30 aprile 2012

Crimini e misfatti: tutti gli orrori del governo Monti

“Micromega” li chiama “errori”, ma quella che Marco Travaglio riassume – sulle pagine dell’“Espresso” – è una spaventosa galleria di orrori. Davanti ai quali si potrebbe dire, con una battuta, che ci vorrebbero dei tecnici per ripararne tutti i guasti: «Ma se questi guasti li fa il governo tecnico, chi li ripara?». In pochi mesi, il “governo dei banchieri” creato da Napolitano ha totalizzato un record micidiale di disastri, grazie alla ferrea guida dal super-lobbysta Monti, già advisor di Goldman Sachs e stratega della Trilateral Commission per l’Europa, membro dell’élite finanziaria mondiale incarnata dal Gruppo Bilderberg e già “ministro” della Commissione Europea, massima espressione dell’oligarchia tecnocratica contro cui l’Europa – per via elettorale – sta cominciando finalmente a ribellarsi, mentre affonda nella spirale della recessione con l’euro che trasforma in un incubo la voragine dei debiti sovrani. Nella sua scarna essenzialità, il “bollettino della catastrofe” stilato da Travaglio è sbalorditivo, su tutti i fronti. Televisione: il “governo tecnico” l’8 Mario Monti gennaio promette di metter mano alla Rai «entro poche settimane» e poi non fa nulla per tre mesi e mezzo, anche dopo che il 28 marzo è scaduto il Cda. Finanziamento alla “casta”: l’esecutivo si dice «disponibile a un decreto» per tagliare i fondi pubblici ai partiti e poi non muove un dito. Province: il governo annuncia che saranno abolite, poi si scopre che restano, ma i consiglieri non li eleggono più i cittadini, bensì li nominano i consiglieri comunali. Pensioni: Monti alza l’età pensionabile a 68 anni, mentre decine di migliaia di lavoratori vengono “rottamati” a cinquant’anni; poi s’accorge che, così facendo, centinaia di migliaia di lavoratori restano senza stipendio né pensione; al che, annuncia che gli “esodati” sono 65.000 (perché i soldi bastano solo per quelli), salvo scoprire che invece sono 350.000. Tassa sulla prima casa: il governo la ripristina creando l’Imu ma esentando le fondazioni bancarie – non invece le case di vecchi e invalidi ricoverati in ospizio; sempre Monti divide l’Imu prima in due, poi in tre rate, annunciando aliquote più alte ma senza fissarle. Risultato: contribuenti nel caos, mentre i tecnici della Camera accusano l’esecutivo di “incostituzionalità”. Ma non è finita: il “governo dei banchieri” abolisce le imposte sulle borse di studio fino a 11.500 euro, ma non per i 25.000 medici specializzandi, scippandogli così il 20% di quel poco che lo Stato concede loro per finire gli studi. Quindi il lavoro, con la “crociata” contro l’articolo Marco Travaglio 18: si abolisce il reintegro giudiziario per i licenziati ingiustamente con la scusa dei motivi economici, poi si annuncia che la riforma è immodificabile, infine si fa retromarcia alla prima minaccia di sciopero. Economia: si lancia il decreto liberalizzazioni ma poi lo lascia svuotare in Parlamento dalle solite lobby, mentre la Ragioneria dello Stato segnala la mancanza di copertura finanziaria per alcune norme. Il governo dà parere favorevole a un emendamento Pd che cancella le commissioni bancarie, salvo poi accorgersene e cancellarlo con un altro decreto. Un altro emendamento, sempre del Pd, propone di tassare gli alcolici per assumere 10.000 precari della scuola: il governo prima lo accoglie, poi lo fa bocciare in extremis. Mario Monti annuncia la ritassazione dei capitali “scudati”, ma senza spiegare come si pagherà: così, nessuno riesce a pagare nemmeno se vuole. Altra tassa: sulle ville all’estero, ma dimenticando quelle intestate a società, che sono la maggioranza, così non paga quasi nessuno. Episodi tragicomici: l’esecutivo toglie ai disoccupati l’esenzione dal ticket sanitario e poi la ripristina scusandosi per il “refuso”. E ancora: vara il decreto “svuotacarceri” per sfollare le celle, col risultato che i detenuti aumentano: 66.632 a fine febbraio, 66.695 a fine marzo. Sicurezza: il governo annuncia la tassa di 2 centesimi sugli sms per finanziare la Protezione civile, poi se la rimangia e aumenta le accise sulla benzina. Inoltre: annuncia due volte, nella Delega fiscale, un “fondo taglia-tasse” per abbassare le aliquote e abolire l’Irap coi proventi della lotta all’evasione, ma per due volte poi lo cancella. Sempre Monti depenalizza le condotte “ascrivibili all’elusione fiscale” con “abuso del diritto”, che vedono imputati Dolce e Gabbana, indagati dirigenti di Unicredit e Barclays e multati dal fisco Flavio BriatoreIntesa Sanpaolo per 270 milioni e Montepaschi per 260 (lodo salva-banche). Ancora: inventa una tassa sulle barche di lusso ma cambia tre volte le regole, così pochi la pagano e quasi tutti portano gli yacht all’estero (“lodo Briatore”). Nella riforma della Protezione civile, il governo Monti scrive che «il soggetto incaricato dell’attività di previsione e prevenzione del rischio è responsabile solo in caso di dolo o colpa grave», rischiando di mandare in fumo il processo per omicidio colposo in corso all’Aquila contro la Commissione grandi rischi, nonché le indagini sulla mancata prevenzione nel sisma del 2009 (lodo salva-Bertolaso & C.). E nel pacchetto anticorruzione, il ministro Severino cambia il nome e riduce la pena (e la prescrizione: da 15 a 10 anni) alla concussione per induzione, reato contestato a Berlusconi nel processo Ruby (lodo salva-Silvio). «Si diceva che il “governo dei professori” doveva riparare i danni fatti dai politici: ma agli errori che accumulano Monti e i suoi ministri chi porrà rimedio?», scrive “Micromega”, che riprende il «primo, sommario elenco» indicato da Travaglio. “Errori” o, meglio, orrori? di Giorgio Cattaneo

29 aprile 2012

Se Berlusconi umiliava le donne, Monti le getta in mezzo ad una strada

Si potrebbero definire “borghesucce isteriche”, tanto care alla sinistra cresciuta a caviale e Manifesto (un giornale che è come l'erba maligna: non muore mai) e alla destra alla Fini, Polverini e Alemanno, sempre pronta perché prona a correre in soccorso al comune amico sionista a stelle e strisce. Queste serve isteriche, nonostante il loro pedigree da vermi, ottennero un notevole seguito di gente festosa, allegra e colorata (di solito preferendo il rosso e il viola ma non disdegnando l'arancione) per sentirle squittire contro un presidente del consiglio (ma sarebbe più opportuno scrivere “coniglio”) che le aveva offese come donne. Ora, che il mentecatto Berlusconi sia un povero idiota (per motivi che nulla hanno a che fare con le sue abitudini sessuali da miliardario) nessuno si sogna di metterlo in discussione, ma non ci sembra che ai tempi di Berlusconi gli operai e gli imprenditori si suicidassero. Monti, essendo un professore, secondo queste teste tanto raffinate quanto vuote, starebbe contribuendo a restituire l'onore delle verginelle piazzate dal paparino nelle redazioni della Rai e delle migliori testate (di cazzo) giornalistiche? Pensano veramente che l'onore femminile vituperato da Berlusconi sia stato finalmente lavato con il sangue dei tanti mariti che hanno scelto il suicidio? Adesso, che finalmente il sangue scorre davanti alle agenzie delle entrate, si sentono improvvisamente appagate come comari del cattivo augurio, da non sentire più il bisogno di esprimere il loro orgoglio femminile ferito? Le abbiamo viste ballare e cantare, sorridere e mostrare il lato più osceno di una donna: il cattivo gusto del perbenismo falso e ipocrita, neppure paragonabile con quello delle ragazze a contratto sessuale intorno a Berlusconi. Sono scomparse sotto l'onda anomala atlantica che, avendo finalmente travolto il Grande Puttaniere, poteva finalmente riversarsi sopra gli italiani senza nessun ritegno. Adesso, finalmente, per queste sgualdrine della carta stampata e televisiva, gli italiani hanno riacquistato il proprio onore essendo state ristabilite le garanzie costituzionali vituperate dal “dittatore” Berlusconi attraverso il colpo di stato tecnico di Napolitano, gettando per la strada intere famiglie, costringendo gli anziani a far la spesa nei secchioni della spazzatura. Secondo queste prezzolate paladine della sionistra colta e genuinamente antifascista siamo finalmente tornati ad essere un paese normale (secondo il loro cattivo gusto della genuflessione), sottomesso e spremuto come un pomodoro, dove la casa è diventata un privilegio che non tutti possono permettersi e, secondo le benpensanti semicolte, non devono evidentemente permettersi. Ai tempi di Monti, per le paladine dell'orgoglio femminile senza sé e senza ma, la donna ha finalmente ritrovato il proprio ruolo energico e dinamico, sottraendole dall'umiliante condizione di andare a lavorare e allo stesso tempo governare la casa con la geniale idea di fargli perdere il lavoro e pure la casa, restituendole alla loro vera natura creativa, colorata, festosa e gioiosa in quanto donne padrone solo di loro stesse. Bisognerebbe fargli capire la differenza tra un paese normale e un paese normalizzato ma sarebbe tempo sprecato verso chi, della propria indole sottomessa, ne ha fatto un vanto. di Stefano Moracchi

Monti? E' uno dei nostri

Vuol sapere un segreto?”, dice Carlo Secchi con la voce impastata durante un’ora di colloquio a murare domande e tramandare leggende. La Commissione Trilateral, origine americana e desideri di tecnocrazia, dollari e diplomazia, maneggia sapientemente i segreti. Secchi è il presidente italiano, nonché ex rettore all’Università Bocconi e consigliere d’amministrazione di sei società quotate in Borsa tra cui Italcementi, Mediaset e Pirelli: “Quando il nostro reggente europeo Mario Monti ha ricevuto l’incarico dal Quirinale, e stava per formare il governo, noi eravamo riuniti: curiosa coincidenza, non l’abbiamo scelto noi”. Questo è un tentativo di respingere i complotti che inseguono la Commissione. Monti premier, promosso o bocciato? La Trilateral guarda l’Italia con grande interesse. Tutti sono contenti e ammirati per il lavoro di Mario Monti. È inevitabile che ci sia un’ottima considerazione del premier, che è stato un apprezzato presidente del gruppo europeo. Prima osservava e giudicava, ora è osservato e viene giudicato. Ovviamente i princìpi di fondo – su economia, finanza, riforme, bilancio, sviluppo – sono ancora condivisi. Mario non li ha rinnegati: c’è continuità fra il Monti in Commissione Trilateral e il Monti a Palazzo Chigi. È un fatto positivo. Non è l’unico che passa per le nostre stanze: da Jimmy Carter a Bill Clinton, da Romano Prodi fino al greco Lucas Papademos. Cos’è la Trilateral? Una storia di quarant’anni, a breve onoreremo l’intuizione del banchiere David Rockefeller e le visioni di Henry Kissinger. Avevamo una struttura tripolare che rispettava i poteri di un secolo fa: americani, canadesi e messicani; l’Europa democratica, cioè occidentale; Giappone e Corea del Sud. Adesso ci spingiamo verso i paesi orientali, quelli più rampanti: India e Cina, Singapore e Indonesia. Siamo una specie di G-20 allargato. La Croazia è l’ultima ammessa. Che ruolo giocate? Favorire il dialogo su temi di carattere economico e geopolitico. Vogliamo coniugare l’interesse fra le istituzioni e gli affari. Bella definizione, teorica però. Chi seleziona i componenti? Siamo divisi in gruppi continentali e nazionali con un numero limitato. In Europa non possiamo superare i 200 membri, mentre in Italia siamo 18. Posso citare, per fare un esempio, Marco Tronchetti Provera (Pirelli), Enrico Tomaso Cucchiani (Intesa), John Elkann (Fiat). Io sono entrato come rettore della Bocconi. Chi si dimette fa un nome per la successione, ma si cercano figure simili. Soltanto un banchiere può sostituire un banchiere. Il nostro disegno è quello di contenere la società italiana: professori universitari, esperti militari, ambasciatori, imprenditori, politici, giornalisti. Ci vediamo due volte all’anno con vari argomenti da approfondire e cerchiamo di trovare una soluzione. Lanciamo idee. E chi le raccoglie? Ciascuno di noi ha un collegamento con le istituzioni. Il nostro presidente può chiedere un incontro con i commissari europei. Noi elaboriamo proposte, non facciamo pressioni. Non votiamo mai per un nostro piano, discutiamo, punto. Differenze con il Club Bilderberg? Le nostre porte sono più aperte, c’è un profondo ricambio generazionale. A volte si può assistere ai dibattiti, invitiamo personalità a noi vicine, ma con un divieto assoluto: non è permesso riportare dichiarazioni all’esterno. Questo serve a garantire la nostra libertà. C’è tanta massoneria fra di voi? Personalmente non me ne sono accorto, può darsi che qualcuno dei membri maschi sia massone. Non c’è nulla, però, che rimandi a una loggia. Più che i grembiulini, noi indossiamo una rete: è chiaro che, avendo numerosi contatti sparsi ovunque, ci si aiuti a vicenda. Come influenzate i governi? Soltanto in maniera indiretta, non abbiamo emissari, non siamo un sindacato né un partito. Non mi piace il verbo influenzare. Ma non posso negare che le nostre conoscenze siano ampie. Scommettete contro l’Euro morente? Non posso portare fuori il pensiero interno alla Trilateral. Posso raccontare spezzoni, elementi messi insieme durante l’ultima assemblea di Tokyo. Quando ragioniamo sull’euro ci rendiamo conto che siamo di fronte a una creatura incompiuta e quindi consigliamo un mercato europeo comune, non soltanto una moneta. Previsioni? La Cina è un chiodo fisso, a Tokyo è stata protagonista. Cina vuol dire crescita e integrazione, e il timore che quel mezzo potentissimo possa rallentare. Invece gli americani si sentono tranquilli, ma credono che l’Europa sia un po’ lenta a risolvere i suoi problemi e sono molto insoddisfatti di Bruxelles. Meglio i tecnici o i politici al governo? Ci sono tecnici ad Atene e Roma. Papademos e Monti, due ex illustri esponenti della Trilateral. Il prossimo modello, forse anche in Italia, sarà una coalizione trasversale come in Germania. Poi cambia poco se i ministri saranno o no dei partiti. Quali sono i vostri amici nel governo italiano? Oltre a Monti e al sottosegretario Marta Dassù (Esteri), per motivi professionali, dico i ministri Lorenzo Ornaghi (Cultura) e Corrado Passera (Sviluppo economico). La Trilateral è potente perché misteriosa? Siamo semplicemente una rete forte, la migliore al mondo. Non prendiamo direttamente decisioni importanti, ma ci siamo sempre nei momenti più delicati. Jimmy Carter non è diventato presidente perché era il capo americano: una volta alla Casa Bianca, però, sapeva di avere un gruppo di persone con cui consigliarsi. di Carlo Tecce

28 aprile 2012

In gran segreto Stati Uniti e Cina giocano a fare la guerra

Il Guardian è venuto a sapere che Stati Uniti e Cina in segreto sono stati impegnati in “giochi di guerra” mentre monta la rabbia di Washington per la portata e l’audacia degli attacchi informatici coordinati da Pechino contro governi e grandi imprese occidentali. Funzionari del Dipartimento di Stato e del Pentagono, insieme ai loro omologhi cinesi, lo scorso anno sono stati impegnati in due giochi di guerra ideati per favorire la prevenzione di un’improvvisa escalation militare tra le parti nel caso che una di esse dovesse sentirsi presa di mira. Un’altra sessione è prevista a maggio. Anche se le esercitazioni hanno offerto agli Stati Uniti l’opportunità di dare sfogo alla propria frustrazione per quello che sembra essere uno spionaggio finanziato dallo stato e una sottrazione su scala industriale, la Cina si è dimostrata bellicosa. “La Cina è giunta alla conclusione che è cambiato il rapporto di potere, in una maniera che la favorisce,” afferma Jim Lewis, importante insegnante nonché direttore del Centro per gli Studi Strategici e Internazionali (CSIS), gruppo di esperti con sede a Washington. “Il PLA [Esercito Popolare di Liberazione] è assai ostile. Considera gli Stati Uniti un bersaglio. Sentono di avere una giustificazione per le loro azioni. Pensano che gli Stati Uniti siano in declino.” I giochi di guerra sono stati organizzati mediante il CSIS e un gruppo di esperti di Pechino, l’Istituto Cinese di Relazioni Internazionali Contemporanee (CICIR). Ciò ha consentito a funzionari del governo e dei servizi segreti USA di entrare in contatto in un ambito meno formale. Conosciuta come “Track 1.5 Diplomacy”(Percorso diplomatico 1.5, N.d.T.), è la serie di contatti più ravvicinata che gli stati possono avere nella gestione dei conflitti senza affrontare veri e propri negoziati. “Coordiniamo i giochi di guerra con il Dipartimento di Stato e quello della Difesa,” ha detto Lewis, il quale ha mediato gli incontri, tenutisi lo scorso giugno a Pechino e in dicembre a Washington. “I funzionari hanno esordito come osservatori, poi sono diventati partecipanti … in modo molto simile è stata la stessa cosa da parte cinese. Dal momento che è organizzato da due gruppi di esperti, essi possono parlare più liberamente.” Nel corso della prima esercitazione, entrambe le parti dovettero spiegare cosa avrebbero fatto se fossero state attaccate da un sofisticato virus informatico come Stuxnet, che ha messo fuori servizio le centrifughe del programma nucleare iraniano. Nella seconda dovevano spiegare la loro reazione nel caso si sapesse che l’attacco era stato intrapreso dalla controparte. “I due giochi di guerra sono stati piuttosto sorprendenti,” ha dichiarato Lewis. “Il primo è andato bene, il secondo non tanto.” “I cinesi sono molto astuti. Mandano persone competenti. Vogliamo trovare modi per modificare il loro comportamento … [ma] sanno di avere buone ragioni per quello che fanno. Il loro atteggiamento consiste nell’avere vissuto l’imperialismo e un secolo di umiliazioni.” Lewis ha detto che i cinesi hanno la “percezione di essere trattati ingiustamente.” “I cinesi hanno una profonda diffidenza verso gli Stati Uniti. Sono preoccupati del potenziale militare americano. Sono inclini a pensare che abbiamo un’ambiziosa strategia per conservare l’egemonia degli Stati Uniti e la considerano una sfida diretta. “Coloro [tra i funzionari cinesi] che sostengono la cooperazione non sono forti quanto quelli che appoggiano lo scontro.” La necessità di incontri è stata evidenziata negli ultimi mesi, con gli USA e il Regno Unito che hanno tentato di aumentare la pressione sulla Cina, considerata da loro la principale responsabile della sottrazione, per miliardi di dollari, di progetti e opere dell’ingegno di produttori della difesa, dipartimenti statali e società private al centro del sistema di infrastrutture americano. Gli analisti dicono che ciò equivale alla “preparazione del campo di battaglia” e sia gli Stati Uniti che il Regno Unito hanno avvertito Pechino di aspettarsi ritorsioni nel caso ciò continuasse. Negli ultimi mesi gli Stati Uniti hanno precisato di avere spostato l’attenzione militare dall’Europa al Pacifico, per proteggere gli interessi americani nell’area. “Tra i paesi attivamente impegnati nello spionaggio informatico, probabilmente la Cina è l’unico ad essere un concorrente militare degli Stati Uniti,” ha dichiarato Lewis. “Gli eserciti cinese e americano si trovano nelle immediate vicinanze e ci sono episodi ostili … Le probabilità di errori di valutazione sono molto alte, quindi stiamo tentando di avere una netta comprensione del punto di vista di ciascuna parte.” Lewis crede che gli Stati Uniti si stiano preparando a diventare più aggressivi nei confronti della Cina e dice che il presidente Barack Obama ha già incaricato gruppi operativi all’interno della Casa Bianca per studiare sanzioni più severe. Senza nominare la Cina, un alto dirigente dell’FBI ha detto al Guardian che le minacce portate dagli attacchi informatici sono state preoccupanti. “Sappiamo che le risorse degli stati stranieri sono notevoli, e conosciamo il tipo di informazioni che stanno prendendo di mira,” ha detto Shawn Henry, vice direttore esecutivo della sezione informatica dell’FBI. “Abbiamo trovato nemici passati inosservati nelle reti per molti mesi, o in alcuni casi per anni. In sostanza hanno avuto libero accesso a queste reti … Hanno la piena capacità di sconvolgere del tutto queste reti.” Frank Cilluffo, già collaboratore straordinario di George Bush per la sicurezza nazionale, disse che era giunto il momento per affrontare la Cina. “Dobbiamo parlare delle capacità d’attacco per scoraggiare i fuorilegge. Non possiamo pensare che le società si difendano dai servizi segreti stranieri. Ci sono determinate cose che dovremmo fare quando qualcuno sta facendo l’equivalente cibernetico della preparazione delle informazioni sul campo di battaglia della nostra infrastruttura energetica. “A mio parere è arrivato il momento. Occorre dare una risposta. Quale altro motivo potrebbe esserci per riordinare le nostre infrastrutture nel caso di una crisi? “Abbiamo un ruolo maggiore nei convenzionali mezzi militari e diplomatici . Dobbiamo mostrare loro le nostre carte. Tutte le ragioni sono sul tavolo. Penso che dobbiamo proprio iniziare a parlare di difesa attiva.” Egli disse che gli Stati Uniti dovevano essere preventivi, altrimenti col tempo la gente avrebbe iniziato a perdere la fiducia nell’integrità di internet e dei sistemi informatici. “Se non investo perché ho paura, se non impiego la rete perché ho paura, se si perde credibilità e fiducia in questi sistemi, allora hanno vinto i cattivi. Scacco matto.” Il Dipartimento di Stato ha rifiutato di parlare dei giochi di guerra e di dire quali funzionari vi hanno partecipato. Un portavoce ha affermato: “Gli Stati Uniti sono impegnati a coinvolgere gli altri paesi per la costruzione di un ambiente globale in cui ogni stato riconosca e rispetti soddisfacenti regole di comportamento nel cyberspazio. In linea generale siamo impegnati con il governo cinese su questioni informatiche, in modo da trovare punti in comune su questi argomenti di sempre maggiore importanza nelle nostre relazioni bilaterali.” Il Pentagono ha evitato di rilasciare dichiarazioni e di dire quali dei suoi funzionari hanno preso parte ai giochi di guerra. La Cina ha sempre negato di essere responsabile degli attacchi informatici contro gli Stati Uniti e altri paesi occidentali. Dice di essere anch’essa vittima di questo genere di spionaggio. Il ministro della Difesa cinese Liang Guanglie ha dichiarato che Pechino “si oppone fermamente ad ogni tipo di crimine informatico.” “È difficile stabilire la vera origine degli attacchi e abbiamo la necessità di lavorare insieme per fare in modo che la presente questione di sicurezza non diventi un problema,” ha detto. “In realtà anche in Cina abbiamo subito una gamma piuttosto vasta di frequenti attacchi informatici. Il governo cinese dà importanza anche alla sicurezza informatica e prende decisamente posizione contro ogni genere di crimine informatico. È importante per tutti osservare e seguire leggi e norme in materia di sicurezza informatica.” Il Quotidiano del Popolo, testata cinese che più delle altre rispecchia le opinioni del Partito Comunista al potere in Cina, lo scorso anno ha detto che è irresponsabile associare la Cina alle violazioni informatiche su internet. “Quest’anno, con il crescere degli attacchi di hacker a importanti imprese e organizzazioni internazionali, alcuni media occidentali hanno più volte raffigurato la Cina come il cattivo dietro le quinte.” di Edoardo Capuano Fonte: Nick Hopkins per The Guardian 16.04.2012 Traduzione di Gabriele Picelli per www.times.altervista.org

27 aprile 2012

Le guerre democratiche

Totalitarismo inconscio sono uno scrittore e un giornalista, recentemente ho scritto un libro che si intitola “La guerra democratica”. Da quando è crollato il contraltare sovietico le democrazie occidentali, Stati Uniti in testa, hanno inanellato otto guerre in venti anni, otto guerre di cui forse solo la prima aveva una qualche giustificazione, il primo conflitto del Golfo perché Saddam Hussein aveva aggredito il Kuwait, le altre sette sono tutte guerre di aggressione. La guerra democratica ha questa caratteristica, che si fa ma non si dichiara, la si fa con cattiva coscienza chiamandola con altri nomi, operazioni di peacekeeping, operazione umanitaria, difesa dei diritti umani, ma sono guerre. Questo equivoco porta a tutta una serie di conseguenze, la prima è che il nemico è sempre un criminale o un terrorista. E quindi di lui si può fare carne di porco, non valgono le leggi di guerra, non valgono per i prigionieri e Guantanamo ne è un esempio clamoroso. Nella guerra democratica le democrazie possono colpire ma non possono subire, sia materialmente che concettualmente. È legittimo uccidere i soldati del nemico, ma se il nemico uccide i nostri allora è una vigliaccata, una porcata, qualcosa di indecente e di intollerabile. Questa cosa fa sì che porta una sperequazione che non è solo materiale, perché effettivamente la guerra democratica si fa solo con le macchine, con gli aerei, con i droni, con i robot perché i droni sono aerei che non hanno equipaggio teleguidati da 10 chilometri di distanza, per cui uno solo può colpire e l’altro solo subire. Ma anche concettualmente questo vale nel senso che se tu, non democratico, colpisci un soldato sei un criminale e vai giudicato come tale. Un’altra caratteristica delle guerre democratiche è che manca l’essenza della guerra e cioè il combattimento. Gli occidentali non sono più in grado di affrontare il combattimento, la vista del corpo a corpo gli fa orrore, ritengono questo immorale, ritengono invece morale colpire con un missile da 300 chilometri di distanza e uccidere duemila persone. Le democrazie in questa loro aggressività nei confronti di tutti i mondi altri che hanno altre concezioni della vita, della morte e altre tradizioni è una sorta di totalitarismo perché noi non siamo più in grado di accettare il diverso, l’altro. La concezione è che siamo una cultura superiore, che è la moderna declinazione del razzismo essendo quella classica dopo Hitler diventata improponibile, e quindi abbiamo il diritto e il dovere di portare le buone maniere agli altri popoli. Questo è un totalitarismo tanto più pericoloso perché inconscio, il pericolo non è Bush o chi per lui, ma è Emma Bonino, chi ci crede a queste cose, che noi si sia possessori di diritti assoluti validi per tutti. Ed è particolarmente doloroso perché noi non veniamo solo come si dice dalla cultura giudaico – cristiana, ma alle nostre spalle c’è un’altra cultura messa in disparte che è la cultura greca, la prima a riconoscere il diritto di esistenza e di dignità dell’altro. Quando Erodoto parla dei persiani li descrive come crudeli, barbari, ma non si sognerebbe mai di applicare i costumi greci ai persiani, i persiani sono persiani, i greci sono i greci. Invece noi abbiamo la pretesa di omologare l’intero esistente alla nostra way of life. Ripeto, questo quando si è in buona fede, in malafede queste guerre hanno ragioni economiche. Abbiamo bisogno di conquistare, essendo i nostri mercati saturi, sempre nuovi mercati per quanto poveri. La politica dei due pesi e delle due misure Dopo il crollo dell’Unione Sovietica le democrazie hanno avuto le mani libere e hanno fatto tutte le guerre che hanno voluto con i più vari pretesti, in Serbia c’era la questione del Kossovo, in Afghanistan c’era Bin Laden,sono passati 11 anni e Bin Laden non c’è più da tempo. In Libia c’era il dittatore, peraltro corteggiato fino al giorno prima. Hanno potuto esprimere nel modo più violento la propria aggressività e i propri interessi che sono interessi imperiali. Una volta le potenze quando volevano una cosa mandavano le cannoniere e se le prendevano. Adesso pretendiamo di fare la guerra e di farla per il bene di coloro che bombardiamo, uccidiamo, assassiniamo o devastiamo, è una specie di Santa Inquisizione planetaria ed è questo che è intollerabile, l’ipocrisia di queste guerre. Le guerre si sono sempre fatte, ma una volta avevano almeno quasi una loro etica. La Siria non la attacchiamo perché è protetta in qualche modo dalla Russia e dalla Cina e questo dice che i nostri interventi umanitari in realtà non sono tali, noi interveniamo laddove non ci sono rischi, dividiamo il mondo in figli e figliastri. Alcuni devono essere puniti e altri che ne fanno di peggio invece la passano liscia. Chi attaccherebbe la Russia per il genocidio ceceno, 250 mila morti e cioè un quarto della popolazione? Qui viene dimostrata tutta l’ipocrisia di questa storia dei diritti umani. I diritti umani sono solo un grimaldello per intervenire nei Paesi in cui ci interessa intervenire. Potrebbe essere che il prossimo bersaglio, ci sono tamburi di guerra da tempo, sia l’Iran, anche qui con giustificazioni che non hanno alcun senso. L’Iran ha firmato il trattato di non proliferazione nucleare, accetta le ispezioni dell’IAEA che sono le ispezioni O.N.U., l’agenzia che regola le produzioni atomiche, e non ha mai superato il 20 per cento di arricchimento dell’uranio, per fare la bomba ci vuole il 90 per cento. Però è sotto scacco in continuazione. Israele che ha la bomba atomica invece viene lasciato assolutamente tranquillo. E’ una politica di due pesi e due misure che incita anche paesi musulmani, anche gente che non è radicale a radicalizzarsi perché è talmente evidente la politica dei due pesi e delle due misure, la violenza che noi continuamente esercitiamo che alla fine uno diventa terrorista. Sì se si attaccherà l’Iran sarà la Terza guerra mondiale, è molto rischioso per le democrazie attaccare l’Iran perché saltano anche tutte le alleanze più o meno forzate che hanno con i paesi cosiddetti moderati, che poi moderati spessissimo non sono. Salterebbe l’alleanza con la Giordania, l’Arabia Saudita, l’Egitto e quindi sarebbe veramente la Terza guerra mondiale ma una guerra particolare sperequata, perché dalla nostra parte c’è questo armamento straordinario e dall’altra ci sono popolazioni da questo punto di vista molto più deboli, ma anche molto più numerose. E’ abbastanza grottesco da fuori Paesi seduti su arsenali atomici incredibili facciano la voce grossa con l’Iran perché ipoteticamente può fare l’atomica. In realtà noi, inseguendo un pericolo immaginario, cioè l’Afghanistan che non è mai uscito dai suoi confini, che ha una tradizione di non aggressività nei confronti dei Paesi vicini, abbiamo creato un pericolo reale che è il Pakistan perché questo radicalismo religioso si è trasferito al Pakistan, solo che il Pakistan, a differenza dell’Afghanistan che è armato in modo antidiluviano, ha la bomba atomica e non solo ma proprio per la sua posizione di potenza regionale ha una concezione politica molto meno localizzata di quanto abbia l’Afghanistan. Quindi inseguendo un pericolo immaginario, l’Afghanistan, ne abbiamo creato uno reale, il Pakistan e se gli integralisti prendessero potere in Pakistan sì allora sarebbero cazzi acidi per tutti perché questi hanno l’atomica, gli altri hanno il loro corpo e qualche granata. Verranno spazzati via L’aggressione al cosiddetto grillismo, all’antipolitica, a quella che viene chiamata l’antipolitica è in realtà un segnale della paura che una classe dirigente che da trenta anni ha fatto abusi, soprusi, ruberie, il sacco del Paese,la paura da cui è stata presa di essere spazzata via e quindi, mentre prima potevano anche ignorare un movimento come quello di Grillo, adesso non lo ignorano affatto, naturalmente lo demonizzano così come demonizzano chi non va a votare. Chi ha deciso di andare a votare nelle ultime amministrative è stato il 40 per cento. È un segno della paura del regime di essere spazzato via perché c’è in giro, Grillo o non Grillo, una collera notevole da parte della popolazione che alla fine si è resa conto che questa democrazia dei partiti non è affatto una democrazia, ma un sistema che ha privilegiato una classe dirigente indecente e ha impoverito il paese. E questa crisi spinge le persone a ragionare e a ribellarsi. La reazione, scomposta, degli esponenti del regime dice che ne hanno molta paura, poi non so come verranno spazzati via, però io penso che verranno spazzati via, che non basterà chiamarsi Partito nazionale della Nazione come fa Casini perché uno dimentichi le responsabilità di Casini, di tutti i casini che ci sono stati e ci sono nella classe politica italiana. Quello che vorrei dire saltando un attimo la politica italiana è che c’è una guerra infame che si combatte, anzi non si combatte da 11 anni in Afghanistan contro un Paese. Non è la guerra in Afghanistan, è una guerra all’Afghanistan e senza che ci siano proteste alcune perché gli afgani non hanno santi in paradiso, non sono comunisti, non sono liberali, non sono arabi, non sono cristiani, non sono ebrei e quindi si può fare loro carne di porco. Sono 65 mila oggi i civili uccisi in Afghanistan direttamente o indirettamente dalla nostra occupazione, a parte i disastri che abbiamo combinato dal punto di vista sociale. La disoccupazione durante il governo talebano era l’8 per cento e adesso è al 40 per cento, in alcune regioni all’80 per cento. Abbiamo cercato di comprarlo in tutti i modi. Abbiamo corrotto moralmente un Paese che aveva una sua integrità, mi piacerebbe che su questo problema si fosse più sensibili e, siccome si bada solo alle ragioni economiche, ricorderò che noi spendiamo un miliardo di Euro all’anno per tenere inutilmente i nostri soldati lì, per ammazzare e farci ammazzare, ora con un miliardo non di risana un’economia di un Paese ma qualche buco lo si potrebbe anche turare. E’ una guerra ripeto infame di cui però non sento in genere, non vedo né in Italia né in Europa né in Occidente qualcuno che dica una parola contro questa guerra. di Massimo Fini

26 aprile 2012

Ora i BRICS contano nel cambiamento dell'ordine mondiale

Ora i BRICS contano nel cambiamento dell’ordine mondiale I BRICS stanno avendo un’influenza crescente sulla governance globale. Il tema del 4° Summit “Cooperazione tra i BRICS per la stabilità, la sicurezza e la crescita globale”, ha mostrato il suo intento strategico attraverso un’interpretazione alternativa dell’interdipendenza. La Dichiarazione di Delhi ha elementi che, in primo luogo, hanno una dimensione economica anche se sono, essenzialmente, politici, e propongono un nuovo sistema multilaterale. I toni strategici hanno causato una cauta risposta degli Stati Uniti, riconoscendo in questo modo che un mondo multipolare è emerso, mentre la leadership globale americana è sempre più debole. Finora l’attenzione dei BRICS si è concentrata sul riformare le strutture di governance delle organizzazioni internazionali, come il Fondo Monetario e la Banca Mondiale, pur permettendo loro di mantenere un ruolo centrale. La decisione di lavorare sulla creazione di una Banca dello Sviluppo per le infrastrutture e la crescita sostenibile risponde alle emergenti necessità mondiali meglio del “Washington consensus” col suo focus sul settore sociale e concomitanti condizionamenti. L’inclusione di aiuti d’emergenza in caso di disastri o crisi finanziarie, come anche la condivisione del rischio, di fatto ridefinisce la politica internazionale di sviluppo. Un primo passo è stato fatto verso una nuova politica monetaria internazionale. La decisione di collegare i mercati e creare un’integrazione finanziaria delle loro economie gestendo i 230 miliardi di dollari del commercio intra-BRIC, che arriverà a 500 miliardi di dollari nel 2015, attraverso l’estensione del credito in valute locali e derivati su indici azionari di riferimento, consentirà investimenti senza rischi di cambio mentre si intrecciano le borse valori. Eliminando il passaggio intermedio della conversione in dollari, si riduce il suo ruolo nelle contrattazioni tra i BRICS, ed il commercio stesso risulta indipendente dal valore della valuta americana, il che avrà un forte impatto sulla sua importanza globale. Per la prima volta le economie avanzate sono state invitate “ad attuare politiche macroeconomiche e finanziarie responsabili, ad evitare di creare eccessiva liquidità a livello mondiale ed intraprendere riforme strutturali per aumentare la crescita e, di consequenza, creare posti di lavoro”. La Dichiarazione ha sostenuto anche “un processo di selezione basato sul merito” per i capi del FMI e della Banca Mondiale, posti riservati dal 1950, per consuetudine, rispettivamente ad un’europeo ed ad un americano. Sta inoltre emergendo una nuova politica di sicurezza internazionale, con la richiesta di “un processo politico inclusivo” in Siria, che contempla anche una transizione democratica per quel paese. La risoluzione sostiene anche per l’Iran “il dialogo e mezzi politici e diplomatici tra le parti coinvolte” ed inoltre riconosce il diritto iraniano ad accedere all’energia nucleare per usi civili. Sull’Iran, i BRICS hanno chiarito che seguiranno le risoluzioni delle Nazioni Unite e non le leggi nazionali di nessun paese (vedi gli Stati Uniti). Si tratta di una mossa ostile ai cambiamenti selettivi di regime attraverso le azioni multilaterali, come è stato fatto in Libia, e porta le deliberazioni dei BRICS nella sfera politica. Questi risultati hanno colto di sorpresa i commentatori. Non più tardi dello scorso anno, Joseph Nye, dell’Università di Harvard, sosteneva che i BRICS avevano profonde divisioni politiche e che avrebbero contribuito veramente in misura minima alle relazioni tra le potenze nel lungo termine. Martin Wolf, del Financial Times, sosteneva anche che “non hanno niente in comune” e che non sono “alleati naturali”, perché la differenza di valori è molto forte, e quindi non c’è ragione di aspettarsi un accordo su qualche cosa di sostanziale a livello mondiale, a parte il fatto di pensare che le potenze dominanti devono cedere parte della loro influenza e potere. Un recente articolo del New York Times prevede che paesi singoli e “non blocchi artificiali” daranno forma alla governance globale, e che il Summit era solo un’opportunità per scattare qualche foto. Più arguto è l’argomento secondo cui, visto che i BRICS hanno tutti un un rapporto strategico con gli USA e, al momento, considerano il loro legame con Washington più importante di quello con qualsiasi altra capitale, non vedono nessuna utilità nel sfidare il leader del mondo occidentale. Certamente i BRICS sono stati finora reattivi piuttosto che proattivi. Ad ogni modo, la dinamica attuale è che i paesi BRICS stanno guadagnando forza e capacità di esercitare influenza attraverso, soprattutto, il potere economico, piuttosto che quello militare. I paesi BRICS hanno pesato per più del 50% sulla crescita economica globale nell’ultimo decennio e Goldman Sachs prevede che il loro potenziale economico sarà più grande di quello dei G7 nel 2035. Focalizzandosi sull’integrazione economica, stanno anche spostando gli equilibri di potenza, e superando le differenze bilaterali. Ad esempio, la Cina è già il partner commerciale più importante per l’India ed insieme hanno convenuto di mettere da parte le differenze per ciò che riguarda la disputa confinaria, e concentrarsi sulla crescita degli scambi e dei legami d’investimento. Il risultato del Summit è un’indicatore che una collettività sta emergendo, una tendenza verso una migliore coordinazione e più equa governance globale; e finchè l’ordine attuale, plasmato dagli Stati Uniti, sarà al servizio degli interessi nazionali dei paesi sviluppati, qualche tensione sarà inevitabile. Nel mondo di oggi, dati i limiti ecologici alla crescita, la sicurezza e la prosperità non possono essere più garantite solo dalla forza militare o dalla ricchezza economica, ma dall’abilità di gestire l’azione collettiva attraverso un approccio regolamentato e associato. Per una leadership globale, i BRICS avranno bisogno di una visione strategica che risponda alle preoccupazioni del mondo povero, e che non sia limitato, solo, dal portare avanti i propri interessi nazionali. Nelle istituzioni di Bretton Woods possono, ad esempio, chiedere una revisione dei parametri di controllo, delle condizioni e un focus sullo sviluppo sostenibile invece che su considerazioni strettamente ambientali. All’interno delle Nazioni Unite possono andare oltre la divisione tra paesi in via di sviluppo e quelli già sviluppati, per istituire un nuovo obiettivo per lo sradicamento della povertà entro il 2050. L’attuale enfasi sui diritti umani definiti in termini di diritti politici e procedurali avrà bisogno di essere completata da un’enfasi analoga sui diritti sociali ed economici basati sulle eque opportunità per tutti. L’attenzione data alla redistribuzione sarà inedita, visto che è stata esclusa così a lungo dall’agenda internazionale. Il termine BRICS fu coniato dalla Goldman Sachs nel 2001 con riferimento alle politiche economiche. Ovviamente, non hanno immaginato che in un mondo globalizzato, influenza e potere sarebbero divenuti sempre più definiti in termini economici. Il primo incontro dei BRICS avvenne nel 2009, a seguito della crisi economica globale. Vista la crescita economica ed il centro di gravità politico che continua a cambiare, i BRICS hanno già un ruolo maggiore nell’affrontare i cambiamenti transnazionali, con la spartizione d’influenza e potere nell’architettura internazionale del G20. Per la leadership globale i BRICS dovranno sposare i valori universali che riflettono le preoccupazioni dei paesi poveri. (Traduzione di Lorenzo Giovannini) di Mukul Sanwal NOTE: Mukul Sanwal è un ex funzionario civile e diplomatico.

25 aprile 2012

L'Argentina peronista nazionalizza l'industria petrolifera e butta fuori spagnoli e italiani

“Che bello vivere in un mondo dove non esiste più la guerra fredda. E sarebbe ancora più bello vivere in un mondo in cui non esiste neppure la guerra. Per il momento prendiamo atto che c’è la guerra calda e quindi ci adattiamo al territorio. Si tratta, pertanto, di interessi strategici nazionali, perché si tratta di difendere gli interessi della nazione e il futuro e il destino dei nostri figli e nipoti. Così si costruisce la base della democrazia diretta. E’ bene che chi ha orecchie senta molto bene, perché si volta pagina. Le nostre risorse, la nostra ricchezza, la nostra industria, i nostri prodotti, sono prima di tutto: nostri. Cioè degli imprenditori e dei lavoratori. Della nazione. E lo Stato ne garantisce la sovranità e li cautela”. Sembra un bollettino di guerra, e infatti lo è. E’ la prima parte di un discorso ufficiale della presidente della Repubblica Argentina, Cristina Kirchner, nel quale, ieri mattina 16 aprile, ha annunciato l’espropriazione e la nazionalizzazione definitiva dell’azienda “Yacimientos Petroliferos Fiscales” meglio nota come YPF, la cui contrastata e discussa gestione apparteneva alla iberica Repsol, di proprietà del governo spagnolo e gestita da una holding europea finanziata dalla BCE attraverso la compartecipazione di Banco Santander, Banco de Bilbao, Unicredit, Intesa Sanpaolo, Banca Popolare di Milano, Societe Generale, Credit Agricole, Eni, Deutsche Bank. “Un gravissimo colpo per l’economia spagnola e per l’Europa, un atto incivile che noi protestiamo e che porteremo sul tavolo della prossima riunione giovedì 19 aprile del Fondo Monetario Internazionale” ha dichiarato Rubèn Soquera di Repsol a Madrid. Axel Kicillov, vice-ministro dell’economia è ufficialmente la persona incaricata dal punto di vista tecnico-fiscale a gestire il passaggio delle quote, di cui il 51% andrà al Banco de la Naciòn e il 49% andrà alle regioni nelle quali si trovano i pozzi petroliferi. Il prezzo stabilito dagli spagnoli si aggira sui 18 miliardi di euro, mentre il calcolo effettuato dagli argentini (va da sé) è di molto inferiore e il prezzo definitivo sarà l’unico punto sul quale si svolgerà la discussione. E’ stata presentata, infatti, una legge in parlamento che verrà approvata con una maggioranza totale, intorno all’88%: tutti i partiti eletti l’appoggiano. Julio de Vido, ministro della Pianificazione sociale e dello sviluppo economico ha dichiarato: “per cinquecento anni gli europei, prima con i conquistadores, poi con le banche italiane, poi con l’esercito inglese e infine con la finanza speculativa gestita dalla BCE e da Wall Street, hanno rubato al popolo argentino le risorse naturali di oro, argento, petrolio, zucchero, limoni, acqua, soia, pellame, per costruire la propria ricchezza spropositata con un’ottica schiavista e miope, tant’è vero che l’Europa sta affondando schiacciata in una crisi che non ha sbocchi. E’ arrivato il momento che le nazioni si riapproprino della sovranità nazionale dando al popolo la proprietà di ciò che è loro: i prodotti del territorio nazionale. Lo Stato si fa garante e gestisce le risorse come bene comune da condividere per avere i soldi e lanciare un piano di grandi massicci investimenti per la costruzione di lavoro, occupazione e ripresa”. E’ con questo atto (meticolosamente preparato e -con grande effetto politico- presentato pubblicamente alla vigilia dell’incontro internazionale di Washington del Fondo Monetario Internazionale) che la Kirchner si prepara al suo viaggio in Usa, dove va a scontrarsi con il suo nemico pubblico n.1: Christine Lagarde, presidente del Fondo. L’annuncio ha gettato nello scompiglio la borsa di Madrid, perché la Repsol perde l’8,2% e la società italiana Tenaris quotata a Milano va sotto del 4,5%, essendo la Tenaris impegnata come società delegata alla tecnica di estrazione e raffinazione del greggio. Attraverso quest’atto, l’Argentina ha calcolato che risparmierà 8 miliardi di euro nei soli sei mesi del 2012 e 22 miliardi nel 2013. I 30 miliardi così ottenuti verranno investiti per la costruzione di grandi opere di infrastruttura nelle sei regioni dove c’è petrolio. In un messaggio a sorpresa (annunciato soltanto qualche ora prima) la presidente ci ha tenuto a comunicare la scelta direttamente alla nazione in un messaggio diramato su tutte le televisioni, sia in terrestre che in satellitare digitale. Il progetto è stato definito "Soberanía hidrocarburífera de la República Argentina", (sovranità nella gestione degli idrocarburi della Repubblica Argentina) e sostiene che “l’obiettivo primario consiste nell’essere totalmente autosufficienti nel settore energetico per garantire la libertà, l’indipendenza e il diritto all’esercizio della sovranità dello Stato centrale. Ci tengo a precisare che il fine ultimo non consiste nella nazionalizzazione bensì nel recupero immediato della sovranità e controllo delle risorse prodotte dai singoli territori nazionali”. L’impatto di tale atto ha prodotto una gigantesca scossa tellurica nel settore economico in tutto il continente, soprattutto nelle nazioni più povere del centro-america, Ecuador, Guatemala, Honduras, Costa Rica, dove le multinazionali statunitensi e italiane sono proprietarie del 95% della produzione locale di banane, mangos, ananas, per produrre i succhi di frutta che l’occidente beve e che poi distribuisce con i propri marchi nazionali. A conclusione del discorso, la Kirchner, in conferenza stampa ci ha tenuto ad aggiungere la chicca demagogica che sta diventando il fiore all’occhiello del Sudamerica e del Mercosur (sarebbe il corrispondente sudamericano dell’Unione Europea: Argentina, Cile, Bolivia, Paraguay, Uruguay, Perù, Brasile e Venezuela) ricordando con enfasi che “l’Argentina è per il momento l’unico ma speriamo soltanto il primo di una lunga lista di paesi al mondo che non importa nulla dalla Cina perché noi produciamo in patria. Nel nostro territorio non esiste nessun manufatto sul quale è scritto made in China: noi siamo umanamente, politicamente e culturalmente contro lo schiavismo che abbiamo sempre combattuto e seguiteremo a combattere sempre. Siamo per l’autodeterminazione dei popoli e per il ripristino della sovranità nazionale”. Due giorni fa, il ragionier ultra-liberista Mario Monti ha fatto sapere che non parteciperà alla riunione internazionale del Fondo Monetario. In Argentina (e in tutto il Sudamerica) la notizia è stata abbondantemente commentata come una manifestazione di debolezza e vigliaccheria dell’Italia come nazione. “Hanno paura di presentarsi a un dibattito internazionale. Sanno di essere esposti. E’ iniziata la rivolta degli schiavi. E’ la fine di un’epoca. Monti e i suoi amici possono esibire soltanto e unicamente le impietose cifre di un colossale fallimento economico, politico, culturale che sta mettendo in ginocchio il Mediterraneo uccidendone la grande civiltà. Ma soprattutto esistenziale. In Europa si suicidano. Da noi si va a ballare il tango esaltati dal senso ritrovato di una identità nazionale”. Così si legge nell’editoriale di Pagina ½, la più radicale pubblicazione argentina che per lunghi anni è stata la fiera opposizione intellettuale contro la Kirchner ma che ha cominciato ad appoggiarla da un anno a questa parte, da quando la presidente ha scelto e deciso di andare da sola all’attacco del Fondo Monetario Internazionale e della BCE: E’ proprio guerra dichiarata. Notoriamente vezzosa, avida di scarpe e costosi abiti dei migliori sarti francesi, la Kirchner (che è femminista) intervenendo a un seminario sul lavoro femminile e sulla parità di genere dei salari, fortemente sollecitata a dare un’opinione sulla Lagarde, ha detto: “Ragazze, non pungolatemi troppo. Ciascuno fa le proprie scelte. Posso dire soltanto una cosa, ma è una mia opinione: non sa vestirsi e non ha gusto”. Il che, detto e inviato a una aristocratica signora nata e cresciuta a Parigi, è davvero clamoroso. Non vi è dubbio: è iniziata la rivolta degli schiavi. Come dire. Il sud del mondo bussa alla porta del ricco settentrione.. E non è certo un caso che tutto ciò avvenga nella più meridionale nazione del pianeta Terra, più sotto c’è soltanto il polo sud. Ma per il momento, gli iceberg sembrano aggirarsi nel Mar Mediterraneo. di Sergio Di Cori Modigliani

24 aprile 2012

Alle radici della crisi, seguendo i derivati

Il prolungarsi della crisi economico-finanziaria fa affiorare molte informazioni su cosa è realmente successo a nostra insaputa negli ultimi venti anni di globalizzazione finanziaria. Siamo quindi molto vicini alla verità ed il fatto positivo è che ci stiamo avvicinando ad essa facendo a meno di quegli "esperti" economisti che, come di recente ha denunciato efficacemente Le Monde Diplomatique, sono molto spesso a libro paga proprio di quei centri della speculazione sui quali vengono loro richiesti pareri obiettivi (1). Questa verità fattuale è essenziale per il futuro: infatti, chiunque pensasse di poter cambiare le cose senza conoscerle, si troverebbe immediatamente a servire gli stessi master of the universe, i padroni dell'universo, di cui abbiamo spesso parlato. Come nel caso dei mutui subprime americani, abbiamo pensato di seguire la pista degli ormai famosi "derivati", vale a dire quei titoli finanziari il cui valore si basa e quindi "deriva" da un qualsiasi cosiddetto "sottostante", che può essere qualsiasi cosa abbia un valore: un bene materiale o una materia prima, un titolo finanziario, una valuta o persino un altro derivato. Con quello che abbiamo trovato, possiamo porre alcune semplici ma fondamentali domande e cercare delle risposte. Perché i politici non mettono fine alla speculazione dei "mercati" semplicemente vietando o regolamentando severamente i suoi principali strumenti? L'agenzia di stampa specializzata americana Bloomberg lo scorso gennaio ha diffuso la notizia secondo cui la banca d'affari Morgan Stanley, uno dei "padroni dell'universo", ha deciso di ridurre la propria esposizione in derivati basati su titoli di Stato italiani da 4,9 a 1,5 miliardi di dollari: 3,4 miliardi di dollari di nostri titoli non sono stati quindi collocati, con l'assenso del Tesoro italiano, che ha lasciato scadere questo contratto, pagando intorno ai 2,5 miliardi di euro (2). Si è poi appreso che lo swap, vale a dire un derivato fuori dal mercato regolamentato, risale al 1994 e lasciava alla banca d'affari americana la facoltà di rescinderlo unilateralmente, una clausola che ovviamente poneva lo Stato italiano in una posizione di debolezza. Altro però non ci è stato detto sulle modalità e finalità di questa operazione. Giustamente Umberto Cherubini nel suo blog, si interroga sullo scopo di questa operazione: "Coprire il rischio di tasso? Coprire il rischio derivante dai cambi? Allungare le scadenze dei pagamenti di interesse? Vendere assicurazione a Morgan Stanley per fare cassa?" (3). Non è dato saperlo, e così scopriamo che di queste operazioni sul nostro debito pubblico, vale a dire sul debito di tutti noi cittadini di questa Repubblica, i nostri organi di governo non hanno mai dato informazione ai più diretti interessati. E non basta, perché solo dopo alcune interrogazioni parlamentari, successive alla notizia dell'agenzia americana, il Tesoro è stato costretto a comunicare che il debito pubblico italiano è per ben 160 miliardi di euro costituito da strumenti "derivati", quindi uguali o assimilabili a quello da cui Morgan Stanley ha voluto sfilarsi nelle scorse settimane. Tutte le maggiori banche d'affari sono attive in questo tipo di operazioni sull'Italia: Goldman Sachs, Morgan Stanley, Bank of America, Citigroup e JP Morgan. Lavorando sulle informazioni di stampa, troviamo anche che, oltre al livello centrale, ben 664 enti pubblici, tra cui 18 regioni, 42 province, 45 capoluoghi e 559 comuni avrebbero in pancia "derivati" per oltre 35 miliardi di euro, circa 1/3 del debito complessivo accumulato dagli enti locali ai dati 2009. Le perdite conseguenti all'adozione di questi strumenti finanziari per i soli enti pubblici appena ricordati potrebbero arrivare a superare i 10 miliardi di euro, su di un totale complessivo che, ad ottobre 2011, era stimato per l'Italia in 52,2 miliardi, una cifra equivalente a oltre il 60% del costo delle pesantissime manovre cui gli Italiani sono stati sottoposti nel 2011 (4). Per la banca d'affari le cose sono andate diversamente: "Morgan Stanley - riferisce sempre Bloomberg, ha guadagnato 600 milioni di dollari nel terzo trimestre [2011] in conseguenza dello scioglimento dei contratti con l'Italia. Il guadagno è dovuto all'annullamento dei costi sostenuti in precedenza nel corso dell'anno a causa del rischio che il Paese non pagasse l'intero importo del debito, ha dichiarato il 19 gennaio in un'intervista Ruth Porat, direttore finanziario". Si comprende a questo punto benissimo perché la cosiddetta politica non è in grado di mettere al bando questi strumenti finanziari dall'effetto devastante sull'economia reale: semplicemente perché le classi politiche europee attuali sono "garanti" delle migliaia di contratti di questo tipo che, almeno a partire dagli anni Novanta, sono stati stipulati con i "padroni dell'universo". Le politiche di rigore nei confronti dei cittadini sono proprio ciò che, dopo avere evitato loro le perdite dovute alle speculazioni sui subprime, consente ancora lauti guadagni alle grandi banche d'affari. Su cosa si basa il potere dei grandi centri finanziari che permette loro di condizionare le scelte politiche degli Stati? Continuando ad organizzare le notizie di stampa sui "derivati", arriviamo a comprendere meglio il modus operandi dei "padroni dell'universo", rispetto alle origini più remote della crisi in Europa. Ci aiuta il caso più eclatante, quello della Grecia: quando nel 2000-2002 quel Paese si preparava ad entrare nell'area euro, doveva anzitutto mettersi in riga con le regole di bilancio stabilite nel 1996 dall'Unione Europea. "Nel febbraio 2002, la Commissione Europea mise in rilievo che le previsioni relative al deficit della Grecia si basavano principalmente sul conseguimento di riduzioni del costo degli interessi", ricostruiva già nel 2003 Nick Dunbar su Risk Magazine (5). Entra in scena a questo punto un altro dei giganti della finanza mondializzata, Goldman Sachs. Grazie alle strette relazioni con Goldman Sachs del responsabile del debito pubblico ellenico, Christopher Sardelis, ed alla dinamica numero uno dell'ufficio vendite di Goldman Sachs di Londra, Antigone Loudiadis, viene messo in piedi un importante contratto di collocazione di "derivati", del valore di 10 miliardi di dollari, che si dimostrava perfetto per gli scopi di entrambe le controparti: grazie ad uno swap opportunamente organizzato, la Grecia iscrive un nuovo debito in euro, escludendo quindi momentaneamente dal bilancio il vecchio debito in dollari e yen, dando inizio a quel mascheramento delle reali dimensione del proprio deficit di cui i più si sarebbero accorti solo nel 2010. In tal modo, "Goldman Sachs intasca la sua sostanziosa commissione e alimenta una volta di più la sua reputazione di ottimo amministratore del debito sovrano", commenta Le Monde (6): la società americana cederà più tardi il contratto alla tedesca Deutsche Pfandbriefe Bank (Depfa). Lo scopo dell'acquisizione degli swap dalle banche d'affari americane da parte del Tesoro italiano negli anni Novanta non era molto diverso da quello della Grecia: sulla base del meccanismo attivato in Grecia, capiamo che doveva servire a dimezzare artificiosamente il nostro disavanzo di spesa per poter rientrare nei parametri comunitari. Si è quindi creata una fondamentale convergenza di interessi fra gli obiettivi speculativi delle banche d'affari mondializzate e le esigenze di politica economica delle classi dirigenti europee, mediate da una serie di figure tecniche: non a caso Le Monde ha riesumato l'episodio della Grecia lo scorso novembre 2011, per sferrare un attacco al vetriolo contro Monti Draghi e Papademos, uomini che hanno fatto carriera con Goldman Sachs e che, insieme a numerosi altri, rivestono ora posizioni chiave nella politica europea. Sono in effetti proprio loro gli "onesti sensali" che il rovinoso dilagare della crisi ha richiesto assumessero dirette responsabilità di governo tecnico, vale a dire ruoli nei quali politica ed economia si unificano patologicamente, costituendo nelle democrazie occidentali un nuovo potere, non sottoposto ad alcun effettivo controllo democratico. È davvero l'euro l'origine di tutti i mali in Europa? Possiamo contribuire ora a fare chiarezza anche in tema di euro, sul quale le polemiche sono tanto accese quanto in genere male impostate. Notiamo infatti, analizzando queste vicende, che l'origine del problema attuale non è certo l'euro, tanto meno l'idea di una unione monetaria. Il problema, oltreché nella concezione della moneta tipica del capitalismo finanziario (una moneta che deve creare debito), sta invece nelle regole definite per l'unificazione monetaria dalla burocrazia comunitaria, che culturalmente si abbevera alle stesse fonti degli esperti delle grandi società finanziarie internazionali. Da lungo tempo, ad esempio, Gustavo Piga ha denunciato in modo tecnicamente assai accurato le modalità attraverso le quali la stessa Unione Europea ha lasciato aperto il varco alla speculazione finanziaria, dietro un apparente rigore: ad esempio con ESA95, il manuale di ben 243 pagine della Commissione Europea e di Eurostat sui deficit pubblici e sulla contabilizzazione dei debiti pubblici, che ha di fatto permesso, tollerando proprio l'utilizzo massiccio degli strumenti finanziari derivati, di aggirare le teoricamente ferree regole del Patto di Crescita e Stabilità del 1996 (7). Ora ci rendiamo conto perché l'Ecofin, il gruppo dei ministri finanziari dell'Unione, non sia stato capace nemmeno qualche settimana fa, nonostante se ne parli da anni, di trovare un accordo sull'introduzione della cosiddetta Tobin Tax o, più correttamente, sulla Financial Transaction Tax (FTT), una tassa che, si noti, potrebbe fruttare dai 16 ai 43 miliardi euro annui, una cifra non disprezzabile di questi tempi. Come funzionerebbe la FTT? "Essa si applica a tutte le transazioni finanziarie, cioè ad acquisti o vendite di obbligazioni o azioni ma anche di opzioni, futures o derivati, quando almeno una delle parti - banca, assicurazione, fondo, società-veicolo - abbia sede nella Ue o nel Paese che adotti la tassa. Non è insomma una tassa che vale solo per le operazioni di borsa; vale anche per i contratti bilaterali come i derivati".(8) Come si vede, sono in ballo ancora i derivati, questo gigantesco mercato speculativo che a livello mondiale vale almeno 700.000 miliardi di dollari e che costituisce la massa di debito con cui i master of the universe sono in grado di condizionare, con operazioni come quelle che abbiamo visto, la sovranità e l'autonomia di Paesi delle dimensioni e delle capacità produttive dell'Italia. Il problema non è dunque la moneta unica, ma sono gli uomini e l'ideologia che la guidano. Vogliamo una controprova? Chi sono oggi gli uomini che più attivamente ed autorevolmente animano il fronte dei cosiddetti euroscettici? Sono ad esempio rappresentanti della City londinese, come quelli raccolti nel gruppo Open Europe, di cui merita analizzare attentamente il sito: è sufficiente dargli uno sguardo per trovare fra gli aderenti i massimi esponenti del mondo finanziario ed imprenditoriale inglese e basta ricordare il loro presidente, Rodney Leach, ora Lord Leach of Fairford, direttore di Jardine Matheson Holdings, ma soprattutto primo non-family partner del gruppo Rothschild (9). A cosa servono le politiche di rigore che stanno soffocando l'economia reale? Anche in questo caso, possiamo basarci su di un recentissimo esempio, quello dello Stato della California negli Usa, arrivato al fallimento nel 2009 a causa della crisi dei subprime. Cosa è accaduto poi? Il deficit pubblico è sceso dai 25 miliardi di dollari all'inizio del 2011 ai 9 di oggi, secondo un recentissimo articolo del Sole 24 Ore, grazie al "pugno di ferro" del governatore Jerry Brown, vale a dire "mediante tagli alla spesa pubblica e aumenti delle tasse che non hanno risparmiato la scuola". Per annullare del tutto il deficit, il governatore si propone ora "un nuovo aumento temporaneo delle tasse sul reddito e sui consumi" ovvero, nel caso che un apposito referendum non dia esito favorevole, "tagli automatici alla spesa pubblica per 5 miliardi di dollari, che non risparmierebbero alcun settore" (10). Nel frattempo, la California torna ad emettere nuovi bond, ovviamente. Così come negli Usa "le emissioni di titoli ad alto rischio, ma anche ad alto rendimento, sono tornate a livelli pre-crisi ed ora si stanno diffondendo anche al retail, senza troppe distinzioni" (11). Vale a dire, dopo avere spremuto i contribuenti, per rifinanziare le banche e gli Stati prossimi al collasso, le scommesse possono ricominciare, grazie alla creazione di nuovo debito personale su di un'altra generazione. Tra i protagonisti di questa nuova stagione, sono sempre le soite le banche d'affari, come Morgan Stanley e Goldman Sachs. L'esistenza ed il lavoro degli individui e delle società umane diventano in questo modo, lo strumento che perpetua i guadagni ed il potere dei "padroni dell'universo". Questo è il progetto in corso anche per il nostro Paese. Cosa è possibile fare? Chiunque volesse intraprendere un'effettiva rimessa in ordine dell'economia reale, potrebbe partire da alcuni semplici punti: chiedere ai governi nazionali ed alla Commissione Europea di rendere pubbliche e controllabili tutte le transazioni finanziarie in essere che riguardino il debito pubblico chiedere ai governi nazionali di introdurre entro 2 mesi la FTT, indipendentemente dalla sua approvazione generalizzata in Europa, trattandosi di una misura urgente per il risanamento economico chiedere ai governi nazionali di regolamentare gli strumenti finanziari, ponendo fuori legge entro 12 mesi i prodotti finanziari derivati chiedere ai governi nazionali di operare a livello comunitario affinché il ruolo delle agenzie di rating sia trasferito entro 12 mesi ad un'agenzia internazionale sotto l'egida delle Nazioni Unite Sappiamo bene infatti che fin dai prossimi giorni assisteremo ad un nuovo attacco a fondo della speculazione ai Paesi mediterranei, Spagna ed Italia in testa. Comincia ad essere necessario farsi trovare ben preparati, i "tecnici" probabilmente non basteranno più questa volta. di Gaetano Colonna

23 aprile 2012

Monti tassa, gioisce e l’Italia va a rotoli.

Tra le tante manchevolezze del non più santissimo premier Mario Monti, una risulta colossale, eppure quasi mai evocata: il taglio della spesa pubblica. Fatto salvo Oscar Giannino, che conduce una battaglia quotidiana su Radio 24, e poche altre firme, la grande stampa nazionale scansa accuratamente l’argomento che dovrebbe essere al centro della riflessione pubblica e che invece passa sottotraccia. Perchè è scomodo e potrebbe provocare più di un imbarazzo al non più santissimo e talvolta un po’ smarrito Mario Monti. Allora meglio parlare d’altro. Sia chiaro: non parlo di tagli indiscriminati, ma di riforme precise volte a ridurre e possibilmente eliminare sprechi che sono stati documentati decine di volte, nei comuni morosi, in certe zone del Meridione, negli enti pubblici desueti (a sud come a nord), nelle inefficienze dell’amministrazione pubblica, nella sanità, eccetera eccetera. Ma affrontare questi temi è impopolare, richiede doti da vero statista, quasi una vocazione al martirio. La via è scomoda e il nostro premier si guarda bene dal praticarla. Da eurodirigista quale in realtà è nell’animo, preferisce usare la scure delle tasse e le politiche punitive che in parte sono necessarie, ma che finiscono per scoraggiare, anzi avvilire, l’Italia migliore, degli industriali, dei professionisti, che produce e continua a battersi, eroicamente. Se anzichè frequentare solo le élites, il non più santissimo ma sempre glaciale Mario Monti, parlasse con la gente normale, se frequentasse la piccola e la media borghesia, si accorgerebbe dello scoramento che attraversa il Paese, ma è chiedergli troppo. Lui non si abbassa. Lui tassa, gioisce e l’Italia va a rotoli. di Marcello Foa

22 aprile 2012

Seppellire i cadaveri

Mario Monti avrebbe dovuto resuscitare l’Italia ma è riuscito soltanto ad incrementare il numero dei suicidi. Ventiquattro imprenditori non hanno retto ai rastrellamenti della guardia di finanza, ai blitz dell’agenzia delle entrate, agli assalti di Equitalia e alla introduzione di nuovi balzelli che hanno dato il colpo di grazia a settori già alla canna del gas per via della crisi internazionale. Lo stesso vale per altri vessati dal fisco, dai lavoratori autonomi, ai subordinati, dai professionisti ai pensionati che se non si ammazzano prima sono condannati ad una vita di stenti. C’è poi chi tenta il gesto estremo perché un’occupazione non la vede, nonostante i vari tavoli sindacali, nemmeno sedendosi ad un tavolo a tre gambe. Il Rigor Montis non livella, come nella famosa poesia di Totò, ma colpisce selettivamente salvando banche, finanza e grandi imprese, ovvero i gruppi fatui che stanno infossando il Paese. Questa gente non è seria perché non appartiene alla morte ma alla bella vita dei salotti e dei talk show, eppure pretende di dare lezioni di sobrietà agli altri, con una intonazione da requiem sulle spese pubbliche che non riguardano loro. Nel frattempo, i partiti sepolti da una coltre di discredito esigono di continuare ad incassare l’obolo dei rimborsi elettorali poiché senza la colletta di Stato temono di schiattare e nel rantolare delirante sovrappongono impropriamente il loro decesso a quello della politica. Ma quest’ultima, anima della vita associata, forza spirituale dei popoli, ha abbandonato il corpo putrefatto della partitocrazia da più di vent’anni e non c’è pericolo che spiri insieme agli aspiratori a ciclo continuo di denaro dei contribuenti, facenti investimenti in corredi faraonici di diamanti, case, titoli esotici e cazzi propri. Tuttavia, il problema non è tanto l’accumulo di risorse e i fondi neri che se utilizzati per le buone battaglie avrebbero un senso, come è sempre accaduto nella storia repubblicana. I moralisti si mettano l’anima in pace perché occorre infilare le mani e i piedi nella mota per mettere in moto il progresso. Il dato allarmante dunque, molto al di là delle campagne di de profundis etico dei collaborazionisti della carta stampata e dei comici impolitici, sempre pronti a cavalcare i bassi umori popolari e gli infimi istinti primordiali, è che essi pretendono la greppia collettiva per continuare ad ingrassare i propri apparati elefantiaci, delegando ai supertecnici e agli organismi mondiali le scelte economiche e politiche del governo. Se stanno lì esclusivamente per pianificare le feste dell’unità facendo la festa all’unità statale è meglio che si tolgano di torno. E presto. Ora che la gente ha compreso di poter fare a meno di Bersani, Alfano, Bossi, Fini, Casini, Vendola ecc. ecc., adesso che il consenso verso i partiti è sceso molto al di sotto di una fisiologica soglia di disinteresse stagionale, costoro vorrebbero riprendersi la scena per mettere in atto un’altra pantomima elettorale che non risolverà le sofferenze del Paese ma le aggraverà per inabilità manifesta a governare. Si può imbiancare il sepolcro quanto si vuole ma se dai tumuli vanno e vengono zombies senza calore non ci vuole tanto a capire che sempre dinanzi ad un cimitero di ideali ci troviamo. Nemmeno basterà additare l’apocalisse dello spread o la dannazione delle borse, apparizioni relativamente recenti, per far sembrare il funerale in corso una momentanea cerimonia all’insegna della sobrietà. Il sistema politico italiano si è ucciso tanto tempo fa, quando la funerea e funesta macchina delle tenebre, presentatasi alla gente come una gioiosa macchina da guerra, alleata alle schiere giustazialistiche e alle legioni confindustriali, vendette la patria alle truppe straniere per garantirsi la propria misera sopravvivenza cadaverica. Gli italiani hanno elaborato il lutto da tempo e non si faranno commuovere dalle lacrime dei coccodrilli che prima si sono divorati il Paese ed ora vorrebbero amministrarne le restanti macerie. Bisogna inumare le salme e gli scheletri dei tempi trapassati per non finire imbalsamati, questa è l’unica alternativa che ci resta. Ps. Anche qualche giornale inserito nel circuito dei media ufficiali comincia a credere che, essendo tutti gli uomini e i partiti di questa fase storica ampiamenti compromessi con lo sfacelo generale, non è detto si tratterà degli stessi protagonisti del prossimo futuro dell’Italia. Scrive oggi Belpietro nel suo editoriale: chi dice che i partiti saranno questi? Cosa ci fa credere che la prossima volta dovremo sempre scegliere i soliti gatti? Perchè non potrebbe esserci un nuovo Cavaliere a guidare i sogni italiani? Sono d’accordo, ma basta con i Cavalieri felloni e libidinosi poichè adesso è il turno dei Grandi Chirurghi spietati. di Gianni Petrosillo

21 aprile 2012

Il BRICS sfida l'ordine mondiale

La vista dei BRICS è stato un pugno nell’occhio per i paesi sviluppati sin dal principio. Il senso di irritabilità sta ora sta cedendo il passo ad un’inquietudine che rasenta l’ostilità. C’è la pressante necessità che il BRICS acquisisca una fissa dimora e un nome. È vero, dal vertice di New Delhi non è emerso nulla di clamoroso. Tuttavia, ci sono nuove avvisaglie che annunciano una potenziale impennata del BRICS. E ciò causa inquietudine al mondo sviluppato. In breve, come ricorda la Dichiarazione di Delhi dei paesi BRICS, esso è una “piattaforma per il dialogo e la cooperazione tra i paesi che rappresentano il 43% della popolazione mondiale”. Il che già è dire molto. Non c’è nulla di simile al BRICS oggi nel mondo sviluppato. Il G7 è diventato una reliquia della storia. Il panorama atlantico è cupo, con Europa e Stati Uniti che lottano con le rispettive crisi economiche, abbandonando la pretesa di essere i campioni del mondo. La Dichiarazione di Delhi fa un palese tentativo di conseguire una maggiore rappresentanza dei paesi emergenti e in via di sviluppo presso le istituzioni della governance globale. Questa non è una vacua rivendicazione. Perché il BRICS ha anche una speciale esperienza da condividere – essendosi “rapidamente ripreso dalla crisi globale”. L’Occidente non aveva mai sentito nulla di simile prima. Non si tratta del Sud del mondo che reclama per avere “di più”. Questa è un’aperta richiesta di “condivisione del potere”. Non si era mai parlato all’Occidente in questo modo durante tutti questi secoli, dalla Rivoluzione Industriale in poi. Il corso della storia sta chiaramente cambiando. La Dichiarazione di Delhi afferma: “Crediamo sia cruciale per le economie avanzate adottare responsabili politiche macroeconomiche e finanziarie, evitare la creazione di eccessiva liquidità globale e intraprendere riforme strutturali per innalzare una crescita che crei occupazione. Attiriamo l’attenzione sui rischi relativi agli ingenti e volatili flussi di capitali transfrontalieri che le economie emergenti stanno affrontando. Chiediamo ulteriori riforme e controllo finanziario internazionale, rafforzando la coordinazione delle politiche, la regolamentazione finanziaria, la cooperazione in materia di supervisione e promuovendo un solido sviluppo dei mercati finanziari globali e del sistema bancario.” Il mondo in via di sviluppo non aveva mai ammonito in questo modo il mondo sviluppato. Il BRICS ha fatto valere le proprie credenziali per fare tali richieste, dal momento che rappresenta le economie che stanno avendo una crescita economica generale e “contribuiscono significativamente alla ripresa globale”. La Dichiarazione di Delhi continua criticando la lentezza delle riforme concernenti le quote e la governance nel Fondo Monetario Internazionale e il funzionamento della Banca Mondiale, e mette in discussione la prerogativa dell’Occidente di essere a capo di queste istituzioni. Significativamente, il BRICS sta alzando la voce proprio mentre la Russia si accinge ad assumere la Presidenza del G20 nel 2013. Un risultato concreto del vertice di Delhi è l’accordo di considerare la possibilità di istituire una nuova Banca per lo Sviluppo, per mobilitare risorse per progetti riguardanti infrastrutture e sviluppo sostenibile nei paesi BRICS e in altri paesi in via di sviluppo, al fine di “integrare” il ruolo della Banca Mondiale e di altre istituzioni finanziarie regionali. L’idea è quella di liberarsi del perdurante dominio dei paesi sviluppati su queste istituzioni finanziarie. L’ideale, ciò che la Banca Mondiale e l’intera rete delle banche per lo sviluppo regionali già esistenti preferirebbero, sarebbe continuare a usare il denaro del BRICS e mantenere il modello esistente di egemonia occidentale. Al contrario, una banca del BRICS minaccerà la radicata pratica occidentale di usare le istituzioni finanziarie internazionali per prescrivere e imporre politiche economiche ai paesi in via di sviluppo e di conseguenza promuovere gli interessi commerciali dei paesi sviluppati e perfino stabilire l’egemonia politica. Le implicazioni sono considerevoli, in particolare per la geopolitica dell’Africa. Al summit di Delhi è stato richiesto un rapporto sulla creazione di una banca per lo sviluppo per il prossimo vertice annuale del BRICS in Sudafrica. È interessante notare che il Sudafrica rappresenta la voce del continente africano all’interno del BRICS. Inoltre, l’ingresso della Russia nell’Organizzazione Mondiale del Commercio cambierà notevolmente la capacità (e la volontà politica) del BRICS di salvaguardare il sistema commerciale multilaterale regolamentato e influenzare un risultato positivo ed equilibrato del Doha Round. Allo stesso modo, il vertice di Delhi è stato testimone della conclusione dell’Accordo quadro sull’estensione delle facilitazioni di credito in valuta locale sotto il Meccanismo Cooperativo Interbancario del BRICS e dell’Accordo multilaterale sulla facilitazione della conferma delle lettere di credito tra EXIM e le banche per lo sviluppo. Senza dubbio, questi saranno strumenti facilitativi utili per promuovere il commercio all’interno del BRICS. Un accanito attacco è iniziato da Occidente. Le critiche rivolte al BRICS parlano da sé: i paesi del BRICS aderiscono a “valori diversi”; gli altri paesi BRICS sono ostili all’ascesa della Cina; la Russia è un “paese in declino” e non ha “molto in comune” con il resto del BRICS inteso come attore significativo nell’economia mondiale, eccezion fatta per le sue vaste riserve energetiche; perciò, i paesi del BRICS non sono “alleati naturali”; gli indiani hanno timore dell’accerchiamento cinese e sono molto in ansia per l’”enorme squilibrio” tra loro, sebbene abbiano “molti interessi economici in comune”; la Cina, a sua volta, è preoccupata per lo spettro dell’alleanza asiatica guidata dagli Stati Uniti schierata contro di lei, di cui fa parte l’India; il Sudafrica sta lottando per sostenere la crescita; la Russia rimane “instabile”; il Brasile promette bene, mentre Cina e India sono paesi enormi con uno straordinario potenziale e record impressionanti. Il BRICS non è un “raggruppamento naturale” . Senza dubbio, alcune di queste argomentazioni hanno un valore, ma d’altro canto, il processo del BRICS riguarda l’ampliamento progressivo della comunanza di interessi tra i paesi membri e non la creazione di un blocco di nazioni con la stessa mentalità basata su un insieme di cosiddetti valori comuni. È un processo pragmatico che concede spazio e autonomia ai paesi membri, che a sua volta fornisce al BRICS la libertà di lavorare nel tempo alla creazione di una massa critica. La verità è che la massa critica si sta costituendo ed è già visibile. Mentre acquisisce fiducia in se stesso, il BRICS sta spiegando le ali. Il vertice del 2011 in Cina fece piccoli passi verso l’armonizzazione delle posizioni degli Stati membri sulle questioni di politica internazionale. Il BRICS ha fatto un ulteriore passo avanti durante il summit di Delhi per adottare una posizione comune sulla Siria, la “zona calda” numero uno nella politica mondiale di oggi. La Dichiarazione di Delhi pone l’accento su un processo politico inclusivo guidato dalla Siria stessa e sul dialogo nazionale, invitando la comunità internazionale a rispettare l’indipendenza, l’integrità territoriale e la sovranità del paese. Il cosiddetto “Piano d’Azione di Delhi” approvato durante il vertice sottolinea la volontà da parte degli Stati membri di rafforzare il processo BRICS. Esso prevede incontri regolari e frequenti dei ministri degli esteri, delle finanze, del commercio, dell’agricoltura, della salute e dei governatori delle banche centrali (oltre agli incontri degli alti ufficiali in varie aree di cooperazione) a latere di eventi internazionali rilevanti. L’intenzione è quella di coordinare una posizione comune del BRICS su un’ampia sfera di interessi comuni a livello mondiale. Ciò che bisogna evidenziare è la decisione di tenere degli incontri “autonomi” degli Alti Rappresentanti dei paesi BRICS responsabili della sicurezza nazionale. Nel contesto indiano, il Consigliere per la Sicurezza Nazionale è la figura chiave per quanto concerne il più alto livello del processo decisionale in politica estera e di sicurezza – ed è degno di nota che si tratti anche del rappresentante designato per guidare il corso delle relazioni tra India e Cina. Il BRICS riserva interessanti possibilità all’India per lavorare con la Cina sulle questioni globali. Visto da un’altra angolazione, il processo del BRICS esplora le aspirazioni comuni delle due potenze asiatiche nell’emergente ordine mondiale. Esse sono completamente libere di definire la priorità delle problemi. Il cuore del questione è che il BRICS fornisce un ambiente amichevole e rilassato nel quale possono aver luogo riflessioni costruttive tra i paesi membri, così come a livello bilaterale. Nel caso sia stato trascurato, a latere del vertice di Delhi, le leadership cinese e indiana si sono prese del tempo per discutere sulla loro relazione. Quando i critici occidentali ironizzano brutalmente sul fatto che al BRICS manchi la “malta”, ecc., sono sulla strada sbagliata. Il BRICS non è stato pensato per essere un edificio di vetro e acciaio. È un processo nato dalla volontà comune di fondere le aspirazioni condivise riguardo il nuovo ordine mondiale. Date le porzioni crescenti di PIL mondiale delle economie del BRICS, esse reclamano maggiore partecipazione nell’architettura globale. Mentre i cani abbaiano, la carovana è determinata a passare. Questo è il messaggio emerso dal summit di Delhi del BRICS. di Melkulangara Bhadrakumar
(Traduzione dall’inglese di Francesca Malizia)

20 aprile 2012

Il debito pubblico

La vera prigione in cui siamo rinchiusi, è quella che ha per sbarre la nostra ignoranza. Se sapessimo come realmente stanno le cose, diventeremmo di colpo liberi senza bisogno di forzare i cancelli e rompere le catene. Questo, e non altri, è il vero obiettivo dei "padroni del mondo": se riescono a mantenerci sempre nel buio della nostra ignoranza, magari distogliendo la nostra attenzione con argomenti futili e creandoci nemici inesistenti o paure infondate, saranno certi di poterci sempre far fare quello che vogliono. E quando c'è il rischio che potremmo "mangiare la foglia", non ci consentono di esprimerci (con il voto). "Cumannari iè megghiu chi futtiri" diciamo noi siciliani doc che, dai fenici in poi, di "comandanti" ne abbiamo visti davvero tanti e, da ognuno, abbiamo imparato quel nostro freddo disincanto di fronte alla promesse dei potenti che, col tempo, s'è trasformato in "complicità" con i ribelli (i briganti) e sfiducia nelle istituzioni. Il 99% degli italiani è convinto che il debito pubblico sia una cosa detestabile e rappresenti un ipoteca sul futuro del paese e sulle generazione future. Per questo, e non per altro, la stragrande maggioranza degli italiani è d'accordo sui sacrifici da fare per ridurre quel debito "mostruoso"... prima che ci divori tutti (noi ed i nostri figli). Ebbene, italiani ed italiane, sono entrambi stronzate: sia la mostruosità del debito pubblico che l'ipoteca sul futuro. Il debito pubblico, l'ho detto mille volte, ha reso possibile la ricchezza privata (dei cittadini). Il deficit dello Stato si trasferisce nel risparmio dei cittadini. Se lo Stato italiano non avesse il debito che ha, voi non avreste comprato e pagato la vostra casa e non avreste soldi in banca o altrove... e, dunque, ritenerlo detestabile è come sputare nel piatto in cui s'è mangiato. Uno Stato che non ha debiti (come l'ex Unione sovietica) è abitato da cittadini che non possiedono un cazzo. Non è un'opinione, è matematica. Il Giappone ha il 225% di debito pubblico e i suoi cittadini sono tra i più ricchi del mondo. L'Italia ha il 120% di debito pubblico e la ricchezza degli italiani è, di gran lunga, la più elevata d'Europa e, con il Giappone, tra le prime al mondo. Sono numeri compari, mica supercazzole da bar. Il debito dello Stato è il risparmio dei suoi cittadini. Se non capite questo, qualsiasi peracottaro con un po di parlantina, riesce a prendervi per il culo convincendovi a fare (quasi volentieri) cose assolutamente nefaste per voi e per il vostro paese. Grazie a questa colossale minchiata, i tedeschi ci hanno imposto il fiscal compact: la più grande truffa dell'era moderna. E l'ipoteca sul futuro? Gli interessi sul debito, dicono i cazzari che rappresentano questa minaccia inesistente, dovranno essere pagati dai nostri figli e nipoti e, quindi, noi gli staremmo togliendo il pane di bocca... Ma che sciocchezza è mai questa? E' vero che gli interessi sul debito saranno pagati tra 20 anni dalla prossima generazione (esattamente come noi stiamo pagando gli interessi correnti), ma a chi andranno quegli interessi? A coloro che deterranno, tra 20 anni, i titoli del debito... Cioè la stessa generazione futura che da una parte paga gli interessi (attraverso le tasse) e dall'altra li incassa (attraverso le cedole sui titoli di Stato). Esattamente come succede adesso e succedeva 20 anni fa. Il risultato finale si concretizza in una beata minchia di niente... perché questo è un gioco a somma zero. Quindi, picciotti e picciotte, tranquillizzatevi: non state togliendo il pane di bocca proprio a nessuno. Riepilogando: il debito pubblico ha consentito agli italiani di essere i più ricchi d'Europa e tra i più ricchi al mondo, e l'ipoteca sul futuro dei nostri figli e nipoti, è una favola per bambini scimuniti. Se siete tra quelli che ci hanno creduto e vi siete fatti convincere che era necessario "fare sacrifici" per ripagare il nostro debito, ebbene, vi siete lasciati pigliare per il culo. Non vi basta la mia "spiegazione"? Leggete i libri di John Kenneth Galbraith, Hyman Minsky e Randall Wray (tre economisti di fama mondiale) e troverete le stesse conclusioni supportate da equazioni e numeri (Wray, in particolare, le dimostra in maniera lapalissiana). Ma, e la domanda nasce spontanea, se è le cose stanno così, perché ci bombardano continuamente con le conclusioni contrarie? Paisanu... perché ti devono fottere. Come potrebbero, diversamente, convincerti a "ridare indietro" parte della tua ricchezza (i tuoi risparmi)? Senza quelle storielle della mostruosità del debito pubblico e dell'ipoteca del futuro dei tuoi figli, neanche Dio ti convincerebbe ad accettare tutti i tagli, le tasse ed il resto... senza fare bordello... come se sapessi, tra te e te, che la medicina è amara, ma non c'è alternativa. Non è così? E a chi vanno quei tuoi risparmi? Quando lo Stato produce deficit (spese più alte delle tasse), i piccioli (del suo debito) vanno ad incrementare i tuoi risparmi. Quando, invece, lo Stato produce surplus (tasse più alte delle spese) i tuoi risparmi fanno il percorso inverso: da te allo Stato. Il fiscal compact, dunque, produrrà quello spostamento (da te verso lo Stato) nella misura del 50% dell'attuale debito pubblico, ovvero 1000 miliardi di euro... Mi hai capito compare? Nei prossimi 20 anni i cittadini italiani si impoveriranno di 1000 miliardi di euro: il 67% del Pil... il 3.35% l'anno. Ti hanno convinto che sei stato tu a togliere il pane dalla bocca ai tuoi figli e nipoti (con la cazzabubbola del mostruoso debito pubblico che ipoteca il loro futuro)... e invece, loro glielo hanno tolto davvero (con il fiscal compact)... Lo vedi con chi hai a che fare? Gente con le palle ed il pelo sullo stomaco, che usa la comunicazione per convincerti di qualsiasi cosa gli convenga... anche che tu sei il carnefice, e invece sei la vittima (ricordi la favola dell'agnello ed il lupo di Fedro?). Se gli italiani sapessero come stanno davvero le cose, sarebbero già in piazza con le roncole ed i forconi... ma non lo sanno e, in più, gli danno da discutere delle minchiate tipo l'articolo 18... e così se la pijiano nder culo senza neanche bisogno di vaselina. Vi annuncio che Bossi e Maroni hanno lanciato un referendum per annettere la Lombardia alla Svizzera. In qualità di cittadino lombardo e viste le prospettive dell'Italia, voterei "si" all'annessione. Ma poi mi chiedo perché mai gli svizzeri dovrebbero volerci? Se anche loro facessero un referendum (sull'accettare la Lombardia nella Confederazione) temo una disfatta dei "si". Mi sa che ci tocca lottare qui. di G. Migliorino

19 aprile 2012

L'autore di Transaqua, Marcello Vichi, attacca il dossier americano sulla "guerra per l'acqua"

Sul periodico Gente di questa settimana si trova un articolo che annuncia lo scoppio della "guerra per l'acqua" a livello globale. Ma non fa parola delle soluzioni possibili alla crisi idrica su questo pianeta, che – paradossalmente - dallo spazio assume un colore azzurro. Non è la prima volta che si parla di questo pericolo, certamente. Tuttavia, l'intenzione dell'articolo sembra essere quella di rappresentare un destino ineluttabile e dunque di preparare il popolino alla spiacevole prospettiva. Il titolo impiega l'espressione inglese "water war", forse per dare maggior autorevolezza all'analisi. Le prime righe battono subito sul chiodo: «[...] a toglierci ogni illusione è stata l'intelligence americana [...] in uno studio appena divulgato dal Dipartimento di Stato di Washington e commissionato un anno fa dal segretario di Stato Hillary Clinton». In seguito si legge: «Lo scenario delle water wars potrebbe diventare realtà dal 2022, precisa lo studio del National intelligence estimate». A parte il fatto che già in molti posti del mondo si litiga per l'acqua, il vero insulto è l'omissione delle possibili risposte alla crisi idrica mondiale. Risposte ben diverse dalle vaghe evocazioni e dagli appelli del retore Obama, il quale, come si legge scorrendo l'articolo, con la Water Partnership vorrebbe «promuovere e irrobustire la cooperazione della Casa Bianca con Ong, associazioni, soggetti privati e Paesi di tutto il pianeta», ma non si sa con quali precisi fini. Chi conosce le promesse dei progetti come il NAWAPA e il Transaqua, invece, sa che cosa occorra fare, quanto tempo sia stato perduto e che non si può accettare oltremodo questa maniera di fare "informazione". Il primo ad indignarsi è proprio l'ingegnere Marcello Vichi, già nel decennio 1980 coinvolto nel progetto Transaqua, la grande opera idrica nel bacino del Congo, pensata per portare l'acqua dalle regioni pluviali a quelle desertiche. «L'ignavia e lo stupido egocentrismo dell'Occidente (americani in testa) scoprono che nei prossimi anni ci saranno le "guerre per l'acqua"», afferma Vichi. «Peccato», prosegue, «che già negli anni 1970, scienziati, divulgatori, e uomini politici seri, avessero già lanciato gli stessi allarmi, ma la gente non moriva ancora di sete a milioni e le previsioni, ancorché scientificamente dimostrate, non interessavano a nessuno. Oggi continuano ancora ad essere pochi coloro interessati, ma si prepara il terreno a notizie "più interessanti" che a breve verranno, alle notizie "vendibili"». Oggi sono 1,6 miliardi le persone che fanno i conti con la scarsità d'acqua. È la FAO ad attestarlo, ricorda Vichi, il quale sardonicamente ricorda che essa «notoriamente ha speso grandi energie per risolvere alla radice questi problemi..!"» «La stessa FAO oggi ci racconta che 10.000 persone al giorno muoiono a causa della siccità. Queste sono notizie che fanno vendere», al pari dei titoli scandalistici di prima pagina. «Nonostante che la solita FAO preveda che nel 2025 i due terzi della popolazione mondiale vivrà in condizioni di "stress idrico", l'articolo [...] fa presente che nel continente africano solo il Nilo rappresenti una risorsa, ignorando che oramai non potrà essere più una risorsa, per nessuno, a causa del suo iper-ultra sfruttamento, e che, nello stesso continente, esiste anche un fiume chiamato Congo.» «Questo è, a tutt'oggi, il grado di conoscenza e di consapevolezza dei fatti, non del settimanale Gente, ma dell'United States Intelligence Community che raccoglie le informazioni di 16 U.S. intelligence Agency del Federal Governement degli Stati Uniti. È la stessa "intelligence" che si allarma del costo della benzina nel mondo, quando il prezzo alla pompa negli USA supera la soglia delle reazioni popolari pericolose?» La soluzione africana, come abbiamo altre volte sostenuto, sta nella costruzione di grandi infrastrutture, idriche e di trasporto. Per quanto concerne l'acqua, il progetto principale è quello di alimentare il Lago Ciad con le acque del bacino idrico centrafricano. Se si fosse partiti al momento giusto, non avremmo avuto per decenni gli stupidi problemi di carestia e siccità, né le miriadi di associazioni di raccolta fondi, spesso di dubbio comportamento. Per quanto riguarda i trasporti, si tratta di dotare il continente di linee di trasporto ferroviario tali da integrarlo fisicamente, da Nord a Sud e da Est a Ovest. Ma torniamo al progetto Transaqua. Questo prevederebbe il trasferimento annuo di 100 miliardi di metri cubi di acqua (superiore alla portata complessiva del Nilo), tramite un canale lungo 2400 km. Questa operazione dovrebbe rendere coltivabile una regione di 12 milioni di ettari, contrastare la desertificazione del suolo nella regione sahariana, sfamare cento milioni di africani ed eliminare uno dei motivi delle emigrazioni di massa. Il progetto sviluppato da Vichi per la società Bonifica del gruppo IRI, godette del plauso delle guide politiche centrafricane, ma non dei governi o di certi enti occidentali. Le più rosee speranze nella realizzazione del progetto furono travolte dall'esplosione nella regione delle cosiddette "guerre etniche", espressione degli interessi colonialisti europei, e dalla privatizzazione dell'IRI e dallo smantellamento dell'economia italiana sotto l'azione della furia giacobina diretta dalla City di Londra, nel periodo 1992-1995. Al pari dell'ing. Vichi, il nostro movimento internazionale continua a promuovere l'idea. Nel 2011 si è tenuta una conferenza a N'Djamena, nello stato del Ciad, proprio sulla prospettiva del trasferimento idrico dal Congo al Lago Ciad. La presenza di Gheddafi, favorevole al progetto che avrebbe potuto portare la preziosa acqua anche in Libia, aveva fatto sperare che i capitali da investire sarebbero stati trovati. Tutti sappiamo che cosa è avvenuto a Gheddafi, quando all'improvviso le potenze occidentali hanno deciso di volersi sbarazzare del dittatore. L'idea di far rifiorire la regione intorno al Lago Ciad non è morta anche perché Jacques Cheminade, candidato alla presidenza della Francia, ne ha fatto uno dei pilastri del programma di governo, costringendo i media a parlarne. Se le nazioni occidentali vogliono davvero evitare il collasso economico e scongiurare le conseguenze che, come accadde negli anni Trenta, ne deriverebbero, devono assolutamente ridarsi all'economia reale. Con progetti come il Transaqua e il NAWAPA, preparando allo scopo un sistema creditizio globale in sostituzione di quello finanziario ormai fallito. by (MoviSol)

18 aprile 2012

Lo Stato totalitario fiscale

«Questa la racconta un amico commercialista: Un mio cliente possiede una Maserati. Negli ultimi mesi, è stato fermato dalla Guardia di Finanza cinque volte; tutte, il suo stato di contribuente è stato esaminato da cima a fondo, e tutte le volte trovato‘congruo’ al possesso della Maserati. Alla fine, per non essere più fermato e perdere tempo (e denaro), il mio cliente ha chiesto ai finanzieri un lasciapassare. E l’ha ottenuto, firmato e bollato. Adesso, appena lo fermano,esibisce il suo ‘certificato di congruità’, e così può proseguire senza intoppi.Ma dov’è finita la libertà?Dov’è finito il diritto alla proprietà privata?» Sì, caro amico. Il governo dei tecnici – che in teoria sono tutti sostenitori del liberismo (molti di loro lo insegnano, alla Bocconi) – sta creando uno Stato poliziesco di stampo leninista. Basato sul sospetto sistematico sui cittadini, il controllo totale e minuzioso su ciò che spendiamo, sulla punizione fiscale della proprietà immobiliare a scopi distruttivi della stessa proprietà. Molto presto infatti, Equitalia s’impadronirà di migliaia di case ed edifici sequestrati a proprietari che non sono in grado di pagare l’IMU. Sarà un passo decisivo verso la statalizzazione della proprietà un tempo privata, come ai tempi di Lenin. E in un tale sistema, non può mancare la denuncia del «nemico interno», del «sabotatore economico», sotto specie di Evasore Fiscale. Un mostro senza volto che nasconde da qualche parte (ci dicono) «200 miliardi», e che se solo Equitalia ci mettesse sopra le mani, tutti i nostri problemi sarebbero risolti. Perchè, come dice lo slogan ideologico della campagna di Stato contro l’Evasore, «quando tutti pagano, i servizi diventano davvero più efficienti». Tipica menzogna di regime: da decenni paghiamo sempre di più, e i servizi diventano sempre meno. Menzogna che tutti riconoscono come menzogna ma – come avveniva ai tempi di Stalin – tutti devono fingere di credere vera. Basta citare le direttive che il governo ha dato all’agenzia pubblicitaria Saatchi & Saatchi per capire che viviamo sotto un regime totalitario: « Pagare le tasse dovrebbe essere sinonimo di orgoglio, appartenenza alla patria, libertà. Volontà di fare sistema, di sentirsi parte della medesima società. Di meritocrazia». Puro Orwell: la schiavitù fiscale viene definita «libertà», e non manca l’appello al patriottismo, ultima risorsa dei tiranni criminali, oltrechè dei mascalzoni imboscati. Il ministro Piero Giarda, professore e tecnico, ha già detto che non si taglierà la spesa pubblica, ed ha sfidato: chi invoca i tagli pubblici «dica quali servizi pubblici vorrebbe smontare e trasferire al mercato». A parte che è strano questo disprezzo del «mercato» per un governante che è stato messo lì per placare e servire i «mercati finanziari», questa è la solita menzogna del potere statalista. Sindaci, governanti di Regioni, presidenti di provincie, appena si accenna a tagliare le loro spese, strillano: «Dovremo dare meno servizi pubblici», meno autobus, meno scuole, meno sanità. È proprio della Casta totalitaria, appena si parla di «tagli pubblici», pensare a tagliare i servizi pubblici anzichè i « loro emolumenti» e colossali introiti. Anche la casta sovietica che aveva i suoi negozi riservati, le sue case e dacie di lusso gratis (per lo più espropriate ai vecchi nobili) non ha mai pensato che doveva ridurre le proprie spese mentre la gente moriva di fame per la caotica gestione economica del «comunismo» (ma veniva data la colpa ai «sabotatori della produzione» e ai kulaki «che nascondono il grano allo Stato»). Al professor Giarda sarebbe fin troppo facile, oggi, indicare «quali servizi pubblici smantellare»: i fondi ai partiti sono lì da vedere, grazie agli scandali. La Lega, nonostante tutte le spesucce del Trota e di mammà (11 appartamenti, un milione per la scuola Bosina-padana), ha in banca 30 milioni – soldi di noi contribuenti. La Margherita ne ha oltre 23, prima dei prelievi di Lusi. Alleanza Nazionale, partito non più esistente, ne ha in banca 55 milioni. Gran parte a disposizione privata di «Caghetta» Fini. Se li hanno in banca, è perchè non sanno cosa farsene. I «rimborsi» ai partiti sono costati dal ‘94 ad oggi, 2,2 miliardi di euro. Una cifra che potrebbe risolvere molti problemi. Le autoblù costano 4 miliardi l’anno: se ne potrebbero privare la metà dei nostri governanti, senza prima tagliare gli autobus. E quanto ci costa il partito di Mastella, da tanto tempo defunto? Scommetto che riceve i rimborsi elettorali anche lui (1). Tagliare quel «servizio pubblico», professore: non ne abbiamo bisogno (2). È un servizio pubblico che non ci serve a nulla, tanto più che il 90% delle norme varate dal costosissimo parlamento sono in realtà ratifiche di normative europee. Si può sostituire Camera e Senato con centraliniste che ricevano gli ordini da Bruxelles, come si può sostituire Bankitalia con un centralino collegato a Francoforte. Pare così evidente! Invece, sotto i nostri occhi, i tre partiti maggiori (un tempo divisi in «maggioranza e opposizione», oggi unitissimi), stanno cercando di varare in fretta una «riforma» a loro esclusivo beneficio: che comporta più «trasparenza» nelle spese dei partiti – sappiamo cosa vale la trasparenza – ma nessun taglio. Nemmeno un euro in meno. Stanno per arrivare infatti 100 milioni di pseudo-rimborsi, di grasso che cola – estratto da una società che viene impoverita, tartassata, impedita persino di guadagnare – e non li vogliono perdere. Piuttosto, «meno servizi pubblici», meno autobus, meno ospedali. Sicchè dopotutto è inutile prendersela col governo «tecnico». Sì, il governo Monti è il risultato di un putsch bianco, ma è appoggiato dai partiti maggiori, oggi non più «maggioranza-opposizione» ma unitissimi, proprio perchè assicura che i loro indebiti introiti non saranno toccati. È vero che nell’instaurare l’idrovora fiscale più vorace della storia, Monti sta mutando la nostra società in uno Stato poliziesco sovietizzante, dove chi possiede una Maserati è sospetto, i conti correnti sono aperti allo sguardo dei Befera, aurto, case e macchinari sono sequestrati per ritardi nel pagamento delle imposte, si invita alla delazione del vicino, e si strangola l’economia reale, il tutto fra grandi colpi di grancassa propagandistica contro il «Nemico Interno». Tutto vero. Ma è vero che la democrazia non esisteva più anche prima. Da quando i partiti si sono scremati dalla spesa pubblica quegli enormi tesori in segreto, il gioco della democrazia non finge più nemmeno di funzionare: sempre le stesse persone da trent’anni, le elezioni non hanno più senso. Sempre gli stessi nominati da eleggere in liste bloccate. Anche sotto Stalin avvenivano elezioni: a liste bloccate, si era liberi di scegliere i nomi messi in lista dal Partito. di Maurizio Blondet NOTE: 1) Sarebbe utile calcolare anche i costi indiretti; i figli di Mastella sembrano tutti ben impiegati in aziende pubbliche e parapubbliche. L’ultima che ho appreso: esiste un figlio di Mastella, 38 anni, sposato a una coordinatrice provinciale ligure del Pdl, che è stato fatto – in gran segreto – dirigente di Ansaldo Energia. Non c’è solo Trota. 2) Nel 1970, 22 lavoratori dipendenti nel settore privato dovevano mantenere un lavoratore pubblico. Oggi, sono solo 13 a doverlo mantenere. Anche questo a proposito dei «servizi pubblici da smantellare».

30 aprile 2012

Crimini e misfatti: tutti gli orrori del governo Monti

“Micromega” li chiama “errori”, ma quella che Marco Travaglio riassume – sulle pagine dell’“Espresso” – è una spaventosa galleria di orrori. Davanti ai quali si potrebbe dire, con una battuta, che ci vorrebbero dei tecnici per ripararne tutti i guasti: «Ma se questi guasti li fa il governo tecnico, chi li ripara?». In pochi mesi, il “governo dei banchieri” creato da Napolitano ha totalizzato un record micidiale di disastri, grazie alla ferrea guida dal super-lobbysta Monti, già advisor di Goldman Sachs e stratega della Trilateral Commission per l’Europa, membro dell’élite finanziaria mondiale incarnata dal Gruppo Bilderberg e già “ministro” della Commissione Europea, massima espressione dell’oligarchia tecnocratica contro cui l’Europa – per via elettorale – sta cominciando finalmente a ribellarsi, mentre affonda nella spirale della recessione con l’euro che trasforma in un incubo la voragine dei debiti sovrani. Nella sua scarna essenzialità, il “bollettino della catastrofe” stilato da Travaglio è sbalorditivo, su tutti i fronti. Televisione: il “governo tecnico” l’8 Mario Monti gennaio promette di metter mano alla Rai «entro poche settimane» e poi non fa nulla per tre mesi e mezzo, anche dopo che il 28 marzo è scaduto il Cda. Finanziamento alla “casta”: l’esecutivo si dice «disponibile a un decreto» per tagliare i fondi pubblici ai partiti e poi non muove un dito. Province: il governo annuncia che saranno abolite, poi si scopre che restano, ma i consiglieri non li eleggono più i cittadini, bensì li nominano i consiglieri comunali. Pensioni: Monti alza l’età pensionabile a 68 anni, mentre decine di migliaia di lavoratori vengono “rottamati” a cinquant’anni; poi s’accorge che, così facendo, centinaia di migliaia di lavoratori restano senza stipendio né pensione; al che, annuncia che gli “esodati” sono 65.000 (perché i soldi bastano solo per quelli), salvo scoprire che invece sono 350.000. Tassa sulla prima casa: il governo la ripristina creando l’Imu ma esentando le fondazioni bancarie – non invece le case di vecchi e invalidi ricoverati in ospizio; sempre Monti divide l’Imu prima in due, poi in tre rate, annunciando aliquote più alte ma senza fissarle. Risultato: contribuenti nel caos, mentre i tecnici della Camera accusano l’esecutivo di “incostituzionalità”. Ma non è finita: il “governo dei banchieri” abolisce le imposte sulle borse di studio fino a 11.500 euro, ma non per i 25.000 medici specializzandi, scippandogli così il 20% di quel poco che lo Stato concede loro per finire gli studi. Quindi il lavoro, con la “crociata” contro l’articolo Marco Travaglio 18: si abolisce il reintegro giudiziario per i licenziati ingiustamente con la scusa dei motivi economici, poi si annuncia che la riforma è immodificabile, infine si fa retromarcia alla prima minaccia di sciopero. Economia: si lancia il decreto liberalizzazioni ma poi lo lascia svuotare in Parlamento dalle solite lobby, mentre la Ragioneria dello Stato segnala la mancanza di copertura finanziaria per alcune norme. Il governo dà parere favorevole a un emendamento Pd che cancella le commissioni bancarie, salvo poi accorgersene e cancellarlo con un altro decreto. Un altro emendamento, sempre del Pd, propone di tassare gli alcolici per assumere 10.000 precari della scuola: il governo prima lo accoglie, poi lo fa bocciare in extremis. Mario Monti annuncia la ritassazione dei capitali “scudati”, ma senza spiegare come si pagherà: così, nessuno riesce a pagare nemmeno se vuole. Altra tassa: sulle ville all’estero, ma dimenticando quelle intestate a società, che sono la maggioranza, così non paga quasi nessuno. Episodi tragicomici: l’esecutivo toglie ai disoccupati l’esenzione dal ticket sanitario e poi la ripristina scusandosi per il “refuso”. E ancora: vara il decreto “svuotacarceri” per sfollare le celle, col risultato che i detenuti aumentano: 66.632 a fine febbraio, 66.695 a fine marzo. Sicurezza: il governo annuncia la tassa di 2 centesimi sugli sms per finanziare la Protezione civile, poi se la rimangia e aumenta le accise sulla benzina. Inoltre: annuncia due volte, nella Delega fiscale, un “fondo taglia-tasse” per abbassare le aliquote e abolire l’Irap coi proventi della lotta all’evasione, ma per due volte poi lo cancella. Sempre Monti depenalizza le condotte “ascrivibili all’elusione fiscale” con “abuso del diritto”, che vedono imputati Dolce e Gabbana, indagati dirigenti di Unicredit e Barclays e multati dal fisco Flavio BriatoreIntesa Sanpaolo per 270 milioni e Montepaschi per 260 (lodo salva-banche). Ancora: inventa una tassa sulle barche di lusso ma cambia tre volte le regole, così pochi la pagano e quasi tutti portano gli yacht all’estero (“lodo Briatore”). Nella riforma della Protezione civile, il governo Monti scrive che «il soggetto incaricato dell’attività di previsione e prevenzione del rischio è responsabile solo in caso di dolo o colpa grave», rischiando di mandare in fumo il processo per omicidio colposo in corso all’Aquila contro la Commissione grandi rischi, nonché le indagini sulla mancata prevenzione nel sisma del 2009 (lodo salva-Bertolaso & C.). E nel pacchetto anticorruzione, il ministro Severino cambia il nome e riduce la pena (e la prescrizione: da 15 a 10 anni) alla concussione per induzione, reato contestato a Berlusconi nel processo Ruby (lodo salva-Silvio). «Si diceva che il “governo dei professori” doveva riparare i danni fatti dai politici: ma agli errori che accumulano Monti e i suoi ministri chi porrà rimedio?», scrive “Micromega”, che riprende il «primo, sommario elenco» indicato da Travaglio. “Errori” o, meglio, orrori? di Giorgio Cattaneo

29 aprile 2012

Se Berlusconi umiliava le donne, Monti le getta in mezzo ad una strada

Si potrebbero definire “borghesucce isteriche”, tanto care alla sinistra cresciuta a caviale e Manifesto (un giornale che è come l'erba maligna: non muore mai) e alla destra alla Fini, Polverini e Alemanno, sempre pronta perché prona a correre in soccorso al comune amico sionista a stelle e strisce. Queste serve isteriche, nonostante il loro pedigree da vermi, ottennero un notevole seguito di gente festosa, allegra e colorata (di solito preferendo il rosso e il viola ma non disdegnando l'arancione) per sentirle squittire contro un presidente del consiglio (ma sarebbe più opportuno scrivere “coniglio”) che le aveva offese come donne. Ora, che il mentecatto Berlusconi sia un povero idiota (per motivi che nulla hanno a che fare con le sue abitudini sessuali da miliardario) nessuno si sogna di metterlo in discussione, ma non ci sembra che ai tempi di Berlusconi gli operai e gli imprenditori si suicidassero. Monti, essendo un professore, secondo queste teste tanto raffinate quanto vuote, starebbe contribuendo a restituire l'onore delle verginelle piazzate dal paparino nelle redazioni della Rai e delle migliori testate (di cazzo) giornalistiche? Pensano veramente che l'onore femminile vituperato da Berlusconi sia stato finalmente lavato con il sangue dei tanti mariti che hanno scelto il suicidio? Adesso, che finalmente il sangue scorre davanti alle agenzie delle entrate, si sentono improvvisamente appagate come comari del cattivo augurio, da non sentire più il bisogno di esprimere il loro orgoglio femminile ferito? Le abbiamo viste ballare e cantare, sorridere e mostrare il lato più osceno di una donna: il cattivo gusto del perbenismo falso e ipocrita, neppure paragonabile con quello delle ragazze a contratto sessuale intorno a Berlusconi. Sono scomparse sotto l'onda anomala atlantica che, avendo finalmente travolto il Grande Puttaniere, poteva finalmente riversarsi sopra gli italiani senza nessun ritegno. Adesso, finalmente, per queste sgualdrine della carta stampata e televisiva, gli italiani hanno riacquistato il proprio onore essendo state ristabilite le garanzie costituzionali vituperate dal “dittatore” Berlusconi attraverso il colpo di stato tecnico di Napolitano, gettando per la strada intere famiglie, costringendo gli anziani a far la spesa nei secchioni della spazzatura. Secondo queste prezzolate paladine della sionistra colta e genuinamente antifascista siamo finalmente tornati ad essere un paese normale (secondo il loro cattivo gusto della genuflessione), sottomesso e spremuto come un pomodoro, dove la casa è diventata un privilegio che non tutti possono permettersi e, secondo le benpensanti semicolte, non devono evidentemente permettersi. Ai tempi di Monti, per le paladine dell'orgoglio femminile senza sé e senza ma, la donna ha finalmente ritrovato il proprio ruolo energico e dinamico, sottraendole dall'umiliante condizione di andare a lavorare e allo stesso tempo governare la casa con la geniale idea di fargli perdere il lavoro e pure la casa, restituendole alla loro vera natura creativa, colorata, festosa e gioiosa in quanto donne padrone solo di loro stesse. Bisognerebbe fargli capire la differenza tra un paese normale e un paese normalizzato ma sarebbe tempo sprecato verso chi, della propria indole sottomessa, ne ha fatto un vanto. di Stefano Moracchi

Monti? E' uno dei nostri

Vuol sapere un segreto?”, dice Carlo Secchi con la voce impastata durante un’ora di colloquio a murare domande e tramandare leggende. La Commissione Trilateral, origine americana e desideri di tecnocrazia, dollari e diplomazia, maneggia sapientemente i segreti. Secchi è il presidente italiano, nonché ex rettore all’Università Bocconi e consigliere d’amministrazione di sei società quotate in Borsa tra cui Italcementi, Mediaset e Pirelli: “Quando il nostro reggente europeo Mario Monti ha ricevuto l’incarico dal Quirinale, e stava per formare il governo, noi eravamo riuniti: curiosa coincidenza, non l’abbiamo scelto noi”. Questo è un tentativo di respingere i complotti che inseguono la Commissione. Monti premier, promosso o bocciato? La Trilateral guarda l’Italia con grande interesse. Tutti sono contenti e ammirati per il lavoro di Mario Monti. È inevitabile che ci sia un’ottima considerazione del premier, che è stato un apprezzato presidente del gruppo europeo. Prima osservava e giudicava, ora è osservato e viene giudicato. Ovviamente i princìpi di fondo – su economia, finanza, riforme, bilancio, sviluppo – sono ancora condivisi. Mario non li ha rinnegati: c’è continuità fra il Monti in Commissione Trilateral e il Monti a Palazzo Chigi. È un fatto positivo. Non è l’unico che passa per le nostre stanze: da Jimmy Carter a Bill Clinton, da Romano Prodi fino al greco Lucas Papademos. Cos’è la Trilateral? Una storia di quarant’anni, a breve onoreremo l’intuizione del banchiere David Rockefeller e le visioni di Henry Kissinger. Avevamo una struttura tripolare che rispettava i poteri di un secolo fa: americani, canadesi e messicani; l’Europa democratica, cioè occidentale; Giappone e Corea del Sud. Adesso ci spingiamo verso i paesi orientali, quelli più rampanti: India e Cina, Singapore e Indonesia. Siamo una specie di G-20 allargato. La Croazia è l’ultima ammessa. Che ruolo giocate? Favorire il dialogo su temi di carattere economico e geopolitico. Vogliamo coniugare l’interesse fra le istituzioni e gli affari. Bella definizione, teorica però. Chi seleziona i componenti? Siamo divisi in gruppi continentali e nazionali con un numero limitato. In Europa non possiamo superare i 200 membri, mentre in Italia siamo 18. Posso citare, per fare un esempio, Marco Tronchetti Provera (Pirelli), Enrico Tomaso Cucchiani (Intesa), John Elkann (Fiat). Io sono entrato come rettore della Bocconi. Chi si dimette fa un nome per la successione, ma si cercano figure simili. Soltanto un banchiere può sostituire un banchiere. Il nostro disegno è quello di contenere la società italiana: professori universitari, esperti militari, ambasciatori, imprenditori, politici, giornalisti. Ci vediamo due volte all’anno con vari argomenti da approfondire e cerchiamo di trovare una soluzione. Lanciamo idee. E chi le raccoglie? Ciascuno di noi ha un collegamento con le istituzioni. Il nostro presidente può chiedere un incontro con i commissari europei. Noi elaboriamo proposte, non facciamo pressioni. Non votiamo mai per un nostro piano, discutiamo, punto. Differenze con il Club Bilderberg? Le nostre porte sono più aperte, c’è un profondo ricambio generazionale. A volte si può assistere ai dibattiti, invitiamo personalità a noi vicine, ma con un divieto assoluto: non è permesso riportare dichiarazioni all’esterno. Questo serve a garantire la nostra libertà. C’è tanta massoneria fra di voi? Personalmente non me ne sono accorto, può darsi che qualcuno dei membri maschi sia massone. Non c’è nulla, però, che rimandi a una loggia. Più che i grembiulini, noi indossiamo una rete: è chiaro che, avendo numerosi contatti sparsi ovunque, ci si aiuti a vicenda. Come influenzate i governi? Soltanto in maniera indiretta, non abbiamo emissari, non siamo un sindacato né un partito. Non mi piace il verbo influenzare. Ma non posso negare che le nostre conoscenze siano ampie. Scommettete contro l’Euro morente? Non posso portare fuori il pensiero interno alla Trilateral. Posso raccontare spezzoni, elementi messi insieme durante l’ultima assemblea di Tokyo. Quando ragioniamo sull’euro ci rendiamo conto che siamo di fronte a una creatura incompiuta e quindi consigliamo un mercato europeo comune, non soltanto una moneta. Previsioni? La Cina è un chiodo fisso, a Tokyo è stata protagonista. Cina vuol dire crescita e integrazione, e il timore che quel mezzo potentissimo possa rallentare. Invece gli americani si sentono tranquilli, ma credono che l’Europa sia un po’ lenta a risolvere i suoi problemi e sono molto insoddisfatti di Bruxelles. Meglio i tecnici o i politici al governo? Ci sono tecnici ad Atene e Roma. Papademos e Monti, due ex illustri esponenti della Trilateral. Il prossimo modello, forse anche in Italia, sarà una coalizione trasversale come in Germania. Poi cambia poco se i ministri saranno o no dei partiti. Quali sono i vostri amici nel governo italiano? Oltre a Monti e al sottosegretario Marta Dassù (Esteri), per motivi professionali, dico i ministri Lorenzo Ornaghi (Cultura) e Corrado Passera (Sviluppo economico). La Trilateral è potente perché misteriosa? Siamo semplicemente una rete forte, la migliore al mondo. Non prendiamo direttamente decisioni importanti, ma ci siamo sempre nei momenti più delicati. Jimmy Carter non è diventato presidente perché era il capo americano: una volta alla Casa Bianca, però, sapeva di avere un gruppo di persone con cui consigliarsi. di Carlo Tecce

28 aprile 2012

In gran segreto Stati Uniti e Cina giocano a fare la guerra

Il Guardian è venuto a sapere che Stati Uniti e Cina in segreto sono stati impegnati in “giochi di guerra” mentre monta la rabbia di Washington per la portata e l’audacia degli attacchi informatici coordinati da Pechino contro governi e grandi imprese occidentali. Funzionari del Dipartimento di Stato e del Pentagono, insieme ai loro omologhi cinesi, lo scorso anno sono stati impegnati in due giochi di guerra ideati per favorire la prevenzione di un’improvvisa escalation militare tra le parti nel caso che una di esse dovesse sentirsi presa di mira. Un’altra sessione è prevista a maggio. Anche se le esercitazioni hanno offerto agli Stati Uniti l’opportunità di dare sfogo alla propria frustrazione per quello che sembra essere uno spionaggio finanziato dallo stato e una sottrazione su scala industriale, la Cina si è dimostrata bellicosa. “La Cina è giunta alla conclusione che è cambiato il rapporto di potere, in una maniera che la favorisce,” afferma Jim Lewis, importante insegnante nonché direttore del Centro per gli Studi Strategici e Internazionali (CSIS), gruppo di esperti con sede a Washington. “Il PLA [Esercito Popolare di Liberazione] è assai ostile. Considera gli Stati Uniti un bersaglio. Sentono di avere una giustificazione per le loro azioni. Pensano che gli Stati Uniti siano in declino.” I giochi di guerra sono stati organizzati mediante il CSIS e un gruppo di esperti di Pechino, l’Istituto Cinese di Relazioni Internazionali Contemporanee (CICIR). Ciò ha consentito a funzionari del governo e dei servizi segreti USA di entrare in contatto in un ambito meno formale. Conosciuta come “Track 1.5 Diplomacy”(Percorso diplomatico 1.5, N.d.T.), è la serie di contatti più ravvicinata che gli stati possono avere nella gestione dei conflitti senza affrontare veri e propri negoziati. “Coordiniamo i giochi di guerra con il Dipartimento di Stato e quello della Difesa,” ha detto Lewis, il quale ha mediato gli incontri, tenutisi lo scorso giugno a Pechino e in dicembre a Washington. “I funzionari hanno esordito come osservatori, poi sono diventati partecipanti … in modo molto simile è stata la stessa cosa da parte cinese. Dal momento che è organizzato da due gruppi di esperti, essi possono parlare più liberamente.” Nel corso della prima esercitazione, entrambe le parti dovettero spiegare cosa avrebbero fatto se fossero state attaccate da un sofisticato virus informatico come Stuxnet, che ha messo fuori servizio le centrifughe del programma nucleare iraniano. Nella seconda dovevano spiegare la loro reazione nel caso si sapesse che l’attacco era stato intrapreso dalla controparte. “I due giochi di guerra sono stati piuttosto sorprendenti,” ha dichiarato Lewis. “Il primo è andato bene, il secondo non tanto.” “I cinesi sono molto astuti. Mandano persone competenti. Vogliamo trovare modi per modificare il loro comportamento … [ma] sanno di avere buone ragioni per quello che fanno. Il loro atteggiamento consiste nell’avere vissuto l’imperialismo e un secolo di umiliazioni.” Lewis ha detto che i cinesi hanno la “percezione di essere trattati ingiustamente.” “I cinesi hanno una profonda diffidenza verso gli Stati Uniti. Sono preoccupati del potenziale militare americano. Sono inclini a pensare che abbiamo un’ambiziosa strategia per conservare l’egemonia degli Stati Uniti e la considerano una sfida diretta. “Coloro [tra i funzionari cinesi] che sostengono la cooperazione non sono forti quanto quelli che appoggiano lo scontro.” La necessità di incontri è stata evidenziata negli ultimi mesi, con gli USA e il Regno Unito che hanno tentato di aumentare la pressione sulla Cina, considerata da loro la principale responsabile della sottrazione, per miliardi di dollari, di progetti e opere dell’ingegno di produttori della difesa, dipartimenti statali e società private al centro del sistema di infrastrutture americano. Gli analisti dicono che ciò equivale alla “preparazione del campo di battaglia” e sia gli Stati Uniti che il Regno Unito hanno avvertito Pechino di aspettarsi ritorsioni nel caso ciò continuasse. Negli ultimi mesi gli Stati Uniti hanno precisato di avere spostato l’attenzione militare dall’Europa al Pacifico, per proteggere gli interessi americani nell’area. “Tra i paesi attivamente impegnati nello spionaggio informatico, probabilmente la Cina è l’unico ad essere un concorrente militare degli Stati Uniti,” ha dichiarato Lewis. “Gli eserciti cinese e americano si trovano nelle immediate vicinanze e ci sono episodi ostili … Le probabilità di errori di valutazione sono molto alte, quindi stiamo tentando di avere una netta comprensione del punto di vista di ciascuna parte.” Lewis crede che gli Stati Uniti si stiano preparando a diventare più aggressivi nei confronti della Cina e dice che il presidente Barack Obama ha già incaricato gruppi operativi all’interno della Casa Bianca per studiare sanzioni più severe. Senza nominare la Cina, un alto dirigente dell’FBI ha detto al Guardian che le minacce portate dagli attacchi informatici sono state preoccupanti. “Sappiamo che le risorse degli stati stranieri sono notevoli, e conosciamo il tipo di informazioni che stanno prendendo di mira,” ha detto Shawn Henry, vice direttore esecutivo della sezione informatica dell’FBI. “Abbiamo trovato nemici passati inosservati nelle reti per molti mesi, o in alcuni casi per anni. In sostanza hanno avuto libero accesso a queste reti … Hanno la piena capacità di sconvolgere del tutto queste reti.” Frank Cilluffo, già collaboratore straordinario di George Bush per la sicurezza nazionale, disse che era giunto il momento per affrontare la Cina. “Dobbiamo parlare delle capacità d’attacco per scoraggiare i fuorilegge. Non possiamo pensare che le società si difendano dai servizi segreti stranieri. Ci sono determinate cose che dovremmo fare quando qualcuno sta facendo l’equivalente cibernetico della preparazione delle informazioni sul campo di battaglia della nostra infrastruttura energetica. “A mio parere è arrivato il momento. Occorre dare una risposta. Quale altro motivo potrebbe esserci per riordinare le nostre infrastrutture nel caso di una crisi? “Abbiamo un ruolo maggiore nei convenzionali mezzi militari e diplomatici . Dobbiamo mostrare loro le nostre carte. Tutte le ragioni sono sul tavolo. Penso che dobbiamo proprio iniziare a parlare di difesa attiva.” Egli disse che gli Stati Uniti dovevano essere preventivi, altrimenti col tempo la gente avrebbe iniziato a perdere la fiducia nell’integrità di internet e dei sistemi informatici. “Se non investo perché ho paura, se non impiego la rete perché ho paura, se si perde credibilità e fiducia in questi sistemi, allora hanno vinto i cattivi. Scacco matto.” Il Dipartimento di Stato ha rifiutato di parlare dei giochi di guerra e di dire quali funzionari vi hanno partecipato. Un portavoce ha affermato: “Gli Stati Uniti sono impegnati a coinvolgere gli altri paesi per la costruzione di un ambiente globale in cui ogni stato riconosca e rispetti soddisfacenti regole di comportamento nel cyberspazio. In linea generale siamo impegnati con il governo cinese su questioni informatiche, in modo da trovare punti in comune su questi argomenti di sempre maggiore importanza nelle nostre relazioni bilaterali.” Il Pentagono ha evitato di rilasciare dichiarazioni e di dire quali dei suoi funzionari hanno preso parte ai giochi di guerra. La Cina ha sempre negato di essere responsabile degli attacchi informatici contro gli Stati Uniti e altri paesi occidentali. Dice di essere anch’essa vittima di questo genere di spionaggio. Il ministro della Difesa cinese Liang Guanglie ha dichiarato che Pechino “si oppone fermamente ad ogni tipo di crimine informatico.” “È difficile stabilire la vera origine degli attacchi e abbiamo la necessità di lavorare insieme per fare in modo che la presente questione di sicurezza non diventi un problema,” ha detto. “In realtà anche in Cina abbiamo subito una gamma piuttosto vasta di frequenti attacchi informatici. Il governo cinese dà importanza anche alla sicurezza informatica e prende decisamente posizione contro ogni genere di crimine informatico. È importante per tutti osservare e seguire leggi e norme in materia di sicurezza informatica.” Il Quotidiano del Popolo, testata cinese che più delle altre rispecchia le opinioni del Partito Comunista al potere in Cina, lo scorso anno ha detto che è irresponsabile associare la Cina alle violazioni informatiche su internet. “Quest’anno, con il crescere degli attacchi di hacker a importanti imprese e organizzazioni internazionali, alcuni media occidentali hanno più volte raffigurato la Cina come il cattivo dietro le quinte.” di Edoardo Capuano Fonte: Nick Hopkins per The Guardian 16.04.2012 Traduzione di Gabriele Picelli per www.times.altervista.org

27 aprile 2012

Le guerre democratiche

Totalitarismo inconscio sono uno scrittore e un giornalista, recentemente ho scritto un libro che si intitola “La guerra democratica”. Da quando è crollato il contraltare sovietico le democrazie occidentali, Stati Uniti in testa, hanno inanellato otto guerre in venti anni, otto guerre di cui forse solo la prima aveva una qualche giustificazione, il primo conflitto del Golfo perché Saddam Hussein aveva aggredito il Kuwait, le altre sette sono tutte guerre di aggressione. La guerra democratica ha questa caratteristica, che si fa ma non si dichiara, la si fa con cattiva coscienza chiamandola con altri nomi, operazioni di peacekeeping, operazione umanitaria, difesa dei diritti umani, ma sono guerre. Questo equivoco porta a tutta una serie di conseguenze, la prima è che il nemico è sempre un criminale o un terrorista. E quindi di lui si può fare carne di porco, non valgono le leggi di guerra, non valgono per i prigionieri e Guantanamo ne è un esempio clamoroso. Nella guerra democratica le democrazie possono colpire ma non possono subire, sia materialmente che concettualmente. È legittimo uccidere i soldati del nemico, ma se il nemico uccide i nostri allora è una vigliaccata, una porcata, qualcosa di indecente e di intollerabile. Questa cosa fa sì che porta una sperequazione che non è solo materiale, perché effettivamente la guerra democratica si fa solo con le macchine, con gli aerei, con i droni, con i robot perché i droni sono aerei che non hanno equipaggio teleguidati da 10 chilometri di distanza, per cui uno solo può colpire e l’altro solo subire. Ma anche concettualmente questo vale nel senso che se tu, non democratico, colpisci un soldato sei un criminale e vai giudicato come tale. Un’altra caratteristica delle guerre democratiche è che manca l’essenza della guerra e cioè il combattimento. Gli occidentali non sono più in grado di affrontare il combattimento, la vista del corpo a corpo gli fa orrore, ritengono questo immorale, ritengono invece morale colpire con un missile da 300 chilometri di distanza e uccidere duemila persone. Le democrazie in questa loro aggressività nei confronti di tutti i mondi altri che hanno altre concezioni della vita, della morte e altre tradizioni è una sorta di totalitarismo perché noi non siamo più in grado di accettare il diverso, l’altro. La concezione è che siamo una cultura superiore, che è la moderna declinazione del razzismo essendo quella classica dopo Hitler diventata improponibile, e quindi abbiamo il diritto e il dovere di portare le buone maniere agli altri popoli. Questo è un totalitarismo tanto più pericoloso perché inconscio, il pericolo non è Bush o chi per lui, ma è Emma Bonino, chi ci crede a queste cose, che noi si sia possessori di diritti assoluti validi per tutti. Ed è particolarmente doloroso perché noi non veniamo solo come si dice dalla cultura giudaico – cristiana, ma alle nostre spalle c’è un’altra cultura messa in disparte che è la cultura greca, la prima a riconoscere il diritto di esistenza e di dignità dell’altro. Quando Erodoto parla dei persiani li descrive come crudeli, barbari, ma non si sognerebbe mai di applicare i costumi greci ai persiani, i persiani sono persiani, i greci sono i greci. Invece noi abbiamo la pretesa di omologare l’intero esistente alla nostra way of life. Ripeto, questo quando si è in buona fede, in malafede queste guerre hanno ragioni economiche. Abbiamo bisogno di conquistare, essendo i nostri mercati saturi, sempre nuovi mercati per quanto poveri. La politica dei due pesi e delle due misure Dopo il crollo dell’Unione Sovietica le democrazie hanno avuto le mani libere e hanno fatto tutte le guerre che hanno voluto con i più vari pretesti, in Serbia c’era la questione del Kossovo, in Afghanistan c’era Bin Laden,sono passati 11 anni e Bin Laden non c’è più da tempo. In Libia c’era il dittatore, peraltro corteggiato fino al giorno prima. Hanno potuto esprimere nel modo più violento la propria aggressività e i propri interessi che sono interessi imperiali. Una volta le potenze quando volevano una cosa mandavano le cannoniere e se le prendevano. Adesso pretendiamo di fare la guerra e di farla per il bene di coloro che bombardiamo, uccidiamo, assassiniamo o devastiamo, è una specie di Santa Inquisizione planetaria ed è questo che è intollerabile, l’ipocrisia di queste guerre. Le guerre si sono sempre fatte, ma una volta avevano almeno quasi una loro etica. La Siria non la attacchiamo perché è protetta in qualche modo dalla Russia e dalla Cina e questo dice che i nostri interventi umanitari in realtà non sono tali, noi interveniamo laddove non ci sono rischi, dividiamo il mondo in figli e figliastri. Alcuni devono essere puniti e altri che ne fanno di peggio invece la passano liscia. Chi attaccherebbe la Russia per il genocidio ceceno, 250 mila morti e cioè un quarto della popolazione? Qui viene dimostrata tutta l’ipocrisia di questa storia dei diritti umani. I diritti umani sono solo un grimaldello per intervenire nei Paesi in cui ci interessa intervenire. Potrebbe essere che il prossimo bersaglio, ci sono tamburi di guerra da tempo, sia l’Iran, anche qui con giustificazioni che non hanno alcun senso. L’Iran ha firmato il trattato di non proliferazione nucleare, accetta le ispezioni dell’IAEA che sono le ispezioni O.N.U., l’agenzia che regola le produzioni atomiche, e non ha mai superato il 20 per cento di arricchimento dell’uranio, per fare la bomba ci vuole il 90 per cento. Però è sotto scacco in continuazione. Israele che ha la bomba atomica invece viene lasciato assolutamente tranquillo. E’ una politica di due pesi e due misure che incita anche paesi musulmani, anche gente che non è radicale a radicalizzarsi perché è talmente evidente la politica dei due pesi e delle due misure, la violenza che noi continuamente esercitiamo che alla fine uno diventa terrorista. Sì se si attaccherà l’Iran sarà la Terza guerra mondiale, è molto rischioso per le democrazie attaccare l’Iran perché saltano anche tutte le alleanze più o meno forzate che hanno con i paesi cosiddetti moderati, che poi moderati spessissimo non sono. Salterebbe l’alleanza con la Giordania, l’Arabia Saudita, l’Egitto e quindi sarebbe veramente la Terza guerra mondiale ma una guerra particolare sperequata, perché dalla nostra parte c’è questo armamento straordinario e dall’altra ci sono popolazioni da questo punto di vista molto più deboli, ma anche molto più numerose. E’ abbastanza grottesco da fuori Paesi seduti su arsenali atomici incredibili facciano la voce grossa con l’Iran perché ipoteticamente può fare l’atomica. In realtà noi, inseguendo un pericolo immaginario, cioè l’Afghanistan che non è mai uscito dai suoi confini, che ha una tradizione di non aggressività nei confronti dei Paesi vicini, abbiamo creato un pericolo reale che è il Pakistan perché questo radicalismo religioso si è trasferito al Pakistan, solo che il Pakistan, a differenza dell’Afghanistan che è armato in modo antidiluviano, ha la bomba atomica e non solo ma proprio per la sua posizione di potenza regionale ha una concezione politica molto meno localizzata di quanto abbia l’Afghanistan. Quindi inseguendo un pericolo immaginario, l’Afghanistan, ne abbiamo creato uno reale, il Pakistan e se gli integralisti prendessero potere in Pakistan sì allora sarebbero cazzi acidi per tutti perché questi hanno l’atomica, gli altri hanno il loro corpo e qualche granata. Verranno spazzati via L’aggressione al cosiddetto grillismo, all’antipolitica, a quella che viene chiamata l’antipolitica è in realtà un segnale della paura che una classe dirigente che da trenta anni ha fatto abusi, soprusi, ruberie, il sacco del Paese,la paura da cui è stata presa di essere spazzata via e quindi, mentre prima potevano anche ignorare un movimento come quello di Grillo, adesso non lo ignorano affatto, naturalmente lo demonizzano così come demonizzano chi non va a votare. Chi ha deciso di andare a votare nelle ultime amministrative è stato il 40 per cento. È un segno della paura del regime di essere spazzato via perché c’è in giro, Grillo o non Grillo, una collera notevole da parte della popolazione che alla fine si è resa conto che questa democrazia dei partiti non è affatto una democrazia, ma un sistema che ha privilegiato una classe dirigente indecente e ha impoverito il paese. E questa crisi spinge le persone a ragionare e a ribellarsi. La reazione, scomposta, degli esponenti del regime dice che ne hanno molta paura, poi non so come verranno spazzati via, però io penso che verranno spazzati via, che non basterà chiamarsi Partito nazionale della Nazione come fa Casini perché uno dimentichi le responsabilità di Casini, di tutti i casini che ci sono stati e ci sono nella classe politica italiana. Quello che vorrei dire saltando un attimo la politica italiana è che c’è una guerra infame che si combatte, anzi non si combatte da 11 anni in Afghanistan contro un Paese. Non è la guerra in Afghanistan, è una guerra all’Afghanistan e senza che ci siano proteste alcune perché gli afgani non hanno santi in paradiso, non sono comunisti, non sono liberali, non sono arabi, non sono cristiani, non sono ebrei e quindi si può fare loro carne di porco. Sono 65 mila oggi i civili uccisi in Afghanistan direttamente o indirettamente dalla nostra occupazione, a parte i disastri che abbiamo combinato dal punto di vista sociale. La disoccupazione durante il governo talebano era l’8 per cento e adesso è al 40 per cento, in alcune regioni all’80 per cento. Abbiamo cercato di comprarlo in tutti i modi. Abbiamo corrotto moralmente un Paese che aveva una sua integrità, mi piacerebbe che su questo problema si fosse più sensibili e, siccome si bada solo alle ragioni economiche, ricorderò che noi spendiamo un miliardo di Euro all’anno per tenere inutilmente i nostri soldati lì, per ammazzare e farci ammazzare, ora con un miliardo non di risana un’economia di un Paese ma qualche buco lo si potrebbe anche turare. E’ una guerra ripeto infame di cui però non sento in genere, non vedo né in Italia né in Europa né in Occidente qualcuno che dica una parola contro questa guerra. di Massimo Fini

26 aprile 2012

Ora i BRICS contano nel cambiamento dell'ordine mondiale

Ora i BRICS contano nel cambiamento dell’ordine mondiale I BRICS stanno avendo un’influenza crescente sulla governance globale. Il tema del 4° Summit “Cooperazione tra i BRICS per la stabilità, la sicurezza e la crescita globale”, ha mostrato il suo intento strategico attraverso un’interpretazione alternativa dell’interdipendenza. La Dichiarazione di Delhi ha elementi che, in primo luogo, hanno una dimensione economica anche se sono, essenzialmente, politici, e propongono un nuovo sistema multilaterale. I toni strategici hanno causato una cauta risposta degli Stati Uniti, riconoscendo in questo modo che un mondo multipolare è emerso, mentre la leadership globale americana è sempre più debole. Finora l’attenzione dei BRICS si è concentrata sul riformare le strutture di governance delle organizzazioni internazionali, come il Fondo Monetario e la Banca Mondiale, pur permettendo loro di mantenere un ruolo centrale. La decisione di lavorare sulla creazione di una Banca dello Sviluppo per le infrastrutture e la crescita sostenibile risponde alle emergenti necessità mondiali meglio del “Washington consensus” col suo focus sul settore sociale e concomitanti condizionamenti. L’inclusione di aiuti d’emergenza in caso di disastri o crisi finanziarie, come anche la condivisione del rischio, di fatto ridefinisce la politica internazionale di sviluppo. Un primo passo è stato fatto verso una nuova politica monetaria internazionale. La decisione di collegare i mercati e creare un’integrazione finanziaria delle loro economie gestendo i 230 miliardi di dollari del commercio intra-BRIC, che arriverà a 500 miliardi di dollari nel 2015, attraverso l’estensione del credito in valute locali e derivati su indici azionari di riferimento, consentirà investimenti senza rischi di cambio mentre si intrecciano le borse valori. Eliminando il passaggio intermedio della conversione in dollari, si riduce il suo ruolo nelle contrattazioni tra i BRICS, ed il commercio stesso risulta indipendente dal valore della valuta americana, il che avrà un forte impatto sulla sua importanza globale. Per la prima volta le economie avanzate sono state invitate “ad attuare politiche macroeconomiche e finanziarie responsabili, ad evitare di creare eccessiva liquidità a livello mondiale ed intraprendere riforme strutturali per aumentare la crescita e, di consequenza, creare posti di lavoro”. La Dichiarazione ha sostenuto anche “un processo di selezione basato sul merito” per i capi del FMI e della Banca Mondiale, posti riservati dal 1950, per consuetudine, rispettivamente ad un’europeo ed ad un americano. Sta inoltre emergendo una nuova politica di sicurezza internazionale, con la richiesta di “un processo politico inclusivo” in Siria, che contempla anche una transizione democratica per quel paese. La risoluzione sostiene anche per l’Iran “il dialogo e mezzi politici e diplomatici tra le parti coinvolte” ed inoltre riconosce il diritto iraniano ad accedere all’energia nucleare per usi civili. Sull’Iran, i BRICS hanno chiarito che seguiranno le risoluzioni delle Nazioni Unite e non le leggi nazionali di nessun paese (vedi gli Stati Uniti). Si tratta di una mossa ostile ai cambiamenti selettivi di regime attraverso le azioni multilaterali, come è stato fatto in Libia, e porta le deliberazioni dei BRICS nella sfera politica. Questi risultati hanno colto di sorpresa i commentatori. Non più tardi dello scorso anno, Joseph Nye, dell’Università di Harvard, sosteneva che i BRICS avevano profonde divisioni politiche e che avrebbero contribuito veramente in misura minima alle relazioni tra le potenze nel lungo termine. Martin Wolf, del Financial Times, sosteneva anche che “non hanno niente in comune” e che non sono “alleati naturali”, perché la differenza di valori è molto forte, e quindi non c’è ragione di aspettarsi un accordo su qualche cosa di sostanziale a livello mondiale, a parte il fatto di pensare che le potenze dominanti devono cedere parte della loro influenza e potere. Un recente articolo del New York Times prevede che paesi singoli e “non blocchi artificiali” daranno forma alla governance globale, e che il Summit era solo un’opportunità per scattare qualche foto. Più arguto è l’argomento secondo cui, visto che i BRICS hanno tutti un un rapporto strategico con gli USA e, al momento, considerano il loro legame con Washington più importante di quello con qualsiasi altra capitale, non vedono nessuna utilità nel sfidare il leader del mondo occidentale. Certamente i BRICS sono stati finora reattivi piuttosto che proattivi. Ad ogni modo, la dinamica attuale è che i paesi BRICS stanno guadagnando forza e capacità di esercitare influenza attraverso, soprattutto, il potere economico, piuttosto che quello militare. I paesi BRICS hanno pesato per più del 50% sulla crescita economica globale nell’ultimo decennio e Goldman Sachs prevede che il loro potenziale economico sarà più grande di quello dei G7 nel 2035. Focalizzandosi sull’integrazione economica, stanno anche spostando gli equilibri di potenza, e superando le differenze bilaterali. Ad esempio, la Cina è già il partner commerciale più importante per l’India ed insieme hanno convenuto di mettere da parte le differenze per ciò che riguarda la disputa confinaria, e concentrarsi sulla crescita degli scambi e dei legami d’investimento. Il risultato del Summit è un’indicatore che una collettività sta emergendo, una tendenza verso una migliore coordinazione e più equa governance globale; e finchè l’ordine attuale, plasmato dagli Stati Uniti, sarà al servizio degli interessi nazionali dei paesi sviluppati, qualche tensione sarà inevitabile. Nel mondo di oggi, dati i limiti ecologici alla crescita, la sicurezza e la prosperità non possono essere più garantite solo dalla forza militare o dalla ricchezza economica, ma dall’abilità di gestire l’azione collettiva attraverso un approccio regolamentato e associato. Per una leadership globale, i BRICS avranno bisogno di una visione strategica che risponda alle preoccupazioni del mondo povero, e che non sia limitato, solo, dal portare avanti i propri interessi nazionali. Nelle istituzioni di Bretton Woods possono, ad esempio, chiedere una revisione dei parametri di controllo, delle condizioni e un focus sullo sviluppo sostenibile invece che su considerazioni strettamente ambientali. All’interno delle Nazioni Unite possono andare oltre la divisione tra paesi in via di sviluppo e quelli già sviluppati, per istituire un nuovo obiettivo per lo sradicamento della povertà entro il 2050. L’attuale enfasi sui diritti umani definiti in termini di diritti politici e procedurali avrà bisogno di essere completata da un’enfasi analoga sui diritti sociali ed economici basati sulle eque opportunità per tutti. L’attenzione data alla redistribuzione sarà inedita, visto che è stata esclusa così a lungo dall’agenda internazionale. Il termine BRICS fu coniato dalla Goldman Sachs nel 2001 con riferimento alle politiche economiche. Ovviamente, non hanno immaginato che in un mondo globalizzato, influenza e potere sarebbero divenuti sempre più definiti in termini economici. Il primo incontro dei BRICS avvenne nel 2009, a seguito della crisi economica globale. Vista la crescita economica ed il centro di gravità politico che continua a cambiare, i BRICS hanno già un ruolo maggiore nell’affrontare i cambiamenti transnazionali, con la spartizione d’influenza e potere nell’architettura internazionale del G20. Per la leadership globale i BRICS dovranno sposare i valori universali che riflettono le preoccupazioni dei paesi poveri. (Traduzione di Lorenzo Giovannini) di Mukul Sanwal NOTE: Mukul Sanwal è un ex funzionario civile e diplomatico.

25 aprile 2012

L'Argentina peronista nazionalizza l'industria petrolifera e butta fuori spagnoli e italiani

“Che bello vivere in un mondo dove non esiste più la guerra fredda. E sarebbe ancora più bello vivere in un mondo in cui non esiste neppure la guerra. Per il momento prendiamo atto che c’è la guerra calda e quindi ci adattiamo al territorio. Si tratta, pertanto, di interessi strategici nazionali, perché si tratta di difendere gli interessi della nazione e il futuro e il destino dei nostri figli e nipoti. Così si costruisce la base della democrazia diretta. E’ bene che chi ha orecchie senta molto bene, perché si volta pagina. Le nostre risorse, la nostra ricchezza, la nostra industria, i nostri prodotti, sono prima di tutto: nostri. Cioè degli imprenditori e dei lavoratori. Della nazione. E lo Stato ne garantisce la sovranità e li cautela”. Sembra un bollettino di guerra, e infatti lo è. E’ la prima parte di un discorso ufficiale della presidente della Repubblica Argentina, Cristina Kirchner, nel quale, ieri mattina 16 aprile, ha annunciato l’espropriazione e la nazionalizzazione definitiva dell’azienda “Yacimientos Petroliferos Fiscales” meglio nota come YPF, la cui contrastata e discussa gestione apparteneva alla iberica Repsol, di proprietà del governo spagnolo e gestita da una holding europea finanziata dalla BCE attraverso la compartecipazione di Banco Santander, Banco de Bilbao, Unicredit, Intesa Sanpaolo, Banca Popolare di Milano, Societe Generale, Credit Agricole, Eni, Deutsche Bank. “Un gravissimo colpo per l’economia spagnola e per l’Europa, un atto incivile che noi protestiamo e che porteremo sul tavolo della prossima riunione giovedì 19 aprile del Fondo Monetario Internazionale” ha dichiarato Rubèn Soquera di Repsol a Madrid. Axel Kicillov, vice-ministro dell’economia è ufficialmente la persona incaricata dal punto di vista tecnico-fiscale a gestire il passaggio delle quote, di cui il 51% andrà al Banco de la Naciòn e il 49% andrà alle regioni nelle quali si trovano i pozzi petroliferi. Il prezzo stabilito dagli spagnoli si aggira sui 18 miliardi di euro, mentre il calcolo effettuato dagli argentini (va da sé) è di molto inferiore e il prezzo definitivo sarà l’unico punto sul quale si svolgerà la discussione. E’ stata presentata, infatti, una legge in parlamento che verrà approvata con una maggioranza totale, intorno all’88%: tutti i partiti eletti l’appoggiano. Julio de Vido, ministro della Pianificazione sociale e dello sviluppo economico ha dichiarato: “per cinquecento anni gli europei, prima con i conquistadores, poi con le banche italiane, poi con l’esercito inglese e infine con la finanza speculativa gestita dalla BCE e da Wall Street, hanno rubato al popolo argentino le risorse naturali di oro, argento, petrolio, zucchero, limoni, acqua, soia, pellame, per costruire la propria ricchezza spropositata con un’ottica schiavista e miope, tant’è vero che l’Europa sta affondando schiacciata in una crisi che non ha sbocchi. E’ arrivato il momento che le nazioni si riapproprino della sovranità nazionale dando al popolo la proprietà di ciò che è loro: i prodotti del territorio nazionale. Lo Stato si fa garante e gestisce le risorse come bene comune da condividere per avere i soldi e lanciare un piano di grandi massicci investimenti per la costruzione di lavoro, occupazione e ripresa”. E’ con questo atto (meticolosamente preparato e -con grande effetto politico- presentato pubblicamente alla vigilia dell’incontro internazionale di Washington del Fondo Monetario Internazionale) che la Kirchner si prepara al suo viaggio in Usa, dove va a scontrarsi con il suo nemico pubblico n.1: Christine Lagarde, presidente del Fondo. L’annuncio ha gettato nello scompiglio la borsa di Madrid, perché la Repsol perde l’8,2% e la società italiana Tenaris quotata a Milano va sotto del 4,5%, essendo la Tenaris impegnata come società delegata alla tecnica di estrazione e raffinazione del greggio. Attraverso quest’atto, l’Argentina ha calcolato che risparmierà 8 miliardi di euro nei soli sei mesi del 2012 e 22 miliardi nel 2013. I 30 miliardi così ottenuti verranno investiti per la costruzione di grandi opere di infrastruttura nelle sei regioni dove c’è petrolio. In un messaggio a sorpresa (annunciato soltanto qualche ora prima) la presidente ci ha tenuto a comunicare la scelta direttamente alla nazione in un messaggio diramato su tutte le televisioni, sia in terrestre che in satellitare digitale. Il progetto è stato definito "Soberanía hidrocarburífera de la República Argentina", (sovranità nella gestione degli idrocarburi della Repubblica Argentina) e sostiene che “l’obiettivo primario consiste nell’essere totalmente autosufficienti nel settore energetico per garantire la libertà, l’indipendenza e il diritto all’esercizio della sovranità dello Stato centrale. Ci tengo a precisare che il fine ultimo non consiste nella nazionalizzazione bensì nel recupero immediato della sovranità e controllo delle risorse prodotte dai singoli territori nazionali”. L’impatto di tale atto ha prodotto una gigantesca scossa tellurica nel settore economico in tutto il continente, soprattutto nelle nazioni più povere del centro-america, Ecuador, Guatemala, Honduras, Costa Rica, dove le multinazionali statunitensi e italiane sono proprietarie del 95% della produzione locale di banane, mangos, ananas, per produrre i succhi di frutta che l’occidente beve e che poi distribuisce con i propri marchi nazionali. A conclusione del discorso, la Kirchner, in conferenza stampa ci ha tenuto ad aggiungere la chicca demagogica che sta diventando il fiore all’occhiello del Sudamerica e del Mercosur (sarebbe il corrispondente sudamericano dell’Unione Europea: Argentina, Cile, Bolivia, Paraguay, Uruguay, Perù, Brasile e Venezuela) ricordando con enfasi che “l’Argentina è per il momento l’unico ma speriamo soltanto il primo di una lunga lista di paesi al mondo che non importa nulla dalla Cina perché noi produciamo in patria. Nel nostro territorio non esiste nessun manufatto sul quale è scritto made in China: noi siamo umanamente, politicamente e culturalmente contro lo schiavismo che abbiamo sempre combattuto e seguiteremo a combattere sempre. Siamo per l’autodeterminazione dei popoli e per il ripristino della sovranità nazionale”. Due giorni fa, il ragionier ultra-liberista Mario Monti ha fatto sapere che non parteciperà alla riunione internazionale del Fondo Monetario. In Argentina (e in tutto il Sudamerica) la notizia è stata abbondantemente commentata come una manifestazione di debolezza e vigliaccheria dell’Italia come nazione. “Hanno paura di presentarsi a un dibattito internazionale. Sanno di essere esposti. E’ iniziata la rivolta degli schiavi. E’ la fine di un’epoca. Monti e i suoi amici possono esibire soltanto e unicamente le impietose cifre di un colossale fallimento economico, politico, culturale che sta mettendo in ginocchio il Mediterraneo uccidendone la grande civiltà. Ma soprattutto esistenziale. In Europa si suicidano. Da noi si va a ballare il tango esaltati dal senso ritrovato di una identità nazionale”. Così si legge nell’editoriale di Pagina ½, la più radicale pubblicazione argentina che per lunghi anni è stata la fiera opposizione intellettuale contro la Kirchner ma che ha cominciato ad appoggiarla da un anno a questa parte, da quando la presidente ha scelto e deciso di andare da sola all’attacco del Fondo Monetario Internazionale e della BCE: E’ proprio guerra dichiarata. Notoriamente vezzosa, avida di scarpe e costosi abiti dei migliori sarti francesi, la Kirchner (che è femminista) intervenendo a un seminario sul lavoro femminile e sulla parità di genere dei salari, fortemente sollecitata a dare un’opinione sulla Lagarde, ha detto: “Ragazze, non pungolatemi troppo. Ciascuno fa le proprie scelte. Posso dire soltanto una cosa, ma è una mia opinione: non sa vestirsi e non ha gusto”. Il che, detto e inviato a una aristocratica signora nata e cresciuta a Parigi, è davvero clamoroso. Non vi è dubbio: è iniziata la rivolta degli schiavi. Come dire. Il sud del mondo bussa alla porta del ricco settentrione.. E non è certo un caso che tutto ciò avvenga nella più meridionale nazione del pianeta Terra, più sotto c’è soltanto il polo sud. Ma per il momento, gli iceberg sembrano aggirarsi nel Mar Mediterraneo. di Sergio Di Cori Modigliani

24 aprile 2012

Alle radici della crisi, seguendo i derivati

Il prolungarsi della crisi economico-finanziaria fa affiorare molte informazioni su cosa è realmente successo a nostra insaputa negli ultimi venti anni di globalizzazione finanziaria. Siamo quindi molto vicini alla verità ed il fatto positivo è che ci stiamo avvicinando ad essa facendo a meno di quegli "esperti" economisti che, come di recente ha denunciato efficacemente Le Monde Diplomatique, sono molto spesso a libro paga proprio di quei centri della speculazione sui quali vengono loro richiesti pareri obiettivi (1). Questa verità fattuale è essenziale per il futuro: infatti, chiunque pensasse di poter cambiare le cose senza conoscerle, si troverebbe immediatamente a servire gli stessi master of the universe, i padroni dell'universo, di cui abbiamo spesso parlato. Come nel caso dei mutui subprime americani, abbiamo pensato di seguire la pista degli ormai famosi "derivati", vale a dire quei titoli finanziari il cui valore si basa e quindi "deriva" da un qualsiasi cosiddetto "sottostante", che può essere qualsiasi cosa abbia un valore: un bene materiale o una materia prima, un titolo finanziario, una valuta o persino un altro derivato. Con quello che abbiamo trovato, possiamo porre alcune semplici ma fondamentali domande e cercare delle risposte. Perché i politici non mettono fine alla speculazione dei "mercati" semplicemente vietando o regolamentando severamente i suoi principali strumenti? L'agenzia di stampa specializzata americana Bloomberg lo scorso gennaio ha diffuso la notizia secondo cui la banca d'affari Morgan Stanley, uno dei "padroni dell'universo", ha deciso di ridurre la propria esposizione in derivati basati su titoli di Stato italiani da 4,9 a 1,5 miliardi di dollari: 3,4 miliardi di dollari di nostri titoli non sono stati quindi collocati, con l'assenso del Tesoro italiano, che ha lasciato scadere questo contratto, pagando intorno ai 2,5 miliardi di euro (2). Si è poi appreso che lo swap, vale a dire un derivato fuori dal mercato regolamentato, risale al 1994 e lasciava alla banca d'affari americana la facoltà di rescinderlo unilateralmente, una clausola che ovviamente poneva lo Stato italiano in una posizione di debolezza. Altro però non ci è stato detto sulle modalità e finalità di questa operazione. Giustamente Umberto Cherubini nel suo blog, si interroga sullo scopo di questa operazione: "Coprire il rischio di tasso? Coprire il rischio derivante dai cambi? Allungare le scadenze dei pagamenti di interesse? Vendere assicurazione a Morgan Stanley per fare cassa?" (3). Non è dato saperlo, e così scopriamo che di queste operazioni sul nostro debito pubblico, vale a dire sul debito di tutti noi cittadini di questa Repubblica, i nostri organi di governo non hanno mai dato informazione ai più diretti interessati. E non basta, perché solo dopo alcune interrogazioni parlamentari, successive alla notizia dell'agenzia americana, il Tesoro è stato costretto a comunicare che il debito pubblico italiano è per ben 160 miliardi di euro costituito da strumenti "derivati", quindi uguali o assimilabili a quello da cui Morgan Stanley ha voluto sfilarsi nelle scorse settimane. Tutte le maggiori banche d'affari sono attive in questo tipo di operazioni sull'Italia: Goldman Sachs, Morgan Stanley, Bank of America, Citigroup e JP Morgan. Lavorando sulle informazioni di stampa, troviamo anche che, oltre al livello centrale, ben 664 enti pubblici, tra cui 18 regioni, 42 province, 45 capoluoghi e 559 comuni avrebbero in pancia "derivati" per oltre 35 miliardi di euro, circa 1/3 del debito complessivo accumulato dagli enti locali ai dati 2009. Le perdite conseguenti all'adozione di questi strumenti finanziari per i soli enti pubblici appena ricordati potrebbero arrivare a superare i 10 miliardi di euro, su di un totale complessivo che, ad ottobre 2011, era stimato per l'Italia in 52,2 miliardi, una cifra equivalente a oltre il 60% del costo delle pesantissime manovre cui gli Italiani sono stati sottoposti nel 2011 (4). Per la banca d'affari le cose sono andate diversamente: "Morgan Stanley - riferisce sempre Bloomberg, ha guadagnato 600 milioni di dollari nel terzo trimestre [2011] in conseguenza dello scioglimento dei contratti con l'Italia. Il guadagno è dovuto all'annullamento dei costi sostenuti in precedenza nel corso dell'anno a causa del rischio che il Paese non pagasse l'intero importo del debito, ha dichiarato il 19 gennaio in un'intervista Ruth Porat, direttore finanziario". Si comprende a questo punto benissimo perché la cosiddetta politica non è in grado di mettere al bando questi strumenti finanziari dall'effetto devastante sull'economia reale: semplicemente perché le classi politiche europee attuali sono "garanti" delle migliaia di contratti di questo tipo che, almeno a partire dagli anni Novanta, sono stati stipulati con i "padroni dell'universo". Le politiche di rigore nei confronti dei cittadini sono proprio ciò che, dopo avere evitato loro le perdite dovute alle speculazioni sui subprime, consente ancora lauti guadagni alle grandi banche d'affari. Su cosa si basa il potere dei grandi centri finanziari che permette loro di condizionare le scelte politiche degli Stati? Continuando ad organizzare le notizie di stampa sui "derivati", arriviamo a comprendere meglio il modus operandi dei "padroni dell'universo", rispetto alle origini più remote della crisi in Europa. Ci aiuta il caso più eclatante, quello della Grecia: quando nel 2000-2002 quel Paese si preparava ad entrare nell'area euro, doveva anzitutto mettersi in riga con le regole di bilancio stabilite nel 1996 dall'Unione Europea. "Nel febbraio 2002, la Commissione Europea mise in rilievo che le previsioni relative al deficit della Grecia si basavano principalmente sul conseguimento di riduzioni del costo degli interessi", ricostruiva già nel 2003 Nick Dunbar su Risk Magazine (5). Entra in scena a questo punto un altro dei giganti della finanza mondializzata, Goldman Sachs. Grazie alle strette relazioni con Goldman Sachs del responsabile del debito pubblico ellenico, Christopher Sardelis, ed alla dinamica numero uno dell'ufficio vendite di Goldman Sachs di Londra, Antigone Loudiadis, viene messo in piedi un importante contratto di collocazione di "derivati", del valore di 10 miliardi di dollari, che si dimostrava perfetto per gli scopi di entrambe le controparti: grazie ad uno swap opportunamente organizzato, la Grecia iscrive un nuovo debito in euro, escludendo quindi momentaneamente dal bilancio il vecchio debito in dollari e yen, dando inizio a quel mascheramento delle reali dimensione del proprio deficit di cui i più si sarebbero accorti solo nel 2010. In tal modo, "Goldman Sachs intasca la sua sostanziosa commissione e alimenta una volta di più la sua reputazione di ottimo amministratore del debito sovrano", commenta Le Monde (6): la società americana cederà più tardi il contratto alla tedesca Deutsche Pfandbriefe Bank (Depfa). Lo scopo dell'acquisizione degli swap dalle banche d'affari americane da parte del Tesoro italiano negli anni Novanta non era molto diverso da quello della Grecia: sulla base del meccanismo attivato in Grecia, capiamo che doveva servire a dimezzare artificiosamente il nostro disavanzo di spesa per poter rientrare nei parametri comunitari. Si è quindi creata una fondamentale convergenza di interessi fra gli obiettivi speculativi delle banche d'affari mondializzate e le esigenze di politica economica delle classi dirigenti europee, mediate da una serie di figure tecniche: non a caso Le Monde ha riesumato l'episodio della Grecia lo scorso novembre 2011, per sferrare un attacco al vetriolo contro Monti Draghi e Papademos, uomini che hanno fatto carriera con Goldman Sachs e che, insieme a numerosi altri, rivestono ora posizioni chiave nella politica europea. Sono in effetti proprio loro gli "onesti sensali" che il rovinoso dilagare della crisi ha richiesto assumessero dirette responsabilità di governo tecnico, vale a dire ruoli nei quali politica ed economia si unificano patologicamente, costituendo nelle democrazie occidentali un nuovo potere, non sottoposto ad alcun effettivo controllo democratico. È davvero l'euro l'origine di tutti i mali in Europa? Possiamo contribuire ora a fare chiarezza anche in tema di euro, sul quale le polemiche sono tanto accese quanto in genere male impostate. Notiamo infatti, analizzando queste vicende, che l'origine del problema attuale non è certo l'euro, tanto meno l'idea di una unione monetaria. Il problema, oltreché nella concezione della moneta tipica del capitalismo finanziario (una moneta che deve creare debito), sta invece nelle regole definite per l'unificazione monetaria dalla burocrazia comunitaria, che culturalmente si abbevera alle stesse fonti degli esperti delle grandi società finanziarie internazionali. Da lungo tempo, ad esempio, Gustavo Piga ha denunciato in modo tecnicamente assai accurato le modalità attraverso le quali la stessa Unione Europea ha lasciato aperto il varco alla speculazione finanziaria, dietro un apparente rigore: ad esempio con ESA95, il manuale di ben 243 pagine della Commissione Europea e di Eurostat sui deficit pubblici e sulla contabilizzazione dei debiti pubblici, che ha di fatto permesso, tollerando proprio l'utilizzo massiccio degli strumenti finanziari derivati, di aggirare le teoricamente ferree regole del Patto di Crescita e Stabilità del 1996 (7). Ora ci rendiamo conto perché l'Ecofin, il gruppo dei ministri finanziari dell'Unione, non sia stato capace nemmeno qualche settimana fa, nonostante se ne parli da anni, di trovare un accordo sull'introduzione della cosiddetta Tobin Tax o, più correttamente, sulla Financial Transaction Tax (FTT), una tassa che, si noti, potrebbe fruttare dai 16 ai 43 miliardi euro annui, una cifra non disprezzabile di questi tempi. Come funzionerebbe la FTT? "Essa si applica a tutte le transazioni finanziarie, cioè ad acquisti o vendite di obbligazioni o azioni ma anche di opzioni, futures o derivati, quando almeno una delle parti - banca, assicurazione, fondo, società-veicolo - abbia sede nella Ue o nel Paese che adotti la tassa. Non è insomma una tassa che vale solo per le operazioni di borsa; vale anche per i contratti bilaterali come i derivati".(8) Come si vede, sono in ballo ancora i derivati, questo gigantesco mercato speculativo che a livello mondiale vale almeno 700.000 miliardi di dollari e che costituisce la massa di debito con cui i master of the universe sono in grado di condizionare, con operazioni come quelle che abbiamo visto, la sovranità e l'autonomia di Paesi delle dimensioni e delle capacità produttive dell'Italia. Il problema non è dunque la moneta unica, ma sono gli uomini e l'ideologia che la guidano. Vogliamo una controprova? Chi sono oggi gli uomini che più attivamente ed autorevolmente animano il fronte dei cosiddetti euroscettici? Sono ad esempio rappresentanti della City londinese, come quelli raccolti nel gruppo Open Europe, di cui merita analizzare attentamente il sito: è sufficiente dargli uno sguardo per trovare fra gli aderenti i massimi esponenti del mondo finanziario ed imprenditoriale inglese e basta ricordare il loro presidente, Rodney Leach, ora Lord Leach of Fairford, direttore di Jardine Matheson Holdings, ma soprattutto primo non-family partner del gruppo Rothschild (9). A cosa servono le politiche di rigore che stanno soffocando l'economia reale? Anche in questo caso, possiamo basarci su di un recentissimo esempio, quello dello Stato della California negli Usa, arrivato al fallimento nel 2009 a causa della crisi dei subprime. Cosa è accaduto poi? Il deficit pubblico è sceso dai 25 miliardi di dollari all'inizio del 2011 ai 9 di oggi, secondo un recentissimo articolo del Sole 24 Ore, grazie al "pugno di ferro" del governatore Jerry Brown, vale a dire "mediante tagli alla spesa pubblica e aumenti delle tasse che non hanno risparmiato la scuola". Per annullare del tutto il deficit, il governatore si propone ora "un nuovo aumento temporaneo delle tasse sul reddito e sui consumi" ovvero, nel caso che un apposito referendum non dia esito favorevole, "tagli automatici alla spesa pubblica per 5 miliardi di dollari, che non risparmierebbero alcun settore" (10). Nel frattempo, la California torna ad emettere nuovi bond, ovviamente. Così come negli Usa "le emissioni di titoli ad alto rischio, ma anche ad alto rendimento, sono tornate a livelli pre-crisi ed ora si stanno diffondendo anche al retail, senza troppe distinzioni" (11). Vale a dire, dopo avere spremuto i contribuenti, per rifinanziare le banche e gli Stati prossimi al collasso, le scommesse possono ricominciare, grazie alla creazione di nuovo debito personale su di un'altra generazione. Tra i protagonisti di questa nuova stagione, sono sempre le soite le banche d'affari, come Morgan Stanley e Goldman Sachs. L'esistenza ed il lavoro degli individui e delle società umane diventano in questo modo, lo strumento che perpetua i guadagni ed il potere dei "padroni dell'universo". Questo è il progetto in corso anche per il nostro Paese. Cosa è possibile fare? Chiunque volesse intraprendere un'effettiva rimessa in ordine dell'economia reale, potrebbe partire da alcuni semplici punti: chiedere ai governi nazionali ed alla Commissione Europea di rendere pubbliche e controllabili tutte le transazioni finanziarie in essere che riguardino il debito pubblico chiedere ai governi nazionali di introdurre entro 2 mesi la FTT, indipendentemente dalla sua approvazione generalizzata in Europa, trattandosi di una misura urgente per il risanamento economico chiedere ai governi nazionali di regolamentare gli strumenti finanziari, ponendo fuori legge entro 12 mesi i prodotti finanziari derivati chiedere ai governi nazionali di operare a livello comunitario affinché il ruolo delle agenzie di rating sia trasferito entro 12 mesi ad un'agenzia internazionale sotto l'egida delle Nazioni Unite Sappiamo bene infatti che fin dai prossimi giorni assisteremo ad un nuovo attacco a fondo della speculazione ai Paesi mediterranei, Spagna ed Italia in testa. Comincia ad essere necessario farsi trovare ben preparati, i "tecnici" probabilmente non basteranno più questa volta. di Gaetano Colonna

23 aprile 2012

Monti tassa, gioisce e l’Italia va a rotoli.

Tra le tante manchevolezze del non più santissimo premier Mario Monti, una risulta colossale, eppure quasi mai evocata: il taglio della spesa pubblica. Fatto salvo Oscar Giannino, che conduce una battaglia quotidiana su Radio 24, e poche altre firme, la grande stampa nazionale scansa accuratamente l’argomento che dovrebbe essere al centro della riflessione pubblica e che invece passa sottotraccia. Perchè è scomodo e potrebbe provocare più di un imbarazzo al non più santissimo e talvolta un po’ smarrito Mario Monti. Allora meglio parlare d’altro. Sia chiaro: non parlo di tagli indiscriminati, ma di riforme precise volte a ridurre e possibilmente eliminare sprechi che sono stati documentati decine di volte, nei comuni morosi, in certe zone del Meridione, negli enti pubblici desueti (a sud come a nord), nelle inefficienze dell’amministrazione pubblica, nella sanità, eccetera eccetera. Ma affrontare questi temi è impopolare, richiede doti da vero statista, quasi una vocazione al martirio. La via è scomoda e il nostro premier si guarda bene dal praticarla. Da eurodirigista quale in realtà è nell’animo, preferisce usare la scure delle tasse e le politiche punitive che in parte sono necessarie, ma che finiscono per scoraggiare, anzi avvilire, l’Italia migliore, degli industriali, dei professionisti, che produce e continua a battersi, eroicamente. Se anzichè frequentare solo le élites, il non più santissimo ma sempre glaciale Mario Monti, parlasse con la gente normale, se frequentasse la piccola e la media borghesia, si accorgerebbe dello scoramento che attraversa il Paese, ma è chiedergli troppo. Lui non si abbassa. Lui tassa, gioisce e l’Italia va a rotoli. di Marcello Foa

22 aprile 2012

Seppellire i cadaveri

Mario Monti avrebbe dovuto resuscitare l’Italia ma è riuscito soltanto ad incrementare il numero dei suicidi. Ventiquattro imprenditori non hanno retto ai rastrellamenti della guardia di finanza, ai blitz dell’agenzia delle entrate, agli assalti di Equitalia e alla introduzione di nuovi balzelli che hanno dato il colpo di grazia a settori già alla canna del gas per via della crisi internazionale. Lo stesso vale per altri vessati dal fisco, dai lavoratori autonomi, ai subordinati, dai professionisti ai pensionati che se non si ammazzano prima sono condannati ad una vita di stenti. C’è poi chi tenta il gesto estremo perché un’occupazione non la vede, nonostante i vari tavoli sindacali, nemmeno sedendosi ad un tavolo a tre gambe. Il Rigor Montis non livella, come nella famosa poesia di Totò, ma colpisce selettivamente salvando banche, finanza e grandi imprese, ovvero i gruppi fatui che stanno infossando il Paese. Questa gente non è seria perché non appartiene alla morte ma alla bella vita dei salotti e dei talk show, eppure pretende di dare lezioni di sobrietà agli altri, con una intonazione da requiem sulle spese pubbliche che non riguardano loro. Nel frattempo, i partiti sepolti da una coltre di discredito esigono di continuare ad incassare l’obolo dei rimborsi elettorali poiché senza la colletta di Stato temono di schiattare e nel rantolare delirante sovrappongono impropriamente il loro decesso a quello della politica. Ma quest’ultima, anima della vita associata, forza spirituale dei popoli, ha abbandonato il corpo putrefatto della partitocrazia da più di vent’anni e non c’è pericolo che spiri insieme agli aspiratori a ciclo continuo di denaro dei contribuenti, facenti investimenti in corredi faraonici di diamanti, case, titoli esotici e cazzi propri. Tuttavia, il problema non è tanto l’accumulo di risorse e i fondi neri che se utilizzati per le buone battaglie avrebbero un senso, come è sempre accaduto nella storia repubblicana. I moralisti si mettano l’anima in pace perché occorre infilare le mani e i piedi nella mota per mettere in moto il progresso. Il dato allarmante dunque, molto al di là delle campagne di de profundis etico dei collaborazionisti della carta stampata e dei comici impolitici, sempre pronti a cavalcare i bassi umori popolari e gli infimi istinti primordiali, è che essi pretendono la greppia collettiva per continuare ad ingrassare i propri apparati elefantiaci, delegando ai supertecnici e agli organismi mondiali le scelte economiche e politiche del governo. Se stanno lì esclusivamente per pianificare le feste dell’unità facendo la festa all’unità statale è meglio che si tolgano di torno. E presto. Ora che la gente ha compreso di poter fare a meno di Bersani, Alfano, Bossi, Fini, Casini, Vendola ecc. ecc., adesso che il consenso verso i partiti è sceso molto al di sotto di una fisiologica soglia di disinteresse stagionale, costoro vorrebbero riprendersi la scena per mettere in atto un’altra pantomima elettorale che non risolverà le sofferenze del Paese ma le aggraverà per inabilità manifesta a governare. Si può imbiancare il sepolcro quanto si vuole ma se dai tumuli vanno e vengono zombies senza calore non ci vuole tanto a capire che sempre dinanzi ad un cimitero di ideali ci troviamo. Nemmeno basterà additare l’apocalisse dello spread o la dannazione delle borse, apparizioni relativamente recenti, per far sembrare il funerale in corso una momentanea cerimonia all’insegna della sobrietà. Il sistema politico italiano si è ucciso tanto tempo fa, quando la funerea e funesta macchina delle tenebre, presentatasi alla gente come una gioiosa macchina da guerra, alleata alle schiere giustazialistiche e alle legioni confindustriali, vendette la patria alle truppe straniere per garantirsi la propria misera sopravvivenza cadaverica. Gli italiani hanno elaborato il lutto da tempo e non si faranno commuovere dalle lacrime dei coccodrilli che prima si sono divorati il Paese ed ora vorrebbero amministrarne le restanti macerie. Bisogna inumare le salme e gli scheletri dei tempi trapassati per non finire imbalsamati, questa è l’unica alternativa che ci resta. Ps. Anche qualche giornale inserito nel circuito dei media ufficiali comincia a credere che, essendo tutti gli uomini e i partiti di questa fase storica ampiamenti compromessi con lo sfacelo generale, non è detto si tratterà degli stessi protagonisti del prossimo futuro dell’Italia. Scrive oggi Belpietro nel suo editoriale: chi dice che i partiti saranno questi? Cosa ci fa credere che la prossima volta dovremo sempre scegliere i soliti gatti? Perchè non potrebbe esserci un nuovo Cavaliere a guidare i sogni italiani? Sono d’accordo, ma basta con i Cavalieri felloni e libidinosi poichè adesso è il turno dei Grandi Chirurghi spietati. di Gianni Petrosillo

21 aprile 2012

Il BRICS sfida l'ordine mondiale

La vista dei BRICS è stato un pugno nell’occhio per i paesi sviluppati sin dal principio. Il senso di irritabilità sta ora sta cedendo il passo ad un’inquietudine che rasenta l’ostilità. C’è la pressante necessità che il BRICS acquisisca una fissa dimora e un nome. È vero, dal vertice di New Delhi non è emerso nulla di clamoroso. Tuttavia, ci sono nuove avvisaglie che annunciano una potenziale impennata del BRICS. E ciò causa inquietudine al mondo sviluppato. In breve, come ricorda la Dichiarazione di Delhi dei paesi BRICS, esso è una “piattaforma per il dialogo e la cooperazione tra i paesi che rappresentano il 43% della popolazione mondiale”. Il che già è dire molto. Non c’è nulla di simile al BRICS oggi nel mondo sviluppato. Il G7 è diventato una reliquia della storia. Il panorama atlantico è cupo, con Europa e Stati Uniti che lottano con le rispettive crisi economiche, abbandonando la pretesa di essere i campioni del mondo. La Dichiarazione di Delhi fa un palese tentativo di conseguire una maggiore rappresentanza dei paesi emergenti e in via di sviluppo presso le istituzioni della governance globale. Questa non è una vacua rivendicazione. Perché il BRICS ha anche una speciale esperienza da condividere – essendosi “rapidamente ripreso dalla crisi globale”. L’Occidente non aveva mai sentito nulla di simile prima. Non si tratta del Sud del mondo che reclama per avere “di più”. Questa è un’aperta richiesta di “condivisione del potere”. Non si era mai parlato all’Occidente in questo modo durante tutti questi secoli, dalla Rivoluzione Industriale in poi. Il corso della storia sta chiaramente cambiando. La Dichiarazione di Delhi afferma: “Crediamo sia cruciale per le economie avanzate adottare responsabili politiche macroeconomiche e finanziarie, evitare la creazione di eccessiva liquidità globale e intraprendere riforme strutturali per innalzare una crescita che crei occupazione. Attiriamo l’attenzione sui rischi relativi agli ingenti e volatili flussi di capitali transfrontalieri che le economie emergenti stanno affrontando. Chiediamo ulteriori riforme e controllo finanziario internazionale, rafforzando la coordinazione delle politiche, la regolamentazione finanziaria, la cooperazione in materia di supervisione e promuovendo un solido sviluppo dei mercati finanziari globali e del sistema bancario.” Il mondo in via di sviluppo non aveva mai ammonito in questo modo il mondo sviluppato. Il BRICS ha fatto valere le proprie credenziali per fare tali richieste, dal momento che rappresenta le economie che stanno avendo una crescita economica generale e “contribuiscono significativamente alla ripresa globale”. La Dichiarazione di Delhi continua criticando la lentezza delle riforme concernenti le quote e la governance nel Fondo Monetario Internazionale e il funzionamento della Banca Mondiale, e mette in discussione la prerogativa dell’Occidente di essere a capo di queste istituzioni. Significativamente, il BRICS sta alzando la voce proprio mentre la Russia si accinge ad assumere la Presidenza del G20 nel 2013. Un risultato concreto del vertice di Delhi è l’accordo di considerare la possibilità di istituire una nuova Banca per lo Sviluppo, per mobilitare risorse per progetti riguardanti infrastrutture e sviluppo sostenibile nei paesi BRICS e in altri paesi in via di sviluppo, al fine di “integrare” il ruolo della Banca Mondiale e di altre istituzioni finanziarie regionali. L’idea è quella di liberarsi del perdurante dominio dei paesi sviluppati su queste istituzioni finanziarie. L’ideale, ciò che la Banca Mondiale e l’intera rete delle banche per lo sviluppo regionali già esistenti preferirebbero, sarebbe continuare a usare il denaro del BRICS e mantenere il modello esistente di egemonia occidentale. Al contrario, una banca del BRICS minaccerà la radicata pratica occidentale di usare le istituzioni finanziarie internazionali per prescrivere e imporre politiche economiche ai paesi in via di sviluppo e di conseguenza promuovere gli interessi commerciali dei paesi sviluppati e perfino stabilire l’egemonia politica. Le implicazioni sono considerevoli, in particolare per la geopolitica dell’Africa. Al summit di Delhi è stato richiesto un rapporto sulla creazione di una banca per lo sviluppo per il prossimo vertice annuale del BRICS in Sudafrica. È interessante notare che il Sudafrica rappresenta la voce del continente africano all’interno del BRICS. Inoltre, l’ingresso della Russia nell’Organizzazione Mondiale del Commercio cambierà notevolmente la capacità (e la volontà politica) del BRICS di salvaguardare il sistema commerciale multilaterale regolamentato e influenzare un risultato positivo ed equilibrato del Doha Round. Allo stesso modo, il vertice di Delhi è stato testimone della conclusione dell’Accordo quadro sull’estensione delle facilitazioni di credito in valuta locale sotto il Meccanismo Cooperativo Interbancario del BRICS e dell’Accordo multilaterale sulla facilitazione della conferma delle lettere di credito tra EXIM e le banche per lo sviluppo. Senza dubbio, questi saranno strumenti facilitativi utili per promuovere il commercio all’interno del BRICS. Un accanito attacco è iniziato da Occidente. Le critiche rivolte al BRICS parlano da sé: i paesi del BRICS aderiscono a “valori diversi”; gli altri paesi BRICS sono ostili all’ascesa della Cina; la Russia è un “paese in declino” e non ha “molto in comune” con il resto del BRICS inteso come attore significativo nell’economia mondiale, eccezion fatta per le sue vaste riserve energetiche; perciò, i paesi del BRICS non sono “alleati naturali”; gli indiani hanno timore dell’accerchiamento cinese e sono molto in ansia per l’”enorme squilibrio” tra loro, sebbene abbiano “molti interessi economici in comune”; la Cina, a sua volta, è preoccupata per lo spettro dell’alleanza asiatica guidata dagli Stati Uniti schierata contro di lei, di cui fa parte l’India; il Sudafrica sta lottando per sostenere la crescita; la Russia rimane “instabile”; il Brasile promette bene, mentre Cina e India sono paesi enormi con uno straordinario potenziale e record impressionanti. Il BRICS non è un “raggruppamento naturale” . Senza dubbio, alcune di queste argomentazioni hanno un valore, ma d’altro canto, il processo del BRICS riguarda l’ampliamento progressivo della comunanza di interessi tra i paesi membri e non la creazione di un blocco di nazioni con la stessa mentalità basata su un insieme di cosiddetti valori comuni. È un processo pragmatico che concede spazio e autonomia ai paesi membri, che a sua volta fornisce al BRICS la libertà di lavorare nel tempo alla creazione di una massa critica. La verità è che la massa critica si sta costituendo ed è già visibile. Mentre acquisisce fiducia in se stesso, il BRICS sta spiegando le ali. Il vertice del 2011 in Cina fece piccoli passi verso l’armonizzazione delle posizioni degli Stati membri sulle questioni di politica internazionale. Il BRICS ha fatto un ulteriore passo avanti durante il summit di Delhi per adottare una posizione comune sulla Siria, la “zona calda” numero uno nella politica mondiale di oggi. La Dichiarazione di Delhi pone l’accento su un processo politico inclusivo guidato dalla Siria stessa e sul dialogo nazionale, invitando la comunità internazionale a rispettare l’indipendenza, l’integrità territoriale e la sovranità del paese. Il cosiddetto “Piano d’Azione di Delhi” approvato durante il vertice sottolinea la volontà da parte degli Stati membri di rafforzare il processo BRICS. Esso prevede incontri regolari e frequenti dei ministri degli esteri, delle finanze, del commercio, dell’agricoltura, della salute e dei governatori delle banche centrali (oltre agli incontri degli alti ufficiali in varie aree di cooperazione) a latere di eventi internazionali rilevanti. L’intenzione è quella di coordinare una posizione comune del BRICS su un’ampia sfera di interessi comuni a livello mondiale. Ciò che bisogna evidenziare è la decisione di tenere degli incontri “autonomi” degli Alti Rappresentanti dei paesi BRICS responsabili della sicurezza nazionale. Nel contesto indiano, il Consigliere per la Sicurezza Nazionale è la figura chiave per quanto concerne il più alto livello del processo decisionale in politica estera e di sicurezza – ed è degno di nota che si tratti anche del rappresentante designato per guidare il corso delle relazioni tra India e Cina. Il BRICS riserva interessanti possibilità all’India per lavorare con la Cina sulle questioni globali. Visto da un’altra angolazione, il processo del BRICS esplora le aspirazioni comuni delle due potenze asiatiche nell’emergente ordine mondiale. Esse sono completamente libere di definire la priorità delle problemi. Il cuore del questione è che il BRICS fornisce un ambiente amichevole e rilassato nel quale possono aver luogo riflessioni costruttive tra i paesi membri, così come a livello bilaterale. Nel caso sia stato trascurato, a latere del vertice di Delhi, le leadership cinese e indiana si sono prese del tempo per discutere sulla loro relazione. Quando i critici occidentali ironizzano brutalmente sul fatto che al BRICS manchi la “malta”, ecc., sono sulla strada sbagliata. Il BRICS non è stato pensato per essere un edificio di vetro e acciaio. È un processo nato dalla volontà comune di fondere le aspirazioni condivise riguardo il nuovo ordine mondiale. Date le porzioni crescenti di PIL mondiale delle economie del BRICS, esse reclamano maggiore partecipazione nell’architettura globale. Mentre i cani abbaiano, la carovana è determinata a passare. Questo è il messaggio emerso dal summit di Delhi del BRICS. di Melkulangara Bhadrakumar
(Traduzione dall’inglese di Francesca Malizia)

20 aprile 2012

Il debito pubblico

La vera prigione in cui siamo rinchiusi, è quella che ha per sbarre la nostra ignoranza. Se sapessimo come realmente stanno le cose, diventeremmo di colpo liberi senza bisogno di forzare i cancelli e rompere le catene. Questo, e non altri, è il vero obiettivo dei "padroni del mondo": se riescono a mantenerci sempre nel buio della nostra ignoranza, magari distogliendo la nostra attenzione con argomenti futili e creandoci nemici inesistenti o paure infondate, saranno certi di poterci sempre far fare quello che vogliono. E quando c'è il rischio che potremmo "mangiare la foglia", non ci consentono di esprimerci (con il voto). "Cumannari iè megghiu chi futtiri" diciamo noi siciliani doc che, dai fenici in poi, di "comandanti" ne abbiamo visti davvero tanti e, da ognuno, abbiamo imparato quel nostro freddo disincanto di fronte alla promesse dei potenti che, col tempo, s'è trasformato in "complicità" con i ribelli (i briganti) e sfiducia nelle istituzioni. Il 99% degli italiani è convinto che il debito pubblico sia una cosa detestabile e rappresenti un ipoteca sul futuro del paese e sulle generazione future. Per questo, e non per altro, la stragrande maggioranza degli italiani è d'accordo sui sacrifici da fare per ridurre quel debito "mostruoso"... prima che ci divori tutti (noi ed i nostri figli). Ebbene, italiani ed italiane, sono entrambi stronzate: sia la mostruosità del debito pubblico che l'ipoteca sul futuro. Il debito pubblico, l'ho detto mille volte, ha reso possibile la ricchezza privata (dei cittadini). Il deficit dello Stato si trasferisce nel risparmio dei cittadini. Se lo Stato italiano non avesse il debito che ha, voi non avreste comprato e pagato la vostra casa e non avreste soldi in banca o altrove... e, dunque, ritenerlo detestabile è come sputare nel piatto in cui s'è mangiato. Uno Stato che non ha debiti (come l'ex Unione sovietica) è abitato da cittadini che non possiedono un cazzo. Non è un'opinione, è matematica. Il Giappone ha il 225% di debito pubblico e i suoi cittadini sono tra i più ricchi del mondo. L'Italia ha il 120% di debito pubblico e la ricchezza degli italiani è, di gran lunga, la più elevata d'Europa e, con il Giappone, tra le prime al mondo. Sono numeri compari, mica supercazzole da bar. Il debito dello Stato è il risparmio dei suoi cittadini. Se non capite questo, qualsiasi peracottaro con un po di parlantina, riesce a prendervi per il culo convincendovi a fare (quasi volentieri) cose assolutamente nefaste per voi e per il vostro paese. Grazie a questa colossale minchiata, i tedeschi ci hanno imposto il fiscal compact: la più grande truffa dell'era moderna. E l'ipoteca sul futuro? Gli interessi sul debito, dicono i cazzari che rappresentano questa minaccia inesistente, dovranno essere pagati dai nostri figli e nipoti e, quindi, noi gli staremmo togliendo il pane di bocca... Ma che sciocchezza è mai questa? E' vero che gli interessi sul debito saranno pagati tra 20 anni dalla prossima generazione (esattamente come noi stiamo pagando gli interessi correnti), ma a chi andranno quegli interessi? A coloro che deterranno, tra 20 anni, i titoli del debito... Cioè la stessa generazione futura che da una parte paga gli interessi (attraverso le tasse) e dall'altra li incassa (attraverso le cedole sui titoli di Stato). Esattamente come succede adesso e succedeva 20 anni fa. Il risultato finale si concretizza in una beata minchia di niente... perché questo è un gioco a somma zero. Quindi, picciotti e picciotte, tranquillizzatevi: non state togliendo il pane di bocca proprio a nessuno. Riepilogando: il debito pubblico ha consentito agli italiani di essere i più ricchi d'Europa e tra i più ricchi al mondo, e l'ipoteca sul futuro dei nostri figli e nipoti, è una favola per bambini scimuniti. Se siete tra quelli che ci hanno creduto e vi siete fatti convincere che era necessario "fare sacrifici" per ripagare il nostro debito, ebbene, vi siete lasciati pigliare per il culo. Non vi basta la mia "spiegazione"? Leggete i libri di John Kenneth Galbraith, Hyman Minsky e Randall Wray (tre economisti di fama mondiale) e troverete le stesse conclusioni supportate da equazioni e numeri (Wray, in particolare, le dimostra in maniera lapalissiana). Ma, e la domanda nasce spontanea, se è le cose stanno così, perché ci bombardano continuamente con le conclusioni contrarie? Paisanu... perché ti devono fottere. Come potrebbero, diversamente, convincerti a "ridare indietro" parte della tua ricchezza (i tuoi risparmi)? Senza quelle storielle della mostruosità del debito pubblico e dell'ipoteca del futuro dei tuoi figli, neanche Dio ti convincerebbe ad accettare tutti i tagli, le tasse ed il resto... senza fare bordello... come se sapessi, tra te e te, che la medicina è amara, ma non c'è alternativa. Non è così? E a chi vanno quei tuoi risparmi? Quando lo Stato produce deficit (spese più alte delle tasse), i piccioli (del suo debito) vanno ad incrementare i tuoi risparmi. Quando, invece, lo Stato produce surplus (tasse più alte delle spese) i tuoi risparmi fanno il percorso inverso: da te allo Stato. Il fiscal compact, dunque, produrrà quello spostamento (da te verso lo Stato) nella misura del 50% dell'attuale debito pubblico, ovvero 1000 miliardi di euro... Mi hai capito compare? Nei prossimi 20 anni i cittadini italiani si impoveriranno di 1000 miliardi di euro: il 67% del Pil... il 3.35% l'anno. Ti hanno convinto che sei stato tu a togliere il pane dalla bocca ai tuoi figli e nipoti (con la cazzabubbola del mostruoso debito pubblico che ipoteca il loro futuro)... e invece, loro glielo hanno tolto davvero (con il fiscal compact)... Lo vedi con chi hai a che fare? Gente con le palle ed il pelo sullo stomaco, che usa la comunicazione per convincerti di qualsiasi cosa gli convenga... anche che tu sei il carnefice, e invece sei la vittima (ricordi la favola dell'agnello ed il lupo di Fedro?). Se gli italiani sapessero come stanno davvero le cose, sarebbero già in piazza con le roncole ed i forconi... ma non lo sanno e, in più, gli danno da discutere delle minchiate tipo l'articolo 18... e così se la pijiano nder culo senza neanche bisogno di vaselina. Vi annuncio che Bossi e Maroni hanno lanciato un referendum per annettere la Lombardia alla Svizzera. In qualità di cittadino lombardo e viste le prospettive dell'Italia, voterei "si" all'annessione. Ma poi mi chiedo perché mai gli svizzeri dovrebbero volerci? Se anche loro facessero un referendum (sull'accettare la Lombardia nella Confederazione) temo una disfatta dei "si". Mi sa che ci tocca lottare qui. di G. Migliorino

19 aprile 2012

L'autore di Transaqua, Marcello Vichi, attacca il dossier americano sulla "guerra per l'acqua"

Sul periodico Gente di questa settimana si trova un articolo che annuncia lo scoppio della "guerra per l'acqua" a livello globale. Ma non fa parola delle soluzioni possibili alla crisi idrica su questo pianeta, che – paradossalmente - dallo spazio assume un colore azzurro. Non è la prima volta che si parla di questo pericolo, certamente. Tuttavia, l'intenzione dell'articolo sembra essere quella di rappresentare un destino ineluttabile e dunque di preparare il popolino alla spiacevole prospettiva. Il titolo impiega l'espressione inglese "water war", forse per dare maggior autorevolezza all'analisi. Le prime righe battono subito sul chiodo: «[...] a toglierci ogni illusione è stata l'intelligence americana [...] in uno studio appena divulgato dal Dipartimento di Stato di Washington e commissionato un anno fa dal segretario di Stato Hillary Clinton». In seguito si legge: «Lo scenario delle water wars potrebbe diventare realtà dal 2022, precisa lo studio del National intelligence estimate». A parte il fatto che già in molti posti del mondo si litiga per l'acqua, il vero insulto è l'omissione delle possibili risposte alla crisi idrica mondiale. Risposte ben diverse dalle vaghe evocazioni e dagli appelli del retore Obama, il quale, come si legge scorrendo l'articolo, con la Water Partnership vorrebbe «promuovere e irrobustire la cooperazione della Casa Bianca con Ong, associazioni, soggetti privati e Paesi di tutto il pianeta», ma non si sa con quali precisi fini. Chi conosce le promesse dei progetti come il NAWAPA e il Transaqua, invece, sa che cosa occorra fare, quanto tempo sia stato perduto e che non si può accettare oltremodo questa maniera di fare "informazione". Il primo ad indignarsi è proprio l'ingegnere Marcello Vichi, già nel decennio 1980 coinvolto nel progetto Transaqua, la grande opera idrica nel bacino del Congo, pensata per portare l'acqua dalle regioni pluviali a quelle desertiche. «L'ignavia e lo stupido egocentrismo dell'Occidente (americani in testa) scoprono che nei prossimi anni ci saranno le "guerre per l'acqua"», afferma Vichi. «Peccato», prosegue, «che già negli anni 1970, scienziati, divulgatori, e uomini politici seri, avessero già lanciato gli stessi allarmi, ma la gente non moriva ancora di sete a milioni e le previsioni, ancorché scientificamente dimostrate, non interessavano a nessuno. Oggi continuano ancora ad essere pochi coloro interessati, ma si prepara il terreno a notizie "più interessanti" che a breve verranno, alle notizie "vendibili"». Oggi sono 1,6 miliardi le persone che fanno i conti con la scarsità d'acqua. È la FAO ad attestarlo, ricorda Vichi, il quale sardonicamente ricorda che essa «notoriamente ha speso grandi energie per risolvere alla radice questi problemi..!"» «La stessa FAO oggi ci racconta che 10.000 persone al giorno muoiono a causa della siccità. Queste sono notizie che fanno vendere», al pari dei titoli scandalistici di prima pagina. «Nonostante che la solita FAO preveda che nel 2025 i due terzi della popolazione mondiale vivrà in condizioni di "stress idrico", l'articolo [...] fa presente che nel continente africano solo il Nilo rappresenti una risorsa, ignorando che oramai non potrà essere più una risorsa, per nessuno, a causa del suo iper-ultra sfruttamento, e che, nello stesso continente, esiste anche un fiume chiamato Congo.» «Questo è, a tutt'oggi, il grado di conoscenza e di consapevolezza dei fatti, non del settimanale Gente, ma dell'United States Intelligence Community che raccoglie le informazioni di 16 U.S. intelligence Agency del Federal Governement degli Stati Uniti. È la stessa "intelligence" che si allarma del costo della benzina nel mondo, quando il prezzo alla pompa negli USA supera la soglia delle reazioni popolari pericolose?» La soluzione africana, come abbiamo altre volte sostenuto, sta nella costruzione di grandi infrastrutture, idriche e di trasporto. Per quanto concerne l'acqua, il progetto principale è quello di alimentare il Lago Ciad con le acque del bacino idrico centrafricano. Se si fosse partiti al momento giusto, non avremmo avuto per decenni gli stupidi problemi di carestia e siccità, né le miriadi di associazioni di raccolta fondi, spesso di dubbio comportamento. Per quanto riguarda i trasporti, si tratta di dotare il continente di linee di trasporto ferroviario tali da integrarlo fisicamente, da Nord a Sud e da Est a Ovest. Ma torniamo al progetto Transaqua. Questo prevederebbe il trasferimento annuo di 100 miliardi di metri cubi di acqua (superiore alla portata complessiva del Nilo), tramite un canale lungo 2400 km. Questa operazione dovrebbe rendere coltivabile una regione di 12 milioni di ettari, contrastare la desertificazione del suolo nella regione sahariana, sfamare cento milioni di africani ed eliminare uno dei motivi delle emigrazioni di massa. Il progetto sviluppato da Vichi per la società Bonifica del gruppo IRI, godette del plauso delle guide politiche centrafricane, ma non dei governi o di certi enti occidentali. Le più rosee speranze nella realizzazione del progetto furono travolte dall'esplosione nella regione delle cosiddette "guerre etniche", espressione degli interessi colonialisti europei, e dalla privatizzazione dell'IRI e dallo smantellamento dell'economia italiana sotto l'azione della furia giacobina diretta dalla City di Londra, nel periodo 1992-1995. Al pari dell'ing. Vichi, il nostro movimento internazionale continua a promuovere l'idea. Nel 2011 si è tenuta una conferenza a N'Djamena, nello stato del Ciad, proprio sulla prospettiva del trasferimento idrico dal Congo al Lago Ciad. La presenza di Gheddafi, favorevole al progetto che avrebbe potuto portare la preziosa acqua anche in Libia, aveva fatto sperare che i capitali da investire sarebbero stati trovati. Tutti sappiamo che cosa è avvenuto a Gheddafi, quando all'improvviso le potenze occidentali hanno deciso di volersi sbarazzare del dittatore. L'idea di far rifiorire la regione intorno al Lago Ciad non è morta anche perché Jacques Cheminade, candidato alla presidenza della Francia, ne ha fatto uno dei pilastri del programma di governo, costringendo i media a parlarne. Se le nazioni occidentali vogliono davvero evitare il collasso economico e scongiurare le conseguenze che, come accadde negli anni Trenta, ne deriverebbero, devono assolutamente ridarsi all'economia reale. Con progetti come il Transaqua e il NAWAPA, preparando allo scopo un sistema creditizio globale in sostituzione di quello finanziario ormai fallito. by (MoviSol)

18 aprile 2012

Lo Stato totalitario fiscale

«Questa la racconta un amico commercialista: Un mio cliente possiede una Maserati. Negli ultimi mesi, è stato fermato dalla Guardia di Finanza cinque volte; tutte, il suo stato di contribuente è stato esaminato da cima a fondo, e tutte le volte trovato‘congruo’ al possesso della Maserati. Alla fine, per non essere più fermato e perdere tempo (e denaro), il mio cliente ha chiesto ai finanzieri un lasciapassare. E l’ha ottenuto, firmato e bollato. Adesso, appena lo fermano,esibisce il suo ‘certificato di congruità’, e così può proseguire senza intoppi.Ma dov’è finita la libertà?Dov’è finito il diritto alla proprietà privata?» Sì, caro amico. Il governo dei tecnici – che in teoria sono tutti sostenitori del liberismo (molti di loro lo insegnano, alla Bocconi) – sta creando uno Stato poliziesco di stampo leninista. Basato sul sospetto sistematico sui cittadini, il controllo totale e minuzioso su ciò che spendiamo, sulla punizione fiscale della proprietà immobiliare a scopi distruttivi della stessa proprietà. Molto presto infatti, Equitalia s’impadronirà di migliaia di case ed edifici sequestrati a proprietari che non sono in grado di pagare l’IMU. Sarà un passo decisivo verso la statalizzazione della proprietà un tempo privata, come ai tempi di Lenin. E in un tale sistema, non può mancare la denuncia del «nemico interno», del «sabotatore economico», sotto specie di Evasore Fiscale. Un mostro senza volto che nasconde da qualche parte (ci dicono) «200 miliardi», e che se solo Equitalia ci mettesse sopra le mani, tutti i nostri problemi sarebbero risolti. Perchè, come dice lo slogan ideologico della campagna di Stato contro l’Evasore, «quando tutti pagano, i servizi diventano davvero più efficienti». Tipica menzogna di regime: da decenni paghiamo sempre di più, e i servizi diventano sempre meno. Menzogna che tutti riconoscono come menzogna ma – come avveniva ai tempi di Stalin – tutti devono fingere di credere vera. Basta citare le direttive che il governo ha dato all’agenzia pubblicitaria Saatchi & Saatchi per capire che viviamo sotto un regime totalitario: « Pagare le tasse dovrebbe essere sinonimo di orgoglio, appartenenza alla patria, libertà. Volontà di fare sistema, di sentirsi parte della medesima società. Di meritocrazia». Puro Orwell: la schiavitù fiscale viene definita «libertà», e non manca l’appello al patriottismo, ultima risorsa dei tiranni criminali, oltrechè dei mascalzoni imboscati. Il ministro Piero Giarda, professore e tecnico, ha già detto che non si taglierà la spesa pubblica, ed ha sfidato: chi invoca i tagli pubblici «dica quali servizi pubblici vorrebbe smontare e trasferire al mercato». A parte che è strano questo disprezzo del «mercato» per un governante che è stato messo lì per placare e servire i «mercati finanziari», questa è la solita menzogna del potere statalista. Sindaci, governanti di Regioni, presidenti di provincie, appena si accenna a tagliare le loro spese, strillano: «Dovremo dare meno servizi pubblici», meno autobus, meno scuole, meno sanità. È proprio della Casta totalitaria, appena si parla di «tagli pubblici», pensare a tagliare i servizi pubblici anzichè i « loro emolumenti» e colossali introiti. Anche la casta sovietica che aveva i suoi negozi riservati, le sue case e dacie di lusso gratis (per lo più espropriate ai vecchi nobili) non ha mai pensato che doveva ridurre le proprie spese mentre la gente moriva di fame per la caotica gestione economica del «comunismo» (ma veniva data la colpa ai «sabotatori della produzione» e ai kulaki «che nascondono il grano allo Stato»). Al professor Giarda sarebbe fin troppo facile, oggi, indicare «quali servizi pubblici smantellare»: i fondi ai partiti sono lì da vedere, grazie agli scandali. La Lega, nonostante tutte le spesucce del Trota e di mammà (11 appartamenti, un milione per la scuola Bosina-padana), ha in banca 30 milioni – soldi di noi contribuenti. La Margherita ne ha oltre 23, prima dei prelievi di Lusi. Alleanza Nazionale, partito non più esistente, ne ha in banca 55 milioni. Gran parte a disposizione privata di «Caghetta» Fini. Se li hanno in banca, è perchè non sanno cosa farsene. I «rimborsi» ai partiti sono costati dal ‘94 ad oggi, 2,2 miliardi di euro. Una cifra che potrebbe risolvere molti problemi. Le autoblù costano 4 miliardi l’anno: se ne potrebbero privare la metà dei nostri governanti, senza prima tagliare gli autobus. E quanto ci costa il partito di Mastella, da tanto tempo defunto? Scommetto che riceve i rimborsi elettorali anche lui (1). Tagliare quel «servizio pubblico», professore: non ne abbiamo bisogno (2). È un servizio pubblico che non ci serve a nulla, tanto più che il 90% delle norme varate dal costosissimo parlamento sono in realtà ratifiche di normative europee. Si può sostituire Camera e Senato con centraliniste che ricevano gli ordini da Bruxelles, come si può sostituire Bankitalia con un centralino collegato a Francoforte. Pare così evidente! Invece, sotto i nostri occhi, i tre partiti maggiori (un tempo divisi in «maggioranza e opposizione», oggi unitissimi), stanno cercando di varare in fretta una «riforma» a loro esclusivo beneficio: che comporta più «trasparenza» nelle spese dei partiti – sappiamo cosa vale la trasparenza – ma nessun taglio. Nemmeno un euro in meno. Stanno per arrivare infatti 100 milioni di pseudo-rimborsi, di grasso che cola – estratto da una società che viene impoverita, tartassata, impedita persino di guadagnare – e non li vogliono perdere. Piuttosto, «meno servizi pubblici», meno autobus, meno ospedali. Sicchè dopotutto è inutile prendersela col governo «tecnico». Sì, il governo Monti è il risultato di un putsch bianco, ma è appoggiato dai partiti maggiori, oggi non più «maggioranza-opposizione» ma unitissimi, proprio perchè assicura che i loro indebiti introiti non saranno toccati. È vero che nell’instaurare l’idrovora fiscale più vorace della storia, Monti sta mutando la nostra società in uno Stato poliziesco sovietizzante, dove chi possiede una Maserati è sospetto, i conti correnti sono aperti allo sguardo dei Befera, aurto, case e macchinari sono sequestrati per ritardi nel pagamento delle imposte, si invita alla delazione del vicino, e si strangola l’economia reale, il tutto fra grandi colpi di grancassa propagandistica contro il «Nemico Interno». Tutto vero. Ma è vero che la democrazia non esisteva più anche prima. Da quando i partiti si sono scremati dalla spesa pubblica quegli enormi tesori in segreto, il gioco della democrazia non finge più nemmeno di funzionare: sempre le stesse persone da trent’anni, le elezioni non hanno più senso. Sempre gli stessi nominati da eleggere in liste bloccate. Anche sotto Stalin avvenivano elezioni: a liste bloccate, si era liberi di scegliere i nomi messi in lista dal Partito. di Maurizio Blondet NOTE: 1) Sarebbe utile calcolare anche i costi indiretti; i figli di Mastella sembrano tutti ben impiegati in aziende pubbliche e parapubbliche. L’ultima che ho appreso: esiste un figlio di Mastella, 38 anni, sposato a una coordinatrice provinciale ligure del Pdl, che è stato fatto – in gran segreto – dirigente di Ansaldo Energia. Non c’è solo Trota. 2) Nel 1970, 22 lavoratori dipendenti nel settore privato dovevano mantenere un lavoratore pubblico. Oggi, sono solo 13 a doverlo mantenere. Anche questo a proposito dei «servizi pubblici da smantellare».