26 novembre 2009

Daniel Estulin sulla sua inchiesta sul Club Bilderberg

club bilderberg
La copertina
Il libro, pubblicato fino ad oggi in Spagna, Portogallo, Bulgaria, Brasile, Olanda, Giappone, Usa, arriva anche in Italia: contiene foto degli incontri e vari documenti tra cui alcune lettere di invito alla riunione e liste dei partecipanti. E dal libro sarà realizzato anche un film a Hollywood: la Halcyon Company infatti, proprietaria dei diritti cinematografici della saga di Terminator, ha comprato i diritti del libro di Daniel Estulin e ha in programma di realizzare un film da 120milioni di dollari.

La riunione del Gruppo di quest'anno si è svolta in Grecia dal 14 al 17 maggio: il nostro paese era rappresentato da Tommaso Padoa-Schioppa, Mario Draghi, Romano Prodi, Franco Bernabè, John Elkann. E l'autore dell'inchiesta Daniel Estulin, in Italia per presentare l'ultima versione del suo libro, sceglie Affaritaliani.it per svelare i retroscena degli incontri del Club.

Nel suo libro ha scritto che l'obiettivo della riunione 2009 del Club è stato quello di trasformare l'Unione Europea in un governo multinazionale. Pensa che questo sarà davverò realizzato?
"E' stato approvato il trattato di Lisbona. Esiste di fatto una dittatura europea di un gruppo di persone le cui decisioni non sono appellabili da nessuno".

daniel estulin
Daniel Estulin


Esistono degli obiettivi del Club che sono stati realizzati nel corso degli anni?
"Si, esistono. Per esempio la guerra in Iraq, progettata a maggio del 2002 per febbraio-marzo del 2003; il prezzo del petrolio, salito da 20 a 100 dollari al barile dal 2002 al 2007 e ancora da 100 a 150 dollari al barile dal 2005 a metà 2008. Oppure l'implosione dei prezzi delle case nel 2006 o la guerra in Kosovo nel 1996".

Come è cambiata la funzione del Club nel corso degli anni?

"Dalla caduta del Comunismo il Club Bilderberg ha incluso personalità provenienti dai paesi del Patto di Varsavia mentre prima il Gruppo si basava sull'alleanza della Nato".


Le riunioni del Gruppo hanno una connotazione politica? Se si, a destra o a sinistra? Ed è cambiata nel corso degli anni?

"Il gruppo è formato da personalità che hanno una visione globale e di conseguenza imperialista, come se fossero costruttori di un impero. Un impero costruito alle spese delle varie repubbliche nazionali. Non ci sono connotazioni politiche, né di destra né di sinistra: è applicato il concetto di sinarchia internazionale (un ipotetico governo occulto planetario, o "governo ombra", che gestisce invisibilmente le trame della politica e dell'economia mondiale e che decide i destini dell'umanità, ndr)".

Quali sono i paesi che hanno maggiore influenza all'interno del Club?

"Ovviamente gli Stati Uniti: un terzo dei delegati proviene infatti da questo paese. A parte gli Usa, anche la Gran Bretagna e la Germania sono ben rappresentati. L'Italia ha una forte rappresentanza attraverso le antiche famiglie italiane, come gli Agnelli che sono oggi rappresentati da John Elkann".

Secondo lei qual è il ruolo dell'Italia nel Club? E' cambiato nel corso degli anni?

"L'Italia è l'epicentro del potere del Club attraverso la nobiltà veneziana. La regina di Inghilterra, il membro più influente del Gruppo, appartiene infatti per discendenza ai Marchesi d'Este di Venezia".

C'è qualcosa che avrebbe voluto scrivere nel libro e non ha fatto?

"Se si riferisce alla censura, no non c'è: ho scritto tutto quello che volevo nell'edizione inglese del libro. La versione italiana è la diretta traduzione di quella inglese. In Spagna invece il mio editore, Planeta, mi ha vietato di menzionare i reali di Spagna e il loro ruolo all'interno del Club. Sono stato lasciato invece più libero di parlare di altre cose. Ho seguito queste indicazioni anche se quando il libro è uscito ho pubblicamente criticato il ruolo della famiglia reale spagnola nel Club".

25 novembre 2009

L'impotenza del potere



Fin da quando Hobbes ha immaginato lo Stato come un mostro onnipotente, il Leviatano, il potere centrale di ogni Paese è stato considerato capace di risolvere tutti i problemi vecchi e nuovi della condizione umana. A prescindere dal grado di democrazia esistente, lo Stato è sempre intervenuto nell'economia, ha sempre deciso della guerra e della pace, dell'istruzione, della salute e di tanti altri aspetti della vita dei propri cittadini. Anzi, proprio questa onnipresenza dello Stato ha fatto nascere reazioni liberatorie, opposizioni più o meno violente all'invasione nella esistenza della persona. Ma il potere dello Stato non è onnipotente, non solo perché singoli individui criminali o associazioni di individui praticano sistematicamente la violazione delle leggi, ma anche per l'esistenza dei cosiddetti poteri occulti, che costringono lo Stato a fare delle scelte che favoriscono interessi provati di individui o di particolari categorie sociali.
Anche prescindendo dalla bontà o dall'intelligenza dei governanti e delle enormi macchine che li aiutano a prendere le decisioni, la volontà dello Stato, e addirittura quella delle comunità internazionali, è obbligata a fermarsi per l'eccessiva complessità dei problemi.
Alcuni esempi recenti confermano l'impotenza a decidere della comunità internazionale. Il vertice mondiale sulla sicurezza alimentare, organizzato dalla FAO a Roma dal 16 al 18 novembre di quest'anno, si è concluso con un nulla di deciso per "la mancanza di impegni concreti dai Paesi ricchi, che si assumono responsabilità e promettono risorse che non arriveranno mai". Oltretutto, al vertice erano assenti i potenti del G8, che, pur essendo consapevoli del problema della fame nel mondo, non possono fare di più, non solo per la impossibilità di risolvere la situazione. Infatti, il miliardo di affamati è il risultato del fenomeno inarrestabile della crescita della popolazione umana, attualmente di 7 miliardi di individui, che, secondo previsioni scientifiche, "entro il 2030 causerà una crisi globale".
Durante il vertice di Roma, il segretario generale dell'ONU, Ban Ki-moon, in previsione del vertice di Copenhagen sui cambiamenti climatici, ha dichiarato: "non può esserci sicurezza ambientale senza sicurezza alimentare". I problemi difficilmente risolvibili si intrecciano e si aggravano vicendevolmente, rendendo sempre più impotente la comunità internazionale a risolverli. Infatti, Obama, nel suo viaggio in Cina, per risolvere i gravi problemi del rapporto Cina-USA, ha anticipato, insieme al leader cinese "un ridimensionamento della Conferenza sul Clima che si apre tra tre settimane a Copenhagen". Nonostante le reazioni furiose di alcuni membri della Comunità Europea, i due principali inquinatori del mondo, Cina e USA, hanno preannunciato di non voler ridurre drasticamente le loro emissioni. In realtà, i due colossi industriali non possono rinunciare all'uso del carbone per la produzione dell'energia elettrica; infatti le centrali a carbone in USA e in Cina rappresentano dal 50 all'80% del totale. La Cina non ha petrolio e gli USA giacciono sul più vasto giacimento di carbone del mondo. Ma anche l'Europa ha dimostrato recentemente l'incapacità di saper esprimere la propria potenza politica nei confronti dei colossi americano e cinese; infatti, nell'elezione dei propri supremi rappresentanti nel congresso internazionale, l'Europa non ha potuto esprimere che due figure scialbe, e quindi di scarso peso politico. In questo caso, l'impotenza del potere è racchiusa nella sua stessa natura: l'unione forzata di nazioni con interessi contrastanti spinge al compromesso e alle scelte di basso profilo. Questo è il limite generale del potere organizzato nelle attuali forme della democrazia parlamentare.
di Romolo Gobbi

24 novembre 2009

Senza ideali molta ruberia


Francesco Alberoni scriveva giorni fa (il 20 ottobre) che «Persi gli ideali a cosa si rivolge la spinta umana? Solo al potere e al denaro». Sì: ma è utile approfondire. In primo luogo, non dobbiamo confondere ideali con ideologie. Sono cose diverse e anche nemiche. Intesi come obiettivi di valore gli ideali acquistano centralità, nella politica, con l’Illuminismo, non prima. La parola «ideologia» viene poi coniata da Destutt de Tracy nel 1796, e dunque in sul finire dell’Illuminismo, per dire «scienza delle idee»; un significato letterale che non ha attecchito e che è stato stravolto dal marxismo, per il quale l’ideologia diventa killeraggio, e cioè un pensiero che non-è-più-pensato, un ex pensiero dogmatico e fanatizzato che appunto ammazza il pensiero e le idee.

Una seconda precisazione verte sul rapporto tra ideali e democrazia. Che è un rapporto strettissimo ma soltanto moderno, recente. Aristotele distingueva tra governo dell’uno, dei pochi e dei molti, e poi tra il governare nell’interesse proprio o nell’interesse comune. E per Aristotele la democrazia era il governo dei molti, o dei poveri, nel proprio interesse, e quindi un cattivo governo. Ma, attenzione, l’interesse comune che caratterizzava i buoni regimi non era, per lui, posto da ideali e tantomeno dall’ideale della libertà individuale del cittadino. Hobbes lo precisava lapidariamente: «Ateniesi e Romani erano liberi, e cioè le loro città erano libere».

La grossa differenza è che il mondo antico su su fino al Rinascimento non si proiettava verso il futuro ma si poneva come un aumento, una crescita, delle origini. Alla stessa stregua non era «giovanilista»: l’autorità, la auctoritas, spettava alla saggezza degli anziani. Questa visione del mondo venne rovesciata dal Romanticismo «scoprendo la storia» come una dinamica innovativa che porterà man mano a configurare la democrazia liberale come l’ottimo governo sospinto e realizzato dai suoi ideali. Il retroterra di questo sviluppo era che per la prima volta nella storia gli «esclusi» dalla politica venivano effettivamente inclusi dal suffragio universale. Ma se questa inclusione «perde gli ideali», e con essa il senso del «dovere etico», allora il buon governo democratico va alla deriva.

Si è detto che la politica è la guerra con altri mezzi. Oramai sarei più incline a dire che la politica è il ladrocinio, la pappatoria, con altri mezzi. Omnia Romae cum pretio, tutto a Roma si può comprare, scriveva Giovenale. Invece oggi? Ci stupiamo che anche la sinistra venga travolta in questa frana. Ma perché? Le sue credenziali intellettuali risalgono all’immediato dopoguerra, a quando il Pci ereditò il grosso della cultura idealistica (Crociana o Gentiliana che fosse) che allora dominava in Italia. Marx «rovesciò» la filosofia idealistica di Hegel. Un secolo dopo i nostri idealisti rovesciarono, a loro volta, Croce e Gentile e si ritrovarono, senza alcuno sforzo, marxisti. Ma il Pci del Migliore era, di suo, spietato cinismo di potere nei vertici, e un partito di ideologia (non di ideale) nel suo apparato. E una volta usciti di scena gli idealisti marxisti, a loro sono subentrati, come nucleo dirigente del Pci, gli addestrati alle Frattocchie; addestrati, appunto, al killeraggio ideologico, e per ciò stesso largamente incapaci di ripensarsi e di pensare ex novo. Il che lascia il Pd (oggi di Bersani) come un gruppo di potere— con nobili eccezioni, si intende — altrettanto cinico e baro dei gruppi di potere al potere.

di Giovanni Sartori

22 novembre 2009

Il futuro delle banche


Se un commentatore dovesse procedere ad una sintesi estrema su quanto è stato fatto dopo la crisi finanziaria del 2008, al fine di prevenire il ripetersi di simili eventi, probabilmente scriverebbe: nulla. Durante questo periodo si è riunito il G8, varie volte il G20, fiumi di parole sono state riversate dai media, inchiostro a profusione: nulla. Tutti hanno la loro medicina, tutti sono favorevoli ad una "immediata" revisione delle regole sulla finanza mondiale. Tutti vogliono cambiare tutto. Di fatto il niente.
E questo non è un fatto circoscritto all'Italia, o ad un'altra nazione europea, o agli Stati Uniti, o ad altri paesi. Il virus della passività è presente in ogni angolo del mondo a qualsiasi latitudine e longitudine. Si dice che il problema è globale e che occorre una risposta globale. Ma se non esiste uno stato globale, qualche stato dovrà pur alzare la testa dalla sabbia e iniziare a fare. Sul serio.
Credo che questa apparente ignavia, che si vuole far passare per "complessità del problema", in realtà possa essere usata come il corretto misuratore della potenza che la finanza è in grado di esercitare. Non è da dietrologi, o da amanti della cospirazione, affermare che oggi la finanza rende succube l'economia e la società. Quello che doveva e dovrebbe essere lo strumento attraverso il quale le attività economiche potevano essere facilitate nel loro svolgersi ed evolversi si è trasformato nel loro dominatore. Da mezzo a fine. Da controllato a controllore. Questa è la finanza oggi. Un sistema che non conferisce valore aggiunto alla produzione di ricchezza, invece ne determina una redistribuzione a livello sociale che risulta indipendente dal contributo fornito dai singoli lavoratori. Chi guadagna in questa kermesse è lo speculatore, che dispone di capitale finanziario e di competenze finanziarie tali da permettergli di lucrare senza produrre. In tal modo, spesso, oltre che defraudare del giusto guadagno chi effettivamente ha prodotto, la finanza distrugge ricchezza nel momento in cui, vittima della sua stessa avidità e delle sue incoerenze, determina situazioni di crisi che tutti ben conosciamo.
Al centro di questo discorso è il sistema bancario. Durante gli anni '90, nel mondo industrializzato si è proceduto ad una gigantesca deregolamentazione a causa della quale le banche hanno modificato radicalmente il loro modo di essere e di operare.
Ma torniamo indietro di qualche anno per capire meglio quello che è successo.
Dopo la crisi del '29, anch'essa nata da un eccesso di debiti e dalla euforia di Borsa, era stato compreso che le banche, nel sistema capitalistico, non potevano essere lasciate libere di fare ciò che volevano perché erano troppo importanti e condizionavano la stabilità dell'intera economia. Un loro eventuale tracollo avrebbe comportato un effetto domino su famiglie e aziende tale da far regredire di decenni l'economia del paese colpito. Compresa la lezione, tutti i paesi industrializzati hanno elaborato normative stringenti con il dichiarato scopo di evitare il ripetersi di tali catastrofi.
Negli Stati Uniti veniva approvata la legge bancaria Steagall Glass che prevedeva la netta separazione tra banche commerciali e banche d'affari. In Italia la legge elaborata da Donato Menichella nel 1936 oltre a stabilire una analoga separazione, poneva dei limiti altrettanto stretti tra attività bancarie a breve e quella a medio lungo termine. In Italia alle banche commerciali era proibito detenere quote di partecipazione (ancora meno di controllo) nelle aziende non bancarie, era proibito qualunque attività di trading su titoli e valute. Le uniche operazioni consentite erano quelle effettuate per conto della clientela.
Nel 1993 venne approvato il decreto legislativo nr. 385 che ha rivoluzionato l'intima struttura del sistema bancario: dalla regolamentazione stringente si passava alla "banca universale" che disponeva di enormi margini di azione. Questa cambiamento ha coinciso (e qui un po' di dietrologia non guasterebbe) con la stagione delle privatizzazioni. In altre parole, fin tanto che le banche erano pubbliche, erano regolamentate ed erano scarsamente redditizie. Con la deregolamentazione e le privatizzazioni, le banche sono divenute delle autentiche galline dalle uova d'oro a vantaggio dei privati che ne avevano assunto il controllo.
Negli ultimi anni in particolare, le banche (italiane ed estere) hanno inanellato continui record di redditività. Il ROE (la redditività sul capitale investito) di alcune di queste ha superato il 20% annuo, il doppio o il triplo della redditività conseguita dalle attività manifatturiere o altre non bancarie. Un vero bengodi, interrotto almeno per qualche tempo dalla crisi finanziaria del 2008. Ma già in questi ultimi mesi le banche hanno ricominciato a macinare utili e a riprendere le vecchie abitudini. Il vizio di fare speculazione è riemerso ancora più forte di prima. Negli Stati Uniti le prime 25 banche, che dispongono complessivamente di attivi per 7.600 miliardi di dollari, hanno assunto rischi in derivati pari a 203.000 miliardi di dollari. Circa 30.000 miliardi in più rispetto alla stagione pre crisi. In altri termini per ogni dollaro di attivo di bilancio le banche hanno fatto scommesse per 26 dollari. Ancora più preoccupante è la tendenza seguita dagli istituti di credito: operare sempre più nelle attività speculative e più lucrose (fin quando va bene) a detrimento delle operazioni di credito. Con inevitabili conseguenze negative sulle aziende e l'intera economia reale.
Alla luce di quanto accaduto nell'ultimo anno, alcune personalità di spicco della finanza internazionale hanno invocato profonde ed effettive modifiche del quadro normativo inerenti la struttura e l'operatività del sistema bancario. Paul Volcker (ex governatore della Federal Reserve), Mervin King (attuale governatore della Banca d'Inghilterra) chiedono il ritorno alla separazione tra banche commerciali e banche d'investimento. George Soros è favorevole a maggiori controlli e vincoli verso le grandi banche, quelle per intenderci che "non possono fallire".
Malgrado il carisma e la stima goduta a livello internazionale dai proponenti vi è stato un fuoco di sbarramento contro inutili e "antistoriche" leggi superate dall'evoluzione dei mercati. Ecco alcune delle obiezioni opposte. La separazione tra attività di credito (vera attività della banca) e quelle di trading e d'investimento, definita sprezzantemente "spezzatino", determinerebbe una minore "efficienza" dei mercati. Un maggiore controllo da parte degli enti preposti limiterebbe la libertà d'impresa. La cosa che lascia allibiti è la spudorata semplicità con la quale vengono ammessi e difesi macroscopici errori commessi negli anni che hanno preceduto la crisi finanziaria del 2008 da banche e banchieri. In sintesi intellettuali, economisti, giornalisti con singolari capacità sofistiche vogliono far credere al cittadino che "cose di questo genere" possono capitare. Che sono degli incidenti di percorso dei quali si deve approfittare per mettere a punto il sistema. Credo che i milioni di lavoratori che hanno perso il proprio lavoro abbiano idee abbastanza diverse da questo capzioso ottimismo di facciata.
Ogni persona di buon senso dispone della risposta. Perché poi, in realtà, le cose sono molto più semplici di quello che si vuol far ritenere.
Vediamo di riflettere su di esse in modo ordinato.
Prima di tutto le banche non possono essere "grandissime". Ciò per un motivo strettamente economico: la dimensione va a scapito della concorrenza (vera).
La banca deve fare la banca. In altre parole basta con operazioni speculative; il trading su valute e titoli non deve rientrare nell'attività propria di una banca. A questo riguardo una maggiore attenzione alla tassazione degli scambi (solo quelli con finalità speculativa e non altri di matrice commerciale) potrebbe aiutare a smorzare il clima da "sala corse" che si è aperto nel corso degli ultimi anni.
La banca, riacquisendo la sua funzione specialistica, dovrebbe essere estranea anche alle attività di bancassicurazione e gestione del risparmio (fondi comuni di investimento e prodotti affini). Tali attività dovrebbero essere svolte da altri operatori, distinti dalla banca, non solo sotto il profilo giuridico ma anche organizzativo. In altre parole se il risparmiatore vuole porre i suoi soldi in un conto corrente, libretto a risparmio, certificato di deposito, pronti contro termine, obbligazione bancaria si rivolgerà alla banca. Ugualmente se intenderà investire i suoi risparmi in titoli (azionari, obbligazionari, ecc.) avvalendosi del servizio di mediazione dell'istituto di credito. Qualora volesse concedere un mandato a gestire le proprie risorse a operatori qualificati (fondi comuni di investimento e simili) ricorrerà alla rete di promotori che operano in tutti i paesi industrializzati.
Obama come Tremonti (solo per citarne alcuni) sanno che solo attraverso profonde e incisive riforme finanziarie si può assicurare un futuro all'economia mondiale e dare speranze ai cittadini.
Ma il duello è impari perché la politica è divenuta un soggetto "controllato" che non è in grado di rompere l'accerchiamento.
Al momento si sentono parole vuote, impegni stonati, dove gli attori della politica affrontano parzialmente e riduttivamente i problemi connessi alla finanza con frasi che tendono ad essere di effetto ma senza alcuna utilità. Si pensi a quanto si è parlato dei bonus ai banchieri o della stessa legge "Tobin Tax" che potrebbe avere una sua effettiva valenza solo in un contesto di riforma complessiva.
Intanto ai cittadini si consiglia di scegliere con prudenza, orientandosi verso prodotti semplici e chiari e fidandosi solo di persone che per anni hanno dimostrato di meritare la loro stima.
Marco Da Buscareta

21 novembre 2009

La gestione privata dell’acqua pubblica è legge

privatizzazione acqua
Il decreto legge che privatizza l'acqua, dopo aver incassato la fiducia al Senato, passa anche alla Camera e a votare in aula c'era anche Berlusconi
Il decreto legge che privatizza l'acqua, dopo aver incassato la fiducia al Senato, passa anche alla Camera con 302 sì e 263 no, in aula a votare, e a dimostrare quanto il governo tenga a questo decreto, anche Silvio Berlusconi.

Nato per rispondere a quelli che vengono definiti obblighi comunitari, nel decreto è stato infilato di tutto e di più tra cui anche l'articolo 15 che tratta la privatizzazione dell'acqua e che per questa segna una data precisa: il 31 Dicembre 2011. Il countdown è quindi cominciato, entro quella data tutte le società di gestione del servizio idrico "in House" le cosiddette "municipalizzate" dovranno trasformarsi in società a capitale misto pubblico-privato (in cui il privato abbia almeno il 40% delle azioni) oppure totalmente private.

L'approvazione del provvedimento ha suscitato le proteste dell'opposizione (l'Idv ha alzato cartelli di protesta) e del Forum dei Movimenti per l'Acqua, i cui rappresentanti si sono incatenati alle transenne antistanti Montecitorio recitando lo slogan: "Se voti la privatizzazione dell'acqua non lo fai in mio nome".

Così mentre le proteste contro una scelta più che discutibile - visto il valore intrinseco del bene acqua - si fanno sempre più consistenti al punto che già si parla di referendum abrogativo, l'onorevole Ronchi, da cui prende il nome il decreto stesso, nega tutto: "L'acqua è un bene pubblico e il decreto non ne prevede la privatizzazione. Nel provvedimento” - ha aggiunto Ronchi – “viene rafforzata la concezione che l'acqua è un bene pubblico, indispensabile. Si vogliono combattere i monopoli, le distorsioni, le inefficienze con l'obiettivo di garantire ai cittadini una qualità migliore e prezzi minori".

E' la solita storia, dai un servizio pubblico che funziona male in mano al privato e il privato lo farà funzionare bene, ma non solo, visto che di privati ce ne saranno tanti anche i prezzi scenderanno in nome della concorrenza. Peccato che la realtà abbia già dimostrato più volte come questa bella storia sia in realtà una favola valida solo per le lezioni di economia del primo anno di università, o forse neanche più per quelle.

La realtà, sia delle esperienze italiane di AcquaLatina che di quelle internazionali e più estreme di Cochabamba, ma non solo, insegnano che la privatizzazione del servizio idrico porta ad aumenti di prezzo stimabili tra il 30 e 40% senza apprezzabili e corrispondenti miglioramenti del servizio. Ma non basta, anche la moderna Parigi dopo oltre vent'anni è tornata all'acqua pubblica a dimostrazione che pubblico ed efficienza non sono per forza un ossimoro.

Si spiegano così le accuse di chi dice che con questo provvedimento il governo stia facendo un regalo ai privati, cosa che tra l'altro pare già rivelarsi realtà visto che solo ieri Acque Potabili e Mediterranea Acque (due leader del settore privato dell'acqua pubblica....ecco l'ossimoro!) hanno registrato un vero e proprio aumento record del valore delle proprie azioni .

Lo stato quindi si arrende e alza bandiera bianca. Su 100 litri d'acqua 40 vengono sprecati nel sistema idrico italiano. Le ragioni sono molte e non tutte di semplice soluzione, di certo c'è che qualche risultato soprattutto in Puglia dove gli sprechi sono diminuiti del 38% si stava ottenendo. Ora però, con decreto Ronchi, si riparte da zero e si demanda la soluzione di uno dei problemi storici del paese ad un privato che dovrebbe spendere (per migliore il servizio)per guadagnare e che probabilmente, invece, farà spendere di più noi, per guadagnare lui. Ma questo come si diceva è il libero mercato.

di Andrea Boretti

11 novembre 2009

Informazione fazio-sa


Il modus operandi dell'autorità in relazione alla cosiddetta pandemia è emblematico. Il vice-ministro delle malattie, Strazio, ed i suoi portavoce alternano, nei loro discorsi, blandizie e dichiarazioni spaventose. Chi non ha ancora compreso la vera natura del potere è frastornato ed è incline a ritenere che le istituzioni stiano dimostrando inefficienza, riandando con la mente alle celebri pagine dei Promessi sposi, in cui Manzoni stigmatizza con amara ironia l'insipienza del governo milanese di fronte all'epidemia di peste, prima pervicacemente negata, poi ridimensionata, poi obliquamente ammessa con l'ambigua dicitura di "febbri pestilenziali".

La situazione attuale è molto diversa. Il potere sta usando tutte le strategie più raffinate per conseguire i suoi scopi criminali: sfoltire la popolazione e ridurre in servaggio i sopravvissuti, senza che i cittadini si accorgano del baratro verso cui essi, spesso volontariamente, si stanno dirigendo. Non sorprendano le affermazioni all'apparenza contraddittorie sul fantomatico virus A/H1N1. Bisogna evitare che i sudditi siano presi dal timor panico che causerebbe un collasso del sistema, ma occorre pure instillare senza tregua una sottile inquietudine. Questa incertezza deve tenere sulla corda l'opinione pubblica, spingendola ad accettare i vaccini, anzi ad esigerli. E' una forma di istigazione al suicidio, ma abilmente camuffata.

Si assiste ad una politica del bastone (il virus è aggressivo e potrebbe mutare) e della carota (il numero dei morti causati da questa forma influenzale è inferiore a quello provocato dall'influenza stagionale). Non è schizofrenia del potere, ma scaltro dosaggio di un veleno che viene inoculato in vittime che vengono prima cloroformizzate.

Basterebbe osservare il volto del demoniaco Strazio per capire quale scellerato progetto stiano perseguendo le élites: qui Manzoni viene a taglio, con la descrizione del vecchio mal vissuto, con la sua "canizie vituperosa". Il cipiglio di Strazio, gli occhi luciferini, la voce dall'inflessione suadente, ma arrugginita sono lì a testimoniare propositi innominabili. Né si può sottacere del cinismo che colui non riesce in nessun modo a dissimulare, allorquando cita i morti "fatti" dall'inesistente pandemia. L'uso del crudo e statistico verbo "fare" tradisce più che l'indifferenza, il compiacimento per i letali risultati conseguiti, con la gente che inconsapevolmente si getta nelle grinfie dei suoi aguzzini... e costui è un medico!

Decenni di televisione e di propaganda hanno trasformato gli uomini in pecore di un gregge atterrito e docile. Le reazioni appunto sono gregarie: l'informazione indipendente ha apppena incrinato l'ottusa e cieca fiducia nel potere. Basterebbe riflettere per un istante: per quale misterioso motivo uno stato che scortica i cittadini con i tributi più esosi, che considera i giovani come carne da cannone, gli anziani come pesi inutili, uno stato che deliberatamente avvelena l'ambiente, il cibo, l'acqua, uno stato che massacra nelle carceri detenuti inermi e spesso innocenti, dovrebbe ex abrupto diventare tanto sollecito da distribuire gratuitamente dosi di vaccino ad ognuno di noi? E' possibile che non si fiuti l'inganno?

Hanno scelto dei bersagli precisi: bambini, adolescenti, infermi ed anziani. Costoro possono essere falcidiati. La strage degli innocenti è condicio sine qua non per perpetuare il controllo mentale e della percezione che sarà suggellato forse nel 2012, anno dell'instaurazione del superstato mondiale.

Qualche anno fa, grazie ad un lapsus freudiano, l'attuale ministro delle casse vuote, Tremostri, intervistato da un giornalista sui problemi di bilancio che attanagliano il sistema previdenziale, rispose con diabolico candore: "Tanto prima o poi i pensionati morranno". E' questa la totale insensibilità dei "politici" che considerano la vita umana alla stregua di un fastidioso ciottolo sul sentiero. Come si può credere che costoro siano interessati a preservare la nazione dall'epidemia? Nonostante ciò, quanto più l’incubo diviene angosciante, tanto più si rafforza nel popolino la visione di uno stato-padre-madre, severo ma amorevole, nel cui seno trovare rifugio.

Vero è che questo deplorevole cinismo non di rado alligna tra la gentucola che, invece di combattere e delegittimare le élites sataniste, invoca "un'igiene del mondo" che colpisca gli sventurati al fine di risolvere il "problema" dell'incremento demografico. Non sarà poi così irrazionale la storia, qualora dovesse agire di conseguenza, estirpando il loglio.

E' dunque assurdo, paradossale che le istituzioni si prodighino tanto per salvare e proteggere: questa sarebbe la vera incoerenza di un sistema che, invece, sa quel che vuole e come ottenerlo, benché la massa istupidita stenti, per ora, ad orientarsi.

E' la medesima massa che, con lucida cecità, intravede la meta finale: il mattatoio.

09 novembre 2009

Benvenuti nel 2025






Scrutando nella sua sfera di cristallo analitica in una relazione intitolata Global Trends 2025, ha predetto che la preminenza globale dell’America scomparirà gradualmente nei prossimi 15 anni -- in congiunzione con l’emergenza di nuove potenze globali, specialmente la Cina e l’India, nota Michael T. Klare.

La preminenza dell’America scompare quindici anni in anticipo

Un memo per la CIA: potreste non essere pronti per il viaggio nel tempo, ma eccovi comunque nel 2025! Le vostre stanze potrebbero essere un po’ piccole, la vostra abilità di esigere alloggi migliori potrebbe essersi volatilizzata, e i comfort potrebbero non essere di vostro gradimento, ma dovete farci l’abitudine. Da adesso in poi sarà la vostra realtà.



Okay, adesso arriviamo alla versione seria di quanto sopradetto: nel novembre del 2008 il National Intelligence Council, un affiliato della Central Intelligence Agency ha pubblicato la più recente di una serie di pubblicazioni futuristiche mirate a guidare la nuova amministrazione Obama. Scrutando nella sua sfera di cristallo analitica in una relazione intitolata Global Trends 2025, ha predetto che la preminenza globale dell’America scomparirà gradualmente nei prossimi 15 anni -- in congiunzione con l’emergenza di nuove potenze globali, specialmente la Cina e l’India, nota Michael T. Klare. La relazione ha esaminato le molte sfaccettature del futuro ambiente strategico, ma la sua conclusione più sbalorditiva e che fa notizia, riguardava la proiezione nel lungo termine dell’erosione del predominio dell’America e dell’emergenza di nuovi competitori globali. “Sebbene gli Stati Uniti rimarranno probabilmente il singolo attore più potente [nel 2025]”, afferma definitivamente, la “forza relativa del paese -- anche nella sfera militare -- sarà in declino e il potere degli USA sarà più ridotto”.

Quello, certo, era allora, questo -- circa 11 mesi nel futuro -- è il presente e come le cose sono cambiate. Le predizioni futuristiche dovranno solo adeguarsi alle realtà estremamente mutevoli del presente momento. Seppure fosse stata pubblicata dopo l’inizio del crollo economico globale, la relazione è stata scritta prima che la crisi raggiungesse le sue massime dimensioni ed ha dunque enfatizzato che il declino del potere americano sarebbe stato graduale, estendendolo sull’orizzonte dei 15 anni della valutazione. Ma la crisi economica e gli eventi ad essa connessi hanno sovvertito radicalmente quella tempistica. A seguito di enormi perdite economiche subite dagli Stati Uniti durante lo scorso anno e dello strabiliante recupero economico della Cina, lo spostamento del potere globale previsto dalla relazione è stato accelerato. A tutti gli effetti, il 2025 è già qui.

Molte delle generali predizioni fatte via dicendo nella relazione Global Trends 2025 sono in effetti, già superate. Il Brasile, la Russia, l’India e la Cina -- complessivamente conosciuti come i paesi BRIC -- hanno già ruoli ben più assertivi negli affari economici globali, mentre la relazione aveva previsto che sarebbe successo forse tra una decina d’anni circa. Al tempo stesso, il ruolo dominante globale un tempo monopolizzato dagli Stati Uniti con l’aiuto dei maggiori poteri industriali dell’Occidente -- conosciuti collettivamente come il Gruppo dei 7 (G-7) -- è già sfumato con notevole rapidità. Paesi che un tempo facevano riferimento agli Stati Uniti per la guida sulle maggiori questioni internazionali ignorano il parere di Washington e stanno creando al contrario le proprie reti di politica autonome. Gli Stati Uniti stanno diventando sempre meno inclini all’uso delle proprie forze militari all’estero mentre i poteri rivali aumentano le loro capacità e gli attori non-statali fanno affidamento sui mezzi di attacco “asimmetrici” per superare il vantaggio degli USA nella potenza di fuoco.

Nessuno sembra ammetterlo -- ancora -- ma diciamocelo chiaro e tondo: in meno di un anno del periodo di 15 anni [previsto] di Global Trends 2025, i giorni dell’indiscusso predominio globale dell’America sono giunti al termine. Ci potranno volere una, due (o tre) decadi prima che gli storici potranno guardarsi indietro e dire con sicurezza, “quello è stato il momento in cui gli Stati Uniti hanno smesso di essere il potere predominante del pianeta e sono stati costretti a comportarsi come ogni altro grande giocatore in un mondo fatto di molti grandi poteri in competizione tra loro”. Le indicazioni di questa grande transizione, tuttavia, sono lì solo per chi le vuole vedere.

Sei tappe sulla strada per diventare una nazione ordinaria

Ecco il mio elenco dei sei recenti sviluppi che indicano che stiamo entrando nel “2025” oggi. Tutti e sei erano sui giornali nelle ultime settimane, anche se non erano tutte raccolte sulla stessa pagina. Rappresentano (insieme ad altri eventi affini) uno schema: la forma, in effetti, di una nuova era che si sta formando. 1. Al summit globale sull’economia di Pittsburg del 24 e 25 settembre scorsi, i leader dei maggiori poteri industriali, i G-7 (G-8 comprendendo la Russia) hanno concordato di dare la responsabilità per la sorveglianza dell’economia mondiale al gruppo più ampio ed inclusivo dei G-20, aggiungendo la Cina, l’India, il Brasile, la Turchia ed altre nazioni in via di sviluppo. E se sono stati espressi dei dubbi sulla capacità di un tale gruppo più ampio di esercitare la leadership globale effettiva, non c’è dubbio che la mossa in sé ha segnalato uno spostamento del luogo del potere economico mondiale dall’Occidente all’Est e al Sud globale -- e con tale spostamento è stato registrato un declino sismico del predominio economico dell’America.

Jeffrey Sachs della Columbia University ha scritto sul Financial Times che “il vero significato dei G-20 non consiste nel passaggio della staffetta da parte dei G-7/G-8, ma da parte del G-1, gli Stati Uniti”. “Persino durante i 33 anni del forum economico dei G-7, gli USA prendevano le decisioni economiche importanti”. Sachs ha inoltre notato che il declino della leadership americana nel corso delle ultime decadi è stato oscurato dal crollo dell’Unione Sovietica e da un’iniziale vantaggio dell’America nella tecnologia dell’informazione, ma è impossibile ora non constatare lo spostamento del potere economico dagli Stati Uniti alla Cina e ad altre potenze economiche nascenti.

2. Stando alle notizie, i rivali economici dell’America starebbero conducendo riunioni segrete (e non poi così segrete) per esplorare un ruolo diminuito per il dollaro americano -- che sta rapidamente perdendo il suo valore -- nel commercio internazionale. Fino ad ora l’uso del dollaro come mezzo internazionale di scambio ha dato agli Stati Uniti un notevole vantaggio economico: possono semplicemente stampare dollari per adempiere ai propri obblighi internazionali mentre le altre nazioni devono convertire le proprie valute in dollari, sovente con grossi costi aggiuntivi. Tuttavia adesso molti dei maggiori paesi commerciali -- tra cui la Cina, la Russia, il Giappone, il Brasile e i paesi petroliferi del Golfo Persico -- stanno considerando l’uso dell’euro, o di un “canestro” di valute come nuovo mezzo di scambio. Se tale piano venisse adottato accelererebbe la caduta precipitosa del valore del dollaro ed eroderebbe ulteriormente l’influenza americana negli affari economici internazionali.

Una discussione simile avrebbe avuto luogo, secondo quanto riportato, l’estate scorsa durante un summit dei paesi del BRIC. Appena un concetto fino ad un anno fa, quando l’idea stessa del BRIC è stata architettata da un capo economista della Goldman Sachs, il consorzio BRIC è diventato realtà in carne ed ossa il giugno scorso quando i leader dei quattro paesi hanno tenuto un convegno inaugurale a Yekaterinburg, in Russia.

Il fatto stesso che Brasile, Russia, India e Cina abbiano scelto di incontrarsi come gruppo è stato considerato significativo, dato che possiedono insieme circa il 43% della popolazione mondiale e si stima che rappresenteranno il 33% del prodotto interno lordo mondiale entro il 2030 -- circa quanto gli Stati Uniti e l’Europa occidentale in quel periodo. Seppure i leader del BRIC abbiano deciso di non formare un corpo permanente come i G-7 per il momento, hanno concordato di coordinare gli sforzi per sviluppare alternative al dollaro e riformare il Fondo Monetario Internazionale in modo tale da dare più voce in capitolo ai paesi non occidentali.

3. Sul fronte diplomatico, Washington è stata respinta sia dalla Russia che dalla Cina nel suo sforzo di garantire sostegno per accrescere la pressione internazionale sull’Iran affinché cessi il suo programma di arricchimento nucleare. Un mese dopo che il presidente Obama ha cancellato i piani di dispiegare un sistema di missili antiballistici nell’Europa dell’est, un’evidente offerta per assicurarsi l’appoggio della Russia per la linea dura nei confronti di Tehran, i massimi capi russi stanno chiaramente indicando di non avere alcuna intenzione di approvare forti nuove sanzioni sull’Iran. “Le minacce, le sanzioni e le minacce di pressioni nella situazione attuale, ne siamo convinti, sarebbero controproducenti” ha dichiarato il ministro degli esteri russo Sergey V. Lavrov, a seguito di un incontro con il segretario di stato americano Hillary Clinton tenutosi a Mosca lo scorso 13 ottobre. Il giorno seguente, il primo ministro russo Vladimir Putin ha detto che la minaccia di sanzioni era “prematura”. Dati i rischi politici che ha corso Obama cancellando il programma missilistico -- una mossa ampiamente condannata dai repubblicani a Washington -- lo sbrigativo rifiuto all’appello americano per la cooperazione sulla questione dell’arricchimento dell’Iran può solo essere interpretato come un ulteriore segno dell’indebolimento dell’influenza americana.

4. Si può inferire esattamente lo stesso da un incontro ad alto livello tenutosi a Beijing lo scorso 15 ottobre tra il primo ministro cinese Wen Jiabao e il primo vice presidente dell’Iran Mohammed Reza Rahimi. “La relazione sino-iraniana ha testimoniato un rapido sviluppo, dato che i leader dei due paesi hanno avuto frequenti scambi, e la collaborazione per il commercio e per l’energia si è allargata ed approfondita”, ha detto Wen Jiabao nella Grande Sala del Popolo. In un momento in cui gli Stati Uniti sono impegnati in un vigoroso sforzo diplomatico per persuadere, insieme ad altri paesi, la Cina e la Russia a ridurre i loro legami commerciali con l’Iran come un preludio a sanzioni più dure, la dichiarazione della Cina può essere solo considerata come un palese rifiuto di Washington.

5. Dal punto di vista di Washington, gli sforzi per assicurare il sostegno internazionale per la guerra in Afghanistan sono stati anche accolti con una risposta marcatamente deludente. In quello che può essere solo considerato un triviale e riluttante voto di sostegno per lo sforzo bellico guidato dagli USA, il primo ministro britannico Gordon Brown ha annunciato lo scorso 14 ottobre che la Gran Bretagna aggiungerà altre truppe al contingente britannico in Afghanistan -- ma non più di 500, e solo se anche le altre nazioni europee aumenteranno il loro coinvolgimento militare, cosa che indubbiamente sa di essere molto improbabile. Finora questo piccolo contingente provvisorio rappresenta la somma totale delle truppe aggiuntive che l’amministrazione di Obama è riuscita a strappare agli alleati europei dell’America, nonostante il sostenuto sforzo diplomatico per rafforzare le forze combinate della NATO in Afghanistan. In altre parole, persino l’alleato europeo dell’America più leale ed ossequioso non pare più disposto a portare il fardello di ciò che è ampiamente considerato come l’ennesima costosa e debilitante avventura militare americana nel grande Medio Oriente.

6. Infine, in una mossa di straordinaria importanza simbolica, il comitato olimpico internazionale (COI) ha scartato Chicago (oltre che Madrid e Tokyo) scegliendo Rio de Janeiro per ospitare le Olimpiadi estive del 2016, la prima volta che una nazione sudamericana viene prescelta per questo onore. Finché la votazione non ha avuto luogo Chicago era considerata una forte candidata, specialmente da quando Barack Obama, precedentemente residente a Chicago, è comparso a Copenhagen per fare pressioni sul comitato. Ciononostante, in uno sviluppo che ha scioccato il mondo intero, Chicago non solo ha perso, ma è stata la prima città ad essere eliminata durante proprio la prima votazione.

“Il Brasile è passato da paese di seconda classe a paese di prima classe, ed oggi abbiamo iniziato a ricevere il rispetto che meritiamo” ha detto il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva durante i festeggiamenti per la vittoria a Copenhagen dopo la votazione. “Potrei morire in questo istante e ne sarebbe già valsa la pena”. In pochi l’hanno detto, ma nel corso del processo per la decisione sulle olimpiadi, gli USA sono stati sommariamente e palesemente surclassati in un attimo da unico superpotere a mero partecipante, un momento simbolico su un pianeta che entra in una nuova era.

Essere un paese ordinario

Questi sono solo alcuni esempi dei recenti sviluppi che indicano, all’autore, che i giorni del predominio globale dell’America sono già giunti al termine, con anni di anticipo rispetto alle aspettative della comunità dell’ intelligence americana. È sempre più chiaro che gli altri poteri -- persino i nostri più vicini alleati -- stanno perseguendo in misura sempre maggiore politiche estere indipendenti, senza tener conto di quali pressioni possa cercare di fare Washington.

Certo, niente di tutto questo significa che per ancora un po’ di tempo a venire gli USA non manterranno la più grande economia mondiale e, in termini di pura distruttività, la più potente forza militare.
Tuttavia, non vi è dubbio che l’ambiente strategico in cui i leader americani devono prendere le decisioni critiche, quando si tratta di interessi nazionali vitali, è cambiato radicalmente dall’inizio della crisi economica globale.

Ancor più importante, il presidente Obama e i suoi esperti consiglieri stanno, così sembra, iniziando con riluttanza a modificare la politica estera americana con in mente questa nuova realtà globale. Questo appare evidente, ad esempio, nella decisione dell’amministrazione di rivisitare la strategia americana sull’Afghanistan.

Dopotutto era solo marzo quando il presidente abbracciava una nuova strategia orientata sulla controinsurrezione in Afghanistan, che coinvolgeva l’aumento dei soldati americani sul territorio e l’impegno di sforzi protratti per conquistare i cuori e le menti dei villaggi afgani dove i Talebani avevano riguadagnato terreno. È stato su questa base che ha licenziato il comandante in carica delle forze americane in Afghanistan, generale David D. McKiernan, sostituendolo con il generale Stanley A. McChrystal, considerato un più vigoroso fautore della controinsurrezione. Tuttavia quando McChrystal ha presentato ad Obama il conto per l’attuazione di questa strategia -- da 40 000 a 80 000 truppe in più (oltre le circa 20 000 extra truppe solo recentemente impegnate nel conflitto) -- in molti nel ristretto circolo del presidente si sono evidentemente sbiancati.

Non solo un così grande schieramento costerà centinaia di bilioni di dollari al Ministero del Tesoro americano, che può a stento permetterselo, ma gli sforzi a cui saranno sottoposti i corpi dell’esercito e della marina saranno molto probabilmente al limite della sopportabilità, dopo anni di viaggi multipli e di stress in Irak. Questo prezzo sarebbe certo più tollerabile se gli alleati dell’America si facessero maggiormente carico dell’onere, ma sono sempre meno pronti a farlo.

Senza dubbio, i leader della Russia e della Cina non sono del tutto scontenti di vedere gli Stati Uniti esaurire le proprie risorse economiche e militari in Afghanistan. In questi frangenti, non ci sorprende che il vice presidente Joe Biden, insieme ad altri, chieda una svolta nella politica americana, rinunciando all’approccio della controinsurrezione ed optando invece per una strategia meno costosa “antiterroristica”, finalizzata in parte a schiacciare Al Quaeda nel Pakistan -- utilizzando aeromobili radiocomandati e forze speciali, piuttosto che un gran numero di truppe americane (e lasciando relativamente invariati i livelli delle truppe in Afghanistan).

È troppo presto per prevedere come si svolgerà la revisione del presidente della strategia americana in Afghanistan, ma il fatto stesso che non abbia accettato immediatamente il piano McChrystal e che abbia lasciato a Biden così tanto spazio per perorare la sua causa, suggerisce che potrebbe finire col riconoscere la follia dell’espansione delle imprese militari americane all’estero in un momento in cui la sua egemonia globale sta calando.

Si avverte la cautela di Obama in altre sue mosse recenti. Sebbene continui ad insistere che l’acquisizione di armi nucleari da parte dell’Iran sia inammissibile e che l’uso della forza per prevenirlo rimane un’opzione, si è chiaramente mosso in modo da minimizzare la possibilità che tale opzione -- che sarebbe inoltre intralciata dai recalcitranti “alleati”-- sarà mai impiegata.

Il risvolto della medaglia è che ha dato nuova linfa alla diplomazia americana, cercando rapporti migliori con Mosca ed approvando i contatti diplomatici rinnovati con quelli che in precedenza erano stati paria come il Burma, il Sudan, e la Siria. Anche questo riflette la realtà del nostro mondo che cambia: che l’atteggiamento di bullismo, “io sono meglio di te” adottato dall’amministrazione Bush nei confronti di questi ed altri paesi per quasi otto anni ha ottenuto ben poco. Pensiamola come una tacita conferma che l’America adesso sta discendendo dal suo status di “unico superpotere” globale fino allo status di ordinario paese. Questo, dopotutto, è quello che fanno i paesi ordinari; coinvolgono gli altri paesi nel discorso diplomatico, che gli piaccia o meno il loro attuale governo.

Allora, benvenuti nel mondo del 2025. Non assomiglia al mondo del nostro passato recente, quando gli Stati Uniti sovrastavano tutte le altre nazioni, e non si armonizza bene con le fantasie di potere globale di Washington dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991. Ma è la realtà.

Per molti Americani la perdita di tale egemonia può essere fonte di disagio, o persino di disperazione. D’altra parte, non dimentichiamoci i vantaggi di essere un paese ordinario come ogni altro: nessuno si aspetta che il Canada, la Francia o l’Italia mandino altre 40 000 truppe in Afghanistan, in aggiunta alle 68 000 che sono già lì e alle 120 000 ancora in Irak. E nessuno pretende neanche che questi paesi spendano $925 bilioni di dollari dei contribuenti per farlo -- l'attuale stima del costo di entrambi i conflitti secondo il National Priorities Project.

Rimane il quesito: per quanto tempo ancora Washington penserà che gli Americani possono permettersi di finanziare un ruolo globale che prevede il presidio di gran parte del pianeta e di combattere guerre lontane nel nome della sicurezza mondiale, quando l’economia americana sta perdendo così tanto terreno a vantaggio dei suoi competitori? Questo è il dilemma che dovranno affrontare il presidente Obama e i suoi consiglieri nel mondo alterato del 2025.

Michael T. Klare è professore di studi per la pace e per la sicurezza mondiale presso l’Hampshire College, ed è l’autore di Rising Powers, Shrinking Planet: The New Geopolitics of Energy (Owl Books). Il suo precedente libro “Blood and Oil” è disponibile in versione film documentario dalla Media Education Foundation, al sito Bloodandoilmovie.com.

Fonte: www.middle-east-online.com

07 novembre 2009

Questo è il potere




Eccovi i nomi e cognomi del Potere, chi sono, dove stanno, cosa fanno. Così li potrete riconoscere e saprete chi realmente oggi decide come viviamo. Così evitate di dedicare tutto il vostro tempo a contrastare le marionette del Potere, e mi riferisco a Berlusconi, Gelli, Napolitano, D’Alema, i ministri della Repubblica, la Casta e le mafie regionali. Così non avrete più quell’imbarazzo nelle discussioni, quando chi ascolta chiede “Sì, ma chi è il Sistema esattamente?”, e vi toccava di rispondere le vaghezze come “le multinazionali… l’Impero… i politici… ”. Qui ci sono i nomi e i cognomi, quindi, dopo avervi raccontato dove nacque il Potere (‘Ecco come morimmo’, paolobarnard.info), ora l’attualità del Potere. Tuttavia è necessaria una premessa assai breve.

Il Potere è stato eccezionalmente abile in molti aspetti, uno di questi è stato il suo mascheramento. Il Potere doveva rimanere nell’ombra, perché alla luce del sole avrebbe avuto noie infinite da parte dei cittadini più attenti delle moderne democrazie. E così il Potere ci ha rifilato una falsa immagine di se stesso nei panni dei politici, dei governi, e dei loro scherani, così che la nostra attenzione fosse tutta catalizzata su quelli, mentre il vero Potere agiva sostanzialmente indisturbato. Generazioni di cittadini sono infatti cresciuti nella più totale convinzione che il potere stesse nelle auto blu che uscivano dai ministeri, nei parlamenti nazionali, nelle loro ramificazioni regionali, e nei loro affari e malaffari. Purtroppo questa abitudine mentale è così radicata in milioni di persone che il solo dirvi il contrario è accolto da incredulità se non derisione. Ma è la verità, come andrò dimostrando di seguito. Letteralmente, ciò che tutti voi credete sia il potere non è altro che una serie di marionette cui il vero Potere lascia il cortiletto della politica con le relative tortine da spartire, a patto però che eseguano poi gli ordini ricevuti. Quegli ordini sono le vere decisioni importanti su come tutti noi dobbiamo vivere. E’ così da almeno 35 anni. In sostanza il punto è questo: combattere la serie C dei problemi democratici (tangentopoli, la partitocrazia, gli inciuci D’Alem-berlusconiani, i patti con le mafie, l’attacco ai giudici di questo o quel politico, le politiche locali dei pretoriani di questo o quel partito ecc.) è certamente cosa utile, non lo nego, ma non crediate che cambierà una sola virgola dei problemi capitali di tutti gli italiani, cioè dei vostri problemi di vita, perché la loro origine è decretata altrove e dal vero Potere. O si comprende questo operando un grande salto di consapevolezza, oppure siamo al muro. “Un colossale e onnicomprensivo ingranaggio invisibile manovra il sistema da lontano. Spesso cancella decisioni democratiche, prosciuga la sovranità degli Stati e si impone ai governi eletti”. Il Presidente brasiliano Lula al World Hunger Summit del 2004.

E’ nell’aria.

Come ho detto, sarò specifico, ma si deve comprendere sopra ogni altra cosa che oggi il Potere è prima di tutto un’idea economica. Oggi il vero Potere sta nell’aria, letteralmente dovete immaginare che esiste un essere metafisico, quell’idea appunto, che ha avvolto il mondo e che dice questo: ‘Pochi prescelti devono ricevere il potere dai molti. I molti devono stare ai margini e attendere fiduciosi che il bene gli coli addosso dall’alto dei prescelti. I governi si levino di torno e lascino che ciò accada’.
Alcuni di voi l’avranno riconosciuta, è ancora la vecchia teoria dei Trickle Down Economics di Ronald Reagan e di Margaret Thatcher, cioè il Neoliberismo, cioè la scuola di Chicago, ovvero il purismo del Libero Mercato. Questa idea economica comanda ogni atto del Potere, e di conseguenza la vostra vita, che significa che davvero sta sempre alla base delle azioni dei governi e dei legislatori, degli amministratori e dei datori di lavoro. Quindi essa comanda te, i luoghi in cui vivi, il tuo impiego, la tua salute, le tue finanze, proprio il tuo quotidiano ordinario, non cose astruse e lontane dal tuo vivere. La sua forza sta nel fatto di essere presente da 35 anni in ogni luogo del Potere esattamente come l’aria che esso respira nelle stanze dove esiste. La respirano, cercate di capire questo, gli uomini e le donne di potere, senza sosta, dal momento in cui mettono piede nell’università fino alla morte, poiché la ritrovano nei parlamenti, nei consigli di amministrazione, nelle banche, nelle amministrazioni, ai convegni dove costoro si conoscono e collaborano, ovunque, senza scampo. Ne sono conquistati, ipnotizzati, teleguidati. Il Potere ha creato attorno a quell’idea degli organi potentissimi, che ora vi descrivo, il cui compito è solo quello di metterla in pratica, null’altro. Essi sono quindi la parte fisica del Potere, ma che per comodità chiamiamo il vero Potere.

Primo organo: Il Club.

Il primo organo del Potere è il Club, cioè il raggruppamento in posti precisi ed esclusivi dei veri potenti. Chi sono? Sono finanzieri, industriali, ministri, avvocati, intellettuali, militari, politici scelti con cura. Fate attenzione: questo Club non sta mai nei luoghi che noi crediamo siano i luoghi del potere, cioè nei parlamenti, nelle presidenze, nelle magistrature, nei ministeri o nei business. Esso è formato da uomini e da donne provenienti da quei luoghi, ma che si riuniscono sempre all’esterno di essi ed in privato. Come dire: quando quegli uomini e quelle donne siedono nelle istituzioni democratiche sono solo esecutori di atti (leggi, investimenti, tagli…) che erano stati da loro stessi decisi nel Club. Esso assume nomi diversi a seconda del luogo in cui si riunisce. Ad esempio: prende il nome di Commissione Trilaterale se i suoi membri si riuniscono a Washington, a Tokio o a Parigi (ma talvolta in altre capitali UE). I fatti principali della Trilaterale: nasce nel 1973 come gruppo di potenti cittadini americani, europei e giapponesi; dopo soli due anni stila le regole per la distruzione globale delle sinistre e la morte delle democrazie partecipative, realmente avvenute; afferma la supremazia della guida delle elite sulle masse di cittadini che devono essere “apatici” e su altre nazioni; ha 390 membri, fra cui i più noti sono (passato e presente) Henry Kissinger, Jimmy Carter, David Rockefeller, Zbigniev Brzezinski, Giovanni Agnelli, Arrigo Levi, Carlo Secchi, Edmond de Rothschild, George Bush padre, Dick Cheney, Bill Clinton, Alan Greenspan, Peter Sutherland, Alfonso Cortina, Takeshi Watanabe , Ferdinando Salleo; assieme ad accademici (Harvard, Korea University Seoul, Nova University at Lisbon, Bocconi, Princeton University…), governatori di banche (Goldman Sachs, Banque Industrielle et Mobilière Privée, Japan Development Bank, Mediocredito Centrale, Bank of Tokyo-Mitsubishi, Chase Manhattan Bank, Barclays…) ambasciatori, petrolieri (Royal Dutch Shell, Exxon…), ministri, industriali (Solvay, Mitsubishi Corporation, The Coca Cola co. Texas Instruments, Hewlett-Packard, Caterpillar, Fiat, Dunlop…) fondazioni (Bill & Melinda Gates Foundation, The Brookings Institution, Carnegie Endowment…). Costoro deliberano ogni anno su temi come ‘il sistema monetario’, ‘il governo globale’, ‘dirigere il commercio internazionale’, ‘affrontare l’Iran’, ‘il petrolio’, ‘energia, sicurezza e clima’, ‘rafforzare le istituzioni globali’, ‘gestire il sistema internazionale in futuro’. Cioè tutto, e leggendo i rapporti che stilano si comprende come i loro indirizzi siano divenuti realtà nelle nostre politiche nazionali con una certezza sconcertante.

Quando il Club necessita di maggior riservatezza, si dà appuntamento in luoghi meno visibili dei palazzi delle grandi capitali, e in questo caso prende il nome di Gruppo Bilderberg, dal nome dell’hotel olandese che ne ospitò il primo meeting nel 1954. I fatti principali di questa organizzazione: si tratta in gran parte degli stessi personaggi di cui sopra più molti altri a rotazione, ma con una cruciale differenza poiché a questo Gruppo hanno accesso anche politici o monarchi attualmente in carica, mentre nella Commissione Trilaterale sono di regola ex. Parliamo in ogni caso sempre della stessa stirpe, al punto che fu una costola del Bilderberg a fondare nel 1973 la Commissione Trilaterale. Il Gruppo è però assai più ‘carbonaro’ della Trilaterale, e questo perché la sua originaria specializzazione erano gli affari militari e strategici. Infatti, in esso sono militati diversi segretari generali della NATO e non si prodiga facilmente nel lavoro di lobbistica come invece fa la Commissione. La peculiarità dirompente del Bilderberg è che al suo interno i potenti possono, come dire, levarsi le divise ed essere in libertà, cioè dichiarare ciò che veramente pensano o vorrebbero privi del tutto degli obblighi istituzionali e di ruolo. Precisamente in questo sta il pericolo di ciò che viene discusso nel Gruppo, poiché in esso i desideri più intimi del Potere non trovano neppure quello straccio di freno che l’istituzionalità impone. Da qui la tradizione di mantenere attorno al Bilderberg un alone di segretezza assoluto. I partecipanti sono i soliti noti, fra cui una schiera di italiani in posizioni chiave nell’economia nazionale, cultura e politica. Non li elenco perché non esistendo liste ufficiali si va incontro solo a una ridda di smentite (una lista si trova comunque su Wikipedia). Un fatto non smentibile invece, e assai rilevante, è la cristallina dichiarazione del Viscount Etienne Davignon, che nel 2005 fu presidente del Bilderberg, rilasciata alla BBC: “Agli incontri annuali, abbiamo automaticamente attorno ai nostri tavoli gli internazionalisti… coloro che sostengono l’Organizzazione Mondiale del Commercio, la cooperazione transatlantica e l’integrazione europea.” Cioè: i primatisti del Libero Mercato con potere sovranazionale ( si veda sotto), e i padrini del Trattato di Lisbona, cioè il colpo di Stato europeo con potere sovranazionale che ci ha trasformati in cittadini che verranno governati da burocrati non eletti. Di nuovo, i soliti padroni della nostra vita, che significa decisioni inappellabili su lavoro, previdenza, servizi sociali, tassi dei mutui, costo della vita ecc., prese non a Palazzo Chigi o all’Eliseo, ma a Ginevra o a Brussell o nelle banche centrali, dopo essere state discusse al Bilderberg.

Per darvi un’idea concreta di come questi Club e gli altri organi del Potere siano in realtà un unico blocco che si scambia sempre gli stessi personaggi, vi sottopongo la figura di Peter Sutherland. Costui lo si è trovato a dirigere la British Petroleum, la super banca Goldman Sachs, l’università The London School of Economics (una delle fucine mondiali di ministri dell’economia), ed è stato anche Rappresentante Speciale dell’ONU per l’immigrazione e lo sviluppo, Direttore Generale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (secondo organo del Potere), membro della Commissione Europea (il super-governo d’Europa), e ministro della Giustizia d’Irlanda. E, ovviamente, membro sia della Commissione Trilaterale che del Gruppo Bilderberg.

Secondo organo: Il colosso di Ginevra.

Si chiama Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), nacque nel 1994 ed è più potente di qualsiasi nazione o parlamento. Riunisce 153 Paesi in un’unica sede a Ginevra, dove essi dettano le regole del commercio internazionale, e ciò dicendo capirete che stiamo parlando di praticamente tutta l’economia del mondo produttivo, che lì viene decisa. Cioè fette enormi dei nostri posti di lavoro, di ciò che compriamo, mangiamo, con cui ci curiamo ecc., cose della nostra vita quotidiana, non astratte e lontane. Le decidono loro, e come nel caso della nuova Europa del Trattato di Lisbona, anche al WTO le regole emanate, dette Accordi, sono sovranazionali, cioè più potenti delle leggi nazionali. E come nel caso del Trattato, diviene perciò cruciale che regole così forti siano decise in modo democratico. Nel Trattato non lo sono, e al WTO? Neppure. Infatti la sua organizzazione di voto è falsata dallo strapotere dei soliti Paesi ricchi nel seguente modo: i Paesi poveri o meno sviluppati non posseggono le risorse economiche e il personale qualificato in numeri sufficienti per poter seguire il colossale lavoro di stesura degli Accordi del WTO (27.000 pagine di complicatissima legalità internazionale, 2.000 incontri annui), per cui ne sono tagliati fuori. Chi sta al timone è il cosiddetto gruppo QUAD, formato da Usa, Giappone, Canada ed Europa. Ma l'Europa intera è rappresentata al tavolo delle trattative del WTO dalla Commissione Europea, che nessun cittadino elegge, e per essere ancora più precisi vi dico che in realtà chi decide per tutti noi europei è un numero ancora più ristretto di burocrati: il misterioso Comitato 133 della Commissione, formato da specialisti ancor meno legittimati. La politica italiana di norma firma gli Accordi senza neppure leggerli.

Se un Paese si oppone a una regola del WTO può essere processato da un tribunale al suo interno (Dispute Settlement Body), dotato di poteri enormi. Questo tribunale è formato da tre (sic) individui di estrazione economico-finanziaria, le cui sentenze finali sono inappellabili. Una sentenza del WTO può penalizzare o persino ribaltare le scelte democratiche di milioni di cittadini, anche nei Paesi ricchi. Per esempio, tutta l’Europa è stata condannata a risarcire gli USA con milioni di euro perché si è rifiutata di importare la carne americana agli ormoni. Neppure gli Stati Uniti hanno potere sulle decisioni del WTO. Il presidente Obama, sotto pressione dai cittadini a causa della catastrofe finanziaria dello scorso anno, aveva deciso di imporre nuove regole restrittive delle speculazioni selvagge delle banche (la causa della crisi). Ma gli è stato sbarrato il passo proprio da una regola del WTO, che si chiama Accordo sui Servizi Finanziari, e che sancisce l’esatto contrario, cioè proibisce alla Casa Bianca e al Congresso di regolamentare quelle mega banche. E sapete chi, anni fa, negoziò quell’accordo al WTO? Timothy Geithner, attuale ministro del Tesoro USA, che è uno dei membri del Gruppo Bilderberg. Fa riflettere.

Vi do ancora un’idea rapida del potere del WTO. Gli Accordi che ha partorito: 1) hanno il potere di esautorare le politiche sanitarie di qualunque Paese, incrinando il vecchio Principio di Precauzione che ci tutela dallo scambio di merci pericolose (WTO: Accordo Sanitario- Fitosanitario).
2) tolgono al cittadino la libertà di sapere in quali condizioni sono fatte le merci che acquista e con che criteri sono fatte, inoltre ostacolano l’uso delle etichette a tutela del consumatore (WTO: Accordo Sanitario-Fitosanitario & Accordo Barriere Tecniche al Commercio, con implicazioni sui diritti dei lavoratori e sulla tutela dell'ambiente).
3) impongono ai politici di concedere alle multinazionali estere le stesse condizioni richieste alle aziende nazionali nelle gare d’appalto, a prescindere dalla necessità di favorire l’occupazione nazionale; e minacciano le scelte degli amministratori locali nel caso volessero facilitare l'inserimento di gruppi di lavoratori svantaggiati, poiché tali politiche sono considerate discriminazioni al Libero Mercato (WTO: Accordo Governativo sugli Appalti - Principio del Trattamento Nazionale ecc.).
4) accentrano nelle mani di poche multinazionali i brevetti della maggioranza dei principi attivi e delle piante che si usano per i farmaci o per l'agricoltura, poiché permettono la brevettabilità privata delle forme viventi e tutelano quei brevetti per 20 anni. Inoltre, il fatto che i brevetti siano protetti dal WTO per 20 anni sta alla base anche della mancanza di farmaci salva vita nei Paesi poveri. (WTO: Accordo TRIPS sulla Proprietà Intellettuale).
5) stanno promuovendo a tutto spiano la privatizzazione e l’apertura al Libero Mercato estero di praticamente tutti i servizi alla cittadinanza, anche di quelli essenziali come sanità, acqua, istruzione, assistenza agli anziani ecc., con regole che impediranno di fatto agli amministratori locali la tutela dei cittadini meno abbienti che non possono permettersi servizi privati (WTO: Accordo GATS in fase di negoziazione).

E ricordo, se ce ne fosse bisogno, che questi Accordi sono vincolanti su qualsiasi legge nazionale, esautorando quindi i nostri politici dalla gestione della nostra economia nei capitoli che contano.

Terzo organo: I suggeritori.

Prendete un disegno di legge e un decreto in campo economico, persino una finanziaria. Pensateli nelle mani dei politici che li attuano, e ora immaginate cosa gli sta dietro. Cosa? I ‘suggeritori’. Chi sono? Sono i lobbisti, coloro cioè che sono ricevuti in privato da ogni politico che conti al mondo e che gli ‘suggeriscono’ (spesso dettano) i contenuti delle leggi e dei decreti, ma anche delle linee guida di governo e persino dei programmi delle coalizioni elettorali. Le lobby non sono l’invenzione di fantasiosi perditempo della Rete. Sono istituzioni con nomi e cognomi, con uffici, con budget (colossali) di spesa, dove lavorano i migliori cervelli delle pubbliche relazioni in rappresentanza del vero Potere.

In ordine di potenza di fuoco, vi sono ovviamente le lobbies internazionali, quelle europee e infine quelle italiane. Parto da queste ultime. Va detto subito che nel nostro Paese l’interferenza dei ‘suggeritori’ non ha mai raggiunto i livelli di strapotere degli omologhi americani o europei, il cui operato tuttavia detta legge per contagio anche in casa nostra. Ma nondimeno essa c’è, e non va trascurata, anche perché in Italia esiste un vuoto normativo totale sull’attività delle lobbies: dopo decine di proposte di legge, nessuna di esse è mai approdata alla Gazzetta Ufficiale. I lobbisti italiani sono circa un migliaio, organizzati in diverse aziende fra cui spunta la Reti, fatturato 6 milioni di euro annui e gestione di un ex d’Alemiano di ferro, Claudio Velardi (altri gruppi: Cattaneo Zanetto & co., VM Relazioni Istituzionali, Burson-Marsteller, Beretta-Di Lorenzo & partners…). La proiezione per il futuro dei ‘suggeritori’ italiani è di almeno diecimila unità entro dieci anni, almeno secondo le richieste dei gruppi più noti. In assenza di regole, dunque, le cose funzionano così: si sfrutta la legge berlusconiana per il finanziamento ai partiti che permette finanziamenti occulti alle formazioni politiche fino a 50.000 euro per ciascun donatore, con la possibilità per la lobby di turno di far versare 49.999 euro dal banchiere A, altri 49.999 da sua moglie, altri 49.999 da suo figlio, ecc. all’infinito. In questo modo, con una stima basata sui bilanci passati, si calcola che il denaro sommerso versato alla politica italiana ammonti a diverse decine di milioni di euro all’anno, provenienti dai settori edile, autostradale, metallurgico, sanitario privato, bancario, televisivo, immobiliare fra gli altri. Le ricadute sui cittadini sono poi leggi e regolamenti che vanno a modificare spesso in peggio la nostra economia di vita e di lavoro. Un solo dato che fa riflettere: mentre appare ovvio che le grosse cifre siano spese per i ‘suggerimenti’ ai due maggiori partiti italiani, colpisce che l’UDC si sia intascata in offerte esterne qualcosa come 2.200.000 euro nel 2008, di cui l’80% da un singolo lobbista (l’immobiliarista Caltagirone). Chi di voi pensa ancora che il Potere siano i politici a Roma, pensi alla libertà di Pierferdinando Casini nel legiferare in campo immobiliare, tanto per fare un esempio. Ma non solo: Antonio di Pietro incassa 50.000 euro dalla famiglia Lagostena Bassi, che controlla il mercato delle Tv locali ma che contemporaneamente serve Silvio Berlusconi e foraggia la Lega Nord. Un obolo a fondo perduto? Improbabile. Il Cavaliere poi, non ne parliamo neppure; è fatto noto che il criticatissimo ponte sullo stretto di Messina, con le ricadute che avrà su tutti gli italiani, non è certo figlio delle idee di Berlusconi, piuttosto di tal Marcellino Gavio, titolare del gruppo omonimo e primo in lizza per l’impresa, ma anche primo come finanziamenti al PDL con i 650.000 euro versati l’anno scorso.

I ‘suggeritori’ americani… che dire. Negli USA l’industria delle lobby economiche non è più neppure riconoscibile dal potere politico, veramente non si capisce dove finiscano le prime e dove inizi il secondo. Troppo da raccontare, una storia immensa, che posso però riassumere con alcuni sketch. Lobby del petrolio e amministrazione di George W. Bush, risultato: due guerre illegali e sanguinarie (Iraq e Afghanistan), montagne di morti (oltre 2 milioni), crimini di guerra, l’intera comunità internazionale in pericolo, il prezzo del petrolio alle stelle, di conseguenza il costo della nostra vita alle stelle, ma alle stelle anche i profitti dei petrolieri. Chi ha deciso? Risposta: i membri della sopraccitata lobby del petrolio, che sono Dick Cheney, James Baker III, l’ex della Enron Kenneth Lay, il presidente del Carlyle Group Frank Carlucci, Robert Zoellick, Thomas White, George Schultz, Jack Sheehan, Don Evans, Paul O’Neil; a servizio di Shell, Mobil, UnionCarbide, Huntsman, Amoco, Exxon, Alcoa, Conoco, Carlyle, Halliburton, Kellog Brown & Root, Bechtel, e Enron. George W. Bush è il politico più ‘oliato’ nella Storia americana, con, solo dalle casse dei giganti di petrolio e gas, un bottino di oltre 1 milione e settecentomila dollari.
Lobby finanziaria/assicurativa e Barak Obama: nel 2008 crollano le banche USA dopo aver truffato milioni di esseri umani e migliaia di altre banche internazionali, 7 milioni di famiglie americane perdono il lavoro, l’intera economia mondiale va a picco, Italia inclusa. Obama firma un’emorragia di denaro pubblico dopo l’altra per salvare il deretano dei banchieri truffatori e per rianimare l’economia (dai 5 mila miliardi di dollari agli 11 mila secondo le stime), senza che neppure uno di quei gaglioffi finisca in galera. Anzi: il suo governo ha chiamato a ripulire i disastri di questa crisi globale gli stessi personaggi che l’hanno creata. Invece di farli fallire e di impiegare il denaro pubblico per la gente in difficoltà, Obama e il suo ministro del Tesoro Timothy Geithner gli hanno offerto una montagna di denaro facile affinché comprino i debiti delle banche fallite. Funziona così: questi delinquenti hanno ricevuto da Washington l’85% del denaro necessario per comprare quei debiti, mentre loro ne metteranno solo il 15%. Se le cose gli andranno bene, se cioè ritorneranno a guadagnare, si intascheranno tutti i profitti; se invece andranno male, essi ci rimetteranno solo il 15%, perché l’85% lo ha messo il governo USA e non è da restituire (i fondi così regalati si chiamano non-recourse loans). E’ il solito “socialismo al limone: le perdite sono dei contribuenti e i profitti sono degli investitori privati”. Non solo: il presidente propone nell’estate del 2009 una regolamentazione del settore finanziario che il Washington Post ha deriso definendola “Priva di un’analisi delle cause della crisi… e senza alcun vero controllo sugli hedge funds, gli equity funds, e gli investitori strutturati”, cioè nessun vero limite agli speculatori che causarono la catastrofe. Domanda: quanto denaro ha preso Obama in campagna elettorale dalle lobby finanziarie? Risposta: 38 milioni di dollari. Allora, chi comanda? Il Presidente o le lobby del Potere?

Poi ci sono i 45 milioni di americani senza assistenza sanitaria. Obama propone una falsa riforma della Sanità per tutelare gli esclusi, ma che, nonostante le sciocchezze scritte dai media italiani, non ha nulla di pubblico ed è un ulteriore regalo ai giganti delle assicurazioni private americane. Domanda: quanto denaro ha preso Obama in campagna elettorale dalle lobby assicurative e sanitarie? Risposta: oltre 20 milioni di dollari. Allora, chi comanda? Il Presidente o le lobby del Potere?
Washington è invasa ogni santo giorno da qualcosa come 16.000 o 40.000 lobbisti a seconda che siano registrati o meno, la cui percezione del potere che esercitano è cristallina al punto da spingere uno di loro, Robert L. Livingston, a sbottare entusiasta “Ci sono affari senza limiti per noi là fuori!”, mentre dalle finestre del suo ufficio spiava le sedi del Congresso USA.

Ma l’ultimo sketch del potere dei ‘suggeritori’, sempre in ambito americano, è quello delle lobby ebraiche. Qui il dibattito è aperto, fra coloro che sostengono che sono quelle lobby a gestire interamente la politica statunitense nel teatro mediorientale, e coloro che lo negano. Personalmente credo più alla prima ipotesi, ma la sostanza non cambia: di fatto ci troviamo ancora una volta di fronte alla dimostrazione che neppure il governo più potente del mondo può sottrarsi ai condizionamenti del Potere vero. Ecco un paio di illustri esempi: nella primavera del 2002, proprio mentre l’esercito israeliano reinvadeva i Territori Occupati con i consueti massacri indiscriminati di civili, un gruppo di eminenti sostenitori americani d’Israele teneva una conferenza a Washington, dove a rappresentare l’amministrazione di George W. Bush fu invitato l’allora vice ministro della difesa Paul Wolfowitz, noto neoconservatore di estrema destra e aperto sostenitore della nazione ebraica. Lo scomparso Edward Said, professore di Inglese e di Letteratura Comparata alla Columbia University di New York e uno degli intellettuali americani più rispettati del ventesimo secolo, ha raccontato un particolare di quell’evento con le seguenti parole: “Wolfowitz fece quello che tutti gli altri avevano fatto – esaltò Israele e gli offrì il suo totale e incondizionato appoggio – ma inaspettatamente durante la sua relazione fece un fugace riferimento alla ‘sofferenza dei palestinesi’. A causa di quella frase fu fischiato così ferocemente e per così a lungo che non potè terminare il suo discorso, abbandonando il podio nella vergogna.” Stiamo parlando di uno dei politici più potenti del terzo millennio, di un uomo con un accesso diretto alla Casa Bianca e che molti accreditano come l’eminenza grigia dietro ogni atto dello stesso ex presidente degli Stati Uniti. Eppure gli bastò sgarrare di tre sole parole nel suo asservimento allo Stato d’Israele per essere umiliato in pubblico e senza timori da chi, evidentemente, conta più di lui nell’America di oggi. Le lobby ebraiche d’America hanno nomi noti: AIPAC (American Israel Public Affairs Committee), ZOA (Zionist Organization of America), AFSI (Americans for a Safe Israel), CPMAJO (Conference of Presidents of Major American Jewish Organisatios), INEP (Institute for Near East Policy), JDL (Jewish Defense League), B’nai Brith, ADL (Anti Defamation League), AJC (American Jewish Committee), Haddasah. Nei corridoi del Congresso americano possono creare seri grattacapi a Senatori e Deputati indistintamente. Un fronte compatto che secondo lo stesso Edward Said “può distruggere una carriera politica staccando un assegno”

Nel 1992 George Bush senior ebbe l’ardire (e la sconsideratezza) a pochi mesi da una sua possibile rielezione alla Casa Bianca di minacciare Tel Aviv con il blocco di dieci miliardi di dollari in aiuti se non avesse messo un freno agli insediamenti ebraici nei Territori Occupati. Passo falso: gli elettori ebrei americani, che già per tradizione sono propensi al voto Democratico, svanirono davanti ai suoi occhi in seguito alle sollecitazioni delle lobby, e nel conto finale dei voti Bush si trovò con un misero 12% dell’elettorato ebraico contro il 35% che aveva incassato nel 1988. Al contrario, la campagna elettorale del suo rivale Bill Clinton fu invece innaffiata dai lauti finanziamenti proprio di quelle organizzazioni di sostenitori d’Israele, che l’allora presidente aveva in tal modo alienato.
E in ultimo l’Europa, cioè l’Unione Europea. Che alla fine significa Brussell, cioè la Commissione Europea, che è il vero centro decisionale del continente, e che dopo la ratifica del Trattato di Lisbona è divenuta il super governo non eletto di tutti noi, con poteri immensi. A Brussell brulicano dai 15.000 ai 20.000 lobbisti, che spendono un miliardo di euro all’anno per ‘suggerire’ le politiche e le leggi a chi le deve formulare. E come sempre, eccovi i nomi dei maggiori gruppi: Trans Atlantic Buisness Dialogue (TABD) - European Services Leaders Group (ESLG) – International Chamber of Commerce (ICC) – Investment Network (IN) – European Roundtable of Industrialists (ERT) – Liberalization of Trade in Servicies (LOTIS), European Banking Federation, International Capital Market Association e altri. Il loro strapotere può essere reso dicendovi che per esempio l’Investment Network si riuniva direttamente dentro il palazzo della Commissione Europea a Bruxelles, o che il TABD compilava liste di suoi desideri che consegnava alla Commissione da cui poi pretendeva un resoconto scritto sull’obbedienza a quegli ordini. Le aziende rappresentate sono migliaia, fra cui cito una serie di nomi noti: Fiat e Pirelli, Barilla, Canon e Kodak, Johnson & Johnson, Motorola, Ericsson e Nokia, Time Warner, Rank Xerox e Microsoft, Boeing (che fa anche armi), Dow Chemicals, Danone, Candy, Shell, Microsoft, Hewlett Packard, IBM, Carlsberg, Glaxo, Bayer, Hoffman La Roche, Pfizer, Merck, e poi banche, assicurazioni, investitori…
Mi fermo. Il rischio nel continuare è che si perda di vista il punto capitale, ovvero l’assedio che i lobbisti pongono alla politica. Esso, oltre a dimostrare ancora una volta che il potere reale sta nei primi e non nella seconda, è un vero e proprio attentato alla democrazia. Poiché ha ormai snaturato del tutto il principio costituzionale di ogni nazione civile, secondo cui i rappresentanti eletti devono fare gli interessi delle maggioranze dei cittadini e tutelare le minoranze, non essere gli stuoini delle elite e dei loro ‘suggeritori’.

Quarto organo: Think Tanks.

Letteralmente “serbatoi di pensiero” nella traduzione in italiano, le Think Tanks sono esattamente ciò, ovvero fondazioni dove alcuni fra i migliori cervelli si trovano per partorire idee. Il loro potere sta nell’assunto che apre questa mia trattazione, e cioè che sono le idee a dominare sia la Storia che la politica, e di conseguenza la nostra vita, in particolare l’idea economica. Lewis Powell lo comprese assai bene nel 1971, quando diede il via alla riscossa delle elite e alla fine della democrazia partecipativa dei cittadini (si legga ‘Ecco come morimmo’, paolobarnard.info). Infatti egli scrisse: “C’è una guerra ideologica contro il sistema delle imprese e i valori della società occidentale”. La parola ‘ideologica’ è la chiave di lettura qui, volendo dire che se le destre economiche ambivano a riconquistare il mondo, se ambivano a sottomettere la politica, cioè a divenire il vero Potere, si dovevano armare di idee in grado di scalzare ogni altro sistema di vita. Ecco che dalle sue parole nacquero le prime Think Tanks, come la Heritage Foundation, il Manhattan Institute, il Cato Institute, o Accuracy in Academe. La loro strategia era semplice: raccogliere denaro da donatori facoltosi, raccattare nelle università i cervelli più brillanti, pomparli di sapere a senso unico, di attestati prestigiosi, e immetterli nel sistema di comando della società infiltrandolo tutto. Per darvi un’idea di che razza di impatto queste Think Tanks sono riuscite ad avere, cito alcuni fatti. Nel solo campo del Libero Mercato, cioè dell’idea economica del vero Potere, ve ne sono oggi 336, piazzate oltre che nei Paesi ricchi anche in nazioni strategiche come l’Argentina e il Brasile, l’Est Europa, l’Africa, l’India, la Cina, le ex repubbliche sovietiche dell’Asia, oltre che in Italia (Adam Smith Soc., CMSS, ICER, Ist. Bruno Leoni, Acton Ist.). Alcune hanno nomi sfacciati, come la Minimal Government, la The Boss, o la Philanthropy Roundtable; una delle più note e aggressive è l’Adam Smith Institute di Londra, che ostenta un’arroganza di potere tale da vantare come proprio motto questo: “Solo ieri le nostre idee erano considerate sulla soglia della follia. Oggi stanno sulle soglie dei Parlamenti”. Di nuovo, il fatto è sempre lo stesso: la politica è la marionetta, o, al meglio, è il braccio esecutivo del vero Potere. Infatti, l’osservatore attento avrà notato che assai spesso i nostri ministri economici, i nostri banchieri centrali, ma anche presidenti del consiglio (Draghi e Prodi su tutti) si trovano a cene o convegni presso queste fondazioni/Think Tanks, di cui in qualche raro caso i Tg locali danno notizia. In apparenza cerimonie paludate e noiose, in realtà ciò che vi accade è che ministri, banchieri e premier vi si recano per dar conto di ciò che hanno fatto per compiacere all’idea economica del vero Potere. Nel 1982, l’Adam Smith pubblicò il notorio Omega Project, uno studio che ebbe ripercussioni enormi sulla gestione delle nostre vite di lavoratori ordinari, e dove si leggeva che i suoi scopi erano di “fornire un percorso completo per ogni governo basato sui principi di Libero Mercato, minime tasse, minime regolamentazioni per il business e governi più marginali (sic)”. In altre parole tutto ciò che ha già divorato la vita pubblica in Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti e che sta oggi “sulla soglia del Parlamento” in Italia.

Quinto organo: l’Europa dei burocrati non eletti.

Non mi ripeto, poiché questo capitolo è già esaustivamente descritto qui http://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=139. Ma ribadisco il punto centrale: dopo la ratifica del “colpo di Stato in Europa” che prende il nome di Trattato di Lisbona, 500 milioni di europei saranno a breve governati da elite di burocrati non eletti secondo principi economici, politici e sociali interamente schierati dalla parte del vero Potere di cui si sta trattando qui, e che nessuno di noi ha potuto scegliere né discutere. Il governo italiano ha ratificato questo obbrobrio giuridico senza fiatare, obbedendo come sempre.

Sesto Organo: il Tribunale degli Investitori e degli Speculatori Internazionali.

Era il 16 Settembre del 1992, un mercoledì. Quel giorno un singolo individuo decise di spezzare la schiena alla Gran Bretagna. Si badi bene, non al Burkina Faso, alla Gran Bretagna. E lo fece. George Soros, un investitore e speculatore internazionale, vendette di colpo qualcosa come 10 miliardi di sterline, causando il collasso del valore della moneta inglese che fu così espulsa dal Sistema Monetario Europeo. Soros si intascò oltre 1 miliardo di dollari, ma milioni di inglesi piansero lacrime amare e il governo di Londra ne fu umiliato.
Era l’agosto del 1998, e nel caldo torrido di New York un singolo individuo contemplò il crollo dei mercati mondiali per causa sua. John Meriwether, un investitore e speculatore internazionale, aveva giocato sporco per anni e irretito praticamente tutte le maggiori banche del mondo con 4,6 miliardi di dollari ad alto rischio. La sua compagnia, Long-Term Capital Management, era nota a Wall Street perché i suoi manager si fregiavano del titolo di ‘I padroni dell’universo’, cioè pochi individui ubriachi del proprio potere. Meriwether perse tutto, e i mercati del mondo, che alla fine sono i nostri posti di lavoro, tremarono. La Federal Reserve di New York dovette intervenire in emergenza col solito salvataggio a spese dei contribuenti.

Era l’anno scorso, e in un ufficio londinese dell’assicurazione americana AIG, un singolo individuo, di nuovo un investitore e speculatore internazionale di nome Joseph Cassano, dovette prender su la cornetta del telefono e dire alla Casa Bianca “… ho mandato al diavolo la vostra economia, sorry”. E lo aveva veramente fatto. Questa volta la truffa dei suoi investimenti era di 500 miliardi di dollari, le solite banche internazionali (italiane incluse) vi erano dentro fino al collo con cifre da migliaia di miliardi di dollari a rischio. Panico mondiale, fine del credito al mondo del lavoro di quasi tutto il pianeta e, sul piatto di noi cittadini, ecco servita la crisi economica più pericolosa dal 1929 a oggi. Ovvero le solite lacrime amare, veramente amare, per le famiglie di Toronto come per quelle di Perugia, per quelle di Cincinnati come per quelle di Lione, a Vercelli come a Madrid ecc. Per non parlare degli ultimi della Terra…

Tre storie terribilmente vere, che descrivono chiaro, anzi, chiarissimo, cosa si intende per il ‘Tribunale degli Investitori e degli Speculatori Internazionali’, e quale sia il loro sterminato potere nel mondo di oggi. Altro che Tremonti o Confindustria. Nel mondo odierno esiste una comunità di singoli individui privati capaci di movimentare quantità di ricchezze talmente colossali da scardinare in poche ore l’economia di un Paese ricco, o le economie di centinaia di milioni di lavoratori che per esse hanno faticato un’intera vita, cioè famiglie sul lastrico, aziende che chiudono. Le loro decisioni sono come sentenze planetarie. Inappellabili. Si pensi, se è possibile pensare un’enormità simile, che costoro stanno facendo oscillare sul Pianeta qualcosa come 525 mila miliardi di dollari in soli prodotti finanziari ‘derivati’, cioè denaro ad altissimo rischio di bancarotta improvvisa. 525 mila miliardi… Vi offro un termine di paragone per capire: il Prodotto Interno Lordo degli USA è di 14 mila miliardi di dollari. Rende l’idea? L’Italia dipende come qualsiasi altra nazione dagli investitori esteri, per cifre che si aggirano sui 40 miliardi di euro all’anno, cioè più di due finanziarie dello Stato messe assieme. Immaginate se una cifra simile dovesse sparire dalla nostra economia oggi. Nel 2008 è quasi successo, infatti ne sono scomparsi di colpo più della metà (57%) col risultato in termini di perdita di posti di lavoro, precarizzazione, e relativo effetto domino sull’economia di cui ci parla la cronaca. Ripeto: qualcuno che non sta a palazzo Chigi, decide che all’Italia va sottratto il valore di oltre un’intera finanziaria. Così, da un anno all’altro, una cifra pari a tutto quello che lo Stato riesce a spendere per i cittadini gli viene sottratta dal ‘Tribunale degli Investitori e degli Speculatori Internazionali’, a capriccio. Questa tirannia del vero Potere prende il nome tecnico di Capital Flight (letteralmente capitali che prendono il volo), ed è interessante constatare il candore con cui il ‘Tribunale’ descrive la pratica: basta leggere Investors.com là dove dice che “Capital Flight è lo spostamento di denaro in cerca di maggiori profitti… cioè flussi enormi di capitali in uscita da un Paese… spesso così enormi da incidere su tutto il sistema finanziario di una nazione”. Peccato che di mezzo ci siano i soliti ingombranti esseri umani a milioni. Oltre al caso italiano, si pensi alla Francia, altro Stato ricco e potente, ma non a sufficienza per sfuggire alle sentenze del ‘Tribunale’, che ha punito l’Eliseo con una fuga di capitali pari a 125 miliardi di dollari per aver legiferato una singola tassa sgradita al business.

Conclusione.

Gli organi esecutivi del vero Potere non si limitano a questi sei, vi si potrebbe aggiungere il World Economic Forum, il Codex Alimentarius, l’FMI, il sistema delle Banche Centrali, le multinazionali del farmaco. Ma quelli menzionati sono gli essenziali da conoscere, i primari. Un’ultima brevissima nota va dedicata alle mafie regionali, che sono spesso erroneamente annoverate fra i poteri forti (e non posso purtroppo entrare qui nel perché siano un così caratteristico fenomeno italiano). La lotta ad esse è sacrosanta, ma il potere che gli verrebbe sottratto da una eventuale vittoria della società civile è prima nulla a confronto di quanto illustrato sopra, e in secondo luogo è comunque un potere concessogli da altri. Traffico di droga, prostituzione, traffico d’armi, e riciclaggio di rifiuti tossici sono servizi che le mafie praticano per conto di committenti sempre riconducibili al vero Potere, o perché da esso condizionati oppure perché suoi ingranaggi importanti. Serva qui quanto mostrato nel 1994 dal programma d’inchiesta ‘Panorama’ della BBC, dove un insider della criminalità organizzata britannica si rese disponibile a condurre il reporter nel cuore della “mafia più potente del mondo”, a Londra. L’auto su cui viaggiavano con telecamera nascosta si fermò a destinazione… nel centro della City finanziaria della capitale. Indicando dal finestrino i grattacieli dei giganti del business internazionale, il pentito disse: “Eccoli, stanno tutti lì”. (si pensi che il giro d’affari mondiale delle Cosche è stimato sugli 80 miliardi di dollari, che sono un terzo del giro d’affari di una singola multinazionale del farmaco come la Pfizer) Se queste mie righe sono state efficaci, a questo punto i lettori dovrebbero volgere lo sguardo a quegli ometti in doppiopetto blu che ballonzolano le sera nei nostri Tg con il prefisso On., o il suffisso PDL, PD, UDC, e dovrebbero averne, non dico pietà, ma almeno vederli per quello che sono: le marionette di un altro Potere. Ma soprattutto, i lettori dovrebbero finalmente poter connettere i punti del puzzle, e aver capito da dove vengono in realtà i problemi capitali della nostra vita di cittadini, o addirittura i drammi quotidiani che tante famiglie di lavoratori patiscono, cioè chi li decise, chi li decide oggi e come si chiamano costoro. Da qui una semplice considerazione: se vi sta a cuore la democrazia, la giustizia sociale, e la vostra economia quotidiana di lavoro e di servizi essenziali alla persona, allora dovete colpire chi veramente opera per sottrarceli, cioè il vero Potere. Ci si organizzi per svelarlo al grande pubblico e per finalmente bloccarlo. Ora lo conoscete, e soprattutto ora sapete che razza di macchina micidiale, immensa e possente esso è. Risulta ovvio da ciò che gli attuali metodi di lotta dei Movimenti sono pietosamente inadeguati, infantili chimere, fuochi di paglia, che mai un singolo attimo hanno impensierito quel vero Potere. Di conseguenza lancio un appello ancora una volta:

VA COMPRESO CHE PER ARGINARE UN TITANO DI QUELLA POSTA L’UNICA SPERANZA E’ OPPORGLI UN’ORGANIZZAZIONE DI ATTIVISTI E DI COMUNICATORI ECCEZIONALMENTE COMPATTA, FINANZIATA, FERRATA, DISCIPLINATA, SU TUTTO IL TERRITORIO, AL LAVORO SEMPRE, IMPLACABILE, NEI LUOGHI DELLA GENTE COMUNE, PER ANNI. (http://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=153)

Altra speranza non c’è, sempre che ancora esista una speranza.

Paolo Barnard

03 novembre 2009

Il Pound editore le cantava alle banche usuraie


Il Deuteronomio è chiaro come il sole: «Tu presterai a molte genti, e tu non prenderai nulla in prestito; e signoreggerai sopra grandi nazioni, ed esse non signoreggeranno sopra te» (15,6). Ecco fatto: è nata l’economia. Peggio, sono nate le banche.

Il lettore non tema, la foliazione del Giornale non è impazzita. Qui di economia si tratta, è vero, ma di quella particolare economia «eretica» e in fondo poeticamente utopica che porta la firma di un sottoscrittore (né di bond argentini, né di altre diavolerie...) che più eretico non si può: Ezra Pound. Per il quale non vale l’antico adagio «nomen omen» in quanto, pur chiamandosi Pound, cioè «sterlina», si rifiutò di battere moneta, preferendo battersi contro la moneta. Cioè contro l’usura. E non ci riferiamo tanto al saggio di Giano Accame Ezra Pound economista. Contro l’usura (Settimo Sigillo, 1995), quanto a una chicca ora proposta per la prima volta in italiano e dal titolo inequivocabile: Storia dei crimini monetari (excelsior 1881, pagg. 262, euro 15,50, traduzione di Luca Gallesi).

L’autore di questo volume che potrebbe con pieno diritto fregiarsi del sottotitolo «Il libro nero delle banche» è Alexander Del Mar (1836-1926), definito così dal «miglior fabbro» dei Cantos: «Il più grande storico americano, che prosegue l’opera di Mommsen e, come Louis Agassiz e Leo Frobenius, mette in pratica l’insegnamento di Alexander von Humboldt di raccogliere e ordinare un gran numero di fatti isolati per riuscire poi a costruire delle idee generali». L’affinità elettiva che legava i due si materializzò quando mister Sterlina era diventato... mister Dollaro. Ecco come.

Dopo la prigionia pisana, fu l’ospedale criminale federale di St. Elizabeths (Washington) a spalancare le porte al poeta, accusato di alto tradimento. Fu una detenzione di lavoro: Pound ne approfittò per dirigere una nuova collana della piccola casa editrice newyorkese Kasper and Horton che si chiamava...
«Square Dollars Series». E fra i volumi a buonissimo mercato (un dollaro, appunto) covati e fatti dischiudere da lui, spicca proprio quello di Del Mar, dalle origini spagnole ed ebree e dal piglio, economicamente parlando, poco yankee. La carriera di Del Mar non fu quella del classico studioso emarginato e solitario. Segretario del Tesoro e membro della Commissione monetaria, creò e diresse l’Ufficio di statistica degli Stati Uniti. Fu inoltre delegato ai congressi internazionali monetari di Torino (1866) e di San Pietroburgo (1872). Insomma, un pezzo grosso.

Ma un pezzo grosso con in testa una convinzione poco progressiva (oggi diremmo poco creativa...) della finanza. In particolare delle finanze dello Stato e dei singoli cittadini. «Del Mar credeva - dice Francesco Merlo nella “Prefazione” all’edizione di excelsior 1881 - che qualsiasi cambiamento del valore della moneta fosse un attentato alla sovranità dello Stato, al benessere dei cittadini e alla solidità delle banche». Egli «sognava una moneta immodificabile, non convertibile in metallo: valore assoluto». Qualcosa, insomma, da non affidare, pena una criminale instabilità, a mani private. Il titolo originale del suo libro era Barbara Villiers, or a History of Monetary Crimes. La Villiers, spiega Gallesi, «era l’amante di Carlo II, il sovrano Stuart chiamato a restaurare la monarchia dopo la parentesi repubblicana di Cromwell. A lei il re concesse di usufruire delle rendite del signoraggio, e tramite questa dama la nuova élite emergente di orafi e banchieri riuscì a ottenere che il privilegio dell’emissione di denaro, fino allora prerogativa reale, passasse in mani private».

La decadenza dell’Occidente origina da quel momento. E Pound, estimatore di Del Mar, per parte sua fissa una data precisa: il 1694, l’anno della fondazione della Banca d’Inghilterra. Sappiamo che l’autore dei Cantos le cantava belle ai fan del mercato. Per esempio: «I liberali che non sono tutti usurai, dovrebbero spiegarci perché gli usurai sono tutti liberali...». Sappiamo anche che, come Clifford Douglas, riteneva che la differenza fra salario e potere d’acquisto dovesse essere colmata dallo Stato con l’emissione corrispondente in carta moneta di un «credito sociale».

Sappiamo però anche che il poeta non prediligeva, diversamente da Del Mar, la moneta immortale, bensì, come Silvio Gesell, quella «prescrivibile»: una moneta emessa dallo Stato e affrancata ogni mese con una marca da bollo pari all’1 per cento del suo valore nominale, pena la sua invalidità, così che in cento mesi la moneta esaurisca il proprio corso e venga sostituita.

Gli pareva una bella idea, tanto che dopo l’armistizio, il 10 settembre 1943, propose alla Repubblica di Salò di adottarla. Non se ne fece nulla. Dieci anni prima, rivolgendosi direttamente a Mussolini, gli aveva indicato il sistema per «non far pagare le tasse ai cittadini, tassando il denaro alla Banca centrale al momento dell’emissione». Come tutti sanno, non se n’era fatto nulla neanche allora...

di Daniele Abbiati

26 novembre 2009

Daniel Estulin sulla sua inchiesta sul Club Bilderberg

club bilderberg
La copertina
Il libro, pubblicato fino ad oggi in Spagna, Portogallo, Bulgaria, Brasile, Olanda, Giappone, Usa, arriva anche in Italia: contiene foto degli incontri e vari documenti tra cui alcune lettere di invito alla riunione e liste dei partecipanti. E dal libro sarà realizzato anche un film a Hollywood: la Halcyon Company infatti, proprietaria dei diritti cinematografici della saga di Terminator, ha comprato i diritti del libro di Daniel Estulin e ha in programma di realizzare un film da 120milioni di dollari.

La riunione del Gruppo di quest'anno si è svolta in Grecia dal 14 al 17 maggio: il nostro paese era rappresentato da Tommaso Padoa-Schioppa, Mario Draghi, Romano Prodi, Franco Bernabè, John Elkann. E l'autore dell'inchiesta Daniel Estulin, in Italia per presentare l'ultima versione del suo libro, sceglie Affaritaliani.it per svelare i retroscena degli incontri del Club.

Nel suo libro ha scritto che l'obiettivo della riunione 2009 del Club è stato quello di trasformare l'Unione Europea in un governo multinazionale. Pensa che questo sarà davverò realizzato?
"E' stato approvato il trattato di Lisbona. Esiste di fatto una dittatura europea di un gruppo di persone le cui decisioni non sono appellabili da nessuno".

daniel estulin
Daniel Estulin


Esistono degli obiettivi del Club che sono stati realizzati nel corso degli anni?
"Si, esistono. Per esempio la guerra in Iraq, progettata a maggio del 2002 per febbraio-marzo del 2003; il prezzo del petrolio, salito da 20 a 100 dollari al barile dal 2002 al 2007 e ancora da 100 a 150 dollari al barile dal 2005 a metà 2008. Oppure l'implosione dei prezzi delle case nel 2006 o la guerra in Kosovo nel 1996".

Come è cambiata la funzione del Club nel corso degli anni?

"Dalla caduta del Comunismo il Club Bilderberg ha incluso personalità provenienti dai paesi del Patto di Varsavia mentre prima il Gruppo si basava sull'alleanza della Nato".


Le riunioni del Gruppo hanno una connotazione politica? Se si, a destra o a sinistra? Ed è cambiata nel corso degli anni?

"Il gruppo è formato da personalità che hanno una visione globale e di conseguenza imperialista, come se fossero costruttori di un impero. Un impero costruito alle spese delle varie repubbliche nazionali. Non ci sono connotazioni politiche, né di destra né di sinistra: è applicato il concetto di sinarchia internazionale (un ipotetico governo occulto planetario, o "governo ombra", che gestisce invisibilmente le trame della politica e dell'economia mondiale e che decide i destini dell'umanità, ndr)".

Quali sono i paesi che hanno maggiore influenza all'interno del Club?

"Ovviamente gli Stati Uniti: un terzo dei delegati proviene infatti da questo paese. A parte gli Usa, anche la Gran Bretagna e la Germania sono ben rappresentati. L'Italia ha una forte rappresentanza attraverso le antiche famiglie italiane, come gli Agnelli che sono oggi rappresentati da John Elkann".

Secondo lei qual è il ruolo dell'Italia nel Club? E' cambiato nel corso degli anni?

"L'Italia è l'epicentro del potere del Club attraverso la nobiltà veneziana. La regina di Inghilterra, il membro più influente del Gruppo, appartiene infatti per discendenza ai Marchesi d'Este di Venezia".

C'è qualcosa che avrebbe voluto scrivere nel libro e non ha fatto?

"Se si riferisce alla censura, no non c'è: ho scritto tutto quello che volevo nell'edizione inglese del libro. La versione italiana è la diretta traduzione di quella inglese. In Spagna invece il mio editore, Planeta, mi ha vietato di menzionare i reali di Spagna e il loro ruolo all'interno del Club. Sono stato lasciato invece più libero di parlare di altre cose. Ho seguito queste indicazioni anche se quando il libro è uscito ho pubblicamente criticato il ruolo della famiglia reale spagnola nel Club".

25 novembre 2009

L'impotenza del potere



Fin da quando Hobbes ha immaginato lo Stato come un mostro onnipotente, il Leviatano, il potere centrale di ogni Paese è stato considerato capace di risolvere tutti i problemi vecchi e nuovi della condizione umana. A prescindere dal grado di democrazia esistente, lo Stato è sempre intervenuto nell'economia, ha sempre deciso della guerra e della pace, dell'istruzione, della salute e di tanti altri aspetti della vita dei propri cittadini. Anzi, proprio questa onnipresenza dello Stato ha fatto nascere reazioni liberatorie, opposizioni più o meno violente all'invasione nella esistenza della persona. Ma il potere dello Stato non è onnipotente, non solo perché singoli individui criminali o associazioni di individui praticano sistematicamente la violazione delle leggi, ma anche per l'esistenza dei cosiddetti poteri occulti, che costringono lo Stato a fare delle scelte che favoriscono interessi provati di individui o di particolari categorie sociali.
Anche prescindendo dalla bontà o dall'intelligenza dei governanti e delle enormi macchine che li aiutano a prendere le decisioni, la volontà dello Stato, e addirittura quella delle comunità internazionali, è obbligata a fermarsi per l'eccessiva complessità dei problemi.
Alcuni esempi recenti confermano l'impotenza a decidere della comunità internazionale. Il vertice mondiale sulla sicurezza alimentare, organizzato dalla FAO a Roma dal 16 al 18 novembre di quest'anno, si è concluso con un nulla di deciso per "la mancanza di impegni concreti dai Paesi ricchi, che si assumono responsabilità e promettono risorse che non arriveranno mai". Oltretutto, al vertice erano assenti i potenti del G8, che, pur essendo consapevoli del problema della fame nel mondo, non possono fare di più, non solo per la impossibilità di risolvere la situazione. Infatti, il miliardo di affamati è il risultato del fenomeno inarrestabile della crescita della popolazione umana, attualmente di 7 miliardi di individui, che, secondo previsioni scientifiche, "entro il 2030 causerà una crisi globale".
Durante il vertice di Roma, il segretario generale dell'ONU, Ban Ki-moon, in previsione del vertice di Copenhagen sui cambiamenti climatici, ha dichiarato: "non può esserci sicurezza ambientale senza sicurezza alimentare". I problemi difficilmente risolvibili si intrecciano e si aggravano vicendevolmente, rendendo sempre più impotente la comunità internazionale a risolverli. Infatti, Obama, nel suo viaggio in Cina, per risolvere i gravi problemi del rapporto Cina-USA, ha anticipato, insieme al leader cinese "un ridimensionamento della Conferenza sul Clima che si apre tra tre settimane a Copenhagen". Nonostante le reazioni furiose di alcuni membri della Comunità Europea, i due principali inquinatori del mondo, Cina e USA, hanno preannunciato di non voler ridurre drasticamente le loro emissioni. In realtà, i due colossi industriali non possono rinunciare all'uso del carbone per la produzione dell'energia elettrica; infatti le centrali a carbone in USA e in Cina rappresentano dal 50 all'80% del totale. La Cina non ha petrolio e gli USA giacciono sul più vasto giacimento di carbone del mondo. Ma anche l'Europa ha dimostrato recentemente l'incapacità di saper esprimere la propria potenza politica nei confronti dei colossi americano e cinese; infatti, nell'elezione dei propri supremi rappresentanti nel congresso internazionale, l'Europa non ha potuto esprimere che due figure scialbe, e quindi di scarso peso politico. In questo caso, l'impotenza del potere è racchiusa nella sua stessa natura: l'unione forzata di nazioni con interessi contrastanti spinge al compromesso e alle scelte di basso profilo. Questo è il limite generale del potere organizzato nelle attuali forme della democrazia parlamentare.
di Romolo Gobbi

24 novembre 2009

Senza ideali molta ruberia


Francesco Alberoni scriveva giorni fa (il 20 ottobre) che «Persi gli ideali a cosa si rivolge la spinta umana? Solo al potere e al denaro». Sì: ma è utile approfondire. In primo luogo, non dobbiamo confondere ideali con ideologie. Sono cose diverse e anche nemiche. Intesi come obiettivi di valore gli ideali acquistano centralità, nella politica, con l’Illuminismo, non prima. La parola «ideologia» viene poi coniata da Destutt de Tracy nel 1796, e dunque in sul finire dell’Illuminismo, per dire «scienza delle idee»; un significato letterale che non ha attecchito e che è stato stravolto dal marxismo, per il quale l’ideologia diventa killeraggio, e cioè un pensiero che non-è-più-pensato, un ex pensiero dogmatico e fanatizzato che appunto ammazza il pensiero e le idee.

Una seconda precisazione verte sul rapporto tra ideali e democrazia. Che è un rapporto strettissimo ma soltanto moderno, recente. Aristotele distingueva tra governo dell’uno, dei pochi e dei molti, e poi tra il governare nell’interesse proprio o nell’interesse comune. E per Aristotele la democrazia era il governo dei molti, o dei poveri, nel proprio interesse, e quindi un cattivo governo. Ma, attenzione, l’interesse comune che caratterizzava i buoni regimi non era, per lui, posto da ideali e tantomeno dall’ideale della libertà individuale del cittadino. Hobbes lo precisava lapidariamente: «Ateniesi e Romani erano liberi, e cioè le loro città erano libere».

La grossa differenza è che il mondo antico su su fino al Rinascimento non si proiettava verso il futuro ma si poneva come un aumento, una crescita, delle origini. Alla stessa stregua non era «giovanilista»: l’autorità, la auctoritas, spettava alla saggezza degli anziani. Questa visione del mondo venne rovesciata dal Romanticismo «scoprendo la storia» come una dinamica innovativa che porterà man mano a configurare la democrazia liberale come l’ottimo governo sospinto e realizzato dai suoi ideali. Il retroterra di questo sviluppo era che per la prima volta nella storia gli «esclusi» dalla politica venivano effettivamente inclusi dal suffragio universale. Ma se questa inclusione «perde gli ideali», e con essa il senso del «dovere etico», allora il buon governo democratico va alla deriva.

Si è detto che la politica è la guerra con altri mezzi. Oramai sarei più incline a dire che la politica è il ladrocinio, la pappatoria, con altri mezzi. Omnia Romae cum pretio, tutto a Roma si può comprare, scriveva Giovenale. Invece oggi? Ci stupiamo che anche la sinistra venga travolta in questa frana. Ma perché? Le sue credenziali intellettuali risalgono all’immediato dopoguerra, a quando il Pci ereditò il grosso della cultura idealistica (Crociana o Gentiliana che fosse) che allora dominava in Italia. Marx «rovesciò» la filosofia idealistica di Hegel. Un secolo dopo i nostri idealisti rovesciarono, a loro volta, Croce e Gentile e si ritrovarono, senza alcuno sforzo, marxisti. Ma il Pci del Migliore era, di suo, spietato cinismo di potere nei vertici, e un partito di ideologia (non di ideale) nel suo apparato. E una volta usciti di scena gli idealisti marxisti, a loro sono subentrati, come nucleo dirigente del Pci, gli addestrati alle Frattocchie; addestrati, appunto, al killeraggio ideologico, e per ciò stesso largamente incapaci di ripensarsi e di pensare ex novo. Il che lascia il Pd (oggi di Bersani) come un gruppo di potere— con nobili eccezioni, si intende — altrettanto cinico e baro dei gruppi di potere al potere.

di Giovanni Sartori

22 novembre 2009

Il futuro delle banche


Se un commentatore dovesse procedere ad una sintesi estrema su quanto è stato fatto dopo la crisi finanziaria del 2008, al fine di prevenire il ripetersi di simili eventi, probabilmente scriverebbe: nulla. Durante questo periodo si è riunito il G8, varie volte il G20, fiumi di parole sono state riversate dai media, inchiostro a profusione: nulla. Tutti hanno la loro medicina, tutti sono favorevoli ad una "immediata" revisione delle regole sulla finanza mondiale. Tutti vogliono cambiare tutto. Di fatto il niente.
E questo non è un fatto circoscritto all'Italia, o ad un'altra nazione europea, o agli Stati Uniti, o ad altri paesi. Il virus della passività è presente in ogni angolo del mondo a qualsiasi latitudine e longitudine. Si dice che il problema è globale e che occorre una risposta globale. Ma se non esiste uno stato globale, qualche stato dovrà pur alzare la testa dalla sabbia e iniziare a fare. Sul serio.
Credo che questa apparente ignavia, che si vuole far passare per "complessità del problema", in realtà possa essere usata come il corretto misuratore della potenza che la finanza è in grado di esercitare. Non è da dietrologi, o da amanti della cospirazione, affermare che oggi la finanza rende succube l'economia e la società. Quello che doveva e dovrebbe essere lo strumento attraverso il quale le attività economiche potevano essere facilitate nel loro svolgersi ed evolversi si è trasformato nel loro dominatore. Da mezzo a fine. Da controllato a controllore. Questa è la finanza oggi. Un sistema che non conferisce valore aggiunto alla produzione di ricchezza, invece ne determina una redistribuzione a livello sociale che risulta indipendente dal contributo fornito dai singoli lavoratori. Chi guadagna in questa kermesse è lo speculatore, che dispone di capitale finanziario e di competenze finanziarie tali da permettergli di lucrare senza produrre. In tal modo, spesso, oltre che defraudare del giusto guadagno chi effettivamente ha prodotto, la finanza distrugge ricchezza nel momento in cui, vittima della sua stessa avidità e delle sue incoerenze, determina situazioni di crisi che tutti ben conosciamo.
Al centro di questo discorso è il sistema bancario. Durante gli anni '90, nel mondo industrializzato si è proceduto ad una gigantesca deregolamentazione a causa della quale le banche hanno modificato radicalmente il loro modo di essere e di operare.
Ma torniamo indietro di qualche anno per capire meglio quello che è successo.
Dopo la crisi del '29, anch'essa nata da un eccesso di debiti e dalla euforia di Borsa, era stato compreso che le banche, nel sistema capitalistico, non potevano essere lasciate libere di fare ciò che volevano perché erano troppo importanti e condizionavano la stabilità dell'intera economia. Un loro eventuale tracollo avrebbe comportato un effetto domino su famiglie e aziende tale da far regredire di decenni l'economia del paese colpito. Compresa la lezione, tutti i paesi industrializzati hanno elaborato normative stringenti con il dichiarato scopo di evitare il ripetersi di tali catastrofi.
Negli Stati Uniti veniva approvata la legge bancaria Steagall Glass che prevedeva la netta separazione tra banche commerciali e banche d'affari. In Italia la legge elaborata da Donato Menichella nel 1936 oltre a stabilire una analoga separazione, poneva dei limiti altrettanto stretti tra attività bancarie a breve e quella a medio lungo termine. In Italia alle banche commerciali era proibito detenere quote di partecipazione (ancora meno di controllo) nelle aziende non bancarie, era proibito qualunque attività di trading su titoli e valute. Le uniche operazioni consentite erano quelle effettuate per conto della clientela.
Nel 1993 venne approvato il decreto legislativo nr. 385 che ha rivoluzionato l'intima struttura del sistema bancario: dalla regolamentazione stringente si passava alla "banca universale" che disponeva di enormi margini di azione. Questa cambiamento ha coinciso (e qui un po' di dietrologia non guasterebbe) con la stagione delle privatizzazioni. In altre parole, fin tanto che le banche erano pubbliche, erano regolamentate ed erano scarsamente redditizie. Con la deregolamentazione e le privatizzazioni, le banche sono divenute delle autentiche galline dalle uova d'oro a vantaggio dei privati che ne avevano assunto il controllo.
Negli ultimi anni in particolare, le banche (italiane ed estere) hanno inanellato continui record di redditività. Il ROE (la redditività sul capitale investito) di alcune di queste ha superato il 20% annuo, il doppio o il triplo della redditività conseguita dalle attività manifatturiere o altre non bancarie. Un vero bengodi, interrotto almeno per qualche tempo dalla crisi finanziaria del 2008. Ma già in questi ultimi mesi le banche hanno ricominciato a macinare utili e a riprendere le vecchie abitudini. Il vizio di fare speculazione è riemerso ancora più forte di prima. Negli Stati Uniti le prime 25 banche, che dispongono complessivamente di attivi per 7.600 miliardi di dollari, hanno assunto rischi in derivati pari a 203.000 miliardi di dollari. Circa 30.000 miliardi in più rispetto alla stagione pre crisi. In altri termini per ogni dollaro di attivo di bilancio le banche hanno fatto scommesse per 26 dollari. Ancora più preoccupante è la tendenza seguita dagli istituti di credito: operare sempre più nelle attività speculative e più lucrose (fin quando va bene) a detrimento delle operazioni di credito. Con inevitabili conseguenze negative sulle aziende e l'intera economia reale.
Alla luce di quanto accaduto nell'ultimo anno, alcune personalità di spicco della finanza internazionale hanno invocato profonde ed effettive modifiche del quadro normativo inerenti la struttura e l'operatività del sistema bancario. Paul Volcker (ex governatore della Federal Reserve), Mervin King (attuale governatore della Banca d'Inghilterra) chiedono il ritorno alla separazione tra banche commerciali e banche d'investimento. George Soros è favorevole a maggiori controlli e vincoli verso le grandi banche, quelle per intenderci che "non possono fallire".
Malgrado il carisma e la stima goduta a livello internazionale dai proponenti vi è stato un fuoco di sbarramento contro inutili e "antistoriche" leggi superate dall'evoluzione dei mercati. Ecco alcune delle obiezioni opposte. La separazione tra attività di credito (vera attività della banca) e quelle di trading e d'investimento, definita sprezzantemente "spezzatino", determinerebbe una minore "efficienza" dei mercati. Un maggiore controllo da parte degli enti preposti limiterebbe la libertà d'impresa. La cosa che lascia allibiti è la spudorata semplicità con la quale vengono ammessi e difesi macroscopici errori commessi negli anni che hanno preceduto la crisi finanziaria del 2008 da banche e banchieri. In sintesi intellettuali, economisti, giornalisti con singolari capacità sofistiche vogliono far credere al cittadino che "cose di questo genere" possono capitare. Che sono degli incidenti di percorso dei quali si deve approfittare per mettere a punto il sistema. Credo che i milioni di lavoratori che hanno perso il proprio lavoro abbiano idee abbastanza diverse da questo capzioso ottimismo di facciata.
Ogni persona di buon senso dispone della risposta. Perché poi, in realtà, le cose sono molto più semplici di quello che si vuol far ritenere.
Vediamo di riflettere su di esse in modo ordinato.
Prima di tutto le banche non possono essere "grandissime". Ciò per un motivo strettamente economico: la dimensione va a scapito della concorrenza (vera).
La banca deve fare la banca. In altre parole basta con operazioni speculative; il trading su valute e titoli non deve rientrare nell'attività propria di una banca. A questo riguardo una maggiore attenzione alla tassazione degli scambi (solo quelli con finalità speculativa e non altri di matrice commerciale) potrebbe aiutare a smorzare il clima da "sala corse" che si è aperto nel corso degli ultimi anni.
La banca, riacquisendo la sua funzione specialistica, dovrebbe essere estranea anche alle attività di bancassicurazione e gestione del risparmio (fondi comuni di investimento e prodotti affini). Tali attività dovrebbero essere svolte da altri operatori, distinti dalla banca, non solo sotto il profilo giuridico ma anche organizzativo. In altre parole se il risparmiatore vuole porre i suoi soldi in un conto corrente, libretto a risparmio, certificato di deposito, pronti contro termine, obbligazione bancaria si rivolgerà alla banca. Ugualmente se intenderà investire i suoi risparmi in titoli (azionari, obbligazionari, ecc.) avvalendosi del servizio di mediazione dell'istituto di credito. Qualora volesse concedere un mandato a gestire le proprie risorse a operatori qualificati (fondi comuni di investimento e simili) ricorrerà alla rete di promotori che operano in tutti i paesi industrializzati.
Obama come Tremonti (solo per citarne alcuni) sanno che solo attraverso profonde e incisive riforme finanziarie si può assicurare un futuro all'economia mondiale e dare speranze ai cittadini.
Ma il duello è impari perché la politica è divenuta un soggetto "controllato" che non è in grado di rompere l'accerchiamento.
Al momento si sentono parole vuote, impegni stonati, dove gli attori della politica affrontano parzialmente e riduttivamente i problemi connessi alla finanza con frasi che tendono ad essere di effetto ma senza alcuna utilità. Si pensi a quanto si è parlato dei bonus ai banchieri o della stessa legge "Tobin Tax" che potrebbe avere una sua effettiva valenza solo in un contesto di riforma complessiva.
Intanto ai cittadini si consiglia di scegliere con prudenza, orientandosi verso prodotti semplici e chiari e fidandosi solo di persone che per anni hanno dimostrato di meritare la loro stima.
Marco Da Buscareta

21 novembre 2009

La gestione privata dell’acqua pubblica è legge

privatizzazione acqua
Il decreto legge che privatizza l'acqua, dopo aver incassato la fiducia al Senato, passa anche alla Camera e a votare in aula c'era anche Berlusconi
Il decreto legge che privatizza l'acqua, dopo aver incassato la fiducia al Senato, passa anche alla Camera con 302 sì e 263 no, in aula a votare, e a dimostrare quanto il governo tenga a questo decreto, anche Silvio Berlusconi.

Nato per rispondere a quelli che vengono definiti obblighi comunitari, nel decreto è stato infilato di tutto e di più tra cui anche l'articolo 15 che tratta la privatizzazione dell'acqua e che per questa segna una data precisa: il 31 Dicembre 2011. Il countdown è quindi cominciato, entro quella data tutte le società di gestione del servizio idrico "in House" le cosiddette "municipalizzate" dovranno trasformarsi in società a capitale misto pubblico-privato (in cui il privato abbia almeno il 40% delle azioni) oppure totalmente private.

L'approvazione del provvedimento ha suscitato le proteste dell'opposizione (l'Idv ha alzato cartelli di protesta) e del Forum dei Movimenti per l'Acqua, i cui rappresentanti si sono incatenati alle transenne antistanti Montecitorio recitando lo slogan: "Se voti la privatizzazione dell'acqua non lo fai in mio nome".

Così mentre le proteste contro una scelta più che discutibile - visto il valore intrinseco del bene acqua - si fanno sempre più consistenti al punto che già si parla di referendum abrogativo, l'onorevole Ronchi, da cui prende il nome il decreto stesso, nega tutto: "L'acqua è un bene pubblico e il decreto non ne prevede la privatizzazione. Nel provvedimento” - ha aggiunto Ronchi – “viene rafforzata la concezione che l'acqua è un bene pubblico, indispensabile. Si vogliono combattere i monopoli, le distorsioni, le inefficienze con l'obiettivo di garantire ai cittadini una qualità migliore e prezzi minori".

E' la solita storia, dai un servizio pubblico che funziona male in mano al privato e il privato lo farà funzionare bene, ma non solo, visto che di privati ce ne saranno tanti anche i prezzi scenderanno in nome della concorrenza. Peccato che la realtà abbia già dimostrato più volte come questa bella storia sia in realtà una favola valida solo per le lezioni di economia del primo anno di università, o forse neanche più per quelle.

La realtà, sia delle esperienze italiane di AcquaLatina che di quelle internazionali e più estreme di Cochabamba, ma non solo, insegnano che la privatizzazione del servizio idrico porta ad aumenti di prezzo stimabili tra il 30 e 40% senza apprezzabili e corrispondenti miglioramenti del servizio. Ma non basta, anche la moderna Parigi dopo oltre vent'anni è tornata all'acqua pubblica a dimostrazione che pubblico ed efficienza non sono per forza un ossimoro.

Si spiegano così le accuse di chi dice che con questo provvedimento il governo stia facendo un regalo ai privati, cosa che tra l'altro pare già rivelarsi realtà visto che solo ieri Acque Potabili e Mediterranea Acque (due leader del settore privato dell'acqua pubblica....ecco l'ossimoro!) hanno registrato un vero e proprio aumento record del valore delle proprie azioni .

Lo stato quindi si arrende e alza bandiera bianca. Su 100 litri d'acqua 40 vengono sprecati nel sistema idrico italiano. Le ragioni sono molte e non tutte di semplice soluzione, di certo c'è che qualche risultato soprattutto in Puglia dove gli sprechi sono diminuiti del 38% si stava ottenendo. Ora però, con decreto Ronchi, si riparte da zero e si demanda la soluzione di uno dei problemi storici del paese ad un privato che dovrebbe spendere (per migliore il servizio)per guadagnare e che probabilmente, invece, farà spendere di più noi, per guadagnare lui. Ma questo come si diceva è il libero mercato.

di Andrea Boretti

11 novembre 2009

Informazione fazio-sa


Il modus operandi dell'autorità in relazione alla cosiddetta pandemia è emblematico. Il vice-ministro delle malattie, Strazio, ed i suoi portavoce alternano, nei loro discorsi, blandizie e dichiarazioni spaventose. Chi non ha ancora compreso la vera natura del potere è frastornato ed è incline a ritenere che le istituzioni stiano dimostrando inefficienza, riandando con la mente alle celebri pagine dei Promessi sposi, in cui Manzoni stigmatizza con amara ironia l'insipienza del governo milanese di fronte all'epidemia di peste, prima pervicacemente negata, poi ridimensionata, poi obliquamente ammessa con l'ambigua dicitura di "febbri pestilenziali".

La situazione attuale è molto diversa. Il potere sta usando tutte le strategie più raffinate per conseguire i suoi scopi criminali: sfoltire la popolazione e ridurre in servaggio i sopravvissuti, senza che i cittadini si accorgano del baratro verso cui essi, spesso volontariamente, si stanno dirigendo. Non sorprendano le affermazioni all'apparenza contraddittorie sul fantomatico virus A/H1N1. Bisogna evitare che i sudditi siano presi dal timor panico che causerebbe un collasso del sistema, ma occorre pure instillare senza tregua una sottile inquietudine. Questa incertezza deve tenere sulla corda l'opinione pubblica, spingendola ad accettare i vaccini, anzi ad esigerli. E' una forma di istigazione al suicidio, ma abilmente camuffata.

Si assiste ad una politica del bastone (il virus è aggressivo e potrebbe mutare) e della carota (il numero dei morti causati da questa forma influenzale è inferiore a quello provocato dall'influenza stagionale). Non è schizofrenia del potere, ma scaltro dosaggio di un veleno che viene inoculato in vittime che vengono prima cloroformizzate.

Basterebbe osservare il volto del demoniaco Strazio per capire quale scellerato progetto stiano perseguendo le élites: qui Manzoni viene a taglio, con la descrizione del vecchio mal vissuto, con la sua "canizie vituperosa". Il cipiglio di Strazio, gli occhi luciferini, la voce dall'inflessione suadente, ma arrugginita sono lì a testimoniare propositi innominabili. Né si può sottacere del cinismo che colui non riesce in nessun modo a dissimulare, allorquando cita i morti "fatti" dall'inesistente pandemia. L'uso del crudo e statistico verbo "fare" tradisce più che l'indifferenza, il compiacimento per i letali risultati conseguiti, con la gente che inconsapevolmente si getta nelle grinfie dei suoi aguzzini... e costui è un medico!

Decenni di televisione e di propaganda hanno trasformato gli uomini in pecore di un gregge atterrito e docile. Le reazioni appunto sono gregarie: l'informazione indipendente ha apppena incrinato l'ottusa e cieca fiducia nel potere. Basterebbe riflettere per un istante: per quale misterioso motivo uno stato che scortica i cittadini con i tributi più esosi, che considera i giovani come carne da cannone, gli anziani come pesi inutili, uno stato che deliberatamente avvelena l'ambiente, il cibo, l'acqua, uno stato che massacra nelle carceri detenuti inermi e spesso innocenti, dovrebbe ex abrupto diventare tanto sollecito da distribuire gratuitamente dosi di vaccino ad ognuno di noi? E' possibile che non si fiuti l'inganno?

Hanno scelto dei bersagli precisi: bambini, adolescenti, infermi ed anziani. Costoro possono essere falcidiati. La strage degli innocenti è condicio sine qua non per perpetuare il controllo mentale e della percezione che sarà suggellato forse nel 2012, anno dell'instaurazione del superstato mondiale.

Qualche anno fa, grazie ad un lapsus freudiano, l'attuale ministro delle casse vuote, Tremostri, intervistato da un giornalista sui problemi di bilancio che attanagliano il sistema previdenziale, rispose con diabolico candore: "Tanto prima o poi i pensionati morranno". E' questa la totale insensibilità dei "politici" che considerano la vita umana alla stregua di un fastidioso ciottolo sul sentiero. Come si può credere che costoro siano interessati a preservare la nazione dall'epidemia? Nonostante ciò, quanto più l’incubo diviene angosciante, tanto più si rafforza nel popolino la visione di uno stato-padre-madre, severo ma amorevole, nel cui seno trovare rifugio.

Vero è che questo deplorevole cinismo non di rado alligna tra la gentucola che, invece di combattere e delegittimare le élites sataniste, invoca "un'igiene del mondo" che colpisca gli sventurati al fine di risolvere il "problema" dell'incremento demografico. Non sarà poi così irrazionale la storia, qualora dovesse agire di conseguenza, estirpando il loglio.

E' dunque assurdo, paradossale che le istituzioni si prodighino tanto per salvare e proteggere: questa sarebbe la vera incoerenza di un sistema che, invece, sa quel che vuole e come ottenerlo, benché la massa istupidita stenti, per ora, ad orientarsi.

E' la medesima massa che, con lucida cecità, intravede la meta finale: il mattatoio.

09 novembre 2009

Benvenuti nel 2025






Scrutando nella sua sfera di cristallo analitica in una relazione intitolata Global Trends 2025, ha predetto che la preminenza globale dell’America scomparirà gradualmente nei prossimi 15 anni -- in congiunzione con l’emergenza di nuove potenze globali, specialmente la Cina e l’India, nota Michael T. Klare.

La preminenza dell’America scompare quindici anni in anticipo

Un memo per la CIA: potreste non essere pronti per il viaggio nel tempo, ma eccovi comunque nel 2025! Le vostre stanze potrebbero essere un po’ piccole, la vostra abilità di esigere alloggi migliori potrebbe essersi volatilizzata, e i comfort potrebbero non essere di vostro gradimento, ma dovete farci l’abitudine. Da adesso in poi sarà la vostra realtà.



Okay, adesso arriviamo alla versione seria di quanto sopradetto: nel novembre del 2008 il National Intelligence Council, un affiliato della Central Intelligence Agency ha pubblicato la più recente di una serie di pubblicazioni futuristiche mirate a guidare la nuova amministrazione Obama. Scrutando nella sua sfera di cristallo analitica in una relazione intitolata Global Trends 2025, ha predetto che la preminenza globale dell’America scomparirà gradualmente nei prossimi 15 anni -- in congiunzione con l’emergenza di nuove potenze globali, specialmente la Cina e l’India, nota Michael T. Klare. La relazione ha esaminato le molte sfaccettature del futuro ambiente strategico, ma la sua conclusione più sbalorditiva e che fa notizia, riguardava la proiezione nel lungo termine dell’erosione del predominio dell’America e dell’emergenza di nuovi competitori globali. “Sebbene gli Stati Uniti rimarranno probabilmente il singolo attore più potente [nel 2025]”, afferma definitivamente, la “forza relativa del paese -- anche nella sfera militare -- sarà in declino e il potere degli USA sarà più ridotto”.

Quello, certo, era allora, questo -- circa 11 mesi nel futuro -- è il presente e come le cose sono cambiate. Le predizioni futuristiche dovranno solo adeguarsi alle realtà estremamente mutevoli del presente momento. Seppure fosse stata pubblicata dopo l’inizio del crollo economico globale, la relazione è stata scritta prima che la crisi raggiungesse le sue massime dimensioni ed ha dunque enfatizzato che il declino del potere americano sarebbe stato graduale, estendendolo sull’orizzonte dei 15 anni della valutazione. Ma la crisi economica e gli eventi ad essa connessi hanno sovvertito radicalmente quella tempistica. A seguito di enormi perdite economiche subite dagli Stati Uniti durante lo scorso anno e dello strabiliante recupero economico della Cina, lo spostamento del potere globale previsto dalla relazione è stato accelerato. A tutti gli effetti, il 2025 è già qui.

Molte delle generali predizioni fatte via dicendo nella relazione Global Trends 2025 sono in effetti, già superate. Il Brasile, la Russia, l’India e la Cina -- complessivamente conosciuti come i paesi BRIC -- hanno già ruoli ben più assertivi negli affari economici globali, mentre la relazione aveva previsto che sarebbe successo forse tra una decina d’anni circa. Al tempo stesso, il ruolo dominante globale un tempo monopolizzato dagli Stati Uniti con l’aiuto dei maggiori poteri industriali dell’Occidente -- conosciuti collettivamente come il Gruppo dei 7 (G-7) -- è già sfumato con notevole rapidità. Paesi che un tempo facevano riferimento agli Stati Uniti per la guida sulle maggiori questioni internazionali ignorano il parere di Washington e stanno creando al contrario le proprie reti di politica autonome. Gli Stati Uniti stanno diventando sempre meno inclini all’uso delle proprie forze militari all’estero mentre i poteri rivali aumentano le loro capacità e gli attori non-statali fanno affidamento sui mezzi di attacco “asimmetrici” per superare il vantaggio degli USA nella potenza di fuoco.

Nessuno sembra ammetterlo -- ancora -- ma diciamocelo chiaro e tondo: in meno di un anno del periodo di 15 anni [previsto] di Global Trends 2025, i giorni dell’indiscusso predominio globale dell’America sono giunti al termine. Ci potranno volere una, due (o tre) decadi prima che gli storici potranno guardarsi indietro e dire con sicurezza, “quello è stato il momento in cui gli Stati Uniti hanno smesso di essere il potere predominante del pianeta e sono stati costretti a comportarsi come ogni altro grande giocatore in un mondo fatto di molti grandi poteri in competizione tra loro”. Le indicazioni di questa grande transizione, tuttavia, sono lì solo per chi le vuole vedere.

Sei tappe sulla strada per diventare una nazione ordinaria

Ecco il mio elenco dei sei recenti sviluppi che indicano che stiamo entrando nel “2025” oggi. Tutti e sei erano sui giornali nelle ultime settimane, anche se non erano tutte raccolte sulla stessa pagina. Rappresentano (insieme ad altri eventi affini) uno schema: la forma, in effetti, di una nuova era che si sta formando. 1. Al summit globale sull’economia di Pittsburg del 24 e 25 settembre scorsi, i leader dei maggiori poteri industriali, i G-7 (G-8 comprendendo la Russia) hanno concordato di dare la responsabilità per la sorveglianza dell’economia mondiale al gruppo più ampio ed inclusivo dei G-20, aggiungendo la Cina, l’India, il Brasile, la Turchia ed altre nazioni in via di sviluppo. E se sono stati espressi dei dubbi sulla capacità di un tale gruppo più ampio di esercitare la leadership globale effettiva, non c’è dubbio che la mossa in sé ha segnalato uno spostamento del luogo del potere economico mondiale dall’Occidente all’Est e al Sud globale -- e con tale spostamento è stato registrato un declino sismico del predominio economico dell’America.

Jeffrey Sachs della Columbia University ha scritto sul Financial Times che “il vero significato dei G-20 non consiste nel passaggio della staffetta da parte dei G-7/G-8, ma da parte del G-1, gli Stati Uniti”. “Persino durante i 33 anni del forum economico dei G-7, gli USA prendevano le decisioni economiche importanti”. Sachs ha inoltre notato che il declino della leadership americana nel corso delle ultime decadi è stato oscurato dal crollo dell’Unione Sovietica e da un’iniziale vantaggio dell’America nella tecnologia dell’informazione, ma è impossibile ora non constatare lo spostamento del potere economico dagli Stati Uniti alla Cina e ad altre potenze economiche nascenti.

2. Stando alle notizie, i rivali economici dell’America starebbero conducendo riunioni segrete (e non poi così segrete) per esplorare un ruolo diminuito per il dollaro americano -- che sta rapidamente perdendo il suo valore -- nel commercio internazionale. Fino ad ora l’uso del dollaro come mezzo internazionale di scambio ha dato agli Stati Uniti un notevole vantaggio economico: possono semplicemente stampare dollari per adempiere ai propri obblighi internazionali mentre le altre nazioni devono convertire le proprie valute in dollari, sovente con grossi costi aggiuntivi. Tuttavia adesso molti dei maggiori paesi commerciali -- tra cui la Cina, la Russia, il Giappone, il Brasile e i paesi petroliferi del Golfo Persico -- stanno considerando l’uso dell’euro, o di un “canestro” di valute come nuovo mezzo di scambio. Se tale piano venisse adottato accelererebbe la caduta precipitosa del valore del dollaro ed eroderebbe ulteriormente l’influenza americana negli affari economici internazionali.

Una discussione simile avrebbe avuto luogo, secondo quanto riportato, l’estate scorsa durante un summit dei paesi del BRIC. Appena un concetto fino ad un anno fa, quando l’idea stessa del BRIC è stata architettata da un capo economista della Goldman Sachs, il consorzio BRIC è diventato realtà in carne ed ossa il giugno scorso quando i leader dei quattro paesi hanno tenuto un convegno inaugurale a Yekaterinburg, in Russia.

Il fatto stesso che Brasile, Russia, India e Cina abbiano scelto di incontrarsi come gruppo è stato considerato significativo, dato che possiedono insieme circa il 43% della popolazione mondiale e si stima che rappresenteranno il 33% del prodotto interno lordo mondiale entro il 2030 -- circa quanto gli Stati Uniti e l’Europa occidentale in quel periodo. Seppure i leader del BRIC abbiano deciso di non formare un corpo permanente come i G-7 per il momento, hanno concordato di coordinare gli sforzi per sviluppare alternative al dollaro e riformare il Fondo Monetario Internazionale in modo tale da dare più voce in capitolo ai paesi non occidentali.

3. Sul fronte diplomatico, Washington è stata respinta sia dalla Russia che dalla Cina nel suo sforzo di garantire sostegno per accrescere la pressione internazionale sull’Iran affinché cessi il suo programma di arricchimento nucleare. Un mese dopo che il presidente Obama ha cancellato i piani di dispiegare un sistema di missili antiballistici nell’Europa dell’est, un’evidente offerta per assicurarsi l’appoggio della Russia per la linea dura nei confronti di Tehran, i massimi capi russi stanno chiaramente indicando di non avere alcuna intenzione di approvare forti nuove sanzioni sull’Iran. “Le minacce, le sanzioni e le minacce di pressioni nella situazione attuale, ne siamo convinti, sarebbero controproducenti” ha dichiarato il ministro degli esteri russo Sergey V. Lavrov, a seguito di un incontro con il segretario di stato americano Hillary Clinton tenutosi a Mosca lo scorso 13 ottobre. Il giorno seguente, il primo ministro russo Vladimir Putin ha detto che la minaccia di sanzioni era “prematura”. Dati i rischi politici che ha corso Obama cancellando il programma missilistico -- una mossa ampiamente condannata dai repubblicani a Washington -- lo sbrigativo rifiuto all’appello americano per la cooperazione sulla questione dell’arricchimento dell’Iran può solo essere interpretato come un ulteriore segno dell’indebolimento dell’influenza americana.

4. Si può inferire esattamente lo stesso da un incontro ad alto livello tenutosi a Beijing lo scorso 15 ottobre tra il primo ministro cinese Wen Jiabao e il primo vice presidente dell’Iran Mohammed Reza Rahimi. “La relazione sino-iraniana ha testimoniato un rapido sviluppo, dato che i leader dei due paesi hanno avuto frequenti scambi, e la collaborazione per il commercio e per l’energia si è allargata ed approfondita”, ha detto Wen Jiabao nella Grande Sala del Popolo. In un momento in cui gli Stati Uniti sono impegnati in un vigoroso sforzo diplomatico per persuadere, insieme ad altri paesi, la Cina e la Russia a ridurre i loro legami commerciali con l’Iran come un preludio a sanzioni più dure, la dichiarazione della Cina può essere solo considerata come un palese rifiuto di Washington.

5. Dal punto di vista di Washington, gli sforzi per assicurare il sostegno internazionale per la guerra in Afghanistan sono stati anche accolti con una risposta marcatamente deludente. In quello che può essere solo considerato un triviale e riluttante voto di sostegno per lo sforzo bellico guidato dagli USA, il primo ministro britannico Gordon Brown ha annunciato lo scorso 14 ottobre che la Gran Bretagna aggiungerà altre truppe al contingente britannico in Afghanistan -- ma non più di 500, e solo se anche le altre nazioni europee aumenteranno il loro coinvolgimento militare, cosa che indubbiamente sa di essere molto improbabile. Finora questo piccolo contingente provvisorio rappresenta la somma totale delle truppe aggiuntive che l’amministrazione di Obama è riuscita a strappare agli alleati europei dell’America, nonostante il sostenuto sforzo diplomatico per rafforzare le forze combinate della NATO in Afghanistan. In altre parole, persino l’alleato europeo dell’America più leale ed ossequioso non pare più disposto a portare il fardello di ciò che è ampiamente considerato come l’ennesima costosa e debilitante avventura militare americana nel grande Medio Oriente.

6. Infine, in una mossa di straordinaria importanza simbolica, il comitato olimpico internazionale (COI) ha scartato Chicago (oltre che Madrid e Tokyo) scegliendo Rio de Janeiro per ospitare le Olimpiadi estive del 2016, la prima volta che una nazione sudamericana viene prescelta per questo onore. Finché la votazione non ha avuto luogo Chicago era considerata una forte candidata, specialmente da quando Barack Obama, precedentemente residente a Chicago, è comparso a Copenhagen per fare pressioni sul comitato. Ciononostante, in uno sviluppo che ha scioccato il mondo intero, Chicago non solo ha perso, ma è stata la prima città ad essere eliminata durante proprio la prima votazione.

“Il Brasile è passato da paese di seconda classe a paese di prima classe, ed oggi abbiamo iniziato a ricevere il rispetto che meritiamo” ha detto il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva durante i festeggiamenti per la vittoria a Copenhagen dopo la votazione. “Potrei morire in questo istante e ne sarebbe già valsa la pena”. In pochi l’hanno detto, ma nel corso del processo per la decisione sulle olimpiadi, gli USA sono stati sommariamente e palesemente surclassati in un attimo da unico superpotere a mero partecipante, un momento simbolico su un pianeta che entra in una nuova era.

Essere un paese ordinario

Questi sono solo alcuni esempi dei recenti sviluppi che indicano, all’autore, che i giorni del predominio globale dell’America sono già giunti al termine, con anni di anticipo rispetto alle aspettative della comunità dell’ intelligence americana. È sempre più chiaro che gli altri poteri -- persino i nostri più vicini alleati -- stanno perseguendo in misura sempre maggiore politiche estere indipendenti, senza tener conto di quali pressioni possa cercare di fare Washington.

Certo, niente di tutto questo significa che per ancora un po’ di tempo a venire gli USA non manterranno la più grande economia mondiale e, in termini di pura distruttività, la più potente forza militare.
Tuttavia, non vi è dubbio che l’ambiente strategico in cui i leader americani devono prendere le decisioni critiche, quando si tratta di interessi nazionali vitali, è cambiato radicalmente dall’inizio della crisi economica globale.

Ancor più importante, il presidente Obama e i suoi esperti consiglieri stanno, così sembra, iniziando con riluttanza a modificare la politica estera americana con in mente questa nuova realtà globale. Questo appare evidente, ad esempio, nella decisione dell’amministrazione di rivisitare la strategia americana sull’Afghanistan.

Dopotutto era solo marzo quando il presidente abbracciava una nuova strategia orientata sulla controinsurrezione in Afghanistan, che coinvolgeva l’aumento dei soldati americani sul territorio e l’impegno di sforzi protratti per conquistare i cuori e le menti dei villaggi afgani dove i Talebani avevano riguadagnato terreno. È stato su questa base che ha licenziato il comandante in carica delle forze americane in Afghanistan, generale David D. McKiernan, sostituendolo con il generale Stanley A. McChrystal, considerato un più vigoroso fautore della controinsurrezione. Tuttavia quando McChrystal ha presentato ad Obama il conto per l’attuazione di questa strategia -- da 40 000 a 80 000 truppe in più (oltre le circa 20 000 extra truppe solo recentemente impegnate nel conflitto) -- in molti nel ristretto circolo del presidente si sono evidentemente sbiancati.

Non solo un così grande schieramento costerà centinaia di bilioni di dollari al Ministero del Tesoro americano, che può a stento permetterselo, ma gli sforzi a cui saranno sottoposti i corpi dell’esercito e della marina saranno molto probabilmente al limite della sopportabilità, dopo anni di viaggi multipli e di stress in Irak. Questo prezzo sarebbe certo più tollerabile se gli alleati dell’America si facessero maggiormente carico dell’onere, ma sono sempre meno pronti a farlo.

Senza dubbio, i leader della Russia e della Cina non sono del tutto scontenti di vedere gli Stati Uniti esaurire le proprie risorse economiche e militari in Afghanistan. In questi frangenti, non ci sorprende che il vice presidente Joe Biden, insieme ad altri, chieda una svolta nella politica americana, rinunciando all’approccio della controinsurrezione ed optando invece per una strategia meno costosa “antiterroristica”, finalizzata in parte a schiacciare Al Quaeda nel Pakistan -- utilizzando aeromobili radiocomandati e forze speciali, piuttosto che un gran numero di truppe americane (e lasciando relativamente invariati i livelli delle truppe in Afghanistan).

È troppo presto per prevedere come si svolgerà la revisione del presidente della strategia americana in Afghanistan, ma il fatto stesso che non abbia accettato immediatamente il piano McChrystal e che abbia lasciato a Biden così tanto spazio per perorare la sua causa, suggerisce che potrebbe finire col riconoscere la follia dell’espansione delle imprese militari americane all’estero in un momento in cui la sua egemonia globale sta calando.

Si avverte la cautela di Obama in altre sue mosse recenti. Sebbene continui ad insistere che l’acquisizione di armi nucleari da parte dell’Iran sia inammissibile e che l’uso della forza per prevenirlo rimane un’opzione, si è chiaramente mosso in modo da minimizzare la possibilità che tale opzione -- che sarebbe inoltre intralciata dai recalcitranti “alleati”-- sarà mai impiegata.

Il risvolto della medaglia è che ha dato nuova linfa alla diplomazia americana, cercando rapporti migliori con Mosca ed approvando i contatti diplomatici rinnovati con quelli che in precedenza erano stati paria come il Burma, il Sudan, e la Siria. Anche questo riflette la realtà del nostro mondo che cambia: che l’atteggiamento di bullismo, “io sono meglio di te” adottato dall’amministrazione Bush nei confronti di questi ed altri paesi per quasi otto anni ha ottenuto ben poco. Pensiamola come una tacita conferma che l’America adesso sta discendendo dal suo status di “unico superpotere” globale fino allo status di ordinario paese. Questo, dopotutto, è quello che fanno i paesi ordinari; coinvolgono gli altri paesi nel discorso diplomatico, che gli piaccia o meno il loro attuale governo.

Allora, benvenuti nel mondo del 2025. Non assomiglia al mondo del nostro passato recente, quando gli Stati Uniti sovrastavano tutte le altre nazioni, e non si armonizza bene con le fantasie di potere globale di Washington dopo il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991. Ma è la realtà.

Per molti Americani la perdita di tale egemonia può essere fonte di disagio, o persino di disperazione. D’altra parte, non dimentichiamoci i vantaggi di essere un paese ordinario come ogni altro: nessuno si aspetta che il Canada, la Francia o l’Italia mandino altre 40 000 truppe in Afghanistan, in aggiunta alle 68 000 che sono già lì e alle 120 000 ancora in Irak. E nessuno pretende neanche che questi paesi spendano $925 bilioni di dollari dei contribuenti per farlo -- l'attuale stima del costo di entrambi i conflitti secondo il National Priorities Project.

Rimane il quesito: per quanto tempo ancora Washington penserà che gli Americani possono permettersi di finanziare un ruolo globale che prevede il presidio di gran parte del pianeta e di combattere guerre lontane nel nome della sicurezza mondiale, quando l’economia americana sta perdendo così tanto terreno a vantaggio dei suoi competitori? Questo è il dilemma che dovranno affrontare il presidente Obama e i suoi consiglieri nel mondo alterato del 2025.

Michael T. Klare è professore di studi per la pace e per la sicurezza mondiale presso l’Hampshire College, ed è l’autore di Rising Powers, Shrinking Planet: The New Geopolitics of Energy (Owl Books). Il suo precedente libro “Blood and Oil” è disponibile in versione film documentario dalla Media Education Foundation, al sito Bloodandoilmovie.com.

Fonte: www.middle-east-online.com

07 novembre 2009

Questo è il potere




Eccovi i nomi e cognomi del Potere, chi sono, dove stanno, cosa fanno. Così li potrete riconoscere e saprete chi realmente oggi decide come viviamo. Così evitate di dedicare tutto il vostro tempo a contrastare le marionette del Potere, e mi riferisco a Berlusconi, Gelli, Napolitano, D’Alema, i ministri della Repubblica, la Casta e le mafie regionali. Così non avrete più quell’imbarazzo nelle discussioni, quando chi ascolta chiede “Sì, ma chi è il Sistema esattamente?”, e vi toccava di rispondere le vaghezze come “le multinazionali… l’Impero… i politici… ”. Qui ci sono i nomi e i cognomi, quindi, dopo avervi raccontato dove nacque il Potere (‘Ecco come morimmo’, paolobarnard.info), ora l’attualità del Potere. Tuttavia è necessaria una premessa assai breve.

Il Potere è stato eccezionalmente abile in molti aspetti, uno di questi è stato il suo mascheramento. Il Potere doveva rimanere nell’ombra, perché alla luce del sole avrebbe avuto noie infinite da parte dei cittadini più attenti delle moderne democrazie. E così il Potere ci ha rifilato una falsa immagine di se stesso nei panni dei politici, dei governi, e dei loro scherani, così che la nostra attenzione fosse tutta catalizzata su quelli, mentre il vero Potere agiva sostanzialmente indisturbato. Generazioni di cittadini sono infatti cresciuti nella più totale convinzione che il potere stesse nelle auto blu che uscivano dai ministeri, nei parlamenti nazionali, nelle loro ramificazioni regionali, e nei loro affari e malaffari. Purtroppo questa abitudine mentale è così radicata in milioni di persone che il solo dirvi il contrario è accolto da incredulità se non derisione. Ma è la verità, come andrò dimostrando di seguito. Letteralmente, ciò che tutti voi credete sia il potere non è altro che una serie di marionette cui il vero Potere lascia il cortiletto della politica con le relative tortine da spartire, a patto però che eseguano poi gli ordini ricevuti. Quegli ordini sono le vere decisioni importanti su come tutti noi dobbiamo vivere. E’ così da almeno 35 anni. In sostanza il punto è questo: combattere la serie C dei problemi democratici (tangentopoli, la partitocrazia, gli inciuci D’Alem-berlusconiani, i patti con le mafie, l’attacco ai giudici di questo o quel politico, le politiche locali dei pretoriani di questo o quel partito ecc.) è certamente cosa utile, non lo nego, ma non crediate che cambierà una sola virgola dei problemi capitali di tutti gli italiani, cioè dei vostri problemi di vita, perché la loro origine è decretata altrove e dal vero Potere. O si comprende questo operando un grande salto di consapevolezza, oppure siamo al muro. “Un colossale e onnicomprensivo ingranaggio invisibile manovra il sistema da lontano. Spesso cancella decisioni democratiche, prosciuga la sovranità degli Stati e si impone ai governi eletti”. Il Presidente brasiliano Lula al World Hunger Summit del 2004.

E’ nell’aria.

Come ho detto, sarò specifico, ma si deve comprendere sopra ogni altra cosa che oggi il Potere è prima di tutto un’idea economica. Oggi il vero Potere sta nell’aria, letteralmente dovete immaginare che esiste un essere metafisico, quell’idea appunto, che ha avvolto il mondo e che dice questo: ‘Pochi prescelti devono ricevere il potere dai molti. I molti devono stare ai margini e attendere fiduciosi che il bene gli coli addosso dall’alto dei prescelti. I governi si levino di torno e lascino che ciò accada’.
Alcuni di voi l’avranno riconosciuta, è ancora la vecchia teoria dei Trickle Down Economics di Ronald Reagan e di Margaret Thatcher, cioè il Neoliberismo, cioè la scuola di Chicago, ovvero il purismo del Libero Mercato. Questa idea economica comanda ogni atto del Potere, e di conseguenza la vostra vita, che significa che davvero sta sempre alla base delle azioni dei governi e dei legislatori, degli amministratori e dei datori di lavoro. Quindi essa comanda te, i luoghi in cui vivi, il tuo impiego, la tua salute, le tue finanze, proprio il tuo quotidiano ordinario, non cose astruse e lontane dal tuo vivere. La sua forza sta nel fatto di essere presente da 35 anni in ogni luogo del Potere esattamente come l’aria che esso respira nelle stanze dove esiste. La respirano, cercate di capire questo, gli uomini e le donne di potere, senza sosta, dal momento in cui mettono piede nell’università fino alla morte, poiché la ritrovano nei parlamenti, nei consigli di amministrazione, nelle banche, nelle amministrazioni, ai convegni dove costoro si conoscono e collaborano, ovunque, senza scampo. Ne sono conquistati, ipnotizzati, teleguidati. Il Potere ha creato attorno a quell’idea degli organi potentissimi, che ora vi descrivo, il cui compito è solo quello di metterla in pratica, null’altro. Essi sono quindi la parte fisica del Potere, ma che per comodità chiamiamo il vero Potere.

Primo organo: Il Club.

Il primo organo del Potere è il Club, cioè il raggruppamento in posti precisi ed esclusivi dei veri potenti. Chi sono? Sono finanzieri, industriali, ministri, avvocati, intellettuali, militari, politici scelti con cura. Fate attenzione: questo Club non sta mai nei luoghi che noi crediamo siano i luoghi del potere, cioè nei parlamenti, nelle presidenze, nelle magistrature, nei ministeri o nei business. Esso è formato da uomini e da donne provenienti da quei luoghi, ma che si riuniscono sempre all’esterno di essi ed in privato. Come dire: quando quegli uomini e quelle donne siedono nelle istituzioni democratiche sono solo esecutori di atti (leggi, investimenti, tagli…) che erano stati da loro stessi decisi nel Club. Esso assume nomi diversi a seconda del luogo in cui si riunisce. Ad esempio: prende il nome di Commissione Trilaterale se i suoi membri si riuniscono a Washington, a Tokio o a Parigi (ma talvolta in altre capitali UE). I fatti principali della Trilaterale: nasce nel 1973 come gruppo di potenti cittadini americani, europei e giapponesi; dopo soli due anni stila le regole per la distruzione globale delle sinistre e la morte delle democrazie partecipative, realmente avvenute; afferma la supremazia della guida delle elite sulle masse di cittadini che devono essere “apatici” e su altre nazioni; ha 390 membri, fra cui i più noti sono (passato e presente) Henry Kissinger, Jimmy Carter, David Rockefeller, Zbigniev Brzezinski, Giovanni Agnelli, Arrigo Levi, Carlo Secchi, Edmond de Rothschild, George Bush padre, Dick Cheney, Bill Clinton, Alan Greenspan, Peter Sutherland, Alfonso Cortina, Takeshi Watanabe , Ferdinando Salleo; assieme ad accademici (Harvard, Korea University Seoul, Nova University at Lisbon, Bocconi, Princeton University…), governatori di banche (Goldman Sachs, Banque Industrielle et Mobilière Privée, Japan Development Bank, Mediocredito Centrale, Bank of Tokyo-Mitsubishi, Chase Manhattan Bank, Barclays…) ambasciatori, petrolieri (Royal Dutch Shell, Exxon…), ministri, industriali (Solvay, Mitsubishi Corporation, The Coca Cola co. Texas Instruments, Hewlett-Packard, Caterpillar, Fiat, Dunlop…) fondazioni (Bill & Melinda Gates Foundation, The Brookings Institution, Carnegie Endowment…). Costoro deliberano ogni anno su temi come ‘il sistema monetario’, ‘il governo globale’, ‘dirigere il commercio internazionale’, ‘affrontare l’Iran’, ‘il petrolio’, ‘energia, sicurezza e clima’, ‘rafforzare le istituzioni globali’, ‘gestire il sistema internazionale in futuro’. Cioè tutto, e leggendo i rapporti che stilano si comprende come i loro indirizzi siano divenuti realtà nelle nostre politiche nazionali con una certezza sconcertante.

Quando il Club necessita di maggior riservatezza, si dà appuntamento in luoghi meno visibili dei palazzi delle grandi capitali, e in questo caso prende il nome di Gruppo Bilderberg, dal nome dell’hotel olandese che ne ospitò il primo meeting nel 1954. I fatti principali di questa organizzazione: si tratta in gran parte degli stessi personaggi di cui sopra più molti altri a rotazione, ma con una cruciale differenza poiché a questo Gruppo hanno accesso anche politici o monarchi attualmente in carica, mentre nella Commissione Trilaterale sono di regola ex. Parliamo in ogni caso sempre della stessa stirpe, al punto che fu una costola del Bilderberg a fondare nel 1973 la Commissione Trilaterale. Il Gruppo è però assai più ‘carbonaro’ della Trilaterale, e questo perché la sua originaria specializzazione erano gli affari militari e strategici. Infatti, in esso sono militati diversi segretari generali della NATO e non si prodiga facilmente nel lavoro di lobbistica come invece fa la Commissione. La peculiarità dirompente del Bilderberg è che al suo interno i potenti possono, come dire, levarsi le divise ed essere in libertà, cioè dichiarare ciò che veramente pensano o vorrebbero privi del tutto degli obblighi istituzionali e di ruolo. Precisamente in questo sta il pericolo di ciò che viene discusso nel Gruppo, poiché in esso i desideri più intimi del Potere non trovano neppure quello straccio di freno che l’istituzionalità impone. Da qui la tradizione di mantenere attorno al Bilderberg un alone di segretezza assoluto. I partecipanti sono i soliti noti, fra cui una schiera di italiani in posizioni chiave nell’economia nazionale, cultura e politica. Non li elenco perché non esistendo liste ufficiali si va incontro solo a una ridda di smentite (una lista si trova comunque su Wikipedia). Un fatto non smentibile invece, e assai rilevante, è la cristallina dichiarazione del Viscount Etienne Davignon, che nel 2005 fu presidente del Bilderberg, rilasciata alla BBC: “Agli incontri annuali, abbiamo automaticamente attorno ai nostri tavoli gli internazionalisti… coloro che sostengono l’Organizzazione Mondiale del Commercio, la cooperazione transatlantica e l’integrazione europea.” Cioè: i primatisti del Libero Mercato con potere sovranazionale ( si veda sotto), e i padrini del Trattato di Lisbona, cioè il colpo di Stato europeo con potere sovranazionale che ci ha trasformati in cittadini che verranno governati da burocrati non eletti. Di nuovo, i soliti padroni della nostra vita, che significa decisioni inappellabili su lavoro, previdenza, servizi sociali, tassi dei mutui, costo della vita ecc., prese non a Palazzo Chigi o all’Eliseo, ma a Ginevra o a Brussell o nelle banche centrali, dopo essere state discusse al Bilderberg.

Per darvi un’idea concreta di come questi Club e gli altri organi del Potere siano in realtà un unico blocco che si scambia sempre gli stessi personaggi, vi sottopongo la figura di Peter Sutherland. Costui lo si è trovato a dirigere la British Petroleum, la super banca Goldman Sachs, l’università The London School of Economics (una delle fucine mondiali di ministri dell’economia), ed è stato anche Rappresentante Speciale dell’ONU per l’immigrazione e lo sviluppo, Direttore Generale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (secondo organo del Potere), membro della Commissione Europea (il super-governo d’Europa), e ministro della Giustizia d’Irlanda. E, ovviamente, membro sia della Commissione Trilaterale che del Gruppo Bilderberg.

Secondo organo: Il colosso di Ginevra.

Si chiama Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), nacque nel 1994 ed è più potente di qualsiasi nazione o parlamento. Riunisce 153 Paesi in un’unica sede a Ginevra, dove essi dettano le regole del commercio internazionale, e ciò dicendo capirete che stiamo parlando di praticamente tutta l’economia del mondo produttivo, che lì viene decisa. Cioè fette enormi dei nostri posti di lavoro, di ciò che compriamo, mangiamo, con cui ci curiamo ecc., cose della nostra vita quotidiana, non astratte e lontane. Le decidono loro, e come nel caso della nuova Europa del Trattato di Lisbona, anche al WTO le regole emanate, dette Accordi, sono sovranazionali, cioè più potenti delle leggi nazionali. E come nel caso del Trattato, diviene perciò cruciale che regole così forti siano decise in modo democratico. Nel Trattato non lo sono, e al WTO? Neppure. Infatti la sua organizzazione di voto è falsata dallo strapotere dei soliti Paesi ricchi nel seguente modo: i Paesi poveri o meno sviluppati non posseggono le risorse economiche e il personale qualificato in numeri sufficienti per poter seguire il colossale lavoro di stesura degli Accordi del WTO (27.000 pagine di complicatissima legalità internazionale, 2.000 incontri annui), per cui ne sono tagliati fuori. Chi sta al timone è il cosiddetto gruppo QUAD, formato da Usa, Giappone, Canada ed Europa. Ma l'Europa intera è rappresentata al tavolo delle trattative del WTO dalla Commissione Europea, che nessun cittadino elegge, e per essere ancora più precisi vi dico che in realtà chi decide per tutti noi europei è un numero ancora più ristretto di burocrati: il misterioso Comitato 133 della Commissione, formato da specialisti ancor meno legittimati. La politica italiana di norma firma gli Accordi senza neppure leggerli.

Se un Paese si oppone a una regola del WTO può essere processato da un tribunale al suo interno (Dispute Settlement Body), dotato di poteri enormi. Questo tribunale è formato da tre (sic) individui di estrazione economico-finanziaria, le cui sentenze finali sono inappellabili. Una sentenza del WTO può penalizzare o persino ribaltare le scelte democratiche di milioni di cittadini, anche nei Paesi ricchi. Per esempio, tutta l’Europa è stata condannata a risarcire gli USA con milioni di euro perché si è rifiutata di importare la carne americana agli ormoni. Neppure gli Stati Uniti hanno potere sulle decisioni del WTO. Il presidente Obama, sotto pressione dai cittadini a causa della catastrofe finanziaria dello scorso anno, aveva deciso di imporre nuove regole restrittive delle speculazioni selvagge delle banche (la causa della crisi). Ma gli è stato sbarrato il passo proprio da una regola del WTO, che si chiama Accordo sui Servizi Finanziari, e che sancisce l’esatto contrario, cioè proibisce alla Casa Bianca e al Congresso di regolamentare quelle mega banche. E sapete chi, anni fa, negoziò quell’accordo al WTO? Timothy Geithner, attuale ministro del Tesoro USA, che è uno dei membri del Gruppo Bilderberg. Fa riflettere.

Vi do ancora un’idea rapida del potere del WTO. Gli Accordi che ha partorito: 1) hanno il potere di esautorare le politiche sanitarie di qualunque Paese, incrinando il vecchio Principio di Precauzione che ci tutela dallo scambio di merci pericolose (WTO: Accordo Sanitario- Fitosanitario).
2) tolgono al cittadino la libertà di sapere in quali condizioni sono fatte le merci che acquista e con che criteri sono fatte, inoltre ostacolano l’uso delle etichette a tutela del consumatore (WTO: Accordo Sanitario-Fitosanitario & Accordo Barriere Tecniche al Commercio, con implicazioni sui diritti dei lavoratori e sulla tutela dell'ambiente).
3) impongono ai politici di concedere alle multinazionali estere le stesse condizioni richieste alle aziende nazionali nelle gare d’appalto, a prescindere dalla necessità di favorire l’occupazione nazionale; e minacciano le scelte degli amministratori locali nel caso volessero facilitare l'inserimento di gruppi di lavoratori svantaggiati, poiché tali politiche sono considerate discriminazioni al Libero Mercato (WTO: Accordo Governativo sugli Appalti - Principio del Trattamento Nazionale ecc.).
4) accentrano nelle mani di poche multinazionali i brevetti della maggioranza dei principi attivi e delle piante che si usano per i farmaci o per l'agricoltura, poiché permettono la brevettabilità privata delle forme viventi e tutelano quei brevetti per 20 anni. Inoltre, il fatto che i brevetti siano protetti dal WTO per 20 anni sta alla base anche della mancanza di farmaci salva vita nei Paesi poveri. (WTO: Accordo TRIPS sulla Proprietà Intellettuale).
5) stanno promuovendo a tutto spiano la privatizzazione e l’apertura al Libero Mercato estero di praticamente tutti i servizi alla cittadinanza, anche di quelli essenziali come sanità, acqua, istruzione, assistenza agli anziani ecc., con regole che impediranno di fatto agli amministratori locali la tutela dei cittadini meno abbienti che non possono permettersi servizi privati (WTO: Accordo GATS in fase di negoziazione).

E ricordo, se ce ne fosse bisogno, che questi Accordi sono vincolanti su qualsiasi legge nazionale, esautorando quindi i nostri politici dalla gestione della nostra economia nei capitoli che contano.

Terzo organo: I suggeritori.

Prendete un disegno di legge e un decreto in campo economico, persino una finanziaria. Pensateli nelle mani dei politici che li attuano, e ora immaginate cosa gli sta dietro. Cosa? I ‘suggeritori’. Chi sono? Sono i lobbisti, coloro cioè che sono ricevuti in privato da ogni politico che conti al mondo e che gli ‘suggeriscono’ (spesso dettano) i contenuti delle leggi e dei decreti, ma anche delle linee guida di governo e persino dei programmi delle coalizioni elettorali. Le lobby non sono l’invenzione di fantasiosi perditempo della Rete. Sono istituzioni con nomi e cognomi, con uffici, con budget (colossali) di spesa, dove lavorano i migliori cervelli delle pubbliche relazioni in rappresentanza del vero Potere.

In ordine di potenza di fuoco, vi sono ovviamente le lobbies internazionali, quelle europee e infine quelle italiane. Parto da queste ultime. Va detto subito che nel nostro Paese l’interferenza dei ‘suggeritori’ non ha mai raggiunto i livelli di strapotere degli omologhi americani o europei, il cui operato tuttavia detta legge per contagio anche in casa nostra. Ma nondimeno essa c’è, e non va trascurata, anche perché in Italia esiste un vuoto normativo totale sull’attività delle lobbies: dopo decine di proposte di legge, nessuna di esse è mai approdata alla Gazzetta Ufficiale. I lobbisti italiani sono circa un migliaio, organizzati in diverse aziende fra cui spunta la Reti, fatturato 6 milioni di euro annui e gestione di un ex d’Alemiano di ferro, Claudio Velardi (altri gruppi: Cattaneo Zanetto & co., VM Relazioni Istituzionali, Burson-Marsteller, Beretta-Di Lorenzo & partners…). La proiezione per il futuro dei ‘suggeritori’ italiani è di almeno diecimila unità entro dieci anni, almeno secondo le richieste dei gruppi più noti. In assenza di regole, dunque, le cose funzionano così: si sfrutta la legge berlusconiana per il finanziamento ai partiti che permette finanziamenti occulti alle formazioni politiche fino a 50.000 euro per ciascun donatore, con la possibilità per la lobby di turno di far versare 49.999 euro dal banchiere A, altri 49.999 da sua moglie, altri 49.999 da suo figlio, ecc. all’infinito. In questo modo, con una stima basata sui bilanci passati, si calcola che il denaro sommerso versato alla politica italiana ammonti a diverse decine di milioni di euro all’anno, provenienti dai settori edile, autostradale, metallurgico, sanitario privato, bancario, televisivo, immobiliare fra gli altri. Le ricadute sui cittadini sono poi leggi e regolamenti che vanno a modificare spesso in peggio la nostra economia di vita e di lavoro. Un solo dato che fa riflettere: mentre appare ovvio che le grosse cifre siano spese per i ‘suggerimenti’ ai due maggiori partiti italiani, colpisce che l’UDC si sia intascata in offerte esterne qualcosa come 2.200.000 euro nel 2008, di cui l’80% da un singolo lobbista (l’immobiliarista Caltagirone). Chi di voi pensa ancora che il Potere siano i politici a Roma, pensi alla libertà di Pierferdinando Casini nel legiferare in campo immobiliare, tanto per fare un esempio. Ma non solo: Antonio di Pietro incassa 50.000 euro dalla famiglia Lagostena Bassi, che controlla il mercato delle Tv locali ma che contemporaneamente serve Silvio Berlusconi e foraggia la Lega Nord. Un obolo a fondo perduto? Improbabile. Il Cavaliere poi, non ne parliamo neppure; è fatto noto che il criticatissimo ponte sullo stretto di Messina, con le ricadute che avrà su tutti gli italiani, non è certo figlio delle idee di Berlusconi, piuttosto di tal Marcellino Gavio, titolare del gruppo omonimo e primo in lizza per l’impresa, ma anche primo come finanziamenti al PDL con i 650.000 euro versati l’anno scorso.

I ‘suggeritori’ americani… che dire. Negli USA l’industria delle lobby economiche non è più neppure riconoscibile dal potere politico, veramente non si capisce dove finiscano le prime e dove inizi il secondo. Troppo da raccontare, una storia immensa, che posso però riassumere con alcuni sketch. Lobby del petrolio e amministrazione di George W. Bush, risultato: due guerre illegali e sanguinarie (Iraq e Afghanistan), montagne di morti (oltre 2 milioni), crimini di guerra, l’intera comunità internazionale in pericolo, il prezzo del petrolio alle stelle, di conseguenza il costo della nostra vita alle stelle, ma alle stelle anche i profitti dei petrolieri. Chi ha deciso? Risposta: i membri della sopraccitata lobby del petrolio, che sono Dick Cheney, James Baker III, l’ex della Enron Kenneth Lay, il presidente del Carlyle Group Frank Carlucci, Robert Zoellick, Thomas White, George Schultz, Jack Sheehan, Don Evans, Paul O’Neil; a servizio di Shell, Mobil, UnionCarbide, Huntsman, Amoco, Exxon, Alcoa, Conoco, Carlyle, Halliburton, Kellog Brown & Root, Bechtel, e Enron. George W. Bush è il politico più ‘oliato’ nella Storia americana, con, solo dalle casse dei giganti di petrolio e gas, un bottino di oltre 1 milione e settecentomila dollari.
Lobby finanziaria/assicurativa e Barak Obama: nel 2008 crollano le banche USA dopo aver truffato milioni di esseri umani e migliaia di altre banche internazionali, 7 milioni di famiglie americane perdono il lavoro, l’intera economia mondiale va a picco, Italia inclusa. Obama firma un’emorragia di denaro pubblico dopo l’altra per salvare il deretano dei banchieri truffatori e per rianimare l’economia (dai 5 mila miliardi di dollari agli 11 mila secondo le stime), senza che neppure uno di quei gaglioffi finisca in galera. Anzi: il suo governo ha chiamato a ripulire i disastri di questa crisi globale gli stessi personaggi che l’hanno creata. Invece di farli fallire e di impiegare il denaro pubblico per la gente in difficoltà, Obama e il suo ministro del Tesoro Timothy Geithner gli hanno offerto una montagna di denaro facile affinché comprino i debiti delle banche fallite. Funziona così: questi delinquenti hanno ricevuto da Washington l’85% del denaro necessario per comprare quei debiti, mentre loro ne metteranno solo il 15%. Se le cose gli andranno bene, se cioè ritorneranno a guadagnare, si intascheranno tutti i profitti; se invece andranno male, essi ci rimetteranno solo il 15%, perché l’85% lo ha messo il governo USA e non è da restituire (i fondi così regalati si chiamano non-recourse loans). E’ il solito “socialismo al limone: le perdite sono dei contribuenti e i profitti sono degli investitori privati”. Non solo: il presidente propone nell’estate del 2009 una regolamentazione del settore finanziario che il Washington Post ha deriso definendola “Priva di un’analisi delle cause della crisi… e senza alcun vero controllo sugli hedge funds, gli equity funds, e gli investitori strutturati”, cioè nessun vero limite agli speculatori che causarono la catastrofe. Domanda: quanto denaro ha preso Obama in campagna elettorale dalle lobby finanziarie? Risposta: 38 milioni di dollari. Allora, chi comanda? Il Presidente o le lobby del Potere?

Poi ci sono i 45 milioni di americani senza assistenza sanitaria. Obama propone una falsa riforma della Sanità per tutelare gli esclusi, ma che, nonostante le sciocchezze scritte dai media italiani, non ha nulla di pubblico ed è un ulteriore regalo ai giganti delle assicurazioni private americane. Domanda: quanto denaro ha preso Obama in campagna elettorale dalle lobby assicurative e sanitarie? Risposta: oltre 20 milioni di dollari. Allora, chi comanda? Il Presidente o le lobby del Potere?
Washington è invasa ogni santo giorno da qualcosa come 16.000 o 40.000 lobbisti a seconda che siano registrati o meno, la cui percezione del potere che esercitano è cristallina al punto da spingere uno di loro, Robert L. Livingston, a sbottare entusiasta “Ci sono affari senza limiti per noi là fuori!”, mentre dalle finestre del suo ufficio spiava le sedi del Congresso USA.

Ma l’ultimo sketch del potere dei ‘suggeritori’, sempre in ambito americano, è quello delle lobby ebraiche. Qui il dibattito è aperto, fra coloro che sostengono che sono quelle lobby a gestire interamente la politica statunitense nel teatro mediorientale, e coloro che lo negano. Personalmente credo più alla prima ipotesi, ma la sostanza non cambia: di fatto ci troviamo ancora una volta di fronte alla dimostrazione che neppure il governo più potente del mondo può sottrarsi ai condizionamenti del Potere vero. Ecco un paio di illustri esempi: nella primavera del 2002, proprio mentre l’esercito israeliano reinvadeva i Territori Occupati con i consueti massacri indiscriminati di civili, un gruppo di eminenti sostenitori americani d’Israele teneva una conferenza a Washington, dove a rappresentare l’amministrazione di George W. Bush fu invitato l’allora vice ministro della difesa Paul Wolfowitz, noto neoconservatore di estrema destra e aperto sostenitore della nazione ebraica. Lo scomparso Edward Said, professore di Inglese e di Letteratura Comparata alla Columbia University di New York e uno degli intellettuali americani più rispettati del ventesimo secolo, ha raccontato un particolare di quell’evento con le seguenti parole: “Wolfowitz fece quello che tutti gli altri avevano fatto – esaltò Israele e gli offrì il suo totale e incondizionato appoggio – ma inaspettatamente durante la sua relazione fece un fugace riferimento alla ‘sofferenza dei palestinesi’. A causa di quella frase fu fischiato così ferocemente e per così a lungo che non potè terminare il suo discorso, abbandonando il podio nella vergogna.” Stiamo parlando di uno dei politici più potenti del terzo millennio, di un uomo con un accesso diretto alla Casa Bianca e che molti accreditano come l’eminenza grigia dietro ogni atto dello stesso ex presidente degli Stati Uniti. Eppure gli bastò sgarrare di tre sole parole nel suo asservimento allo Stato d’Israele per essere umiliato in pubblico e senza timori da chi, evidentemente, conta più di lui nell’America di oggi. Le lobby ebraiche d’America hanno nomi noti: AIPAC (American Israel Public Affairs Committee), ZOA (Zionist Organization of America), AFSI (Americans for a Safe Israel), CPMAJO (Conference of Presidents of Major American Jewish Organisatios), INEP (Institute for Near East Policy), JDL (Jewish Defense League), B’nai Brith, ADL (Anti Defamation League), AJC (American Jewish Committee), Haddasah. Nei corridoi del Congresso americano possono creare seri grattacapi a Senatori e Deputati indistintamente. Un fronte compatto che secondo lo stesso Edward Said “può distruggere una carriera politica staccando un assegno”

Nel 1992 George Bush senior ebbe l’ardire (e la sconsideratezza) a pochi mesi da una sua possibile rielezione alla Casa Bianca di minacciare Tel Aviv con il blocco di dieci miliardi di dollari in aiuti se non avesse messo un freno agli insediamenti ebraici nei Territori Occupati. Passo falso: gli elettori ebrei americani, che già per tradizione sono propensi al voto Democratico, svanirono davanti ai suoi occhi in seguito alle sollecitazioni delle lobby, e nel conto finale dei voti Bush si trovò con un misero 12% dell’elettorato ebraico contro il 35% che aveva incassato nel 1988. Al contrario, la campagna elettorale del suo rivale Bill Clinton fu invece innaffiata dai lauti finanziamenti proprio di quelle organizzazioni di sostenitori d’Israele, che l’allora presidente aveva in tal modo alienato.
E in ultimo l’Europa, cioè l’Unione Europea. Che alla fine significa Brussell, cioè la Commissione Europea, che è il vero centro decisionale del continente, e che dopo la ratifica del Trattato di Lisbona è divenuta il super governo non eletto di tutti noi, con poteri immensi. A Brussell brulicano dai 15.000 ai 20.000 lobbisti, che spendono un miliardo di euro all’anno per ‘suggerire’ le politiche e le leggi a chi le deve formulare. E come sempre, eccovi i nomi dei maggiori gruppi: Trans Atlantic Buisness Dialogue (TABD) - European Services Leaders Group (ESLG) – International Chamber of Commerce (ICC) – Investment Network (IN) – European Roundtable of Industrialists (ERT) – Liberalization of Trade in Servicies (LOTIS), European Banking Federation, International Capital Market Association e altri. Il loro strapotere può essere reso dicendovi che per esempio l’Investment Network si riuniva direttamente dentro il palazzo della Commissione Europea a Bruxelles, o che il TABD compilava liste di suoi desideri che consegnava alla Commissione da cui poi pretendeva un resoconto scritto sull’obbedienza a quegli ordini. Le aziende rappresentate sono migliaia, fra cui cito una serie di nomi noti: Fiat e Pirelli, Barilla, Canon e Kodak, Johnson & Johnson, Motorola, Ericsson e Nokia, Time Warner, Rank Xerox e Microsoft, Boeing (che fa anche armi), Dow Chemicals, Danone, Candy, Shell, Microsoft, Hewlett Packard, IBM, Carlsberg, Glaxo, Bayer, Hoffman La Roche, Pfizer, Merck, e poi banche, assicurazioni, investitori…
Mi fermo. Il rischio nel continuare è che si perda di vista il punto capitale, ovvero l’assedio che i lobbisti pongono alla politica. Esso, oltre a dimostrare ancora una volta che il potere reale sta nei primi e non nella seconda, è un vero e proprio attentato alla democrazia. Poiché ha ormai snaturato del tutto il principio costituzionale di ogni nazione civile, secondo cui i rappresentanti eletti devono fare gli interessi delle maggioranze dei cittadini e tutelare le minoranze, non essere gli stuoini delle elite e dei loro ‘suggeritori’.

Quarto organo: Think Tanks.

Letteralmente “serbatoi di pensiero” nella traduzione in italiano, le Think Tanks sono esattamente ciò, ovvero fondazioni dove alcuni fra i migliori cervelli si trovano per partorire idee. Il loro potere sta nell’assunto che apre questa mia trattazione, e cioè che sono le idee a dominare sia la Storia che la politica, e di conseguenza la nostra vita, in particolare l’idea economica. Lewis Powell lo comprese assai bene nel 1971, quando diede il via alla riscossa delle elite e alla fine della democrazia partecipativa dei cittadini (si legga ‘Ecco come morimmo’, paolobarnard.info). Infatti egli scrisse: “C’è una guerra ideologica contro il sistema delle imprese e i valori della società occidentale”. La parola ‘ideologica’ è la chiave di lettura qui, volendo dire che se le destre economiche ambivano a riconquistare il mondo, se ambivano a sottomettere la politica, cioè a divenire il vero Potere, si dovevano armare di idee in grado di scalzare ogni altro sistema di vita. Ecco che dalle sue parole nacquero le prime Think Tanks, come la Heritage Foundation, il Manhattan Institute, il Cato Institute, o Accuracy in Academe. La loro strategia era semplice: raccogliere denaro da donatori facoltosi, raccattare nelle università i cervelli più brillanti, pomparli di sapere a senso unico, di attestati prestigiosi, e immetterli nel sistema di comando della società infiltrandolo tutto. Per darvi un’idea di che razza di impatto queste Think Tanks sono riuscite ad avere, cito alcuni fatti. Nel solo campo del Libero Mercato, cioè dell’idea economica del vero Potere, ve ne sono oggi 336, piazzate oltre che nei Paesi ricchi anche in nazioni strategiche come l’Argentina e il Brasile, l’Est Europa, l’Africa, l’India, la Cina, le ex repubbliche sovietiche dell’Asia, oltre che in Italia (Adam Smith Soc., CMSS, ICER, Ist. Bruno Leoni, Acton Ist.). Alcune hanno nomi sfacciati, come la Minimal Government, la The Boss, o la Philanthropy Roundtable; una delle più note e aggressive è l’Adam Smith Institute di Londra, che ostenta un’arroganza di potere tale da vantare come proprio motto questo: “Solo ieri le nostre idee erano considerate sulla soglia della follia. Oggi stanno sulle soglie dei Parlamenti”. Di nuovo, il fatto è sempre lo stesso: la politica è la marionetta, o, al meglio, è il braccio esecutivo del vero Potere. Infatti, l’osservatore attento avrà notato che assai spesso i nostri ministri economici, i nostri banchieri centrali, ma anche presidenti del consiglio (Draghi e Prodi su tutti) si trovano a cene o convegni presso queste fondazioni/Think Tanks, di cui in qualche raro caso i Tg locali danno notizia. In apparenza cerimonie paludate e noiose, in realtà ciò che vi accade è che ministri, banchieri e premier vi si recano per dar conto di ciò che hanno fatto per compiacere all’idea economica del vero Potere. Nel 1982, l’Adam Smith pubblicò il notorio Omega Project, uno studio che ebbe ripercussioni enormi sulla gestione delle nostre vite di lavoratori ordinari, e dove si leggeva che i suoi scopi erano di “fornire un percorso completo per ogni governo basato sui principi di Libero Mercato, minime tasse, minime regolamentazioni per il business e governi più marginali (sic)”. In altre parole tutto ciò che ha già divorato la vita pubblica in Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti e che sta oggi “sulla soglia del Parlamento” in Italia.

Quinto organo: l’Europa dei burocrati non eletti.

Non mi ripeto, poiché questo capitolo è già esaustivamente descritto qui http://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=139. Ma ribadisco il punto centrale: dopo la ratifica del “colpo di Stato in Europa” che prende il nome di Trattato di Lisbona, 500 milioni di europei saranno a breve governati da elite di burocrati non eletti secondo principi economici, politici e sociali interamente schierati dalla parte del vero Potere di cui si sta trattando qui, e che nessuno di noi ha potuto scegliere né discutere. Il governo italiano ha ratificato questo obbrobrio giuridico senza fiatare, obbedendo come sempre.

Sesto Organo: il Tribunale degli Investitori e degli Speculatori Internazionali.

Era il 16 Settembre del 1992, un mercoledì. Quel giorno un singolo individuo decise di spezzare la schiena alla Gran Bretagna. Si badi bene, non al Burkina Faso, alla Gran Bretagna. E lo fece. George Soros, un investitore e speculatore internazionale, vendette di colpo qualcosa come 10 miliardi di sterline, causando il collasso del valore della moneta inglese che fu così espulsa dal Sistema Monetario Europeo. Soros si intascò oltre 1 miliardo di dollari, ma milioni di inglesi piansero lacrime amare e il governo di Londra ne fu umiliato.
Era l’agosto del 1998, e nel caldo torrido di New York un singolo individuo contemplò il crollo dei mercati mondiali per causa sua. John Meriwether, un investitore e speculatore internazionale, aveva giocato sporco per anni e irretito praticamente tutte le maggiori banche del mondo con 4,6 miliardi di dollari ad alto rischio. La sua compagnia, Long-Term Capital Management, era nota a Wall Street perché i suoi manager si fregiavano del titolo di ‘I padroni dell’universo’, cioè pochi individui ubriachi del proprio potere. Meriwether perse tutto, e i mercati del mondo, che alla fine sono i nostri posti di lavoro, tremarono. La Federal Reserve di New York dovette intervenire in emergenza col solito salvataggio a spese dei contribuenti.

Era l’anno scorso, e in un ufficio londinese dell’assicurazione americana AIG, un singolo individuo, di nuovo un investitore e speculatore internazionale di nome Joseph Cassano, dovette prender su la cornetta del telefono e dire alla Casa Bianca “… ho mandato al diavolo la vostra economia, sorry”. E lo aveva veramente fatto. Questa volta la truffa dei suoi investimenti era di 500 miliardi di dollari, le solite banche internazionali (italiane incluse) vi erano dentro fino al collo con cifre da migliaia di miliardi di dollari a rischio. Panico mondiale, fine del credito al mondo del lavoro di quasi tutto il pianeta e, sul piatto di noi cittadini, ecco servita la crisi economica più pericolosa dal 1929 a oggi. Ovvero le solite lacrime amare, veramente amare, per le famiglie di Toronto come per quelle di Perugia, per quelle di Cincinnati come per quelle di Lione, a Vercelli come a Madrid ecc. Per non parlare degli ultimi della Terra…

Tre storie terribilmente vere, che descrivono chiaro, anzi, chiarissimo, cosa si intende per il ‘Tribunale degli Investitori e degli Speculatori Internazionali’, e quale sia il loro sterminato potere nel mondo di oggi. Altro che Tremonti o Confindustria. Nel mondo odierno esiste una comunità di singoli individui privati capaci di movimentare quantità di ricchezze talmente colossali da scardinare in poche ore l’economia di un Paese ricco, o le economie di centinaia di milioni di lavoratori che per esse hanno faticato un’intera vita, cioè famiglie sul lastrico, aziende che chiudono. Le loro decisioni sono come sentenze planetarie. Inappellabili. Si pensi, se è possibile pensare un’enormità simile, che costoro stanno facendo oscillare sul Pianeta qualcosa come 525 mila miliardi di dollari in soli prodotti finanziari ‘derivati’, cioè denaro ad altissimo rischio di bancarotta improvvisa. 525 mila miliardi… Vi offro un termine di paragone per capire: il Prodotto Interno Lordo degli USA è di 14 mila miliardi di dollari. Rende l’idea? L’Italia dipende come qualsiasi altra nazione dagli investitori esteri, per cifre che si aggirano sui 40 miliardi di euro all’anno, cioè più di due finanziarie dello Stato messe assieme. Immaginate se una cifra simile dovesse sparire dalla nostra economia oggi. Nel 2008 è quasi successo, infatti ne sono scomparsi di colpo più della metà (57%) col risultato in termini di perdita di posti di lavoro, precarizzazione, e relativo effetto domino sull’economia di cui ci parla la cronaca. Ripeto: qualcuno che non sta a palazzo Chigi, decide che all’Italia va sottratto il valore di oltre un’intera finanziaria. Così, da un anno all’altro, una cifra pari a tutto quello che lo Stato riesce a spendere per i cittadini gli viene sottratta dal ‘Tribunale degli Investitori e degli Speculatori Internazionali’, a capriccio. Questa tirannia del vero Potere prende il nome tecnico di Capital Flight (letteralmente capitali che prendono il volo), ed è interessante constatare il candore con cui il ‘Tribunale’ descrive la pratica: basta leggere Investors.com là dove dice che “Capital Flight è lo spostamento di denaro in cerca di maggiori profitti… cioè flussi enormi di capitali in uscita da un Paese… spesso così enormi da incidere su tutto il sistema finanziario di una nazione”. Peccato che di mezzo ci siano i soliti ingombranti esseri umani a milioni. Oltre al caso italiano, si pensi alla Francia, altro Stato ricco e potente, ma non a sufficienza per sfuggire alle sentenze del ‘Tribunale’, che ha punito l’Eliseo con una fuga di capitali pari a 125 miliardi di dollari per aver legiferato una singola tassa sgradita al business.

Conclusione.

Gli organi esecutivi del vero Potere non si limitano a questi sei, vi si potrebbe aggiungere il World Economic Forum, il Codex Alimentarius, l’FMI, il sistema delle Banche Centrali, le multinazionali del farmaco. Ma quelli menzionati sono gli essenziali da conoscere, i primari. Un’ultima brevissima nota va dedicata alle mafie regionali, che sono spesso erroneamente annoverate fra i poteri forti (e non posso purtroppo entrare qui nel perché siano un così caratteristico fenomeno italiano). La lotta ad esse è sacrosanta, ma il potere che gli verrebbe sottratto da una eventuale vittoria della società civile è prima nulla a confronto di quanto illustrato sopra, e in secondo luogo è comunque un potere concessogli da altri. Traffico di droga, prostituzione, traffico d’armi, e riciclaggio di rifiuti tossici sono servizi che le mafie praticano per conto di committenti sempre riconducibili al vero Potere, o perché da esso condizionati oppure perché suoi ingranaggi importanti. Serva qui quanto mostrato nel 1994 dal programma d’inchiesta ‘Panorama’ della BBC, dove un insider della criminalità organizzata britannica si rese disponibile a condurre il reporter nel cuore della “mafia più potente del mondo”, a Londra. L’auto su cui viaggiavano con telecamera nascosta si fermò a destinazione… nel centro della City finanziaria della capitale. Indicando dal finestrino i grattacieli dei giganti del business internazionale, il pentito disse: “Eccoli, stanno tutti lì”. (si pensi che il giro d’affari mondiale delle Cosche è stimato sugli 80 miliardi di dollari, che sono un terzo del giro d’affari di una singola multinazionale del farmaco come la Pfizer) Se queste mie righe sono state efficaci, a questo punto i lettori dovrebbero volgere lo sguardo a quegli ometti in doppiopetto blu che ballonzolano le sera nei nostri Tg con il prefisso On., o il suffisso PDL, PD, UDC, e dovrebbero averne, non dico pietà, ma almeno vederli per quello che sono: le marionette di un altro Potere. Ma soprattutto, i lettori dovrebbero finalmente poter connettere i punti del puzzle, e aver capito da dove vengono in realtà i problemi capitali della nostra vita di cittadini, o addirittura i drammi quotidiani che tante famiglie di lavoratori patiscono, cioè chi li decise, chi li decide oggi e come si chiamano costoro. Da qui una semplice considerazione: se vi sta a cuore la democrazia, la giustizia sociale, e la vostra economia quotidiana di lavoro e di servizi essenziali alla persona, allora dovete colpire chi veramente opera per sottrarceli, cioè il vero Potere. Ci si organizzi per svelarlo al grande pubblico e per finalmente bloccarlo. Ora lo conoscete, e soprattutto ora sapete che razza di macchina micidiale, immensa e possente esso è. Risulta ovvio da ciò che gli attuali metodi di lotta dei Movimenti sono pietosamente inadeguati, infantili chimere, fuochi di paglia, che mai un singolo attimo hanno impensierito quel vero Potere. Di conseguenza lancio un appello ancora una volta:

VA COMPRESO CHE PER ARGINARE UN TITANO DI QUELLA POSTA L’UNICA SPERANZA E’ OPPORGLI UN’ORGANIZZAZIONE DI ATTIVISTI E DI COMUNICATORI ECCEZIONALMENTE COMPATTA, FINANZIATA, FERRATA, DISCIPLINATA, SU TUTTO IL TERRITORIO, AL LAVORO SEMPRE, IMPLACABILE, NEI LUOGHI DELLA GENTE COMUNE, PER ANNI. (http://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=153)

Altra speranza non c’è, sempre che ancora esista una speranza.

Paolo Barnard

03 novembre 2009

Il Pound editore le cantava alle banche usuraie


Il Deuteronomio è chiaro come il sole: «Tu presterai a molte genti, e tu non prenderai nulla in prestito; e signoreggerai sopra grandi nazioni, ed esse non signoreggeranno sopra te» (15,6). Ecco fatto: è nata l’economia. Peggio, sono nate le banche.

Il lettore non tema, la foliazione del Giornale non è impazzita. Qui di economia si tratta, è vero, ma di quella particolare economia «eretica» e in fondo poeticamente utopica che porta la firma di un sottoscrittore (né di bond argentini, né di altre diavolerie...) che più eretico non si può: Ezra Pound. Per il quale non vale l’antico adagio «nomen omen» in quanto, pur chiamandosi Pound, cioè «sterlina», si rifiutò di battere moneta, preferendo battersi contro la moneta. Cioè contro l’usura. E non ci riferiamo tanto al saggio di Giano Accame Ezra Pound economista. Contro l’usura (Settimo Sigillo, 1995), quanto a una chicca ora proposta per la prima volta in italiano e dal titolo inequivocabile: Storia dei crimini monetari (excelsior 1881, pagg. 262, euro 15,50, traduzione di Luca Gallesi).

L’autore di questo volume che potrebbe con pieno diritto fregiarsi del sottotitolo «Il libro nero delle banche» è Alexander Del Mar (1836-1926), definito così dal «miglior fabbro» dei Cantos: «Il più grande storico americano, che prosegue l’opera di Mommsen e, come Louis Agassiz e Leo Frobenius, mette in pratica l’insegnamento di Alexander von Humboldt di raccogliere e ordinare un gran numero di fatti isolati per riuscire poi a costruire delle idee generali». L’affinità elettiva che legava i due si materializzò quando mister Sterlina era diventato... mister Dollaro. Ecco come.

Dopo la prigionia pisana, fu l’ospedale criminale federale di St. Elizabeths (Washington) a spalancare le porte al poeta, accusato di alto tradimento. Fu una detenzione di lavoro: Pound ne approfittò per dirigere una nuova collana della piccola casa editrice newyorkese Kasper and Horton che si chiamava...
«Square Dollars Series». E fra i volumi a buonissimo mercato (un dollaro, appunto) covati e fatti dischiudere da lui, spicca proprio quello di Del Mar, dalle origini spagnole ed ebree e dal piglio, economicamente parlando, poco yankee. La carriera di Del Mar non fu quella del classico studioso emarginato e solitario. Segretario del Tesoro e membro della Commissione monetaria, creò e diresse l’Ufficio di statistica degli Stati Uniti. Fu inoltre delegato ai congressi internazionali monetari di Torino (1866) e di San Pietroburgo (1872). Insomma, un pezzo grosso.

Ma un pezzo grosso con in testa una convinzione poco progressiva (oggi diremmo poco creativa...) della finanza. In particolare delle finanze dello Stato e dei singoli cittadini. «Del Mar credeva - dice Francesco Merlo nella “Prefazione” all’edizione di excelsior 1881 - che qualsiasi cambiamento del valore della moneta fosse un attentato alla sovranità dello Stato, al benessere dei cittadini e alla solidità delle banche». Egli «sognava una moneta immodificabile, non convertibile in metallo: valore assoluto». Qualcosa, insomma, da non affidare, pena una criminale instabilità, a mani private. Il titolo originale del suo libro era Barbara Villiers, or a History of Monetary Crimes. La Villiers, spiega Gallesi, «era l’amante di Carlo II, il sovrano Stuart chiamato a restaurare la monarchia dopo la parentesi repubblicana di Cromwell. A lei il re concesse di usufruire delle rendite del signoraggio, e tramite questa dama la nuova élite emergente di orafi e banchieri riuscì a ottenere che il privilegio dell’emissione di denaro, fino allora prerogativa reale, passasse in mani private».

La decadenza dell’Occidente origina da quel momento. E Pound, estimatore di Del Mar, per parte sua fissa una data precisa: il 1694, l’anno della fondazione della Banca d’Inghilterra. Sappiamo che l’autore dei Cantos le cantava belle ai fan del mercato. Per esempio: «I liberali che non sono tutti usurai, dovrebbero spiegarci perché gli usurai sono tutti liberali...». Sappiamo anche che, come Clifford Douglas, riteneva che la differenza fra salario e potere d’acquisto dovesse essere colmata dallo Stato con l’emissione corrispondente in carta moneta di un «credito sociale».

Sappiamo però anche che il poeta non prediligeva, diversamente da Del Mar, la moneta immortale, bensì, come Silvio Gesell, quella «prescrivibile»: una moneta emessa dallo Stato e affrancata ogni mese con una marca da bollo pari all’1 per cento del suo valore nominale, pena la sua invalidità, così che in cento mesi la moneta esaurisca il proprio corso e venga sostituita.

Gli pareva una bella idea, tanto che dopo l’armistizio, il 10 settembre 1943, propose alla Repubblica di Salò di adottarla. Non se ne fece nulla. Dieci anni prima, rivolgendosi direttamente a Mussolini, gli aveva indicato il sistema per «non far pagare le tasse ai cittadini, tassando il denaro alla Banca centrale al momento dell’emissione». Come tutti sanno, non se n’era fatto nulla neanche allora...

di Daniele Abbiati