28 febbraio 2013

Il successo del Movimento 5 Stelle





Il SUCCESSO DEL M5S
Sul Movimento Cinque Stelle (M5S) nelle ultime settimane si è scritto di tutto, ma la grande stampa italiana ha espresso per lopiù giudizi fortemente negativi, al punto da considerare Grillo un pericolo per la democrazia, un fascista, uno stalinista, un antisemita e così via. Sciocchezze, ma che rivelano l’irrimediabile ottusità della classe dirigente italiana (giornalisti e intellettuali compresi) ormai incapace di comprendere la realtà del nostro Paese. Con questo non vogliamo affermare che il M5S non sia una incognita. Indubbiamente il movimento politico di Grillo manca di un collante ideologico e di una salda dottrina politica e strategica. Perciò, tradimenti e voltafaccia vari è molto probabile che ci saranno. Ma non è affatto scontato che sarà il “trasformismo” che caratterizzerà l’operato del M5S in Parlamento.
Intanto, si dovrebbe prendere atto che il M5S è riuscito nella non facile impresa di “uscire” da internet e di togliere la “piazza” alla sinistra interpretando il malcontento e la rabbia di milioni di italiani che stanno sperimentando sulla propria pelle il fallimento della “terapia” del commissario Monti. Una “terapia” – non lo si deve dimenticare – impostaci dalla BCE (che è la longa manus della finanza angloamericana in Europa) e condivisa sia dal PD che dal PDL. E che ha portato il nostro  Paese sull’orlo del baratro e ad avere una disoccupazione giovanile ben oltre il 30%, nonostante un avanzo primario del 5% (ovvero al netto degli interessi sul debito pubblico). Durante l’anno orribile del governo Monti, però la parola d’ordine del PD e dello stesso PDL è stata una sola: privatizzare. Privatizzare come negli ultimi decenni. Ovvero (s)vendere ai “mercati” l’Italia e gli italiani, perché “lo chiede l’Europa”. Adesso che il risultato di tale politica è sotto gli occhi di tutti si tratta quindi di capire se il M5S non rimarrà prigioniero dell’”antipolitica” (cioè di una generica, benché comprensibile e condivisibile, protesta contro il sistema politico) e saprà invece interpretare la rabbia degli italiani in una nuova chiave (geo)politica che possa bloccare, o perlomeno ostacolare, il”tritacarne” della finanza angloamericana.
Certo ci aspettano mesi duri. Anzi durissimi. Monti ha dichiarato che teme la reazione dei “mercati”. E questi già fanno sentire la loro voce. Ma tutti sappiamo “chi” sono i “mercati” e che cosa vogliono. Sarebbe necessario allora elaborare una linea di “azione strategica” che permetta di opporsi con successo ai “mercati”. Vero che non è facile e che la situazione è gravissima. Guai ad illudersi. Ma margini di manovra ci sono, se strangolare l’Italia significa sfasciare Eurolandia. E questa è una “carta” che il nostro Paese dovrebbe giocare bene. Fondamentale è saper far leva sull’economia reale (PMI, settori strategici, ricerca etc.). In primo luogo, si dovrebbe ridefinire la partecipazione dell’Italia ad Eurolandia e la stessa struttura politica dell’Unione Europea. Al riguardo, però è degno di nota che Mauro Gallegati, l’esperto economico del M5S, abbia precisato che il M5S non vuole «uscire dall’euro e abbandonare l’Europa, ma le strade sono due: una vera unione politico-monetaria o due zone Euro, una per la Germania e i paesi più forti, l’altra per i Paesi più deboli». (1)
D’altronde, vi è pure da prendere in considerazione la delicata questione della politica estera, che incide sempre di più sulla realtà economica e sociale dei singoli Paesi. Da dove “proviene” la crisi  è noto; e pure perché abbia avuto inizio proprio negli Stati Uniti. Né è un caso che le “mani” che controllano i “mercati” siano tutte a “stelle e strisce”. Sicché, certe affermazioni di Grillo sull’Iran e sulla Siria e soprattutto la sua condanna della politica di potenza d’Israele, nonché il fatto che il M5S sia nettamente contrario al MUOS, giustificherebbero un certo ottimismo. Il condizionale però è d’obbligo essendoci ancora, anche sotto questo profilo, non poche “zone d’ombra”, in particolare per quanto concerne i rapporti con i nuovi attori geopolitici sullo scacchiere mondiale (BRICS, SCO etc.), che sono destinati avere un ruolo sempre maggiore nel prossimo futuro ed avere di conseguenza sempre più importanza per lo sviluppo dell’economia e della società europea. Ma è improbabile (ma non “impossibile”) che il M5S non metta in discussione la politica filoatlantista del nostro Paese, dato che insiste sulla necessità di mettere fine alle nostre missioni militari all’estero, che sono solo in funzione dei progetti di egemonia globale degli Stati Uniti.
Insomma, il successo del M5S, al di là di facili ed “superficiali” entusiasmi, non solo non è irrilevante, ma potrebbe veramente cambiare, almeno in parte, il volto politico del nostro Paese.   Comunque sia, un po’ di sabbia nel “tritacarne” ora c’è. Ed è un fatto positivo, anche se non è ancora una autentica inversione di tendenza. Peraltro, tanto i partiti del centrodestra quanto quelli del centrosinistra non solo sono in buona misura responsabili della drammatica situazione in cui si trova l’Italia, ma, come dimostra la stessa vicenda del Monte dei Paschi di Siena, sono tutti ricattabili. A tale proposito, si dovrebbe tener presente quanto scrivono Stefano Sylos Labini e Giorgio Ruffolo, ossia che «l’’attesa spasmodica del giudizio dei mercati assume i tratti di un imperscrutabile destino e rivela fino a che punto è stata compromessa la sovranità politica delle democrazie [...] Da un lato c’è un mercato finanziario dominato da grandi concentrazioni di potere e perfettamente integrato a livello mondiale, che può condizionare le politiche dei governi. Dall’altro ci sono i governi che ne subiscono il ricatto».(2) E’ allora contro questo ricatto che il M5S si deve battere, se ha a cuore non gli interessi di quel 10% della popolazione che detiene quasi il 50% della ricchezza nazionale, bensì le sorti del popolo italiano. Ed è questa la “conditio sine qua non” per eliminare corruzione, malcostume e inefficienza senza distruggere la base produttiva del nostro Paese.
Tuttavia, questo lo può fare solo la “politica”. Il M5S dovrebbe pertanto, a nostro giudizio, evitare di confondere la funzione politica, oggi più che mai necessaria e decisiva, con i politicanti inetti e corrotti o con le stesse istituzioni politiche, che naturalmente non sono state delegittimate da Grillo, ma, per così dire, si sono delegittimate da sole. In ogni caso, siamo sicuri che nei prossimi mesi, se non addirittura nelle prossime settimane, molti dubbi saranno chiariti. E dato che non ignoriamo quali sono i motivi che spingono gazzettieri e politicanti ad accusare il M5S di essere un movimento “populista”, non abbiamo nemmeno difficoltà ad ammettere che non ci dispiacerebbe che tale accusa si rivelasse non del tutto infondata, pur augurandoci, per il bene degli italiani, che il M5S “cresca” il più rapidamente possibile, sia dal punto di vista della cultura politica sia da quello politico-strategico. Se invece ci fossimo sbagliati e il M5S si dovesse rivelare un movimento politico funzionale al sistema di potere“euroamericano”, è ovvio che non si tratterebbe solo di una buona occasione persa. E le conseguenze per il nostro Paese sarebbero disastrose.
 di Fabio Falchi 

 
(1) http://www.ansa.it/web/notizie/elezioni2013/news/2013/02/26/INTERVISTA-M5S-aula-Stiglitz-ma-uscita-euro-_8315461.html.
(2) http://www.syloslabini.info/online/wp-content/uploads/2013/01/risposta-giorgio.htm.

27 febbraio 2013

Breve storia del potere bancario nel mondo…






All’inizio fu la “nota di banco”. Eravamo nell’alto Medio Evo. Tu depositavi le tue monete  d’oro, ma anche collane ciondoli e anelli confezionati col prezioso metallo, e l’orefice – sì, proprio l’orefice – ti consegnava una ricevuta del valore preso in custodia: la “nota di banco”, appunto. Non fu una cattiva idea: gli scambi con la moneta aurea rendevano difficile le transazioni sul mercato, considerato che praticamente ogni città ne possedeva una diversa. La “nota di banco”, invece, snellì le procedure facilitando il commercio e lo sviluppo delle imprese. E la cosa funzionò. Funzionò fino a che l’orefice – sì, sempre l’orefice – non si accorse che il proprietario dell’oro che gli era stato consegnato non ci pensava proprio a richiederlo, felice com’era delle nuove soluzioni che la “nota di banco” gli offriva. A quel punto – sempre all’orefice – venne in mente un’idea geniale, a suo modo: visto che nessuno gli chiedeva la restituzione dell’oro preso in custodia, sulla garanzia della copertura aurea poteva prestare “note di banco” a terzi in cambio della restituzione con gli interessi. Fu il germoglio della banca moderna, come noi la conosciamo oggi: ti presto quello che non è mio, e tu mi paghi in una misura equa il servizio che ti rendo.
Bisogna dirlo: nemmeno questa, all’inizio, fu una cattiva idea. Tant’è che, anche grazie a questa soluzione, si lasciarono definitivamente alle spalle secoli bui di miseria, carestia e fame e si fece ingresso in epoche decisamente più floride: il Rinascimento, per esempio. Sarà mica un caso che la vera prima e propria banca nacque nel 1407, a Genova (nota città di risparmiatori, dettoen passant) con il nome di Casa delle Compere e del Banco di San Giorgio e che, per un paio di secoli, fece la fortuna di quella Repubblica Marinara. Insomma, il giochetto inventato dai vecchi orefici che emettevano “note di banco” assunse, da lì in avanti, un aspetto decisamente più istituzionale. E redditizio. Ma fin lì, tutto sommato, fra profitto privato e convenienza pubblica, la bilancia segnava decisamente un più in favore dello sviluppo e del progresso collettivo. Ci si poteva stare.
Il problema vero, semmai, fu che sin da subito, ovvero: sin dalla fondazione del Banco di San Giorgio, il potere economico cominciò a contendere il primato di esercizio amministrativo a quello politico. Sicché lo stato, ad un certo momento, si ruppe i coglioni. Siamo nel 1696, in Inghilterra, e Sua Maestà Guglielmo III, con un’alzata d’ingegno, decise che era ora di riunire le tre funzioni fondamentali delle banche – prestare danaro, ricevere danaro in deposito e creare moneta – ad un istituto di stato e creò la Banca d’Inghilterra. Che presto si fece agente mondiale degli interessi della Corona inglese, insegnando al resto del mondo come si esercita il diritto di battere moneta, contro la concorrenza, facendo pagare ad altri il tasso d’interesse.
La Banca d’Inghilterra, infatti, fin dalle sue origini, fu un’associazione a delinquere, capace di praticare l’usura al 60 per cento nelle colonie americane. Nel 1750, fu soppressa la cartamoneta emessa nella colonia della Pennsylvania. Cioè, non contenta del suo 60 per cento d’interessi, sopprimeva illegalmente una concorrenza che, con un sano sistema monetario autonomo, aveva portato la prosperità in quell’angolo del suo impero. Dopo  26 anni, nel 1776, le colonie americane si ribellarono contro le infamie, le ingiustizie e le sanzioni del Governo inglese, ormai servo dei banchieri. Fu la prima rivoluzione americana, quella dei padri fondatori: Sam Adams, John Adams e George Washington. La Costituzione americana stabilì che il potere di battere moneta spettava per intero al Congresso, non alle banche. Ma la loro rivoluzione fu tradita dai nemici interni. Fu necessaria una seconda rivoluzione: quella di Jefferson e Madison contro la prima Banca degli Stati Uniti. Poi, di una terza: quella di Jackson, contro il risorgere della stessa banca. E, infine, la quarta: condotta da Lincoln.
Dopo Lincoln, che fu messo in condizioni di non nuocere nel modo che sapete, negli Usa non c’è stata più seria resistenza al potere delle banche di speculare su quel qualcosa – la moneta – che non gli appartiene, così come l’oro non apparteneva ai vecchi orefici. Anzi, a ben guardare, le cose sono vieppiù precipitate se è vero – come è vero – che lo scoppio della famosa crisi del 2008, nella quale ancora ci dibattiamo, è dovuta alla gentile elargizione legislativa che l’amministrazione di Bill Clinton fece loro di concedere mutui (i tristemente famosi “subprime”) anche a chi non garantiva la solvibilità del prestito. Col risultato di rifilare le perdite attraverso titoli “derivati” che non valevano la carta su cui erano scritti, destabilizzando così il mondo intero. Fotografia esatta dell’inversione del rapporto corretto: non più le banche al servizio della politica ma il suo contrario.
Nel frattempo, però, in Europa si decise di fare, su questa via, ancora meglio. Intanto, in ossequio al mostro di Maastricht, si pensò di creare una Banca Centrale Europea (la famigerata Bce) che avrebbe battuto moneta senza alcun controllo degli stati dell’Unione e, quel che è peggio, senza il controllo politico di un governo federale che, a tutt’oggi, non è nemmeno ipotizzabile. Una Banca cioè che, come abbiamo visto in questi ulti anni, detta legge e impone la sua dittatura sulla moneta e sul debito pubblico senza dover rispondere a nessuno del suo operato, arrivando a  imporre, infine, i propri commissari ai vertici degli stati nazionali. Vedi, in particolare, i casi della Grecia con Loukas Papademos – già vicepresidente della Bce –  e quello dell’Italia che si è vista appioppare Mario Monti già associato a Mario Draghi – presidente in auge della stessa Bce – alla nota centrale di speculatori finanziari, responsabili del dissesto del 2008, che risponde al nome di Goldman Sachs.
Una settimana fa, proprio Mario Monti, con la faccia tosta che gli si addice, riguardo al caso del Monte dei Paschi di Siena ha sentenziato che è ora di finirla con la commistione tra politica e banche. L’insigne professore è di memoria breve, anzi: brevissima. Infatti, ha dimenticato in un batter d’occhio che dei 23 miliardi di euro rubati agli italiani con l’Imu, di cui 3 sulla prima casa, ben 4 sono andati a tappare proprio la falla che l’istituto senese si era scavata in petto con le solite operazioni finanziarie spericolate. Però, in un certo qual senso, aveva ragione. Di sbagliato c’era solo l’uso del tempo futuro: la commistione fra banche e politica è già finita. Quella in impero è la commistione fra Bce e banche territoriali. La politica è out e al debitore… ehm… ehm, scusate, volevo dire: al cittadino resta solo il dovere di saldare il conto. E così sia…
di Miro Renzaglia 

26 febbraio 2013

Il Guastafeste






La maggior parte degli addetti ai lavori parla di una grande sorpresa, di fronte ai risultati della tornata elettorale che si è appena conclusa, e con tutta probabilità un poco sorpresi sono rimasti sicuramente tutti coloro che già nelle passate settimane avevano"venduto" alle bancheed ai mercati un nuovo governo di continuità conl'agenda Monti, disposto a servire in tavola il cibo dietetico dispensato dalla BCE.
Il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo sbanca tutto ciò che era umanamente sbancabile, supera il 25% dei consensi e s'incorona primo partito italiano, mettendosi alle spalle sia il PD che il PDL ed apprestandosi a portare nelle stanze dei bottoni circa 160 fra deputati e senatori.
Bersani attraverso una campagna elettorale assai sbiadita, condotta sullo sfondo dello scandalo MPS e della corruzione dilagante nel partito, riesce a dissipare tutti i punti percentuali di vantaggio sul PDL attribuitigli nelle settimane scorse dai sondaggi e con tutta la coalizione non riesce a superare il 30%.
Berlusconi raccoglie una coalizione in fase di disfacimento, ma con una grinta da venditore porta a porta e qualche spot elettorale di sicuro effetto, la rianima come per magia, fino a portarla al pareggio con quella di centrosinistra.....


Il banchiere di Goldman Sachs Mario Monti, dopo avere governato indebitamente per 13 mesi, inabissando il paese nelle sabbie mobili della disperazione, raccoglie quanto seminato e nonostante il sostegno di Casini (che poteva contare nell'UDC su oltre il 5% dei voti) e di Fini (che fino ad un paio di anni fa presiedeva un partito forte dell'11%) non riesce a sfondare la soglia del 10%, attestandosi poco al di sotto e raccogliendo una sconfitta cocente.

Il giudice Antonio Ingroia, rientrato in Italia dal Guatemala per rivitalizzare la sinistra, di fatto ne pratica l'eutanasia, arrivando ad ottenere il 2,2% alla testa di una coalizione (IDV, Rifondazione comunista, Verdi, Comunisti italiani) che sulla carta portava in dote circa il 10% dei consensi. Sbagliando di fatto tutto quello che sarebbe stato possibile sbagliare e probabilmente anche qualcosa di più e restando con tutti i suoi compagni fuori dal parlamento.

Gli altri piccoli partiti, da quelli di estrema sinistra alla destra identitaria, raccolgono percentuali risibili ben al di sotto del punto percentuale, dimostrando una volta di più che la politica del "tutti contro tutti" non paga e risulta del tutto inadeguata ad esprimere un progetto incisivo per il paese.

Alla luce di questi risultati naufraga ancora prima di partire il progetto di coalizione fra PD e Monti, già venduto da Napolitano ad Obama e alla BCE, dal momento che mancano materialmente i numeri (in primo luogo al Senato) perché un'ammucchiata del genere possa governare. Così come mancano i numeri perché Berlusconi, sostituendosi a Bersani nell'abbracciare l'usuraio di Goldman Sachs, possa aspirare a proporre un governo alternativo.

In una situazione d'impasse che ricorda da vicino la Grecia, le soluzioni praticabili sembrano essere solamente due, entrambe in salita e foriere di molti rischi per chi intenda praticarle.
Un governo di grande coalizione fra PD - PDL e Monti, coadiuvato da una grande crisi delle borse e dei mercati, creata artificialmente alla bisogna con tanto d'impennata dello spread. Con il rischio che però l'elettorato di centrodestra e quello di centrosinistra non accettino di buon grado il sodalizio con il nemico di sempre e facciano mancare il loro sostegno in propensione futura.
Oppure un ritorno alle urne a breve termine (dopo avere varato una nuova legge elettorale ad hoc) con una coalizione di "salvezza nazionale" imposta dallo sfacelo delle borse, dei mercati e dello spread accorso in "aiuto", dove PD - PDL e Monti tentino di giocare la carta del sacrificio necessario. Ma il rischio in questo caso sarebbe anche più grosso, perché l'elettorato indisponibile ad abbracciare il nemico potrebbe debordare in massa verso Beppe Grillo, decretando di fatto la sparizione di tutta la classe politica tradizionale e aprendo orizzonti completamente inesplorati.

Riflettendo così a caldo, l'enorme vittoria del "gustafeste" Beppe Grillo e del suo Movimento 5 stelle non può che farci piacere. Non solo perché diventa primo partito in Italia un movimento dichiaratamente NO TAV, favorevole alla creazione di un reddito di cittadinanza e di un nuovo sistema lavoro, contrario all'incenerimento dei rifiuti, alla cementificazione selvaggia e alle missioni di guerra, vicino al pensiero della decrescita e alla creazione di un nuovo modello di sviluppo. Ma anche e soprattutto perché il trionfo di Grillo intralcia in qualche misura il progetto di Bersani, Monti e Napolitano, costringendoli ad acrobazie di varia natura il cui esito potrebbe non essere così scontato come sembrava alla vigilia delle elezioni.

di Marco Cedolin 

24 febbraio 2013

LaRouche: se impediscono la Glass-Steagall sarà il collasso



 - Il 16 febbraio Lyndon LaRouche ha ammonito che se verrà bloccata la reintroduzione del sistema di separazione bancaria detto "Glass-Steagall", "ciò causerà una crisi da collasso dell'intero sistema transatlantico". Il processo iperinflazionistico dovuto ai salvataggi bancari "è ora sfuggito completamente al controllo" perché non siamo più nella fase di incremento, ma ci avviciniamo a quella di "decollo".
In un recente articolo intitolato "Supernova del credito", Bill Gross, il manager di Pimco, il più grande fondo obbligazionistico del mondo, ha reso evidente uno dei sintomi dell'esplosione iperinflazionistica denunciata da LaRouche. "Negli anni 80", ha scritto Gross, "occorrevano 4 dollari di nuovo credito per generare 1 dollaro di crescita reale del PIL". Nell'ultimo decennio, ce ne volevano 10 e dal 2006 ce ne vogliono 20 per ottenere lo stesso risultato".
Gross descrive giustamente questo fenomeno come "un mostro che richiede un aumento sempre crescente di alimento, una stella supernova che si espande ma che nel processo di espansione comincia a consumare se stessa".
Lo stesso Gross ammette che ciò è solo la punta dell'iceberg, perché le cifre che ha usato "non includono il debito ombra". Quest’ultimo è la gigantesca bolla dei derivati che rappresenta gli aggregati finanziari, la terza nel grafico della triplice curva di LaRouche. Il rapporto tra gli aggregati finanziari e il debito USA è cresciuto più rapidamente del rapporto debito/Pil.
Per cui, per generare i 4 dollari di nuovo debito che generavano un dollaro di Pil nel 1985, occorrevano 10 dollari di aggregati finanziari. Nel 2012 il debito era cresciuto di cinque volte, e gli aggregati finanziari cinquanta volte, per cui oggi occorrono 500 dollari di aggregati finanziari per ogni dollaro di aumento di Pil!
Questi dati, per quanto parziali, definiscono "un processo iperinflazionistico in corso", e non più un semplice rischio, ha sottolineato LaRouche.
Quando decolla l'iperinflazione, come nel 1923 in Germania, "a quel punto i salvataggi sono cancellati. Si cancella il denaro e si introduce una piccola quantità di denaro nuovo, da distribuire a pochi privilegiati. Il resto può andare al diavolo", ha ammonito LaRouche. Questa è la politica dell'oligarchia, e significa che "faranno morire di fame un sacco di gente".
Questa, ha denunciato LaRouche, è anche "l'intenzione dietro la politica attuale del Presidente degli Stati Uniti. Ciò non significa che egli ne sia l'autore, ma il segnale è quello, perché non è possibile che riescano nell'intento dichiarato. Non esistono modi per salvare questo sistema, tranne che cancellandolo e adottandone uno interamente nuovo".
LaRouche ha chiosato: finché Obama sarà presidente, "gli Stati Uniti sono condannati". Egli deve essere rimosso dall'incarico, deve essere introdotta urgentemente una legge Glass-Steagall e deve essere creato un sistema di credito. Chi sostiene che una riforma del genere spazzerebbe via troppo denaro fittizio, deve capire che ciò avverrà comunque, per cui è meglio farlo in modo ordinato e controllato.

 by (MoviSol)

23 febbraio 2013

Sono arrivati alla frutta








Mentre Giorgio Napolitano vola negli USA, per rassicurare il presidente Obama, comegià fatto in precedenza con la UE e la BCE, sul fatto che l'esito delle elezioni è sotto controllo e dalle urne emergerà comunque vada solamente un governo di camerieri preposto a continuare sulla strada dell'annientamento del paese e della riduzione in miseria della popolazione, il circo equestre della campagna elettorale, ormai in completa confusione, inizia a sperimentare esperienze tragicomiche di un lirismo impressionante.
Beppe Grillo si appropria delle piazze d'Italia e riesce a riempirle ben oltre quanto potesse essere immaginabile, raccogliendo una marea di consensi, intorno a slogan (alcuni condivisibili altri meno) in fondo molto elementari ma sempre ben calati all'interno della realtà di un paese in via di disgregazione e vittima della disperazione diffusa che sta montando sempre più. E dovrebbe bastare un'occhiata a quelle piazze ed alla composizione dei cittadini che le riempono, per comprendere come il suo sarà probabilmente un successo che travalicherà anche le più ardite previsioni. Successo determinato dalle sue grandi capacità di comunicatore, dall'ottima struttura organizzativa messa in campo, dal malcontento generalizzato della popolazione, ma anche e soprattutto dall'assoluta mancanza di alternative credibili fra coloro (partiti che possano aspirare a superare il 4%) che si propongono alla guida del paese. Il nulla assoluto presente intorno a Grillo stupisce infatti innanzitutto per la totale mancanza di qualsiasi elemento di novità o interesse che prescinda dalla volontà di continuare sulla strada intrapresa, se è il caso fino alla morte, pronti a tutto per la UE e per l'euro, come a suo tempo ebbe modo di dire il leader maximo Mario Draghi.....


Legacoop Bersani si è ormai ridotto ad interpretare la macchietta di sè stesso e dopo avere girato il mondo in lungo e in largo dal giorno seguente all'investitura alle primarie, nel tentativo di vendere la pelle di un orso ancora vivo, si è ritrovato impantanato nello scandalo della banca di partito, nei rapporti promiscui con Vendola e Monti, impegnato giorno dopo giorno nel mendicare il ruolo di maitre, presso una BCE sempre più scettica nei suoi confronti. Nel goffo tentativo di esperire un qualche pensiero autonomo che potesse risultare accattivante per l'elettorato ormai fidelizzato (quello che non lo era l'ha lasciato da tempo) è arrivato perfino ad imbastire filippiche contro la corruzione, tanto più grottesche se pronunciate dal leader di un partito che della corruzione ha fatto la propria bandiera, come dimostra appieno proprio lo scandalo MPS, e da un uomo noto per essersi fatto "regalare" un centinaio di migliaia di euro proprio da quel Riva attualmente sotto accusa per avere sterminato le famiglie di Taranto attraverso l'inquinamento generato dall'azienda di famiglia.
Ma siccome sia il lato buonista, con tanto di parlata emiliana, sia quello "grintoso" preposto a sbranare gli avversari, sembrano continuare a sortire scarsi effetti in termini di popolarità, l'ultima carta giocata sul filo della disperazione è la riesumazione della salma politica di Romano Prodi, proposto sul palco a Milano e destinato a ritorcersi come un boomerang proprio sulle spalle di Bersani, se solo gli italiani si ricorderanno chi fu l'uomo che più di ogni altro si prodigò per trascinare l'Italia nell'incubo dell'euro e della UE.

Se il nulla abbacinante di Bersani è di quelli che danno fastidio agli occhi, certo non sta riuscendo a fare di meglio Berlusconi. Il salapuzio di Arcore, svestiti i panni del presidente dimissionario che per 13 mesi ha votato pedissequamente ogni legge lacrime e sangue di Mario Monti, ha indossato i panni del rivoluzionario, dividendosi fra una certosina opera di contestazione di tutti i provvedimenti da lui stesso votati ed il ruolo d'imbonitore da mercato rionale. Una vera parodia del voto di scambio ad personam: "Se mi voti ti rimborso l'IMU, ti abbasso l'Irpef, ti togo l'irap e per i primi 10mila offro anche un tablet in regalo o una termocoperta per chi si trova già ad albergare sotto i ponti". Un Ponte ai siciliani, un TAV ai piemontesi, un Mose ai veneziani, un rigassificatore ai livornesi e via così fino al termine delle scorte.
Dopo avere lodato Monti, fino al punto di proporlo al ruolo di leader della propria coalizione (facendo il paio con i tentativi di Bersani), nella veste di nemico del banchiere di Goldman Sachs Berlusconi appare davvero scarsamente credibile e pure un poco grottesco. Le promesse, i regali ed i contratti appaiono sempre più come merce stantia, garantiranno forse il recupero di qualche punto percentuale, ma la mancanza d'aria si percspisce chiaramente.

Il banchiere golpista di Goldman Sachs Mario Monti, che ancora governa il paese dopo essere riuscito a mandarlo a picco in soli 13 mesi non sta certo meglio. La sua discesa in politica, fra un salottino TV, un cane in affitto ed i comizi tenuti dentro a bugigattoli riservati a pochi intimi, tratteggia la figura patetica di un personaggio che se solo si affacciasse su una piazza riceverebbe in dono quintali di pomodori ed arance, oltre ad epiteti impronunciabili.
Il suo compito non è certamente quello di raccogliere un esteso consenso popolare, ma semplicemente quello di marcare il territorio, consapevole del fatto che chiunque vorrà proprorsi per governare dovrà passare da lui per chiedere il permesso della UE, della BCE, dell'FMI, di Obama e del resto del mondo.
La campagna elettorale, se possibile, patetica lo è ancora di più, fra la promessa di diminuzione delle tasse (da lui stesso varate) portata con la mano destra, mentre quella sinistra (ancora al governo) continua a metterne sempre di nuove. E la pretesa di avere salvato un paese dove dopo il salvataggio solo più una persona su due ha ancora un lavoro, il pil è in caduta libera (ma non si tratta di decrescita, bensì di recessione) le imprese chiudono a ritmo forsennato e sta sparendo perfino la speranza.

A fare da corollario a questo campionario di miserie umane non poteva mancare il giudice Antonio Ingroia, vero e proprio re della questua, che da quando è entrato in politica ha sbagliato tutto quello che poteva sbagliare e forse anche qualcosa di più. Ha mendicato i voti dei movimenti che si battono sui territori e dopo avere ricevuto un netto rifiuto ha cercato di appropiarsene lo stesso maldestramente. Ha mendicato l'appoggio del PD ma gli hanno chiuso la porta in faccia senza neppure premurarsi di spingerlo fuori. Ha mendicato l'appoggio di Grillo provocando più di una risata. Ha mendicato il sostegno di Nichi Vendola che ormai alberga in casa PD e certo non ha intenzione di camminare fuori, dove fa freddo e per andare in parlamento occorre il 4%.
Poi dopo avere collezionato un serie di brutte figure da fare impallidire perfino i politici consumati ed essersi proclamato mentore di una società civile che alberga solamente nel suo immaginario, con tanti compagni di viaggio come Ferrero, Diliberto e Bonelli che preferiscono restare nell'ombra nella speranza che la gente si scordi chi sono e un nutrito manipolo di poliziotti, giudici ed avvocati che non guastano mai, ha fatto pure la pessima scelta di andare a parlare in TV. Dove il telespettatore ha compreso fin da subito che la sua "rivoluzione" è un po' troppo vicina a Befera e ad Equitalia per rivestire un qualche carattere popolare, così come il suo concetto di "evasore" molto omnicomprensivo, fino a comprendere nella massa dei cittadini da perseguitare anche i pensionati ed i disoccupati che non arrivano a fine mese.
Già un partito i cui voti sono quotidianamente in vendita al borsino del miglior offerente non rappresentava qualcosa di molto accattivante, ma la sensazione inizia a diventare quella che se Ingroia continuerà a parlare, perfino il 4% inizierà a diventare un miraggio quasi come l'alleanza con il PD.

Insomma Napolitano, imitando Bersani, ha già venduto la pelle dell'orso ai propri padroni, ma potrebbe anche non riuscire a prenderlo e vedersi costretto a riportare gli italiani alle urne una seconda volta, magari in primavera, nella speranza che in quell'occasione abbiano capito bene quali sono gli ordini e cosa devono fare.

di Marco Cedolin 

22 febbraio 2013

Il debito infinito




Nell'anno 55 prima della nostra era, Cicerone scriveva: «Il bilancio dovrebbe essere equilibrato, le finanze pubbliche dovrebbero essere colmate, il debito pubblico dovrebbe essere ridotto, l'arroganza della amministrazione dovrebbe essere abolita e controllata e l'aiuto ai paesi esteri dovrebbe essere diminuito per E il rischio che Roma cada nel falli- mento».  da un bel pezzo che la classe politica non legge più Cicerone! Dalla fine degli anni Settanta, la maggior parte dei paesi industrializzati sono entrati in un regime di debito permanente, dal quale nemmeno i periodi di forte crescita economica hanno consentito di uscire.
Il debito misurato è quello delle amministrazioni pubbliche, che viene chiamato "debito sovrano" o "debito pubblico". Il debito pubblico "nel senso di Maastricht", misurato in valore nominale (e non in valore di mercato), viene definito come il totale degli impegni finanziari degli Stati contratti sotto forma di prestiti risultanti dall'accumulazione, sul filo degli anni, di una differenza negativa tra le loro entrate e le loro spese o i loro oneri. Esso concerne tre settori: le amministrazioni centrali, cioè lo Stato propriamente detto, le amministrazioni locali (collettività territoriali, organismi pubblici, ecc.) e i sistemi di Previdenza centrali. Il trattato di Maastricht del 1992 aveva adottato i principi che il deficit degli Stati membri dell'Unione europea non avrebbe dovuto superare il 3% del prodotto interno lordo (Pil) e che il loro debito pubblico sarebbe dovuto rimanere al di sotto del 60% del Pil. Quegli obiettivi non sono stati raggiunti. Globalmente, il debito pubblico nella zona euro è aumentato del 26,7% dal 2007. Oggi rappresenta l'80% del Pil globale della zona. Ma in questo caso si tratta solo di una media. Nel 2011, otto paesidell'Unione europea esibivano un debito superiore all'80% del loro Pil: l'Ungheria e la Gran Bretagna (80,1%), la Germania (83%), la Francia (85%), il Portogallo (92%), il Belgio (97%), l'Italia (120%) e la Grecia (160%). Gli americani non se la passano meglio: al momento, ogni spesa pubblica effettuata negli Stati Uniti viene finanziata nella misura del 42% da prestiti!
In Francia, il debito pubblico nel 1980 rappresentava solo il 20,7% del Pil, ovvero l'equivalente di 92,2 miliardi di euro. Nel 2007, quando Nicolas Sarkozy è stato eletto alla testa dello Stato, aveva già raggiunto il 64,2% del Pil (1.211 miliardi di euro). Oggi ammonta all'85,3% (1.688 miliardi di euro), con un 30% di aumento in quattro anni. Il rapporto 2011 della Corte dei conti lascia prevedere che potrebbe raggiungere il 100% del Pil nel 2016. La parte essenziale del debito è a carico delle amministrazioni centrali: 1.297 miliardi di euro su 1.646 nel 2011 (le collettività locali erano indebitate solo per un ammontare di 156 miliardi, la Previdenza sociale per una cifra di 191 miliardi). E il deficit delle finanze pubbliche, che si è fissato nel 2011 a 98,5 miliardi di airo, continua a crescere al ritmo di 3.200 euro al secondo! Il servizio del debito rappresenta il pagamento annuale dei prestiti sottoscritti giunti alla scadenza. Il carico del debito costituisce il pagamento dei soli interessi, ovvero in Francia circa 50 miliardi di euro l'anno, il che corrisponde al 20% del bilancio dello Stato, all'89% dell'imposta sul reddito, o ancora al 140% dell'imposta sulle società. Poiché il rimborso del capitale del debito ammonta a circa 80 miliardi di euro, il servizio totale del debito rappresenta oggi per lo Stato 118 miliardi di euro, cioè l'equivalente della totalità delle sue risorse fiscali dirette. Mentre il pagamento dei soli interessi, sta per diventare la prima posta di bilancio dello Stato, prima dell'Educazione nazionale, della Difesa o della previdenza. Ma a chi dobbiamo tutto questo denaro? Essenzialmente ai mercati finanziari, ad istituti bancari, a compagnie di assicurazione, a fondi pensionistici e a talune societàacquistanoo. Sono loro che "aCquistano" titoli del debito francese, si tratti delle obbligazioni assimilabili del Tesoro (Oat), le più importanti in volume, che sono prodotti a lungo termine, dei buoni del Tesoro a interesse annuale (Btan), che hanno una durata da due a cinque anni, o dei buoni del Tesoro a tassi fissi e a interessi predefiniti (Btf), a brevissimo termine. Di fatto, oggi è attraverso la gestione dei debiti degli Stati che i mercati finanziari sono strutturati ed organizzati. Gli istituti finanziari scambiano poi il debito che hanno "acquistato" in forme molteplici, come i prodotti derivati, il che consente loro di speculare a propria volta sui mercati. Il paese industrializzato più indebitato è il Giappone, con un debito che supera il 195% del suo Pil, ma questo debito è essenzialmente detenuto dagli stessi giapponesi, il che pone il Giappone relativamente al riparo dalle alee della congiunture internazionali. Non è il caso della Francia, dove il 68% del debito negoziabile dello Stato è nelle mani di investitori "non residenti", cioè stranieri. Quali sono i paesi che ne possiedono di più? E impossibile saperlo con certezza, giacché la legge proibisce di divulgare tale informazione. Come si è arrivati a questo punto? Le cause ovviamente sono molteplici: deficit di bilancio a ripetizione (la Francia è in deficit da quasi quarant'anni), incapacità della maggior parte degli Stati di padroneggiare le spese pubbliche, riforme fiscali e riduzioni di tasse demagogiche (se la fiscalità non fosse cambiata dal 1999, il debito francese oggi sarebbe di circa 20 punti di Pil in meno), deindustrializzazione in parte dovuta alle delocalizzazioni rese possibili dalla globalizzazione (nell'insieme dei paesi appartenenti alla Ocde, qualcosa come 17 milioni di posti di lavoro industriali sono stati distrutti nell'arco di soli due anni), deregolamentazione, privatizzazioni e via dicendo.
Una delle cause immediate dell'innalzamento del debito risiede nei piani di salvataggio della finanza decisi dagli Stati nel 2008 e nel 2009. Per salvare le banche e le compagnie di assicurazioni, gli Stati hanno dovuto a loro volta contrarre prestiti sui mercati, il che ha accresciuto il loro debito in proporzioni enormi. Somme astronomiche (800 miliardi di dollari negli Stati uniti, 117 miliardi di sterline in Gran Bretagna) sono state spese per impedire che le banche sprofondassero, decisione che ha gravato in pari misura sulle finanze pubbliche. Complessivamente, le quattro principali banche centrali (Riserva federale americana, Banca centrale europea, Banca del Giappone e Banca d'Inghilterra) hanno iniettato 5.000 miliardi di dollari nell'economia mondiale fra il 2008 e il 2010. È il più grande trasferimento di ricchezze della storia dal settore pubblico al settore privato! Un trasferimento che ha permesso alle banche salvate dagli Stati di ritrovarsi creditrici dei propri salvatori... Nel frattempo, il credito ha continuato a generalizzarsi. La possibilità di contrarre prestiti per coprire le spese correnti o acquistare un alloggio offerta ai nuclei familiari è stata la principale innovazione finanziaria del capitalismo del dopoguerra. Indebitandosi massicciamente, le famiglie hanno indiscutibilmente contribuito, fra il 1948 e il 1973, alla prosperità dell'epoca del Glorioso Trentennio, poiché l'indebitamento ha consentito alla macchina dei consumi di continuare a girare. E il credito si è ulteriormente sviluppato quando le monete, divenute fiduciarie, hanno definitivamente smesso di essere convertibili in oro. Il debito è un contratto fra due entità che ha per oggetto uno scambio scaglionato nel tempo. Il credito è definito come il potere di acquistare in cambio di una promessa di pagare. Il sistema ovviamente funziona solo se questa promessa è mantenuta. La crisi attuale, come è noto, è iniziata negli Stati uniti nell'estate 2007, con la vicenda dei subprimes. Le famiglie americane, incapaci di risparmiare, sono state sistematicamente incitate ad indebitarsi ipotecando il loro alloggio. Dal momento che il ricorso al prestito per loro non era altro che un modo per mantenere artificialmente il livello di vita malgrado il calo dei loro redditi, i fallimenti non hanno tardato a moltiplicarsi. Le banche e le compagnie di assicurazione sono state a loro volta minacciate, il che ha condotto gli Stati a concedere massicciamente prestiti per salvarle. Così la crisi del sovraindebitamento privato si è trasformata in crisi del sovraindebitamento pubblico.
Il concetto di debito è oggi fortemente associato al meccanismo di creazione monetaria. L'apertura di crediti da parte delle banche private è una creazione di moneta scritturale, puramente contabile, vale a dire virtuale, che è il risultato di un semplice gioco di scritture.Tramite la creazione monetaria, le banche creano ex nihilo un "potere d'acquisto" che trasmettono ai clienti a cui concedono prestiti. Questa moneta costituisce oggigiorno oltre il 90% della massa monetaria. Il suo ruolo è amplificato dall'effetto moltiplicatore del credito consentito dal sistema delle riserve frazionarie, che permette alle banche di prestare varie volte l'ammontare dei propri fondi. Una gran parte dei debiti pubblici si trova quindi oggi nei conti delle banche, che non hanno mai smesso di acquistare rifinanziandosi presso la Banca centrale europea ad un prezzo quasi nullo. In altri termini, le banche hanno prestato agli Stati, ad un tasso d'interesse variabile, somme che hanno avuto in prestito per quasi niente. Ma perché gli Stati non possono procurarsi autonomamente le somme in questione presso la Banca centrale? Semplicemente perché ciò è loro proibito!
La data chiave è quella del 3 gennaio 1973, data in cui il governo francese, su proposta di Valéry Giscard d'Estaing, all'epoca ministro delle Finanze, ha fatto adottare una legge di riforma degli statuti della Banca di Francia, disponendo che «il Tesoro pubblico non può essere presentatore dei propri effetti allo sconto della Banca di Francia» (art. 25), il che significava che era ormai proibito alla Banca di Francia accordare prestiti — per definizione non gravati da interesse — allo Stato, che di conseguenza era obbligato a contrarre prestiti sui mercati finanziari ai tassi che questi ritengono adeguati. Tale disposizione è stata in seguito generalizzata in tutta l'Europa, prima di essere ripresa nel trattato di Maastricht (art. 104) e poi nel trattato di Lisbona (art. 123), che stabilisce il divieto per la Banca centrale europea di prestare agli Stati, talché questi si vedono costretti a sottoscrivere prestiti con i mercati o con istituti privati pagando forti tassi di interesse. Le banche private, invece, possono continuare a prendere a prestito denaro dalla Bce ad un tasso risibile (meno dell'1%) per prestarlo agli Stati ad un tasso variabile fra il 3,5% e il 7%.
La legge del 1973 segna il momento in cui la Banca di Francia ha abbandonato il ruolo di servizio pubblico e spossessato lo Stato della sovranità monetaria. In origine, quella legge si appoggiava sul fatto che i prestiti senza interessi accordati dalle banche centrali agli Stati favorivano l'inflazione. Non era falso, ma si è passati da un eccesso all'altro. Invece di conservare lo stesso sistema pur istituendo una procedura che consentisse di limitare l'inflazione, si è puramente e semplicemente decretato che le banche centrali non avrebbero più potuto concedere prestiti agli Stati ma avrebbero potuto farlo alle banche ad un tasso d'interesse ridicolmente basso. Il maggiore privilegio degli Stati, che era il privilegio di battere moneta, è stato così trasferito alle banche, e al settore privato si è concesso il monopolio della creazione monetaria.
Già nel 1999 Maurice Allais, Premio Nobel di economia, scriveva: «Nella sostanza, l'attuale creazion monetaria ex nihilo da parte del sistema bancari è identica, non esito a dirlo, alla creazione di mone da parte dei falsari. Concretamente, sfocia nei me desimi risultati. L'unica differenza è che sono diversi coloro che ne approfittano» (La crise mondiale d'aujourd'hui).
Ancora di recente Mario Draghi, nuovo presidente della Bce, ha deciso di accordare alle banche prestiti in euro ad un tasso dell'i % su tre anni, senza alcuna limitazione di importo. Dato che il tasso Euribor, cioè il tasso al quale le banche si prestano denaro, è dell'1,9%, le istituzioni finanziarie della zona euro hanno in tale modo avuto accesso a finanziamenti due volte meno costosi. Non sorprendentemente, 523 banche europee hanno immediatamente sottoscritto la prima parte di questa offerta, datata 21 dicembre 2011, per un ammontare di 489 miliardi di euro — che avrebbero potuto prestare agli Stati al tasso da loro stesse deciso!
A questo punto intervengono le agenzie di rating, il cui ruolo è ormai ben noto. Più un paese riceve una buona quotazione, più ha la possibilità di contrarre prestiti a tassi ridotti (dalli% al 4%, in funzione della durata del prestito contratto). Viceversa, un paese mal quotato deve far fronte ad un innalzamento dei tassi d'interesse, che si suppone possa compensare il rischio più elevato che gli istituti e mercati si assumono prestandogli denaro.
Le agenzie sono infallibili? Nient'affatto, perché non è possibile per loro valutare in perfetta obiettività un futuro che è, per sua natura, indeterminato. Nel dicembre del 2010, l'agenzia di rating Standard & Poor's sottolineava ad esempio che «la Francia è quotata AAA, cioè con il voto più alto, con una prospettiva stabile, il che significa che non si vede questo voto avere sbalzi nei prossimi due anni». Tredici mesi dopo, la Francia perdeva la "tripla A". Dato più grave: le opinioni delle agenzie di rating possono essere paragonate a termometri che, non contenti di registrare la temperatura, la farebbero automaticamente innalzare quando constatassero che è cattiva. Basta infatti che un paese sia "degradato" perché i suoi prestiti divengano più costosi e di conseguenza la sua situazione si aggravi.
ssumiamo. Sin devonoo a tassi d'ine fissatai credit loro pialute finanziQuegli inter Essendo i non e i mer rimborsare né il debito né gli interessi, gli Stati contraggono nuovi prestiti, innanzitutto per far funzionare i propri paesi, poi per rimborsare l'importo del debito precedente, infine per rimborsare gli interessi di quest'ultimo, il che ha l'effetto di aumentare ancora il loro debito e di appesantirne gli interessi. E dato che la loro situazione si aggrava, anche i tassi di interessi che vengono loro imposti aumentano. Risultato: più rimborsano, più prendono a prestito e più devono pagare. Il debito viene così posto in una situazione di crescita esponenziale per la semplice ragione che tutto il denaro messo in circolazione lo è attraverso prestiti bancari e il contraente il prestito deve sempre rimborsare più dell'importo riscosso. Una spirale infernale. Come uscirne? La soluzione che gli Stati hanno scelto per risanare la situazione consiste nell'intervenire sulle pensioni, sugli assegni familiari o sugli stipendi dei dipendenti pubblici, nel ridurre i programmi sociali, nel diminuire il numero dei funzionari, nel vendere o privatizzare tutto ciò che può esserlo (il che riduce di altrettanto il loro patrimonio), nell'instaurare ovunque rigore ed austerità. Il problema è che quegli stessi Stati vogliono nel contempo "rilanciare la crescita". E i programmi di austerità comportano meccanicamente un aggravio della disoccupazione e un deterioramento del potere d'acquisto, quindi della domanda, il che non può che frenare la crescita e diminuire ulteriormente la solvibilità degli Stati. Sotto l'effetto dell'austerità, l'economia non può più essere trainata dal consumo, che è inevitabilmente destinato a contrarsi. Le classi medie e le classi popolari sono allora le prime a pagare l'imperizia della classe dominante. Quando l'austerità raggiunge un livello mai visto in tempo di pace, le conseguenze politiche e sociali minacciano di sfociare nel caos. L'applicazione di programmi di austerità finisce con l'«organizzare la recessione in Europa, con il risultato che i paesi non usciranno mai dal sovraindebitamento», ha dichiarato di recente Hubert Védrine, interrogato dal quotidiano del Québec «le Devoir». Per poi esortare a «domare i mercati» piuttosto che a rassicurarli, «perché questi mercati non sono una raccolta di vecchie persone inquiete, ma una palude di coccodrilli».
C'è un altro modo di comportarsi? Una soluzione, perlomeno a breve termine, sarebbe che la Bce accettasse di "monetizzare il debito", cioè di svolgere il ruolo di prestatore di ultima istanza. Ma la Bce si rifiuta di farlo, la Germania anche e la Commissione europea pure. Che fare, allora? Rinazionalizzare l'economia e porre fine all'indipendenza delle banche centrali? E quel che ha fatto il governo ungherese, con la conseguenza di esporsi a una denuncia per «violazione del diritto comunitario» presentata dalla Commissione europea. Cancellare il debito? Sarebbe possibile se tutti i paesi indebitati lo esigessero contemporaneamente (la Francia, con un tratto di penna, ha cancellato nel giugno 2011 l'intero debito del Togo). Ma nessuno vuol decidersi a farlo. Allora? Allora, in mancanza di una rimessa in discussione dei fondamenti dell'attuale sistema, ognuno sega coscienziosamente il ramo sul quale è seduto. I politici si lamentano di dipendere dai mercati finanziari e dalle agenzie di rating, ma hanno fatto tutto quel che occorreva per porsi sotto il loro controllo. Hanno deregolamentato i mercati per decenni, hanno liberalizzato il credito, hanno tollerato le delocalizzazioni, hanno consentito alle banche di deposito e alle banche d'investimento di fondere le loro attività, hanno proibito alle banche centrali di aiutare finanziariamente gli Stati, hanno lasciato che la stretta azionaria si sviluppasse al di là del ragionevole, hanno dato alle agenzie di rating il potere (che in precedenza non avevano) di dare voti agli Stati, mentre questi si indebitavano in modo duraturo. Oggi raccolgono i frutti della propria cecità.
Viene chiamato «usura» l'interesse di importo eccessivo attribuito ad un prestito. Ma l'usura è altresì il procedimento che consente di imprigionare il contraente un prestito in un debito che non può più rimborsare e di impadronirsi dei beni che gli appartengono e che egli ha accettato di dare in garanzia. È esattamente quel che vediamo accadere attualmente su scala planetaria. Quello che Keynes chiamava un «regime di creditori» corrisponde alla definizione moderna dell'usura. I procedimenti usurari sono rintracciabili nella maniera in cui i mercati finanziari e le banche possono fare man bassa degli attivi reali degli Stati indebitati, impadronendosi dei loro averi a titolo di interessi di un debito la cui componente principale costituisce una montagna di denaro virtuale che non potrà mai essere rimborsata.
In conseguenza della crisi, l'Europa del Sud si trova oggi ad essere governata da tecnocrati e banchieri formatisi in Goldman Sachs o in Lehman Brothers. «Essere governati dal denaro organizzato è altrettanto pericoloso quanto esserlo dal crimine organizzato», diceva Roosevelt.
Non vi sarà alcun riaggiustamento spontaneo del sistema. Nessun paese ha oggi i mezzi per arrestare la crescita del proprio debito in percentuale del Pil, nessuno ha i mezzi per rimborsare la parte principale del proprio debito. Per questo motivo la crisi del debito è assai più grave della crisi dell'euro, che in rapporto ad essa svolge esclusivamente il ruolo di circostanza aggravante. Prova ne sia il fatto che i paesi industrializzati che non appartengono alla zona euro sono altrettanto indebitati quanto gli altri, se non di più. L'Europa si orienta verso la recessione, gli Stati Uniti e il Regno Unito verso la depressione. Malgrado tutte le manovre dilatorie, un'esplosione generalizzata appare inevitabile di qui a due anni.
di Alain de Benoist 

20 febbraio 2013

666 il numero della Bestia



 



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Ci siamo. Benedetto XVI ha dichiarato di volersi dimettere. La motivazione ufficiale è che non si sente più nelle condizioni di svolgere il suo ruolo, ma ha accompagnato la sua dichiarazione d’imminenti dimissioni con l’ennesima analisi della situazione interna al Vaticano, dichiarando nuovamente che i nemici della Chiesa sono al suo interno. È evidente che il Pontefice sta lanciando dei messaggi per far capire a chi ha orecchie per intendere che le dimissioni sono “obbligate” da eventi molto gravi che sconvolgano la Chiesa e il mondo. Basterebbe ricordarsi le parole che Ratzinger pronunciò, appena eletto, dichiarandosi “umile servitore nella Vigna del Signore”, un passo che si ricollega al messianismo e quindi agli eventi apocalittici.

È singolare che nessuno si sia mai chiesto perché Papa Giovanni Paolo II abbia cercato di resistere così tanto malgrado le sue precarie condizioni di salute, e perché a un tratto, giunto a una data precisa, smise di lottare e “si lasciò morire”. Ai vertici del Vaticano, sono a conoscenza di misteri che neppure noi immaginiamo. Pensare che il mondo sia governato solamente da questioni materiali, è un errore. Al di là del limite del pensiero fenomenologico, c’è da considerare che i fenomeni in questione non siano solo necessariamente quelli materiali, ma anche quelli metafisici. Giovanni Paolo II sentiva il dovere di resistere sino a una data precisa, perché potesse compiersi ciò che era previsto dalle profezie. Si è molto speculato, nella pessima narrativa e nella cinematografia americana, sul fatidico 21 12 2012, parlando a vanvera di “fine del mondo”. La Bibbia parla chiaro a proposito, dicendo che la Terra, creata da Dio, non ha data di termine e sarà eterna. Si può non essere credenti, ma se si ha la fede non è lecito credere a modo nostro. Apocalisse è un termine di derivazione greca che significa “Rivelazione”. La fine del mondo non fu mai annunziata, né dalla Bibbia, né dal Vangelo, e neppure dal Corano. La fine dei tempi – collegata alla oramai famosa data Maya del 21 12 2012 – non è la fine fisica dell’umanità, bensì la fine di un’era. Corrisponde alla fine dell’Età del ferro e il ritorno all’Età dell’oro, che Evola aveva spiegato in libri esemplari come “Rivolta contro il mondo moderno” e che gli hippie avevano presentito già tra gli anni 60 e 70. Eppure il 21 12 2012 è già passato, ma nulla è accaduto. Al di là di quanto ha affermato Margherita Hack che, pur atea, ha voluto precisare che la data 21 12 2012 era sbagliata, in quanto con il passare del tempo si era avuta una sfasatura dei calendari; c’è anche la teoria che il 21 12 2012 non fosse una data di “passaggio netto”, bensì di passaggio sfumato, un evento che, iniziato in quella data, si sarebbe compiuto entro la fine di Marzo (si dice il 21). Ebbene, è singolare che non si faccia sufficientemente notare che le elezioni politiche 2013 in Italia si avranno il 24 e il 25 Febbraio e che le dimissioni del Papa sono previste per il 28 dello stesso mese. E ancora che Mario Monti è entrato nel parlamento italiano esattamente il giorno 11.11.11 e che secondo alcune profezie il 21 marzo 2013 ci sarà “la caduta di Roma”.
Che cosa possa essere “questa caduta”, non è dato di sapere, ma potrebbe essere il crollo finanziario e politico del Vaticano e a tale proposito è bene ricordare che nello scandalo Monte dei Paschi di Siena pare essere coinvolto anche il Vaticano. Secondo le profezie, il conteggio dei papi dimostrerebbe che quello attuale è l’ultimo della storia, seguito da “Pietro il romano”. Secondo le profezie la Chiesa si sarebbe conclusa com’è iniziata, cioè con Pietro. E, infatti, proprio per queste ragioni il regolamento interno del Vaticano non consente a nessuno che si chiami Pietro di essere eletto Papa, almeno fin che non saremo giunti “alla fine”. Per questa stessa ragione, neppure il Segretario di Stato Vaticano può chiamarsi Pietro, in quanto, in caso di decesso del Papa, in attesa del Conclave, è il Segretario di Stato che siede sul trono di Pietro, perciò sarebbe come un “Papa ad interim”. Eppure l’attuale Segretario di Stato Vaticano si chiama, appunto, Tarcisio Pietro Evasio Bertone, ed è nato a Romano Canavese. È lui “Pietro il romano”? 

Certo si può tranquillamente pensare che siano tutte coincidenze, ma uno dei passaggi fondamentali dell’Apocalisse di Giovanni, recita così: “Faceva sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi ricevessero un marchio sulla mano destra e sulla fronte; e che nessuno potesse comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome. Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: essa rappresenta un nome d'uomo. E tal cifra è seicentosessantasei”. Già in miei precedenti articoli e interventi su “Il Giornale del Ribelle” ho scritto dell’intenzione di talune forze politiche italiane di abolire la moneta contante, per sostituirla con la carta di credito, e del fatto che in Usa la riforma Obama ha, di fatto, introdotto l’uso del microchip RFID. Quello che ancora non avevo detto è che si prevede che questo chip sia introdotto proprio sulla mano destra o sulla fronte e che al suo interno il conto bancario è contenuto attraverso un codice a barre. Quanti sanno che tutti i codici a barre hanno come numero di partenza un 6, nel mezzo un altro 6 e terminano con un terzo 6? 666, il numero della bestia, altro non sarebbe che il codice a barre contenuto nel chip RFID. Secondo le profezie, quando questo Papa si “allontanerà”, salirà al trono del mondo l’Anticristo che dominerà su una dittatura mondiale. Il suo regno dovrebbe durare poco e sarebbe sostituito dal Regno di Cristo, un Regno di pace e amore universale. Perciò l’Apocalisse non sarebbe un evento negativo, bensì positivo, ma prima di giungere a questo Regno di Cristo bisognerebbe superare delle tremende prove. Antonio Socci fu il primo ad annunciare che il Pontefice stava considerando la possibilità di dimettersi, e molti lo avevano preso per visionario, invece ci siamo, tra poco il Papa si dimetterà e vedremo se gli eventi delle profezie si avvereranno. Da parte nostra, non possiamo essere complici del male. Dobbiamo opporci alla carta di credito e al chip, dobbiamo opporci a ogni tentativo di unificazione europea e mondiale, dobbiamo opporci a ogni forma di tentativo di controllo della società. All’euromondialismo, rispondiamo con il nazional-localismo. Se è scritto che la dittatura mondiale si compia, si compirà, ma non con la nostra complicità, o almeno, non con la mia!  


di Gianluca Donati 

19 febbraio 2013

Monti: non solo Bilderberg








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Non solo Bilderberg. O la Trilateral. Non bastavano nemmeno gli Illuminati alla collezione di Mario Monti, fin dal suo insediamento a Palazzo Chigi rimbalzato quotidianamente sul web per le sue conclamate appartenenze a logge supermassoniche mondiali.
Lui, il premier, fin dal 2004 aveva fondato in Europa una compagine tutta sua. Si tratta di Bruegel, un nome che fa discutere fin dal suo primo apparire. Per Monti e i suoi, si tratta di un semplice acronimo (Brussels European and Global Economic Laboratory). Per i più sospettosi, evocare il grande artista fiammingo del Cinquecento, noto per la rappresentazione dei ciechi, è l'implicito riferimento a quel panorama occulto della finanza mondiale che i cittadini non possono - e non devono mai - vedere.
Ma chi è e cosa fa Bruegel? Loro si definiscono naturalmente e senza alcun imbarazzo i filantropi dell'economia europea. Nel senso che solo grazie al loro insegnamento potremo avere nel vecchio continente i grandi economisti di domani.
E giù finanziamenti milionari (in prima fila Big Pharma, con colossi comeNovartis e Pfizer, poi banche come Unicredit ed UBS), economic schools in mezzo mondo, tutor prelevati dalle accademie più conservatrici del pianeta (anche quando la conservazione è “di sinistra”).
vincenzo-la-viaTra i generosi elargitori di fondi non ci sono solo i privati, bensì i governi di Stati come Italia, Francia, Belgio, Olanda e naturalmente la Germania.
Passiamo al board. Quando Monti lascia la carica di presidente (rimanendo padre fondatore del sodalizio), gli subentra l'ex presidente della Banca Centrale Europea Jean Claude Trichet. Fra gli italiani di prima fila ecco Vincenzo La Via, in Bruegel da lunga data ma assurto a notorietà nazionale solo un anno fa quando Monti, diventato premier, lo chiama al suo fianco comedirettore generale del Tesoro, carica che riveste tuttora.
Chi è davvero La Via?
Nessun mistero, ma qualche sorpresa sì, visto che si tratta di un numero uno alla Banca Mondiale, quello stesso organismo considerato artefice primo del pensiero unico e del temutissimo Nuovo Ordine Mondiale, di cui Mario Monti sarebbe tra i principali artefici, in Italia ed oltre.

lucrezia-reichlinMa a proposito di mondo, scorrendo la classifica 2012 dei think tank più influenti del pianeta resa annualmente da James G. McGann della Philadelphia University, Bruegel figura in ottava posizione su 40 compagini considerate, dietro giganti come Chatham House, che guida la lista, e ben prima di analoghe formazioni di Russia, Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti.
vittorio-Grilli
Fra i pochi italiani in Bruegel non poteva non esserciVittorio Grilli, attuale ministro dell'Economia.

Infine lei, la “principessa comunista” Lucrezia Reichlin, figlia dei marxisti d'altri tempi Luciana Castellina ed Alfredo Reichlin.




di Rita Pennarola 

18 febbraio 2013

Che cos'è l'economia reale e fisica


Che cos’è realmente l’economia? Fondamentalmente, è «un bilancio dinamico fra energia prodotta ed energia consumata». E allora, che cos’è la moneta? È solo «uno stadio secondario nel processo economico, dei gettoni... che non ha senso avere, se non ci sono cose da comprare». Di conseguenza, la finanza ha solo un ruolo ausiliario: «L’economia è un’applicazione della fisica, non della finanza». E il debito? «È una pretesa su energia futura». Ordunque, ci sarà mai abbastanza energia fisica per coprire gli enormi indebitamenti che oggi gravano sull’economia globale...?

di Tim Morgan

17 febbraio 2013

Le argomentazioni deboli di Michele Salvati






In un articolo sull'inserto domenicale del Corriere della Sera del 3 febbraio Michele Salvati interviene per sostenere la permanente validità dell'opposizione categoriale destra/sinistra. Lo fa però in modo piuttosto confuso e privo di consequenzialità. Spieghiamo perché. 
 L'argomento principale che Salvati svolge nel suo articolo è poco convincente perché nasce dal confondere due questioni diverse: egli dice in sostanza che la distinzione destra/sinistra funziona, nel senso che ci permette di capire in maniera ragionevole la storia politica occidentale degli ultimi due secoli, e anche la realtà politica contemporanea. 

E' evidente qui la confusione fra due questioni diverse: la questione se l'opposizione destra/sinistra sia stata significativa nel passato, da una parte, quella  se essa sia significativa adesso, dall'altra. Ora, per quanto riguarda il primo problema, non credo ci sia molto da discutere, perché non credo ci sia chi seriamente possa sostenere che la distinzione destra/sinistra non abbia mai significato nulla, che essa sia sempre stata una mera illusione. E' ovvio che si tratta di una opposizione categoriale fondamentale per capire la storia politica occidentale degli ultimi due secoli. E' quindi inutile insistere su questo punto, come fa Salvati. La vera questione è l'altra: questa opposizione categoriale è ancora valida oggi? Ci permette di organizzare in maniera sensata, di comprendere in schemi razionali, ciò che vediamo accadere ogginella vita politica, sociale ed economica dei paesi occidentali? E' a queste domande che risponde negativamente, chi sostiene l'esaurimento dell'opposizione categoriale destra/sinistra. Gli argomenti per questa risposta negativa li ho esposti più volte, in particolare nel libro scritto con Massimo Bontempelli “La sinistra rivelata” e in un saggio che ha circolato in rete. In maniera molto semplice e diretta a Salvati ha risposto Pierluigi Battista.
Ma la cosa buffa è che Salvati stesso fornisce ottimi argomenti contro la sua tesi. Infatti, nella seconda parte dell'articolo cerca di spiegare perché la tesi sul superamento di destra/sinistra sia sempre più diffusa. Ci dice allora in primo luogo che ormai da molto tempo non c'è più distinzione fra destra e sinistra nel campo delle politiche economiche e sociali (e sarebbe questo “il campo in cui
dovrebbe misurarsi la loro vera diversità
”: appunto, verrebbe da replicare), e in secondo luogo che oggi sono venuti alla ribalta problemi che non hanno a che fare con quella distinzione e rispetto ai
quali le divisioni attraversano trasversalmente destra e sinistra. Sono questi in effetti due ottimi argomenti per sostenere il superamento di destra e sinistra. Il problema è che Salvati, dopo averci esposto in maniera così chiara e convincente i motivi per i quali è sensato affermare il superamento di destra e sinistra, si dimentica di portare le sue obiezioni che spieghino perché ritiene tali argomenti non convincenti. In effetti tutte le sue obiezioni si limitano all'affermazione seguente:

Finché le nostre democrazie resteranno ancorate alla grande tradizione culturale che le ha fatte nascere [...] la distinzione destra/sinistra rimarrà l’asse principale del conflitto democratico 

E poiché “la grande tradizione culturale” delle nostre democrazie è appunto quella che include destra e sinistra, questa affermazione di Salvati è, ovviamente, una enfatica tautologia.
Ridotto al suo scheletro logico, il discorso di Salvati è una cosa di questo tipo: “Tutti i cigni sono bianchi. Certo, so bene che esistono cigni neri. Ma finchè tutti i cigni sono bianchi, possiamo affermare che tutti i cigni sono bianchi”. Poiché Salvati non è uno sciocco, siamo autorizzati a pensare che la pochezza dei suoi argomenti derivi dall'insostenibilità della sua tesi.  In definitiva, la tesi del superamento di destra e sinistra ci sembra confermata e rafforzata dall'esame di articoli come questo.
 


di Marino Badiale

28 febbraio 2013

Il successo del Movimento 5 Stelle





Il SUCCESSO DEL M5S
Sul Movimento Cinque Stelle (M5S) nelle ultime settimane si è scritto di tutto, ma la grande stampa italiana ha espresso per lopiù giudizi fortemente negativi, al punto da considerare Grillo un pericolo per la democrazia, un fascista, uno stalinista, un antisemita e così via. Sciocchezze, ma che rivelano l’irrimediabile ottusità della classe dirigente italiana (giornalisti e intellettuali compresi) ormai incapace di comprendere la realtà del nostro Paese. Con questo non vogliamo affermare che il M5S non sia una incognita. Indubbiamente il movimento politico di Grillo manca di un collante ideologico e di una salda dottrina politica e strategica. Perciò, tradimenti e voltafaccia vari è molto probabile che ci saranno. Ma non è affatto scontato che sarà il “trasformismo” che caratterizzerà l’operato del M5S in Parlamento.
Intanto, si dovrebbe prendere atto che il M5S è riuscito nella non facile impresa di “uscire” da internet e di togliere la “piazza” alla sinistra interpretando il malcontento e la rabbia di milioni di italiani che stanno sperimentando sulla propria pelle il fallimento della “terapia” del commissario Monti. Una “terapia” – non lo si deve dimenticare – impostaci dalla BCE (che è la longa manus della finanza angloamericana in Europa) e condivisa sia dal PD che dal PDL. E che ha portato il nostro  Paese sull’orlo del baratro e ad avere una disoccupazione giovanile ben oltre il 30%, nonostante un avanzo primario del 5% (ovvero al netto degli interessi sul debito pubblico). Durante l’anno orribile del governo Monti, però la parola d’ordine del PD e dello stesso PDL è stata una sola: privatizzare. Privatizzare come negli ultimi decenni. Ovvero (s)vendere ai “mercati” l’Italia e gli italiani, perché “lo chiede l’Europa”. Adesso che il risultato di tale politica è sotto gli occhi di tutti si tratta quindi di capire se il M5S non rimarrà prigioniero dell’”antipolitica” (cioè di una generica, benché comprensibile e condivisibile, protesta contro il sistema politico) e saprà invece interpretare la rabbia degli italiani in una nuova chiave (geo)politica che possa bloccare, o perlomeno ostacolare, il”tritacarne” della finanza angloamericana.
Certo ci aspettano mesi duri. Anzi durissimi. Monti ha dichiarato che teme la reazione dei “mercati”. E questi già fanno sentire la loro voce. Ma tutti sappiamo “chi” sono i “mercati” e che cosa vogliono. Sarebbe necessario allora elaborare una linea di “azione strategica” che permetta di opporsi con successo ai “mercati”. Vero che non è facile e che la situazione è gravissima. Guai ad illudersi. Ma margini di manovra ci sono, se strangolare l’Italia significa sfasciare Eurolandia. E questa è una “carta” che il nostro Paese dovrebbe giocare bene. Fondamentale è saper far leva sull’economia reale (PMI, settori strategici, ricerca etc.). In primo luogo, si dovrebbe ridefinire la partecipazione dell’Italia ad Eurolandia e la stessa struttura politica dell’Unione Europea. Al riguardo, però è degno di nota che Mauro Gallegati, l’esperto economico del M5S, abbia precisato che il M5S non vuole «uscire dall’euro e abbandonare l’Europa, ma le strade sono due: una vera unione politico-monetaria o due zone Euro, una per la Germania e i paesi più forti, l’altra per i Paesi più deboli». (1)
D’altronde, vi è pure da prendere in considerazione la delicata questione della politica estera, che incide sempre di più sulla realtà economica e sociale dei singoli Paesi. Da dove “proviene” la crisi  è noto; e pure perché abbia avuto inizio proprio negli Stati Uniti. Né è un caso che le “mani” che controllano i “mercati” siano tutte a “stelle e strisce”. Sicché, certe affermazioni di Grillo sull’Iran e sulla Siria e soprattutto la sua condanna della politica di potenza d’Israele, nonché il fatto che il M5S sia nettamente contrario al MUOS, giustificherebbero un certo ottimismo. Il condizionale però è d’obbligo essendoci ancora, anche sotto questo profilo, non poche “zone d’ombra”, in particolare per quanto concerne i rapporti con i nuovi attori geopolitici sullo scacchiere mondiale (BRICS, SCO etc.), che sono destinati avere un ruolo sempre maggiore nel prossimo futuro ed avere di conseguenza sempre più importanza per lo sviluppo dell’economia e della società europea. Ma è improbabile (ma non “impossibile”) che il M5S non metta in discussione la politica filoatlantista del nostro Paese, dato che insiste sulla necessità di mettere fine alle nostre missioni militari all’estero, che sono solo in funzione dei progetti di egemonia globale degli Stati Uniti.
Insomma, il successo del M5S, al di là di facili ed “superficiali” entusiasmi, non solo non è irrilevante, ma potrebbe veramente cambiare, almeno in parte, il volto politico del nostro Paese.   Comunque sia, un po’ di sabbia nel “tritacarne” ora c’è. Ed è un fatto positivo, anche se non è ancora una autentica inversione di tendenza. Peraltro, tanto i partiti del centrodestra quanto quelli del centrosinistra non solo sono in buona misura responsabili della drammatica situazione in cui si trova l’Italia, ma, come dimostra la stessa vicenda del Monte dei Paschi di Siena, sono tutti ricattabili. A tale proposito, si dovrebbe tener presente quanto scrivono Stefano Sylos Labini e Giorgio Ruffolo, ossia che «l’’attesa spasmodica del giudizio dei mercati assume i tratti di un imperscrutabile destino e rivela fino a che punto è stata compromessa la sovranità politica delle democrazie [...] Da un lato c’è un mercato finanziario dominato da grandi concentrazioni di potere e perfettamente integrato a livello mondiale, che può condizionare le politiche dei governi. Dall’altro ci sono i governi che ne subiscono il ricatto».(2) E’ allora contro questo ricatto che il M5S si deve battere, se ha a cuore non gli interessi di quel 10% della popolazione che detiene quasi il 50% della ricchezza nazionale, bensì le sorti del popolo italiano. Ed è questa la “conditio sine qua non” per eliminare corruzione, malcostume e inefficienza senza distruggere la base produttiva del nostro Paese.
Tuttavia, questo lo può fare solo la “politica”. Il M5S dovrebbe pertanto, a nostro giudizio, evitare di confondere la funzione politica, oggi più che mai necessaria e decisiva, con i politicanti inetti e corrotti o con le stesse istituzioni politiche, che naturalmente non sono state delegittimate da Grillo, ma, per così dire, si sono delegittimate da sole. In ogni caso, siamo sicuri che nei prossimi mesi, se non addirittura nelle prossime settimane, molti dubbi saranno chiariti. E dato che non ignoriamo quali sono i motivi che spingono gazzettieri e politicanti ad accusare il M5S di essere un movimento “populista”, non abbiamo nemmeno difficoltà ad ammettere che non ci dispiacerebbe che tale accusa si rivelasse non del tutto infondata, pur augurandoci, per il bene degli italiani, che il M5S “cresca” il più rapidamente possibile, sia dal punto di vista della cultura politica sia da quello politico-strategico. Se invece ci fossimo sbagliati e il M5S si dovesse rivelare un movimento politico funzionale al sistema di potere“euroamericano”, è ovvio che non si tratterebbe solo di una buona occasione persa. E le conseguenze per il nostro Paese sarebbero disastrose.
 di Fabio Falchi 

 
(1) http://www.ansa.it/web/notizie/elezioni2013/news/2013/02/26/INTERVISTA-M5S-aula-Stiglitz-ma-uscita-euro-_8315461.html.
(2) http://www.syloslabini.info/online/wp-content/uploads/2013/01/risposta-giorgio.htm.

27 febbraio 2013

Breve storia del potere bancario nel mondo…






All’inizio fu la “nota di banco”. Eravamo nell’alto Medio Evo. Tu depositavi le tue monete  d’oro, ma anche collane ciondoli e anelli confezionati col prezioso metallo, e l’orefice – sì, proprio l’orefice – ti consegnava una ricevuta del valore preso in custodia: la “nota di banco”, appunto. Non fu una cattiva idea: gli scambi con la moneta aurea rendevano difficile le transazioni sul mercato, considerato che praticamente ogni città ne possedeva una diversa. La “nota di banco”, invece, snellì le procedure facilitando il commercio e lo sviluppo delle imprese. E la cosa funzionò. Funzionò fino a che l’orefice – sì, sempre l’orefice – non si accorse che il proprietario dell’oro che gli era stato consegnato non ci pensava proprio a richiederlo, felice com’era delle nuove soluzioni che la “nota di banco” gli offriva. A quel punto – sempre all’orefice – venne in mente un’idea geniale, a suo modo: visto che nessuno gli chiedeva la restituzione dell’oro preso in custodia, sulla garanzia della copertura aurea poteva prestare “note di banco” a terzi in cambio della restituzione con gli interessi. Fu il germoglio della banca moderna, come noi la conosciamo oggi: ti presto quello che non è mio, e tu mi paghi in una misura equa il servizio che ti rendo.
Bisogna dirlo: nemmeno questa, all’inizio, fu una cattiva idea. Tant’è che, anche grazie a questa soluzione, si lasciarono definitivamente alle spalle secoli bui di miseria, carestia e fame e si fece ingresso in epoche decisamente più floride: il Rinascimento, per esempio. Sarà mica un caso che la vera prima e propria banca nacque nel 1407, a Genova (nota città di risparmiatori, dettoen passant) con il nome di Casa delle Compere e del Banco di San Giorgio e che, per un paio di secoli, fece la fortuna di quella Repubblica Marinara. Insomma, il giochetto inventato dai vecchi orefici che emettevano “note di banco” assunse, da lì in avanti, un aspetto decisamente più istituzionale. E redditizio. Ma fin lì, tutto sommato, fra profitto privato e convenienza pubblica, la bilancia segnava decisamente un più in favore dello sviluppo e del progresso collettivo. Ci si poteva stare.
Il problema vero, semmai, fu che sin da subito, ovvero: sin dalla fondazione del Banco di San Giorgio, il potere economico cominciò a contendere il primato di esercizio amministrativo a quello politico. Sicché lo stato, ad un certo momento, si ruppe i coglioni. Siamo nel 1696, in Inghilterra, e Sua Maestà Guglielmo III, con un’alzata d’ingegno, decise che era ora di riunire le tre funzioni fondamentali delle banche – prestare danaro, ricevere danaro in deposito e creare moneta – ad un istituto di stato e creò la Banca d’Inghilterra. Che presto si fece agente mondiale degli interessi della Corona inglese, insegnando al resto del mondo come si esercita il diritto di battere moneta, contro la concorrenza, facendo pagare ad altri il tasso d’interesse.
La Banca d’Inghilterra, infatti, fin dalle sue origini, fu un’associazione a delinquere, capace di praticare l’usura al 60 per cento nelle colonie americane. Nel 1750, fu soppressa la cartamoneta emessa nella colonia della Pennsylvania. Cioè, non contenta del suo 60 per cento d’interessi, sopprimeva illegalmente una concorrenza che, con un sano sistema monetario autonomo, aveva portato la prosperità in quell’angolo del suo impero. Dopo  26 anni, nel 1776, le colonie americane si ribellarono contro le infamie, le ingiustizie e le sanzioni del Governo inglese, ormai servo dei banchieri. Fu la prima rivoluzione americana, quella dei padri fondatori: Sam Adams, John Adams e George Washington. La Costituzione americana stabilì che il potere di battere moneta spettava per intero al Congresso, non alle banche. Ma la loro rivoluzione fu tradita dai nemici interni. Fu necessaria una seconda rivoluzione: quella di Jefferson e Madison contro la prima Banca degli Stati Uniti. Poi, di una terza: quella di Jackson, contro il risorgere della stessa banca. E, infine, la quarta: condotta da Lincoln.
Dopo Lincoln, che fu messo in condizioni di non nuocere nel modo che sapete, negli Usa non c’è stata più seria resistenza al potere delle banche di speculare su quel qualcosa – la moneta – che non gli appartiene, così come l’oro non apparteneva ai vecchi orefici. Anzi, a ben guardare, le cose sono vieppiù precipitate se è vero – come è vero – che lo scoppio della famosa crisi del 2008, nella quale ancora ci dibattiamo, è dovuta alla gentile elargizione legislativa che l’amministrazione di Bill Clinton fece loro di concedere mutui (i tristemente famosi “subprime”) anche a chi non garantiva la solvibilità del prestito. Col risultato di rifilare le perdite attraverso titoli “derivati” che non valevano la carta su cui erano scritti, destabilizzando così il mondo intero. Fotografia esatta dell’inversione del rapporto corretto: non più le banche al servizio della politica ma il suo contrario.
Nel frattempo, però, in Europa si decise di fare, su questa via, ancora meglio. Intanto, in ossequio al mostro di Maastricht, si pensò di creare una Banca Centrale Europea (la famigerata Bce) che avrebbe battuto moneta senza alcun controllo degli stati dell’Unione e, quel che è peggio, senza il controllo politico di un governo federale che, a tutt’oggi, non è nemmeno ipotizzabile. Una Banca cioè che, come abbiamo visto in questi ulti anni, detta legge e impone la sua dittatura sulla moneta e sul debito pubblico senza dover rispondere a nessuno del suo operato, arrivando a  imporre, infine, i propri commissari ai vertici degli stati nazionali. Vedi, in particolare, i casi della Grecia con Loukas Papademos – già vicepresidente della Bce –  e quello dell’Italia che si è vista appioppare Mario Monti già associato a Mario Draghi – presidente in auge della stessa Bce – alla nota centrale di speculatori finanziari, responsabili del dissesto del 2008, che risponde al nome di Goldman Sachs.
Una settimana fa, proprio Mario Monti, con la faccia tosta che gli si addice, riguardo al caso del Monte dei Paschi di Siena ha sentenziato che è ora di finirla con la commistione tra politica e banche. L’insigne professore è di memoria breve, anzi: brevissima. Infatti, ha dimenticato in un batter d’occhio che dei 23 miliardi di euro rubati agli italiani con l’Imu, di cui 3 sulla prima casa, ben 4 sono andati a tappare proprio la falla che l’istituto senese si era scavata in petto con le solite operazioni finanziarie spericolate. Però, in un certo qual senso, aveva ragione. Di sbagliato c’era solo l’uso del tempo futuro: la commistione fra banche e politica è già finita. Quella in impero è la commistione fra Bce e banche territoriali. La politica è out e al debitore… ehm… ehm, scusate, volevo dire: al cittadino resta solo il dovere di saldare il conto. E così sia…
di Miro Renzaglia 

26 febbraio 2013

Il Guastafeste






La maggior parte degli addetti ai lavori parla di una grande sorpresa, di fronte ai risultati della tornata elettorale che si è appena conclusa, e con tutta probabilità un poco sorpresi sono rimasti sicuramente tutti coloro che già nelle passate settimane avevano"venduto" alle bancheed ai mercati un nuovo governo di continuità conl'agenda Monti, disposto a servire in tavola il cibo dietetico dispensato dalla BCE.
Il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo sbanca tutto ciò che era umanamente sbancabile, supera il 25% dei consensi e s'incorona primo partito italiano, mettendosi alle spalle sia il PD che il PDL ed apprestandosi a portare nelle stanze dei bottoni circa 160 fra deputati e senatori.
Bersani attraverso una campagna elettorale assai sbiadita, condotta sullo sfondo dello scandalo MPS e della corruzione dilagante nel partito, riesce a dissipare tutti i punti percentuali di vantaggio sul PDL attribuitigli nelle settimane scorse dai sondaggi e con tutta la coalizione non riesce a superare il 30%.
Berlusconi raccoglie una coalizione in fase di disfacimento, ma con una grinta da venditore porta a porta e qualche spot elettorale di sicuro effetto, la rianima come per magia, fino a portarla al pareggio con quella di centrosinistra.....


Il banchiere di Goldman Sachs Mario Monti, dopo avere governato indebitamente per 13 mesi, inabissando il paese nelle sabbie mobili della disperazione, raccoglie quanto seminato e nonostante il sostegno di Casini (che poteva contare nell'UDC su oltre il 5% dei voti) e di Fini (che fino ad un paio di anni fa presiedeva un partito forte dell'11%) non riesce a sfondare la soglia del 10%, attestandosi poco al di sotto e raccogliendo una sconfitta cocente.

Il giudice Antonio Ingroia, rientrato in Italia dal Guatemala per rivitalizzare la sinistra, di fatto ne pratica l'eutanasia, arrivando ad ottenere il 2,2% alla testa di una coalizione (IDV, Rifondazione comunista, Verdi, Comunisti italiani) che sulla carta portava in dote circa il 10% dei consensi. Sbagliando di fatto tutto quello che sarebbe stato possibile sbagliare e probabilmente anche qualcosa di più e restando con tutti i suoi compagni fuori dal parlamento.

Gli altri piccoli partiti, da quelli di estrema sinistra alla destra identitaria, raccolgono percentuali risibili ben al di sotto del punto percentuale, dimostrando una volta di più che la politica del "tutti contro tutti" non paga e risulta del tutto inadeguata ad esprimere un progetto incisivo per il paese.

Alla luce di questi risultati naufraga ancora prima di partire il progetto di coalizione fra PD e Monti, già venduto da Napolitano ad Obama e alla BCE, dal momento che mancano materialmente i numeri (in primo luogo al Senato) perché un'ammucchiata del genere possa governare. Così come mancano i numeri perché Berlusconi, sostituendosi a Bersani nell'abbracciare l'usuraio di Goldman Sachs, possa aspirare a proporre un governo alternativo.

In una situazione d'impasse che ricorda da vicino la Grecia, le soluzioni praticabili sembrano essere solamente due, entrambe in salita e foriere di molti rischi per chi intenda praticarle.
Un governo di grande coalizione fra PD - PDL e Monti, coadiuvato da una grande crisi delle borse e dei mercati, creata artificialmente alla bisogna con tanto d'impennata dello spread. Con il rischio che però l'elettorato di centrodestra e quello di centrosinistra non accettino di buon grado il sodalizio con il nemico di sempre e facciano mancare il loro sostegno in propensione futura.
Oppure un ritorno alle urne a breve termine (dopo avere varato una nuova legge elettorale ad hoc) con una coalizione di "salvezza nazionale" imposta dallo sfacelo delle borse, dei mercati e dello spread accorso in "aiuto", dove PD - PDL e Monti tentino di giocare la carta del sacrificio necessario. Ma il rischio in questo caso sarebbe anche più grosso, perché l'elettorato indisponibile ad abbracciare il nemico potrebbe debordare in massa verso Beppe Grillo, decretando di fatto la sparizione di tutta la classe politica tradizionale e aprendo orizzonti completamente inesplorati.

Riflettendo così a caldo, l'enorme vittoria del "gustafeste" Beppe Grillo e del suo Movimento 5 stelle non può che farci piacere. Non solo perché diventa primo partito in Italia un movimento dichiaratamente NO TAV, favorevole alla creazione di un reddito di cittadinanza e di un nuovo sistema lavoro, contrario all'incenerimento dei rifiuti, alla cementificazione selvaggia e alle missioni di guerra, vicino al pensiero della decrescita e alla creazione di un nuovo modello di sviluppo. Ma anche e soprattutto perché il trionfo di Grillo intralcia in qualche misura il progetto di Bersani, Monti e Napolitano, costringendoli ad acrobazie di varia natura il cui esito potrebbe non essere così scontato come sembrava alla vigilia delle elezioni.

di Marco Cedolin 

24 febbraio 2013

LaRouche: se impediscono la Glass-Steagall sarà il collasso



 - Il 16 febbraio Lyndon LaRouche ha ammonito che se verrà bloccata la reintroduzione del sistema di separazione bancaria detto "Glass-Steagall", "ciò causerà una crisi da collasso dell'intero sistema transatlantico". Il processo iperinflazionistico dovuto ai salvataggi bancari "è ora sfuggito completamente al controllo" perché non siamo più nella fase di incremento, ma ci avviciniamo a quella di "decollo".
In un recente articolo intitolato "Supernova del credito", Bill Gross, il manager di Pimco, il più grande fondo obbligazionistico del mondo, ha reso evidente uno dei sintomi dell'esplosione iperinflazionistica denunciata da LaRouche. "Negli anni 80", ha scritto Gross, "occorrevano 4 dollari di nuovo credito per generare 1 dollaro di crescita reale del PIL". Nell'ultimo decennio, ce ne volevano 10 e dal 2006 ce ne vogliono 20 per ottenere lo stesso risultato".
Gross descrive giustamente questo fenomeno come "un mostro che richiede un aumento sempre crescente di alimento, una stella supernova che si espande ma che nel processo di espansione comincia a consumare se stessa".
Lo stesso Gross ammette che ciò è solo la punta dell'iceberg, perché le cifre che ha usato "non includono il debito ombra". Quest’ultimo è la gigantesca bolla dei derivati che rappresenta gli aggregati finanziari, la terza nel grafico della triplice curva di LaRouche. Il rapporto tra gli aggregati finanziari e il debito USA è cresciuto più rapidamente del rapporto debito/Pil.
Per cui, per generare i 4 dollari di nuovo debito che generavano un dollaro di Pil nel 1985, occorrevano 10 dollari di aggregati finanziari. Nel 2012 il debito era cresciuto di cinque volte, e gli aggregati finanziari cinquanta volte, per cui oggi occorrono 500 dollari di aggregati finanziari per ogni dollaro di aumento di Pil!
Questi dati, per quanto parziali, definiscono "un processo iperinflazionistico in corso", e non più un semplice rischio, ha sottolineato LaRouche.
Quando decolla l'iperinflazione, come nel 1923 in Germania, "a quel punto i salvataggi sono cancellati. Si cancella il denaro e si introduce una piccola quantità di denaro nuovo, da distribuire a pochi privilegiati. Il resto può andare al diavolo", ha ammonito LaRouche. Questa è la politica dell'oligarchia, e significa che "faranno morire di fame un sacco di gente".
Questa, ha denunciato LaRouche, è anche "l'intenzione dietro la politica attuale del Presidente degli Stati Uniti. Ciò non significa che egli ne sia l'autore, ma il segnale è quello, perché non è possibile che riescano nell'intento dichiarato. Non esistono modi per salvare questo sistema, tranne che cancellandolo e adottandone uno interamente nuovo".
LaRouche ha chiosato: finché Obama sarà presidente, "gli Stati Uniti sono condannati". Egli deve essere rimosso dall'incarico, deve essere introdotta urgentemente una legge Glass-Steagall e deve essere creato un sistema di credito. Chi sostiene che una riforma del genere spazzerebbe via troppo denaro fittizio, deve capire che ciò avverrà comunque, per cui è meglio farlo in modo ordinato e controllato.

 by (MoviSol)

23 febbraio 2013

Sono arrivati alla frutta








Mentre Giorgio Napolitano vola negli USA, per rassicurare il presidente Obama, comegià fatto in precedenza con la UE e la BCE, sul fatto che l'esito delle elezioni è sotto controllo e dalle urne emergerà comunque vada solamente un governo di camerieri preposto a continuare sulla strada dell'annientamento del paese e della riduzione in miseria della popolazione, il circo equestre della campagna elettorale, ormai in completa confusione, inizia a sperimentare esperienze tragicomiche di un lirismo impressionante.
Beppe Grillo si appropria delle piazze d'Italia e riesce a riempirle ben oltre quanto potesse essere immaginabile, raccogliendo una marea di consensi, intorno a slogan (alcuni condivisibili altri meno) in fondo molto elementari ma sempre ben calati all'interno della realtà di un paese in via di disgregazione e vittima della disperazione diffusa che sta montando sempre più. E dovrebbe bastare un'occhiata a quelle piazze ed alla composizione dei cittadini che le riempono, per comprendere come il suo sarà probabilmente un successo che travalicherà anche le più ardite previsioni. Successo determinato dalle sue grandi capacità di comunicatore, dall'ottima struttura organizzativa messa in campo, dal malcontento generalizzato della popolazione, ma anche e soprattutto dall'assoluta mancanza di alternative credibili fra coloro (partiti che possano aspirare a superare il 4%) che si propongono alla guida del paese. Il nulla assoluto presente intorno a Grillo stupisce infatti innanzitutto per la totale mancanza di qualsiasi elemento di novità o interesse che prescinda dalla volontà di continuare sulla strada intrapresa, se è il caso fino alla morte, pronti a tutto per la UE e per l'euro, come a suo tempo ebbe modo di dire il leader maximo Mario Draghi.....


Legacoop Bersani si è ormai ridotto ad interpretare la macchietta di sè stesso e dopo avere girato il mondo in lungo e in largo dal giorno seguente all'investitura alle primarie, nel tentativo di vendere la pelle di un orso ancora vivo, si è ritrovato impantanato nello scandalo della banca di partito, nei rapporti promiscui con Vendola e Monti, impegnato giorno dopo giorno nel mendicare il ruolo di maitre, presso una BCE sempre più scettica nei suoi confronti. Nel goffo tentativo di esperire un qualche pensiero autonomo che potesse risultare accattivante per l'elettorato ormai fidelizzato (quello che non lo era l'ha lasciato da tempo) è arrivato perfino ad imbastire filippiche contro la corruzione, tanto più grottesche se pronunciate dal leader di un partito che della corruzione ha fatto la propria bandiera, come dimostra appieno proprio lo scandalo MPS, e da un uomo noto per essersi fatto "regalare" un centinaio di migliaia di euro proprio da quel Riva attualmente sotto accusa per avere sterminato le famiglie di Taranto attraverso l'inquinamento generato dall'azienda di famiglia.
Ma siccome sia il lato buonista, con tanto di parlata emiliana, sia quello "grintoso" preposto a sbranare gli avversari, sembrano continuare a sortire scarsi effetti in termini di popolarità, l'ultima carta giocata sul filo della disperazione è la riesumazione della salma politica di Romano Prodi, proposto sul palco a Milano e destinato a ritorcersi come un boomerang proprio sulle spalle di Bersani, se solo gli italiani si ricorderanno chi fu l'uomo che più di ogni altro si prodigò per trascinare l'Italia nell'incubo dell'euro e della UE.

Se il nulla abbacinante di Bersani è di quelli che danno fastidio agli occhi, certo non sta riuscendo a fare di meglio Berlusconi. Il salapuzio di Arcore, svestiti i panni del presidente dimissionario che per 13 mesi ha votato pedissequamente ogni legge lacrime e sangue di Mario Monti, ha indossato i panni del rivoluzionario, dividendosi fra una certosina opera di contestazione di tutti i provvedimenti da lui stesso votati ed il ruolo d'imbonitore da mercato rionale. Una vera parodia del voto di scambio ad personam: "Se mi voti ti rimborso l'IMU, ti abbasso l'Irpef, ti togo l'irap e per i primi 10mila offro anche un tablet in regalo o una termocoperta per chi si trova già ad albergare sotto i ponti". Un Ponte ai siciliani, un TAV ai piemontesi, un Mose ai veneziani, un rigassificatore ai livornesi e via così fino al termine delle scorte.
Dopo avere lodato Monti, fino al punto di proporlo al ruolo di leader della propria coalizione (facendo il paio con i tentativi di Bersani), nella veste di nemico del banchiere di Goldman Sachs Berlusconi appare davvero scarsamente credibile e pure un poco grottesco. Le promesse, i regali ed i contratti appaiono sempre più come merce stantia, garantiranno forse il recupero di qualche punto percentuale, ma la mancanza d'aria si percspisce chiaramente.

Il banchiere golpista di Goldman Sachs Mario Monti, che ancora governa il paese dopo essere riuscito a mandarlo a picco in soli 13 mesi non sta certo meglio. La sua discesa in politica, fra un salottino TV, un cane in affitto ed i comizi tenuti dentro a bugigattoli riservati a pochi intimi, tratteggia la figura patetica di un personaggio che se solo si affacciasse su una piazza riceverebbe in dono quintali di pomodori ed arance, oltre ad epiteti impronunciabili.
Il suo compito non è certamente quello di raccogliere un esteso consenso popolare, ma semplicemente quello di marcare il territorio, consapevole del fatto che chiunque vorrà proprorsi per governare dovrà passare da lui per chiedere il permesso della UE, della BCE, dell'FMI, di Obama e del resto del mondo.
La campagna elettorale, se possibile, patetica lo è ancora di più, fra la promessa di diminuzione delle tasse (da lui stesso varate) portata con la mano destra, mentre quella sinistra (ancora al governo) continua a metterne sempre di nuove. E la pretesa di avere salvato un paese dove dopo il salvataggio solo più una persona su due ha ancora un lavoro, il pil è in caduta libera (ma non si tratta di decrescita, bensì di recessione) le imprese chiudono a ritmo forsennato e sta sparendo perfino la speranza.

A fare da corollario a questo campionario di miserie umane non poteva mancare il giudice Antonio Ingroia, vero e proprio re della questua, che da quando è entrato in politica ha sbagliato tutto quello che poteva sbagliare e forse anche qualcosa di più. Ha mendicato i voti dei movimenti che si battono sui territori e dopo avere ricevuto un netto rifiuto ha cercato di appropiarsene lo stesso maldestramente. Ha mendicato l'appoggio del PD ma gli hanno chiuso la porta in faccia senza neppure premurarsi di spingerlo fuori. Ha mendicato l'appoggio di Grillo provocando più di una risata. Ha mendicato il sostegno di Nichi Vendola che ormai alberga in casa PD e certo non ha intenzione di camminare fuori, dove fa freddo e per andare in parlamento occorre il 4%.
Poi dopo avere collezionato un serie di brutte figure da fare impallidire perfino i politici consumati ed essersi proclamato mentore di una società civile che alberga solamente nel suo immaginario, con tanti compagni di viaggio come Ferrero, Diliberto e Bonelli che preferiscono restare nell'ombra nella speranza che la gente si scordi chi sono e un nutrito manipolo di poliziotti, giudici ed avvocati che non guastano mai, ha fatto pure la pessima scelta di andare a parlare in TV. Dove il telespettatore ha compreso fin da subito che la sua "rivoluzione" è un po' troppo vicina a Befera e ad Equitalia per rivestire un qualche carattere popolare, così come il suo concetto di "evasore" molto omnicomprensivo, fino a comprendere nella massa dei cittadini da perseguitare anche i pensionati ed i disoccupati che non arrivano a fine mese.
Già un partito i cui voti sono quotidianamente in vendita al borsino del miglior offerente non rappresentava qualcosa di molto accattivante, ma la sensazione inizia a diventare quella che se Ingroia continuerà a parlare, perfino il 4% inizierà a diventare un miraggio quasi come l'alleanza con il PD.

Insomma Napolitano, imitando Bersani, ha già venduto la pelle dell'orso ai propri padroni, ma potrebbe anche non riuscire a prenderlo e vedersi costretto a riportare gli italiani alle urne una seconda volta, magari in primavera, nella speranza che in quell'occasione abbiano capito bene quali sono gli ordini e cosa devono fare.

di Marco Cedolin 

22 febbraio 2013

Il debito infinito




Nell'anno 55 prima della nostra era, Cicerone scriveva: «Il bilancio dovrebbe essere equilibrato, le finanze pubbliche dovrebbero essere colmate, il debito pubblico dovrebbe essere ridotto, l'arroganza della amministrazione dovrebbe essere abolita e controllata e l'aiuto ai paesi esteri dovrebbe essere diminuito per E il rischio che Roma cada nel falli- mento».  da un bel pezzo che la classe politica non legge più Cicerone! Dalla fine degli anni Settanta, la maggior parte dei paesi industrializzati sono entrati in un regime di debito permanente, dal quale nemmeno i periodi di forte crescita economica hanno consentito di uscire.
Il debito misurato è quello delle amministrazioni pubbliche, che viene chiamato "debito sovrano" o "debito pubblico". Il debito pubblico "nel senso di Maastricht", misurato in valore nominale (e non in valore di mercato), viene definito come il totale degli impegni finanziari degli Stati contratti sotto forma di prestiti risultanti dall'accumulazione, sul filo degli anni, di una differenza negativa tra le loro entrate e le loro spese o i loro oneri. Esso concerne tre settori: le amministrazioni centrali, cioè lo Stato propriamente detto, le amministrazioni locali (collettività territoriali, organismi pubblici, ecc.) e i sistemi di Previdenza centrali. Il trattato di Maastricht del 1992 aveva adottato i principi che il deficit degli Stati membri dell'Unione europea non avrebbe dovuto superare il 3% del prodotto interno lordo (Pil) e che il loro debito pubblico sarebbe dovuto rimanere al di sotto del 60% del Pil. Quegli obiettivi non sono stati raggiunti. Globalmente, il debito pubblico nella zona euro è aumentato del 26,7% dal 2007. Oggi rappresenta l'80% del Pil globale della zona. Ma in questo caso si tratta solo di una media. Nel 2011, otto paesidell'Unione europea esibivano un debito superiore all'80% del loro Pil: l'Ungheria e la Gran Bretagna (80,1%), la Germania (83%), la Francia (85%), il Portogallo (92%), il Belgio (97%), l'Italia (120%) e la Grecia (160%). Gli americani non se la passano meglio: al momento, ogni spesa pubblica effettuata negli Stati Uniti viene finanziata nella misura del 42% da prestiti!
In Francia, il debito pubblico nel 1980 rappresentava solo il 20,7% del Pil, ovvero l'equivalente di 92,2 miliardi di euro. Nel 2007, quando Nicolas Sarkozy è stato eletto alla testa dello Stato, aveva già raggiunto il 64,2% del Pil (1.211 miliardi di euro). Oggi ammonta all'85,3% (1.688 miliardi di euro), con un 30% di aumento in quattro anni. Il rapporto 2011 della Corte dei conti lascia prevedere che potrebbe raggiungere il 100% del Pil nel 2016. La parte essenziale del debito è a carico delle amministrazioni centrali: 1.297 miliardi di euro su 1.646 nel 2011 (le collettività locali erano indebitate solo per un ammontare di 156 miliardi, la Previdenza sociale per una cifra di 191 miliardi). E il deficit delle finanze pubbliche, che si è fissato nel 2011 a 98,5 miliardi di airo, continua a crescere al ritmo di 3.200 euro al secondo! Il servizio del debito rappresenta il pagamento annuale dei prestiti sottoscritti giunti alla scadenza. Il carico del debito costituisce il pagamento dei soli interessi, ovvero in Francia circa 50 miliardi di euro l'anno, il che corrisponde al 20% del bilancio dello Stato, all'89% dell'imposta sul reddito, o ancora al 140% dell'imposta sulle società. Poiché il rimborso del capitale del debito ammonta a circa 80 miliardi di euro, il servizio totale del debito rappresenta oggi per lo Stato 118 miliardi di euro, cioè l'equivalente della totalità delle sue risorse fiscali dirette. Mentre il pagamento dei soli interessi, sta per diventare la prima posta di bilancio dello Stato, prima dell'Educazione nazionale, della Difesa o della previdenza. Ma a chi dobbiamo tutto questo denaro? Essenzialmente ai mercati finanziari, ad istituti bancari, a compagnie di assicurazione, a fondi pensionistici e a talune societàacquistanoo. Sono loro che "aCquistano" titoli del debito francese, si tratti delle obbligazioni assimilabili del Tesoro (Oat), le più importanti in volume, che sono prodotti a lungo termine, dei buoni del Tesoro a interesse annuale (Btan), che hanno una durata da due a cinque anni, o dei buoni del Tesoro a tassi fissi e a interessi predefiniti (Btf), a brevissimo termine. Di fatto, oggi è attraverso la gestione dei debiti degli Stati che i mercati finanziari sono strutturati ed organizzati. Gli istituti finanziari scambiano poi il debito che hanno "acquistato" in forme molteplici, come i prodotti derivati, il che consente loro di speculare a propria volta sui mercati. Il paese industrializzato più indebitato è il Giappone, con un debito che supera il 195% del suo Pil, ma questo debito è essenzialmente detenuto dagli stessi giapponesi, il che pone il Giappone relativamente al riparo dalle alee della congiunture internazionali. Non è il caso della Francia, dove il 68% del debito negoziabile dello Stato è nelle mani di investitori "non residenti", cioè stranieri. Quali sono i paesi che ne possiedono di più? E impossibile saperlo con certezza, giacché la legge proibisce di divulgare tale informazione. Come si è arrivati a questo punto? Le cause ovviamente sono molteplici: deficit di bilancio a ripetizione (la Francia è in deficit da quasi quarant'anni), incapacità della maggior parte degli Stati di padroneggiare le spese pubbliche, riforme fiscali e riduzioni di tasse demagogiche (se la fiscalità non fosse cambiata dal 1999, il debito francese oggi sarebbe di circa 20 punti di Pil in meno), deindustrializzazione in parte dovuta alle delocalizzazioni rese possibili dalla globalizzazione (nell'insieme dei paesi appartenenti alla Ocde, qualcosa come 17 milioni di posti di lavoro industriali sono stati distrutti nell'arco di soli due anni), deregolamentazione, privatizzazioni e via dicendo.
Una delle cause immediate dell'innalzamento del debito risiede nei piani di salvataggio della finanza decisi dagli Stati nel 2008 e nel 2009. Per salvare le banche e le compagnie di assicurazioni, gli Stati hanno dovuto a loro volta contrarre prestiti sui mercati, il che ha accresciuto il loro debito in proporzioni enormi. Somme astronomiche (800 miliardi di dollari negli Stati uniti, 117 miliardi di sterline in Gran Bretagna) sono state spese per impedire che le banche sprofondassero, decisione che ha gravato in pari misura sulle finanze pubbliche. Complessivamente, le quattro principali banche centrali (Riserva federale americana, Banca centrale europea, Banca del Giappone e Banca d'Inghilterra) hanno iniettato 5.000 miliardi di dollari nell'economia mondiale fra il 2008 e il 2010. È il più grande trasferimento di ricchezze della storia dal settore pubblico al settore privato! Un trasferimento che ha permesso alle banche salvate dagli Stati di ritrovarsi creditrici dei propri salvatori... Nel frattempo, il credito ha continuato a generalizzarsi. La possibilità di contrarre prestiti per coprire le spese correnti o acquistare un alloggio offerta ai nuclei familiari è stata la principale innovazione finanziaria del capitalismo del dopoguerra. Indebitandosi massicciamente, le famiglie hanno indiscutibilmente contribuito, fra il 1948 e il 1973, alla prosperità dell'epoca del Glorioso Trentennio, poiché l'indebitamento ha consentito alla macchina dei consumi di continuare a girare. E il credito si è ulteriormente sviluppato quando le monete, divenute fiduciarie, hanno definitivamente smesso di essere convertibili in oro. Il debito è un contratto fra due entità che ha per oggetto uno scambio scaglionato nel tempo. Il credito è definito come il potere di acquistare in cambio di una promessa di pagare. Il sistema ovviamente funziona solo se questa promessa è mantenuta. La crisi attuale, come è noto, è iniziata negli Stati uniti nell'estate 2007, con la vicenda dei subprimes. Le famiglie americane, incapaci di risparmiare, sono state sistematicamente incitate ad indebitarsi ipotecando il loro alloggio. Dal momento che il ricorso al prestito per loro non era altro che un modo per mantenere artificialmente il livello di vita malgrado il calo dei loro redditi, i fallimenti non hanno tardato a moltiplicarsi. Le banche e le compagnie di assicurazione sono state a loro volta minacciate, il che ha condotto gli Stati a concedere massicciamente prestiti per salvarle. Così la crisi del sovraindebitamento privato si è trasformata in crisi del sovraindebitamento pubblico.
Il concetto di debito è oggi fortemente associato al meccanismo di creazione monetaria. L'apertura di crediti da parte delle banche private è una creazione di moneta scritturale, puramente contabile, vale a dire virtuale, che è il risultato di un semplice gioco di scritture.Tramite la creazione monetaria, le banche creano ex nihilo un "potere d'acquisto" che trasmettono ai clienti a cui concedono prestiti. Questa moneta costituisce oggigiorno oltre il 90% della massa monetaria. Il suo ruolo è amplificato dall'effetto moltiplicatore del credito consentito dal sistema delle riserve frazionarie, che permette alle banche di prestare varie volte l'ammontare dei propri fondi. Una gran parte dei debiti pubblici si trova quindi oggi nei conti delle banche, che non hanno mai smesso di acquistare rifinanziandosi presso la Banca centrale europea ad un prezzo quasi nullo. In altri termini, le banche hanno prestato agli Stati, ad un tasso d'interesse variabile, somme che hanno avuto in prestito per quasi niente. Ma perché gli Stati non possono procurarsi autonomamente le somme in questione presso la Banca centrale? Semplicemente perché ciò è loro proibito!
La data chiave è quella del 3 gennaio 1973, data in cui il governo francese, su proposta di Valéry Giscard d'Estaing, all'epoca ministro delle Finanze, ha fatto adottare una legge di riforma degli statuti della Banca di Francia, disponendo che «il Tesoro pubblico non può essere presentatore dei propri effetti allo sconto della Banca di Francia» (art. 25), il che significava che era ormai proibito alla Banca di Francia accordare prestiti — per definizione non gravati da interesse — allo Stato, che di conseguenza era obbligato a contrarre prestiti sui mercati finanziari ai tassi che questi ritengono adeguati. Tale disposizione è stata in seguito generalizzata in tutta l'Europa, prima di essere ripresa nel trattato di Maastricht (art. 104) e poi nel trattato di Lisbona (art. 123), che stabilisce il divieto per la Banca centrale europea di prestare agli Stati, talché questi si vedono costretti a sottoscrivere prestiti con i mercati o con istituti privati pagando forti tassi di interesse. Le banche private, invece, possono continuare a prendere a prestito denaro dalla Bce ad un tasso risibile (meno dell'1%) per prestarlo agli Stati ad un tasso variabile fra il 3,5% e il 7%.
La legge del 1973 segna il momento in cui la Banca di Francia ha abbandonato il ruolo di servizio pubblico e spossessato lo Stato della sovranità monetaria. In origine, quella legge si appoggiava sul fatto che i prestiti senza interessi accordati dalle banche centrali agli Stati favorivano l'inflazione. Non era falso, ma si è passati da un eccesso all'altro. Invece di conservare lo stesso sistema pur istituendo una procedura che consentisse di limitare l'inflazione, si è puramente e semplicemente decretato che le banche centrali non avrebbero più potuto concedere prestiti agli Stati ma avrebbero potuto farlo alle banche ad un tasso d'interesse ridicolmente basso. Il maggiore privilegio degli Stati, che era il privilegio di battere moneta, è stato così trasferito alle banche, e al settore privato si è concesso il monopolio della creazione monetaria.
Già nel 1999 Maurice Allais, Premio Nobel di economia, scriveva: «Nella sostanza, l'attuale creazion monetaria ex nihilo da parte del sistema bancari è identica, non esito a dirlo, alla creazione di mone da parte dei falsari. Concretamente, sfocia nei me desimi risultati. L'unica differenza è che sono diversi coloro che ne approfittano» (La crise mondiale d'aujourd'hui).
Ancora di recente Mario Draghi, nuovo presidente della Bce, ha deciso di accordare alle banche prestiti in euro ad un tasso dell'i % su tre anni, senza alcuna limitazione di importo. Dato che il tasso Euribor, cioè il tasso al quale le banche si prestano denaro, è dell'1,9%, le istituzioni finanziarie della zona euro hanno in tale modo avuto accesso a finanziamenti due volte meno costosi. Non sorprendentemente, 523 banche europee hanno immediatamente sottoscritto la prima parte di questa offerta, datata 21 dicembre 2011, per un ammontare di 489 miliardi di euro — che avrebbero potuto prestare agli Stati al tasso da loro stesse deciso!
A questo punto intervengono le agenzie di rating, il cui ruolo è ormai ben noto. Più un paese riceve una buona quotazione, più ha la possibilità di contrarre prestiti a tassi ridotti (dalli% al 4%, in funzione della durata del prestito contratto). Viceversa, un paese mal quotato deve far fronte ad un innalzamento dei tassi d'interesse, che si suppone possa compensare il rischio più elevato che gli istituti e mercati si assumono prestandogli denaro.
Le agenzie sono infallibili? Nient'affatto, perché non è possibile per loro valutare in perfetta obiettività un futuro che è, per sua natura, indeterminato. Nel dicembre del 2010, l'agenzia di rating Standard & Poor's sottolineava ad esempio che «la Francia è quotata AAA, cioè con il voto più alto, con una prospettiva stabile, il che significa che non si vede questo voto avere sbalzi nei prossimi due anni». Tredici mesi dopo, la Francia perdeva la "tripla A". Dato più grave: le opinioni delle agenzie di rating possono essere paragonate a termometri che, non contenti di registrare la temperatura, la farebbero automaticamente innalzare quando constatassero che è cattiva. Basta infatti che un paese sia "degradato" perché i suoi prestiti divengano più costosi e di conseguenza la sua situazione si aggravi.
ssumiamo. Sin devonoo a tassi d'ine fissatai credit loro pialute finanziQuegli inter Essendo i non e i mer rimborsare né il debito né gli interessi, gli Stati contraggono nuovi prestiti, innanzitutto per far funzionare i propri paesi, poi per rimborsare l'importo del debito precedente, infine per rimborsare gli interessi di quest'ultimo, il che ha l'effetto di aumentare ancora il loro debito e di appesantirne gli interessi. E dato che la loro situazione si aggrava, anche i tassi di interessi che vengono loro imposti aumentano. Risultato: più rimborsano, più prendono a prestito e più devono pagare. Il debito viene così posto in una situazione di crescita esponenziale per la semplice ragione che tutto il denaro messo in circolazione lo è attraverso prestiti bancari e il contraente il prestito deve sempre rimborsare più dell'importo riscosso. Una spirale infernale. Come uscirne? La soluzione che gli Stati hanno scelto per risanare la situazione consiste nell'intervenire sulle pensioni, sugli assegni familiari o sugli stipendi dei dipendenti pubblici, nel ridurre i programmi sociali, nel diminuire il numero dei funzionari, nel vendere o privatizzare tutto ciò che può esserlo (il che riduce di altrettanto il loro patrimonio), nell'instaurare ovunque rigore ed austerità. Il problema è che quegli stessi Stati vogliono nel contempo "rilanciare la crescita". E i programmi di austerità comportano meccanicamente un aggravio della disoccupazione e un deterioramento del potere d'acquisto, quindi della domanda, il che non può che frenare la crescita e diminuire ulteriormente la solvibilità degli Stati. Sotto l'effetto dell'austerità, l'economia non può più essere trainata dal consumo, che è inevitabilmente destinato a contrarsi. Le classi medie e le classi popolari sono allora le prime a pagare l'imperizia della classe dominante. Quando l'austerità raggiunge un livello mai visto in tempo di pace, le conseguenze politiche e sociali minacciano di sfociare nel caos. L'applicazione di programmi di austerità finisce con l'«organizzare la recessione in Europa, con il risultato che i paesi non usciranno mai dal sovraindebitamento», ha dichiarato di recente Hubert Védrine, interrogato dal quotidiano del Québec «le Devoir». Per poi esortare a «domare i mercati» piuttosto che a rassicurarli, «perché questi mercati non sono una raccolta di vecchie persone inquiete, ma una palude di coccodrilli».
C'è un altro modo di comportarsi? Una soluzione, perlomeno a breve termine, sarebbe che la Bce accettasse di "monetizzare il debito", cioè di svolgere il ruolo di prestatore di ultima istanza. Ma la Bce si rifiuta di farlo, la Germania anche e la Commissione europea pure. Che fare, allora? Rinazionalizzare l'economia e porre fine all'indipendenza delle banche centrali? E quel che ha fatto il governo ungherese, con la conseguenza di esporsi a una denuncia per «violazione del diritto comunitario» presentata dalla Commissione europea. Cancellare il debito? Sarebbe possibile se tutti i paesi indebitati lo esigessero contemporaneamente (la Francia, con un tratto di penna, ha cancellato nel giugno 2011 l'intero debito del Togo). Ma nessuno vuol decidersi a farlo. Allora? Allora, in mancanza di una rimessa in discussione dei fondamenti dell'attuale sistema, ognuno sega coscienziosamente il ramo sul quale è seduto. I politici si lamentano di dipendere dai mercati finanziari e dalle agenzie di rating, ma hanno fatto tutto quel che occorreva per porsi sotto il loro controllo. Hanno deregolamentato i mercati per decenni, hanno liberalizzato il credito, hanno tollerato le delocalizzazioni, hanno consentito alle banche di deposito e alle banche d'investimento di fondere le loro attività, hanno proibito alle banche centrali di aiutare finanziariamente gli Stati, hanno lasciato che la stretta azionaria si sviluppasse al di là del ragionevole, hanno dato alle agenzie di rating il potere (che in precedenza non avevano) di dare voti agli Stati, mentre questi si indebitavano in modo duraturo. Oggi raccolgono i frutti della propria cecità.
Viene chiamato «usura» l'interesse di importo eccessivo attribuito ad un prestito. Ma l'usura è altresì il procedimento che consente di imprigionare il contraente un prestito in un debito che non può più rimborsare e di impadronirsi dei beni che gli appartengono e che egli ha accettato di dare in garanzia. È esattamente quel che vediamo accadere attualmente su scala planetaria. Quello che Keynes chiamava un «regime di creditori» corrisponde alla definizione moderna dell'usura. I procedimenti usurari sono rintracciabili nella maniera in cui i mercati finanziari e le banche possono fare man bassa degli attivi reali degli Stati indebitati, impadronendosi dei loro averi a titolo di interessi di un debito la cui componente principale costituisce una montagna di denaro virtuale che non potrà mai essere rimborsata.
In conseguenza della crisi, l'Europa del Sud si trova oggi ad essere governata da tecnocrati e banchieri formatisi in Goldman Sachs o in Lehman Brothers. «Essere governati dal denaro organizzato è altrettanto pericoloso quanto esserlo dal crimine organizzato», diceva Roosevelt.
Non vi sarà alcun riaggiustamento spontaneo del sistema. Nessun paese ha oggi i mezzi per arrestare la crescita del proprio debito in percentuale del Pil, nessuno ha i mezzi per rimborsare la parte principale del proprio debito. Per questo motivo la crisi del debito è assai più grave della crisi dell'euro, che in rapporto ad essa svolge esclusivamente il ruolo di circostanza aggravante. Prova ne sia il fatto che i paesi industrializzati che non appartengono alla zona euro sono altrettanto indebitati quanto gli altri, se non di più. L'Europa si orienta verso la recessione, gli Stati Uniti e il Regno Unito verso la depressione. Malgrado tutte le manovre dilatorie, un'esplosione generalizzata appare inevitabile di qui a due anni.
di Alain de Benoist 

20 febbraio 2013

666 il numero della Bestia



 



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Ci siamo. Benedetto XVI ha dichiarato di volersi dimettere. La motivazione ufficiale è che non si sente più nelle condizioni di svolgere il suo ruolo, ma ha accompagnato la sua dichiarazione d’imminenti dimissioni con l’ennesima analisi della situazione interna al Vaticano, dichiarando nuovamente che i nemici della Chiesa sono al suo interno. È evidente che il Pontefice sta lanciando dei messaggi per far capire a chi ha orecchie per intendere che le dimissioni sono “obbligate” da eventi molto gravi che sconvolgano la Chiesa e il mondo. Basterebbe ricordarsi le parole che Ratzinger pronunciò, appena eletto, dichiarandosi “umile servitore nella Vigna del Signore”, un passo che si ricollega al messianismo e quindi agli eventi apocalittici.

È singolare che nessuno si sia mai chiesto perché Papa Giovanni Paolo II abbia cercato di resistere così tanto malgrado le sue precarie condizioni di salute, e perché a un tratto, giunto a una data precisa, smise di lottare e “si lasciò morire”. Ai vertici del Vaticano, sono a conoscenza di misteri che neppure noi immaginiamo. Pensare che il mondo sia governato solamente da questioni materiali, è un errore. Al di là del limite del pensiero fenomenologico, c’è da considerare che i fenomeni in questione non siano solo necessariamente quelli materiali, ma anche quelli metafisici. Giovanni Paolo II sentiva il dovere di resistere sino a una data precisa, perché potesse compiersi ciò che era previsto dalle profezie. Si è molto speculato, nella pessima narrativa e nella cinematografia americana, sul fatidico 21 12 2012, parlando a vanvera di “fine del mondo”. La Bibbia parla chiaro a proposito, dicendo che la Terra, creata da Dio, non ha data di termine e sarà eterna. Si può non essere credenti, ma se si ha la fede non è lecito credere a modo nostro. Apocalisse è un termine di derivazione greca che significa “Rivelazione”. La fine del mondo non fu mai annunziata, né dalla Bibbia, né dal Vangelo, e neppure dal Corano. La fine dei tempi – collegata alla oramai famosa data Maya del 21 12 2012 – non è la fine fisica dell’umanità, bensì la fine di un’era. Corrisponde alla fine dell’Età del ferro e il ritorno all’Età dell’oro, che Evola aveva spiegato in libri esemplari come “Rivolta contro il mondo moderno” e che gli hippie avevano presentito già tra gli anni 60 e 70. Eppure il 21 12 2012 è già passato, ma nulla è accaduto. Al di là di quanto ha affermato Margherita Hack che, pur atea, ha voluto precisare che la data 21 12 2012 era sbagliata, in quanto con il passare del tempo si era avuta una sfasatura dei calendari; c’è anche la teoria che il 21 12 2012 non fosse una data di “passaggio netto”, bensì di passaggio sfumato, un evento che, iniziato in quella data, si sarebbe compiuto entro la fine di Marzo (si dice il 21). Ebbene, è singolare che non si faccia sufficientemente notare che le elezioni politiche 2013 in Italia si avranno il 24 e il 25 Febbraio e che le dimissioni del Papa sono previste per il 28 dello stesso mese. E ancora che Mario Monti è entrato nel parlamento italiano esattamente il giorno 11.11.11 e che secondo alcune profezie il 21 marzo 2013 ci sarà “la caduta di Roma”.
Che cosa possa essere “questa caduta”, non è dato di sapere, ma potrebbe essere il crollo finanziario e politico del Vaticano e a tale proposito è bene ricordare che nello scandalo Monte dei Paschi di Siena pare essere coinvolto anche il Vaticano. Secondo le profezie, il conteggio dei papi dimostrerebbe che quello attuale è l’ultimo della storia, seguito da “Pietro il romano”. Secondo le profezie la Chiesa si sarebbe conclusa com’è iniziata, cioè con Pietro. E, infatti, proprio per queste ragioni il regolamento interno del Vaticano non consente a nessuno che si chiami Pietro di essere eletto Papa, almeno fin che non saremo giunti “alla fine”. Per questa stessa ragione, neppure il Segretario di Stato Vaticano può chiamarsi Pietro, in quanto, in caso di decesso del Papa, in attesa del Conclave, è il Segretario di Stato che siede sul trono di Pietro, perciò sarebbe come un “Papa ad interim”. Eppure l’attuale Segretario di Stato Vaticano si chiama, appunto, Tarcisio Pietro Evasio Bertone, ed è nato a Romano Canavese. È lui “Pietro il romano”? 

Certo si può tranquillamente pensare che siano tutte coincidenze, ma uno dei passaggi fondamentali dell’Apocalisse di Giovanni, recita così: “Faceva sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi ricevessero un marchio sulla mano destra e sulla fronte; e che nessuno potesse comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome. Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: essa rappresenta un nome d'uomo. E tal cifra è seicentosessantasei”. Già in miei precedenti articoli e interventi su “Il Giornale del Ribelle” ho scritto dell’intenzione di talune forze politiche italiane di abolire la moneta contante, per sostituirla con la carta di credito, e del fatto che in Usa la riforma Obama ha, di fatto, introdotto l’uso del microchip RFID. Quello che ancora non avevo detto è che si prevede che questo chip sia introdotto proprio sulla mano destra o sulla fronte e che al suo interno il conto bancario è contenuto attraverso un codice a barre. Quanti sanno che tutti i codici a barre hanno come numero di partenza un 6, nel mezzo un altro 6 e terminano con un terzo 6? 666, il numero della bestia, altro non sarebbe che il codice a barre contenuto nel chip RFID. Secondo le profezie, quando questo Papa si “allontanerà”, salirà al trono del mondo l’Anticristo che dominerà su una dittatura mondiale. Il suo regno dovrebbe durare poco e sarebbe sostituito dal Regno di Cristo, un Regno di pace e amore universale. Perciò l’Apocalisse non sarebbe un evento negativo, bensì positivo, ma prima di giungere a questo Regno di Cristo bisognerebbe superare delle tremende prove. Antonio Socci fu il primo ad annunciare che il Pontefice stava considerando la possibilità di dimettersi, e molti lo avevano preso per visionario, invece ci siamo, tra poco il Papa si dimetterà e vedremo se gli eventi delle profezie si avvereranno. Da parte nostra, non possiamo essere complici del male. Dobbiamo opporci alla carta di credito e al chip, dobbiamo opporci a ogni tentativo di unificazione europea e mondiale, dobbiamo opporci a ogni forma di tentativo di controllo della società. All’euromondialismo, rispondiamo con il nazional-localismo. Se è scritto che la dittatura mondiale si compia, si compirà, ma non con la nostra complicità, o almeno, non con la mia!  


di Gianluca Donati 

19 febbraio 2013

Monti: non solo Bilderberg








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Non solo Bilderberg. O la Trilateral. Non bastavano nemmeno gli Illuminati alla collezione di Mario Monti, fin dal suo insediamento a Palazzo Chigi rimbalzato quotidianamente sul web per le sue conclamate appartenenze a logge supermassoniche mondiali.
Lui, il premier, fin dal 2004 aveva fondato in Europa una compagine tutta sua. Si tratta di Bruegel, un nome che fa discutere fin dal suo primo apparire. Per Monti e i suoi, si tratta di un semplice acronimo (Brussels European and Global Economic Laboratory). Per i più sospettosi, evocare il grande artista fiammingo del Cinquecento, noto per la rappresentazione dei ciechi, è l'implicito riferimento a quel panorama occulto della finanza mondiale che i cittadini non possono - e non devono mai - vedere.
Ma chi è e cosa fa Bruegel? Loro si definiscono naturalmente e senza alcun imbarazzo i filantropi dell'economia europea. Nel senso che solo grazie al loro insegnamento potremo avere nel vecchio continente i grandi economisti di domani.
E giù finanziamenti milionari (in prima fila Big Pharma, con colossi comeNovartis e Pfizer, poi banche come Unicredit ed UBS), economic schools in mezzo mondo, tutor prelevati dalle accademie più conservatrici del pianeta (anche quando la conservazione è “di sinistra”).
vincenzo-la-viaTra i generosi elargitori di fondi non ci sono solo i privati, bensì i governi di Stati come Italia, Francia, Belgio, Olanda e naturalmente la Germania.
Passiamo al board. Quando Monti lascia la carica di presidente (rimanendo padre fondatore del sodalizio), gli subentra l'ex presidente della Banca Centrale Europea Jean Claude Trichet. Fra gli italiani di prima fila ecco Vincenzo La Via, in Bruegel da lunga data ma assurto a notorietà nazionale solo un anno fa quando Monti, diventato premier, lo chiama al suo fianco comedirettore generale del Tesoro, carica che riveste tuttora.
Chi è davvero La Via?
Nessun mistero, ma qualche sorpresa sì, visto che si tratta di un numero uno alla Banca Mondiale, quello stesso organismo considerato artefice primo del pensiero unico e del temutissimo Nuovo Ordine Mondiale, di cui Mario Monti sarebbe tra i principali artefici, in Italia ed oltre.

lucrezia-reichlinMa a proposito di mondo, scorrendo la classifica 2012 dei think tank più influenti del pianeta resa annualmente da James G. McGann della Philadelphia University, Bruegel figura in ottava posizione su 40 compagini considerate, dietro giganti come Chatham House, che guida la lista, e ben prima di analoghe formazioni di Russia, Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti.
vittorio-Grilli
Fra i pochi italiani in Bruegel non poteva non esserciVittorio Grilli, attuale ministro dell'Economia.

Infine lei, la “principessa comunista” Lucrezia Reichlin, figlia dei marxisti d'altri tempi Luciana Castellina ed Alfredo Reichlin.




di Rita Pennarola 

18 febbraio 2013

Che cos'è l'economia reale e fisica


Che cos’è realmente l’economia? Fondamentalmente, è «un bilancio dinamico fra energia prodotta ed energia consumata». E allora, che cos’è la moneta? È solo «uno stadio secondario nel processo economico, dei gettoni... che non ha senso avere, se non ci sono cose da comprare». Di conseguenza, la finanza ha solo un ruolo ausiliario: «L’economia è un’applicazione della fisica, non della finanza». E il debito? «È una pretesa su energia futura». Ordunque, ci sarà mai abbastanza energia fisica per coprire gli enormi indebitamenti che oggi gravano sull’economia globale...?

di Tim Morgan

17 febbraio 2013

Le argomentazioni deboli di Michele Salvati






In un articolo sull'inserto domenicale del Corriere della Sera del 3 febbraio Michele Salvati interviene per sostenere la permanente validità dell'opposizione categoriale destra/sinistra. Lo fa però in modo piuttosto confuso e privo di consequenzialità. Spieghiamo perché. 
 L'argomento principale che Salvati svolge nel suo articolo è poco convincente perché nasce dal confondere due questioni diverse: egli dice in sostanza che la distinzione destra/sinistra funziona, nel senso che ci permette di capire in maniera ragionevole la storia politica occidentale degli ultimi due secoli, e anche la realtà politica contemporanea. 

E' evidente qui la confusione fra due questioni diverse: la questione se l'opposizione destra/sinistra sia stata significativa nel passato, da una parte, quella  se essa sia significativa adesso, dall'altra. Ora, per quanto riguarda il primo problema, non credo ci sia molto da discutere, perché non credo ci sia chi seriamente possa sostenere che la distinzione destra/sinistra non abbia mai significato nulla, che essa sia sempre stata una mera illusione. E' ovvio che si tratta di una opposizione categoriale fondamentale per capire la storia politica occidentale degli ultimi due secoli. E' quindi inutile insistere su questo punto, come fa Salvati. La vera questione è l'altra: questa opposizione categoriale è ancora valida oggi? Ci permette di organizzare in maniera sensata, di comprendere in schemi razionali, ciò che vediamo accadere ogginella vita politica, sociale ed economica dei paesi occidentali? E' a queste domande che risponde negativamente, chi sostiene l'esaurimento dell'opposizione categoriale destra/sinistra. Gli argomenti per questa risposta negativa li ho esposti più volte, in particolare nel libro scritto con Massimo Bontempelli “La sinistra rivelata” e in un saggio che ha circolato in rete. In maniera molto semplice e diretta a Salvati ha risposto Pierluigi Battista.
Ma la cosa buffa è che Salvati stesso fornisce ottimi argomenti contro la sua tesi. Infatti, nella seconda parte dell'articolo cerca di spiegare perché la tesi sul superamento di destra/sinistra sia sempre più diffusa. Ci dice allora in primo luogo che ormai da molto tempo non c'è più distinzione fra destra e sinistra nel campo delle politiche economiche e sociali (e sarebbe questo “il campo in cui
dovrebbe misurarsi la loro vera diversità
”: appunto, verrebbe da replicare), e in secondo luogo che oggi sono venuti alla ribalta problemi che non hanno a che fare con quella distinzione e rispetto ai
quali le divisioni attraversano trasversalmente destra e sinistra. Sono questi in effetti due ottimi argomenti per sostenere il superamento di destra e sinistra. Il problema è che Salvati, dopo averci esposto in maniera così chiara e convincente i motivi per i quali è sensato affermare il superamento di destra e sinistra, si dimentica di portare le sue obiezioni che spieghino perché ritiene tali argomenti non convincenti. In effetti tutte le sue obiezioni si limitano all'affermazione seguente:

Finché le nostre democrazie resteranno ancorate alla grande tradizione culturale che le ha fatte nascere [...] la distinzione destra/sinistra rimarrà l’asse principale del conflitto democratico 

E poiché “la grande tradizione culturale” delle nostre democrazie è appunto quella che include destra e sinistra, questa affermazione di Salvati è, ovviamente, una enfatica tautologia.
Ridotto al suo scheletro logico, il discorso di Salvati è una cosa di questo tipo: “Tutti i cigni sono bianchi. Certo, so bene che esistono cigni neri. Ma finchè tutti i cigni sono bianchi, possiamo affermare che tutti i cigni sono bianchi”. Poiché Salvati non è uno sciocco, siamo autorizzati a pensare che la pochezza dei suoi argomenti derivi dall'insostenibilità della sua tesi.  In definitiva, la tesi del superamento di destra e sinistra ci sembra confermata e rafforzata dall'esame di articoli come questo.
 


di Marino Badiale