28 aprile 2013

Fino a quale abiezione umana può condurre la “politica”?







A volte basta un filmato di pochi minuti per prendere atto di qualcosa che si agita nella propria coscienza e che vuole uscire prepotentemente per gridare: “così non si può andare avanti”, “basta!”, “non se ne può più!”.
È quello che ho percepito nitidamente mentre osservavo le scene, dal Cairo, degli scontri di piazza tra opposte fazioni politiche e che invito a guardare per comprendere bene quello che vado a scrivere:http://english.ahram.org.eg/NewsContentMulti/69657/Multimedia.aspx
Partiamo dall’ambientazione: un posto orrendo, pieno di asfalto e cemento, di cavalcavia, di palazzoni, di lavori in corso e di polvere, di automobili strombazzanti che rendono l’aria irrespirabile.
In questa fantastica “location” ha luogo la battaglia di strada tra sostenitori di due diversi schieramenti politici egiziani.
Ma al di là delle fazioni sul campo, chi c’è, umanamente parlando, sopra e sotto la sopraelevata? Un’accozzaglia di facinorosi, molto probabilmente nullafacenti, oppure prezzolati (il che è lo stesso), fanatizzati dalla “politica” e dalle “passioni” che essa è in grado di smuovere ad un punto tale dal lanciarsi pietre in testa e, peggio ancora, spararsi alla rinfusa, nel mucchio, e se poi ci scappa il morto tanto meglio.
Queste scene le abbiamo già viste chissà quante volte, soprattutto da quando c’è internet, ma questa volta mi va di dire qualcosa al riguardo. Perché guai ad “abituarsi” a questa follia.
Cosa girerà nella testa di uno che, parandosi malamente con un sacchetto, spara all’indirizzo degli avversari politici della sua stessanazione? Per prima cosa che l’avversario è come un insetto nocivo, da eliminare senza pietà.
Questa è la “politica” intesa modernamente, che ci piaccia o no.
Quella che ci fa identificare completamente con le “proprie idee”, che ci fa ritenere – solo noi, ovviamente – dalla parte della Ragione, del Giusto, del Bene.
E se uno incarna tutte queste elevate e nobili qualità, l’altro non può che rappresentare il Torto, lo Sbagliato, il Male.
Da lì alla volontà di spaccare la testa al prossimo o sparargli direttamente un colpo, il passo è molto più breve di quanto si pensi. Non parliamo poi se “il nemico” mi finisce tra le mani…
Ora, quando uno che la vede in questo modo si associa ad altri suoi sodali, scontrandosi con una moltitudine eguale e contraria, la frittata è assicurata.
Entrambe le fazioni – su questo non c’è dubbio – ritengono di essere dalla parte delle suddette istanze positive, ed i loro componenti non sono rosi dal benché minimo turbamento al riguardo.
Altrimenti uno non può linciare un essere umano in quel modo. Non so voi, ma a me fa una particolare impressione vedere chi infierisce vigliaccamente, di straforo, su uno che ha già preso un sacco di botte ed è di fatto alla mercé di tutti. Ma come si fa a dare un calcio in testa ad un moribondo? A colpirlo con un bastone mentre si trova più di là che di qua?
Ma non gli fa un minimo di pietà un loro simile che praticamente sta chiedendo “smettete, per favore, non ce la faccio più”?
Il problema è che non lo considerano un loro “simile” ma come un appartenente ad un’altra specie.
Misteri della “politica” moderna, che da quando con la “democrazia” (declinata in vari modi in tutto il mondo) ha persuaso che “il popolo” abbia il diritto di decidere chi, come e quanto debba governare, in base ai suoi schiribizzi, non può che produrre fenomeni aberranti, “di massa”, che vanno dalle manifestazioni di piazza (comprese quelle “pacifiche”, che contengono in sé i germi della degenerazione) ai tafferugli senza esclusione di colpi.
E non si creda che il contesto non abbia a che vedere con tutto ciò. Troppa gente in poco spazio, un rumore di fondo che logorerebbe i nervi anche a un santo, brutture visive ad ogni angolo, senza possibilità di scampo. Nessuno spazio per la bellezza.
Lo credo bene che questa gente è nervosa e scarica tutta la sua esasperazione nella “politica”. Credono forse che se al potere andrà il loro preferito, la città diventerà finalmente “a misura d’uomo”? Che la loro vita migliorerà come per incanto?
No, sarà esattamente come “lo schifo” di prima.
O magari “bella” come prima, solo che essendosi fissati con la “politica” - talmente pervasiva dal generare persino “partiti islamici” quando l’Islam non è riducibile a quello - s’illudono sui “miracoli” che quella può offrire. E finiscono così per ritrovarsi a dire: “Si stava meglio quando si stava peggio”.
Con questo, beninteso, non intendo dire che ogni governante equivale all’altro. Esistono governanti più giusti o più iniqui di altri. Ma il metro con cui misurarli non possono essere le nostre rispettive, soggettive preferenze di fazione dettate da un egoismo di categoria, di appartenenza sociale eccetera.
Un governante retto e probo lo si misura solo in base a quanto si attiene al “timor di Dio”. Non c’è altro da aggiungere: a buon intenditor poche parole.
In questi paesi della “Primavera araba”, invece, turbe stravolte inseguono i loro particolarissimi sogni (o incubi) da quando sono cominciate. Se ne vedono di tutti i colori: da chi s’è fissato con lo “Stato islamico” senza esser guidato da un autentico “musulmano” (“sottomesso” al volere divino), quasi che si trattasse di una questione di “ingegneria istituzionale”, a chi è spuntato dalla ‘fogna’ in cui era provvidenzialmente tenuto per esigere ogni tipo di “libertà”, anche la più assurda e nociva.
Nessuno, dal Maghreb al Levante islamico, che prendesse il più “timorato di Dio” e lo mettesse alla guida della sua comunità. Peccato, specialmente per chi inalbera la bandiera dell’Islam, perché in questo caso ha una responsabilità maggiore rispetto ad altri.
Ma non si pensi che questo discorso valga solo per gli egiziani o “gli arabi” in genere. Vale anche per noi che ci consideriamo tanto più “civili”. Guai ad illudersi che se la situazione sociale ed economica dovesse ulteriormente degradarsi i “bravi italiani” mai e poi mai sarebbero capaci di giungere a tanto.
No, l’uomo è una belva feroce dappertutto, senza un briciolo di compassione verso qualsiasi altro essere che non sia il suo effimero e mendace “io”. Eppure una possibilità gli è stata data, e la contiene dentro di sé, come uno di quei tesori nascosti che nessuno, prima di scoprirlo, sapeva dove fosse.
Invero creammo l’uomo nella forma migliore. Quindi lo riducemmo all’infimo grado dell’abiezione” (Corano, sura 95: vv. 4-5).
Ecco, forse mai come oggi, per non finire così in basso, l’uomo deve stare lontano da una “politica” che sembra preparata apposta, fin nelle sue premesse “filosofiche”, per precipitarlo in quel baratro dal quale, solo ristabilendo la sua gerarchia interiore - di cui quella esteriore, “politica”, è immagine ed applicazione alle cose del “mondo” - può sperare di risalire, salvando se stesso e, di riflesso, l’intero genere umano.
C’è un passaggio coranico che si ricorda spesso, il quale recita che “chi uccide un uomo è come se uccidesse l’umanità intera”. Allo stesso modo, chi perviene alla stazione dell’Islam, della “sottomissione”, al grado in cui tra uomo e Dio vi è reciproco compiacimento, quello della Realtà Suprema, è come se “salvasse” tutti gli uomini.
I quali, nella loro cecità, insistono nel vedere problemi “politici” dappertutto, cercandone la soluzione nella “politica” stessa, cioè nelle loro fantasie, quando basterebbe solo mettersi al servizio e agli ordini di chi, solo, ha i titoli ed il carisma per guidare una comunità.
di Enrico Galoppini 

27 aprile 2013

Finanziare i sussidi mediante moneta complementare







Vorrei sottoporre all'attenzione di coloro che sono interessati la proposta che l'Italia provveda al soccorso dei cittadini più bisognosi mediante la stampa di moneta. Prego il lettore di prendere sul serio la frase "sottoporre all'attenzione": è possibile che la proposta sia assurda, o che non lo sia ma ci siano ostacoli molto seri, o che sia inopportuna, e in generale che abbia dei difetti che io non ho visto. Penso però che valga comunque la pena di discuterne, eventualmente per decidere che è impraticabile. Qui di seguito i dettagli.   L'Italia dovrebbe stampare una moneta parallela all'euro, chiamiamola lira, da usarsi per distribuire un sussidio di disoccupazione generalizzato. Vari interventi, su cui non mi dilungo,  suggeriscono che il valore complessivo dovrebbe essere dell'ordine di 10 miliardi di Euri all'anno. Il tasso nominale di cambio più comodo sarebbe ovviamente 1 lira = 1 Euro; la lira però non dovrebbe essere convertibile in euro né in altre valute, né dare origine a depositi fruttiferi. Inoltre non dovrebbe essere utilizzabile per pagare contributi fiscali o previdenziali (dato che altrimenti si tradurrebbe in un'altra manovra, e cioè l'emissione di euro).

E' appena il caso di ricordare che 10 miliardi costituiscono circa due terzi dell'1% del PIL. Il pericolo che la politica qui suggerita abbia seri effetti inflazionistici è quindi minuscolo, e certamente risibile di fronte al ben più grave pericolo di deflazione causata dalla costante diminuzione della domanda interna.
Che corso dovrebbe avere la nuova valuta? Ci sono tre possibilità.
La prima è che il corso sia puramente volontario. Le varie esperienze dimonete locali che si stanno sperimentando un po' dovunque sono incoraggianti, ma credo che l'accettazione volontaria non sia sufficiente per uno schema così ampio e non radicato in una specifica realtà locale.
La seconda è che il corso sia forzoso. Non vedo obiezioni a questa possibilità, se non il malcontento che potrebbe generare, anche se probabilmente solo inizialmente, e possibili ostacoli giuridici nazionali o più facilmente europei.
La terza possibilità, intermedia fra le due, mi pare quindi la migliore. La moneta dovrebbe  essere utilizzabile solo per due usi specifici, e cioè 1) l'acquisto di beni, sia di consumo corrente, che durevole, che di investimento presso venditori disponibili ad accettarla; e 2) il pagamento delle spese di personale da parte dei medesimi, limitatamente a una data quota; diciamo che ogni dipendente potrebbe essere pagato in lire solo per il 25% della sua retribuzione netta. Il corso della moneta sarebbe quindi garantito semplicemente dal fatto che non ci sarebbe motivo di non accettarla: i venditori sarebbero indotti ad accettarla dalla concorrenza fra di essi e dal fatto che possono utilizzarla per pagare il personale, e il personale dalla possibilità di utilizzarla per acquisti correnti.
Un'occhiata ai dati suggerisce che questa strada è praticabile: una stima molto conservatrice dei redditi netti dei soli addetti al commercio è di circa 45 miliardi, quindi dieci miliardi sarebbero meno di un quarto dei loro redditi, una cifra sicuramente inferiore a quanto speso in consumi correnti. Ove necessario, ma non dovrebbe esserlo, l'accettazione della Lira potrebbe eventualmente essere incentivata garantendo a chi  riceve parte del salario o dello stipendio in Lire un (piccolo) sconto fiscale determinato dal maggior gettito conseguente all'effetto espansivo della domanda aggiuntiva che si viene a creare.
Vorrei sottolineare che considero quanto qui suggerito un palliativo per la crisi sociale italiana assai più che una soluzione. Credo (e mi pare che ormai siamo in molti a crederlo) che l'Italia sarà presto costretta a lasciare l'euro e/o a denunciare il debito pubblico; il problema è se lo faremo prima o dopo avere subito una macelleria sociale di tipo greco. In entrambi i casi si renderanno necessarie (e possibili) politiche molto più impegnative.

di Guido Ortona

26 aprile 2013

e dieci bugie oggi di moda


“E’ tutta colpa di Grillo”. E’ sempre colpa di Grillo. Se cade il governo, se piove, se c’è il sole. La tesi autossolutoria del Pd – il cui elettorato tende incredibilmente a ingoiare di tutto, passando dalla fregola per l’iper-democrazia al giubilo per l’abbraccio mortale con Berlusconi – è ora quella di ripetere che “il governissimo c’è perché Grillo ci ha portato a farlo”. Sarebbe vero se non ci fosse stata l’apertura Rodotà. Ma quell’apertura c’è stata. Nel gioco delle percentuali, il Pd ha il 70% delle colpe e l’ortodossia di Grillo il 30%. Il M5S ha sbagliato a non fare un nome al secondo giro di consultazioni (non sarebbe cambiato nulla, ma avrebbe tolto alibi al Partito Disastro), ma da Rodotà in poi è stato impeccabile: appoggiate questo nome (più vostro che nostro) e faremo un percorso insieme. A dire no è stato il Pd. Perché? Perché ha sempre voluto – nella maggioranza dei suoi parlamentari – l’inciucio. Infatti è stato scelto Enrico Letta, lo zio di suo zio. Quello che “è meglio votare Berlusconi che Grillo”.
“Su Rodotà non c’era maggioranza”. Bugia a metà. C’era la maggioranza degli elettori del Pd, ma non della maggioranza dei parlamentari piddini. Ciò significa, inequivocabilmente, che tra elettorato e rappresentanti c’è una scollatura drammatica. I Boccia non rappresentano nessuno, se non se stessi. Però decidono.
“Rodotà non è stato eletto Presidente perché scelto solo da 4mila persone”. Macché. Le Quirinarie sono state fantozziane, ma se i modi risultano discutibili non lo sono (stati) i contenuti. Per quanto raffazzonate, hanno portato alla scelta di un nome condiviso da milioni di italiani: la piazza reale, non virtuale (quella piazza che tanto terrorizza i giovani vecchi del Pd, tipo Speranza, uno che non merita quel cognome. Un po’ come se Ghedini si chiamasse Figo). Rodotà è stato il treno del cambiamento perso. Perso dal Pd e solo dal Pd: non da altri. Di questa colpa risponderà alla storia e, per il momento, agli elettori (infatti è un partito morto, che può vincere solo se si affida a ribelli come Serracchiani). Rodotà non è stato votato perché: 1) è stato proposto da Grillo (motivazione-asilo Mariuccia); 2) è troppo di sinistra; 3) è troppo laico (cioè “mangiapreti”); 4) è troppo intelligente, quindi libero e non irreggimentabile; 5) è troppo antiberlusconiano (e questo, per il Pd, è davvero inaccettabile).
“Sì, ma 4mila persone sono proprio poche”. Certo che lo sono. Ma sono comunque molto più delle persone (una) che avevano scelto Marini e poi (seicento) Napolitano.
“Non faremo mai il governissimo”. Per due mesi, o poco meno, Bersani e la sua ghenga tragicomica hanno ripetuto che il governissimo non l’avrebbero mai fatto. Qualche esempio (antologizzato stamani da Civati nel suo blog). «Pensare che dopo 20 anni di guerra civile in Italia, nasca un governo Bersani-Berlusconi non ha senso. Il governissimo come è stato fatto in Germania qui non è attuabile» (Enrico Letta, 8 aprile 2013). «Il Pd è unito su una proposta chiara. Noi diciamo no a ipotesi di governissimi con la destra» (Anna Finocchiaro, 5 marzo 2013). «I nostri elettori non capirebbero un accordo con Berlusconi» (Ivan Scalfarotto, 28 febbraio). «Un governo Pd-Pdl è inimmaginabile» (Matteo Orfini, 27 marzo 2013). Eccetera. Adesso avviene il contrario (e chi osa ricordarlo è un disfattista). Perché? Perché il Pd è bravissimo a sbagliare. E perché senza Berlusconi il Pd non esiste: ne è la più grande polizza assicurativa. Così facendo, il Pd imploderà (e questo tutto sommato è un bene) e regalerà a Berlusconi una nuova vittoria (e questo decisamente è un disastro).
“Letta ha vinto lo streaming”. Questa non è una bugia. E’ la verità. Che non stupisce. Letta fa politica da quando ha sei mesi. E’ nato vecchio, un Benjamin Button che mai diventerà Brad Pitt. Nella supercazzola democristiana (parlare e parlare senza dire nulla) nessuno lo batte. Con Crimi e Lombardi, che continuano a sbagliare tutto, ha usato la Tecnica-Asciugo: li ha intortati con una grandinata di nulla politichese. E li ha storditi. Quando si è trovato in difficoltà (Rodotà), ha detto al Duo Harakiri che “dovevate votare Prodi”. Sarebbe bastato rispondere: “Prodi non l’avete votato neanche voi, forse neanche lei. Con quale faccia incolpate noi?”. Ma non l’hanno detto. Come nulla o quasi hanno detto su conflitto di interessi, leggi ad personam, franchi tiratori, incoerenza sul no-inciucio. E via così. Letta ha vinto per mancanza di avversari. Esaurita tale erezione triste per la vittoriuccia di Pirro di Benjamin Letta, vorrei però che i giubilanti di adesso tenessero bene a mente che il loro hero sta lavorando per un governo con i D’Alema, gli Amato e i Brunetta. Un’apocalisse farebbe meno male.
“Non ci sono alternative”. No. C’erano: bastava votare Rodotà. Ma non è stato fatto. Ora il governissimo – il vero obiettivo di Pd e Pdl, sin dall’inizio – viene spacciato come “governo di salvezza nazionale”. Ma de che? Cosa può fare un governo che contempli contemporaneamente Civati e Mussolini? Al massimo una legge elettorale anti-M5S, atta anzitutto a disinnescarli. Berlusconi sta al senso dello Stato come Robinho alle quadriplette. Opera per salvare se stesso e in questo è un fenomeno. Il governo Letta sarà un tirare a campare. Un ulteriore arroccarsi dei politicanti nel Parlamento-bunker. Mi si dirà: “L’alternativa è andare al voto, ovvero un’oscenità”. No: persino andare subito al voto sarebbe più onesto. Anche con la stessa legge elettorale. Un pareggio non ci sarebbe, non stavolta. Vincerebbe Berlusconi, si ridimensionerebbe Grillo, crollerebbe il Pd. Brutta prospettiva? Sì. Ma è l’Italia, baby. E quantomeno avremmo un governo Berlusconi evidente e dichiarato, senza questa ipocrisia nauseabonda delle “larghe intese”.
“Il Movimento ha abbassato i toni”. Ma figuriamoci. Dopo lo schiaffo in faccia ricevuto su Rodotà, il M5S farà solo e soltanto opposizione. I toni sono stati abbassati unicamente da Pisolo Crimi e Simpatia Lombardi, che ieri dormivano (e un po’ li capisco) mentre parlava Benjamin Letta. Dopo il caso Rodotà, la rottura tra M5S e Pd è definitiva. Insanabile. Eterna.
“Il Movimento 5 Stelle è in calo”. Bugia a metà. In Friuli la tramvata è stata evidente, pur con tutte le attenuanti, ma agli occhi di molti elettori 5 Stelle la trama degli ultimi giorni ha confermato che Pd e Pdl pari sono o giù di lì. I sondaggi (Swg) li danno al 27 percento. Se questo è un calo, il Pd è già allo stadio di decomposizione. E’ però vero che il M5S è percepito da molti come una forza che sa dire solo di no. E questo, per loro, è un male. Aggiungo poi che esiste nel Movimento un problema di rappresentanza. L’anomalia non è che Mastrangeli sia stato (giustamente) espulso, ma che sia stato (clamorosamente) prima scelto e poi eletto. E a proposito di espulsioni, che – secondo quasi tutta la stampa – sono giuste se le decide il Pd e sinonimo di fascismo se le appluica il M5S: caro Civati, prendi atto che nel Pd sei un corpo estraneo e vola altrove. Magari nel “cantiere della sinistra” a cui sta lavorando Vendola, ampolloso e barocco come sempre ma tra i pochi ad essere risultato coerente e coraggioso negli ultimi giorni. Questa “critica dall’interno” è sterile , pleonastica e alla lunga pure noiosa.
“La stampa deve cooperare”. E’ l’ultima trovata di Re Giorgio e dei suoi prodi discepoli (quasi tutti), Scalfari e derivati in testa. L’intoccabilità di Napolitano ha ormai del leggendario. Ho rispetto della persona, e della sua età, come lo ho per la memoria storica. Il migliorista Napolitano è sempre stato un “comunista di destra”. Gaber, quelli come lui, li chiamava “grigi compagni del Pci”. Napolitano è quello che appoggiò i cingolati sovietici contro la rivolta ungherese (salvo poi dire decenni dopo che “Mi sono sbagliato, aveva ragione Nenni”), quello che attaccò Berlinguer (Enrico) sulla questione morale, quello che a fine 2011 ci ha imposto Monti allungando la vita politica di Berlusconi (e rafforzando involontariamente Grillo); è quello del “non ho sentito il boom”, delle telefonate a Mancino, delle firme alle leggi vergogna. Capisco la stima, ma Pertini era un’altra cosa. Come lo è il giornalismo. Che non deve “cooperare”, ma raccontare e talvolta denunciare. L’invito a cooperare di Napolitano, dopo l’orrore dello scorso weekend (tra i più neri nella storia della Repubblica italiana), mi ricorda l’adagio del “ci pisciano in testa e poi dicono che piove”. Si ha la sensazione che qualcuno ci abbia conficcato ben bene l’ombrello di Altan. E che quel qualcuno, adesso, ci dica “Ehi, non lamentarti, altrimenti sei un irresponsabile”. Un po’ troppo, come masochismo.

25 aprile 2013

Rodotà: “I 5 Stelle ora utilizzino il parlamento”



http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/files/2013/04/Rodo-560x2561.jpg
Parla Stefano Rodotà: "Il capo dello stato messo alle strette dai partiti. Faranno qualche provvedimento, ma non affronteranno la crisi in cui siamo finiti". "Napolitano costretto a fare un discorso da premier. La Sinistra debole è un guaio per la democrazia". "I 5 Stelle stanno in parlamento, vedremo come utilizzeranno lo strumento parlamentare".

intervista Stefano Rodotà di Daniela Preziosi, da il manifesto, 23 aprile 2013

«In questi giorni ho cercato di fare con discrezione, ma con decisione, quello che si doveva fare. A quelli che dicevano 'Rodotà non si pronuncia?', dico che le cose non si fanno in trenta secondi. E a giudicare dalle reazioni, mi pare di esserci riuscito». Il professor Stefano Rodotà, l'«altro» candidato alla presidenza della Repubblica, quello delle forze contrarie alle larghe intese, ha ascoltato Napolitano in tv.

Cosa pensa delle parole di Napolitano?
La prima osservazione è una conferma: l'irresponsabilità o l'interesse dei partiti hanno trascinato il presidente nella crisi che loro stessi hanno creato. Hanno messo il presidente con le spalle al muro: siamo incapaci, pensaci tu. Un passaggio di enorme gravità politica. La seconda: Napolitano è stato indotto a un discorso da presidente del consiglio. E poi c'è una terza. Sono scandalizzato: mentre Napolitano diceva dell'irresponsabilità dei partiti, quellli applaudivano invece di stare zitti e vergognarsi. Hanno perso la testa.

Piazza e parlamento non si possono contrapporre, ha detto.Vanno riaperti i canali di comunicazione fra istituzioni e società, soprattutto dopo il governo Monti, con il parlamento ridotto a passacarte. Posso ricordare che nel pacchetto della Costituente dei beni comuni ho predisposto un testo per l'obbligo di presa in considerazione da parte del parlamento dell'iniziativa popolare. Basterebbe una modifica dei regolamenti parlamentari.

E nella crisi, cosa pensa del Pd?Da tutta questa vicenda è uscito vittorioso Berlusconi, che sta imponendo le sue condizioni, e il Pd è andato a raccomandarsi al Colle, e poi ha dato di nuovo spettacolo.

Napolitano indica la strada delle larghe intese. Secondo lei è l'unica?Non posso mettere fra parentesi il fatto che la larga intesa si fa con il responsabile dello sfascio e della regressione culturale e politica di questo paese. Si faranno interventi economici, si utilizzeranno i modestissimi documenti dei saggi, ma non potrà essere affrontata nessuna della questioni che possono restituire alla politica e al parlamento una qualità di interlocutore della società. Larghe intese? Il protagonista è Berlusconi.

Lei dice: resto un uomo di sinistra. Ora guarda a Vendola?Sono contento, ma anche molto sorpreso, di questo senso di identificazione emerso nei miei confronti. Io ho una lunga storia personale nella sinistra, di lavoro teorico ma non solo: le forze politiche non hanno capito niente del referendum sull'acqua votato da 27 milioni di persone, e io ho invano cercato di far ricevere i promotori dal vertice del Pd. Ho letto microvolgarità su di me. Come: Rodotà non prende mai un autobus. Non ho preso l'autobus in questi giorni perché per me era imbarazzante. Sull'aereo si sono messi ad applaudire. Hanno riesumato Carraro per fargli dire che Rodotà sta nei salotti. L'unico salotto a cielo aperto in cui sono stato si chiama Pomigliano. Lì, alla manifestazione della Fiom, ho portato lo striscione con il mitico Ciro. Sarò alla manifestazione della Fiom del 18 maggio. Io non ho niente di carismatico. Semplicemente, testimonio che si può lavorare sulle cose: beni comuni, acqua, le discriminazioni. Certo, questa vicenda mi carica di responsabilità. Però, prima voglio vedere con chiarezza le cose. Proprio sul manifesto, appena nata Alba avvertivo di fare attenzione a mettere in piedi un soggettino pronto a sfasciarsi alla prima occasione. Quale cultura politica possiamo mettere in campo?

A proposito di futuro, cosa vede nel futuro del Pd?In questo momento temo un vero rischio per la democrazia. Il Pd sembra inconsapevole del fatto che la sua frammentazione apre una grande questione democratica, un vuoto. Se viene meno un soggetto forte della sinistra e ci sarà un puzzle impazzito, avremo il confronto Berlusconi-Grillo. Una specie di livello finale.

Lei ha scritto sulla democrazia elettronica come il populismo del terzo millennio. Poi è diventato la bandiera dell'M5S, che professa la democrazia elettronica.La democrazia elettronica e la tecnopolitica ha vari modi di manifestarsi. Ma certo che c'è una differenza fra chi ritiene che tutto si risolve nella rete e chi ritiene che la rete ha un ruolo crescente. Grillo ha operato in rete, ma quando è venuto il momnento elettorale ha riempito le piazze. Basta pensare a No bavaglio, Se non ora quando: qualcosa che prima era consentito soltanto alle grandi organizzazioni strutturate, partiti sindacati e Chiesa. Le piazze erano state svuotate dalla tv, la rete le ha ririempite. Oggi dobbiamo lavorare su questo. Non siamo al duello finale fra democrazia di rete e democrazia rappresentativa. Piuttosto, vedo un obbligo: nella Costituzione c'è un filo sottile fra referendum e iniziativa popolare che dev'essere rafforzato non come una via alternativa. Nel Trattato di Lisbona c'è un'apertura importante in questo senso. I sindacati europei stanno promuovendo un'iniziativa per chiedere alla Commissione di stabilire le regole sulla non privatizzabilità del servizio pubblico. Sa quante firme sono state raccolte finora? Un milione e 600mila in tutta Europa. È il momento di lavorare su questo. Faccio un'aggiunta personale: Rodotà non è stato inventato da Grillo. Il mio nome circola da mesi sulla rete. Insieme ad altri: la rete ha selezionato tutte persone di sinistra, ci metto con qualche fatica anche Emma Bonino, ma certamente anche Romano Prodi. Questo punto dovrebbe farci riflettere. Ci sono delle oscurità? Grillo e Casaleggio avranno fatto un complotto per tirare fuori solo nomi di sinistra per mettere in difficoltà la sinistra? Il fantasma della rete si aggira. E la politica sa fare solo tweet.

Che idea si è fatto di Grillo?Posso dire le cose su cui sto riflettendo. La parlamentarizzazione del 5 stelle è ormai un dato di fatto. Quando l'altra sera Grillo ha parlato di golpe, ed io poi ho dichiarato di rispettarela legalità parlamentare e di essere contrario alle marce su Roma, alcuni del 5 stelle mi hanno detto che questo ha aiutato a evitare una bagarre. Io non so quale sarà il futuro del 5 stelle. Stanno in parlamento, vedremo come utilizzeranno lo strumento parlamentare. Hanno insistito perché si cominciasse a lavorare nelle istituzioni, non mi pare che siano andati in parlamento con la dinamite. Come si fa a dire che il Movimento 5 stelle è incostituzionale, quando anche su Repubblica con tanti abbiamo riflettuto sull'incostituzionalità del berlusconismo?

A proposito, Scalfari le ha detto che bisogna fare la politica con cuore, e anche con il cervello.Non è una bella maniera, in molti mi hanno spesso rimproverato di aver messo sempre in campo troppi elementi di ragione. E però: la cultura illuminista, cara a Scalfari, ha rilanciato tre valori. Libertà, uguaglianza e fraternità. Perché la fraternità è stata la figlia minore della triade rivoluzionaria?

intervista Stefano Rodotà di Daniela Preziosi,  il manifesto, 23 aprile 2013

24 aprile 2013

Napolitano: "L'euro che vuole la Germania ci porterà alla rovina"


Nel lontano 1978 l'allora deputato del Partito Comunista Italiano Giorgio Napolitano mostrava le sue perplessità sulla all'epoca embrionale moneta unica continentale, quindici anni prima di Maastricht e dodici prima de "L'Euro minaccia la democrazia" dell'"ammazza-sindacati" Margaret Thatcher. Perplessità tutt'altro che peregrine e che, già all'epoca, profetizzava che l'abbraccio tedesco sarebbe presto o tardi divenuto una morsa letale.
Lo si legge nel resoconto stenografico della seduta dell'assemblea della Camera dei Deputati del 13 dicembre 1978, a partire da pagina 24992, durante una discussione riguardante l'adesione dell'Italia al Sistema Monetario Europeo, che sarebbe entrato in vigore quattro mesi dopo. Si tratta di parole che sorprendono per la loro lucidità, poiché, senza tagliare di netto le gambe all'unione monetaria (come molti euroscettici sostengono senza averle lette, evidentemente), spiegano, anzi, profetizzano il futuro dell'allora CEE a distanza di quarant'anni.
Giorgio Napolitano, pur non respingendo le idee europeiste, ricordava che la costruzione di una unione monetaria non poteva svolgersi in modo frettoloso e, citando il governatore della Banca d'Italia, ammoniva che «Un suo insuccesso comporterebbe gravi ripercussioni sul funzionamento del sistema monetario internazionale e sulle possibilità di avanzamento della costruzione economica europea».
I negoziati, spiega Napolitano, presero però una piega sbagliata. Il colpevole? La Germania: «[...]dal vertice è venuta solo la conferma di una sostanziale resistenza dei Paesi più forti, della Germania, e in particolare della banca centrale tedesca, ad assumere impegni effettivi e sostenere oneri adeguati per un maggiore equilibrio tra gli andamenti delle economie di paesi della Comunità. E' così venuto alla luce un equivoco di fondo: se cioè il nuovo sistema debba contribuire a garantire un più intenso sviluppo dei paesi più deboli della Comunità, o debba servire a garantire il Paese più forte, ferma restando la politica non espansiva della Germania, spingendosi un Paese come l'Italia alla deflazione.» Trentacinque anni dopo siamo esattamente a questo punto, con Paesi come i PIIGS in depressione economica e lentamente portati a quella destinazione finale, ovvero ladeflazione, che la Grecia sta già cominciando a sperimentare.
Le idee del futuro presidente della Repubblica, rilette con spirito del 2013, risuonano come un martello sulla testa di chi partecipò a quei negoziati (come Andreotti, all'epoca presidente del Consiglio), poiché sembrano cronaca dei giorni nostri. Parafrasando Napolitano, "non è che questa costruzione monetaria filo-tedesca finirà per intaccare le nostre riserve auree, portandoci a perdere competitività e quindi costringerci a svalutare la moneta". È esattamente ciò che è avvenuto negli anni successivi, fino alla svalutazione della lira all'inizio degli anni Novanta (anche se, va precisato, non fu tutta colpa dello SME, anzi, i corrottissimi governi italiani negli anni Settanta-Ottanta ebbero colpe gravissime nello sviluppo rapido ma sbilenco del Paese).
Ma il Napolitano con il cronovisore non termina qui, anzi, dopo la svalutazione ricorda la possibilità che l'Italia possa essere costretta ad «adottare drastiche manovre restrittive». E qui vediamo, facendo andare avanti la videocassetta della Storia, l'eurotassa di Romano Prodi, che ci permise di entrare nell'euro (insieme a qualche trucco contabile di Carlo Azeglio Ciampi) e, dopo il decennio berlusconiano che, con il suo immobilismo fatto solo di proclami ha peggiorato ulteriormente la situazione, arriviamo al governo Monti e alla sua dolorosissima austerità: una scelta, quella di re Giorgio, che possiamo immaginare sofferta, mentre emergiamo dalla Camera del dicembre 1978, poiché a quell'austerità il governoBerlusconi-Tremonti avevano legato il Paese nel 2011, nel disperato tentativo di rimanere a galla, mentre lo spread saliva e l'economia crollava.
Leggiamo ancora Napolitano: «Il  rischio  è  quello  di veder  ristagnare  la  produzione, gli investimenti e l'occupazione invece  di  conseguire un più alto tasso  di crescita; di vedere  allontanarsi, invece di avvicinarsi, la soluzione dei problemi del Mezzogiorno.»
Questi rischi, evidentemente, erano ben noti al governo dell'epoca, che pure, nei negoziati, chiesero trasferimenti dalle aree più ricche a quelle meno prospere. Un embrione di unione fiscale, che oggi, mentre l'Europa continua a scivolare su salvataggi che non salvano nessuno,viene richiesta a sempre più forte voce, sempre più inascoltata.
Chiosa ancora Napolitano: «La verità è che forse [...] si  è  finito per  mettere il "carro" di un accordo monetario davanti ai "buoi" di un accordo per le economie.» Si chiede retoricamente il deputato comunista, come mai tutti spingono così tanto per l'Italia nell'euro? E perché l'Italia non ha fatto leva su questo interesse per ottenere un negoziato che giungesse a conclusioni meno irresponsabili?
Già, perché? Sono domande che ci facciamo ancora oggi e che dobbiamo porci ancora adesso: l'Italia è nell'euro e questo è un dato di fatto che non può, né deve cambiare, poiché l'Italia e l'Europa intera imploderebbero, e il botto sarebbe tanto forte che le conseguenze si sentirebbero in tutto il globo.
Piuttosto è necessario che il governo di Re Giorgio prossimo venturo segua quella stessa linea politica che quel giovane deputato napoletano portava avanti in un'aula tuttavia sorda a quei moniti: battere i pugni sul tavolo perché si cambi rotta, poiché l'Europa a guida tedesca continua a farci sbattere contro gli iceberg. Lo scafo dell'euro si sta riempiendo d'acqua: o ci salviamo tutti o affonderemo insieme.
Il PDF dell'intervento è conservato nell'archivio online della Camera dei Deputati.


Read more: http://it.ibtimes.com/articles/47177/20130423/napolitano-euro.htm#ixzz2RPejDFbE

23 aprile 2013

LA RIVOLUZIONE E' POSSIBILE

Quando la classe media e i giovani sono sistematicamente esclusi dai vertici economici e sociali l’unica via di sbocco è la sovversione del sistema. I leader europei non dovrebbero dare per scontata la stabilità.

Al contrario di quello che si pensa, in occidente non sono i poveri e i più sfortunati a fare le rivoluzioni, ma le classi medie. È quello che è successo in tutte le rivoluzioni a cominciare dalla rivoluzione francese e con la sola eccezione della rivoluzione d'ottobre, che fu un colpo di stato compiuto in una situazione di estremo disordine politico.

Ma quand’è che la classe media decide di lanciarsi in una rivoluzione?


In primo luogo non si tratta della classe media nel suo insieme né di un gruppo organizzato né tanto meno di una comunità, ma dei leader della classe media, quegli stessi che oggi vincono le elezioni in Europa e che sono definiti irresponsabili (perché non appartengono alla geriatrica classe politica tradizionale), e che all'improvviso si rivelano non solo molto popolari, ma anche incredibilmente efficaci.

Nel classico caso della rivoluzione francese il ruolo di avanguardia rivoluzionaria è stato svolto da avvocati, imprenditori, funzionari della pubblica amministrazione dell'epoca e da una parte degli ufficiali dell'esercito. Il fattore economico era importante, ma non essenziale. Gli elementi scatenanti del movimento rivoluzionario sono stati prima di tutto l'assenza di apertura nella vita pubblica e l'impossibilità di promozione sociale. Di fatto l'aristocrazia, nel cercare di limitare a ogni costo l'influenza degli avvocati e degli uomini d'affari, ha favorito la rivoluzione. In tutta Europa – a eccezione della saggia Inghilterra – la nuova classe media non era in grado di decidere il suo destino.

Qual è oggi la discriminazione? E’ simile e diversa al tempo stesso. Senza dubbio l'aristocrazia non monopolizza più il processo decisionale, ma i banchieri, gli speculatori di borsa e i manager che guadagnano centinaia di milioni di euro estromettono da questo processo la classe media, che ne subisce le drammatiche conseguenze. Cipro ne è l'ultimo e più significativo esempio.

Ma di esempi ce ne sono molti altri. Prendiamo i professori universitari, che non solo in Polonia ma in tutta Europa tremano per il loro posto di lavoro, soprattutto se hanno la sfortuna di insegnare materie dichiarate poco utili dall'Unione europea, dagli stati membri e dalle multinazionali che definiscono il mercato del lavoro.

In Slovacchia, per esempio, le scienze umane sono state quasi cancellate, mettendo in grave difficoltà gli esperti di materie come la storia, la grammatica, l'etnografia o la logica. Fra non molto altre categorie professionali seguiranno la stessa sorte, come i funzionari della pubblica amministrazione, il cui numero è letteralmente esploso in passato. È colpa loro? No di certo. E che cosa può fare un funzionario licenziato con 15 anni di anzianità alle spalle e che ha sempre conosciuto la sicurezza del posto di lavoro? Probabilmente non molto. E lo stesso discorso vale per tutti quei giovani laureati che il mercato del lavoro ha lasciato sul bordo della strada, e per gli artisti, i giornalisti e gli altri lavoratori diventati precari a causa dell'avvento dell'era digitale.

Dominio dei vecchi

Le rivoluzioni emergono attraverso l’esclusione professionale e decisionale e il deficit democratico. Si battono anche contro la barriera generazionale o semplicemente contro il dominio dei vecchi. Non è un caso se i capi della rivoluzione francese avevano circa 30 anni, mentre l'età media dei partecipanti al congresso di Vienna (1815) che ristabilì l'ordine conservatore in Europa era di oltre 60. Gli attuali dirigenti europei hanno per lo più fra i 50 e i 60 anni, ma tenuto conto dei progressi della medicina, è molto probabile che tra 20 anni Merkel, Cameron, Tusk e Hollande saranno ancora al loro posto. A meno che non vengano spazzati via da una rivoluzione.

Tutte le vie di ascesa dell'attuale classe media, per lo più giovane, sono bloccate da miliardari, da vecchi o da gente che sembra tale a un ragazzo di 25 anni. Questa situazione è esplosiva. È sbagliato credere che dei giovani arrabbiati contro il sistema, ma privi del linguaggio abituale dei partiti politici e dei movimenti politici organizzati, non siano capaci di portare a termine una rivolta organizzata. La rivoluzione non si è mai fatta in nome di una misura particolare, per esempio un maggiore controllo bancario, ma perché non è più possibile vivere in queste condizioni. Una rivoluzione, in opposizione totale con i metodi dei partiti politici, non utilizza un linguaggio politico. La rivoluzione grida, urla, il suono di una rivoluzione è caotico ma perfettamente udibile.

Ma vogliamo veramente una rivoluzione? Non penso, perché la rivoluzione vuol dire la distruzione totale prima della costruzione di un ordine nuovo. Tuttavia i nostri leader politici continuano a non rendersi conto di essere seduti su un barile di polvere da sparo. Non lo capiscono, troppo preoccupati dalla sola idea che li ossessiona: tornare alla stabilità entro 10-30 anni. Non sanno che nella storia non si torna indietro e che le loro intenzioni ricordano la frase di Karl Marx secondo cui la storia si ripete, ma come una farsa.
di Marcin Król

Marcin Król (1944) è un filosofo, scrittore e giornalista polacco. Nel 2012 ha pubblicato Europa w obliczu konca ("L'Europa di fronte alla fine").

21 aprile 2013

Cresce il sostegno alla legge Glass-Steagall negli Stati Uniti mentre l'economia è in caduta libera



 Il 25 marzo il disegno di legge presentato dalla congressista Marcy Kaptur per il ripristino della separazione bancaria come nella legge Glass-Steagall (HR 129) è stato firmato da altri sei congressisti, portando il totale dei firmatari a 46. Tra i sei nuovi firmatari c'è Marcia Fudge, che presiede il Black Caucus al Congresso, Keith Ellison, co-presidente del Congressional Progressive Caucus, e John Dingell, un autorevole leader del Partito Democratico, il cui padre fu tra i firmatari della legge Glass-Steagall sotto Roosevelt.
Grazie alla spinta organizzativa del movimento di LaRouche (LPAC), sono state presentate mozioni che chiedono al Congresso di approvare la legge HR 129 in 13 parlamenti degli stati (Alabama, Hawaii, Kentucky, Maine, Maryland, Mississippi, Montana, Pennsylvania, Rhode Island, South Dakota, Virginia, Washington e West Virginia). Nel South Dakota, la mozione in questo senso è stata approvata sia alla Camera che al Senato il 28 febbraio, e nel Maine il Senato ha approvato la mozione il 4 aprile. Si prospettano mozioni simili in numerosi altri stati.
Oltre alle mozioni, numerose figure istituzionali si sono espresse a favore della legge Glass-Steagall. Una di loro è l'ex direttore del bilancio nell'amministrazione Reagan ed ex congressista David Stockman, che sulla prima pagina del New York Times Sunday Review mette in guardia da un altro collasso finanziario in arrivo per via del "denaro caldo e instabile" che è aumentato da quando "sono state completamente smantellate le tutele stabilite dalla legge Glass-Steagall".
Per superare la crisi, scrive, occorre "mettere fine alla cartolarizzazione che ha trasformato l'economia in una gigantesca bisca dagli anni Settanta. Questo significa lasciare a se stesse le banche di Wall Street affinché competano a proprio rischio, senza concedere loro prestiti della Federal Reserve o assicurazioni sui depositi. Le banche ordinarie potranno raccogliere depositi o concedere prestiti commerciali, ma verranno escluse dal trading, dalla sottoscrizione di obbligazioni e dalla gestione finanziaria in tutte le sue forme".
È una descrizione alquanto accurata della legge Glass-Steagall, anche se Stockman non la cita per nome, forse per evitare la matita rossa e blu dei redattori del New York Times. Il giorno prima, durante una popolare trasmissione radiofonica, Stockman si era detto a favore della legge Glass-Steagall "al posto della stupida legge Dodd-Frank".
Con un'altra iniziativa mirante a ripulire il sistema bancario, il sindacato nazionale degli agricoltori (National Farmers Union) ha ribadito il proprio sostegno alla legge Glass-Steagall nella sua dichiarazione annuale, pubblicata il 5 marzo. Il NFU sostiene la separazione bancaria almeno dal 2010. Ma questa settimana ha chiesto anche di "indagare con vigore e muovere azioni penali contro le attività criminali nei nostri istituti finanziari".
Il presidente del sindacato nello stato dell'Indiana, James Benham, ha dato un vivace resoconto delle sue iniziative a favore della legge HR 129 nel corso di una conferenza tenuta dallo Schiller Institute nei pressi di Washington il 23 marzo. Come ha sottolineato, gli agricoltori costituiscono un settore dell'economia nazionale particolarmente colpito dalla speculazione finanziaria e dalla crescente cartellizzazione.
Dagli esordi di questo paese, si afferma nella dichiarazione, "la politica pubblica ha favorito un sistema bancario decentralizzato, per evitare gli abusi che sarebbero derivati da una struttura finanziaria altamente concentrata. Siamo preoccupati di fronte ai trend recenti che hanno accelerato la perdita di banche locali indipendenti aumentando il ruolo delle grosse banche anche nel settore agricolo. Questo ha ridotto gli investimenti nelle comunità".
Disgraziatamente la comprensione dell'economia reale manifestata dal NFU non è arrivata alla Commissione Agricoltura al Congresso, che il 20 marzo ha approvato sei disegni di legge che aumentano il sostegno dei contribuenti ai derivati e creano nuove scappatoie commerciali consentendo alle banche di eludere gli standard di gestione del rischio.  
by  (MoviSol) 

20 aprile 2013

Cambiare i trattati?



Esistono ormai molte analisi che spiegano come i Trattati che costituiscono l'UE rappresentino la negazione di alcuni dei principi fondamentali della nostra Carta Costituzionale. Fra molti altri, si possono vedere alcuni articoli sul sito “Appello al popolo” (qui e qui), e anche il recente libro di un grande costituzionalista come Gianni Ferrara.
Di fronte alle argomentazioni sostenute nei testi citati, argomentazioni che credo difficilmente aggirabili, la linea di difesa di chi dice di voler salvare i principi di civiltà sociale contenuti nella nostra Costituzione, ma non accetta la parola d'ordine dell'uscita unilaterale dall'UE, è quella del “cambiare i Trattati”. Questa parola d'ordine può essere declinata in molti modi, e ovviamente si sposa molto bene con gli slogan sul “più Europa” e sulla “Europa dei popoli” che abbiamo già criticato in vari luoghi. 
Cerchiamo adesso di capire perché non abbia nessun senso la proposta di “cambiare i Trattati”. Si tratta, nella sostanza se non nella forma, della proposta di scrivere e far adottare una Costituzione europea che sia ispirata a principi del tutto opposti a quelli dei Trattati. Si noti che, se anche non esiste una Costituzione europea, i vari Trattati ne fanno benissimo le veci, e si possono in pratica considerare l'essenza di ciò che è oggi l'UE.

La prima osservazione critica è che per cambiare i Trattati occorre l'unanimità degli Stati membri. La proposta di cambiare i Trattati in senso favorevole ai diritti dei lavoratori e dei ceti subalterni richiede cioè che si formino e si mantengano, per un periodo di tempo sufficiente, maggioranze politiche che condividano questi obiettivi, in tutti e 27 i paesi UE. Basta che un paese si opponga, e la proposta è bloccata. 
Questa difficoltà “tecnica”, d'altro canto, è solo un aspetto della difficoltà politica e culturale di fondo.
L'obiezione fondamentale alla proposta di “cambiare i Trattati” sta nel fatto che non esiste una soggettività politica continentale in grado di imporre il cambiamento nel senso dei valori auspicati. Come abbiamo già avuto modo di dire, non esiste un popolo europeo. Chi elaborerebbe le proposte? Quali forze politiche se ne farebbero carico? Chi condurrebbe le trattative e sottoscriverebbe gli inevitabili compromessi? 
Possiamo pure immaginare di realizzare, superando tutte le difficoltà tecniche e politiche, quella che sarebbe, nelle attuali circostanze, la cosa migliore: un'Assemblea Costituente Europea eletta a suffragio proporzionale. Davvero è possibile pensare che da una cosa del genere nascerebbe una Costituzione attenta ai valori di giustizia sociale, emancipazione, armonia con l'ambiente? E' quasi sicuro che le forze che in modi diversi si ispirano a questi valori sarebbero divise e i loro discorsi sarebbero una cacofonia di proposte slegate fra loro. Una unità popolare a livello continentale si crea con un lungo lavoro di scambi, di incontri, con lotte collettive, con l'adozione di una lingua comune. Come abbiamo rilevato più volte, l'indifferenza dei popoli europei al dramma del popolo greco mostra con chiarezza come si sia lontanissimi da una vera unità popolare europea. E si noti che non si tratta qui solo della mancanza di empatia e di spirito di ribellione contro l'ingiustizia. La solidarietà col popolo greco risponderebbe agli stessi interessi materiali dei popoli europei, perché è chiarissimo che quello svolto in Grecia è solo un esperimento che verrà poi replicato in tutti i paesi del Sud Europa, e non solo.
Una Assemblea Costituente Europea non farebbe allora che ribadire le distanze e le incomprensioni fra i ceti popolari europei. D'altra parte, le posizioni dei ceti dominanti sarebbero espresse in modo molto più unitario e risulterebbero alla fine vincenti. I ceti dominanti, come abbiamo più volte detto, sono gli unici in grado di agire a livello europeo perché sono unificati da lingua, cultura e valori (anche se parzialmente divisi, come è ovvio, da interessi materiali). Dopotutto, se esistono i Trattati, e quindi l'UE, è appunto perché li hanno fatti i ceti dominanti. 
Anche a livello nazionale l'adozione di una Costituzione non è certo un affare di tutti i giorni. Le Costituzioni nascono in momenti molto particolari, in risposta a grandi movimenti sociali e ideali, o a grandi crisi. La nostra Costituzione è nata perché il rifiuto del nazifascismo ha portato all'unità su alcuni principi di fondo la grande maggioranza del popolo italiano e le principali foze politiche che tale maggioranza esprimevano. 
Oggi la crisi economica, che è la crisi della forma "neoliberista" e "globalizzata" che ha assunto il capitalismo negli ultimi trent'anni, non produce solidarietà a livello continentale, ma divisioni e contrapposizioni. L'unità dei popoli europei non c'è e non si vede quando possa sorgere, nel breve e medio periodo. Di conseguenza, non c'è nessuna possibilità di “cambiare i Trattati” in senso favorevole ai ceti popolari. L'unica opzione realistica per salvare quel che resta di civiltà sociale nel nostro paese è l'abbandono unilaterale dell'UE.
 

di Marino Badiale 

19 aprile 2013

No all’economia delle banche: in Francia arriva la moneta locale


La moneta locale, o complementare, è fatta per essere convertita in beni, che hanno un valore “reale”. A Nantes, potrebbe favorire lavoratori e banche.
 .
MONETACHE COS’È LA MONETA LOCALE - Una moneta locale o complementare all’euro? Non è una nuova proposta del MoVimento Cinque Stelle, né uno dei soliti voli pindarici della Lega Nord (anche se, in occasione della campagna elettorale per le Regionali, Roberto Maroni ha proposto di introdurre in Lombardia una valuta locale da affiancare alla moneta unica). Si tratta di un progetto che sta per realizzarsi in Francia, in particolare a Nantes, in Bretagna. Portato avanti fin dal 2006, è un esempio di collaborazione tra l’allora sindaco della città, Jean-Marc Ayrault, attuale primo ministro socialista francese, e due professori della Bocconi di Milano, Massimo Amato e Luca Fantacci. Un terzetto abbastanza curioso, che dimostra come, in realtà, l’idea di una moneta locale non sia, di per sé, né “di destra” né “di sinistra”: è una scelta che deve essere presa dalla comunità interessata, e che può rivelarsi utile per incrementare gli scambi locali, favorendo la cosiddetta economia locale.
 .
8118230-digital-visualization-of-an-broken-euro-coinUNA MONETA DIVERSA - Lo scopo primario della nuova moneta sarebbe quello di risolvere la questione dei debiti della pubblica amministrazione con le imprese. Anche per questo il suo utilizzo sarebbe limitato a coinvolgere i lavoratori, le imprese e i servizi pubblici: si tratta di una camera di compensazione, che serve a contabilizzare gli scambi di acquisti e vendite che le imprese compiono tra loro in un’unica contabilità chiusa, cosicché una vendita corrisponde a un credito e un acquisto a un debito (in modo multilaterale: ovvero, con la possibilità di risarcire un “debito” contratto con un’impresa acquisendo un credito con un’altra impresa). Lo scopo è far tornare periodicamente i conti a zero, arrivando a non avere più crediti né debiti. Cosa c’è di interessante in questo modo di concepire la moneta? Che questa non considera il denaro una riserva di valore, ma conta solo il valore di scambio. In altre parole, il denaro necessita di essere convertito in beni, e l’idea stessa di risparmio verrebbe riferita non più alla moneta in sé, quanto ai beni materiali, che hanno un valore “reale”.
 .
Jean-Marc-AyraultVANTAGGI RECIPROCI? -Non si tratta di una novità assoluta. La Svizzera, nel 1934, è stato il primo Paese a crearne una, il Wir. Attualmente gli Stati Uniti ne presentano un centinaio, e sia la Germania che la Spagna, Paesi che, nel bene e nel male, rappresentano due simboli della crisi finanziaria europea, ne hanno adottata una propria in determinate località. In questi casi, la moneta complementare ha avuto risultati per lo più positivi sulle economie delle varie comunità.
La novità di Nantes è che sono coinvolte non solo le imprese, ma gli stessi lavoratori. Questi avranno la possibilità, dietro accordo con le imprese, di essere pagati in moneta locale in una certa percentuale. Questa ha un rapporto di cambio 1 a 1 con l’euro ma non può essere convertita, avendo lo scopo di rimanere “chiusa” nella camera di compensazione. Essendo una moneta elettronica, secondo Amato, evita anche il rischio di evasione fiscale.
Soprattutto, si tratta di un sistema che va a vantaggio non solo delle imprese e dei lavoratori, che potrebbero andare incontro a tutte queste facilitazioni di pagamento e guadagno, ma delle banche stesse. Basti pensare che sarà proprio una banca pubblica comunale a gestire la nuova moneta, in modo da risolvere il problema del ritardo nei pagamenti dalle pubbliche amministrazioni alle imprese. Inoltre, la camera di compensaazione che si strutturerebbe non gestisce tutto il credito delle imprese,  ma finanzia solo la parte del capitale circolante, quello che si utilizza in un periodo che va da 1 fino a 4 mesi al massimo. Dunque le banche continuerebbero a occuparsi di tutto il capitale rimanente, con il vantaggio di avere a che fare con aziende meno indebitate, e dunque più affidabili. Meno rischio significa meno riserve bancarie, e quindi risparmio. In sostanza, secondo il prof. Amato, questa moneta locale propone una soluzione alternativa, non appellandosi a una rottura “traumatica” con il sistema bancario nazionale ed europeo, ma ad una sorta di collaborazione basata sull’indipendenza e sulla collaborazione reciproca. Vedremo, quando partirà, se veramente contribuirà a migliorare le condizioni delle imprese e dei lavoratori.
di Eleonora Cosmelli 

18 aprile 2013

Il bunker patologico del proprio interesse





  
C'è un’unica e sicura dirimente oggi per capire i significati e le intenzioni degli esponenti politici, sia quando sono ambigui, sia quando appaiono chiari e schierati dalla parte dei cittadini: la loro dipendenza dai cosiddetti “poteri forti”, dall’alta finanza, e dall’Europa che ne è serva. Così, per esempio, può essere apparso onesto e perfino simpatico il “saggio” un po’ cretino Valerio Onida quando ha ammesso di star lì, insieme agli altri “saggi”, per occupare la scena vuota; ma è ridiventato subito quello che è, un succube dell’alta finanza, uno che odia l’Italia e gli italiani, non appena ha indicato come suo prediletto per la Presidenza della Repubblica, Giuliano Amato. Come avrebbe potuto essere diversamente, del resto, visto che era stato scelto dal massimo odiatore degli italiani, Giorgio Napolitano?

  Sembra quasi incredibile il punto di degrado etico cui giunge una classe politica quando si trasforma, come oggi quella italiana, in un piccolo gruppo di persone chiuse nel bunker della conservazione e difesa di se stesse. Nulla più esiste ai loro occhi salvo questo: la propria sussistenza, il proprio interesse; e per difenderli  escogitano mezzi che non hanno nessun riscontro con la realtà, così che tutta la nazione che in apparenza essi continuano a rappresentare, si configura come un paese agli ultimi termini, lebbroso, marcio, putrefatto, consegnato davanti ai propri cittadini e davanti al mondo ai crimini di coloro che lo governano. Questa è, infatti, la legge della natura umana, cui nessun individuo e nessuna società può sfuggire: superato il livello di guardia posto dalla consapevolezza del rapporto con gli altri, con le norme che lo regolano, non sussiste più nessuna “etica” perché la percezione dell’altro serve esclusivamente per usarlo, ucciderlo per il proprio interesse, la propria salvezza.

  Il quadro offerto in questi giorni dai responsabili dei Partiti, dalle massime cariche dello Stato, dal Governo in carica, è appunto quello dell’assoluta devastazione di ogni pur minima coscienza etica, della rottura di ogni legame con il proprio popolo che, infatti, tace annientato e si suicida (quattro suicidi negli ultimi due giorni indotti dal governo). La pseudo logica che sostiene quanto dicono e fanno i politici è appunto uno dei sintomi più vistosi della patologia mentale che li guida. Si sono aggrappati alla battaglia per i pochi posti di potere rimasti in lizza come lupi affamati agli ultimi brandelli di carne pendenti dalla vittima: non pensano ad altro, non vogliono altro. Se n’è avuta una specie di controprova nell’esaltazione offerta dal partito di Berlusconi all’unico sciacallo che si è sempre vantato della sua natura di sciacallo e che lo fa gongolare di ogni distruzione sociale che provoca. Pannella si è esibito al suo meglio, sparando con la solita violenza che non teme smentite le più grosse menzogne sull’enorme consenso alle sue idee, un consenso che non gli ha dato alle ultime elezioni neanche il minimo dei voti per entrare in Parlamento. Ci si domanda: perché proprio il Pdl vuole servirsi di Pannella e dei Radicali? Ammesso che possano portargli qualche voto, sicuramente gliene faranno perdere molti fra i suoi abituali elettori, non soltanto fra quelli cattolici, ma anche fra quelli che, forniti di buon senso, sanno bene che dietro ai Radicali ci sono sempre stati i “poteri forti”, l’alta finanza mondialista ed europea che se ne serve come strumento ottimale per quella disgregazione delle società e delle nazioni indispensabile al primato dei banchieri. Ma, bisogna ripeterlo: i politici hanno ormai perso qualsiasi sensibilità etica e l’unico Potere in cui vedono la possibilità di sostegno è quello dell’alta finanza che guida tutto e tutti, nel mondo e in Europa. È una guida alla distruzione: i banchieri non sono soltanto privi di etica, ma anche forniti di scarsissima intelligenza. Possiamo sperare soltanto che ci sia data la possibilità di liberarcene con le prossime elezioni.

di Ida Magli 

17 aprile 2013

Cresce il sostegno alla legge Glass-Steagall negli Stati Uniti mentre l'economia è in caduta libera



 Il 25 marzo il disegno di legge presentato dalla congressista Marcy Kaptur per il ripristino della separazione bancaria come nella legge Glass-Steagall (HR 129) è stato firmato da altri sei congressisti, portando il totale dei firmatari a 46. Tra i sei nuovi firmatari c'è Marcia Fudge, che presiede il Black Caucus al Congresso, Keith Ellison, co-presidente del Congressional Progressive Caucus, e John Dingell, un autorevole leader del Partito Democratico, il cui padre fu tra i firmatari della legge Glass-Steagall sotto Roosevelt.
Grazie alla spinta organizzativa del movimento di LaRouche (LPAC), sono state presentate mozioni che chiedono al Congresso di approvare la legge HR 129 in 13 parlamenti degli stati (Alabama, Hawaii, Kentucky, Maine, Maryland, Mississippi, Montana, Pennsylvania, Rhode Island, South Dakota, Virginia, Washington e West Virginia). Nel South Dakota, la mozione in questo senso è stata approvata sia alla Camera che al Senato il 28 febbraio, e nel Maine il Senato ha approvato la mozione il 4 aprile. Si prospettano mozioni simili in numerosi altri stati.
Oltre alle mozioni, numerose figure istituzionali si sono espresse a favore della legge Glass-Steagall. Una di loro è l'ex direttore del bilancio nell'amministrazione Reagan ed ex congressista David Stockman, che sulla prima pagina del New York Times Sunday Review mette in guardia da un altro collasso finanziario in arrivo per via del "denaro caldo e instabile" che è aumentato da quando "sono state completamente smantellate le tutele stabilite dalla legge Glass-Steagall".
Per superare la crisi, scrive, occorre "mettere fine alla cartolarizzazione che ha trasformato l'economia in una gigantesca bisca dagli anni Settanta. Questo significa lasciare a se stesse le banche di Wall Street affinché competano a proprio rischio, senza concedere loro prestiti della Federal Reserve o assicurazioni sui depositi. Le banche ordinarie potranno raccogliere depositi o concedere prestiti commerciali, ma verranno escluse dal trading, dalla sottoscrizione di obbligazioni e dalla gestione finanziaria in tutte le sue forme".
È una descrizione alquanto accurata della legge Glass-Steagall, anche se Stockman non la cita per nome, forse per evitare la matita rossa e blu dei redattori del New York Times. Il giorno prima, durante una popolare trasmissione radiofonica, Stockman si era detto a favore della legge Glass-Steagall "al posto della stupida legge Dodd-Frank".
Con un'altra iniziativa mirante a ripulire il sistema bancario, il sindacato nazionale degli agricoltori (National Farmers Union) ha ribadito il proprio sostegno alla legge Glass-Steagall nella sua dichiarazione annuale, pubblicata il 5 marzo. Il NFU sostiene la separazione bancaria almeno dal 2010. Ma questa settimana ha chiesto anche di "indagare con vigore e muovere azioni penali contro le attività criminali nei nostri istituti finanziari".
Il presidente del sindacato nello stato dell'Indiana, James Benham, ha dato un vivace resoconto delle sue iniziative a favore della legge HR 129 nel corso di una conferenza tenuta dallo Schiller Institute nei pressi di Washington il 23 marzo. Come ha sottolineato, gli agricoltori costituiscono un settore dell'economia nazionale particolarmente colpito dalla speculazione finanziaria e dalla crescente cartellizzazione.
Dagli esordi di questo paese, si afferma nella dichiarazione, "la politica pubblica ha favorito un sistema bancario decentralizzato, per evitare gli abusi che sarebbero derivati da una struttura finanziaria altamente concentrata. Siamo preoccupati di fronte ai trend recenti che hanno accelerato la perdita di banche locali indipendenti aumentando il ruolo delle grosse banche anche nel settore agricolo. Questo ha ridotto gli investimenti nelle comunità".
Disgraziatamente la comprensione dell'economia reale manifestata dal NFU non è arrivata alla Commissione Agricoltura al Congresso, che il 20 marzo ha approvato sei disegni di legge che aumentano il sostegno dei contribuenti ai derivati e creano nuove scappatoie commerciali consentendo alle banche di eludere gli standard di gestione del rischio.

by (MoviSol) 

28 aprile 2013

Fino a quale abiezione umana può condurre la “politica”?







A volte basta un filmato di pochi minuti per prendere atto di qualcosa che si agita nella propria coscienza e che vuole uscire prepotentemente per gridare: “così non si può andare avanti”, “basta!”, “non se ne può più!”.
È quello che ho percepito nitidamente mentre osservavo le scene, dal Cairo, degli scontri di piazza tra opposte fazioni politiche e che invito a guardare per comprendere bene quello che vado a scrivere:http://english.ahram.org.eg/NewsContentMulti/69657/Multimedia.aspx
Partiamo dall’ambientazione: un posto orrendo, pieno di asfalto e cemento, di cavalcavia, di palazzoni, di lavori in corso e di polvere, di automobili strombazzanti che rendono l’aria irrespirabile.
In questa fantastica “location” ha luogo la battaglia di strada tra sostenitori di due diversi schieramenti politici egiziani.
Ma al di là delle fazioni sul campo, chi c’è, umanamente parlando, sopra e sotto la sopraelevata? Un’accozzaglia di facinorosi, molto probabilmente nullafacenti, oppure prezzolati (il che è lo stesso), fanatizzati dalla “politica” e dalle “passioni” che essa è in grado di smuovere ad un punto tale dal lanciarsi pietre in testa e, peggio ancora, spararsi alla rinfusa, nel mucchio, e se poi ci scappa il morto tanto meglio.
Queste scene le abbiamo già viste chissà quante volte, soprattutto da quando c’è internet, ma questa volta mi va di dire qualcosa al riguardo. Perché guai ad “abituarsi” a questa follia.
Cosa girerà nella testa di uno che, parandosi malamente con un sacchetto, spara all’indirizzo degli avversari politici della sua stessanazione? Per prima cosa che l’avversario è come un insetto nocivo, da eliminare senza pietà.
Questa è la “politica” intesa modernamente, che ci piaccia o no.
Quella che ci fa identificare completamente con le “proprie idee”, che ci fa ritenere – solo noi, ovviamente – dalla parte della Ragione, del Giusto, del Bene.
E se uno incarna tutte queste elevate e nobili qualità, l’altro non può che rappresentare il Torto, lo Sbagliato, il Male.
Da lì alla volontà di spaccare la testa al prossimo o sparargli direttamente un colpo, il passo è molto più breve di quanto si pensi. Non parliamo poi se “il nemico” mi finisce tra le mani…
Ora, quando uno che la vede in questo modo si associa ad altri suoi sodali, scontrandosi con una moltitudine eguale e contraria, la frittata è assicurata.
Entrambe le fazioni – su questo non c’è dubbio – ritengono di essere dalla parte delle suddette istanze positive, ed i loro componenti non sono rosi dal benché minimo turbamento al riguardo.
Altrimenti uno non può linciare un essere umano in quel modo. Non so voi, ma a me fa una particolare impressione vedere chi infierisce vigliaccamente, di straforo, su uno che ha già preso un sacco di botte ed è di fatto alla mercé di tutti. Ma come si fa a dare un calcio in testa ad un moribondo? A colpirlo con un bastone mentre si trova più di là che di qua?
Ma non gli fa un minimo di pietà un loro simile che praticamente sta chiedendo “smettete, per favore, non ce la faccio più”?
Il problema è che non lo considerano un loro “simile” ma come un appartenente ad un’altra specie.
Misteri della “politica” moderna, che da quando con la “democrazia” (declinata in vari modi in tutto il mondo) ha persuaso che “il popolo” abbia il diritto di decidere chi, come e quanto debba governare, in base ai suoi schiribizzi, non può che produrre fenomeni aberranti, “di massa”, che vanno dalle manifestazioni di piazza (comprese quelle “pacifiche”, che contengono in sé i germi della degenerazione) ai tafferugli senza esclusione di colpi.
E non si creda che il contesto non abbia a che vedere con tutto ciò. Troppa gente in poco spazio, un rumore di fondo che logorerebbe i nervi anche a un santo, brutture visive ad ogni angolo, senza possibilità di scampo. Nessuno spazio per la bellezza.
Lo credo bene che questa gente è nervosa e scarica tutta la sua esasperazione nella “politica”. Credono forse che se al potere andrà il loro preferito, la città diventerà finalmente “a misura d’uomo”? Che la loro vita migliorerà come per incanto?
No, sarà esattamente come “lo schifo” di prima.
O magari “bella” come prima, solo che essendosi fissati con la “politica” - talmente pervasiva dal generare persino “partiti islamici” quando l’Islam non è riducibile a quello - s’illudono sui “miracoli” che quella può offrire. E finiscono così per ritrovarsi a dire: “Si stava meglio quando si stava peggio”.
Con questo, beninteso, non intendo dire che ogni governante equivale all’altro. Esistono governanti più giusti o più iniqui di altri. Ma il metro con cui misurarli non possono essere le nostre rispettive, soggettive preferenze di fazione dettate da un egoismo di categoria, di appartenenza sociale eccetera.
Un governante retto e probo lo si misura solo in base a quanto si attiene al “timor di Dio”. Non c’è altro da aggiungere: a buon intenditor poche parole.
In questi paesi della “Primavera araba”, invece, turbe stravolte inseguono i loro particolarissimi sogni (o incubi) da quando sono cominciate. Se ne vedono di tutti i colori: da chi s’è fissato con lo “Stato islamico” senza esser guidato da un autentico “musulmano” (“sottomesso” al volere divino), quasi che si trattasse di una questione di “ingegneria istituzionale”, a chi è spuntato dalla ‘fogna’ in cui era provvidenzialmente tenuto per esigere ogni tipo di “libertà”, anche la più assurda e nociva.
Nessuno, dal Maghreb al Levante islamico, che prendesse il più “timorato di Dio” e lo mettesse alla guida della sua comunità. Peccato, specialmente per chi inalbera la bandiera dell’Islam, perché in questo caso ha una responsabilità maggiore rispetto ad altri.
Ma non si pensi che questo discorso valga solo per gli egiziani o “gli arabi” in genere. Vale anche per noi che ci consideriamo tanto più “civili”. Guai ad illudersi che se la situazione sociale ed economica dovesse ulteriormente degradarsi i “bravi italiani” mai e poi mai sarebbero capaci di giungere a tanto.
No, l’uomo è una belva feroce dappertutto, senza un briciolo di compassione verso qualsiasi altro essere che non sia il suo effimero e mendace “io”. Eppure una possibilità gli è stata data, e la contiene dentro di sé, come uno di quei tesori nascosti che nessuno, prima di scoprirlo, sapeva dove fosse.
Invero creammo l’uomo nella forma migliore. Quindi lo riducemmo all’infimo grado dell’abiezione” (Corano, sura 95: vv. 4-5).
Ecco, forse mai come oggi, per non finire così in basso, l’uomo deve stare lontano da una “politica” che sembra preparata apposta, fin nelle sue premesse “filosofiche”, per precipitarlo in quel baratro dal quale, solo ristabilendo la sua gerarchia interiore - di cui quella esteriore, “politica”, è immagine ed applicazione alle cose del “mondo” - può sperare di risalire, salvando se stesso e, di riflesso, l’intero genere umano.
C’è un passaggio coranico che si ricorda spesso, il quale recita che “chi uccide un uomo è come se uccidesse l’umanità intera”. Allo stesso modo, chi perviene alla stazione dell’Islam, della “sottomissione”, al grado in cui tra uomo e Dio vi è reciproco compiacimento, quello della Realtà Suprema, è come se “salvasse” tutti gli uomini.
I quali, nella loro cecità, insistono nel vedere problemi “politici” dappertutto, cercandone la soluzione nella “politica” stessa, cioè nelle loro fantasie, quando basterebbe solo mettersi al servizio e agli ordini di chi, solo, ha i titoli ed il carisma per guidare una comunità.
di Enrico Galoppini 

27 aprile 2013

Finanziare i sussidi mediante moneta complementare







Vorrei sottoporre all'attenzione di coloro che sono interessati la proposta che l'Italia provveda al soccorso dei cittadini più bisognosi mediante la stampa di moneta. Prego il lettore di prendere sul serio la frase "sottoporre all'attenzione": è possibile che la proposta sia assurda, o che non lo sia ma ci siano ostacoli molto seri, o che sia inopportuna, e in generale che abbia dei difetti che io non ho visto. Penso però che valga comunque la pena di discuterne, eventualmente per decidere che è impraticabile. Qui di seguito i dettagli.   L'Italia dovrebbe stampare una moneta parallela all'euro, chiamiamola lira, da usarsi per distribuire un sussidio di disoccupazione generalizzato. Vari interventi, su cui non mi dilungo,  suggeriscono che il valore complessivo dovrebbe essere dell'ordine di 10 miliardi di Euri all'anno. Il tasso nominale di cambio più comodo sarebbe ovviamente 1 lira = 1 Euro; la lira però non dovrebbe essere convertibile in euro né in altre valute, né dare origine a depositi fruttiferi. Inoltre non dovrebbe essere utilizzabile per pagare contributi fiscali o previdenziali (dato che altrimenti si tradurrebbe in un'altra manovra, e cioè l'emissione di euro).

E' appena il caso di ricordare che 10 miliardi costituiscono circa due terzi dell'1% del PIL. Il pericolo che la politica qui suggerita abbia seri effetti inflazionistici è quindi minuscolo, e certamente risibile di fronte al ben più grave pericolo di deflazione causata dalla costante diminuzione della domanda interna.
Che corso dovrebbe avere la nuova valuta? Ci sono tre possibilità.
La prima è che il corso sia puramente volontario. Le varie esperienze dimonete locali che si stanno sperimentando un po' dovunque sono incoraggianti, ma credo che l'accettazione volontaria non sia sufficiente per uno schema così ampio e non radicato in una specifica realtà locale.
La seconda è che il corso sia forzoso. Non vedo obiezioni a questa possibilità, se non il malcontento che potrebbe generare, anche se probabilmente solo inizialmente, e possibili ostacoli giuridici nazionali o più facilmente europei.
La terza possibilità, intermedia fra le due, mi pare quindi la migliore. La moneta dovrebbe  essere utilizzabile solo per due usi specifici, e cioè 1) l'acquisto di beni, sia di consumo corrente, che durevole, che di investimento presso venditori disponibili ad accettarla; e 2) il pagamento delle spese di personale da parte dei medesimi, limitatamente a una data quota; diciamo che ogni dipendente potrebbe essere pagato in lire solo per il 25% della sua retribuzione netta. Il corso della moneta sarebbe quindi garantito semplicemente dal fatto che non ci sarebbe motivo di non accettarla: i venditori sarebbero indotti ad accettarla dalla concorrenza fra di essi e dal fatto che possono utilizzarla per pagare il personale, e il personale dalla possibilità di utilizzarla per acquisti correnti.
Un'occhiata ai dati suggerisce che questa strada è praticabile: una stima molto conservatrice dei redditi netti dei soli addetti al commercio è di circa 45 miliardi, quindi dieci miliardi sarebbero meno di un quarto dei loro redditi, una cifra sicuramente inferiore a quanto speso in consumi correnti. Ove necessario, ma non dovrebbe esserlo, l'accettazione della Lira potrebbe eventualmente essere incentivata garantendo a chi  riceve parte del salario o dello stipendio in Lire un (piccolo) sconto fiscale determinato dal maggior gettito conseguente all'effetto espansivo della domanda aggiuntiva che si viene a creare.
Vorrei sottolineare che considero quanto qui suggerito un palliativo per la crisi sociale italiana assai più che una soluzione. Credo (e mi pare che ormai siamo in molti a crederlo) che l'Italia sarà presto costretta a lasciare l'euro e/o a denunciare il debito pubblico; il problema è se lo faremo prima o dopo avere subito una macelleria sociale di tipo greco. In entrambi i casi si renderanno necessarie (e possibili) politiche molto più impegnative.

di Guido Ortona

26 aprile 2013

e dieci bugie oggi di moda


“E’ tutta colpa di Grillo”. E’ sempre colpa di Grillo. Se cade il governo, se piove, se c’è il sole. La tesi autossolutoria del Pd – il cui elettorato tende incredibilmente a ingoiare di tutto, passando dalla fregola per l’iper-democrazia al giubilo per l’abbraccio mortale con Berlusconi – è ora quella di ripetere che “il governissimo c’è perché Grillo ci ha portato a farlo”. Sarebbe vero se non ci fosse stata l’apertura Rodotà. Ma quell’apertura c’è stata. Nel gioco delle percentuali, il Pd ha il 70% delle colpe e l’ortodossia di Grillo il 30%. Il M5S ha sbagliato a non fare un nome al secondo giro di consultazioni (non sarebbe cambiato nulla, ma avrebbe tolto alibi al Partito Disastro), ma da Rodotà in poi è stato impeccabile: appoggiate questo nome (più vostro che nostro) e faremo un percorso insieme. A dire no è stato il Pd. Perché? Perché ha sempre voluto – nella maggioranza dei suoi parlamentari – l’inciucio. Infatti è stato scelto Enrico Letta, lo zio di suo zio. Quello che “è meglio votare Berlusconi che Grillo”.
“Su Rodotà non c’era maggioranza”. Bugia a metà. C’era la maggioranza degli elettori del Pd, ma non della maggioranza dei parlamentari piddini. Ciò significa, inequivocabilmente, che tra elettorato e rappresentanti c’è una scollatura drammatica. I Boccia non rappresentano nessuno, se non se stessi. Però decidono.
“Rodotà non è stato eletto Presidente perché scelto solo da 4mila persone”. Macché. Le Quirinarie sono state fantozziane, ma se i modi risultano discutibili non lo sono (stati) i contenuti. Per quanto raffazzonate, hanno portato alla scelta di un nome condiviso da milioni di italiani: la piazza reale, non virtuale (quella piazza che tanto terrorizza i giovani vecchi del Pd, tipo Speranza, uno che non merita quel cognome. Un po’ come se Ghedini si chiamasse Figo). Rodotà è stato il treno del cambiamento perso. Perso dal Pd e solo dal Pd: non da altri. Di questa colpa risponderà alla storia e, per il momento, agli elettori (infatti è un partito morto, che può vincere solo se si affida a ribelli come Serracchiani). Rodotà non è stato votato perché: 1) è stato proposto da Grillo (motivazione-asilo Mariuccia); 2) è troppo di sinistra; 3) è troppo laico (cioè “mangiapreti”); 4) è troppo intelligente, quindi libero e non irreggimentabile; 5) è troppo antiberlusconiano (e questo, per il Pd, è davvero inaccettabile).
“Sì, ma 4mila persone sono proprio poche”. Certo che lo sono. Ma sono comunque molto più delle persone (una) che avevano scelto Marini e poi (seicento) Napolitano.
“Non faremo mai il governissimo”. Per due mesi, o poco meno, Bersani e la sua ghenga tragicomica hanno ripetuto che il governissimo non l’avrebbero mai fatto. Qualche esempio (antologizzato stamani da Civati nel suo blog). «Pensare che dopo 20 anni di guerra civile in Italia, nasca un governo Bersani-Berlusconi non ha senso. Il governissimo come è stato fatto in Germania qui non è attuabile» (Enrico Letta, 8 aprile 2013). «Il Pd è unito su una proposta chiara. Noi diciamo no a ipotesi di governissimi con la destra» (Anna Finocchiaro, 5 marzo 2013). «I nostri elettori non capirebbero un accordo con Berlusconi» (Ivan Scalfarotto, 28 febbraio). «Un governo Pd-Pdl è inimmaginabile» (Matteo Orfini, 27 marzo 2013). Eccetera. Adesso avviene il contrario (e chi osa ricordarlo è un disfattista). Perché? Perché il Pd è bravissimo a sbagliare. E perché senza Berlusconi il Pd non esiste: ne è la più grande polizza assicurativa. Così facendo, il Pd imploderà (e questo tutto sommato è un bene) e regalerà a Berlusconi una nuova vittoria (e questo decisamente è un disastro).
“Letta ha vinto lo streaming”. Questa non è una bugia. E’ la verità. Che non stupisce. Letta fa politica da quando ha sei mesi. E’ nato vecchio, un Benjamin Button che mai diventerà Brad Pitt. Nella supercazzola democristiana (parlare e parlare senza dire nulla) nessuno lo batte. Con Crimi e Lombardi, che continuano a sbagliare tutto, ha usato la Tecnica-Asciugo: li ha intortati con una grandinata di nulla politichese. E li ha storditi. Quando si è trovato in difficoltà (Rodotà), ha detto al Duo Harakiri che “dovevate votare Prodi”. Sarebbe bastato rispondere: “Prodi non l’avete votato neanche voi, forse neanche lei. Con quale faccia incolpate noi?”. Ma non l’hanno detto. Come nulla o quasi hanno detto su conflitto di interessi, leggi ad personam, franchi tiratori, incoerenza sul no-inciucio. E via così. Letta ha vinto per mancanza di avversari. Esaurita tale erezione triste per la vittoriuccia di Pirro di Benjamin Letta, vorrei però che i giubilanti di adesso tenessero bene a mente che il loro hero sta lavorando per un governo con i D’Alema, gli Amato e i Brunetta. Un’apocalisse farebbe meno male.
“Non ci sono alternative”. No. C’erano: bastava votare Rodotà. Ma non è stato fatto. Ora il governissimo – il vero obiettivo di Pd e Pdl, sin dall’inizio – viene spacciato come “governo di salvezza nazionale”. Ma de che? Cosa può fare un governo che contempli contemporaneamente Civati e Mussolini? Al massimo una legge elettorale anti-M5S, atta anzitutto a disinnescarli. Berlusconi sta al senso dello Stato come Robinho alle quadriplette. Opera per salvare se stesso e in questo è un fenomeno. Il governo Letta sarà un tirare a campare. Un ulteriore arroccarsi dei politicanti nel Parlamento-bunker. Mi si dirà: “L’alternativa è andare al voto, ovvero un’oscenità”. No: persino andare subito al voto sarebbe più onesto. Anche con la stessa legge elettorale. Un pareggio non ci sarebbe, non stavolta. Vincerebbe Berlusconi, si ridimensionerebbe Grillo, crollerebbe il Pd. Brutta prospettiva? Sì. Ma è l’Italia, baby. E quantomeno avremmo un governo Berlusconi evidente e dichiarato, senza questa ipocrisia nauseabonda delle “larghe intese”.
“Il Movimento ha abbassato i toni”. Ma figuriamoci. Dopo lo schiaffo in faccia ricevuto su Rodotà, il M5S farà solo e soltanto opposizione. I toni sono stati abbassati unicamente da Pisolo Crimi e Simpatia Lombardi, che ieri dormivano (e un po’ li capisco) mentre parlava Benjamin Letta. Dopo il caso Rodotà, la rottura tra M5S e Pd è definitiva. Insanabile. Eterna.
“Il Movimento 5 Stelle è in calo”. Bugia a metà. In Friuli la tramvata è stata evidente, pur con tutte le attenuanti, ma agli occhi di molti elettori 5 Stelle la trama degli ultimi giorni ha confermato che Pd e Pdl pari sono o giù di lì. I sondaggi (Swg) li danno al 27 percento. Se questo è un calo, il Pd è già allo stadio di decomposizione. E’ però vero che il M5S è percepito da molti come una forza che sa dire solo di no. E questo, per loro, è un male. Aggiungo poi che esiste nel Movimento un problema di rappresentanza. L’anomalia non è che Mastrangeli sia stato (giustamente) espulso, ma che sia stato (clamorosamente) prima scelto e poi eletto. E a proposito di espulsioni, che – secondo quasi tutta la stampa – sono giuste se le decide il Pd e sinonimo di fascismo se le appluica il M5S: caro Civati, prendi atto che nel Pd sei un corpo estraneo e vola altrove. Magari nel “cantiere della sinistra” a cui sta lavorando Vendola, ampolloso e barocco come sempre ma tra i pochi ad essere risultato coerente e coraggioso negli ultimi giorni. Questa “critica dall’interno” è sterile , pleonastica e alla lunga pure noiosa.
“La stampa deve cooperare”. E’ l’ultima trovata di Re Giorgio e dei suoi prodi discepoli (quasi tutti), Scalfari e derivati in testa. L’intoccabilità di Napolitano ha ormai del leggendario. Ho rispetto della persona, e della sua età, come lo ho per la memoria storica. Il migliorista Napolitano è sempre stato un “comunista di destra”. Gaber, quelli come lui, li chiamava “grigi compagni del Pci”. Napolitano è quello che appoggiò i cingolati sovietici contro la rivolta ungherese (salvo poi dire decenni dopo che “Mi sono sbagliato, aveva ragione Nenni”), quello che attaccò Berlinguer (Enrico) sulla questione morale, quello che a fine 2011 ci ha imposto Monti allungando la vita politica di Berlusconi (e rafforzando involontariamente Grillo); è quello del “non ho sentito il boom”, delle telefonate a Mancino, delle firme alle leggi vergogna. Capisco la stima, ma Pertini era un’altra cosa. Come lo è il giornalismo. Che non deve “cooperare”, ma raccontare e talvolta denunciare. L’invito a cooperare di Napolitano, dopo l’orrore dello scorso weekend (tra i più neri nella storia della Repubblica italiana), mi ricorda l’adagio del “ci pisciano in testa e poi dicono che piove”. Si ha la sensazione che qualcuno ci abbia conficcato ben bene l’ombrello di Altan. E che quel qualcuno, adesso, ci dica “Ehi, non lamentarti, altrimenti sei un irresponsabile”. Un po’ troppo, come masochismo.

25 aprile 2013

Rodotà: “I 5 Stelle ora utilizzino il parlamento”



http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/files/2013/04/Rodo-560x2561.jpg
Parla Stefano Rodotà: "Il capo dello stato messo alle strette dai partiti. Faranno qualche provvedimento, ma non affronteranno la crisi in cui siamo finiti". "Napolitano costretto a fare un discorso da premier. La Sinistra debole è un guaio per la democrazia". "I 5 Stelle stanno in parlamento, vedremo come utilizzeranno lo strumento parlamentare".

intervista Stefano Rodotà di Daniela Preziosi, da il manifesto, 23 aprile 2013

«In questi giorni ho cercato di fare con discrezione, ma con decisione, quello che si doveva fare. A quelli che dicevano 'Rodotà non si pronuncia?', dico che le cose non si fanno in trenta secondi. E a giudicare dalle reazioni, mi pare di esserci riuscito». Il professor Stefano Rodotà, l'«altro» candidato alla presidenza della Repubblica, quello delle forze contrarie alle larghe intese, ha ascoltato Napolitano in tv.

Cosa pensa delle parole di Napolitano?
La prima osservazione è una conferma: l'irresponsabilità o l'interesse dei partiti hanno trascinato il presidente nella crisi che loro stessi hanno creato. Hanno messo il presidente con le spalle al muro: siamo incapaci, pensaci tu. Un passaggio di enorme gravità politica. La seconda: Napolitano è stato indotto a un discorso da presidente del consiglio. E poi c'è una terza. Sono scandalizzato: mentre Napolitano diceva dell'irresponsabilità dei partiti, quellli applaudivano invece di stare zitti e vergognarsi. Hanno perso la testa.

Piazza e parlamento non si possono contrapporre, ha detto.Vanno riaperti i canali di comunicazione fra istituzioni e società, soprattutto dopo il governo Monti, con il parlamento ridotto a passacarte. Posso ricordare che nel pacchetto della Costituente dei beni comuni ho predisposto un testo per l'obbligo di presa in considerazione da parte del parlamento dell'iniziativa popolare. Basterebbe una modifica dei regolamenti parlamentari.

E nella crisi, cosa pensa del Pd?Da tutta questa vicenda è uscito vittorioso Berlusconi, che sta imponendo le sue condizioni, e il Pd è andato a raccomandarsi al Colle, e poi ha dato di nuovo spettacolo.

Napolitano indica la strada delle larghe intese. Secondo lei è l'unica?Non posso mettere fra parentesi il fatto che la larga intesa si fa con il responsabile dello sfascio e della regressione culturale e politica di questo paese. Si faranno interventi economici, si utilizzeranno i modestissimi documenti dei saggi, ma non potrà essere affrontata nessuna della questioni che possono restituire alla politica e al parlamento una qualità di interlocutore della società. Larghe intese? Il protagonista è Berlusconi.

Lei dice: resto un uomo di sinistra. Ora guarda a Vendola?Sono contento, ma anche molto sorpreso, di questo senso di identificazione emerso nei miei confronti. Io ho una lunga storia personale nella sinistra, di lavoro teorico ma non solo: le forze politiche non hanno capito niente del referendum sull'acqua votato da 27 milioni di persone, e io ho invano cercato di far ricevere i promotori dal vertice del Pd. Ho letto microvolgarità su di me. Come: Rodotà non prende mai un autobus. Non ho preso l'autobus in questi giorni perché per me era imbarazzante. Sull'aereo si sono messi ad applaudire. Hanno riesumato Carraro per fargli dire che Rodotà sta nei salotti. L'unico salotto a cielo aperto in cui sono stato si chiama Pomigliano. Lì, alla manifestazione della Fiom, ho portato lo striscione con il mitico Ciro. Sarò alla manifestazione della Fiom del 18 maggio. Io non ho niente di carismatico. Semplicemente, testimonio che si può lavorare sulle cose: beni comuni, acqua, le discriminazioni. Certo, questa vicenda mi carica di responsabilità. Però, prima voglio vedere con chiarezza le cose. Proprio sul manifesto, appena nata Alba avvertivo di fare attenzione a mettere in piedi un soggettino pronto a sfasciarsi alla prima occasione. Quale cultura politica possiamo mettere in campo?

A proposito di futuro, cosa vede nel futuro del Pd?In questo momento temo un vero rischio per la democrazia. Il Pd sembra inconsapevole del fatto che la sua frammentazione apre una grande questione democratica, un vuoto. Se viene meno un soggetto forte della sinistra e ci sarà un puzzle impazzito, avremo il confronto Berlusconi-Grillo. Una specie di livello finale.

Lei ha scritto sulla democrazia elettronica come il populismo del terzo millennio. Poi è diventato la bandiera dell'M5S, che professa la democrazia elettronica.La democrazia elettronica e la tecnopolitica ha vari modi di manifestarsi. Ma certo che c'è una differenza fra chi ritiene che tutto si risolve nella rete e chi ritiene che la rete ha un ruolo crescente. Grillo ha operato in rete, ma quando è venuto il momnento elettorale ha riempito le piazze. Basta pensare a No bavaglio, Se non ora quando: qualcosa che prima era consentito soltanto alle grandi organizzazioni strutturate, partiti sindacati e Chiesa. Le piazze erano state svuotate dalla tv, la rete le ha ririempite. Oggi dobbiamo lavorare su questo. Non siamo al duello finale fra democrazia di rete e democrazia rappresentativa. Piuttosto, vedo un obbligo: nella Costituzione c'è un filo sottile fra referendum e iniziativa popolare che dev'essere rafforzato non come una via alternativa. Nel Trattato di Lisbona c'è un'apertura importante in questo senso. I sindacati europei stanno promuovendo un'iniziativa per chiedere alla Commissione di stabilire le regole sulla non privatizzabilità del servizio pubblico. Sa quante firme sono state raccolte finora? Un milione e 600mila in tutta Europa. È il momento di lavorare su questo. Faccio un'aggiunta personale: Rodotà non è stato inventato da Grillo. Il mio nome circola da mesi sulla rete. Insieme ad altri: la rete ha selezionato tutte persone di sinistra, ci metto con qualche fatica anche Emma Bonino, ma certamente anche Romano Prodi. Questo punto dovrebbe farci riflettere. Ci sono delle oscurità? Grillo e Casaleggio avranno fatto un complotto per tirare fuori solo nomi di sinistra per mettere in difficoltà la sinistra? Il fantasma della rete si aggira. E la politica sa fare solo tweet.

Che idea si è fatto di Grillo?Posso dire le cose su cui sto riflettendo. La parlamentarizzazione del 5 stelle è ormai un dato di fatto. Quando l'altra sera Grillo ha parlato di golpe, ed io poi ho dichiarato di rispettarela legalità parlamentare e di essere contrario alle marce su Roma, alcuni del 5 stelle mi hanno detto che questo ha aiutato a evitare una bagarre. Io non so quale sarà il futuro del 5 stelle. Stanno in parlamento, vedremo come utilizzeranno lo strumento parlamentare. Hanno insistito perché si cominciasse a lavorare nelle istituzioni, non mi pare che siano andati in parlamento con la dinamite. Come si fa a dire che il Movimento 5 stelle è incostituzionale, quando anche su Repubblica con tanti abbiamo riflettuto sull'incostituzionalità del berlusconismo?

A proposito, Scalfari le ha detto che bisogna fare la politica con cuore, e anche con il cervello.Non è una bella maniera, in molti mi hanno spesso rimproverato di aver messo sempre in campo troppi elementi di ragione. E però: la cultura illuminista, cara a Scalfari, ha rilanciato tre valori. Libertà, uguaglianza e fraternità. Perché la fraternità è stata la figlia minore della triade rivoluzionaria?

intervista Stefano Rodotà di Daniela Preziosi,  il manifesto, 23 aprile 2013

24 aprile 2013

Napolitano: "L'euro che vuole la Germania ci porterà alla rovina"


Nel lontano 1978 l'allora deputato del Partito Comunista Italiano Giorgio Napolitano mostrava le sue perplessità sulla all'epoca embrionale moneta unica continentale, quindici anni prima di Maastricht e dodici prima de "L'Euro minaccia la democrazia" dell'"ammazza-sindacati" Margaret Thatcher. Perplessità tutt'altro che peregrine e che, già all'epoca, profetizzava che l'abbraccio tedesco sarebbe presto o tardi divenuto una morsa letale.
Lo si legge nel resoconto stenografico della seduta dell'assemblea della Camera dei Deputati del 13 dicembre 1978, a partire da pagina 24992, durante una discussione riguardante l'adesione dell'Italia al Sistema Monetario Europeo, che sarebbe entrato in vigore quattro mesi dopo. Si tratta di parole che sorprendono per la loro lucidità, poiché, senza tagliare di netto le gambe all'unione monetaria (come molti euroscettici sostengono senza averle lette, evidentemente), spiegano, anzi, profetizzano il futuro dell'allora CEE a distanza di quarant'anni.
Giorgio Napolitano, pur non respingendo le idee europeiste, ricordava che la costruzione di una unione monetaria non poteva svolgersi in modo frettoloso e, citando il governatore della Banca d'Italia, ammoniva che «Un suo insuccesso comporterebbe gravi ripercussioni sul funzionamento del sistema monetario internazionale e sulle possibilità di avanzamento della costruzione economica europea».
I negoziati, spiega Napolitano, presero però una piega sbagliata. Il colpevole? La Germania: «[...]dal vertice è venuta solo la conferma di una sostanziale resistenza dei Paesi più forti, della Germania, e in particolare della banca centrale tedesca, ad assumere impegni effettivi e sostenere oneri adeguati per un maggiore equilibrio tra gli andamenti delle economie di paesi della Comunità. E' così venuto alla luce un equivoco di fondo: se cioè il nuovo sistema debba contribuire a garantire un più intenso sviluppo dei paesi più deboli della Comunità, o debba servire a garantire il Paese più forte, ferma restando la politica non espansiva della Germania, spingendosi un Paese come l'Italia alla deflazione.» Trentacinque anni dopo siamo esattamente a questo punto, con Paesi come i PIIGS in depressione economica e lentamente portati a quella destinazione finale, ovvero ladeflazione, che la Grecia sta già cominciando a sperimentare.
Le idee del futuro presidente della Repubblica, rilette con spirito del 2013, risuonano come un martello sulla testa di chi partecipò a quei negoziati (come Andreotti, all'epoca presidente del Consiglio), poiché sembrano cronaca dei giorni nostri. Parafrasando Napolitano, "non è che questa costruzione monetaria filo-tedesca finirà per intaccare le nostre riserve auree, portandoci a perdere competitività e quindi costringerci a svalutare la moneta". È esattamente ciò che è avvenuto negli anni successivi, fino alla svalutazione della lira all'inizio degli anni Novanta (anche se, va precisato, non fu tutta colpa dello SME, anzi, i corrottissimi governi italiani negli anni Settanta-Ottanta ebbero colpe gravissime nello sviluppo rapido ma sbilenco del Paese).
Ma il Napolitano con il cronovisore non termina qui, anzi, dopo la svalutazione ricorda la possibilità che l'Italia possa essere costretta ad «adottare drastiche manovre restrittive». E qui vediamo, facendo andare avanti la videocassetta della Storia, l'eurotassa di Romano Prodi, che ci permise di entrare nell'euro (insieme a qualche trucco contabile di Carlo Azeglio Ciampi) e, dopo il decennio berlusconiano che, con il suo immobilismo fatto solo di proclami ha peggiorato ulteriormente la situazione, arriviamo al governo Monti e alla sua dolorosissima austerità: una scelta, quella di re Giorgio, che possiamo immaginare sofferta, mentre emergiamo dalla Camera del dicembre 1978, poiché a quell'austerità il governoBerlusconi-Tremonti avevano legato il Paese nel 2011, nel disperato tentativo di rimanere a galla, mentre lo spread saliva e l'economia crollava.
Leggiamo ancora Napolitano: «Il  rischio  è  quello  di veder  ristagnare  la  produzione, gli investimenti e l'occupazione invece  di  conseguire un più alto tasso  di crescita; di vedere  allontanarsi, invece di avvicinarsi, la soluzione dei problemi del Mezzogiorno.»
Questi rischi, evidentemente, erano ben noti al governo dell'epoca, che pure, nei negoziati, chiesero trasferimenti dalle aree più ricche a quelle meno prospere. Un embrione di unione fiscale, che oggi, mentre l'Europa continua a scivolare su salvataggi che non salvano nessuno,viene richiesta a sempre più forte voce, sempre più inascoltata.
Chiosa ancora Napolitano: «La verità è che forse [...] si  è  finito per  mettere il "carro" di un accordo monetario davanti ai "buoi" di un accordo per le economie.» Si chiede retoricamente il deputato comunista, come mai tutti spingono così tanto per l'Italia nell'euro? E perché l'Italia non ha fatto leva su questo interesse per ottenere un negoziato che giungesse a conclusioni meno irresponsabili?
Già, perché? Sono domande che ci facciamo ancora oggi e che dobbiamo porci ancora adesso: l'Italia è nell'euro e questo è un dato di fatto che non può, né deve cambiare, poiché l'Italia e l'Europa intera imploderebbero, e il botto sarebbe tanto forte che le conseguenze si sentirebbero in tutto il globo.
Piuttosto è necessario che il governo di Re Giorgio prossimo venturo segua quella stessa linea politica che quel giovane deputato napoletano portava avanti in un'aula tuttavia sorda a quei moniti: battere i pugni sul tavolo perché si cambi rotta, poiché l'Europa a guida tedesca continua a farci sbattere contro gli iceberg. Lo scafo dell'euro si sta riempiendo d'acqua: o ci salviamo tutti o affonderemo insieme.
Il PDF dell'intervento è conservato nell'archivio online della Camera dei Deputati.


Read more: http://it.ibtimes.com/articles/47177/20130423/napolitano-euro.htm#ixzz2RPejDFbE

23 aprile 2013

LA RIVOLUZIONE E' POSSIBILE

Quando la classe media e i giovani sono sistematicamente esclusi dai vertici economici e sociali l’unica via di sbocco è la sovversione del sistema. I leader europei non dovrebbero dare per scontata la stabilità.

Al contrario di quello che si pensa, in occidente non sono i poveri e i più sfortunati a fare le rivoluzioni, ma le classi medie. È quello che è successo in tutte le rivoluzioni a cominciare dalla rivoluzione francese e con la sola eccezione della rivoluzione d'ottobre, che fu un colpo di stato compiuto in una situazione di estremo disordine politico.

Ma quand’è che la classe media decide di lanciarsi in una rivoluzione?


In primo luogo non si tratta della classe media nel suo insieme né di un gruppo organizzato né tanto meno di una comunità, ma dei leader della classe media, quegli stessi che oggi vincono le elezioni in Europa e che sono definiti irresponsabili (perché non appartengono alla geriatrica classe politica tradizionale), e che all'improvviso si rivelano non solo molto popolari, ma anche incredibilmente efficaci.

Nel classico caso della rivoluzione francese il ruolo di avanguardia rivoluzionaria è stato svolto da avvocati, imprenditori, funzionari della pubblica amministrazione dell'epoca e da una parte degli ufficiali dell'esercito. Il fattore economico era importante, ma non essenziale. Gli elementi scatenanti del movimento rivoluzionario sono stati prima di tutto l'assenza di apertura nella vita pubblica e l'impossibilità di promozione sociale. Di fatto l'aristocrazia, nel cercare di limitare a ogni costo l'influenza degli avvocati e degli uomini d'affari, ha favorito la rivoluzione. In tutta Europa – a eccezione della saggia Inghilterra – la nuova classe media non era in grado di decidere il suo destino.

Qual è oggi la discriminazione? E’ simile e diversa al tempo stesso. Senza dubbio l'aristocrazia non monopolizza più il processo decisionale, ma i banchieri, gli speculatori di borsa e i manager che guadagnano centinaia di milioni di euro estromettono da questo processo la classe media, che ne subisce le drammatiche conseguenze. Cipro ne è l'ultimo e più significativo esempio.

Ma di esempi ce ne sono molti altri. Prendiamo i professori universitari, che non solo in Polonia ma in tutta Europa tremano per il loro posto di lavoro, soprattutto se hanno la sfortuna di insegnare materie dichiarate poco utili dall'Unione europea, dagli stati membri e dalle multinazionali che definiscono il mercato del lavoro.

In Slovacchia, per esempio, le scienze umane sono state quasi cancellate, mettendo in grave difficoltà gli esperti di materie come la storia, la grammatica, l'etnografia o la logica. Fra non molto altre categorie professionali seguiranno la stessa sorte, come i funzionari della pubblica amministrazione, il cui numero è letteralmente esploso in passato. È colpa loro? No di certo. E che cosa può fare un funzionario licenziato con 15 anni di anzianità alle spalle e che ha sempre conosciuto la sicurezza del posto di lavoro? Probabilmente non molto. E lo stesso discorso vale per tutti quei giovani laureati che il mercato del lavoro ha lasciato sul bordo della strada, e per gli artisti, i giornalisti e gli altri lavoratori diventati precari a causa dell'avvento dell'era digitale.

Dominio dei vecchi

Le rivoluzioni emergono attraverso l’esclusione professionale e decisionale e il deficit democratico. Si battono anche contro la barriera generazionale o semplicemente contro il dominio dei vecchi. Non è un caso se i capi della rivoluzione francese avevano circa 30 anni, mentre l'età media dei partecipanti al congresso di Vienna (1815) che ristabilì l'ordine conservatore in Europa era di oltre 60. Gli attuali dirigenti europei hanno per lo più fra i 50 e i 60 anni, ma tenuto conto dei progressi della medicina, è molto probabile che tra 20 anni Merkel, Cameron, Tusk e Hollande saranno ancora al loro posto. A meno che non vengano spazzati via da una rivoluzione.

Tutte le vie di ascesa dell'attuale classe media, per lo più giovane, sono bloccate da miliardari, da vecchi o da gente che sembra tale a un ragazzo di 25 anni. Questa situazione è esplosiva. È sbagliato credere che dei giovani arrabbiati contro il sistema, ma privi del linguaggio abituale dei partiti politici e dei movimenti politici organizzati, non siano capaci di portare a termine una rivolta organizzata. La rivoluzione non si è mai fatta in nome di una misura particolare, per esempio un maggiore controllo bancario, ma perché non è più possibile vivere in queste condizioni. Una rivoluzione, in opposizione totale con i metodi dei partiti politici, non utilizza un linguaggio politico. La rivoluzione grida, urla, il suono di una rivoluzione è caotico ma perfettamente udibile.

Ma vogliamo veramente una rivoluzione? Non penso, perché la rivoluzione vuol dire la distruzione totale prima della costruzione di un ordine nuovo. Tuttavia i nostri leader politici continuano a non rendersi conto di essere seduti su un barile di polvere da sparo. Non lo capiscono, troppo preoccupati dalla sola idea che li ossessiona: tornare alla stabilità entro 10-30 anni. Non sanno che nella storia non si torna indietro e che le loro intenzioni ricordano la frase di Karl Marx secondo cui la storia si ripete, ma come una farsa.
di Marcin Król

Marcin Król (1944) è un filosofo, scrittore e giornalista polacco. Nel 2012 ha pubblicato Europa w obliczu konca ("L'Europa di fronte alla fine").

21 aprile 2013

Cresce il sostegno alla legge Glass-Steagall negli Stati Uniti mentre l'economia è in caduta libera



 Il 25 marzo il disegno di legge presentato dalla congressista Marcy Kaptur per il ripristino della separazione bancaria come nella legge Glass-Steagall (HR 129) è stato firmato da altri sei congressisti, portando il totale dei firmatari a 46. Tra i sei nuovi firmatari c'è Marcia Fudge, che presiede il Black Caucus al Congresso, Keith Ellison, co-presidente del Congressional Progressive Caucus, e John Dingell, un autorevole leader del Partito Democratico, il cui padre fu tra i firmatari della legge Glass-Steagall sotto Roosevelt.
Grazie alla spinta organizzativa del movimento di LaRouche (LPAC), sono state presentate mozioni che chiedono al Congresso di approvare la legge HR 129 in 13 parlamenti degli stati (Alabama, Hawaii, Kentucky, Maine, Maryland, Mississippi, Montana, Pennsylvania, Rhode Island, South Dakota, Virginia, Washington e West Virginia). Nel South Dakota, la mozione in questo senso è stata approvata sia alla Camera che al Senato il 28 febbraio, e nel Maine il Senato ha approvato la mozione il 4 aprile. Si prospettano mozioni simili in numerosi altri stati.
Oltre alle mozioni, numerose figure istituzionali si sono espresse a favore della legge Glass-Steagall. Una di loro è l'ex direttore del bilancio nell'amministrazione Reagan ed ex congressista David Stockman, che sulla prima pagina del New York Times Sunday Review mette in guardia da un altro collasso finanziario in arrivo per via del "denaro caldo e instabile" che è aumentato da quando "sono state completamente smantellate le tutele stabilite dalla legge Glass-Steagall".
Per superare la crisi, scrive, occorre "mettere fine alla cartolarizzazione che ha trasformato l'economia in una gigantesca bisca dagli anni Settanta. Questo significa lasciare a se stesse le banche di Wall Street affinché competano a proprio rischio, senza concedere loro prestiti della Federal Reserve o assicurazioni sui depositi. Le banche ordinarie potranno raccogliere depositi o concedere prestiti commerciali, ma verranno escluse dal trading, dalla sottoscrizione di obbligazioni e dalla gestione finanziaria in tutte le sue forme".
È una descrizione alquanto accurata della legge Glass-Steagall, anche se Stockman non la cita per nome, forse per evitare la matita rossa e blu dei redattori del New York Times. Il giorno prima, durante una popolare trasmissione radiofonica, Stockman si era detto a favore della legge Glass-Steagall "al posto della stupida legge Dodd-Frank".
Con un'altra iniziativa mirante a ripulire il sistema bancario, il sindacato nazionale degli agricoltori (National Farmers Union) ha ribadito il proprio sostegno alla legge Glass-Steagall nella sua dichiarazione annuale, pubblicata il 5 marzo. Il NFU sostiene la separazione bancaria almeno dal 2010. Ma questa settimana ha chiesto anche di "indagare con vigore e muovere azioni penali contro le attività criminali nei nostri istituti finanziari".
Il presidente del sindacato nello stato dell'Indiana, James Benham, ha dato un vivace resoconto delle sue iniziative a favore della legge HR 129 nel corso di una conferenza tenuta dallo Schiller Institute nei pressi di Washington il 23 marzo. Come ha sottolineato, gli agricoltori costituiscono un settore dell'economia nazionale particolarmente colpito dalla speculazione finanziaria e dalla crescente cartellizzazione.
Dagli esordi di questo paese, si afferma nella dichiarazione, "la politica pubblica ha favorito un sistema bancario decentralizzato, per evitare gli abusi che sarebbero derivati da una struttura finanziaria altamente concentrata. Siamo preoccupati di fronte ai trend recenti che hanno accelerato la perdita di banche locali indipendenti aumentando il ruolo delle grosse banche anche nel settore agricolo. Questo ha ridotto gli investimenti nelle comunità".
Disgraziatamente la comprensione dell'economia reale manifestata dal NFU non è arrivata alla Commissione Agricoltura al Congresso, che il 20 marzo ha approvato sei disegni di legge che aumentano il sostegno dei contribuenti ai derivati e creano nuove scappatoie commerciali consentendo alle banche di eludere gli standard di gestione del rischio.  
by  (MoviSol) 

20 aprile 2013

Cambiare i trattati?



Esistono ormai molte analisi che spiegano come i Trattati che costituiscono l'UE rappresentino la negazione di alcuni dei principi fondamentali della nostra Carta Costituzionale. Fra molti altri, si possono vedere alcuni articoli sul sito “Appello al popolo” (qui e qui), e anche il recente libro di un grande costituzionalista come Gianni Ferrara.
Di fronte alle argomentazioni sostenute nei testi citati, argomentazioni che credo difficilmente aggirabili, la linea di difesa di chi dice di voler salvare i principi di civiltà sociale contenuti nella nostra Costituzione, ma non accetta la parola d'ordine dell'uscita unilaterale dall'UE, è quella del “cambiare i Trattati”. Questa parola d'ordine può essere declinata in molti modi, e ovviamente si sposa molto bene con gli slogan sul “più Europa” e sulla “Europa dei popoli” che abbiamo già criticato in vari luoghi. 
Cerchiamo adesso di capire perché non abbia nessun senso la proposta di “cambiare i Trattati”. Si tratta, nella sostanza se non nella forma, della proposta di scrivere e far adottare una Costituzione europea che sia ispirata a principi del tutto opposti a quelli dei Trattati. Si noti che, se anche non esiste una Costituzione europea, i vari Trattati ne fanno benissimo le veci, e si possono in pratica considerare l'essenza di ciò che è oggi l'UE.

La prima osservazione critica è che per cambiare i Trattati occorre l'unanimità degli Stati membri. La proposta di cambiare i Trattati in senso favorevole ai diritti dei lavoratori e dei ceti subalterni richiede cioè che si formino e si mantengano, per un periodo di tempo sufficiente, maggioranze politiche che condividano questi obiettivi, in tutti e 27 i paesi UE. Basta che un paese si opponga, e la proposta è bloccata. 
Questa difficoltà “tecnica”, d'altro canto, è solo un aspetto della difficoltà politica e culturale di fondo.
L'obiezione fondamentale alla proposta di “cambiare i Trattati” sta nel fatto che non esiste una soggettività politica continentale in grado di imporre il cambiamento nel senso dei valori auspicati. Come abbiamo già avuto modo di dire, non esiste un popolo europeo. Chi elaborerebbe le proposte? Quali forze politiche se ne farebbero carico? Chi condurrebbe le trattative e sottoscriverebbe gli inevitabili compromessi? 
Possiamo pure immaginare di realizzare, superando tutte le difficoltà tecniche e politiche, quella che sarebbe, nelle attuali circostanze, la cosa migliore: un'Assemblea Costituente Europea eletta a suffragio proporzionale. Davvero è possibile pensare che da una cosa del genere nascerebbe una Costituzione attenta ai valori di giustizia sociale, emancipazione, armonia con l'ambiente? E' quasi sicuro che le forze che in modi diversi si ispirano a questi valori sarebbero divise e i loro discorsi sarebbero una cacofonia di proposte slegate fra loro. Una unità popolare a livello continentale si crea con un lungo lavoro di scambi, di incontri, con lotte collettive, con l'adozione di una lingua comune. Come abbiamo rilevato più volte, l'indifferenza dei popoli europei al dramma del popolo greco mostra con chiarezza come si sia lontanissimi da una vera unità popolare europea. E si noti che non si tratta qui solo della mancanza di empatia e di spirito di ribellione contro l'ingiustizia. La solidarietà col popolo greco risponderebbe agli stessi interessi materiali dei popoli europei, perché è chiarissimo che quello svolto in Grecia è solo un esperimento che verrà poi replicato in tutti i paesi del Sud Europa, e non solo.
Una Assemblea Costituente Europea non farebbe allora che ribadire le distanze e le incomprensioni fra i ceti popolari europei. D'altra parte, le posizioni dei ceti dominanti sarebbero espresse in modo molto più unitario e risulterebbero alla fine vincenti. I ceti dominanti, come abbiamo più volte detto, sono gli unici in grado di agire a livello europeo perché sono unificati da lingua, cultura e valori (anche se parzialmente divisi, come è ovvio, da interessi materiali). Dopotutto, se esistono i Trattati, e quindi l'UE, è appunto perché li hanno fatti i ceti dominanti. 
Anche a livello nazionale l'adozione di una Costituzione non è certo un affare di tutti i giorni. Le Costituzioni nascono in momenti molto particolari, in risposta a grandi movimenti sociali e ideali, o a grandi crisi. La nostra Costituzione è nata perché il rifiuto del nazifascismo ha portato all'unità su alcuni principi di fondo la grande maggioranza del popolo italiano e le principali foze politiche che tale maggioranza esprimevano. 
Oggi la crisi economica, che è la crisi della forma "neoliberista" e "globalizzata" che ha assunto il capitalismo negli ultimi trent'anni, non produce solidarietà a livello continentale, ma divisioni e contrapposizioni. L'unità dei popoli europei non c'è e non si vede quando possa sorgere, nel breve e medio periodo. Di conseguenza, non c'è nessuna possibilità di “cambiare i Trattati” in senso favorevole ai ceti popolari. L'unica opzione realistica per salvare quel che resta di civiltà sociale nel nostro paese è l'abbandono unilaterale dell'UE.
 

di Marino Badiale 

19 aprile 2013

No all’economia delle banche: in Francia arriva la moneta locale


La moneta locale, o complementare, è fatta per essere convertita in beni, che hanno un valore “reale”. A Nantes, potrebbe favorire lavoratori e banche.
 .
MONETACHE COS’È LA MONETA LOCALE - Una moneta locale o complementare all’euro? Non è una nuova proposta del MoVimento Cinque Stelle, né uno dei soliti voli pindarici della Lega Nord (anche se, in occasione della campagna elettorale per le Regionali, Roberto Maroni ha proposto di introdurre in Lombardia una valuta locale da affiancare alla moneta unica). Si tratta di un progetto che sta per realizzarsi in Francia, in particolare a Nantes, in Bretagna. Portato avanti fin dal 2006, è un esempio di collaborazione tra l’allora sindaco della città, Jean-Marc Ayrault, attuale primo ministro socialista francese, e due professori della Bocconi di Milano, Massimo Amato e Luca Fantacci. Un terzetto abbastanza curioso, che dimostra come, in realtà, l’idea di una moneta locale non sia, di per sé, né “di destra” né “di sinistra”: è una scelta che deve essere presa dalla comunità interessata, e che può rivelarsi utile per incrementare gli scambi locali, favorendo la cosiddetta economia locale.
 .
8118230-digital-visualization-of-an-broken-euro-coinUNA MONETA DIVERSA - Lo scopo primario della nuova moneta sarebbe quello di risolvere la questione dei debiti della pubblica amministrazione con le imprese. Anche per questo il suo utilizzo sarebbe limitato a coinvolgere i lavoratori, le imprese e i servizi pubblici: si tratta di una camera di compensazione, che serve a contabilizzare gli scambi di acquisti e vendite che le imprese compiono tra loro in un’unica contabilità chiusa, cosicché una vendita corrisponde a un credito e un acquisto a un debito (in modo multilaterale: ovvero, con la possibilità di risarcire un “debito” contratto con un’impresa acquisendo un credito con un’altra impresa). Lo scopo è far tornare periodicamente i conti a zero, arrivando a non avere più crediti né debiti. Cosa c’è di interessante in questo modo di concepire la moneta? Che questa non considera il denaro una riserva di valore, ma conta solo il valore di scambio. In altre parole, il denaro necessita di essere convertito in beni, e l’idea stessa di risparmio verrebbe riferita non più alla moneta in sé, quanto ai beni materiali, che hanno un valore “reale”.
 .
Jean-Marc-AyraultVANTAGGI RECIPROCI? -Non si tratta di una novità assoluta. La Svizzera, nel 1934, è stato il primo Paese a crearne una, il Wir. Attualmente gli Stati Uniti ne presentano un centinaio, e sia la Germania che la Spagna, Paesi che, nel bene e nel male, rappresentano due simboli della crisi finanziaria europea, ne hanno adottata una propria in determinate località. In questi casi, la moneta complementare ha avuto risultati per lo più positivi sulle economie delle varie comunità.
La novità di Nantes è che sono coinvolte non solo le imprese, ma gli stessi lavoratori. Questi avranno la possibilità, dietro accordo con le imprese, di essere pagati in moneta locale in una certa percentuale. Questa ha un rapporto di cambio 1 a 1 con l’euro ma non può essere convertita, avendo lo scopo di rimanere “chiusa” nella camera di compensazione. Essendo una moneta elettronica, secondo Amato, evita anche il rischio di evasione fiscale.
Soprattutto, si tratta di un sistema che va a vantaggio non solo delle imprese e dei lavoratori, che potrebbero andare incontro a tutte queste facilitazioni di pagamento e guadagno, ma delle banche stesse. Basti pensare che sarà proprio una banca pubblica comunale a gestire la nuova moneta, in modo da risolvere il problema del ritardo nei pagamenti dalle pubbliche amministrazioni alle imprese. Inoltre, la camera di compensaazione che si strutturerebbe non gestisce tutto il credito delle imprese,  ma finanzia solo la parte del capitale circolante, quello che si utilizza in un periodo che va da 1 fino a 4 mesi al massimo. Dunque le banche continuerebbero a occuparsi di tutto il capitale rimanente, con il vantaggio di avere a che fare con aziende meno indebitate, e dunque più affidabili. Meno rischio significa meno riserve bancarie, e quindi risparmio. In sostanza, secondo il prof. Amato, questa moneta locale propone una soluzione alternativa, non appellandosi a una rottura “traumatica” con il sistema bancario nazionale ed europeo, ma ad una sorta di collaborazione basata sull’indipendenza e sulla collaborazione reciproca. Vedremo, quando partirà, se veramente contribuirà a migliorare le condizioni delle imprese e dei lavoratori.
di Eleonora Cosmelli 

18 aprile 2013

Il bunker patologico del proprio interesse





  
C'è un’unica e sicura dirimente oggi per capire i significati e le intenzioni degli esponenti politici, sia quando sono ambigui, sia quando appaiono chiari e schierati dalla parte dei cittadini: la loro dipendenza dai cosiddetti “poteri forti”, dall’alta finanza, e dall’Europa che ne è serva. Così, per esempio, può essere apparso onesto e perfino simpatico il “saggio” un po’ cretino Valerio Onida quando ha ammesso di star lì, insieme agli altri “saggi”, per occupare la scena vuota; ma è ridiventato subito quello che è, un succube dell’alta finanza, uno che odia l’Italia e gli italiani, non appena ha indicato come suo prediletto per la Presidenza della Repubblica, Giuliano Amato. Come avrebbe potuto essere diversamente, del resto, visto che era stato scelto dal massimo odiatore degli italiani, Giorgio Napolitano?

  Sembra quasi incredibile il punto di degrado etico cui giunge una classe politica quando si trasforma, come oggi quella italiana, in un piccolo gruppo di persone chiuse nel bunker della conservazione e difesa di se stesse. Nulla più esiste ai loro occhi salvo questo: la propria sussistenza, il proprio interesse; e per difenderli  escogitano mezzi che non hanno nessun riscontro con la realtà, così che tutta la nazione che in apparenza essi continuano a rappresentare, si configura come un paese agli ultimi termini, lebbroso, marcio, putrefatto, consegnato davanti ai propri cittadini e davanti al mondo ai crimini di coloro che lo governano. Questa è, infatti, la legge della natura umana, cui nessun individuo e nessuna società può sfuggire: superato il livello di guardia posto dalla consapevolezza del rapporto con gli altri, con le norme che lo regolano, non sussiste più nessuna “etica” perché la percezione dell’altro serve esclusivamente per usarlo, ucciderlo per il proprio interesse, la propria salvezza.

  Il quadro offerto in questi giorni dai responsabili dei Partiti, dalle massime cariche dello Stato, dal Governo in carica, è appunto quello dell’assoluta devastazione di ogni pur minima coscienza etica, della rottura di ogni legame con il proprio popolo che, infatti, tace annientato e si suicida (quattro suicidi negli ultimi due giorni indotti dal governo). La pseudo logica che sostiene quanto dicono e fanno i politici è appunto uno dei sintomi più vistosi della patologia mentale che li guida. Si sono aggrappati alla battaglia per i pochi posti di potere rimasti in lizza come lupi affamati agli ultimi brandelli di carne pendenti dalla vittima: non pensano ad altro, non vogliono altro. Se n’è avuta una specie di controprova nell’esaltazione offerta dal partito di Berlusconi all’unico sciacallo che si è sempre vantato della sua natura di sciacallo e che lo fa gongolare di ogni distruzione sociale che provoca. Pannella si è esibito al suo meglio, sparando con la solita violenza che non teme smentite le più grosse menzogne sull’enorme consenso alle sue idee, un consenso che non gli ha dato alle ultime elezioni neanche il minimo dei voti per entrare in Parlamento. Ci si domanda: perché proprio il Pdl vuole servirsi di Pannella e dei Radicali? Ammesso che possano portargli qualche voto, sicuramente gliene faranno perdere molti fra i suoi abituali elettori, non soltanto fra quelli cattolici, ma anche fra quelli che, forniti di buon senso, sanno bene che dietro ai Radicali ci sono sempre stati i “poteri forti”, l’alta finanza mondialista ed europea che se ne serve come strumento ottimale per quella disgregazione delle società e delle nazioni indispensabile al primato dei banchieri. Ma, bisogna ripeterlo: i politici hanno ormai perso qualsiasi sensibilità etica e l’unico Potere in cui vedono la possibilità di sostegno è quello dell’alta finanza che guida tutto e tutti, nel mondo e in Europa. È una guida alla distruzione: i banchieri non sono soltanto privi di etica, ma anche forniti di scarsissima intelligenza. Possiamo sperare soltanto che ci sia data la possibilità di liberarcene con le prossime elezioni.

di Ida Magli 

17 aprile 2013

Cresce il sostegno alla legge Glass-Steagall negli Stati Uniti mentre l'economia è in caduta libera



 Il 25 marzo il disegno di legge presentato dalla congressista Marcy Kaptur per il ripristino della separazione bancaria come nella legge Glass-Steagall (HR 129) è stato firmato da altri sei congressisti, portando il totale dei firmatari a 46. Tra i sei nuovi firmatari c'è Marcia Fudge, che presiede il Black Caucus al Congresso, Keith Ellison, co-presidente del Congressional Progressive Caucus, e John Dingell, un autorevole leader del Partito Democratico, il cui padre fu tra i firmatari della legge Glass-Steagall sotto Roosevelt.
Grazie alla spinta organizzativa del movimento di LaRouche (LPAC), sono state presentate mozioni che chiedono al Congresso di approvare la legge HR 129 in 13 parlamenti degli stati (Alabama, Hawaii, Kentucky, Maine, Maryland, Mississippi, Montana, Pennsylvania, Rhode Island, South Dakota, Virginia, Washington e West Virginia). Nel South Dakota, la mozione in questo senso è stata approvata sia alla Camera che al Senato il 28 febbraio, e nel Maine il Senato ha approvato la mozione il 4 aprile. Si prospettano mozioni simili in numerosi altri stati.
Oltre alle mozioni, numerose figure istituzionali si sono espresse a favore della legge Glass-Steagall. Una di loro è l'ex direttore del bilancio nell'amministrazione Reagan ed ex congressista David Stockman, che sulla prima pagina del New York Times Sunday Review mette in guardia da un altro collasso finanziario in arrivo per via del "denaro caldo e instabile" che è aumentato da quando "sono state completamente smantellate le tutele stabilite dalla legge Glass-Steagall".
Per superare la crisi, scrive, occorre "mettere fine alla cartolarizzazione che ha trasformato l'economia in una gigantesca bisca dagli anni Settanta. Questo significa lasciare a se stesse le banche di Wall Street affinché competano a proprio rischio, senza concedere loro prestiti della Federal Reserve o assicurazioni sui depositi. Le banche ordinarie potranno raccogliere depositi o concedere prestiti commerciali, ma verranno escluse dal trading, dalla sottoscrizione di obbligazioni e dalla gestione finanziaria in tutte le sue forme".
È una descrizione alquanto accurata della legge Glass-Steagall, anche se Stockman non la cita per nome, forse per evitare la matita rossa e blu dei redattori del New York Times. Il giorno prima, durante una popolare trasmissione radiofonica, Stockman si era detto a favore della legge Glass-Steagall "al posto della stupida legge Dodd-Frank".
Con un'altra iniziativa mirante a ripulire il sistema bancario, il sindacato nazionale degli agricoltori (National Farmers Union) ha ribadito il proprio sostegno alla legge Glass-Steagall nella sua dichiarazione annuale, pubblicata il 5 marzo. Il NFU sostiene la separazione bancaria almeno dal 2010. Ma questa settimana ha chiesto anche di "indagare con vigore e muovere azioni penali contro le attività criminali nei nostri istituti finanziari".
Il presidente del sindacato nello stato dell'Indiana, James Benham, ha dato un vivace resoconto delle sue iniziative a favore della legge HR 129 nel corso di una conferenza tenuta dallo Schiller Institute nei pressi di Washington il 23 marzo. Come ha sottolineato, gli agricoltori costituiscono un settore dell'economia nazionale particolarmente colpito dalla speculazione finanziaria e dalla crescente cartellizzazione.
Dagli esordi di questo paese, si afferma nella dichiarazione, "la politica pubblica ha favorito un sistema bancario decentralizzato, per evitare gli abusi che sarebbero derivati da una struttura finanziaria altamente concentrata. Siamo preoccupati di fronte ai trend recenti che hanno accelerato la perdita di banche locali indipendenti aumentando il ruolo delle grosse banche anche nel settore agricolo. Questo ha ridotto gli investimenti nelle comunità".
Disgraziatamente la comprensione dell'economia reale manifestata dal NFU non è arrivata alla Commissione Agricoltura al Congresso, che il 20 marzo ha approvato sei disegni di legge che aumentano il sostegno dei contribuenti ai derivati e creano nuove scappatoie commerciali consentendo alle banche di eludere gli standard di gestione del rischio.

by (MoviSol)