare tutte le richieste energetiche dell’impatto.

L’analisi mostra che, nonostante le ipotesi fatte in favore della continuazione del crollo, il movimento verticale della sezione in caduta sarebbe stato arrestato prima del completamento della fase di compressione del 3% delle colonne colpite, ed entro circa 0.02 secondi dall’impatto. Senza le molteplici ipotesi fatte in favore della continuazione del crollo, il deficit energetico sarebbe molto più alto del valore ottenuto di -390 MJ.

Un crollo dovuto alla sola forza di gravità non sarebbe continuato oltre quel punto.

Bisogna comprendere che le perdite di energia alle quali ci si è riferiti come perdite di quantità di moto non possono essere riutilizzate come energia di deformazione o nell’energia richiesta per polverizzare i piani, riducendo pertanto la richiesta totale di energia. Questi trasferimenti di energia esisterebbero indipendentemente dallo stato di integrità dei piani dopo l’impatto e si manifesterebbero come calore nei materiali colpiti.

L’energia cinetica considerata è quella della massa impattante della sezione in caduta. C’è energia cinetica nei piani sottostanti che iniziano a muoversi, ma questa è stata persa dalla massa impattante. L’unica sorgente di energia disponibile per la massa in caduta è l’energia potenziale e, a meno che questa energia sia rilasciata tramite il crollo di ulteriori colonne, la massa in caduta si arresterebbe. Mentre l’onda di propagazione scende lungo la torre caricando altre colonne, l’energia si diffonderà attraverso i piani sottostanti come energia di deformazione elastica, che è riutilizzabile, al contrario di quella di deformazione plastica.

Al decelerare della sezione superiore, la forza che essa è in grado di esercitare si ridurrà, e la curvatura elastica si ridurrà in risposta. Mentre questa si riduce, l’energia di deformazione elastica precedentemente assorbita dai piani inferiori si riconvertirà in energia potenziale. In altri termini si scaricherà, o verrà restituita. Le torri potevano essere ben descritte come una serie di molle e smorzatori, colpita da una grande ma relativamente lenta e meno sostanziale altra serie di molle e smorzatori.

In questa analisi il danno, a parte il piano rimosso per iniziare il crollo, è limitato al danno subìto dai due piani che si sono scontrati, e perfino questa semplificazione non è sufficiente a portare le colonne colpite attraverso la fase di snervamento fino alla fase di deformazione plastica che è caratterizzata ed accompagnata dall’insorgenza di punti di imbozzamento. Bisogna notare che questo concentra l’energia dell’impatto. In realtà molti dei piani più vicini al punto di impatto e specialmente quelli dotati di colonne con sezione minore nel blocco superiore in caduta avrebbero subìto una parte del danno ciascuno. Questo dissiperebbe ulteriormente l’energia in punti lontani dal fronte del crollo.

Scoperta del DNA e sua manipolazione

Come già accennato precedentemente il concetto di selezione genetica ha sempre accompagnato la storia dell’uomo utilizzando, però metodiche empiriche basate sull’accoppiamento dei soggetti morfologicamente più idonei per specifici compiti collegati all’attività dell’uomo stesso. Ma dopo la fine del secondo conflitto mondiale, curiosamente, c’è stato un netto salto in avanti: con il DNA, venne scoperta la struttura fisica più intima che consente la trasmissione dell’ereditarietà, riuscendo anche a decifrare i meccanismi e le leggi che regolano l’affascinante mondo biologico che porta la vita.


Esattamente il sogno degli eugenetisti dei primi del ‘900: già, perché era evidente che tutta la loro visione del futuro dell’uomo aveva come scopo la scoperta ed il controllo stretto della conoscenza biologica per mettere le mani sui meccanismi fisici che regolano, da sempre, la vita sulla terra. In questo senso tutta la politica di selezione razziale del nazismo è stata nei fatti, al di là delle intenzioni di cui non avremo mai conoscenza precisa, un fondamentale laboratorio anche se di orrori sociali! Nulla dei risultati ottenuti nei campi di sterminio è stato lasciato inutilizzato. Nemmeno i ricercatori dei lager, molto probabilmente sono rimasti disoccupati. Già, che fine fecero tutti coloro che, a vario titolo, ebbero ruoli di prima linea nelle mostruose sperimentazioni? Tutti assicurati alla giustizia? Processati a Norimberga? Nulla di tutto questo…e allora? Sospettare che possano essere stati reimpiegati in USA, Inghilterra ed in Unione Sovietica, cioè nei paesi vincitori, come molti altri scienziati nazisti è ipotesi troppo azzardata? O pensiamo che dalla Germania si sia preso solo vonBraun il padre del programma Apollo? E’ ovvio che i vincitori si sono accaparrati i cervelli in settori d’importanza strategica come il campo delle nuove armi aero-navali, chimiche e batteriologiche. Così è facilmente comprensibile come non possa essere stato ignorato il campo della ricerca biologica-ereditaria con dati ottenuti con l’utilizzo di cavie umane dei lager: quale migliore occasione per ottenere dati e conoscenze direttamente con un abominevole sacrificio umano?


Arriviamo, così, al fatidico ’53, anno in cui viene scoperta la struttura del DNA: momento storico davvero! Dopo soli 8 anni dalla fine della 2° Guerra mondiale si è riusciti nel sogno inseguito da decenni: solo una coincidenza? Agli scopritori, anzi agli Scienziati Watson & Crick onore e gloria: è del 2 aprile del ’53 la famosa lettera con cui i nostri eroi annunciavano alla rivista “Nature” il fatidico evento.


Cominciava così: “Desideriamo proporre una struttura per il sale dell’acido desossiribonucleico”, a cui seguiva un comunicato breve e stringato che spiegava la struttura semplice e nello stesso tempo splendida, del DNA, costituito da una molecola di desossiribosio (zucchero) alternata a gruppi fosfati disposti spazialmente in lungo filamento. La struttura a doppia elica si forma perché a questi filamenti, posti uno di fronte all’altro si legano le basi nucleotidiche cioè Adenina, Guanina, Citosina e Timina che si dispongono nello spazio come i pioli di una scala ideale attorcigliata su se stessa. Una fantastica spirale della vita che, guarda caso, è rappresentata da migliaia di anni come simbolo positivo in tutte le culture di ogni epoca a livello planetario. In questa magica scala è fondamentale l’ordine in cui si susseguono le quattro basi citate. Sono loro che danno la chiave o il codice che comanda una certa sintesi proteica. Il gene non è altro che un pezzo di DNA che è in grado di comandare la produzione o sintesi di una proteina. In realtà un gene non è mai da solo quando sintetizza una proteina ma collabora con un dialogo fatto di migliaia e migliaia d’impulsi chimici con altri geni posti in settori anche molto distanti del DNA. Ricordate questo passaggio perché sarà di basilare importanza quando parleremo di transgenesi!



Quindi potremmo definire Watson & Crick un’accoppiata vincente, come si direbbe oggi, immersi come siamo nello spirito competitivo della nostra epoca. In effetti mai termine è più appropriato di questo per sintetizzare la storia della scoperta del DNA.
Watson era statunitense e zoologo mentre Crick era inglese e fisico: davvero una strana coppia.
James Dewey Watson laureato in zoologia era poi passato alla genetica sotto la guida del nobel italiano Salvador Luria. Quest’ultimo gli aveva consigliato un periodo di studio in Europa e così Watson passò per Copenaghen e Napoli, dove, come ricorda egli stesso, passò la maggior parte del tempo “a camminare per le strade e visitare templi e castelli”, ma fece anche una importante conoscenza: Maurice Wilkins, cristallografo del King’s college di Londra che si stava occupando della struttura del DNA.
Che combinazione!

Dopo avere ascoltato una sua conferenza decise che il suo futuro sarebbe stato sulla ricerca genetica e sempre sotto i buoni uffici di Luria si fece trasferire a Cambridge. Qui avvenne il fatidico incontro con l’altro protagonista: Francis Harry Compton Crick, inglese di Northampton. Era un fisico che durante la guerra si era specializzato in uno dei settori top secret della ricerca militare e cioè lo sviluppo delle ricerche sul radar. Particolare interessante, vero? Infatti è piuttosto insolito che un pur meritevole ricercatore di sistemi elettro-magnetici top-secret venga quasi catapultato ad occuparsi di genetica, aspetto curioso che meriterebbe ampi approfondimenti fedeli al motto: “dimmi con chi vai e ti dirò chi sei!”


I due, menti acute, erano complementari e il loro lavoro procedette molto spedito in quegli anni, poi i diversi caratteri li portarono ad una profonda inimicizia e le loro strade si separarono per sempre. L’unione di questi due cervelli eccezionali portò a molti importanti risultati quasi esclusivamente sulla base di un esercizio di pura logica e speculazione mentale, ottenendo velocemente ciò che altri colleghi trovavano dopo duro e noioso lavoro di verifiche sperimentali in laboratorio. Anche questo modo di procedere poco scientifico, francamente poco ortodosso, è singolare e meriterebbe maggiori ricerche e chiarimenti!


In realtà la premessa basilare alla scoperta della molecola fu attuata nel ’44 da un ricercatore americano, un certo Avery, che rivelò al mondo che i geni, ovvero quelle perle componenti i cromosomi erano costituiti da molecole di acido desossiribonucleico (il DNA appunto). Non era stato per niente facile arrivarci ma questa scoperta non portò alcun riconoscimento al suo scopritore: chissà perché? A questo punto mancava ancora la comprensione di come fosse strutturato nello spazio il DNA e chi l’avesse scoperto avrebbe aperto la strada alla sua possibile manipolazione o modificazione: il potere sulla vita, per l’appunto! Almeno questo era quello che si sperava di ottenere in certi ambienti e avrebbe coronato decenni di finanziamenti enormi, profusi con larghezza e generosità a qualsiasi centro di ricerche senza alcuna distinzione di razza o paese o cultura o religione. La posta in gioco era evidentemente troppo importante per rischiare di ritardarne l’acquisizione con sciocche remore etiche: in fondo il fine giustifica il mezzo, non è così?



Ecco allora che la gara era aperta e diversi laboratori nel mondo stavano puntando tutte le energie al medesimo obbiettivo, anche perché tutti erano finanziati generosamente per lo stesso scopo. Ora, senza togliere nulla a Watson & Crick, va detto che non sarebbero arrivati per primi se qualcuno non li avesse passato dati fondamentali provenienti da ricerche fatte da altri! Proprio così, le loro ricerche erano a buon punto ma mancava ancora la spintarella giusta. Essa si concretizzò, quando il Wilkins, sì, quello conosciuto a Napoli da Watson, direttore del King’s College di Londra, passò loro il brillante lavoro di Rosalind Franklin all’insaputa dell’interessata. In realtà esisteva già una collaborazione ufficiale tra la coppia Watson & Crick e l’istituto con a capo il Wilkins, ma tra Rosalind Franklin e il trio non correva buon sangue. Particolarmente duri erano i rapporti tra la ricercatrice ed il suo capo Wilkins che si ostinava a non riconoscerle il valore professionale ed umano di cui era invece abbondantemente dotata. Fu proprio Wilkins a copiare, di nascosto, le immagini del DNA ottenute con la diffrazione a raggi X fatte dalla Franklin e passarle a Watson & Crick. La cosa fu basilare per consentire al duo di bruciare tutti sul filo di lana. Watson, nelle sue memorie ricorda: “Come vidi le fotografie, rimasi a bocca aperta ed il cuore prese a battermi forte”. Fu così che poche settimane dopo elaborarono la famosa e bellissima struttura del DNA a doppia elica che srotolandosi ed aprendosi consentiva il passaggio della informazione genetica: il tutto in 200 milionesimi di millimetro!

Tratto dal libro di Paolo Girotto, "DNA ed Eugenetica: chi vuole il potere sulla vita?"

Italiani:i soliti eroi... per coprire le Caste.



Nella primavera del 1941, l’Italia, in una serie di disfatte, aveva perduto la Cirenaica, e gli inglesi avanzavano verso Tripoli. Hitler, che fino ad allora aveva considerato la guerra d’Africa un settore da lasciare agli italiani, mandò in aiuto degli alleati l’AfrikaKorps, al comando di Rommel: «La decisione», scrisse il generale tedesco Eckart Christian, «non fu basata su un piano strategico, ma sulla necessità di sostenere la posizione italiana nel Mediterraneo». Insomma, lo scopo era di evitare una cocente umiliazione al duce.

Nel novembre del ‘41 il Fuehrer mandò a Roma il feldmaresciallo Albert Kesserling come comandante del settore Sud, ma in realtà perché, come scrisse lo stesso Kesserling, «il sistema di rifornimenti all’Afrika Korps - che spettava agli italiani - era collassato. Il dominio britannico del cielo e del mare sul Mediterraneo era sempre più evidente… La posizione di Rommel era critica… Egli era intralciato nelle operazioni dalla presenza di divisioni di fanteria, e specialmente dalle divisioni italiane di bassissima efficienza combattiva».

In una guerra del deserto, completamente motorizzata e combattuta con i carri armati, noi avevamo fanti appiedati, che non erano altro che una patetica palla al piede. Questo indusse Kesselring a indagare e riflette su questa incapacità militare dell’alleato. Ciò che descrisse nei suoi rapporti, con equanimità e anche generosità, ci restituisce un ritratto veritiero dell’Italia d’oggi, dell’Italia di sempre.

Ecco alcuni passi dei ricordi di Kesselring: «Le forze armate italiane in genere non erano preparate alla guerra. Ma anziché prendere coscienza ella realtà com’era, il Comando Italiano (…) si cullava in vane speranze. L’aiuto tedesco è stato richiesto nella quantità necessaria solo quando era troppo tardi, e quando l’aiuto non era più in proporzione con lo sforzo fatto. Ho l’impressione che questa riluttanza nascesse da vanità e una falsa idea del prestigio delle forze armate italiane. Ma poco prima delle defezione italiana, il generale Ambrosio, ultimo capo dello Stato Maggiore, cambiò tattica, aumentando le richieste di truppe e materiali a così insensati livelli, da far capire le disoneste intenzioni seguenti».

I generali italioti credevano di essere furbi; la classe dirigente si preparava a tradire l’alleato, a rubargli intanto materiali, e credeva che questo non se ne accorgesse.

Ancora: «Il soldato italiano non può essere paragonato al soldato tedesco. L’addestramento, di per sé insufficiente, viene condotto come in tempo di pace, nei cortili delle caserme; l’addestramento sul campo era tralasciato. Manca ogni contatto tra gli ufficiali e gli uomini. (…) Non ci sono abbastanza unità motorizzate. I carri armati non hanno sufficiente protezione anticarro. Il loro armamento è insoddisfacente. Le armi anticarro erano manchevoli in quantità e inefficaci. Le armi della fanteria erano inadeguate. L’artigliera era di qualità, ma non adatta alle azioni contro gli alleati perché di gittata insufficiente. Le comunicazioni radio non erano adeguatamenet sviluppate. Le forniture erano insufficienti, a cominciare delle razioni. (…) I problemi dell’accaparramento, del soccorso e delle razioni alimentari avevano un effetto distruttivo sul morale».

Poiché i gallonati italiani non risucivano a mandare le forniture necessarie nella vicina Libia,
Kesselring prese il comando della logistica. Ma le navi di cui doveva servirsi erano pur sempre italiane. «Flotta da tempo buono», la chiama.

E annota: «C’era una certa riluttanza italiana a rischiare la perdita i navi, forse nella speranza di preservare la flotta (mercantile) per la sospirata pace. Sicchè la flotta mercantile non fu mai attrezzata per lo stato i guerra. Di fatto, la nazione italiana non si è mai sentita obbligata a mobilitarsi totalmente per la guerra, né in forza-lavoro nè nell’industria… Non si può aspettarsi la vittoria quando l’azione è dominata dalla paura di perdite».

Ancora: «Il soldato semplice riceve, anche in battaglia, razioni completamente diverse da quelle che ricevono gli ufficiali intermedi e superiori. La misura delle razioni è moltiplicata secondo il grado, e la copiosità significa anche una scelta migliore di cibo di buona qualità. Secondo il loro grado, gli ufficiali mangiano tanto più abbondantemente e bene. Al soldato semplice va la razione più frugale; se fosse sufficiente, gli ufficiali non avrebbero ovviamente bisogno di una razione doppia o anche tripla di quella. Gli ufficiali mangiano in mense a parte, senza contatto coi loro uomini e spesso senza sapere cosa questi ricevono. Così il cameratismo di guerra, ciò che forma la comunità di vita e di morte così necessaria, era spezzata. Ho visto personalmente che le mense da campo tedesche erano praticamente assediate da soldati italiani, mentre io mangiavo straordinariamente bene con la razione normale dell’ufficiale italiano, alla mensa-ufficiali».

Non è la stessa cosa anche oggi? Non è sempre la stessa casta, vanitosa e incompetente, che si riempie il piattro tre volte mentre il soldato semplice della repubblica fa la fame? Anzi peggio: oggi l’italiano comune si ritiene fortunato se trova un lavoro a 1.100 euro, mentre per la casta politica è normale prenderne 22 mila.

Ma ridiamo la parola a Kesserling: «Non ho mai avuto l’impressione che la popolazione avesse coscienza dall’inizio che stava combattendo per la sua stessa esistenza; ne è diventata cosciente solo nel corso della guerra, quando ha dovuto subire i bombardamenti e ha perso le sue colonie… E tuttavia, non potrò mai dimenticare l’impressione di dolce vita che Roma fece su di me nei giorni delle battaglie per le teste di ponte di Anzio-Nettuno, che infuriavano nelle vicinanze».

Non si creda però che Kesselring abbia pregiudizi contro gli italiani in genere, e disprezzo totale verso i soldati italiani. Anzi scrive: «Ho visto troppi atti eroici compiuti da unità e individui italiani, come la Divisione Folgore a El Alamein, l’artiglieria nelle battaglie tunisine, le piccole armi della Marina (e cita la Decima Mas e i suoi sommozzatori a cavallo dei maiali, che distrussero da soli un quarto del naviglio britannico perso nel Medirettaneo), gli equipaggi dei barchini esplosivi, eccetera, per non esprimere la mia stima con convinzione. Ma in guerra, il risultato non è dato dagli atti eroici di pochi individui, ma dal grado di addestramento e di morale delle intere forze armate».

E’ così anche oggi. Una massa passiva e tendente all’imboscamento, una casta vanitosa incapace e insensibile al destino nazionale, e qualche eroe che fa più del proprio dovere: senza riuscire, naturalmente, a cambiare il destino generale del Paese.

di M. Blondet

Presto il crollo di una grande banca USA



L’ex economista capo del Fondo Monetario Internazionale Kenneth Rogoff ha detto martedì che la peggiore delle crisi finanziarie globali deve ancora arrivare e che una grande banca Usa fallirà nei prossimi mesi, mentre la maggiore economia mondiale incontrerà nuovi guai.

“Gli Usa non sono fuori dai guai. Penso che la crisi finanziaria sia a metà, forse. Mi spingerei persino a dire che ‘il peggio deve ancora arrivare’”, ha detto ad una conferenza finanziaria.

“Non vedremo solamente banche di medie dimensioni finire in rosso nei prossimi mesi, vedremo un gigante, una grande, una delle grandi banche o delle banche di investimento” ha detto Rogoff, che è professore di economia presso la Harvard University ed è stato capo economista del Fondo Monetario Internazionale dal 2001 al 2004.

“Dobbiamo assistere ad un maggiore consolidamento nel settore finanziario prima che sia finito tutto ciò” ha affermato quando gli è stata posta una domanda sui segni anticipatori di una fine della crisi.

“Probabilmente Fannie Mae e Freddie Mac –nonostante quanto ha affermato il segretario al Tesoro Usa Hank Paulson – queste giganti agenzie di assicurazione sui mutui, entro pochi anni non esisteranno nella loro attuale forma”.

I commenti di Rogoff sono arrivati mentre lunedì gli investitori stavano abbandonando le azioni delle più grandi agenzie di prestito immobiliare Usa Fannie Mae e Freddie Mac, dopo un articolo giornalistico che affermava che i funzionari del governo potrebbero non avere altra scelta che realmente nazionalizzare i titani del finanziamento immobiliare Usa.

Una mossa del governo per ricapitalizzare le due aziende iniettando fondi potrebbe cancellare gli attuali azionisti, aveva affermato l’articolo di questo weekend di Barron. Soffriranno perdite anche gli azionisti e i proprietari dei $ 19 miliardi di debito subordinato delle due aziende appoggiate dal governo.

Rogoff ha affermato che investimenti multimiliardari da parte di fondi sovrani dell’Asia e del Medioriente in finanziarie occidentali potrebbero non necessariamente risultare in grandi profitti perché non sono state prese in considerazione le condizioni di mercato fronteggiate da tale industria.

“All’inizio della crisi vi era questa idea che i fondi sovrani potessero salvare qualunque banca di investimenti che avesse fatto qualcosa di stupido: hanno perso denaro nei mutui subprime, sono delle grandi occasioni, quindi i fondi sovrani arriveranno e faranno un sacco di soldi comprandole.”


“Questo modo di vedere non tiene in considerazione il fatto che il sistema finanziario si è gonfiato enormemente e deve restringersi”, ha affermato Rogoff alla conferenza di Singapore, i cui fondi sovrani GIC e Temasek hanno investito miliardi nella Merrill Lynch e nella Citigroup.

Come risposta al forte trinceramento nel mercato immobiliare e al subbuglio nel mercato dei crediti, la Federal Reserve Usa aveva ridotto i tassi di interesse per un totale di 3,25 punti percentuali, sino al valore del 2%, a metà settembre.

Rogoff ha affermato che la Federal Reserve Usa ha fatto male a tagliare così “drammaticamente” i tassi di interesse.

“Il taglio dei tassi d’interesse porterà una forte inflazione negli Stati Uniti nei prossimi anni.”

di Jan Dahinten

Le colpe di Washington nella questione georgiana



La vicenda Georgia - Ossezia del Sud - Russia porta al pettine se non tutti una buona parte dei nodi; delle contraddizioni, degli errori della politica estera americana di questi ultimi vent'anni seguita finora, o subita, quasi supinamente dall'Europa.

Bush ha minacciato la Russia di espulsione dal G8 e dal Wto (grottesco diktat poi sfumato in un più diplomatico rischio di compromettere "l'aspirazione di essere integrata nelle strutture diplomatiche, politiche ed economiche del Ventunesimo secolo") per essere intervenuta nell'Ossezia del Sud a sua volta aggredita dalla Georgia da cui formalmente dipende e dalla quale reclama, da vent'anni, l'indipendenza? Ma quale autorità ha Bush in materia dopo che gli Stati Uniti hanno voluto, e ottenuto con la violenza delle armi, l'indipendenza del Kosovo dalla Serbia? Con differenze che rendono molto più giustificabile l'intervento russo in Ossezia di quanto non lo fosse l'aggressione americana alla Serbia. Il Kosovo infatti era da sempre territorio serbo (era anzi considerato "la culla della Nazione serba") e vi vivevano 380mila serbi (ora ridotti a 60mila nella più grande, e vera, pulizia etnica nei Balcani), l'Ossezia del Sud non è mai stata territorio georgiano e vi vivono solo osseti. Gli indipendentisti albanesi dell'Uck, foraggiati e armati dagli americani, facevano ampio uso del terrorismo, gli osseti no. Le truppe russe sono intervenute in Ossezia e hanno anche sconfinato in Georgia ma non ne hanno toccato la capitale, Tbilisi, gli americani bombardarono invece a tappeto, per 72 giorni, Belgrado. La Serbia di Milosevic non costituiva una minaccia per alcun Paese Nato (anzi non costituiva, ridotta ai minimi termini com'era dopo la guerra di Bosnia, una minaccia per nessun Paese). La Georgia in predicato per entrare nella Nato, e con una serie di "istruttori" americani sul suo territorio, sta ai confini della Russia. Ciò che ha fatto la Russia in Georgia e in Ossezia del Sud è quindi molto meno grave, e più giustificabile, di quanto hanno fatto gli Stati Uniti in Serbia e in Kossovo.

Nella vicenda kosovara l'Europa, compresa l'Italia di D'Alema, seguì supinamente e stupidamente gli Stati Uniti. Mentre infatti gli americani avevano almeno un loro piano, costituire un corridoio - Albania più Bosnia più Kosovo - di islamismo "moderato" nei Balcani a favore della Turchia, il loro grande alleato nella regione (calcolo poi rivelatosi sbagliato perché in quel corridoio si sono installate cellule di Al Quaeda che stanno contaminando proprio la Turchia), l'Europa non aveva alcun interesse a favorire la componente islamica dei Balcani a danno della Serbia ortodossa e da sempre parte integrante del Vecchio Continente (e infatti quando a Ballarò dissi a D'Alema che quella per il Kosovo era stata una guerra "cogliona", l'ex presidente del Consiglio non replicò).

Ma ora l'Europa sembra rialzare la testa. Sembra aver capito che non è suo interesse appiattirsi come una sogliola davanti all'aggressiva politica americana. La mediazione di Sarkozy va tutta in questo senso (e infatti un documento di Washington di condanna esplicita della Russia inviato ai membri del G7 non è passato). Sarkozy non ha ottenuto solo l'immediato "cessate il fuoco" ma anche la posizione giuridica dell'Ossezia del Sud e dell'Akbazia) sia discussa in una Conferenza internazionale da cui uscirà, con tutta probabilità, l'indipendenza dei due Paesi. Senza spargimenti di sangue. Che è la soluzione ottimale per i russi, ma anche per noi. L'Europa ha infatti molti motivi, di vicinanza ed economici, per tenersi buona la pur ambigua Russia di Putin. Così come ha molto motivi per avere buoni rapporti con i Paesi musulmani che circondano le sue coste (mentre l'America li ha a 10mila chilometri di distanza). Per questo sempre Sarkozy sta favorendo l'"Unione mediterranea", cioè di tutti i popoli del Mediterraneo.

E l'Italia in tutto questo cosa fa? Il nostro ministro degli Esteri, Franco Frattini, non ha nemmeno partecipato alla riunione che i suoi colleghi della Ue hanno tenuto a Bruxelles per discutere della crisi georgiana. Sta alle Maldive. Forse ci è restato apposta, per non compromettersi. Una dimostrazione ulteriore, se ce ne fosse stato bisogno, che con la politica delle pacche sulle spalle "all'amico Bush" e all'"amico Putin" non si combina nulla e si finisce per non contar nulla.


Massimo Fini

A che serve la Borsa?



La domanda non è banale. Ognuno con un eccesso di ego cerca di sfruttare le situazione che la borsa ciclicamente prospetta. Ma siamo sicuri che quella è la scelta giusta? In questa lucida opinione di M. Blondet le politiche globali e il globalismo escono fortemente indebolite. Era ora!

La Borsa risale, e tutti i media contenti: forse siamo fuori dalla crisi.

Citazione: «Al 12 ottobre, il Dow Jones Industrial Index, su cui si misurano i ritorni di molti investimenti, chiuse al livello nominale di 14.693. I media, ovviamente, lo salutarono come un buon auspicio. Il 23 maggio 2008, il Dow ha chiuso a 12.480, solo il 15% di ribasso sul suo record. Non tanto male dopo la crisi dei supbrime e lo scoppio della bolla, almeno a prima vista. Tuttavia, se messo in relazione all’indice ufficiale dei prezzi che dal gennaio 2000 dà un’inflazione del 4% (che è molto sotto la vera inflazione provata dai veri esseri umani), il Dow valeva, al maggio 2008, solo 9.856. E ciò prendendo per buone le cifre d’inflazione ufficiali, che sono ridicolmente ottimistiche».

Cosa significa nel mondo reale?

«Immaginate di aver investito 11.723 dollari il 14 gennaio 2000, quando il Dow era a 11.723. Lo stesso denaro, allora, poteva comprare circa 460 barili di greggio, 40 once d’oro, il 9% di una media casa familiare. Otto anni più tardi, i soldi che avreste messo nel Dow sarebbero cresciuti a 12.480 dollari, con un guadagno nominale di 757 dollari, il 6,4%. Ma con quel denaro accresciuto oggi comprate solo 105 barili di greggio, ossia 355 in meno (-77 %), 27 once d’oro in meno (-66%) e, nonostante in grande calo dei prezzi immobiliari del 15,8%, soltanto il 6% di una casa media familiare (-33 %). Insomma, l’investitore del 2000 ha diritto a dirsi derubato in termini reali, nonostante l’aumento nominale del Dow del 6,4%» (1).

Ma la Borsa serve a finanziare l’economia, dicono i media.

Altra citazione: «Nell’insieme dei mercati finanziari europei l’emissione netta di azioni, ossia il valore lordo di tutte le azioni emesse, al netto dei riscatti (riacquisti di azioni proprie da parte delle imprese) e dei dividendi versati agli azionisti, è negativa da parecchi anni. I dividendi raggiungono un valore vicino a quello delle emissioni di azioni, vale a dire che le società emettono azioni per renumerare i propri azionisti» (Dominque Plion su Le Monde Diplomatique, 9 febbraio 1999).

Ma ciò perché in Europa i «mercati» sono arretrati ed asfittici, dice 24 Ore: guardate invece in America, dove la Borsa è la più grande e libera del mondo.

Guardiamo: «A parte il breve periodo 1991-94, durante il quale l’emissione di azioni netta è stata di 50 miliardi di dollari l’anno, ossia poco o nulla, la Borsa ha distrutto capitale. Ne ritira più di quanto ne ha emesso. Nel 2001, ad esempio, il volume delle azioni emesse è stato più che compensato da quello delle azioni distrutte (con l’acquisto di azioni proprie), cosicchè il totale delle emissioni nette di capitale è risultato negativo per circa 330 miliardi di dollari» (2).

In Italia la schiacciante maggioranza delle imprese private, quelle che forniscono il 90% dei posti di lavoro, hanno meno di 100 dipendenti e non sono certo quotate in Borsa. Il capitale, lo raccolgono dall’indebitamento o dall’auto-finanziamento. Dovunque nel mondo, i «mercati» borsistici «pesano» per meno del 10% cento del capitale delle rispettive nazioni.

Conclusione provvisoria: smettiamo di preoccuparci della Borsa. Negli anni del boom italiano, la Borsa vivacchiava, e l’Italia reale cresceva.

Ma in Borsa c’è chi ha fatto guadagni favolosi, dicono i media. Questo è vero. Pochi hanno fatto soldi, essenzialmente, a spese dei milioni che nel 2000 hanno investito in Borsa 11.723 dei loro sudati dollari, anzichè comprarci 460 barili di greggio o 40 once d’oro.

Quelli cioè che hanno creduto che «i mercati» siano ciò che predicano Giavazzi e 24 Ore: che là vi sia «la concorrenza» perfetta, la «trasparenza» assoluta, e tutti gli altri miti del liberismo. Insomma, quelli che credono che il gioco sia leale. Quei pochi, in realtà, hanno guadagnato perchè avevano informazioni che a quei milioni (detti «parco buoi») sono state taciute: tanti saluti alla «trasparenza».

Quanto alla «concorrenza» e al gioco «leale», per confronto, andate nel vero mercato, quello della frutta e verdura che nelle grandi città si tiene un giorno alla settimana in ogni quartiere. Lì dove dozzine di bancarelle vendono «valori» fisici, di cui avete bisogno e di cui sapete valutare la bontà: pomodori e lattughe, mica derivati e obbligazioni thailandesi o argentine. Dove non avete bisogno che Standard & Poors vi dica quanto valgono le albicocche come vi dice quanto valgono le obbligazioni sub-prime, perchè il fruttivendolo è disposto a farvene assaggiare una e potete giudicare da soli.

Domandatevi: come mai tutte queste bancarelle si mettono lì l’una a fianco all’altra, ad offrirvi gli stessi pomodori, lattughe e albicocche, con variazioni di prezzo minime? Non hanno paura della «concorrenza»? Non temono che qualcuno di loro fallisca, incapace di reggere «la competizione»? Non sarebbe meglio, per i profitti, che ciascuno piazzasse la sua bancarella da sola, in quartieri diversi?

No. I bancarellari si ammassano tutti insieme perchè è la loro concentrazione ad attirare in folla le casalinghe clienti. Le bancarelle solitarie - a volte se ne vede qualcuna - sono malinconicamente disertate. Dunque, ad aumentare i fatturati delle bancarelle è il loro accordo più che la «competizione» intesa come lotta di tutti contro tutti, più l’armonia che la «concorrenza».

Ciò si chiama «capitale sociale», ed è qualcosa di impalpabile - di culturale - che il liberismo economico disprezza totalmente, perchè non è vendibile. O prova ad appropriarsene per renderlo vendibile, come la Monsanto quando brevetta una qualità di riso che gli indiani coltivano da secoli, e i colossi degli OGM brevettano pezzi di DNA di qualche essere umano.

Molto significativamente, appena gli economisti di Chicago hanno potuto far passare la Russia dal socialismo al «mercato», hanno cominciato col lasciar andare in rovina il grande capitale sociale ereditato dal collettivismo: dall’altissimo livello di istruzione, alla scienza, alla sanità pubblica.

Ho conosciuto personalmente una primaria di oncologia pediatrica (ero a Chernobyl) che guadagnava 300 euro al mese; molti suoi colleghi medici specialisti erano andati a fare i taxisti, prendevano sette volte di più.

Dissipazione di qualità umane e di relazioni sociali essenziali, ecco a cosa s’è ridotto il capitalismo di «Borsa».

Io stesso fui tentato di assumerla come badante per la vecchia mamma: 900 euro mensili, che ne dice? Ma l’avrei sottratta a quei bambini con la testa pelata e le occhiaie, le ossa piene di Stronzio 90. Che lei curava praticamente gratis, al massimo delle sue capacità scientifiche.

Ecco perchè in Borsa alcuni guadagnano: sono quelli che giocano per se stessi, nella sicurezza che gli altri, i più, giochino per la collettività: facciano degnamente il loro mestiere mentre vengono derubati di salario e risparmi, mantengano le relazioni sociali e i patrimoni comuni gratuiti, che fanno crescere la società intera. E’ lo stesso che gettare i rifiuti nei fiumi, perchè i fiumi sono collettivi, ossia di nessuno.

Il fatto è che ogggi siamo tutti «capitalisti», tutti abbiamo imparato la lezione del «mercato» terminale: tutti tendiamo a giocare per noi stessi, contro la società e il suo bene. Forse per questo i guadagni di Borsa non sono più quelli di un tempo. Ormai non ci sono più patrimoni sociali, cultura alta, onestà, civismo, orgoglio del lavoro ben fatto, patriottismo da consumare.

Ognuno da parte, con la sua bancarella, lontano dagli altri, sperando di vendere i pomodori un po’ marci. Il risultato è l’impoverimento generale. Meritatissimo.



1) John Browne, «Set to soar - or swoon», Asia Times, 15 agosto 2008.
2) Bernard Maris, «Antimanuale di economia», Tropea Edizioni, 2005.

Moneta comunale come denaro


Nel processo di avanzamento verso il socialismo, oltre agli
emendamenti richiesti sotto l'aspetto giuridico propriamente detto,
risalta la riforma che regola le attività economiche con la finalità
di creare e sostenere nuove forme di organizzazioni socio produttive
che sorgono nel seno delle comunità.

Nel segno della la Ley Habilitante, la Ley para el Fomento y
Desarrollo de la Economía Popular (LFDEP) pubblicata nella Gaceta
Oficial de la República Bolivariana de Venezuela 5.890 il 31 luglio
2008, ha per oggetto la instaurazione delle modalità e delle forme
associative che potenzieranno il controllo e lo svolgimento delle
attività della economia popolare e la instaurazione di un nuovo
sistema di produzione, trasformazione e distribuzione di saperi, beni
e servizi fra le comunità organizzate nella ricerca dello sviluppo
umano integrale e sostenibile. Tale modello socioproduttivo e le sue
forme di organizzazione popolare sono sostenute dalle relazioni di
produzione solidali della comunità come strumenti per dare impulso
allo sviluppo integrale del paese. Di conseguenza si stimolerà
l'economia popolare sulle basi di progetti sorti dalle comunità
organizzate e dell'interscambio dei saperi, beni e servizi per
l'investimento delle eccedenze nella soddisfazione delle necessità
sociali.

Uno degli strumenti basilari di questo modello socio produttivo è
costituito dalla Moneta Comunale (MC) la quale permetterà e faciliterà
l'interscambio di saperi, beni e servizi nello spazio del Sistema di
Interscambio Solidale (SIS).
Tale monetà sarà regolata dalle norme impartite dalla Banca Centrale
del Venezuela (BCV) ed il suo valore si determinerà dalla equivalenza
con la moneta di corso legale nel territorio nazionale. Questo
significa che in ogni ambito territoriale dove funziona un Gruppo di
Interscambio Solidale (GIS) girerà una moneta particolare, accettata
dai suoi membri come mezzo di interscambio tra loro.

La MC adempirà con le funzioni del denaro come strumento generale di
scambio per il quale si richiede solo l'accettazione dei partecipanti
nel GIS. I membri del GIS potranno interscambiare i propri prodotti
con la MC ed utilizzarli per gli interscambi futuri. La MC permette la
specializzazione di ogni produttore consumatore ed elimina l'uso della
moneta di circolazione legale; riducendo i costi associati ad ogni
transazione. Per tanto, la MC servirà come portatore di valore o
proprietà di denaro conservando il valore nel tempo e nello spazio,
basato sulla fiducia che manterrà lo stesso valore o potere d'acquisto
nel futuro. In questo modo la MC funzionerà come strumento di
pagamento differito, perché permetterà di posporre il pagamento di
debiti ed obbligazioni acquisite nel presente. Come unità di conto la
MC funzionerà come un comune denominatore che esprime il valore di
ogni sapere, bene o servizio, permettendo che questi si equiparino tra
loro, attraverso equivalenza dei prezzi in moneta di corso legale.

Ci si augura che con la incorporazione della comunità organizzata al
SIS l'economia popolare e nazionale si sviluppi in maniera integrale e
solidale. Fino ad una diverso approccio.


di Miguel Cortez

Un paese senza gioia di vivere

Il ginepraio di divieti, obblighi, regole e relative sanzioni ingenerato dalle ordinanze spesso singolari e ridicole di molti sindaci del nostro Paese che aspirano a ritagliarsi un posto al sole, sta iniziando ad incuriosire anche la stampa estera al punto che perfino l’autorevole giornale britannico Indipendent ha dedicato alla questione un lungo articolo dal titolo “Turisti attenti: se una cosa è divertente, l'Italia ha una legge che la vieta”.

Nell’articolo in questione si ironizza velatamente sul fatto che a Genova, per esempio, sia ora illegale camminare per strada con una bottiglia di vino o una lattina di birra, mentre a Roma non si possa bere o mangiare un sandwich sui gradini di Piazza di Spagna, né tanto meno schiacciare un sonnellino, ed a Lucca si corra il rischio di essere multati fino a 500 euro per avere dato da mangiare ai piccioni. Sottolineando il fatto che i turisti sono sottoposti al rischio di pesanti sanzioni per atteggiamenti che risultano essere normalissimi in tutto il resto del mondo.


L’ironia diventa molto meno velata nel constatare che mentre il governo Berlusconi si fa vanto di essere stato il primo al mondo ad introdurre un ministero della semplificazione finalizzato ad identificare ed eliminare le leggi inutili, il suo ministro dell'Interno Roberto Maroni ha consentito la nascita di migliaia di ordinanze che brillano proprio per la loro inutilità.


Non manca neppure una riflessione di maggiore spessore sul fatto che l’Italia si starebbe trasformando nel più grande stato-babysitter, con i cittadini visti come bambini da controllare accudire e limitare, quasi in ogni ambito del vivere pubblico.


Non occorreva sicuramente il giudizio dell’Indipendent per comprendere che esiste qualcosa di profondamente stonato nel fatto che a Forte dei Marmi non si possa tagliare l’erba del giardino durante il weekend, che a Novara dopo le 11 di sera sia vietato stazionare nei parchi se si è più di 2 persone, che a Capri e Positano sia proibito portare gli zoccoli ai piedi, che a Viareggio un uomo non possa passeggiare a torso nudo ed una donna in bikini, che ad Eboli non si possa baciare la fidanzata all’interno della propria auto, che a Voghera non ci si possa sedere sulle panchine dopo le 23 se si è un gruppo composto da più di 3 persone, che ad Eraclea non si possano costruire castelli di sabbia sulla spiaggia, che ad Olbia sulla spiaggia non si possa fumare, che a Lucca si venga trattati come criminali per avere dato da mangiare ai piccioni.


La sensazione, al di là della metafora dello Stato babysitter citata dal giornale britannico, e dei giudizi sul governo Berlusconi che non può essere ritenuto l’unico responsabile dal momento che i sindaci artefici delle ordinanze appartengono a partiti di ogni colore, è quella di uno Stato che persegue sempre più la limitazione delle libertà individuali in maniera spesso schizofrenica e dispotica, trattando i cittadini alla stregua di decerebrati che presto finiranno per ritrovarsi in una selva dove tutto ciò che non è vietato risulta essere obbligatorio. Oltretutto con l’aggravante di avere creato centinaia di “città stato” in ognuna delle quali i divieti e gli obblighi risulteranno differenti per uno stuolo di “cittadini sudditi” sempre più confusi e disorientati dal senso di colpa che anche quando passeggeranno in un parco o siederanno su una panchina saranno costretti a domandarsi se stanno facendo qualcosa di male. Città stato nelle quali oltre all’aria verrà drammaticamente a mancare anche la gioia di vivere, sempre che un’ordinanza non abbia già provveduto preventivamente a vietare anche il sorriso.



M. Cedolin

18 agosto 2008

La BCE sostiene il dollaro a nostre spese



Queste argomentazioni provano che Dollaro e Euro sono due facce della stessa medaglia.
Entrambi sono strumenti manovrati dalla finanza internazionale.


Cosa possiamo fare noi? E' una domanda che mi pongo spesso ...

Mentre Bush persegue la sua mega-politica imperiale, l’economia USA, letteralmente, fonde come un gelato a ferragosto. I pignoramenti di case sono saliti del 55% a luglio rispetto a un anno fa; ciò significa che una famiglia su 464 ha ricevuto notizia di insolvenza, o ha visto mettere all’asta la sua casa, o se l’è vista prendere dalla banca creditrice (1).

Con punte tragiche in certe zone: in un’area metropolitana della Florida, Cape Coral-Fort Myers, una famiglia su 64 ha perso o sta perdendo la casa; in California, una famiglia ogni 186; in Nevada, una ogni 106. Le banche si trovano con almeno 750 mila unità immobiliari sequestrate, che non riescono a vendere nemmeno a prezzi drasticamente calanti. Eppure, il peggio deve ancora avvenire.

Circa un milione e mezzo di famiglie (per lo più in California) sono incatenate ad un tipo di mutuo variabile più velenoso dei sub-prime. Si chiama «Option ARM» (Adjustable Rate Mortgage), perchè i debitori hanno scelto di pagare le prime rate ad un tasso addirittura inferiore al mero interesse (cioè senza la quota di restituzione del capitale), mentre la quota non pagata si aggiunge al prestito originale, fino a quando raggiunge un certo ammontare (tra il 110 e il 125% del prestito d’origine); a quel punto il mutuo viene «riformulato» (recast) e il debitore deve pagare un rateo aumentato, di colpo, del 60-80%.

Ciò poteva ancora andare quando i prezzi immobiliari salivano; oggi, coi prezzi calanti, è un nodo scorsoio strangolatore (2). I proprietari si trovano a pagare enormemente di più del valore attuale della casa. E ovviamente non pagheranno, preferendo abbandonare l’immobile e rendersi introvabili. Ciò sta anzi già avvenendo; ma il grosso delle «riformulazioni» avverrà fra ottobre e marzo 2009. Con relative insolvenze a catena, e conseguenze esplosive per le banche creditrici.

Perchè il mercato delle opzioni ARM vale 400 miliardi di dollari, la metà della bolla dei subprime (1 trilione), ma colpirà un sistema bancario già alle corde. La linea di credito di emergenza aperta per Fannie Mae e Freddie Mac, le «assicuratrici» semi-statali dei mutui, è di 800 miliardi, e verrà dunque rapidamente risucchiata dagli ARM; peggio ancora, le opzioni ARM, coriandolizzate e confezionate, sono sparse in fondi di ogni genere, e su di esse è stato creato un business di derivati da trilioni di dollari, che dunque è minacciato di implosione, tale da gettare le banche nell’abisso.

Ciò pone la domanda: come mai, in quessta situazione fallimentare, il dollaro si è apprezzato sull’euro? Banche e imprese denunciano perdite colossali, i bilanci degli Stati sono in rosso profondo, la disoccupazione aumenta, e in questa rovina il dollaro risale.

La risposta viene da James Turk, analista e fondatore di Gold Money: «Le Banche Centrali sono intervenute a sostenere il dollaro, e ne posso dare la prova. Quando le Banche Centrali intervengono sui mercati valutari, comprano dollari con le loro valute; poi usano i dollari per comprare titoli di debito di Stato USA, per lucrare un interesse. Questi titoli di debito acquisiti dalle Banche Centrali sono conservati in custodia presso la Federal Reserve, e questa ne riporta l’ammontare ogni settimana. Ebbene: al 16 luglio 2008, la Federal Reserve riportava di detenere 2.349 miliardi di dollari (2,35 trilioni) in Buoni del Tesoro custoditi per conto di stranieri. Tre settimane dopo, i titoli in custodia erano più di 2,4 trilioni. Il che, in un anno, fa una crescita del 38,4%. Dunque le Banche Centrali accumulano dollari ad un ritmo mai visto, ingiustificato rispetto al deficit commerciale americano. La conclusione logica è che stanno sostenendo il dollaro, per impedirgli di precipitare. Provocando un rialzo, non troppo difficile da ottenere visto l’effetto-leva usato dei fondi hedge».

Il calo del barile e dell’oro è stato, con ogni probabilità, manipolato al ribasso allo stesso modo. E’ chiaramente all’opera il cosiddetto «Plunge Protection Team», il semisegreto gruppo di finanzieri (ufficialmente si chiama President’s Working Group on Financial Markets) allestito appunto per manipolare i cambi e i corsi onde contenere, o almeno ritardare, una catastrofe, a forza di effetti-leva (3).

Ellen Brown, un’avvocatessa civilista che studia i trucchi finanziari (il suo ultimo saggio ha per titolo «The Web of Debt», la rete del debito) sospetta addirittura che il conflitto in Georgia possa essere stato scatenato per distrarre dalla enorme crisi che incombe. E ricorda il film «Wag the dog» (in italiano «Sesso e potere»), il film del ‘97 in cui un consigliere della Casa Bianca (Robert De Niro) contatta un produttore di fiction tv (Dustin Hoffman) e gli dice: «C’è una crisi alla Casa Bianca, e per salvare le elezioni bisogna fingere una guerra» (4). Il presidente USA nel film è travolto da uno scandalo sessuale, e per salvarlo si finge una guerra contro... l’Albania, naturalmente tutta inventata, e resa nei TG a forza di effetti speciali elettronici.

Ohimè, il conflitto georgiano è una realtà. Anche se forse non a caso Saakashvili ha attaccato l’Ossezia il 7 agosto, il giorno in cui la FED ha pubblicato i dati sugli inauditi volumi di acquisti di BOT americani da parte delle Banche Centrali. Ma su questo ultimo punto bisogna concentrarsi.

«Quali» Banche Centrali stanno dilapidando miliardi per sostenere il dollaro? Se tra queste c’è la Banca Centrale Europea, com’è probabile, bisogna concludere quanto segue: la BCE, con il suo tasso primario rialzato fino al 4,25%, ha mandato l’economia europea in recessione - e però aiuta gli americani, non gli europei. La scelta di mantenere l’euro fortissimo, di restrizione del credito (denaro caro), e per conseguenza di minori esportazioni, sta provocando la contrazione dell’area europea, dello 0,2% in complesso, ma con drammatiche situazioni secondo i paesi (5).

La Spagna è in situazione di emergenza, tanto da costringere Zapatero a stanziare d’urgenza 20 miliardi di euro per lavori pubblici, tagli fiscali e sostegno ai mutui - tipici rimedi anti-ciclici. L’Italia e la Francia hanno visto contrarre le loro economie dell’ 0,3% nel trimestre; la Germania si è contratta ancora di più (0,5%), perchè più industrializzata e più esportatrice. L’Islanda è ormai in recessione, ossia crescita negativa, di un inquietante 3,7%. In crescita negativa sono anche Irlanda, Danimarca, Lituania ed Estonia, mentre rallentano drammaticamente l’Olanda e la Svezia.

Insomma tutta la zona euro è in recessione per la politica di «denaro scarso e caro» instaurata dalla BCE; sarebbe irritante apprendere che il denaro, reso così scarso in Europa, la BCE l’ha trovato (o stampato) in abbondanza per comprare BOT americani, ossia del Paese più indebitato del mondo.

La caduta della Germania, comparativamente più rapida, ha allarmato la Confindustria tedesca (BDI), che ora sarebbe favorevole ad un abbassamento dei tassi. Ma il delegato tedesco alla BCE, Axel Weber, fa il sordo e resiste: «La fiducia espressa da alcuni osservatori, che la crescita economica indebolita stia raffreddando l’inflazione, è secondo me prematura», ha detto. Traduzione: la BCE ci sta portando deliberatamente in una recessione per scongiurare la spirale inflazionistica prezzi-salari. La BCE è convinta che ci sia un’inflazione da eccesso di moneta. Quella moneta che ci fa mancare.

Invece sì, l’inflazione c’è (ufficialmente del 4,1%), ma essa dipende dai rincari mondiali del petrolio e degli alimentari, su cui le manovre della BCE non hanno alcun potere. Ma se si tolgono dal calcolo greggio e alimentari (la misura si chiama «core inflation») si vede che la pretesa inflazione è già divenuta deflazione: i prezzi d’altro genere sono infatti diminuiti dell’1,8% rispetto all’anno scorso. A soffrire di più sono ovviamente i salari, il cui potere d’acquisto è stato brutalmente accorciato. D’altra parte, l’obbligo europeo di limitare il deficit al 3% del PIL impedisce ai governi di attutire la recessione con un aumento della spesa pubblica; anzi, l’Italia deve stringere i cordoni in piena recessione (infatti le tasse non vengono tagliate, nonostante le promesse, e i consumi non vengono stimolati da iniezioni di potere d’acquisto ai salariati e pensionati). Il nodo scorsoio si stringe.

La Spagna, come abbiamo visto, s’è infischiata dell’imperativo di limitare il deficit a 3%, ed ha varato il pacchetto d’emergenza con 20 miliardi di spesa pubblica aggiuntiva: ma non solo ha un debito pubblico inferiore a quello italiano, la sua crisi - essenzialmente lo scoppio della bolla immobiliare - è più grave. Se avesse ancora la propria moneta, dovrebbe svalutarla del 30% per riportare a galla la sua economia. Avendo l’euro, non può farlo perchè la Germania e la BCE non voglione deprezzare l’euro. Le banche spagnole più esposte al crollo immobiliare (la Spagna ha oggi 800 mila appartamenti di troppo) si fanno prestare i soldi dalla BCE, almeno 49,4 miliardi di euro.

Lo fanno con un trucco: emettono obbligazioni - che il pubblico non comprerebbe - al solo scopo di consegnarle alla BCE per ottenerne liquidità. In questo modo, di fatto, le banche ispaniche si fanno sostenere dai contribuenti di tutta Europa, specialmente tedeschi, per restare a galla - con un metodo surrettizio e forse illegale. E allora perchè non può fare altrettanto la Grecia, che dovrebbe svalutare del 40%? Magari lo farà, visto il precedente spagnolo: e lo faranno l’Italia e l’Irlanda e l’Islanda. Ma la Germania in piena contrazione, avrà voglia di pagare surrettiziamente col denaro dei suoi contribuenti, il salvataggio di metà dei Paesi europei?

Sarebbe increscioso scoprire che, con questi guai in vista - nè più nè meno che il pericolo di spaccatura della moneta unica europea - la BCE trova il modo di spendere altri miliardi di tutti noi per comprare i BOT di un’America in rovina, che per di più ci vuole rifilare nella NATO anche la Georgia, e con ciò spingerci in rotta di collisione con la Russia.

M. Blondet

La sai l'ultima? L'Iran minaccia il mondo



Qualche volta cerco di entrare nella testa di un ragazzo di 14 o 15 anni, che
trova un giornale aperto sul tavolo e vede a tutta pagina un titolo come quello
di oggi 7 agosto sul Corriere della Sera che recita: “L’IRAN minaccia Israele e
il mondo –Nessuna opzione esclusa per fermarlo” .
E’ facile che questo ragazzo si fermi solo al titolo e il martello
compressore della disinformazione dell’editoria privata, cioè “libera” gli darà
altre occasione di vedere titoli simili e le sue convinzioni si faranno sempre
più forti. La immensa forza della stampa privata, cioè del 90% di quella
circolante, sta nel ripetere bugie fino a farle diventare verità, e nel
praticare l’omissione scientifica di notizie imbarazzanti o sgradite ai suoi
padroni.
Se il nostro ipotetico ragazzo leggesse l’articolo, scoprirebbe che le parole
del titolo sono del ministro della difesa israeliano Barak in una intervista
del “giornalista” Davide Frattini che gli fa domande di comodo, e la cosa
sembra ambientata a Fontana di Trevi, dove Totò e Nino Taranto sono i compari
che devono confezionare il “pacco” per vendere la Fontana al credulone di
passaggio.
Nessuna domandina semplice semplice sul perché l’Iran non dovrebbe
considerare una minaccia l’arsenale nucleare israeliano e quindi avrebbe il
diritto di mettersi sullo stesso livello di questa minaccia, già esistente e
pesante nei rapporti di forza fra i due paesi, nessuna domandina sul perché
Israele ha diritto ad esistere e non la Palestina, nessuna domanda sull’
affermazione che l’Iran minaccia il mondo, senza avere ancora gli strumenti per
rendere credibile e possibile questa minaccia, nessun riferimento alla
tracotanza americana che per bocca della Clinton ha minacciato di vaporizzare”
l’Iran se attaccherà Israele. E perché quando Israele uccide palestinesi si
parla di operazione militare, e quando i palestinesi uccidono israeliani è
“terrorismo”.
E magari ricordare ai lettori che questo attacco all’Iran è cominciato per
mano americana dopo la rivoluzione komeinista del 1979, che sottrasse il paese
alla egemonia Usa, e per vendicare questo affronto gli americani armarono e
spinsero il loro complice dittatore Saddam Hussein, facendogli fare una inutile
guerra contro l’Iran con un milione di morti, guerra per procura perché
ambivano a mettere le mani sul 40% del petrolio mondiale.
E ricordare che questa operazione sporca fu decisa da Bush padre, petroliere
di passaggio alla Casa Bianca, e che da qui nacquero tutti i successivi
interventi nell’area con le varie guerre del Golfo, fino alla attuale
aggressione all’Iraq di Bush figlio, che complessivamente sono costate un altro
milione di morti, sempre da attribuire alle iniziative Usa.
Sono 30 anni di guerre, prepotenze, sangue, torture, distruzioni, grazie alla
politica egemonica di Usa e Israele, che oggi si sentono “minacciati” dall’Iran
e cercano in Occidente complici per creare una psicosi a favore di un attacco
preventivo anche all’Iran.
Questo sproposito, di far passare coloro che sono minacciati concretamente di
guerra preventiva per coloro che minacciano il mondo, è possibile solo per l’
asservimento dei media che appoggiano massicciamente questa politica, anche se
l’Europa ne è pesantemente danneggiata, e ci fa capire il devastante potere di
avere in mano giornali e televisioni che fabbricano “verità” come quella dell’
Iran che minaccia il mondo.
Karadzic, responsabile della morte di 10.000 musulmani è in galera all’Aia a
disposizione del Tribunale Internazionale. Bush padre e figlio sono
responsabili di due milioni di morti musulmani e sono a piede libero.


di Paolo De Gregorio

I falsi scoop della Reuters sull’Ossezia

Guardate bene queste foto dell’agenzia Reuters, che mostrano alcune “vittime dei bombardamenti russi”.

In realtà, il ragazzo “morto” nella prima foto, è lo stesso ragazzo che il padre amoroso abbraccia gridando e piangendo nella seconda foto.

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Questo padre amoroso è lo stesso personaggio che appare nella prima foto in camicia nera. S’è tolto la camicia per il secondo ciak.

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Lo stesso padre amoroso appare in solitario mentre continua a gridare fra le maceria. S’è cambiato un’altra volta. Adesso ha una T-shirt sotto la camicia nera di prima.

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Tutto falso, da teatro di posa.

by effedieffe

Ma Putin cosa vuole?



La stampa occidentale vive la disfatta georgiana come propria: oddio, quando si fermeranno i cingolati russi? Mosca vuole annettersi la Georgia? Torna l’impero sovietico? Dove vuole arrivare Putin? L’angoscia servile, a quanto pare, rende sordi. Cosa vuole Mosca, l’ha detto chiaro Sergei Lavrov a Condy Rice: «Saakasvili must go», se ne deve andare. Anche Kouchner se lo dev’essere sentito ripetere.

La mediazione francese, se non si limitasse a servire Usrael, potrebbe fare molto. Perchè ha sottomano l’uomo giusto, che vive a Parigi dove ha ottenuto l’asilo politico: Irakli Okruashvili.
E chi è?

Okruashvili è stato ministro della Difesa di Saakasvili. Fino al novembre scorso, quando un forte movimento d’opposizione è sceso in piazza a reclamare «Saakashvili must go», e il Gran Kartulo ha risposto imponendo a Tbilisi la legge marziale (tale è la «democrazia» georgiana); Okruashvili, passato all’opposizione, lo ha accusato pubblicamente di corruzione e di assassinii vari, ed ha dovuto scappare all’estero. Saakashvili ne ha chiesto l’estradizione, rifiutata il giugno scorso da un tribunale francese.

Come si vede, c’è una potenziale convergenza fra la popolazione georgiana e Mosca: Saakashvili se ne vada, l’avevano già chiesto i georgiani l’autunno passato. La gente lo accusa di aver scandalosamente arricchito se stesso e la sua famiglia, a cominciare da suo zio (fratello di suo madre, il capoclan) Timur Alasaniya, accaparrandosi le concessioni commerciali, petrolifere e portuali del Paese, nonchè grasse tangenti sull’acquisto delle armi da USA e Israele.

Se non fossero russe le bombe che piovono loro sul capo, oggi una maggioranza di georgiani potrebbero sottoscrivere le parole di Vladimir Vasiliyev, presidente della Commissione Sicurezza della Duma di Mosca: «Gli anni della presidenza Saakashvili potevano essere impiegati in tutt’altro modo, rafforzando l’economia, sviluppando infrastrutture, risolvendo i problemi sociali nel Paese e anche in Sud-Ossezia ed Abkhazia. Invece, Saakashvili ha impiegato le risorse del Paese per accrescere la spesa militare da 30 milioni di dollari a un miliardo: tutto per prepararsi all’azione militare». Il lato comico è che il Gran Kartulo, non contento di arricchire lo zio Alasaniya, lo ha piazzato (con il placet di Washington) alla Commissione ONU per... il disarmo.

Se i media occidentali, anzichè piangere sulla «piccola fragile democrazia minacciata» ascoltassero l’opposizione georgiana, vedrebbero che la soluzione del caso georgiano è più semplice di quanto sembra.

Irakli Karabadze, per esempio, che è riuscito a riparare a New York, dopo essere stato messo in galera dalle teste di cuoio di Saakashvili per aver guidato una manifestazione di piazza anti-Kartulo la primavera scorsa: «Quando le bombe taceranno, credo che Saakashvili non sopravviverà alla sua avventura in Ossezia» (1). E’ lo stesso parere di Shalva Natelashvili, che dirige il Partito del Lavoro georgiano, e che tace solo per non farsi accusare, in questo momento, si essere anti-patriottica.

Ovviamente, più a lungo le operazioni russe proseguono, più Saakashvili diventa la vittima e più il suo popolo si compatta per un’ovvia reazione psicologica. Ma oltre a militare in spirito per il «democratico», i giornali europei dovrebbero almeno riportare la posizione russa, che rende difficile un cessate-il-fuoco se prima non avviene in Georgia un cambio di regime (o di fantoccio).

Mosca ha visto nel massacro di osseti operato dai georgiani una replica della «pulizia etnica» che USA ed UE hanno giudicato crimine contro l’umanità, quando a commetterlo era il loro protetto Slobodan Milosevic. Se hanno trascinato al Tribunale dell’Aja Milosevic, bisogna che processino anche Saakashvili, dicono in Russia.

Ovviamente, non ci credono. Sanno che Saakashvili è stato messo lì dagli americani per garantire l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, che sottrae il greggio del Caspio alla sfera d’influenza russa per darlo in mano ad Israele (la quale punta, caricando il petrolio ad Eilat su petroliere e inoltrandolo all’estremo oriente asiatico, a neutralizzare completamente l’importanza strategica del Golfo Persico come transito dell’oro nero: che diventa così campo libero per le ulteriori guerre anti-islamiche). A Mosca hanno tutte le prove che Washington punta a balcanizzare il Caucaso, a farne una ex-Jugoslavia piena di basi americane.

Gli USA hanno armato il secessionista ceceno Dudayev; hanno finanziato il terrorismo ceceno nei suoi crimini più atroci (la strage alla scuola di Beslan, qualche giornale la ricorda?); ed ora, da anni, armano Saakashvili e ne addestrano i corpo speciali colpevoli dei massacri in Ossezia. Per di più, gli americani vogliono coprire il loro fantoccio mettendolo sotto il manto della NATO.

Se ciò sia bene per l’America, è una domanda sospesa. Ma almeno l’Europa dovrebbe considerare - con un brivido - che se oggi Saakashvili fosse già membro della NATO come caldamente vogliono e premono i neocon, saremmo già in guerra contro la Russia, nei rifugi a Milano e Berlino sotto il rombo dei Sukhoi, per nessun motivo decente.

Per fortuna - non certo per merito europeo - non siamo a questo punto, e Saakashvili deve sorbirsi i Sukhoi per conto proprio. Ma fino a quando?

Secondo una fonte insospettabile, l’israeliano Maariv, USA ed Israele continuano anche in queste ore a rifornire di armi il Gran Kartulo (2). Lo fanno, come sanno bene a Mosca, usando una compagnia privata, la UTI WorldWide Inc., che fa decollare i suoi aerei da trasporto (ironicamente, di origine sovietica) dalla base giordana di Akaba, che il Pentagono usa di solito per inoltrare i rifornimenti in Iraq.

Dunque i russi non possono smettere le operazioni, e la «mediazione» europea non ha possibilità. Berlusconi, dopo una telefonata all’«amico Putin», ha rilasciato una dichiarazione che addossa la responsabilità dei fatti a Saakashvili.

Benino, ma c’è ancora un passo da fare: riconoscere che la NATO è diventata non solo controproducente agli interessi italiani ed europei, ma un pericolo immediato per l’Europa; che dunque, come minimo, occorre opporre un veto assoluto all’ammissione nell’Alleanza di Paesi-satelliti con capetti che hanno conti da regolare con Mosca, o che eseguono gli ordini americani. Poi, premendo sull’«amico Bush» perchè accetti il cambio di fantoccio in Kartulia, che è la sola e vera soluzione al problema.

Pensate che lo farà? Che qualcuno in Europa lo farà? Per togliersi l’illusione, basta vedere come i media italiani ed europei in genere siano schierati tutti sulla posizione americana.

Si arriva a questo: che mentre le stesse fonti israeliane, da Debka File a YNET ad Israel Today, ammettono la «Israeli connection» nel conflitto in Sud-Ossezia, i media europei e i giornali italiani - a cominciare da l’Unità - non ne dicono una parola (3). Eppure, lo so, i nostri colleghi leggono avidamente Debka File, se non altro per sapere cosa ordina il padrone, e quale disinformazione diffondere per far carriera. Come accade a tutti i servi e maggiordomi, siamo più realisti del re David.

Può darsi che in questo servilismo ci sian una parte di vera paura della Russia, e la convinzione che l’America, la NATO, ci difendono. Anche qui, le notizie - se avessero il coraggio di leggerle - dicono un’altra verità.

In Georgia, bloccati dal contrattacco russo che non avevano previsto, sono ancora mille soldati americani che hanno partecipato all’esercitazione «Immediate Response» conclusa il 31 luglio. Per la precisione, ci sono gli uomini della Southern European Task Force (Airborne) che normalmente stanno a Vicenza, il 21mo Comando di Teatro partito dalla germanica Kaiserslautern, il 3° Battaglione Marines, e il 25moMarines venuto dall’Ohio (4).

Come si vede, noi europei siamo già coinvolti, se non altro come passivi ospiti delle basi USA, adoperate oggi per le aggressioni in Caucaso ed Asia centrale. Nel servaggio c’è la viltà: forse la convinzione che gli americani sono comunque «i più forti», dunque ci conviene stare con loro. Ma è proprio così?

Il Pentagono comincia ad ammettere di essere stato sopreso dalla «velocità e tempestività» della risposta bellica russa (5). Più precisamente, il Pentagono non ha visto il «build-up», l’ammassamento di truppe e mezzi ai confini che segnalasse l’intenzione di contrattaccare in forze. Tra 10 e 25 mila uomini (la cifra superiore è la valutazione georgiana) e 500 carri russi armati sono comparsi di colpo ed hanno preso la via dell’avanzata, appoggiati dal cielo da SU-25, SU-24, SU-27 e da bombardieri TU-22. Con tanti saluti ai satelliti-spia americani che possono identificare un pallone da football in ogni parte del pianeta e, secondo la «revolution in military affairs», sostituiscono con l’alta tecnologia la vecchia «intelligence» affidata a spie sul terreno.

Un bello smacco per la rinomata intelligence elettronica che gli israeliani si son fatti pagare da Saakashvili. Soprattutto, uno scacco per la convinzione strategica americana, che la guerra si possa vincere dal cielo, guardando giù coi satelliti e bombardando a distanza, senza stivali sul terreno. La convinzione che i computer e le comunicazioni sostituiscano inutile l’intelligenza tattica e la pura e semplice audacia. I russi hanno un’altra scuola, che viene da un’altra storia, da Stalingrado, dalla lezione appresa nel sangue dal nemico tedesco. La loro forza è proprio nella rapidità e nell’audacia tattica sul terreno.

M’è capitato di apprezzarla personalmente - sia consentito un ricordo personale - in Kossovo. Mentre la NATO occupava la ragione secondo le (sue) regole americaniste ossia prevedibili, un corpo russo - qualche Omon, qualche paracadutista, alcuni mezzi corazzati portatruppe - s’impadronì dell’aeroporto di Pristina. I generali inglesi e americani erano verdi di bile, per atterrare e decollare dovevano chiedere il permesso ai russi.

Mosca, specialmente allora, non poteva fare molto per la Serbia; ma con quell’azione avevano dato prova di una fantasia geniale, di una capacità di sfida quasi inaudita, che evidentemente veniva da una perfetta valutazione politico-militare della situazione e da un freddo calcolo del rischio. Tutto ciò che ho visto sempre mancare alla superpotenza USA.

Me li ricordo ancora, quei soldati russi. Sedevano a cavalcioni sui loro carri armati coi loro copricapi da carristi della seconda guerra mondiale, fumavano papiroske e ci guardavano con sfida. Molto sicuri di sè.



1) John Helmer, «Russia bids to rid Georgia of its folly», Asia Times, 12 agosto 2008.
2) «US sends more arms to Georgia - Israeli media», Russia Today, 11 agosto 2008. «The United States is sending fresh supplies of weapons to Georgia from its base in the Jordanian port of Aqabah. That’s according to the Israeli newspaper - Maariv».
3) John Vandiver, «US troops still in Georgia», Star & Stripes, 12 agosto 2008. Anche 12 mila fra ebrei residenti ed israeliani sono bloccati in Georgia, e gridano perchè vogliono essere salvati; il governo di Olmert sta cercando di portarli via.
4) «Media disinformation: BBC distorts the news from the Georgia region», GlobalResearch, 10 agosto 2008.
5) «US military surprised by speed, timing of Russia military action», AFP, 11 agosto 2008. «… the official said there was no obvious buildup of Russian forces along the border that signaled an intention to invade. ‘Once it did happen they were able to get the forces quickly and it was just a matter of taking the roads in. So it’s not as though they were building up forces on the border, waiting’, the official said. ‘What are their future intentions, I don’t know. Obviously they could throw more troops at this if they wanted to’, he said».

30 agosto 2008

Il debito

Sull'Herald del 2 agosto un articolo di David Brooks intitolato "Missing Dean Acheson".
Sottotitolo: "Il nostro nuovo mondo pluralistico ha dato origine a una globosclerosi, incapacità di risolvere un problema dopo l'altro."
Il tema è quello della impossibilità di decidere. Brooks ricorda con nostalgia i bei tempi in cui il gruppo dirigente americano prendeva decisioni sulla base dei suoi interessi e li imponeva senza tante storie, con le buone o con le cattive (generalmente con le cattive) a tutto il mondo dominato.
A partire dagli anni '40 il potere è stato fortemente concentrato nelle mani della classe dirigente occidentale, ma oggi il potere è disperso.
"La dispersione dovrebbe in teoria essere una buona cosa, scrive Brooks, ma in pratica multipolarità significa potere di veto sull'azione collettiva. In pratica questo nuovo mondo pluralistico ha dato origine alla globosclerosi, incapacità di risolvere un problema dopo l'altro."
Poi il caro David viene al punto che più lo addolora:
"Questa settimana per la prima volta dalla seconda guerra mondiale, un tentativo di liberalizzare il mercato globale è fallito. Il Doha round ha subito un collasso perché il governo indiano non voleva offendere i piccoli contadini in previsione delle prossime elezioni."
A David Brooks dei piccoli contadini indiani non gliene può fregare di meno. Il suo problema è la fine della capacità di decisione economica da parte delle grandi potenze occidentali.
In effetti, nel corso dell'estate 2008 abbiamo avuto tre segnali impressionanti della fine della decisione politica, della fine del globalismo e della fine dell'egemonia occidentale. Il G8, il WTO, ed infine la NATO sono entrati in una sorta di paralisi.

All'inizio di luglio c'è stato il summit G8 di Hokkaido. Posti di fronte alla necessità di decidere qualcosa a proposito di processi che avanzano con velocità impressionante e distruggono il futuro del pianeta e dell'umanità (cambiamento climatico, crisi alimentare, crisi finanziaria) i capi delle potenze mondiali hanno fatto come suol dirsi scena muta.
Dovevano decidere qualcosa sul cambiamento climatico. La risoluzione finale relativa al cambiamento climatico dichiara semplicemente che nel 2050 le emissioni inquinanti saranno la metà di quelle attuali. Questo è quello che hanno stabilito i "Grandi". Come accadrà questo dimezzamento? Nessuno lo sa, nessuno lo ha detto. Ma tanto chi se ne frega, nel 2050 saremo tutti morti (probabilmente a causa del cambiamento climatico) quindi nessuno potrà recriminare.

Alla fine del mese di luglio c'è stato l'incontro di Ginevra del Doha Round del World trade organisation, dove è definitivamente fallito l'accordo sulla liberalizzazione del commercio internazionale - che per gli occidentali significa libertà di penetrazione nei mercati altrui e difesa protezionistica dei mercati propri.
Il WTO, l'organismo contro cui ci battemmo a Seattle nel 1999, quando il movimento no-global venne alla luce del sole, sembra defunto, non certo per la forza dei movimenti di contestazione, ma a causa dell'emergere di contrasti d'interesse inconciliabili, per il rifiuto che le nuove potenze economiche oppongono al globalismo a senso unico occidentale.

Poi c'è stata la guerra in Georgia. La lunga onda dell'89 è finita, ora rifluisce.
La Nato non ha potuto difendere in nessuna maniera il suo alleato georgiano, dimostrando che la presidenza Bush ha portato il sistema militare americano all'impotenza.
E l'Unione europea si trova ormai spaccata in due: da una parte coloro che per timore dell'aggressività russa vogliono puntare le armi contro Mosca, e dall'altra coloro che per timore della potenza energetica russa vorrebbero trovare un compromesso.

Sullo sfondo, mentre i vertici globali falliscono uno dopo l'altro, la guerra euroasiatica tende a saldarsi in un fronte variegato nel quale l'occidente perde tutte le battaglie.
La battaglia iraqena è ormai perduta da anni, la battaglia afghana sta diventando un inferno.
La battaglia iraniana volge a favore dell'oltranzismo nazional-islamista di Ahmadinejad e Khamenei, e la bomba sciita si delinea all'orizzonte mediorientale come una minaccia sempre meno immaginaria.
La battaglia libanese diventa ogni giorno più pericolosa per Israele, con il saldarsi di un fronte Siria-Hezbollah.
E per finire, più spaventosa di tutte, la battaglia pakistana sta rivelandosi un rovescio per gli americani. Il generale protetto dalla Casa Bianca deve andarsene, e Ahmad Gul, l'uomo forte dell'esercito, dichiara che il principale nemico del paese sono gli Stati Uniti d'America (e l'India dove la mettiamo?). Ah... dimenticavo: Kim Iong Il ha appena comunicato che la Corea del Nord riprende la produzione della bomba nonostante i mezzi accordi ottenuti dall'amministrazione Bush qualche mese fa.
Il clan Bush è riuscito in un capolavoro impensabile: la più grande potenza del mondo si è messa progressivamente in condizione di minorità militare e di paralisi politica. Com'è potuto accadere?

Occorre una nuova descrizione del mondo. Quelle di cui disponiamo non valgono più.
Fino al 1989 disponevamo di una descrizione del mondo che si era formata nel secondo dopoguerra, e delineava il futuro sulla base dell'opposizione tra capitalismo e socialismo.
Nel 1989 quella descrizione bipolare venne sostituita con una descrizione unipolare, fondata sull'egemonia della NATO e sul predominio di un nuovo modello di espansione capitalista.
Per un ventennio l'egemonia militare ha messo l'occidente in una posizione di predominio, che permetteva alla popolazione americana di indebitarsi illimitatamente, di mantenere un tenore di vita largamente superiore alla forza produttiva americana, e di consumare le risorse senza alcuna considerazione per il futuro del pianeta né per la sopravvivenza della specie umana.
L'undici settembre del 2001, con un'azione di eccezionale efficacia strategica, qualcuno (poco mi importa qui sapere chi) ha spinto la più grande potenza militare di tutti i tempi a compiere una serie di azioni completamente insensate, autodistruttive, di cui sette anni dopo, si misurano a pieno gli effetti. Dopo 911 il presidente degli Stati Uniti, che qualche mese prima non conosceva il nome del presidente golpista del Pakistan, decideva di lanciare una guerra poi un'altra guerra, senza considerarne le implicazioni geopolitiche, culturali, religiose, militari.
Io non so se questo sia dovuto all'ignoranza sbalorditiva del gruppo dirigente americano, o al cinismo di gruppi economici come la Halliburton la Bechtel la Texaco ecc che hanno considerato più importante il loro interesse economico immediato che la disfatta strategica del loro paese (non lo so nè qui mi interessa, per quanto si tratti di una questione appassionante). Mi limito a constatare l'evidenza: le guerre euroasiatiche scatenate dagli anglo-americani si sono risolte in una successione di sconfitte strategiche irrimediabili. L'egemonia militare dell'occidente è finita. Per sempre, credo.

Ma la sconfitta militare sta provocando una crisi di credibilità che ha risvolti finanziari ed economici. Il popolo americano ha potuto appropriarsi delle ricchezze del pianeta grazie all'(apparente) superiorità militare della NATO. Ora, dopo la disfatta strategica dell'occidente nel continente euroasiatico, il gioco è scoperto. L'occidente non dispone più della sua forza di ricatto.
Ora il pianeta gli presenta il conto. Temo che sarà salato.
Non si può più contare sul debito illimitato.
Il 15 agosto è uscito sulla Repubblica un articolo di Nouriel Roubini, professore alla Stern school della New York University. Titolo: "La tempesta perfetta".
Il quadro che descrive Roubini è quello di una recessione generalizzata, profonda, e di lungo periodo. Questo non è così grave, di recessioni ne abbiamo viste tante nel corso del novecento, prima o poi se ne esce.
Il problema è che stavolta la recessione coincide con la fine del predominio occidentale sul pianeta.
L'occidente può accettare un ridimensionamento, che significa prima di tutto una riduzione del consumo energetico, e del consumo in generale?
Gli americani accetteranno di rinunciare al privilegio economico e finanziario di cui hanno goduto negli ultimi venti anni? Saranno capaci di farlo?
Dopo il crollo del sistema di credito immobiliare, si sta aprendo il problema delle carte di credito. Dopo la bolla dei mutui sulla casa, è sul punto di esplodere anche la bolla dell'indebitamento privato. Mi pare che qui ci sia un nucleo essenziale della crisi finanziaria che si sta trasformando in recessione di lungo periodo: la fine della possibilità di indebitarsi indefinitamente puntando una rivoltella alla tempia del creditore.
Ora il creditore ha scoperto che la rivoltella è scarica.
Accetterà l'occidente, accetterà il popolo americano di pagare il suo debito?
Il debito. Ciò che dobbiamo agli altri.
Oppure sceglierà di usare l'arma estrema, la violenza impensabile, per riaffermare il proprio diritto di depredare il futuro di tutti?
Il pericolo che si delinea all'orizzonte è senza precedenti.
Non è vero che sia tornata la guerra fredda. Magari.
La Guerra fredda era fredda perché gli americani non avevano l'acqua alla gola e perché l'Unione sovietica era un sistema totalitario, ma il gruppo dirigente del PCUS aveva una logica politica diversa da quella della mafia e del KGB coalizzati.

Bifo
Fonte: www.rekombinant.org/

La fisica sul crollo delle Torri gemelle

Questo documento esamina le fasi di carico elastico e di deformazione plastica delle colonne del WTC1 dopo l'impatto degli ultimi 18 piani dell'edificio su quelli sottostanti ed il loro effetto sul trasferimento della quantità di moto dopo la collisione. Viene quindi derivata una equazione di bilancio energetico che mostra esserci un deficit di energia che avviene prima del completamento della fase di snervamento il quale non avrebbe permesso al collasso di proseguire, sotto le ipotesi formulate in questo documento.

Introduzione:

L'analisi precedente riguardo al trasferimento della quantità di moto durante il crollo delle torri le ha modellate come un insieme di piani sospesi nello spazio ed ha esaminato il processo di trasferimento della quantità di moto attraverso una serie di urti elastici ed anelastici, indipendenti gli uni dagli altri. Questo tipo di analisi estrapola il trasferimento della quantità di moto dal suo contesto, caratterizzato da altri effetti degli urti. Questo avviene perché questo tipo di analisi assume che gli impatti abbiano effetto soltanto sul piano superiore della sezione su cui essi avvengono.

La realtà dei fatti è invece che essi hanno un effetto su diversi piani della sezione sottostante e per effettuare un'analisi valida, bisogna tener conto di ognuno di questi trasferimenti della quantità di moto Se assumiamo che la sezione superiore, che comprende 16 piani in caduta, cada sotto una piena accelerazione gravitazionale attraverso lo spazio occupato da un piano (rimosso), per una distanza di 3,7 metri, possiamo calcolare che la sua velocità al momento dell'impatto sarà 8,52 metri al secondo e la sua energia cinetica, dovuta a massa e velocità, di circa 2.105 GJ (usando l'ipotesi di 58000 tonnellate come dettagliato nel rapport di Bazant & Zhou [1]).
Nella realtà ci dovrebbero essere alcune perdite di energia dovuta alla resistenza residua delle colonne in cedimento della sezione rimossa, ma esse vengono trascurate per lo scopo dell'analisi.

Al momento dell'impatto con la sezione sottostante, la massa in caduta dovrebbe trasmettere una tensione che crescerà da zero, sino alla tensione di snervamento delle colonne del piano impattato, in un periodo di tempo e percorrendo una distanza finita.

Questa forza verrà percepita anche dalle colonne al di sotto del piano urtato per primo.



Analisi:

La sezione superiore in caduta, con una velocità di non più di 8,5 metri al secondo, al momento dell'urto incontrerà la resistenza delle colonne impattate e, come prima operazione, dovrà necessariamente caricare queste colonne, dapprima nell'intervallo di carico elastico e quindi attraverso la fase di snervamento. Esamineremo per prima cosa questo intervallo di tempo incrementale.

Bazant/Zhou [1] mostrano, nella loro analisi, che il comportamento elastico e plastico di una colonna di acciaio, sottoposta ad un carico di punta dinamico consista in tre fasi distinte:

Esse possono essere visualizzate in un grafico tensione/deformazione e consistono in una fase iniziale elastica, una di snervamento ed una rapida fase di deformazione plastica.

1- La fase elastica mostra una relazione lineare tra carico e deformazione sino al limite di tensione elastica. Il carico a questo punto raggiunge la tensione di snervamento e la deformazione al limite elastico per l'acciaio è generalmente lo 0,2% della sua lunghezza iniziale.

2- La fase di snervamento permette che sia applicato lo stesso carico sino a quando la deformazione verticale raggiunge il 3%, punto in cui la colonna inizia a formare dei punti di imbozzamento.

3- La terza fase mostra una rapida discesa della tensione richiesta per continuare la deformazione, con la tensione necessaria minore di quella di snervamento. Questa fase continua fino a quanto la deformazione verticale eguaglia la lunghezza originale. In altre parole la colonna è piegata in due.

Per deformare le colonne del piano, impattato per primo, del 3%, cosa sufficiente per completare la fase di snervamento, cioè una distanza di circa 0,111 metri, sarebbero necessari un minimo di 0,013 secondi, supponendo una velocità costante di 8,5 metri al secondo.

La velocità dell'onda di propagazione attraverso un un materiale generico è data dalla formula generale di propagazione d'onda:

Velocità = radice quadrata (modulo compressibilità/densità)

Che per l'acciaio strutturale è dell'ordine di 4500 metri al secondo. L'onda di propagazione della forza d'impatto avrebbe viaggiato quindi per 58,7 metri nel tempo di 0,013 secondi. Questo significa che durante il tempo impiegato dalle colonne impattate nella fase di snervamento, la stessa tensione sarebbe stata avvertita ad una distanza minima di 58,7 metri, o approssimativamente 16 piani, dall'impatto.

Questi piani, perciò, avrebbero subito una deformazione elastica in reazione, e proporzionale, alla tensione di snervamento applicata al piano impattato. Queste deformazioni avrebbero esse stesse richiesto del tempo ed avrebbero fatto sì che l'onda di propagazione si muovesse ulteriormente verso il basso coinvolgendo, di nuovo, un numero maggiore di piani.

Possiamo stimare la deformazione elastica delle colonne di questi 16 piani come compresa tra 0 e 7 mm. La massima deformazione elastica di una colonna di 3,7m, usando l'approssimazione, comunemente accettata dello 0,2% della lunghezza iniziale, è di 7,4 mm. Le colonne nei piani superiori avrebbero subito una deformazione quasi pari alla massima deformazione elastica perché la loro tensione di snervamento è simile, benché leggermente più grande, a quella del piano impattato inizialmente.

Le colonne dei piani più distanti dalla zona dell'impatto avrebbero avuto una sezione trasversale maggiore, richiedendo quindi tensioni maggiori per causare la massima deformazione elastica. Usare soltanto metà della massima deformazione elastica, 56mm /16*7/2) è, di nuovo, un'assunzione a favore della continuazione del crollo.

La deformazione elastica dei piani sottostanti avrebbe aumentato la distanza attraverso la quale la sezione in caduta avrebbe dovuto muoversi per caricare le colonne impattate e completare la deformazione del 3% della fase di snervamento. Il tempo impiegato, utilizzando di nuovo una velocità costante di 8,5 m/sec,verrebbe innalzato a circa 0,02 secondi, permettendo all'onda di propagazione di muoversi ed avere effetto su 8 piani ulteriori.

Poiché queste colonne subiscono una deformazione verticale, i piani a cui sono fissate si muovono verso il basso ed avrebbero quindi anche loro una velocità ed una quantità di moto.

Perdite di energia:

Una semplice equazione della conservazione della quantità di moto, ignorando questi movimenti, considererebbe 16 piani in caduta che si muovono ad 8,5 m/sec prima dell'impatto che diventano 17 piani che cadono a (8,5*(16/17)) = 8m/sec dopo l'impatto. Questo non tiene conto del fatto che un minimo di ulteriori 24 piani sarebbero stati fatti muovere verso il basso a velocità variabili.

Per stimare ed illustrare queste ulteriori variazioni della quantità di moto, possiamo assumere che il piano che è 25 piani al di sotto della zona d'impatto rimanga statico e che la velocità dei 24 piani sovrastanti vari in modo lineare dalla velocità di caduta della sezione in caduta, sino a zero.

Quantità di moto prima dell'impatto = 16 piani che si muovono a 8,5 m/sec

Quantità di moto dopo l'impatto = 17 piani che si muovono a V2 m/sec + 1 piano che si muove a 23/24*V2 m/sec + 1 piano che si muove a 22/24*V2m/sec+....+1 piano che si muove a 2/24*V2 m/sec + 1 piano che si muove a 1/24*V2 m/sec.

16*8,5 = V2 (17 +11,5)
V2 = 16 * 8,5 /28,5 = 4,8 metri al secondo.

La velocità della sezione impattante verrebbe quindi ridotta, per la collisione, da 8,5 m/sec ad una velocità minore di 4,8 m/sec invece che gli 8m/sec derivati dall'equazione della quantità di moto che non include questo fattore. E' da notare anche che la riduzione della velocità darebbe ancora più tempo all'onda di propagazione per viaggiare verso il basso attraverso le colonne della torre, permettendo che altri, ulteriori, piani ne subiscano l'effetto..

L'energia cinetica della sezione in caduta sarebbe influenzata in modo simile ma, poiché essa dipende dal quadrato della velocità, la riduzione in energia cinetica sarebbe più pronunciata.

E.C. Della sezione in caduta prima dell'impatto =
16 piani che si muovono a (8,5 m/sec)^2
E.C. Della sezione in caduta dopo l'impatto =
17 piano che si muovono a (4,8 m/sec)^2
Perdita percentuale di E.C. = 1- (17 * 4.82) / (16 *8.52) * 100% = 66%

Questa è una stima per difetto della perdita energetica, poiché la decelerazione avrebbe concesso più tempo perché l'onda di propagazione viaggiasse ed avesse affetto su più piani, ma, anche così, si mostra un assorbimento di circa il 66% dell'energia cinetica totale della sezione in caduta.

Bilancio Energetico:

Poiché vi erano circa 2,1 GJ a disposizione al momento del primo urto, una perdita del 66% ridurrebbe questa stima a 714 MJ. L'energia cinetica verrebbe però incrementata dell'energia potenziale rilasciata dall'ulteriore movimento verso il basso della massa in caduta e, se assumiamo che la caduta sia avvenuta per l'intersa lunghezza del 3% assunto per la fase di snervamento del piano impattato e della deformazione elastica dei piani sottostanti, allora l'energia potenziale addizionale è

58*106 * g * (0.111 + .056) = + 95MJ.

L'energia di deformazione consumata dalle colonne del piano impattato, durante la fase elastica e quella di snervamento, può essere calcolata utilizzando la tensione di snervamento. Quella usata in questa analisi è derivata utilizzando la massa al di sopra della zona d'impatto, 58000 tonnellate, ed un fattore di sicurezza 4. L'esame della geometria della colonna con riferimento alle equazioni di Eulero mostra che questa è una sottostima sia della tensione di snervamento che della deformazione da compiere prima della rottura, e questa è una grossa assunzione a favore della continuazione del crollo. Un fattore di 0,029 è stato incluso per modellare il profilo della tensione durante la fase di snervamento (del 3%)

Il profilo della tensione mostra una crescita lineare da zero sino alla tensione di snervamento allo 0,2% della lunghezza, seguita da una tensione costante per il restante 2,8% della lunghezza.

Energia di deformazione plastica:

58 * 106kg * 4 * g * 3.7m * 0.029 = - 244 MJ.

Un valore simile ma lievemente inferiore a questo sarebbe necessario per il primo piano del blocco superiore che colpisce i piani sottostanti. Dato che questo piano portava un carico inferiore, 15 piani, rispetto al piano colpito, 17 piani, le sue capacità di progetto sarebbero state proporzionalmente inferiori. Forti di questa conoscenza è possibile stimare che l’energia consumata da questo piano sarebbe stata
(244 MJ * 15 / 17) = - 215 MJ.

La risposta elastica entro la capacità delle colonne del piano sottostante avrebbe richiesto ulteriore energia, assorbita sotto forma di energia di deformazione. Questa può essere stimata usando un coefficiente di sicurezza pari a 4, una massa di 58000 tonnellate, una distanza di 0.056 metri e un fattore pari a 0.5 per riflettere il profilo di tensione

58 * 106kg * 4 * g * 0.056m * 0.5 = - 64 MJ.

Il movimento verso il basso di questi piani in risposta all’impatto rilascerà altra energia potenziale dovuta alla loro compressione; usando le stesse deformazioni usate in precedenza e un valore di massa proporzionale al numero di piani, questa sarà

58 * 106kg * 24/16 * g * 0.056m / 2 = + 24 MJ.

Altre perdite di energia sono evidenti in un’analisi della compressione dei piani all’interno del blocco superiore in caduta. Questi piani, costruiti con colonne dotate di sezione inferiore rispetto a quelle colpite, sarebbero incapaci di sostenere il carico critico presente sul fronte di impatto e subirebbero deformazioni plastiche oltre il loro limite elastico, ma per semplicità assumiamo che subiscano solo la loro completa deformazione elastica. Questa è un’altra supposizione largamente favorevole al proseguimento del crollo.
La deformazione totale sarebbe pari a 15 piani moltiplicati per la curvatura elastica di 7.4mm, e l’energia di deformazione consumata può essere stimata come

15 * 7.4 * 10-3 * 4 * 58 * 106 * g / 2 = - 126 MJ.

Il movimento dei piani nel blocco superiore rilascerà ulteriore energia potenziale dovuta alla loro compressione e al conseguente movimento. E’ verosimile che questa energia si manifesti sotto forma di cedimenti all’interno della sezione superiore, ciononostante è stata aggiunta come energia disponibile per il proseguimento del crollo. Il piano più in alto si muoverà verso il basso di 15 volte la deformazione elastica mentre quello più in basso resterà statico, entrambi rispetto al punto di impatto, fornendo ulteriore energia potenziale

15 * 0.0074 * 58 * 106 * g / 2 = + 32 MJ.

Una considerevole quantità di energia sarebbe necessaria per polverizzare il calcestruzzo nella fine polvere che si può notare nelle fotografie e da altre fonti. Per quantificare questa energia è necessario usare il valore di energia di frattura, ma questo è variabile in funzione, tra gli altri fattori, della dimensione del pezzo di calcestruzzo e della sua composizione, in particolare della granulometria degli inerti. Non c’è un valore tipico. Per stimare l’energia consumata mi riferirò al lavoro del Dr. Frank Greening [2].

Bisogna notare che Greening, come Bazant, non ha al momento sostenuto che il crollo della torre sia stato provocato da altro che dal danno dovuto all’impatto dell’aereo con successivi e conseguenti incendi. La torre, usando i valori di Greening, conteneva approssimativamente 50000 tonnellate di calcestruzzo, e si suppone che solo il 10% di questo sia stato polverizzato ad una dimensione di 60 micrometri. Un kg di calcestruzzo con questa granulometria avrà una superficie di 67 m2. Possiamo ora usare il valore di Greening per l’energia di frattura del calcestruzzo, pari a 100 J/m2 per mostrare che l’energia richiesta per un piano sarebbe

50 * 106kg / 110piani * 67m2 * 100J/m2 * 10% = - 304 MJ.

Potrebbe essere considerato inverosimile che un impatto a bassa velocità possa impiegare grandi quantità di energia nella polverizzazione dei materiali, questo è più verosimile negli stadi successivi del crollo. Tuttavia, le vaste espulsioni di polvere sono state visivamente evidenti fin dall’inizio del crollo.

Riassunto dell’energia:

Il bilancio energetico può essere riassunto come

Energia disponibile;
Energia cinetica 2105 MJ
Energia potenziale Ulteriore movimento verso il basso 95 MJ
Compressione della sezione impattante 32 MJ
Compressione della sezione impattata 24 MJ
Energia disponibile totale 2256 MJ
Energia richiesta;
Perdite di quantità di moto 1389 MJ
Energia di deformazione plastica nel piano inferiore impattato 244 MJ
Energia di deformazione plastica nel piano superiore impattato 215 MJ
Energia di deformazione elastica nei piani inferiori 64 MJ
Energia di deformazione elastica nei piani superiori 126 MJ
Polverizzazione del calcestruzzo sul piano impattante 304 MJ
Polverizzazione del calcestruzzo sul piano impattato 304 MJ
Energia totale richiesta 2646 MJ
Deficit minimo di energia -390 MJ

Conclusioni:

Un meccanismo d’attivazione che coinvolga una perdita totale ed istantanea di tutta la capacità portante su un piano, sufficiente a causare una caduta di 3.7m in piena accelerazione gravitazionale, seguito da un impatto “pulito” non è realistico. Questo lavoro è presentato per mostrare le quantità relative delle energie coinvolte. Questa analisi sottostima le richieste energetiche utilizzando un valore costante di velocità, pari alla velocità all’impatto, di 8.5 m/s.

Questa è un’ipotesi in favore della continuazione del crollo.

La presente analisi presume inoltre che ogni piano avesse la medesima massa. L’effetto di questa ipotesi è quello di sottostimare le perdite energetiche all’impatto. Non si è tenuto conto della massa che cade al di fuori del perimetro della torre, né soprattutto dell’espulsione di grandi quantità di polvere all’inizio del crollo o dell’energia richiesta per provocare lo spostamento di queste masse oltre il perimetro.

Questa analisi non considera l’energia consumata per danneggiare le travi di collegamento o altri elementi strutturali, per sconnettere i pavimenti dai supporti sulle colonne, per distruggere il contenuto dei piani o altro. Non si tiene conto di alcun dispendio di energia di deformazione durante la caduta iniziale per tutta l’altezza di un piano, nonostante questa sarebbe una porzione sostanziale dell’input energetico iniziale.

Il bilancio energetico del crollo diventa deficitario durante la fase di compressione plastica delle prime colonne colpite, mostrando che non ci sarebbe sufficiente energia disponibile, a partire dall’energia potenziale rilasciata dalla sezione superiore, per soddisfare tutte le richieste energetiche dell’impatto.

L’analisi mostra che, nonostante le ipotesi fatte in favore della continuazione del crollo, il movimento verticale della sezione in caduta sarebbe stato arrestato prima del completamento della fase di compressione del 3% delle colonne colpite, ed entro circa 0.02 secondi dall’impatto. Senza le molteplici ipotesi fatte in favore della continuazione del crollo, il deficit energetico sarebbe molto più alto del valore ottenuto di -390 MJ.

Un crollo dovuto alla sola forza di gravità non sarebbe continuato oltre quel punto.

Bisogna comprendere che le perdite di energia alle quali ci si è riferiti come perdite di quantità di moto non possono essere riutilizzate come energia di deformazione o nell’energia richiesta per polverizzare i piani, riducendo pertanto la richiesta totale di energia. Questi trasferimenti di energia esisterebbero indipendentemente dallo stato di integrità dei piani dopo l’impatto e si manifesterebbero come calore nei materiali colpiti.

L’energia cinetica considerata è quella della massa impattante della sezione in caduta. C’è energia cinetica nei piani sottostanti che iniziano a muoversi, ma questa è stata persa dalla massa impattante. L’unica sorgente di energia disponibile per la massa in caduta è l’energia potenziale e, a meno che questa energia sia rilasciata tramite il crollo di ulteriori colonne, la massa in caduta si arresterebbe. Mentre l’onda di propagazione scende lungo la torre caricando altre colonne, l’energia si diffonderà attraverso i piani sottostanti come energia di deformazione elastica, che è riutilizzabile, al contrario di quella di deformazione plastica.

Al decelerare della sezione superiore, la forza che essa è in grado di esercitare si ridurrà, e la curvatura elastica si ridurrà in risposta. Mentre questa si riduce, l’energia di deformazione elastica precedentemente assorbita dai piani inferiori si riconvertirà in energia potenziale. In altri termini si scaricherà, o verrà restituita. Le torri potevano essere ben descritte come una serie di molle e smorzatori, colpita da una grande ma relativamente lenta e meno sostanziale altra serie di molle e smorzatori.

In questa analisi il danno, a parte il piano rimosso per iniziare il crollo, è limitato al danno subìto dai due piani che si sono scontrati, e perfino questa semplificazione non è sufficiente a portare le colonne colpite attraverso la fase di snervamento fino alla fase di deformazione plastica che è caratterizzata ed accompagnata dall’insorgenza di punti di imbozzamento. Bisogna notare che questo concentra l’energia dell’impatto. In realtà molti dei piani più vicini al punto di impatto e specialmente quelli dotati di colonne con sezione minore nel blocco superiore in caduta avrebbero subìto una parte del danno ciascuno. Questo dissiperebbe ulteriormente l’energia in punti lontani dal fronte del crollo.

Scoperta del DNA e sua manipolazione

Come già accennato precedentemente il concetto di selezione genetica ha sempre accompagnato la storia dell’uomo utilizzando, però metodiche empiriche basate sull’accoppiamento dei soggetti morfologicamente più idonei per specifici compiti collegati all’attività dell’uomo stesso. Ma dopo la fine del secondo conflitto mondiale, curiosamente, c’è stato un netto salto in avanti: con il DNA, venne scoperta la struttura fisica più intima che consente la trasmissione dell’ereditarietà, riuscendo anche a decifrare i meccanismi e le leggi che regolano l’affascinante mondo biologico che porta la vita.


Esattamente il sogno degli eugenetisti dei primi del ‘900: già, perché era evidente che tutta la loro visione del futuro dell’uomo aveva come scopo la scoperta ed il controllo stretto della conoscenza biologica per mettere le mani sui meccanismi fisici che regolano, da sempre, la vita sulla terra. In questo senso tutta la politica di selezione razziale del nazismo è stata nei fatti, al di là delle intenzioni di cui non avremo mai conoscenza precisa, un fondamentale laboratorio anche se di orrori sociali! Nulla dei risultati ottenuti nei campi di sterminio è stato lasciato inutilizzato. Nemmeno i ricercatori dei lager, molto probabilmente sono rimasti disoccupati. Già, che fine fecero tutti coloro che, a vario titolo, ebbero ruoli di prima linea nelle mostruose sperimentazioni? Tutti assicurati alla giustizia? Processati a Norimberga? Nulla di tutto questo…e allora? Sospettare che possano essere stati reimpiegati in USA, Inghilterra ed in Unione Sovietica, cioè nei paesi vincitori, come molti altri scienziati nazisti è ipotesi troppo azzardata? O pensiamo che dalla Germania si sia preso solo vonBraun il padre del programma Apollo? E’ ovvio che i vincitori si sono accaparrati i cervelli in settori d’importanza strategica come il campo delle nuove armi aero-navali, chimiche e batteriologiche. Così è facilmente comprensibile come non possa essere stato ignorato il campo della ricerca biologica-ereditaria con dati ottenuti con l’utilizzo di cavie umane dei lager: quale migliore occasione per ottenere dati e conoscenze direttamente con un abominevole sacrificio umano?


Arriviamo, così, al fatidico ’53, anno in cui viene scoperta la struttura del DNA: momento storico davvero! Dopo soli 8 anni dalla fine della 2° Guerra mondiale si è riusciti nel sogno inseguito da decenni: solo una coincidenza? Agli scopritori, anzi agli Scienziati Watson & Crick onore e gloria: è del 2 aprile del ’53 la famosa lettera con cui i nostri eroi annunciavano alla rivista “Nature” il fatidico evento.


Cominciava così: “Desideriamo proporre una struttura per il sale dell’acido desossiribonucleico”, a cui seguiva un comunicato breve e stringato che spiegava la struttura semplice e nello stesso tempo splendida, del DNA, costituito da una molecola di desossiribosio (zucchero) alternata a gruppi fosfati disposti spazialmente in lungo filamento. La struttura a doppia elica si forma perché a questi filamenti, posti uno di fronte all’altro si legano le basi nucleotidiche cioè Adenina, Guanina, Citosina e Timina che si dispongono nello spazio come i pioli di una scala ideale attorcigliata su se stessa. Una fantastica spirale della vita che, guarda caso, è rappresentata da migliaia di anni come simbolo positivo in tutte le culture di ogni epoca a livello planetario. In questa magica scala è fondamentale l’ordine in cui si susseguono le quattro basi citate. Sono loro che danno la chiave o il codice che comanda una certa sintesi proteica. Il gene non è altro che un pezzo di DNA che è in grado di comandare la produzione o sintesi di una proteina. In realtà un gene non è mai da solo quando sintetizza una proteina ma collabora con un dialogo fatto di migliaia e migliaia d’impulsi chimici con altri geni posti in settori anche molto distanti del DNA. Ricordate questo passaggio perché sarà di basilare importanza quando parleremo di transgenesi!



Quindi potremmo definire Watson & Crick un’accoppiata vincente, come si direbbe oggi, immersi come siamo nello spirito competitivo della nostra epoca. In effetti mai termine è più appropriato di questo per sintetizzare la storia della scoperta del DNA.
Watson era statunitense e zoologo mentre Crick era inglese e fisico: davvero una strana coppia.
James Dewey Watson laureato in zoologia era poi passato alla genetica sotto la guida del nobel italiano Salvador Luria. Quest’ultimo gli aveva consigliato un periodo di studio in Europa e così Watson passò per Copenaghen e Napoli, dove, come ricorda egli stesso, passò la maggior parte del tempo “a camminare per le strade e visitare templi e castelli”, ma fece anche una importante conoscenza: Maurice Wilkins, cristallografo del King’s college di Londra che si stava occupando della struttura del DNA.
Che combinazione!

Dopo avere ascoltato una sua conferenza decise che il suo futuro sarebbe stato sulla ricerca genetica e sempre sotto i buoni uffici di Luria si fece trasferire a Cambridge. Qui avvenne il fatidico incontro con l’altro protagonista: Francis Harry Compton Crick, inglese di Northampton. Era un fisico che durante la guerra si era specializzato in uno dei settori top secret della ricerca militare e cioè lo sviluppo delle ricerche sul radar. Particolare interessante, vero? Infatti è piuttosto insolito che un pur meritevole ricercatore di sistemi elettro-magnetici top-secret venga quasi catapultato ad occuparsi di genetica, aspetto curioso che meriterebbe ampi approfondimenti fedeli al motto: “dimmi con chi vai e ti dirò chi sei!”


I due, menti acute, erano complementari e il loro lavoro procedette molto spedito in quegli anni, poi i diversi caratteri li portarono ad una profonda inimicizia e le loro strade si separarono per sempre. L’unione di questi due cervelli eccezionali portò a molti importanti risultati quasi esclusivamente sulla base di un esercizio di pura logica e speculazione mentale, ottenendo velocemente ciò che altri colleghi trovavano dopo duro e noioso lavoro di verifiche sperimentali in laboratorio. Anche questo modo di procedere poco scientifico, francamente poco ortodosso, è singolare e meriterebbe maggiori ricerche e chiarimenti!


In realtà la premessa basilare alla scoperta della molecola fu attuata nel ’44 da un ricercatore americano, un certo Avery, che rivelò al mondo che i geni, ovvero quelle perle componenti i cromosomi erano costituiti da molecole di acido desossiribonucleico (il DNA appunto). Non era stato per niente facile arrivarci ma questa scoperta non portò alcun riconoscimento al suo scopritore: chissà perché? A questo punto mancava ancora la comprensione di come fosse strutturato nello spazio il DNA e chi l’avesse scoperto avrebbe aperto la strada alla sua possibile manipolazione o modificazione: il potere sulla vita, per l’appunto! Almeno questo era quello che si sperava di ottenere in certi ambienti e avrebbe coronato decenni di finanziamenti enormi, profusi con larghezza e generosità a qualsiasi centro di ricerche senza alcuna distinzione di razza o paese o cultura o religione. La posta in gioco era evidentemente troppo importante per rischiare di ritardarne l’acquisizione con sciocche remore etiche: in fondo il fine giustifica il mezzo, non è così?



Ecco allora che la gara era aperta e diversi laboratori nel mondo stavano puntando tutte le energie al medesimo obbiettivo, anche perché tutti erano finanziati generosamente per lo stesso scopo. Ora, senza togliere nulla a Watson & Crick, va detto che non sarebbero arrivati per primi se qualcuno non li avesse passato dati fondamentali provenienti da ricerche fatte da altri! Proprio così, le loro ricerche erano a buon punto ma mancava ancora la spintarella giusta. Essa si concretizzò, quando il Wilkins, sì, quello conosciuto a Napoli da Watson, direttore del King’s College di Londra, passò loro il brillante lavoro di Rosalind Franklin all’insaputa dell’interessata. In realtà esisteva già una collaborazione ufficiale tra la coppia Watson & Crick e l’istituto con a capo il Wilkins, ma tra Rosalind Franklin e il trio non correva buon sangue. Particolarmente duri erano i rapporti tra la ricercatrice ed il suo capo Wilkins che si ostinava a non riconoscerle il valore professionale ed umano di cui era invece abbondantemente dotata. Fu proprio Wilkins a copiare, di nascosto, le immagini del DNA ottenute con la diffrazione a raggi X fatte dalla Franklin e passarle a Watson & Crick. La cosa fu basilare per consentire al duo di bruciare tutti sul filo di lana. Watson, nelle sue memorie ricorda: “Come vidi le fotografie, rimasi a bocca aperta ed il cuore prese a battermi forte”. Fu così che poche settimane dopo elaborarono la famosa e bellissima struttura del DNA a doppia elica che srotolandosi ed aprendosi consentiva il passaggio della informazione genetica: il tutto in 200 milionesimi di millimetro!

Tratto dal libro di Paolo Girotto, "DNA ed Eugenetica: chi vuole il potere sulla vita?"

Italiani:i soliti eroi... per coprire le Caste.



Nella primavera del 1941, l’Italia, in una serie di disfatte, aveva perduto la Cirenaica, e gli inglesi avanzavano verso Tripoli. Hitler, che fino ad allora aveva considerato la guerra d’Africa un settore da lasciare agli italiani, mandò in aiuto degli alleati l’AfrikaKorps, al comando di Rommel: «La decisione», scrisse il generale tedesco Eckart Christian, «non fu basata su un piano strategico, ma sulla necessità di sostenere la posizione italiana nel Mediterraneo». Insomma, lo scopo era di evitare una cocente umiliazione al duce.

Nel novembre del ‘41 il Fuehrer mandò a Roma il feldmaresciallo Albert Kesserling come comandante del settore Sud, ma in realtà perché, come scrisse lo stesso Kesserling, «il sistema di rifornimenti all’Afrika Korps - che spettava agli italiani - era collassato. Il dominio britannico del cielo e del mare sul Mediterraneo era sempre più evidente… La posizione di Rommel era critica… Egli era intralciato nelle operazioni dalla presenza di divisioni di fanteria, e specialmente dalle divisioni italiane di bassissima efficienza combattiva».

In una guerra del deserto, completamente motorizzata e combattuta con i carri armati, noi avevamo fanti appiedati, che non erano altro che una patetica palla al piede. Questo indusse Kesselring a indagare e riflette su questa incapacità militare dell’alleato. Ciò che descrisse nei suoi rapporti, con equanimità e anche generosità, ci restituisce un ritratto veritiero dell’Italia d’oggi, dell’Italia di sempre.

Ecco alcuni passi dei ricordi di Kesselring: «Le forze armate italiane in genere non erano preparate alla guerra. Ma anziché prendere coscienza ella realtà com’era, il Comando Italiano (…) si cullava in vane speranze. L’aiuto tedesco è stato richiesto nella quantità necessaria solo quando era troppo tardi, e quando l’aiuto non era più in proporzione con lo sforzo fatto. Ho l’impressione che questa riluttanza nascesse da vanità e una falsa idea del prestigio delle forze armate italiane. Ma poco prima delle defezione italiana, il generale Ambrosio, ultimo capo dello Stato Maggiore, cambiò tattica, aumentando le richieste di truppe e materiali a così insensati livelli, da far capire le disoneste intenzioni seguenti».

I generali italioti credevano di essere furbi; la classe dirigente si preparava a tradire l’alleato, a rubargli intanto materiali, e credeva che questo non se ne accorgesse.

Ancora: «Il soldato italiano non può essere paragonato al soldato tedesco. L’addestramento, di per sé insufficiente, viene condotto come in tempo di pace, nei cortili delle caserme; l’addestramento sul campo era tralasciato. Manca ogni contatto tra gli ufficiali e gli uomini. (…) Non ci sono abbastanza unità motorizzate. I carri armati non hanno sufficiente protezione anticarro. Il loro armamento è insoddisfacente. Le armi anticarro erano manchevoli in quantità e inefficaci. Le armi della fanteria erano inadeguate. L’artigliera era di qualità, ma non adatta alle azioni contro gli alleati perché di gittata insufficiente. Le comunicazioni radio non erano adeguatamenet sviluppate. Le forniture erano insufficienti, a cominciare delle razioni. (…) I problemi dell’accaparramento, del soccorso e delle razioni alimentari avevano un effetto distruttivo sul morale».

Poiché i gallonati italiani non risucivano a mandare le forniture necessarie nella vicina Libia,
Kesselring prese il comando della logistica. Ma le navi di cui doveva servirsi erano pur sempre italiane. «Flotta da tempo buono», la chiama.

E annota: «C’era una certa riluttanza italiana a rischiare la perdita i navi, forse nella speranza di preservare la flotta (mercantile) per la sospirata pace. Sicchè la flotta mercantile non fu mai attrezzata per lo stato i guerra. Di fatto, la nazione italiana non si è mai sentita obbligata a mobilitarsi totalmente per la guerra, né in forza-lavoro nè nell’industria… Non si può aspettarsi la vittoria quando l’azione è dominata dalla paura di perdite».

Ancora: «Il soldato semplice riceve, anche in battaglia, razioni completamente diverse da quelle che ricevono gli ufficiali intermedi e superiori. La misura delle razioni è moltiplicata secondo il grado, e la copiosità significa anche una scelta migliore di cibo di buona qualità. Secondo il loro grado, gli ufficiali mangiano tanto più abbondantemente e bene. Al soldato semplice va la razione più frugale; se fosse sufficiente, gli ufficiali non avrebbero ovviamente bisogno di una razione doppia o anche tripla di quella. Gli ufficiali mangiano in mense a parte, senza contatto coi loro uomini e spesso senza sapere cosa questi ricevono. Così il cameratismo di guerra, ciò che forma la comunità di vita e di morte così necessaria, era spezzata. Ho visto personalmente che le mense da campo tedesche erano praticamente assediate da soldati italiani, mentre io mangiavo straordinariamente bene con la razione normale dell’ufficiale italiano, alla mensa-ufficiali».

Non è la stessa cosa anche oggi? Non è sempre la stessa casta, vanitosa e incompetente, che si riempie il piattro tre volte mentre il soldato semplice della repubblica fa la fame? Anzi peggio: oggi l’italiano comune si ritiene fortunato se trova un lavoro a 1.100 euro, mentre per la casta politica è normale prenderne 22 mila.

Ma ridiamo la parola a Kesserling: «Non ho mai avuto l’impressione che la popolazione avesse coscienza dall’inizio che stava combattendo per la sua stessa esistenza; ne è diventata cosciente solo nel corso della guerra, quando ha dovuto subire i bombardamenti e ha perso le sue colonie… E tuttavia, non potrò mai dimenticare l’impressione di dolce vita che Roma fece su di me nei giorni delle battaglie per le teste di ponte di Anzio-Nettuno, che infuriavano nelle vicinanze».

Non si creda però che Kesselring abbia pregiudizi contro gli italiani in genere, e disprezzo totale verso i soldati italiani. Anzi scrive: «Ho visto troppi atti eroici compiuti da unità e individui italiani, come la Divisione Folgore a El Alamein, l’artiglieria nelle battaglie tunisine, le piccole armi della Marina (e cita la Decima Mas e i suoi sommozzatori a cavallo dei maiali, che distrussero da soli un quarto del naviglio britannico perso nel Medirettaneo), gli equipaggi dei barchini esplosivi, eccetera, per non esprimere la mia stima con convinzione. Ma in guerra, il risultato non è dato dagli atti eroici di pochi individui, ma dal grado di addestramento e di morale delle intere forze armate».

E’ così anche oggi. Una massa passiva e tendente all’imboscamento, una casta vanitosa incapace e insensibile al destino nazionale, e qualche eroe che fa più del proprio dovere: senza riuscire, naturalmente, a cambiare il destino generale del Paese.

di M. Blondet

Presto il crollo di una grande banca USA



L’ex economista capo del Fondo Monetario Internazionale Kenneth Rogoff ha detto martedì che la peggiore delle crisi finanziarie globali deve ancora arrivare e che una grande banca Usa fallirà nei prossimi mesi, mentre la maggiore economia mondiale incontrerà nuovi guai.

“Gli Usa non sono fuori dai guai. Penso che la crisi finanziaria sia a metà, forse. Mi spingerei persino a dire che ‘il peggio deve ancora arrivare’”, ha detto ad una conferenza finanziaria.

“Non vedremo solamente banche di medie dimensioni finire in rosso nei prossimi mesi, vedremo un gigante, una grande, una delle grandi banche o delle banche di investimento” ha detto Rogoff, che è professore di economia presso la Harvard University ed è stato capo economista del Fondo Monetario Internazionale dal 2001 al 2004.

“Dobbiamo assistere ad un maggiore consolidamento nel settore finanziario prima che sia finito tutto ciò” ha affermato quando gli è stata posta una domanda sui segni anticipatori di una fine della crisi.

“Probabilmente Fannie Mae e Freddie Mac –nonostante quanto ha affermato il segretario al Tesoro Usa Hank Paulson – queste giganti agenzie di assicurazione sui mutui, entro pochi anni non esisteranno nella loro attuale forma”.

I commenti di Rogoff sono arrivati mentre lunedì gli investitori stavano abbandonando le azioni delle più grandi agenzie di prestito immobiliare Usa Fannie Mae e Freddie Mac, dopo un articolo giornalistico che affermava che i funzionari del governo potrebbero non avere altra scelta che realmente nazionalizzare i titani del finanziamento immobiliare Usa.

Una mossa del governo per ricapitalizzare le due aziende iniettando fondi potrebbe cancellare gli attuali azionisti, aveva affermato l’articolo di questo weekend di Barron. Soffriranno perdite anche gli azionisti e i proprietari dei $ 19 miliardi di debito subordinato delle due aziende appoggiate dal governo.

Rogoff ha affermato che investimenti multimiliardari da parte di fondi sovrani dell’Asia e del Medioriente in finanziarie occidentali potrebbero non necessariamente risultare in grandi profitti perché non sono state prese in considerazione le condizioni di mercato fronteggiate da tale industria.

“All’inizio della crisi vi era questa idea che i fondi sovrani potessero salvare qualunque banca di investimenti che avesse fatto qualcosa di stupido: hanno perso denaro nei mutui subprime, sono delle grandi occasioni, quindi i fondi sovrani arriveranno e faranno un sacco di soldi comprandole.”


“Questo modo di vedere non tiene in considerazione il fatto che il sistema finanziario si è gonfiato enormemente e deve restringersi”, ha affermato Rogoff alla conferenza di Singapore, i cui fondi sovrani GIC e Temasek hanno investito miliardi nella Merrill Lynch e nella Citigroup.

Come risposta al forte trinceramento nel mercato immobiliare e al subbuglio nel mercato dei crediti, la Federal Reserve Usa aveva ridotto i tassi di interesse per un totale di 3,25 punti percentuali, sino al valore del 2%, a metà settembre.

Rogoff ha affermato che la Federal Reserve Usa ha fatto male a tagliare così “drammaticamente” i tassi di interesse.

“Il taglio dei tassi d’interesse porterà una forte inflazione negli Stati Uniti nei prossimi anni.”

di Jan Dahinten

Le colpe di Washington nella questione georgiana



La vicenda Georgia - Ossezia del Sud - Russia porta al pettine se non tutti una buona parte dei nodi; delle contraddizioni, degli errori della politica estera americana di questi ultimi vent'anni seguita finora, o subita, quasi supinamente dall'Europa.

Bush ha minacciato la Russia di espulsione dal G8 e dal Wto (grottesco diktat poi sfumato in un più diplomatico rischio di compromettere "l'aspirazione di essere integrata nelle strutture diplomatiche, politiche ed economiche del Ventunesimo secolo") per essere intervenuta nell'Ossezia del Sud a sua volta aggredita dalla Georgia da cui formalmente dipende e dalla quale reclama, da vent'anni, l'indipendenza? Ma quale autorità ha Bush in materia dopo che gli Stati Uniti hanno voluto, e ottenuto con la violenza delle armi, l'indipendenza del Kosovo dalla Serbia? Con differenze che rendono molto più giustificabile l'intervento russo in Ossezia di quanto non lo fosse l'aggressione americana alla Serbia. Il Kosovo infatti era da sempre territorio serbo (era anzi considerato "la culla della Nazione serba") e vi vivevano 380mila serbi (ora ridotti a 60mila nella più grande, e vera, pulizia etnica nei Balcani), l'Ossezia del Sud non è mai stata territorio georgiano e vi vivono solo osseti. Gli indipendentisti albanesi dell'Uck, foraggiati e armati dagli americani, facevano ampio uso del terrorismo, gli osseti no. Le truppe russe sono intervenute in Ossezia e hanno anche sconfinato in Georgia ma non ne hanno toccato la capitale, Tbilisi, gli americani bombardarono invece a tappeto, per 72 giorni, Belgrado. La Serbia di Milosevic non costituiva una minaccia per alcun Paese Nato (anzi non costituiva, ridotta ai minimi termini com'era dopo la guerra di Bosnia, una minaccia per nessun Paese). La Georgia in predicato per entrare nella Nato, e con una serie di "istruttori" americani sul suo territorio, sta ai confini della Russia. Ciò che ha fatto la Russia in Georgia e in Ossezia del Sud è quindi molto meno grave, e più giustificabile, di quanto hanno fatto gli Stati Uniti in Serbia e in Kossovo.

Nella vicenda kosovara l'Europa, compresa l'Italia di D'Alema, seguì supinamente e stupidamente gli Stati Uniti. Mentre infatti gli americani avevano almeno un loro piano, costituire un corridoio - Albania più Bosnia più Kosovo - di islamismo "moderato" nei Balcani a favore della Turchia, il loro grande alleato nella regione (calcolo poi rivelatosi sbagliato perché in quel corridoio si sono installate cellule di Al Quaeda che stanno contaminando proprio la Turchia), l'Europa non aveva alcun interesse a favorire la componente islamica dei Balcani a danno della Serbia ortodossa e da sempre parte integrante del Vecchio Continente (e infatti quando a Ballarò dissi a D'Alema che quella per il Kosovo era stata una guerra "cogliona", l'ex presidente del Consiglio non replicò).

Ma ora l'Europa sembra rialzare la testa. Sembra aver capito che non è suo interesse appiattirsi come una sogliola davanti all'aggressiva politica americana. La mediazione di Sarkozy va tutta in questo senso (e infatti un documento di Washington di condanna esplicita della Russia inviato ai membri del G7 non è passato). Sarkozy non ha ottenuto solo l'immediato "cessate il fuoco" ma anche la posizione giuridica dell'Ossezia del Sud e dell'Akbazia) sia discussa in una Conferenza internazionale da cui uscirà, con tutta probabilità, l'indipendenza dei due Paesi. Senza spargimenti di sangue. Che è la soluzione ottimale per i russi, ma anche per noi. L'Europa ha infatti molti motivi, di vicinanza ed economici, per tenersi buona la pur ambigua Russia di Putin. Così come ha molto motivi per avere buoni rapporti con i Paesi musulmani che circondano le sue coste (mentre l'America li ha a 10mila chilometri di distanza). Per questo sempre Sarkozy sta favorendo l'"Unione mediterranea", cioè di tutti i popoli del Mediterraneo.

E l'Italia in tutto questo cosa fa? Il nostro ministro degli Esteri, Franco Frattini, non ha nemmeno partecipato alla riunione che i suoi colleghi della Ue hanno tenuto a Bruxelles per discutere della crisi georgiana. Sta alle Maldive. Forse ci è restato apposta, per non compromettersi. Una dimostrazione ulteriore, se ce ne fosse stato bisogno, che con la politica delle pacche sulle spalle "all'amico Bush" e all'"amico Putin" non si combina nulla e si finisce per non contar nulla.


Massimo Fini

A che serve la Borsa?



La domanda non è banale. Ognuno con un eccesso di ego cerca di sfruttare le situazione che la borsa ciclicamente prospetta. Ma siamo sicuri che quella è la scelta giusta? In questa lucida opinione di M. Blondet le politiche globali e il globalismo escono fortemente indebolite. Era ora!

La Borsa risale, e tutti i media contenti: forse siamo fuori dalla crisi.

Citazione: «Al 12 ottobre, il Dow Jones Industrial Index, su cui si misurano i ritorni di molti investimenti, chiuse al livello nominale di 14.693. I media, ovviamente, lo salutarono come un buon auspicio. Il 23 maggio 2008, il Dow ha chiuso a 12.480, solo il 15% di ribasso sul suo record. Non tanto male dopo la crisi dei supbrime e lo scoppio della bolla, almeno a prima vista. Tuttavia, se messo in relazione all’indice ufficiale dei prezzi che dal gennaio 2000 dà un’inflazione del 4% (che è molto sotto la vera inflazione provata dai veri esseri umani), il Dow valeva, al maggio 2008, solo 9.856. E ciò prendendo per buone le cifre d’inflazione ufficiali, che sono ridicolmente ottimistiche».

Cosa significa nel mondo reale?

«Immaginate di aver investito 11.723 dollari il 14 gennaio 2000, quando il Dow era a 11.723. Lo stesso denaro, allora, poteva comprare circa 460 barili di greggio, 40 once d’oro, il 9% di una media casa familiare. Otto anni più tardi, i soldi che avreste messo nel Dow sarebbero cresciuti a 12.480 dollari, con un guadagno nominale di 757 dollari, il 6,4%. Ma con quel denaro accresciuto oggi comprate solo 105 barili di greggio, ossia 355 in meno (-77 %), 27 once d’oro in meno (-66%) e, nonostante in grande calo dei prezzi immobiliari del 15,8%, soltanto il 6% di una casa media familiare (-33 %). Insomma, l’investitore del 2000 ha diritto a dirsi derubato in termini reali, nonostante l’aumento nominale del Dow del 6,4%» (1).

Ma la Borsa serve a finanziare l’economia, dicono i media.

Altra citazione: «Nell’insieme dei mercati finanziari europei l’emissione netta di azioni, ossia il valore lordo di tutte le azioni emesse, al netto dei riscatti (riacquisti di azioni proprie da parte delle imprese) e dei dividendi versati agli azionisti, è negativa da parecchi anni. I dividendi raggiungono un valore vicino a quello delle emissioni di azioni, vale a dire che le società emettono azioni per renumerare i propri azionisti» (Dominque Plion su Le Monde Diplomatique, 9 febbraio 1999).

Ma ciò perché in Europa i «mercati» sono arretrati ed asfittici, dice 24 Ore: guardate invece in America, dove la Borsa è la più grande e libera del mondo.

Guardiamo: «A parte il breve periodo 1991-94, durante il quale l’emissione di azioni netta è stata di 50 miliardi di dollari l’anno, ossia poco o nulla, la Borsa ha distrutto capitale. Ne ritira più di quanto ne ha emesso. Nel 2001, ad esempio, il volume delle azioni emesse è stato più che compensato da quello delle azioni distrutte (con l’acquisto di azioni proprie), cosicchè il totale delle emissioni nette di capitale è risultato negativo per circa 330 miliardi di dollari» (2).

In Italia la schiacciante maggioranza delle imprese private, quelle che forniscono il 90% dei posti di lavoro, hanno meno di 100 dipendenti e non sono certo quotate in Borsa. Il capitale, lo raccolgono dall’indebitamento o dall’auto-finanziamento. Dovunque nel mondo, i «mercati» borsistici «pesano» per meno del 10% cento del capitale delle rispettive nazioni.

Conclusione provvisoria: smettiamo di preoccuparci della Borsa. Negli anni del boom italiano, la Borsa vivacchiava, e l’Italia reale cresceva.

Ma in Borsa c’è chi ha fatto guadagni favolosi, dicono i media. Questo è vero. Pochi hanno fatto soldi, essenzialmente, a spese dei milioni che nel 2000 hanno investito in Borsa 11.723 dei loro sudati dollari, anzichè comprarci 460 barili di greggio o 40 once d’oro.

Quelli cioè che hanno creduto che «i mercati» siano ciò che predicano Giavazzi e 24 Ore: che là vi sia «la concorrenza» perfetta, la «trasparenza» assoluta, e tutti gli altri miti del liberismo. Insomma, quelli che credono che il gioco sia leale. Quei pochi, in realtà, hanno guadagnato perchè avevano informazioni che a quei milioni (detti «parco buoi») sono state taciute: tanti saluti alla «trasparenza».

Quanto alla «concorrenza» e al gioco «leale», per confronto, andate nel vero mercato, quello della frutta e verdura che nelle grandi città si tiene un giorno alla settimana in ogni quartiere. Lì dove dozzine di bancarelle vendono «valori» fisici, di cui avete bisogno e di cui sapete valutare la bontà: pomodori e lattughe, mica derivati e obbligazioni thailandesi o argentine. Dove non avete bisogno che Standard & Poors vi dica quanto valgono le albicocche come vi dice quanto valgono le obbligazioni sub-prime, perchè il fruttivendolo è disposto a farvene assaggiare una e potete giudicare da soli.

Domandatevi: come mai tutte queste bancarelle si mettono lì l’una a fianco all’altra, ad offrirvi gli stessi pomodori, lattughe e albicocche, con variazioni di prezzo minime? Non hanno paura della «concorrenza»? Non temono che qualcuno di loro fallisca, incapace di reggere «la competizione»? Non sarebbe meglio, per i profitti, che ciascuno piazzasse la sua bancarella da sola, in quartieri diversi?

No. I bancarellari si ammassano tutti insieme perchè è la loro concentrazione ad attirare in folla le casalinghe clienti. Le bancarelle solitarie - a volte se ne vede qualcuna - sono malinconicamente disertate. Dunque, ad aumentare i fatturati delle bancarelle è il loro accordo più che la «competizione» intesa come lotta di tutti contro tutti, più l’armonia che la «concorrenza».

Ciò si chiama «capitale sociale», ed è qualcosa di impalpabile - di culturale - che il liberismo economico disprezza totalmente, perchè non è vendibile. O prova ad appropriarsene per renderlo vendibile, come la Monsanto quando brevetta una qualità di riso che gli indiani coltivano da secoli, e i colossi degli OGM brevettano pezzi di DNA di qualche essere umano.

Molto significativamente, appena gli economisti di Chicago hanno potuto far passare la Russia dal socialismo al «mercato», hanno cominciato col lasciar andare in rovina il grande capitale sociale ereditato dal collettivismo: dall’altissimo livello di istruzione, alla scienza, alla sanità pubblica.

Ho conosciuto personalmente una primaria di oncologia pediatrica (ero a Chernobyl) che guadagnava 300 euro al mese; molti suoi colleghi medici specialisti erano andati a fare i taxisti, prendevano sette volte di più.

Dissipazione di qualità umane e di relazioni sociali essenziali, ecco a cosa s’è ridotto il capitalismo di «Borsa».

Io stesso fui tentato di assumerla come badante per la vecchia mamma: 900 euro mensili, che ne dice? Ma l’avrei sottratta a quei bambini con la testa pelata e le occhiaie, le ossa piene di Stronzio 90. Che lei curava praticamente gratis, al massimo delle sue capacità scientifiche.

Ecco perchè in Borsa alcuni guadagnano: sono quelli che giocano per se stessi, nella sicurezza che gli altri, i più, giochino per la collettività: facciano degnamente il loro mestiere mentre vengono derubati di salario e risparmi, mantengano le relazioni sociali e i patrimoni comuni gratuiti, che fanno crescere la società intera. E’ lo stesso che gettare i rifiuti nei fiumi, perchè i fiumi sono collettivi, ossia di nessuno.

Il fatto è che ogggi siamo tutti «capitalisti», tutti abbiamo imparato la lezione del «mercato» terminale: tutti tendiamo a giocare per noi stessi, contro la società e il suo bene. Forse per questo i guadagni di Borsa non sono più quelli di un tempo. Ormai non ci sono più patrimoni sociali, cultura alta, onestà, civismo, orgoglio del lavoro ben fatto, patriottismo da consumare.

Ognuno da parte, con la sua bancarella, lontano dagli altri, sperando di vendere i pomodori un po’ marci. Il risultato è l’impoverimento generale. Meritatissimo.



1) John Browne, «Set to soar - or swoon», Asia Times, 15 agosto 2008.
2) Bernard Maris, «Antimanuale di economia», Tropea Edizioni, 2005.

Moneta comunale come denaro


Nel processo di avanzamento verso il socialismo, oltre agli
emendamenti richiesti sotto l'aspetto giuridico propriamente detto,
risalta la riforma che regola le attività economiche con la finalità
di creare e sostenere nuove forme di organizzazioni socio produttive
che sorgono nel seno delle comunità.

Nel segno della la Ley Habilitante, la Ley para el Fomento y
Desarrollo de la Economía Popular (LFDEP) pubblicata nella Gaceta
Oficial de la República Bolivariana de Venezuela 5.890 il 31 luglio
2008, ha per oggetto la instaurazione delle modalità e delle forme
associative che potenzieranno il controllo e lo svolgimento delle
attività della economia popolare e la instaurazione di un nuovo
sistema di produzione, trasformazione e distribuzione di saperi, beni
e servizi fra le comunità organizzate nella ricerca dello sviluppo
umano integrale e sostenibile. Tale modello socioproduttivo e le sue
forme di organizzazione popolare sono sostenute dalle relazioni di
produzione solidali della comunità come strumenti per dare impulso
allo sviluppo integrale del paese. Di conseguenza si stimolerà
l'economia popolare sulle basi di progetti sorti dalle comunità
organizzate e dell'interscambio dei saperi, beni e servizi per
l'investimento delle eccedenze nella soddisfazione delle necessità
sociali.

Uno degli strumenti basilari di questo modello socio produttivo è
costituito dalla Moneta Comunale (MC) la quale permetterà e faciliterà
l'interscambio di saperi, beni e servizi nello spazio del Sistema di
Interscambio Solidale (SIS).
Tale monetà sarà regolata dalle norme impartite dalla Banca Centrale
del Venezuela (BCV) ed il suo valore si determinerà dalla equivalenza
con la moneta di corso legale nel territorio nazionale. Questo
significa che in ogni ambito territoriale dove funziona un Gruppo di
Interscambio Solidale (GIS) girerà una moneta particolare, accettata
dai suoi membri come mezzo di interscambio tra loro.

La MC adempirà con le funzioni del denaro come strumento generale di
scambio per il quale si richiede solo l'accettazione dei partecipanti
nel GIS. I membri del GIS potranno interscambiare i propri prodotti
con la MC ed utilizzarli per gli interscambi futuri. La MC permette la
specializzazione di ogni produttore consumatore ed elimina l'uso della
moneta di circolazione legale; riducendo i costi associati ad ogni
transazione. Per tanto, la MC servirà come portatore di valore o
proprietà di denaro conservando il valore nel tempo e nello spazio,
basato sulla fiducia che manterrà lo stesso valore o potere d'acquisto
nel futuro. In questo modo la MC funzionerà come strumento di
pagamento differito, perché permetterà di posporre il pagamento di
debiti ed obbligazioni acquisite nel presente. Come unità di conto la
MC funzionerà come un comune denominatore che esprime il valore di
ogni sapere, bene o servizio, permettendo che questi si equiparino tra
loro, attraverso equivalenza dei prezzi in moneta di corso legale.

Ci si augura che con la incorporazione della comunità organizzata al
SIS l'economia popolare e nazionale si sviluppi in maniera integrale e
solidale. Fino ad una diverso approccio.


di Miguel Cortez

Un paese senza gioia di vivere

Il ginepraio di divieti, obblighi, regole e relative sanzioni ingenerato dalle ordinanze spesso singolari e ridicole di molti sindaci del nostro Paese che aspirano a ritagliarsi un posto al sole, sta iniziando ad incuriosire anche la stampa estera al punto che perfino l’autorevole giornale britannico Indipendent ha dedicato alla questione un lungo articolo dal titolo “Turisti attenti: se una cosa è divertente, l'Italia ha una legge che la vieta”.

Nell’articolo in questione si ironizza velatamente sul fatto che a Genova, per esempio, sia ora illegale camminare per strada con una bottiglia di vino o una lattina di birra, mentre a Roma non si possa bere o mangiare un sandwich sui gradini di Piazza di Spagna, né tanto meno schiacciare un sonnellino, ed a Lucca si corra il rischio di essere multati fino a 500 euro per avere dato da mangiare ai piccioni. Sottolineando il fatto che i turisti sono sottoposti al rischio di pesanti sanzioni per atteggiamenti che risultano essere normalissimi in tutto il resto del mondo.


L’ironia diventa molto meno velata nel constatare che mentre il governo Berlusconi si fa vanto di essere stato il primo al mondo ad introdurre un ministero della semplificazione finalizzato ad identificare ed eliminare le leggi inutili, il suo ministro dell'Interno Roberto Maroni ha consentito la nascita di migliaia di ordinanze che brillano proprio per la loro inutilità.


Non manca neppure una riflessione di maggiore spessore sul fatto che l’Italia si starebbe trasformando nel più grande stato-babysitter, con i cittadini visti come bambini da controllare accudire e limitare, quasi in ogni ambito del vivere pubblico.


Non occorreva sicuramente il giudizio dell’Indipendent per comprendere che esiste qualcosa di profondamente stonato nel fatto che a Forte dei Marmi non si possa tagliare l’erba del giardino durante il weekend, che a Novara dopo le 11 di sera sia vietato stazionare nei parchi se si è più di 2 persone, che a Capri e Positano sia proibito portare gli zoccoli ai piedi, che a Viareggio un uomo non possa passeggiare a torso nudo ed una donna in bikini, che ad Eboli non si possa baciare la fidanzata all’interno della propria auto, che a Voghera non ci si possa sedere sulle panchine dopo le 23 se si è un gruppo composto da più di 3 persone, che ad Eraclea non si possano costruire castelli di sabbia sulla spiaggia, che ad Olbia sulla spiaggia non si possa fumare, che a Lucca si venga trattati come criminali per avere dato da mangiare ai piccioni.


La sensazione, al di là della metafora dello Stato babysitter citata dal giornale britannico, e dei giudizi sul governo Berlusconi che non può essere ritenuto l’unico responsabile dal momento che i sindaci artefici delle ordinanze appartengono a partiti di ogni colore, è quella di uno Stato che persegue sempre più la limitazione delle libertà individuali in maniera spesso schizofrenica e dispotica, trattando i cittadini alla stregua di decerebrati che presto finiranno per ritrovarsi in una selva dove tutto ciò che non è vietato risulta essere obbligatorio. Oltretutto con l’aggravante di avere creato centinaia di “città stato” in ognuna delle quali i divieti e gli obblighi risulteranno differenti per uno stuolo di “cittadini sudditi” sempre più confusi e disorientati dal senso di colpa che anche quando passeggeranno in un parco o siederanno su una panchina saranno costretti a domandarsi se stanno facendo qualcosa di male. Città stato nelle quali oltre all’aria verrà drammaticamente a mancare anche la gioia di vivere, sempre che un’ordinanza non abbia già provveduto preventivamente a vietare anche il sorriso.



M. Cedolin

18 agosto 2008

La BCE sostiene il dollaro a nostre spese



Queste argomentazioni provano che Dollaro e Euro sono due facce della stessa medaglia.
Entrambi sono strumenti manovrati dalla finanza internazionale.


Cosa possiamo fare noi? E' una domanda che mi pongo spesso ...

Mentre Bush persegue la sua mega-politica imperiale, l’economia USA, letteralmente, fonde come un gelato a ferragosto. I pignoramenti di case sono saliti del 55% a luglio rispetto a un anno fa; ciò significa che una famiglia su 464 ha ricevuto notizia di insolvenza, o ha visto mettere all’asta la sua casa, o se l’è vista prendere dalla banca creditrice (1).

Con punte tragiche in certe zone: in un’area metropolitana della Florida, Cape Coral-Fort Myers, una famiglia su 64 ha perso o sta perdendo la casa; in California, una famiglia ogni 186; in Nevada, una ogni 106. Le banche si trovano con almeno 750 mila unità immobiliari sequestrate, che non riescono a vendere nemmeno a prezzi drasticamente calanti. Eppure, il peggio deve ancora avvenire.

Circa un milione e mezzo di famiglie (per lo più in California) sono incatenate ad un tipo di mutuo variabile più velenoso dei sub-prime. Si chiama «Option ARM» (Adjustable Rate Mortgage), perchè i debitori hanno scelto di pagare le prime rate ad un tasso addirittura inferiore al mero interesse (cioè senza la quota di restituzione del capitale), mentre la quota non pagata si aggiunge al prestito originale, fino a quando raggiunge un certo ammontare (tra il 110 e il 125% del prestito d’origine); a quel punto il mutuo viene «riformulato» (recast) e il debitore deve pagare un rateo aumentato, di colpo, del 60-80%.

Ciò poteva ancora andare quando i prezzi immobiliari salivano; oggi, coi prezzi calanti, è un nodo scorsoio strangolatore (2). I proprietari si trovano a pagare enormemente di più del valore attuale della casa. E ovviamente non pagheranno, preferendo abbandonare l’immobile e rendersi introvabili. Ciò sta anzi già avvenendo; ma il grosso delle «riformulazioni» avverrà fra ottobre e marzo 2009. Con relative insolvenze a catena, e conseguenze esplosive per le banche creditrici.

Perchè il mercato delle opzioni ARM vale 400 miliardi di dollari, la metà della bolla dei subprime (1 trilione), ma colpirà un sistema bancario già alle corde. La linea di credito di emergenza aperta per Fannie Mae e Freddie Mac, le «assicuratrici» semi-statali dei mutui, è di 800 miliardi, e verrà dunque rapidamente risucchiata dagli ARM; peggio ancora, le opzioni ARM, coriandolizzate e confezionate, sono sparse in fondi di ogni genere, e su di esse è stato creato un business di derivati da trilioni di dollari, che dunque è minacciato di implosione, tale da gettare le banche nell’abisso.

Ciò pone la domanda: come mai, in quessta situazione fallimentare, il dollaro si è apprezzato sull’euro? Banche e imprese denunciano perdite colossali, i bilanci degli Stati sono in rosso profondo, la disoccupazione aumenta, e in questa rovina il dollaro risale.

La risposta viene da James Turk, analista e fondatore di Gold Money: «Le Banche Centrali sono intervenute a sostenere il dollaro, e ne posso dare la prova. Quando le Banche Centrali intervengono sui mercati valutari, comprano dollari con le loro valute; poi usano i dollari per comprare titoli di debito di Stato USA, per lucrare un interesse. Questi titoli di debito acquisiti dalle Banche Centrali sono conservati in custodia presso la Federal Reserve, e questa ne riporta l’ammontare ogni settimana. Ebbene: al 16 luglio 2008, la Federal Reserve riportava di detenere 2.349 miliardi di dollari (2,35 trilioni) in Buoni del Tesoro custoditi per conto di stranieri. Tre settimane dopo, i titoli in custodia erano più di 2,4 trilioni. Il che, in un anno, fa una crescita del 38,4%. Dunque le Banche Centrali accumulano dollari ad un ritmo mai visto, ingiustificato rispetto al deficit commerciale americano. La conclusione logica è che stanno sostenendo il dollaro, per impedirgli di precipitare. Provocando un rialzo, non troppo difficile da ottenere visto l’effetto-leva usato dei fondi hedge».

Il calo del barile e dell’oro è stato, con ogni probabilità, manipolato al ribasso allo stesso modo. E’ chiaramente all’opera il cosiddetto «Plunge Protection Team», il semisegreto gruppo di finanzieri (ufficialmente si chiama President’s Working Group on Financial Markets) allestito appunto per manipolare i cambi e i corsi onde contenere, o almeno ritardare, una catastrofe, a forza di effetti-leva (3).

Ellen Brown, un’avvocatessa civilista che studia i trucchi finanziari (il suo ultimo saggio ha per titolo «The Web of Debt», la rete del debito) sospetta addirittura che il conflitto in Georgia possa essere stato scatenato per distrarre dalla enorme crisi che incombe. E ricorda il film «Wag the dog» (in italiano «Sesso e potere»), il film del ‘97 in cui un consigliere della Casa Bianca (Robert De Niro) contatta un produttore di fiction tv (Dustin Hoffman) e gli dice: «C’è una crisi alla Casa Bianca, e per salvare le elezioni bisogna fingere una guerra» (4). Il presidente USA nel film è travolto da uno scandalo sessuale, e per salvarlo si finge una guerra contro... l’Albania, naturalmente tutta inventata, e resa nei TG a forza di effetti speciali elettronici.

Ohimè, il conflitto georgiano è una realtà. Anche se forse non a caso Saakashvili ha attaccato l’Ossezia il 7 agosto, il giorno in cui la FED ha pubblicato i dati sugli inauditi volumi di acquisti di BOT americani da parte delle Banche Centrali. Ma su questo ultimo punto bisogna concentrarsi.

«Quali» Banche Centrali stanno dilapidando miliardi per sostenere il dollaro? Se tra queste c’è la Banca Centrale Europea, com’è probabile, bisogna concludere quanto segue: la BCE, con il suo tasso primario rialzato fino al 4,25%, ha mandato l’economia europea in recessione - e però aiuta gli americani, non gli europei. La scelta di mantenere l’euro fortissimo, di restrizione del credito (denaro caro), e per conseguenza di minori esportazioni, sta provocando la contrazione dell’area europea, dello 0,2% in complesso, ma con drammatiche situazioni secondo i paesi (5).

La Spagna è in situazione di emergenza, tanto da costringere Zapatero a stanziare d’urgenza 20 miliardi di euro per lavori pubblici, tagli fiscali e sostegno ai mutui - tipici rimedi anti-ciclici. L’Italia e la Francia hanno visto contrarre le loro economie dell’ 0,3% nel trimestre; la Germania si è contratta ancora di più (0,5%), perchè più industrializzata e più esportatrice. L’Islanda è ormai in recessione, ossia crescita negativa, di un inquietante 3,7%. In crescita negativa sono anche Irlanda, Danimarca, Lituania ed Estonia, mentre rallentano drammaticamente l’Olanda e la Svezia.

Insomma tutta la zona euro è in recessione per la politica di «denaro scarso e caro» instaurata dalla BCE; sarebbe irritante apprendere che il denaro, reso così scarso in Europa, la BCE l’ha trovato (o stampato) in abbondanza per comprare BOT americani, ossia del Paese più indebitato del mondo.

La caduta della Germania, comparativamente più rapida, ha allarmato la Confindustria tedesca (BDI), che ora sarebbe favorevole ad un abbassamento dei tassi. Ma il delegato tedesco alla BCE, Axel Weber, fa il sordo e resiste: «La fiducia espressa da alcuni osservatori, che la crescita economica indebolita stia raffreddando l’inflazione, è secondo me prematura», ha detto. Traduzione: la BCE ci sta portando deliberatamente in una recessione per scongiurare la spirale inflazionistica prezzi-salari. La BCE è convinta che ci sia un’inflazione da eccesso di moneta. Quella moneta che ci fa mancare.

Invece sì, l’inflazione c’è (ufficialmente del 4,1%), ma essa dipende dai rincari mondiali del petrolio e degli alimentari, su cui le manovre della BCE non hanno alcun potere. Ma se si tolgono dal calcolo greggio e alimentari (la misura si chiama «core inflation») si vede che la pretesa inflazione è già divenuta deflazione: i prezzi d’altro genere sono infatti diminuiti dell’1,8% rispetto all’anno scorso. A soffrire di più sono ovviamente i salari, il cui potere d’acquisto è stato brutalmente accorciato. D’altra parte, l’obbligo europeo di limitare il deficit al 3% del PIL impedisce ai governi di attutire la recessione con un aumento della spesa pubblica; anzi, l’Italia deve stringere i cordoni in piena recessione (infatti le tasse non vengono tagliate, nonostante le promesse, e i consumi non vengono stimolati da iniezioni di potere d’acquisto ai salariati e pensionati). Il nodo scorsoio si stringe.

La Spagna, come abbiamo visto, s’è infischiata dell’imperativo di limitare il deficit a 3%, ed ha varato il pacchetto d’emergenza con 20 miliardi di spesa pubblica aggiuntiva: ma non solo ha un debito pubblico inferiore a quello italiano, la sua crisi - essenzialmente lo scoppio della bolla immobiliare - è più grave. Se avesse ancora la propria moneta, dovrebbe svalutarla del 30% per riportare a galla la sua economia. Avendo l’euro, non può farlo perchè la Germania e la BCE non voglione deprezzare l’euro. Le banche spagnole più esposte al crollo immobiliare (la Spagna ha oggi 800 mila appartamenti di troppo) si fanno prestare i soldi dalla BCE, almeno 49,4 miliardi di euro.

Lo fanno con un trucco: emettono obbligazioni - che il pubblico non comprerebbe - al solo scopo di consegnarle alla BCE per ottenerne liquidità. In questo modo, di fatto, le banche ispaniche si fanno sostenere dai contribuenti di tutta Europa, specialmente tedeschi, per restare a galla - con un metodo surrettizio e forse illegale. E allora perchè non può fare altrettanto la Grecia, che dovrebbe svalutare del 40%? Magari lo farà, visto il precedente spagnolo: e lo faranno l’Italia e l’Irlanda e l’Islanda. Ma la Germania in piena contrazione, avrà voglia di pagare surrettiziamente col denaro dei suoi contribuenti, il salvataggio di metà dei Paesi europei?

Sarebbe increscioso scoprire che, con questi guai in vista - nè più nè meno che il pericolo di spaccatura della moneta unica europea - la BCE trova il modo di spendere altri miliardi di tutti noi per comprare i BOT di un’America in rovina, che per di più ci vuole rifilare nella NATO anche la Georgia, e con ciò spingerci in rotta di collisione con la Russia.

M. Blondet

La sai l'ultima? L'Iran minaccia il mondo



Qualche volta cerco di entrare nella testa di un ragazzo di 14 o 15 anni, che
trova un giornale aperto sul tavolo e vede a tutta pagina un titolo come quello
di oggi 7 agosto sul Corriere della Sera che recita: “L’IRAN minaccia Israele e
il mondo –Nessuna opzione esclusa per fermarlo” .
E’ facile che questo ragazzo si fermi solo al titolo e il martello
compressore della disinformazione dell’editoria privata, cioè “libera” gli darà
altre occasione di vedere titoli simili e le sue convinzioni si faranno sempre
più forti. La immensa forza della stampa privata, cioè del 90% di quella
circolante, sta nel ripetere bugie fino a farle diventare verità, e nel
praticare l’omissione scientifica di notizie imbarazzanti o sgradite ai suoi
padroni.
Se il nostro ipotetico ragazzo leggesse l’articolo, scoprirebbe che le parole
del titolo sono del ministro della difesa israeliano Barak in una intervista
del “giornalista” Davide Frattini che gli fa domande di comodo, e la cosa
sembra ambientata a Fontana di Trevi, dove Totò e Nino Taranto sono i compari
che devono confezionare il “pacco” per vendere la Fontana al credulone di
passaggio.
Nessuna domandina semplice semplice sul perché l’Iran non dovrebbe
considerare una minaccia l’arsenale nucleare israeliano e quindi avrebbe il
diritto di mettersi sullo stesso livello di questa minaccia, già esistente e
pesante nei rapporti di forza fra i due paesi, nessuna domandina sul perché
Israele ha diritto ad esistere e non la Palestina, nessuna domanda sull’
affermazione che l’Iran minaccia il mondo, senza avere ancora gli strumenti per
rendere credibile e possibile questa minaccia, nessun riferimento alla
tracotanza americana che per bocca della Clinton ha minacciato di vaporizzare”
l’Iran se attaccherà Israele. E perché quando Israele uccide palestinesi si
parla di operazione militare, e quando i palestinesi uccidono israeliani è
“terrorismo”.
E magari ricordare ai lettori che questo attacco all’Iran è cominciato per
mano americana dopo la rivoluzione komeinista del 1979, che sottrasse il paese
alla egemonia Usa, e per vendicare questo affronto gli americani armarono e
spinsero il loro complice dittatore Saddam Hussein, facendogli fare una inutile
guerra contro l’Iran con un milione di morti, guerra per procura perché
ambivano a mettere le mani sul 40% del petrolio mondiale.
E ricordare che questa operazione sporca fu decisa da Bush padre, petroliere
di passaggio alla Casa Bianca, e che da qui nacquero tutti i successivi
interventi nell’area con le varie guerre del Golfo, fino alla attuale
aggressione all’Iraq di Bush figlio, che complessivamente sono costate un altro
milione di morti, sempre da attribuire alle iniziative Usa.
Sono 30 anni di guerre, prepotenze, sangue, torture, distruzioni, grazie alla
politica egemonica di Usa e Israele, che oggi si sentono “minacciati” dall’Iran
e cercano in Occidente complici per creare una psicosi a favore di un attacco
preventivo anche all’Iran.
Questo sproposito, di far passare coloro che sono minacciati concretamente di
guerra preventiva per coloro che minacciano il mondo, è possibile solo per l’
asservimento dei media che appoggiano massicciamente questa politica, anche se
l’Europa ne è pesantemente danneggiata, e ci fa capire il devastante potere di
avere in mano giornali e televisioni che fabbricano “verità” come quella dell’
Iran che minaccia il mondo.
Karadzic, responsabile della morte di 10.000 musulmani è in galera all’Aia a
disposizione del Tribunale Internazionale. Bush padre e figlio sono
responsabili di due milioni di morti musulmani e sono a piede libero.


di Paolo De Gregorio

I falsi scoop della Reuters sull’Ossezia

Guardate bene queste foto dell’agenzia Reuters, che mostrano alcune “vittime dei bombardamenti russi”.

In realtà, il ragazzo “morto” nella prima foto, è lo stesso ragazzo che il padre amoroso abbraccia gridando e piangendo nella seconda foto.

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Questo padre amoroso è lo stesso personaggio che appare nella prima foto in camicia nera. S’è tolto la camicia per il secondo ciak.

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Lo stesso padre amoroso appare in solitario mentre continua a gridare fra le maceria. S’è cambiato un’altra volta. Adesso ha una T-shirt sotto la camicia nera di prima.

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Tutto falso, da teatro di posa.

by effedieffe

Ma Putin cosa vuole?



La stampa occidentale vive la disfatta georgiana come propria: oddio, quando si fermeranno i cingolati russi? Mosca vuole annettersi la Georgia? Torna l’impero sovietico? Dove vuole arrivare Putin? L’angoscia servile, a quanto pare, rende sordi. Cosa vuole Mosca, l’ha detto chiaro Sergei Lavrov a Condy Rice: «Saakasvili must go», se ne deve andare. Anche Kouchner se lo dev’essere sentito ripetere.

La mediazione francese, se non si limitasse a servire Usrael, potrebbe fare molto. Perchè ha sottomano l’uomo giusto, che vive a Parigi dove ha ottenuto l’asilo politico: Irakli Okruashvili.
E chi è?

Okruashvili è stato ministro della Difesa di Saakasvili. Fino al novembre scorso, quando un forte movimento d’opposizione è sceso in piazza a reclamare «Saakashvili must go», e il Gran Kartulo ha risposto imponendo a Tbilisi la legge marziale (tale è la «democrazia» georgiana); Okruashvili, passato all’opposizione, lo ha accusato pubblicamente di corruzione e di assassinii vari, ed ha dovuto scappare all’estero. Saakashvili ne ha chiesto l’estradizione, rifiutata il giugno scorso da un tribunale francese.

Come si vede, c’è una potenziale convergenza fra la popolazione georgiana e Mosca: Saakashvili se ne vada, l’avevano già chiesto i georgiani l’autunno passato. La gente lo accusa di aver scandalosamente arricchito se stesso e la sua famiglia, a cominciare da suo zio (fratello di suo madre, il capoclan) Timur Alasaniya, accaparrandosi le concessioni commerciali, petrolifere e portuali del Paese, nonchè grasse tangenti sull’acquisto delle armi da USA e Israele.

Se non fossero russe le bombe che piovono loro sul capo, oggi una maggioranza di georgiani potrebbero sottoscrivere le parole di Vladimir Vasiliyev, presidente della Commissione Sicurezza della Duma di Mosca: «Gli anni della presidenza Saakashvili potevano essere impiegati in tutt’altro modo, rafforzando l’economia, sviluppando infrastrutture, risolvendo i problemi sociali nel Paese e anche in Sud-Ossezia ed Abkhazia. Invece, Saakashvili ha impiegato le risorse del Paese per accrescere la spesa militare da 30 milioni di dollari a un miliardo: tutto per prepararsi all’azione militare». Il lato comico è che il Gran Kartulo, non contento di arricchire lo zio Alasaniya, lo ha piazzato (con il placet di Washington) alla Commissione ONU per... il disarmo.

Se i media occidentali, anzichè piangere sulla «piccola fragile democrazia minacciata» ascoltassero l’opposizione georgiana, vedrebbero che la soluzione del caso georgiano è più semplice di quanto sembra.

Irakli Karabadze, per esempio, che è riuscito a riparare a New York, dopo essere stato messo in galera dalle teste di cuoio di Saakashvili per aver guidato una manifestazione di piazza anti-Kartulo la primavera scorsa: «Quando le bombe taceranno, credo che Saakashvili non sopravviverà alla sua avventura in Ossezia» (1). E’ lo stesso parere di Shalva Natelashvili, che dirige il Partito del Lavoro georgiano, e che tace solo per non farsi accusare, in questo momento, si essere anti-patriottica.

Ovviamente, più a lungo le operazioni russe proseguono, più Saakashvili diventa la vittima e più il suo popolo si compatta per un’ovvia reazione psicologica. Ma oltre a militare in spirito per il «democratico», i giornali europei dovrebbero almeno riportare la posizione russa, che rende difficile un cessate-il-fuoco se prima non avviene in Georgia un cambio di regime (o di fantoccio).

Mosca ha visto nel massacro di osseti operato dai georgiani una replica della «pulizia etnica» che USA ed UE hanno giudicato crimine contro l’umanità, quando a commetterlo era il loro protetto Slobodan Milosevic. Se hanno trascinato al Tribunale dell’Aja Milosevic, bisogna che processino anche Saakashvili, dicono in Russia.

Ovviamente, non ci credono. Sanno che Saakashvili è stato messo lì dagli americani per garantire l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, che sottrae il greggio del Caspio alla sfera d’influenza russa per darlo in mano ad Israele (la quale punta, caricando il petrolio ad Eilat su petroliere e inoltrandolo all’estremo oriente asiatico, a neutralizzare completamente l’importanza strategica del Golfo Persico come transito dell’oro nero: che diventa così campo libero per le ulteriori guerre anti-islamiche). A Mosca hanno tutte le prove che Washington punta a balcanizzare il Caucaso, a farne una ex-Jugoslavia piena di basi americane.

Gli USA hanno armato il secessionista ceceno Dudayev; hanno finanziato il terrorismo ceceno nei suoi crimini più atroci (la strage alla scuola di Beslan, qualche giornale la ricorda?); ed ora, da anni, armano Saakashvili e ne addestrano i corpo speciali colpevoli dei massacri in Ossezia. Per di più, gli americani vogliono coprire il loro fantoccio mettendolo sotto il manto della NATO.

Se ciò sia bene per l’America, è una domanda sospesa. Ma almeno l’Europa dovrebbe considerare - con un brivido - che se oggi Saakashvili fosse già membro della NATO come caldamente vogliono e premono i neocon, saremmo già in guerra contro la Russia, nei rifugi a Milano e Berlino sotto il rombo dei Sukhoi, per nessun motivo decente.

Per fortuna - non certo per merito europeo - non siamo a questo punto, e Saakashvili deve sorbirsi i Sukhoi per conto proprio. Ma fino a quando?

Secondo una fonte insospettabile, l’israeliano Maariv, USA ed Israele continuano anche in queste ore a rifornire di armi il Gran Kartulo (2). Lo fanno, come sanno bene a Mosca, usando una compagnia privata, la UTI WorldWide Inc., che fa decollare i suoi aerei da trasporto (ironicamente, di origine sovietica) dalla base giordana di Akaba, che il Pentagono usa di solito per inoltrare i rifornimenti in Iraq.

Dunque i russi non possono smettere le operazioni, e la «mediazione» europea non ha possibilità. Berlusconi, dopo una telefonata all’«amico Putin», ha rilasciato una dichiarazione che addossa la responsabilità dei fatti a Saakashvili.

Benino, ma c’è ancora un passo da fare: riconoscere che la NATO è diventata non solo controproducente agli interessi italiani ed europei, ma un pericolo immediato per l’Europa; che dunque, come minimo, occorre opporre un veto assoluto all’ammissione nell’Alleanza di Paesi-satelliti con capetti che hanno conti da regolare con Mosca, o che eseguono gli ordini americani. Poi, premendo sull’«amico Bush» perchè accetti il cambio di fantoccio in Kartulia, che è la sola e vera soluzione al problema.

Pensate che lo farà? Che qualcuno in Europa lo farà? Per togliersi l’illusione, basta vedere come i media italiani ed europei in genere siano schierati tutti sulla posizione americana.

Si arriva a questo: che mentre le stesse fonti israeliane, da Debka File a YNET ad Israel Today, ammettono la «Israeli connection» nel conflitto in Sud-Ossezia, i media europei e i giornali italiani - a cominciare da l’Unità - non ne dicono una parola (3). Eppure, lo so, i nostri colleghi leggono avidamente Debka File, se non altro per sapere cosa ordina il padrone, e quale disinformazione diffondere per far carriera. Come accade a tutti i servi e maggiordomi, siamo più realisti del re David.

Può darsi che in questo servilismo ci sian una parte di vera paura della Russia, e la convinzione che l’America, la NATO, ci difendono. Anche qui, le notizie - se avessero il coraggio di leggerle - dicono un’altra verità.

In Georgia, bloccati dal contrattacco russo che non avevano previsto, sono ancora mille soldati americani che hanno partecipato all’esercitazione «Immediate Response» conclusa il 31 luglio. Per la precisione, ci sono gli uomini della Southern European Task Force (Airborne) che normalmente stanno a Vicenza, il 21mo Comando di Teatro partito dalla germanica Kaiserslautern, il 3° Battaglione Marines, e il 25moMarines venuto dall’Ohio (4).

Come si vede, noi europei siamo già coinvolti, se non altro come passivi ospiti delle basi USA, adoperate oggi per le aggressioni in Caucaso ed Asia centrale. Nel servaggio c’è la viltà: forse la convinzione che gli americani sono comunque «i più forti», dunque ci conviene stare con loro. Ma è proprio così?

Il Pentagono comincia ad ammettere di essere stato sopreso dalla «velocità e tempestività» della risposta bellica russa (5). Più precisamente, il Pentagono non ha visto il «build-up», l’ammassamento di truppe e mezzi ai confini che segnalasse l’intenzione di contrattaccare in forze. Tra 10 e 25 mila uomini (la cifra superiore è la valutazione georgiana) e 500 carri russi armati sono comparsi di colpo ed hanno preso la via dell’avanzata, appoggiati dal cielo da SU-25, SU-24, SU-27 e da bombardieri TU-22. Con tanti saluti ai satelliti-spia americani che possono identificare un pallone da football in ogni parte del pianeta e, secondo la «revolution in military affairs», sostituiscono con l’alta tecnologia la vecchia «intelligence» affidata a spie sul terreno.

Un bello smacco per la rinomata intelligence elettronica che gli israeliani si son fatti pagare da Saakashvili. Soprattutto, uno scacco per la convinzione strategica americana, che la guerra si possa vincere dal cielo, guardando giù coi satelliti e bombardando a distanza, senza stivali sul terreno. La convinzione che i computer e le comunicazioni sostituiscano inutile l’intelligenza tattica e la pura e semplice audacia. I russi hanno un’altra scuola, che viene da un’altra storia, da Stalingrado, dalla lezione appresa nel sangue dal nemico tedesco. La loro forza è proprio nella rapidità e nell’audacia tattica sul terreno.

M’è capitato di apprezzarla personalmente - sia consentito un ricordo personale - in Kossovo. Mentre la NATO occupava la ragione secondo le (sue) regole americaniste ossia prevedibili, un corpo russo - qualche Omon, qualche paracadutista, alcuni mezzi corazzati portatruppe - s’impadronì dell’aeroporto di Pristina. I generali inglesi e americani erano verdi di bile, per atterrare e decollare dovevano chiedere il permesso ai russi.

Mosca, specialmente allora, non poteva fare molto per la Serbia; ma con quell’azione avevano dato prova di una fantasia geniale, di una capacità di sfida quasi inaudita, che evidentemente veniva da una perfetta valutazione politico-militare della situazione e da un freddo calcolo del rischio. Tutto ciò che ho visto sempre mancare alla superpotenza USA.

Me li ricordo ancora, quei soldati russi. Sedevano a cavalcioni sui loro carri armati coi loro copricapi da carristi della seconda guerra mondiale, fumavano papiroske e ci guardavano con sfida. Molto sicuri di sè.



1) John Helmer, «Russia bids to rid Georgia of its folly», Asia Times, 12 agosto 2008.
2) «US sends more arms to Georgia - Israeli media», Russia Today, 11 agosto 2008. «The United States is sending fresh supplies of weapons to Georgia from its base in the Jordanian port of Aqabah. That’s according to the Israeli newspaper - Maariv».
3) John Vandiver, «US troops still in Georgia», Star & Stripes, 12 agosto 2008. Anche 12 mila fra ebrei residenti ed israeliani sono bloccati in Georgia, e gridano perchè vogliono essere salvati; il governo di Olmert sta cercando di portarli via.
4) «Media disinformation: BBC distorts the news from the Georgia region», GlobalResearch, 10 agosto 2008.
5) «US military surprised by speed, timing of Russia military action», AFP, 11 agosto 2008. «… the official said there was no obvious buildup of Russian forces along the border that signaled an intention to invade. ‘Once it did happen they were able to get the forces quickly and it was just a matter of taking the roads in. So it’s not as though they were building up forces on the border, waiting’, the official said. ‘What are their future intentions, I don’t know. Obviously they could throw more troops at this if they wanted to’, he said».