30 giugno 2010

Banche intoccabili

Intoccabili banche

Nel momento in cui Francia, Germania e Gran Bretagna annunciano l’intenzione di presentare al prossimo G20 di Toronto la proposta di una tassa basata sugli utili delle banche, da applicare con caratteristiche diverse a seconda delle condizioni economiche e dei sistemi fiscali di ciascun Paese, e l’Unione Europea esplora addirittura la possibilità di un’imposta “globale” sulle transazioni finanziarie, può essere utile fare il punto della situazione sugli interventi pubblici a favore delle banche e degli istituti finanziari durante gli scorsi due anni, in Europa e negli Stati Uniti, basandosi sull’ultimo dei rapporti semestrali elaborati da RS-Mediobanca (http://www.mbres.it/ita/download/rs_piani_di_stabilizzazione_finanziaria.pdf).

Da esso risulta che il totale di aiuti, in termini di iniezioni di capitale e di prestazione di garanzie, ammonta a 1.518,7 miliardi (di euro) per l’Europa ed a 2.593,2 miliardi (di dollari) oltreoceano. Nel dettaglio, è interessante notare come nel Vecchio Continente i più colpiti dalla crisi finanziaria siano state Germania e Gran Bretagna, con rispettivamente 362,5 e 792,5 miliardi di euro di aiuti erogati, con la seconda protagonista anche della nazionalizzazione di due banche, Northern Rock e

The Bradford & Bingley. Considerando inoltre le ingenti sottoscrizioni di capitale azionario realizzate dal governo britannico a favore di Royal Bank of Scotland e Lloyds TSB Group (per un ammontare complessivo vicino ai 700 miliardi di euro), parlare di libero mercato nella patria di Adam Smith e David Ricardo, fondatori dell’economia politica, oggi appare davvero surreale.

Negli Stati Uniti, gli aiuti pubblici si sono invece concentrati su cinque grandi gruppi finanziari, i colossi del credito immobiliare Fanni Mae e Freddie Mac, Aig, Bank of America e Citigroup.

Ai primi due, posti in amministrazione controllata a partire da settembre 2008, sono stati concessi sostegni diretti pari a 200 miliardi e garanzie per ben 1.450 miliardi di dollari. Aig, ora denominato Aiu, può vantare quasi 70 miliardi di aiuti in qualità di sottoscrizione di capitale, mentre Bank of America e Citigroup rappresentano gli unici casi significativi di liquidità (47 miliardi) e garanzie (419) restituiti quasi integralmente al governo, rispettivamente a settembre e dicembre 2009.

Più che gli esborsi complessivi, a differenziare la situazione dell’Europa da quella statunitense è il numero di istituti finanziari e di credito coinvolti nei piani di salvataggio, dove nella prima ammontano a 115 (di cui 4 in Italia per “soli” 4,1 miliardi di euro) mentre negli Stati Uniti sono ben 1.095, dato che testimonia una crisi generalizzata e profonda di tutto il settore.

Nel frattempo, la Federal Reserve ha completato uno studio sui comportamenti di 28 tra le maggiori banche americane, concludendo che incentivi e bonus riconosciuti ai dirigenti rimangono ai livelli esorbitanti di prima e che i gestori delle operazioni speculative ad alto rischio continuano ad operare come sempre. Peccato che tale rapporto probabilmente non sarà reso pubblico prima dell’anno prossimo, mentre a fine 2009 la bolla dei prodotti finanziari derivati, dopo un ridimensionamento nelle fasi iniziali della crisi, è arrivata a 213 trilioni di dollari (615 trilioni a livello mondiale, con un aumento annuo del 12%). La paura di nuove insolvenze sta minando la fiducia tra le stesse banche che stentano persino a farsi credito tra loro, prova ne sia l’aumento costante e progressivo del LIBOR, il tasso di riferimento per i crediti a breve tra gli istituti di credito.

di Federico Roberti

I terroristi del deficit colpiscono nel Regno Unito.




La settimana scorsa il nuovo governo inglese ha dichiarato che avrebbe abbandonato i piani di incentivi del governo precedente e che avrebbe introdotto le misure di austerità richieste per ripagare i debiti stimati in circa 1.000 miliardi di dollari. Questo equivale al taglio della spesa pubblica, al licenziamento dei dipendenti, alla riduzione dei consumi e all’aumento della disoccupazione e dei fallimenti. Ed equivale anche alla riduzione dell’offerta monetaria, in quanto tutto il “denaro” odierno ha origine in pratica sotto forma di prestiti o di debito. La riduzione dei debiti insoluti farà diminuire la quantità di denaro disponibile per pagare i lavoratori ed acquistare le merci, aggravando la depressione e portando altre sofferenze all’economia.

Il settore finanziario a volte è stato accusato di ridurre di proposito l’offerta monetaria, allo scopo di aumentare la domanda per i propri prodotti. I banchieri lavorano nel business del debito e se venisse concesso ai governi di creare abbastanza denaro per tenersi alla larga dai debiti – i governi stessi e i loro elettori – i prestatori fallirebbero. Le banche centrali, che hanno la responsabilità di mantenere il business bancario, insistono dunque su una “moneta stabile” a tutti costi, anche se questo significa il taglio dei servizi, il licenziamento dei dipendenti e l’aumento del debito e degli interessi. Affinché il business finanziario possa continuare a prosperare, ai governi non deve essere permesso di battere moneta, sia stampandola integralmente che prendendola a prestito dalle banche centrali di proprietà dello stato.

Oggi questo obiettivo finanziario è stato ampiamente raggiunto. Nella maggior parte dei paesi, più del 95% dell’offerta monetaria viene creata dalle banche sotto forma di prestiti (o “credito”). La piccola parte generata dal governo viene di solito creata solamente per sostituire banconote o monete metalliche perse o usurate dal tempo, e non per finanziare nuovi programmi di governo. All’inizio del ventesimo secolo, più o meno il 30% della valuta britannica veniva emessa dal governo come sotto forma di sterline cartacee o di monete, contro solamente il 3% di oggi. Negli Stati Uniti, attualmente solo le monete metalliche vengono emesse dal governo. Le banconote di dollari (Banconote della Federal Reserve) sono emesse dalla Federal Reserve, che è di proprietà di un consorzio di banche private.

Le banche anticipano il capitale ma non l’interesse necessario per ripagare i loro prestiti – e dato che i prestiti bancari sono ora praticamente l’unica fonte di nuovo denaro nell’economia, l’interesse può derivare solamente da altri debiti. Per le banche, questo significa che il business continua ad andare a gonfie vele ma per il resto dell’economia questo equivale a tagliare, stringere la cinghia e austerità. Dato che si paga sempre di più di quanto fosse stato anticipato, il sistema è intrinsecamente instabile. Quando la bolla del debito diventa troppo grande da sostenere, viene fatta arrivare una recessione o una depressione che spazza via una grossa parte del debito consentendo al processo di ricominciare da capo. Tutto questo viene definito “ciclo economico” e provoca un forte ondeggiamento dei mercati, permettendo alle classi capitalistiche che hanno dato il via al ciclo di raccogliere a buon mercato il patrimonio immobiliare ed altri beni nell’ondata di flessione.

Il settore finanziario, che controlla l’offerta monetaria e può facilmente impadronirsi dei media, riesce a persuadere il popolino a sottomersi vendendo il proprio programma come un “bilancio equilibrato”, come una “responsabilità fiscale” che risparmia alle future generazioni un enorme carico di debiti se si applicano oggi le misure di austerità. Bill Mitchell, docente di economia all’Università di New Castle in Australia, definisce tutto questo “terrorismo del deficit”. Il debito creato dalle banche diventa più importante delle scuole, dell’assistenza sanitaria o delle infrastrutture. Invece di “pensare al benessere generale”, lo scopo del governo diventa quello di mantenere il valore degli investimenti dei creditori del governo stesso.

L’Inghilterra indossa il cilicio

La nuova coalizione di governo in Inghilterra ha appena adottato questo programma, imponendo a sé stesso lo stesso genere di austerità fiscale che il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha imposto da tempo ai paesi del Terzo Mondo, e che più di recente ha imposto ai paesi europei, tra cui Lettonia, Islanda, Irlanda e Grecia. Anche se quei paesi sono stati obbligati a sottomettersi ai loro creditori, l’Inghilterra ha dato spontaneamente un giro di vite, avendo ceduto sulla questione che deve ripagare i propri debiti per mantenere attivi i mercati per i propri titoli di stato.

I falchi del deficit puntano il dito minacciosamente verso la Grecia, che è stata praticamente estromessa del mercato privato delle obbligazioni perché nessuno vuole più i suoi titoli di stato. La Grecia è stata costretta a prendere a prestito soldi dal FMI e dall’Unione Monetaria Europea, che hanno imposto misure di austerità draconiane come condizione per i prestiti. Come un paese del Terzo Mondo che ha debiti contratti in una valuta straniera, la Grecia non può stampare euro né prenderli a prestito dalla propria banca centrale dato che queste alternative sono vietate dalle norme dell’Unione Monetaria Europea. In un tentativo disperato di salvare l’euro, la Banca Centrale Europa ha recentemente fatto uno strappo alla regola acquistando titoli greci sul mercato secondario invece che prestarli direttamento al governo di Atene, ma la BCE ha dichiarato che avrebbe “sterilizzato” gli acquisti fatti ritirando dal mercato una quantità equivalente di liquidità, rendendo l’accordo senza un nulla di fatto.

La Grecia è bloccata nella trappola del debito ma il Regno Unito non fa parte dell’Unione Monetaria Europea. E anche se appartiene all’Unione Europea, opera nella propria valuta nazionale che ha potere di emettere direttamente o di prendere a prestito dalla propria banca centrale. Come tutte le banche centrali, la Banca d’Inghilterra è un “prestatore di ultima istanza” il che significa che può creare denaro sui propri registri contabili senza doverlo prendere a prestito. La Banca d’Inghilterra è di proprietà del governo e dunque i prestiti dalla banca al governo dovrebbero essere in effetti esenti da interesse. Finché la Banca d’Inghilterra è disposta a comprare titoli che non vengono venduti sul mercato privato, non bisogna temere alcun crollo del valore dei titoli britannici.

Tuttavia i “terroristi del deficit” non capiscono questa soluzione ovvia, apparentemente a causa della loro paura dell’”iperinflazione”. Il 9 giugno scorso un commento da parte di “Cameroni” sul sito web finanziario di Rick Ackerman ha preso questa posizione. Intitolato “La Gran Bretagna diventa la prima a scegliere la deflazione”, inizia così:

Il nuovo governo di David Cameron in Inghilterra ha annunciato martedì che avrebbe introdotto misure di austerità per iniziare a pagare i debiti stimati in mille miliardi (di dollari) contratti dal governo britannico ... Detto questo, abbiamo appena ricevuto il segnale della fine delle misure globali di incentivi – un segnale che mette una pietra sopra il dibattito se l’Inghilterra debba “stampare” la propria via d’uscita dalla crisi oppure no... Si tratta in realtà di un momento celebrativo anche se, per molti, non sembra essere proprio così... i debiti dovranno essere ripagati... il tenore di vita diminuirà... ma si tratta di un futuro migliore di quello che ci potrebbe portare un’iperinflazione.


Iperinflazione o deflazione?

La terribile minaccia di iperinflazione è invariabilmente esibita per rigettare le proposte per risolvere la crisi dei bilanci governativi emettendo semplicemente i fondi necessari, sia come debito (obbligazioni) che come valuta. Quello che in genere i terroristi del deficit non dicono è che prima che un’economia possa essere minacciata di iperinflazione, deve passare attraverso un periodo di semplice inflazione, e ovunque i governi oggi non sono riusciti ad arrivare a questa fase, anche se ci stanno disperatamente provando. Cameroni osserva:

“I governi di tutto il pianeta hanno tentato la via degli incentivi nel corso dell’ultima crisi del credito e delle recessione, con pochi risultati. Hanno cercato, infruttuosamente, di generare persino una leggera inflazione nonostante enormi sforzi di incentivi e spese inutili”.


In effetti, l’offerta monetaria si sta riducendo ad un ritmo allarmante. In un articolo del 26 maggio sul Financial Times dal titolo “L’offerta monetaria degli Stati Uniti precipita ai livelli degli anni Trenta mentre Obama pensa a nuovi incentivi”, Ambrose Evans-Pritchard scrive:

“La quantità di moneta è scesa dai 14.200 miliardi di dollari ai 13.900 miliardi di dollari in tre mesi ad aprile, equivalenti ad un livello annuale di riduzione del 9,6 per cento. I beni dei fondi del mercato monetario istituzionale sono scesi ad un livello del 37 per cento, il più forte calo di sempre”

“E’ preoccupante”, ha detto il professor Tim Congdon dell’International Monetary Research. “La diminuzione dell’M3 non ha precedenti dalla Grande Depressione. La ragione prevalente è che i regolatori di tutto il mondo stiano esercitando pressioni sulle banche per aumentare i livelli dei capitali e per ridurre i loro beni di rischio. E’ questa la ragione per la quale gli Stati Uniti non si stanno riprendendo come dovrebbero”.


Difficilmente potrebbe essere stato iniettato troppo denaro in un’economia nella quale l’offerta monetaria si sta riducendo. Ma Cameroni conclude dicendo che visto che gli incentivi non sono riusciti a riportare il denaro necessario nell’offerta monetaria, i programmi di incentivi dovrebbero essere abbandonati a favore del loro esatto contrario – la più totale austerità. Cameroni ammette però che il risultato sarebbe devastante:

“Significherebbe una lunga, lenta e premeditata flessione finché non verrà raggiunta la solvibilità. Significherà che città, stati e contee falliranno e non saranno salvate. E sarà alquanto doloroso. La spesa pubblica sarà ridotta. I consumi potrebbero diminuire drasticamente. Le cifre sulla disoccupazione potrebbero schizzare alle stelle e i fallimenti potrebbero sbalordire i lettori di blog come questo. Metterà un freno alla crescita in tutto il mondo... Il Dow crollerà e ci saranno effetti di espansione in tutta l’Unione Europea e, alla fine, in tutto il mondo... i programmi di aiuti al Terzo Mondo saranno sventrati e non riesco ad immaginare le conseguenze che avranno sulle popolazioni più povere del pianeta.


Ma “ne vale la pena” dice Cameroni, perché prevale sull’inevitabile alternativa iperinflazionistica, che “è troppo sconvolgente da tenere in considerazione”.

L’iperinflazione, tuttavia, è un falso problema e prima di rigettare l’idea degli incentivi, dovremmo chiederci perché questi programmi hanno fallito. Forse perché erano incentivi elargiti al settore sbagliato dell’economia, l’intermediario finanziario improduttivo che per primo ha fatto precipitare la crisi. I governi hanno cercato di “rigonfiare” le loro economie fiacche riversando soldi alle banche che hanno avuto effetti rovinosi sui bilanci, ma le banche non si sono nemmeno degnate di dare quei fondi alle imprese e ai consumatori sotto forma di prestiti. Invece, hanno utilizzato quei finanziamenti a buon mercato per speculare, per acquistare banche più piccole, e per acquistare dei titoli governativi sicuri, riscuotendo un cospiscuo interesse da quegli stessi contribuenti che avevano dato loro i soldi del salvataggio. Sicuramente alle banche, in base al loro modello di business, viene chiesto di raggiungere quei profitti con prestiti rischiosi. Come tutte le aziende private, non sono là per fare l’interesse pubblico ma di guadagnare soldi per i loro azionisti.

In cerca di soluzioni

L’alternativa a riversare enormi quantità di denaro alle banche non è quella di far morire di fame e punire oltremodo e le imprese e i cittadini ma di foraggiarli direttamente con qualche incentivo, con progetti pubblici che forniscano i servizi necessari creando nel contempo posti di lavoro. Esistono numerosi precedenti di successo con questo approccio, tra cui i programmi di opere pubbliche compiuti in Inghilterra, Canada, Australia e Nuova Zelanda negli anni Trenta, Quaranta e Cinquant e che furono finanziati con denaro emesso dal governo, sia preso a prestito dalle loro banche centrali che stampato direttamente. La Banca d’Inghilterra è stata nazionalizzata nel 1946 nel corso di un forte governo laburista che fondò anche il Servizio Sanitario Nazionale, le ferrovie nazionali e che sviluppò molti altri programmi pubblici dal costo contenuto che giovarono all’economia per decenni.

In Australia, nel corso della crisi attuale, un pacchetto di incentivi sotto forma di contributo in denaro contante è stato dato direttamente alla popolazione come misura temporanea, e non si è avuta alcuna crescita negativa (recessione) per due trimestri e la disoccupazione si è mantenuta stabile al 5%. Il governo, tuttavia, ha preso a prestito questi soldi straordinari in maniera privata invece che emetterlo pubblicamente, sviato dalla paura dell’iperinflazione. Meglio sarebbe stato dare credito esente da interesse attraverso la banca centrale di proprietà dello stato ai cittadini e alle imprese, che erano d’accordo nell’investire il denaro in maniera produttiva.

I cinesi hanno fatto di meglio, espandendo la loro economia di oltre il 9% nel corso della crisi creando denaro aggiuntivo che è stato investito principalmente in infrastrutture pubbliche.

I paesi dell’Unione Monetaria Europea sono intrappolati in uno schema piramidale mortale, perché hanno abbandonato le loro valute sovrane per un euro controllato dalla BCE. I loro deficit possono essere finanziati solamente con altro debito, gravato da interesse, e quindi si deve sempre restituire più di quanto si fosse preso a prestito. La BCE potrebbe fornire un po’ di assistenza impegnandosi in un “alleggerimento quantitativo” (creando nuovi euro) ma ha insistito dicendo che l’avrebbe fatto solamente con la “sterilizzazione” – togliendo dal sistema l’equivalente dei soldi che venivano introdotti. Il modello dell’Unione Monetaria Europea è matematicamente insostenibile e destinato a fallire a meno che in qualche modo venga modificato, o ridando la sovranità economica ai propri paesi membri o consolidandoli in un unico paese con un unico governo.

Una terza possibilità, suggerita dai professori Randall Wray e Jan Kregel, sarebbe quella di assegnare alla BCE il ruolo di “datore di lavoro di ultima istanza”, utilizzando l’”alleggerimento quantitativo” per assumere i disoccupati ad uno stipendio minimo.

Una quarta possibilità sarebbe quella per i paesi membri di costituire delle “banche per lo sviluppo” di proprietà pubblica sulla base del modello cinese. Queste banche potrebbero emettere credito in euro per le opere pubbliche, creando posti di lavoro ed allargando l’offerta monetaria esattamente come fanno ogni giorno le banche private quando erogano dei prestiti. Oggi le banche private sono limitate nel loro potenziale di generazione di prestiti dal requisito sul capitale, da registri contabili infarciti di titoli tossici, da una mancanza di mutuatari cui si può fare credito e un modello di business che antepone il profitto degli azionisti all’interesse pubblico. Le banche di proprietà pubblica avrebbero i beni dello stato per tirare su il capitale, registri contabili puliti, un mandato per essere al servizio della gente e un mutuatario cui si può dare credito perché si tratta della nazione stessa, sostenuta dalla forza di riscossione delle imposte.

A differenza dei paesi dell’Unione Monetaria Europea, i governi di Inghilterra, Stati Uniti e altre nazioni sovrane possono ancora prendere denaro a prestito dalle proprie banche centrali, finanziando i programmi di cui si ha bisogno sostanzialmente esenti da interesse. Possono ma probabilmente non lo faranno, perché sono state ingannate a cedere quel potere sovrano ad un settore finanziario bugiardo che è volto a controllare i sistemi monetari mondiali in modo privato e autocratico. Il professor Carroll Quigley, un addetto ai lavori allevato dai banchieri internazionali, ha svelato questo piano nel 1966, scrivendo “Tragedy and Hope”:

“I poteri del capitalismo finanziario avevano un altro scopo più ampio, nientemeno quello di creare un sistema mondiale di controllo finanziario, in mani private, capace di dominare il sistema politico di ciascun paese e l'economia del mondo nel suo insieme. Questo sistema doveva essere controllato in un modo feudale da parte delle banche centrali del mondo che agiscono di concerto, attraverso accordi segreti cui si arrivava durante frequenti incontri e conferenze private”.


Proprio quando l’Unione Monetaria Europea sembrava essere sul punto di raggiungere quell’obiettivo, ha iniziato a cadere a pezzi. La sovranità potrebbe ancora prevalere.
di Ellen Brown

28 giugno 2010

Quale sindacato per la festa?

La trasformazione economica che stiamo vivendo non e' l'apocalisse. E' semplicemente la trasformazione che in Italia abbiamo sembre cercato di evitare, ovvero la trasformazione di un'economia basata sui costi ad un'economia basata sulla produttivita'. Le difficolta' che stiamo attraversando sono dovute ad un semplice fenomeno, ovvero il fatto che se cambia l'ambiente solo chi e' adatto sopravvive. Vediamo di fare un esempio.

Se avete seguito la vicenda FIAT sui due giornali che riportano il pensiero di marchionne (La Stampa e Il Sole: come dire che per capire il CEI bisogni leggere Avvenire) , avrete notato una cosa molto semplice: Marchionne non chiede di abbassare i salari.

Questo non e' tipico delle economie basate sulla riduzione dei costi, bensi' e' tipico delle economie basate sul'indice di produttivita'. Qual'e' il conto economico che sta facendo Marchionne?

Il conto e' semplice: col livello di Salari di Pomigliano, perche' si possa produrre Panda in quella fabbrica occorre produrne 250.000/anno. Possiamo prendere questa semplice affermazione e splittarla in due o tre parti:

  1. Occorre che questa cifra sia proprio quella. Le previsioni di vendita sono quelle, e non si puo' lasciare il cliente senza prodotto.
  2. Occorre che la fabbrica sia una sola, altrimenti i costi lievitano perche' ogni fabbrica necessitera' di logistica, trasporti, contabilita', infrastruttura dedicata, eccetera.
  3. Il livello di qualita' deve essere abbastanza alto da permettere alle Panda prodotte li' di essere vendute nei mercati di tutto il mondo, anche i piu' difficili.

Questo significa entrare nel mondo dell'indice di produzione: occorre investire 700 milioni perche' la fabbrica possa produrre, addestrare il personale alle nuove automobili e ai nuovi impianti, e occorre che la fabbrica sia operativa, su turni, giorno e notte. In queste condizioni, anche i salari italiani permettono di produrre.

Si tratta del primo esempio di calcolo economico basato sull'indice di produttivita', e non semplicemente sul rapporto tra spese e pezzi prodotti. Perche' dico cosi'?

Se fossimo ancora nel vecchio mondo basato sul rapporto tra spese e costi, la scelta sarebbe stata ovvia: produrre in qualche baracca cinese.In un mondo basato sui costi, le cose sarebbero andate diversamente, ovvero come sono andate sino ad ora in Italia.

  1. Se la cifra non e' di 250.000, affiancheremo a Pomegliano un'altra fabbrica, chiedendo aiuti allo stato.
  2. Se la fabbrica non e' una sola, pazienza: chiederemo allo stato di partecipare alla costruzione di un'altra fabbrica, che ci costera' meno.
  3. Se la qualita' non e' quella di sempre, pazienza: lo stato contribuira' ai costi abbastanza da rendere comunque vantaggioso il prezzo del veicolo.

Questo era il vecchio andazzo di FIAT. Per aziende incapaci di chiedere soldi allo stato, invece, era una cosa fatta cosi':

  1. Se la cifra non e' di 250.000 , chiederemo a qualcun altro di produrci le auto che mancano, magari un cinese che ci vende manodopera e schiavi pagati due euro al giorno.
  2. Se quella fabbrica non basta, ne apriremo due in cina, o in Polonia, tanto quelli non guadagnano niente.
  3. Se la qualita' non e' quella di sempre, beh, con gli schiavi a due euro al giorno ci guadagnamo lo stesso.

Qual'e' la differenza dell'approccio? Che il conto economico basato sull'indice di produttivita' evita il conflitto con i sindacati, ed evita il social dumping, semplicemente chiedendosi quanto deve produrre una fabbrica per sostenere i propri costi. In pratica, quello che fa l'imprenditore non e' chiedersi quali costi debba sostenere per guadagnare col prodotto, ma chiedersi quanto e quanto bene deve produrre per sostenere quei costi.

Adesso andiamo ai punti chiave. Perche' questo approccio si sta affermando sugli altri, e perche' questo approccio si e' incagliato in Italia.

Se andiamo a vedere per quale ragione questo approccio sia vincente, i vantaggi rispetto agli altri approcci sono evidenti.

Rispetto al tradizionale approccio fiat, basato sul "male che va c'e' il governo che paga", il vantaggio e' innanzitutto che non bisogna trattare col governo, ungere ruote, avere a che fare con tutte le trafile politiche, e specialmente coi tempi della politica. Inoltre, permette di lavorare su indici di qualita' migliori.

Marchionne non e' andato, come si faceva prima, ad incontrare i sindacati dentro la grande cattedrale dello stato. Ne' a chiedere aiuti di stato per Pomigliano.Ha semplicemente bypassato la trafila politica rendendo pubblico il suo progetto e trattandolo coi sindacati.

Rispetto al secondo approccio, detto "la capanna dello zio tom", il piu' seguito dalle PMI schiaviste, il grande vantaggio e' che non vai a toccare gli stipendi al ribasso, ma con i lavoratori vai a trattare l'output, ovvero la cifra di automobili che deve uscire dalla fabbrica.

Rispetto all'approccio capanna dello zio tom questo approccio ha il vantaggio di poter progettare sia la qualita' che la quantita', e quindi di poter gestire contratti a medio e lungo termine (prenotazione di materie prime, gestione dei fornitori, etc) molto meglio del negriero che ha tot schiavi sottopagati i quali daranno qualita' quando possono, dentro strutture fatiscenti e non aggiornate, e che non puo' programmare proprio nulla perche' si basa su un'infrastruttura non stabile.

E' quindi del tutto verosimile pensare che questo approccio all'industria , che gia' e' diffuso nel resto del mondo industrializzato moderno, si affermi anche in Italia, nel prossimo futuro.

Le aziende che non lo adotteranno sono destinate a chiudere. Sono destinate a chiudere per diverse ragioni. La prima e' che se ti basi sulle spese non puoi pianificare nel tempo. Quando Marchionne dice che con il costo della manodopera attuale deve produrre almeno 250.000 auto , sta facendo una previsione nel tempo. Potra' contarci sino a quando, perlomeno, saranno prodotti i primi 250.000 veicoli.

Il negriero che si limita a calcolare quanto debba abbassare i costi per avere un certo margine di contribuzione, invece, non si preoccupa ne' delle quantita' ne' delle quantita'. Del resto, non deve. Ma cosi' facendo, corre sia il rischio di avere un'azienda incapace di soddisfare le richieste del mercato, sia di avere un'azienda troppo grande per il prodotto che effettivamente sfornera'.

Ma se MArchionne progetta di ottenere tot macchine in un anno, ha un altro enorme vantaggio: sa per quando le puo' promettere alla catena di distribuzione, cosa che il negriero non sa. Non lo sa perche' il negriero si rivolge ad un mercato del lavoro estremamente variabile, poco addestrato, ad una infrastruttura obsoleta, eccetera.

Sul piano dell'affidabilita' dell'infrastruttura, chi progetta l'infrastruttura produttiva pre-determinando 'output e mettendolo a contratto, e' in vantaggio sul piano commerciale molto piu' di quanto non lo sia chi si limita ad abbassare le spese senza poter prevedere l'output dell'azienda. Il ritorno di investimento e' noto, per il semplice motivo che conosciamo l'output.

E' inutile avere dei pezzi pronti per una data che non sai di preciso, ad un costo che non conosci di preciso , perche' spesso i contratti non prevedono ritardi. Ed e' inutile andare di fronte agli azionisti dicendo che non sai se potrai onorare gli ordini.

Quello che Marchionne deve fare e' andare dagli azionisti a dire "con 700 milioni di euro metteremo questa fabbrica in grado di produrre tot auto in tot tempo. Il ricavo previsto sara' tot". Al contrario, il negriero non puo' farlo, deve vivere alla giornata: deve andare dal cliente a trattare il prezzo perche' non sa quanto gli costi il prodotto di preciso, a seconda della scala. Tutto e' affidato al suo intuito, e alla sua fortuna, e alla speranza di lavorare su un margine di contribuzione cosi' alto da sopportare le oscillazioni.

In altre parole, il vantaggio in termini di pianificazione del conto economico basato sulla produttivita' e' tale da superare gli svantaggi dovuti al costo del lavoro. Non c'e' al mondo negro abbastanza negro in termini di basso reddito da rendere competitiva una fabbrica che lavori seguendo questo approccio.

Questo e' il motivo per il quale non si e' messo in discussione il salario, ma solo l'output della fabbrica: l'assenza di scioperi, il ciclo di lavoro continuo, eccetera.

E qui siamo al punto Italiano. Ne' i sindacati italiani ne' i lavoratori ne' moltissimi industriali (e mi riferisco ai fornitori) sono abituati a discutere in questi termini. MArchionne per esempio e' ingenuo se pensa che i fornitori locali di Pomigliano , se anche riuscisse a creare una fabbrica senza tempi morti, sarebbero capaci di rispettare i tempi di fornitura con precisione.

Il problema FIAT, quindi, impatta contro una gigantesca obsolescenza che riguarda prima di tutto i sindacati, ma anche tutto il resto del mondo industriale.

  • Affermare che una fabbrica possa lavorare a ciclo continuo (come le fabbriche di tutto il mondo) significa accordarsi coi sindacati per avere lavoratori puntuali e aggiornati.
  • Affermare che una fabbrica possa lavorare a ciclo continuo (come le fabbriche di tutto il mondo) significa accordarsi coi fornitori per avere ricambi e parti puntuali e di qualita'.

Il primo punto lo abbiamo visto all'opera: il sincacato, obsoleto ed ottocentesco, non e' nemmeno riuscito a fornire una proposta decente per garantire a FIAT l'output, ovvero il numero di auto, delle quali ha bisogno. FIAT chiede che tot auto escano da quella fabbrica, ovvero che la fabbrica lavori a ciclo continuo. Fine. Sta trattando l'output della fabbrica.

Qual'e' la proposta dei sindacati per fare si' che la fabbrica produca tanto? UIL e CISL hanno accettato quella di FIAT, FIOM no.

Ma al di la' del "NO", che cosa propone FIOM perche' Pomigliano produca 250.000 auto ? Non si capisce. Del resto, FIOM e' cosi' antiquata che non sa parlare la lingua della produttivita'. Si tratta di un sindacato ottocentesco che pensa di poter vivere in eterno contando i minuti di pausa pranzo.

Tutto quello che FIOM sta facendo e' parlare di diritti, ma di quali diritti sta parlando FIOM? La generazione attuale , fatta di precari, cocopro e stagisti, quei diritti non li vedra' mai. E neanche quelli che sono nelle PMI, dove i sindacati si guardano bene dall'entrare, oggi feudo leghista.

Cosi', FIOM tratta di alcuni rituali ottocenteschi praticabili solo tra gli statali e alcune grandifabbriche costruite dallo stato , o coi soldi dello stato, allo scopo di dare lavoro.(1)

Anche dal lato degli industriali, pero', la cosa non andrebbe meglio. Si dice che Pomigliano abbia un indotto, ed e' vero. Ma le aziende dell'indotto sono capaci di supportare una fabbrica che ha bisogno di rifornimenti puntuali? No.

Si tratta in gran parte di baracche basate sul vecchio concetto di rapporto tra costi e fatturato, e come tale non si tratta di fabbriche capaci di promettere output: il rapporto tra costi e fatturato non permette di fare previsioni sulla quantita' ne' sui tempi.

Oggi, pero', il mondo e' cambiato. Viviamo in un mondo economicamente multipolare ed e' questo che sta segnando i tempi del declino del mondo del lavoro italiano.

Le aziende italiane ragionano ancora in termini di spesa/fatturato. Il che significa che sono sempre piu' in difficolta' a fornire le aziende straniere, che da tempo ragionano in termini di produttivita'.

Il sindacato italiano ragiona ancora in termini di "padroni e operai", e si presenta ai tavoli senza proposte su come raggiungere i livelli di produttivita' richiesta, ma solo con astruse teorie del secolo scorso, con retoriche ottocentesche, le quali discutono i minuti di mensa, ma mai che cosa il lavoratore debba produrre.

A Marchionne non frega un cazzo se il lavoratore lavora 80 ore in piu' o meno. Per quanto vale, se il lavoratore produce quell'output che gli e' richiesto, se e' capace di farlo in 20 ore gli va bene lo stesso. Il problema di Marchionne e' che da una singola fabbrica che costa X escano Y macchine in un tempo Z. Fissati i costi, e quindi senza discutere del salario, il termine della discussione e' il prodotto.

La FIOM ha qualcosa da dire , per garantire che da quella fabbrica escano tot macchine? No. Non ce l'ha. La FIOM ha gioco facile a decidere che tale giorno si sciopera: puo' decidere o GARANTIRE invece che tale obiettivo produttivo venga raggiunto? La risposta e' NO.

In definitiva, la misura della crisi di occupazione italiana e' dovuta al fatto che il rapporto commerciale e' l'unico a garantire output. E come tale viene usato. Al cocopro, come alla nostra partita iva, possiamo chiedere di garantirci che il prodotto venga consegnato per la tale data, altrimenti non paghiamo.

Ma non ci sarebbe bisogno di queste figure se il sindacato la smettesse di assomigliare ad una macchietta da film e iniziasse a garantire che , fatto l'accordo, gli obiettivi di produttivita' vengano raggiunti.

In questi giorni, il mio capo mi sta chiedendo di mandare online 500.000 utenti olandesi nelle prossime settimane, in due ondate. Bene. Se io scrivo degli script con dei cicli for che applicano le nuove configurazioni e lo faccio in cinque minuti, o lavoro giorno e notte, al mio capo frega zero.

Io ho una pila di task da portare a termine in un giorno. Che io mi sia scritto degli script per farlo o meno, sono affari miei. Lui vuole vedere che gli utenti sono online e che fatturano. Punto. Se io, come sono uso fare, mi scripto tutto quanto, e poi scrivo sul blog , a lui frega zero. Fino a quando continuero' a dargli il "Deliverable" che lui chiede, in termini di qualita' e quantita', per lui posso anche farlo usando facebook.

Ora, immaginate che arrivi qui una ipotetica RSU(2) e si metta a trattare col mio capo dei miei minuti di pausa o dei miei tempi di lavoro. Probabilmente si sentirebbe rispondere "I couldn't care less". Ed e' vero: non mi controllano gli orari, ma solo i risultati.

Questo significa che la principalre caratteristica di me, in termini di metrica, che li spinge a pagarmi il pane, i viaggi dall'italia e la casa qui sta nel fatto che se mi dicono di fare qualcosa, avranno quella cosa. Affidabilita'.

Ed ecco il punto. Le domande che dobbiamo porci sono in termini di affidabilita': se il mondo passa ad una visuale basata sull'indice di produttivita', chi garantisce l'affidabilita' del lavoro? Quello che si chiede e' che:

  1. I fornitori consegnino sempre in tempo.
  2. I lavoratori facciano quanto previsto in tempi previsti.
  3. Il sindacato rispetti gli accordi fatti, "facendosi garante" anche della produzione.

In qualche modo, in Germania questo obiettivo si e' parzialmente raggionto, e quindi i tedeschi riescono ad esportare come pazzi pur avendo dei livelli di reddito enormi. In Italia questo e' possibile? Le difficolta' sono:

  1. Il fornitore italiano e' spesso impreciso, pianifica poco e pensa che il prezzo sia tutto. Quando arriva in ritardo pensa ancora di ovviare con uno sconto, senza rendersi conto di aver fermato la produzione di uno stabilimento piu' grande.
  2. Il lavoratore italiano e' spesso molto attaccato alla cifra del contratto in termini di minuti per il cesso, orari, eccetera, segue i processi in maniera burocratica, si ferma se qualcosa va storto, passa la palla e la responsabilita' ad altri sedendosi e fermando il processo.
  3. Un accordo col sindacato e' carta straccia. Anche accordandosi con la FIOM per qualcosa, domani scenderanno in sciopero comunque, con qualche altro pretesto. Lo sciopero di mirafiori "per solidarieta'" , proprio mentre giovava la nazionale , e' un esempio. Gli accordi della fabbrica di Mirafiori coi sindacati locali sono stati rispettati? No.

Del resto, in che modo un accordo con FIOM avrebbe valore, se anche accordandosi per non scioperare piu', domani FIOM sciopererebbe comunque per solidarieta' a qualsiasi altra vertenza, o perche' la CGIL ha fatto uno sciopero contro il governo?

Questi sono i nodi sul tavolo della nostra economia industriale: avere fornitori affidabili, lavoratori affidabili, sindacati affidabili.

Sui fornitoriaffidabili ancora non sappiamo, molti lavoratori si sono impegnati (65%) a fare quanto richiesto, ma il 35% e' troppo e puo' ancora fermare la fabbrica, FIOM ha fatto la solita figura del sindacato italiano, che per sindacato intende sciopero, sciopero, sciopero. Sciopero per solidarieta', sciopero per la partita, sciopero per tutto.

E quindi, il destino e' gia' scritto: solo chi riuscira' a garantire affidabilita' nel lavoro e nelle consegne sopravvivera'. E oggi l'unico modo di ottenerlo, con un sindacato inaffidabile, e' di avere il cocopro pagato solo se consegna, la partita iva pagata solo se consegna, eccetera.

Non per nulla, e' stato Treu a inventare il precariato: senza di esso, la riforma del lavoro avrebbe riguardato tutti i lavoratori e cambiato le regole sindacali per tutti. Cosi' facendo, invece, abbiamo lavoratori che discutono i turni e i minuti per il cesso e precari che lavorano tempi qualsiasi senza alcuna regola.

MA i primi, almeno sostengono ancora il vecchio, obsoleto sindacato. Il che era quello che Treu voleva.

Quindi, i precari non si aspettino aiuti dai ssindacati italiani. Essi pagano il prezzo che il sindacato ha dovuto pagare per poter vivere, vecchio e obsoleto come sempre, nelle grandi realta'.

Senza il precariato, si sarebbe dovuto discutere tutto, per tutti i lavoratori. E un sindacato obsoleto sarebbe morto. Cosi', il sindacato sopravvive, e le esigenze produttive le soddisfano i precari.

Tranne alcune riserve indiane come Pomegliano. Che stanno chiudendo. The party is over.

Uriel

(1) Quando la gente si lamenta che lo stato abbia dato soldi a FIAT, dovrebbe ricordare che con quei soldi si sono mantenuti dei "lavoratori" che altrimenti non avevano la piu' pallida chance di avere un lavoro.

(2) Non sono iscritto a nessun sindacato, in italia.

27 giugno 2010

Corruzione e burocrazia, nemici dell’economia



E’ assai singolare la disputa in corso tra economisti keynesiani e antikeynesiani sulla manovra di finanza pubblica. I primi pensano che sia necessario lasciare inalterata la spesa pubblica perché questa, stimolando l’economia, contribuisce alla crescita (più correttamente alla domanda aggregata, di beni e servizi). Essi sostengono che siano, addirittura, necessari stimoli monetari - stampare moneta ovvero prendere denaro in prestito dalle banche centrali - non essendo ancora comprovata l’uscita dalla crisi e ritenendo, quindi, più importante garantire lo stimolo alla economia privata, alla piena occupazione e agli acquisti, che provvedere alla riduzione del deficit statale. I secondi rilevano che, al contrario, tagliando la spesa appena usciti dalla crisi, in un momento di crescita economica - seppur debole - come quello attuale, l’effetto recessivo sarebbe nullo o, perlomeno, molto molto basso. Inoltre, le correzioni dei conti pubblici basate sulla riduzione della spesa, e non sull’aumento delle tasse, possono incidere più energicamente sul deficit e sul debito pubblico. Sono scuole di pensiero legittime, entrambe con importanti ricerche e studi ed esempi storici volti a supportare le proprie tesi. Intanto, l’Europa nel suo complesso ha scelto la seconda strada. Tutti i governi hanno puntato a misure di contenimento dei deficit di bilancio e di rientro in parametri più consoni del rapporto debito/PIL. L’Italia ha puntato su un contenimento della spesa pubblica e sul recupero dell’evasione fiscale, non nascondendo che la manovra avrà comunque un effetto recessivo immediato - su un Prodotto Interno Lordo previsto comunque in crescita - almeno per il prossimo biennio. Chiunque può proporre le proprie soluzioni ai problemi di bilancio italiani con piena legittimità. Non esistono, a priori, ricette giuste o sbagliate, se sono proposte nell’interesse comune. Certo è che, finite le dispute macroeconomiche, che comunque nel giro di quattro-cinque anni ci mostreranno chi aveva ragione e chi torto, bisogna inquadrare ogni intervento sui conti pubblici italiani in un ambito più particolare, che gli altri paesi europei non devono fronteggiare. La spesa pubblica italiana ha l’aggravante di essere appesantita da costi impropri, che sulle altre economie europee non pesano. Quasi duemila reati l’anno tra corruzione e abuso d’ufficio, con un trend crescente negli ultimi anni, comportano un costo complessivo valutato, dalla Corte dei Conti e dal Servizio Anticorruzione e Trasparenza del ministero della pubblica amministrazione e dell’innovazione, tra i 50 e i 60 miliardi di euro l’anno (3,3-4 punti percentuali di PIL ovvero quasi il doppio della cifra che viene investita ogni anno in diritti sociali, politiche sociali e famiglia). Sei milioni di aziende costrette ad affrontare un costo medio di 12.000 mila euro per impresa (secondo le stime delle associazioni di categoria) per i famosi “lacci e laccioli” della burocrazia, fanno un totale di 72 miliardi (4,8 punti percentuali di PIL ovvero una cifra che copre quasi il costo dell’intero sistema pensionistico). A questi costi va aggiunto l’onere delle mancate liberalizzazioni - ma anche quello delle liberalizzazioni e privatizzazioni fatte male - che danno un valore stimato (forse per difetto dalle associazioni favorevoli al libero mercato) in 40 miliardi (2,6 punti percentuali di PIL ovvero una somma molto vicina al costo dell’intero sistema di istruzione scolastico). Queste sono spese che non gravano sul bilancio dello Stato, ma direttamente sui bilanci delle famiglie italiane (maggiori costi per gas, energia elettrica, smaltimento rifiuti, ferrovie, trasporto aereo, trasporto locale, telefonia, credito, commercio). Tali, continuano ad essere i grandi dilemmi del nostro paese che affronta i propri problemi strutturali di bilancio con una manovra che ha un impatto massimo pari a 25 miliardi, quando avrebbe a disposizione, come abbiamo visto, almeno altri 160-170 miliardi se recuperasse la propria efficienza. Ecco, allora, che anche le più giuste ed oneste tesi macroeconomiche saltano per aria quando l’economia si scontra con i flagelli della corruzione e della burocrazia.

di Alessandro L. Salvaneschi

26 giugno 2010

Golfo del Messico: un'esplosione nucleare controllata per impedire che la macchia raggiunga l'Atlantico

(MoviSol) - Lo statunitense Centro Nazionale per la Ricerca sull'Atmosfera ha elaborato alcune mappe della distribuzione nel Golfo del Messico della macchia di greggio perso dal pozzo della British Petroleum (BP), macchia che nel corso dell'ultimo mese ha raggiunto le coste occidentali della Florida.

Il centro di ricerca prevede che tra poco più di due settimane il petrolio, una volta raggiunto l'estremo meridionale di quella penisola e sospinto dalle correnti oceaniche che la lambiscono, potrà inquinare anche l'Atlantico, addensandosi lungo una fascia di circa 100 miglia al largo delle coste della Georgia, delle due Caroline e della Virginia, ma anche raggiungendo, una settimana più tardi, l'Atlantico settentrionale.

Da tempo alcuni geologi marini e altri specialisti stanno valutando le condizioni fisiche del pozzo petrolifero, degli strati del fondale e di altri fattori rilevanti rispetto all'impiego di esplosivi di profondità, anche nucleari, per interrompere definitivamente l'efflusso di petrolio.

Le valutazioni di uno tra i principali esperti americani di esplosivi nucleari ad uso civile cominciano ad essere di dominio pubblico.

Tuttavia, finora alla Casa Bianca hanno invece prevalso il paradigma ecologista e i pareri di consiglieri come Carol Browner, lo "zar" di Obama per le questioni legate all'energia e al cosiddetto "cambiamento climatico", cui si è associato anche l'ammiraglio Thad Allen, a capo del Comando Unificato degli Stati Uniti, il quale ha dichiarato alla vigilia della prima visita del Presidente in Louisiana che l'uso degli esplosivi è un tema "periferico rispetto alle cose di cui siamo chiamati a discutere in questo momento".

"Avremmo dovuto demolire quel pozzo con gli esplosivi, più di un mese fa", ha dichiarato ai primi di giugno al Daily Beast Christopher Brown, ex ufficiale della flotta dei sottomarini nucleari. "E siamo ancora qui a portare la croce mentre la BP passa di piano in piano per raccogliere il suo greggio e per proteggere i suoi capitali… sarebbe meglio, e di gran lunga, se il nostro Presidente alzasse la cornetta del telefono rosso per chiamare Vladimir Putin, in modo da ricevere una lezione di ninjapolitik, piuttosto che lasciare alla BP l'incombenza di piani inefficaci da essa stessa avanzati…"

Il risvolto politico più importante di questa faccenda è che la determinazione del Presidente Obama a non offendere Wall Street e l'Impero Britannico, di cui la BP è un braccio economico, mette ulteriormente in pericolo l'istituzione stessa degli Stati Uniti d'America.

La sua inettitudine anche di fronte a questo problema va ad aggiungersi ai "capi d'imputazione" utili alla procedura di impeachment che Lyndon LaRouche pretende da tempo.

25 giugno 2010

La Commissione UE opta per il fascismo fiscale

(MoviSol) - In un incontro con i leader sindacali europei l'11 giugno, il Presidente della Commissione Europea José Manuel Barroso ha di fatto minacciato i paesi membri dell'UE di colpi di stato militari e di fascismo se non riuscissero ad applicare le misure di austerità massiccia richieste per salvare le banche.

Le minacce di Barroso sono state riassunte da John Monks, segretario generale dello European Trade Union Congress (ETUC), in un'intervista all'EU Observer il 14 giugno. "Ho avuto una discussione con Barroso lo scorso venerdì", ha detto Monks, "su che cosa si può fare per la Grecia, la Spagna, il Portogallo e il resto, e il suo messaggio è stato brusco: 'Guarda, se non applicano questi pacchetti d'austerità, quei paesi potrebbero virtualmente sparire nella forma democratica in cui li conosciamo. Non hanno scelta, prendere o lasciare'… Ci ha sbigottiti con una visione apocalittica delle democrazie europee al collasso a causa dell'indebitamento".

Monks stesso sostiene, al contrario, che proprio le misure di austerità condurranno a tale situazione. "Stiamo tornando", ha detto, "agli anni '30, quando, con la Grande Depressione, alla fine ci ritrovammo le dittature militari. Non sto dicendo che ci siamo già, ma è potenzialmente molto grave, non solo economicamente ma anche politicamente".

Helga Zepp LaRouche ha stigmatizzato gli argomenti di Barroso: "E' vero esattamente l'opposto [di quanto afferma il Presidente della Commissione UE]: se i governi europei continueranno a capitolare al diktat dell'UE e espandere il debito statale in modo inflazionistico solo per salvare o nazionalizzare banche scassate, mentre contemporaneamente tagliano brutalmente i livelli di vita degli strati della popolazione poveri o meno abbienti, allora la minaccia di un'apocalisse è reale". La signora Zepp LaRouche ha fatto riferimento alla scadenza del 1 luglio, quando scadono 442 miliardi di finanziamenti a un anno della BCE alle banche europee, o alla data in cui la Grecia chiederà un nuovo salvataggio o la Spagna si farà avanti per il suo pacchetto di salvataggio, come possibili punti traumatici che potrebbero far collassare il sistema. Come dimostra il ruolo storico svolto da Lord Cockfield, le politiche molto "europee" che vengono seguite supinamente dall'Europa continentale hanno origine negli ambienti imperialistici londinesi.

Questo fatto è stato reso palese ancora una volta al vertice UE di Bruxelles del 17 giugno, quando la Commissione Europea, nella persona del Commissario alle Finanze Olli Rehn, ha richiesto programmi di austerità ancora più distruttivi da parte dei governi europei, ammettendo che ogni tornata di tagli peggiora la situazione. Lyndon LaRouche ha commentato che la politica di Rehn è "semplice iperinflazione automatica". Gli obbiettivi di deficit imposti dalla Commissione appena due mesi fa vengono oggi dichiarati inadeguati. "Se continueranno con questa politica, il prossimo mese non ci sarà nessuno", ha sentenziato LaRouche.

Nel frattempo, il Primo ministro britannico David Cameron ha confermato che Londra sta dietro la "dittatura economica" dell'Eurozona, anche se la Gran Bretagna non entrerà nella moneta unica. Ad una conferenza stampa ai margini del vertice, ha affermato: "Chiariamo questa cosa: la Gran Bretagna non è d'accordo e non acconsentirà che vengano trasferiti ulteriori poteri da Westminster a Bruxelles; non siamo membri dell'euro. Noi presenteremo sempre il nostro bilancio prima al Parlamento. Ma se gli stati membri dell'euro ora ritengono che, a causa della situazione critica in cui si trovano, debbano stipulare nuovi accordi di governance [cioè un supergoverno fascista dell'UE], dovranno procedere con questo piano".

Il commento di LaRouche è stato: "Che bello, che carino… se i popoli dell'Europa continentale vogliono essere schiavi, lo diventeranno".

24 giugno 2010

La crisi dell'euro provoca il fallimento degli stati e la paralisi dei governi

Tre elezioni recenti nell'eurozona – nei Paesi Bassi, Belgio (elezioni politiche anticipate) e nello stato più popoloso della Germania, il Nord Reno Westfalia (NRW) – confermano la perdita drammatica di fiducia da parte degli elettori nei partiti affermati – in particolare per quanto riguarda i cristiano democratici, in quei paesi. La situazione politica è diventata così complicata che la formazione di nuovi governi sta diventando praticamente impossibile.

Un segno dei tempi? Cinque settimane dopo le elezioni per il parlamento regionale nel NRW, tutte le opzioni per un governo di coalizione sono crollate, e la coalizione precedente tra il CDU e l'FDP (liberali) rimarrà al potere per ora anche senza maggioranza nel parlamento regionale.

È un brutto auspicio per gli scenari che vengono ventilati sulla stampa in questi giorni, che parlano per esempio di una divisione dell'eurozona tra una parte settentrionale guidata dalla Germania ed una parte meridionale guidata dalla Francia. La parte settentrionale, che viene dipinta come quella più "stabile" rispetto al vicino del sud, in realtà non lo sarebbe affatto, basandosi su Germania, Belgio e i Paesi Bassi.

Infatti la non-governabilità del NRW si aggiunge ai molti altri problemi che affliggono la cancelliera Merkel. La coalizione di governo nazionale è divisa su molti punti della politica di salvataggio europea, quali gli aumenti drastici delle tasse e gli ulteriori tagli al bilancio, oltre ai piani per estendere il divieto delle vendite allo scoperto. Se la Corte Costituzionale dovesse decidere a favore dei ricorrenti che hanno presentato ricorso contro il pacchetto di salvataggio UE, anche solo in parte, sarebbe un duro colpo per il governo; come lo sarebbe anche l'eventuale fallimento del candidato della Merkel per la presidenza federale Christian Wulff alle votazioni del 30 giugno. Come ha notato il Financial Times del 14 giugno, un tale fallimento "potrebbe essere sufficiente a causare la rottura della coalizione di governo della signora Merkel".

Benché l'elettorato olandese abbia dato una batosta senza precedenti all'ex partito al potere, i cristiano democratici, riducendo i suoi seggi al parlamento nazionale da 41 a 21, questo risultato è stato accompagnato da un frazionamento dello scenario politico, rendendo ancora più difficile la possibilità di formare un esecutivo stabile. Il vincitore è stato il partito liberale di destra VVD, che è passato da 21 a 31 seggi, ma avrà difficoltà a formare un governo. I media parlano già di un periodo lungo alcuni mesi.

Nel Belgio, il partito separatista fiammingo Nieuw-Vlaamse Alliantie (NV-A) ha ricevuto il suo risultato migliore di sempre nelle Fiandre, con il 28.3%. Nella regione francofona della Wallonia i socialisti, che hanno cominciato di recente a mobilitarsi in difesa delle pensioni, del tenore di vita e per la solidarietà nazionale, hanno avuto il 36%, un risultato imprevisto. In altre parole, la formazione di una coalizione non sarà facile in Belgio, dove ci sono voluti nove mesi per formare l'ultimo esecutivo, che non è riuscito a finire la legislatura. Il Belgio potrebbe essere senza governo ancora quando diventa presidente di turno dell'UE a luglio.

La realtà è che fintanto continua la strategia iperinflattiva dei salvataggi, con l'austerità brutale imposta sui cittadini, l'Europa potrà solo sognarsi la "stabilizzazione". L'unico rimedio consiste in una vera riforma del sistema bancario e finanziario, sul modello Glass-Steagall
by Movisol

23 giugno 2010

Appalti e procedure speciali: 13 miliardi in nove anni

ROMA — Nel Paese (l’Italia) dove ci sono più di tredicimila «stazioni appaltanti», cioè soggetti con il potere di bandire gare per opere pubbliche, ce n’è una che le surclassa tutte. Si chiama Protezione civile. Volete sapere quanti soldi sono passati per le mani di Guido Bertolaso da quando, nel 2001, Silvio Berlusconi lo ha rimesso a capo del Dipartimento e gli ha dato pure le competenze sui grandi eventi? La bellezza di 12 miliardi 894 milioni 770.574 euro. E 38 centesimi: pure quelli ha contato l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici nel suo ultimo rapporto. Sottolineando ancora una volta con la precisione delle cifre la gigantesca anomalia di una struttura con licenza di deroga alle procedure ordinarie: non soltanto per le calamità naturali, ma anche incomprensibilmente per la gestione di gare sportive, vertici internazionali, manifestazioni varie.

Illuminante è una relazione della Corte dei conti su una regata alla Maddalena svoltasi mesi (con solita ordinanza di Protezione civile) davanti ai luoghi del G8, pietra dello scandalo che sta travolgendo affaristi pubblici e privati. Costretto a ingoiare il rospo, il magistrato si è tolto comunque un sassolino dalla scarpa, giudicando ingiustificabile che per una competizione velica come la «Louis Vuitton world series» siano stati impiegati dipendenti pubblici e soldi sulla carta accantonati per le calamità. E su una cosa non ha voluto transigere, rifiutando il proprio visto di conformità: il fatto che al comitato organizzatore siano stati versati 2,3 milioni di denari pubblici. Prelevati anch’essi dallo stesso fondo per la protezione civile.

Come si è arrivati a spendere con procedure in deroga quasi 13 miliardi, cifra che sarebbe sufficiente a fare due ponti sullo stretto di Messina, è spiegato in dettaglio nel rapporto dell’authority presieduta da Luigi Giampaolino. Dove si racconta che le ordinanze di Bertolaso le quali implicano il ricorso all’appalto sono lievitate con un crescendo rossiniano: 28 nel 2001, 34 nel 2006, 49 nel 2009 (anche a causa del terremoto). Prendiamo la spazzatura in Campania: se dal 2001 al 2005 la Protezione civile aveva emanato in media un’ordinanza l’anno, nel 2007 si è passati a sette, poi a 11 nel 2008. Da brivido la cifra finale: l’importo destinato in soli nove anni all’emergenza rifiuti in quella Regione avrebbe ha raggiunto 3 miliardi 548 milioni 878.439 euro. Ben 613 euro per ogni cittadino campano.

Poi, fra quelle 302 ordinanze di Protezione civile emanate dal 2001 al 2009, ci sono i famosi Grandi eventi. Come i mondiali di nuoto dell’anno scorso, che hanno fatto scattare un’inchiesta giudiziaria e sui quali l’autorità di Giampaolino aveva già avuto qualcosa da ridire. Oppure come il G8 della Maddalena su cui indagano i giudici e per il quale sarebbe stata stanziata, anche se poi non effettivamente utilizzata, una somma sbalorditiva. Tenetevi forte: un miliardo, 6 milioni 415.139 euro e 68 centesimi. O, ancora, come le iniziative per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, altro capitolo che non ha mancato di interessare i magistrati e a proposito del quale la stessa authority ha sollevato una serie di questioni. Per esempio, che non siano state fornite indicazioni sulle procedure seguite per affidare incarichi a progettisti e collaudatori. Per esempio, che visti i tempi stretti si sia deciso di riconoscere alle imprese «premi di accelerazione» (?) non contemplati nelle gare. Per esempio, che fra avviso «di preinformazione » e pubblicazione dei bandi siano passati soli 14 giorni: troppo pochi «per poter ritenere di fatto efficace il relativo avviso».

Stranezze. Seguite da altre «stranezze», come l’immediata sparizione dalla manovra di una norma voluta dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti per ricondurre sotto il controllo della ragioneria generale dello Stato tutte le spese che fanno capo alla presidenza del Consiglio: una ventina di miliardi di euro l’anno. Fra queste, manco a farlo apposta, ci sono quelle della Protezione civile. Che continueranno quindi a essere svincolate dai controlli del Tesoro.
Né è stato possibile ripristinare una disposizione che aveva introdotto l’ex ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro: l’abolizione degli arbitrati. Perciò si andrà avanti con quella forma di giustizia privata, gestita in prima persona da magistrati amministrativi e contabili e alti funzionari pubblici lautamente retribuiti (oltre allo stipendio, s’intende) per tali prestazioni: dalla quale, nonostante ciò, lo Stato esce regolarmente a pezzi. Anche nel 2009 la pubblica amministrazione è risultata «soccombente » nel 94% dei 136 arbitrati cosiddetti «liberi», cioè dove gli arbitri sono scelti «liberamente» fra le parti. Per una spesa aggiuntiva di 414 milioni di euro. Siamo arrivati al punto che ogni due appalti di importo superiore a 15 milioni di euro scatta un arbitrato. E con questo sistema il costo delle opere pubbliche è lievitato mediamente del 18%.


Sergio Rizzo

22 giugno 2010

Sicilia: onorevoli superpagati

http://www.imitidicthulhu.it/Blog/PupoSiciliano.jpg

Sono 14 i parlamentari nazionali, ex deputati regionali all’Assemblea regionale siciliana, pagati due volte, a cui si aggiungono 2 ex parlamentari regionali, che attualmente hanno i seguenti incarichi istituzionali, l’assessore regionale al turismo, Nino Strano ed il presidente della Provincia Regionale di Messina, Nino Ricevuto.
Alla faccia della crisi economica e del risanamento del deficitario bilancio regionale siciliano.
Difatti, alla indennità di parlamentare nazionale (deputato o senatore), sommano la pensione maturata all’Ars, malgrado la loro età. Precisamente, quasi tutti hanno un’età inferiore ai 65 anni, la loro media di età è attorno ai 50 anni.
Che ne pensa il ministro Brunetta!
Ed ecco i 14 beneficiari, appartenenti a quasi tutti i partiti politici, Pdl Pd, Udc e Idv: Leoluca Orlando, Salvatore Cuffaro, Calogero Mannino, Angelo Capodicasa, Vladimiro Crisafulli, Nicola Cristaldi, Giuseppe Firrarello, Salvatore Fleres, Fabio Granata, Ugo Grimaldi, Dore Misuraca, Alessandro Pagano, Raffaele Stancanelli e Sebastiano Burgaretta Aparo.
In grande inciucio trasversale cui partecipano tutti, in danno ai contribuenti. Tutti uniti appassionatamente…, altro che valori sbandierati dal portavoce di Idv, Leoluca Orlando, che simula la sua verginità politico-partitica. Ma quale valori! Ma quale opposizione! Sono un tutt’uno, maggioranza e minoranza (non opposizione, che non è mai esistita).
Il sistema premiale trasversale o bipartizan di cumulo è tutto siciliano e riguarda tutti gli ex deputati regionali che hanno cominciato la loro carriera partitica all’Ars prima della riforma previdenziale dell’anno 2000 e continuano ad usufruire del vecchio sistema, per il quale si può ricevere l’assegno vitalizio anche a 50 anni, avendo tre legislature alle spalle. La soglia sale a 55 anni per i parlamentari regionali con due legislature e a 60 per chi ha all’attivo una sola legislatura.
In merito, il regolamento dell’Ars prevede che, raggiunti i predetti requisiti, gli ex deputati regionali possono chiedere il vitalizio e mantenerlo anche se nel frattempo hanno assunto il titolo di parlamentare nazionale. Al contrario, il regolamento della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica non lo permettono affatto il cumulo dell’assegno vitalizio nazionale con l’indennità da consigliere o deputato regionale. Contraddizione che di fatto determina un trattamento di maggior favore per i 16 (14 più 2) ex parlamentari regionali siciliani provenienti dall’Ars.
La Sicilia è un mondo a parte.
di Giacomo Faso

La crisi è finita. Ma c’è chi si vende un rene


Nonostante le patetiche rassicurazioni del governo, la crisi economica in Italia è ancora molto forte. Prendiamo ad esempio la storia di G. M., 46 anni, ex imprenditore di Ponte della Priula (TV). Oberato da i debiti e con una famiglia da mantenere, ha deciso di vendere un rene: «Sono sano, forte come un lupo e abbastanza giovane: metto in vendita un mio rene per 150mila euro», questa la sua offerta shock.

Non si tratta certo di una provocazione, ma dell’unica via d’uscita da una vita non più dignitosa. «Dal 28 maggio sono di nuovo disoccupato, adesso mi arrangio con dei lavoretti, faccio anche il muratore. La casa è andata all’asta e ci viviamo fino a quando non ci sfratteranno. Che futuro posso assicurare alle mie figlie in queste condizioni? Ogni mattina quando mi sveglio non so se impiccarmi e mettere fine a tutto questo o se continuare a vivere. Sono alla ricerca di denaro, disposto a fare qualsiasi lavoro. Non riesco a trovarne uno di stabile e adesso ho deciso».

Eppure all’inizio la sua attività di autotrasporti sembrava andare bene. «Era il 2001 e avevo quattro camion e tante speranze, poi sono iniziate le pendenze con le banche e ho dovuto chiudere. Ho lavorato come operaio autista, alle dipendenze di due aziende locali una delle quali è fallita». Con i soldi guadagnati prima cerca di ripianare i debiti, ma poi la situazione diventa insostenibile. «Mi sono mangiato la casa che è finita all’asta. A fine aprile l’hanno acquistata per 80mila euro circa, ma non è bastato. Le banche mi chiedono ancora denaro e io non ne ho più. Sono su una strada».

Per ora lui e la sua famiglia, moglie e due bimbe piccole, hanno ancora un tetto, ma durerà poco. «Viviamo ancora nella casa fino a quando non ci sfratteranno. Io così non ce la faccio più, ho ancora debiti da saldare e non riesco a trovare un lavoro fisso e se dovessi trovare uno stipendio le banche me lo pignorerebbero». Ecco perché la soluzione estrema della vendita del rene. «Lo so che qui in Italia non si potrebbe fare, ma io offro il mio rene. È sano, io sono sano e se c’è qualche persona benestante con problemi di salute sono a sua disposizione. Chiedo 150mila euro e prometto che 20mila euro andranno per la ricerca. Lo faccio per la mia famiglia, per mia moglie e le mie figlie. Voglio assicurare loro un futuro, gli studi, la serenità di una volta, non chiedo poi molto. Da mesi cerco lavoro, mi tengono per tre mesi e poi mi lasciano a casa. Dicono che questi tempi sono duri per tutti ma così non ce la faccio più ad andare avanti, vi prego datemi una mano almeno voi».

Questi sono gli effetti deleteri del capitalismo, un sistema destinato ad implodere su se stesso ed incurante della dignità della persona. Quanti altri casi come quello dell’imprenditore trevigiano dovremo ancora vedere prima che il popolo decida di ribellarsi e cominci a lottare per abbattere la dittatura del Capitale? Purtroppo all’orizzonte non vediamo ancora nulla di buono.

di Alessandro Cavallini

20 giugno 2010

Nasce Onu, la rete nazionale degli operatori dell'usato


usa e getta consumismo
Siamo nell'era dell’usa e getta in cui le regole dell’economia tendono a manovrare le nostre necessità verso il bisogno e il possesso del “nuovo”
Nell’era del consumo dell’usa e getta in cui le regole dell’economia tendono a manovrare le nostre necessità verso il bisogno e il possesso del “nuovo”, in cui ogni secondo sono immessi nel mercato miliardi di prodotti, che in breve tempo finiscono in disuso, la possibilità di trovare articoli di seconda mano in perfette condizioni e caratterizzati da prezzi particolarmente convenienti è decisamente alta. In questo senso la cultura dell’usato rappresenta un importante antidoto a questo sistema economico che produce inquinamento e devasta l’ambiente per smaltire queste immense quantità di merci prodotte. Allungare la vita dei beni, attraverso l’incentivazione di strategie del “riutilizzo” è pertanto una delle risposte più efficaci e concrete all’emergenza ambientale della nostra epoca, perché trasforma un potenziale problema in una grande opportunità.

Al fine di dare supporto, dignità e status giuridico a un comparto che cresce ancora troppo lentamente, lo scorso 16 giugno presso la sala conferenze della Città dell'Altra Economia di Roma è stata presentata ufficialmente la Rete Nazionale degli operatori dell’usato (Rete Onu): la prima organizzazione degli operatori dell’usato dei mercati storici e delle pulci, della strada e delle fiere.

La rete, di cui fanno parte già circa 3.000 addetti, è promossa da associazioni e realtà già radicate sui territori di riferimento, come Associazione Bidonville con sede a Napoli, che ha organizzato le ventotto edizioni de “La Fiera del Baratto e dell’Usato”, l’Associazione Operatori del Mercato di Porta Portese, nata nella seconda metà degli anni '90 allo scopo di tutelare gli operatori del mercato storico di Roma, l’Associazione Vivibalon di Torino, l’Occhio del Riciclone, creata con l’obiettivo di promuovere il riutilizzo e di individuare una soluzione all’emergenza rifiuti a partire dal punto di vista dell’economia popolare, e la Rete di Sostegno ai Mercatini Rom, che da circa dieci anni opera con difficoltà sempre crescenti aiutando le famiglie rom del territorio romano a costruire un futuro dignitoso attraverso un lavoro legale di raccolta e vendita dell’usato.

Nel corso della conferenza è stato presentato alla stampa un manifesto che sintetizza le proposte della rete attorno a cinque tematiche fondamentali: ambiente, fiscalità, commercio, sociale/lavoro, cultura e che si pone come proposta concreta di dialogo con le Pubbliche Amministrazioni e i soggetti sociali ed economici interessati.

ambiente rifiuti riuso
“L’impatto disastroso sull’ambiente di politiche basate principalmente sullo smaltimento in discarica mette in evidenza il grande effetto positivo nella diminuzione degli oggetti da smaltire"
“L’impatto disastroso sull’ambiente di politiche basate principalmente sullo smaltimento in discarica mette in evidenza il grande effetto positivo nella diminuzione degli oggetti da smaltire - commenta Gianfranco Bongiovanni dell’Occhio del Riciclone - se gli operatori dell’usato avessero accesso ai rifiuti ingombranti che i cittadini portano ai Centri di raccolta urbani, ovvero le strutture pubbliche gratuite e attrezzate nella raccolta e avvio al recupero di rifiuti”. Ciò comporterebbe anche un abbattimento dei costi per la raccolta differenziata grazie all’autosufficienza economica delle isole ecologiche. “È pertanto impellente l’esigenza di dare vita a un ‘Consorzio Nazionale del Riuso’ che possa garantire la gestione di tutta la frazione riusabile nelle filiere del riutilizzo - prosegue Bongiovanni - che permetta l’acquisto a prezzi sostenibili di merci riusabili all’ingrosso da immettere nel sistema della vendita dell’usato. A questo proposito ci muoveremo premendo su tutte le istituzioni di riferimento nel settore del commercio, dell’ambiente e delle politiche sociali per la creazione di un’entità analoga al Conai che opera per il riutilizzo dei materiali di imballaggio, che oltre ad attenuare il problema dello smaltimento dei rifiuti porterebbe nuova occupazione”.

Nel caso di materiali non utilizzabili per la vendita, la rete chiede che anche gli scarti delle isole ecologiche possano trovare nuova linfa, divenendo materiali per la realizzazione di opere artistiche.

La questione fiscale è uno dei temi più impellenti come ricorda Augusto Lacala, presidente di Bidonville: “Nonostante la priorità espressa nella legislazione nazionale ed europea nel riutilizzo delle merci, manca in Italia una legge che regoli il settore dell’usato, che a tutt’oggi è omologato a quello del nuovo. Un insieme di regole che cambiano da regione a regione o addirittura da comune a comune, e che non tengono in considerazione le peculiarità di questo specifico comparto soprattutto per quanto riguarda il regime fiscale e di tracciabilità dei prodotti. Anche se obbligatorio, è impossibile la registrazione dei carichi e degli scarichi perché l’approvvigionamento dell’usato non avviene in serie. Una zona grigia che inibisce seriamente l’attività sia dei professionisti sia degli hobbisti, i quali sono esposti al sospetto di ricettazione e all’arbitrio delle forze dell’ordine, che porta in molti casi alla chiusura dei mercati, specialmente quando i venditori sono di etnia rom”.

Occorre, dunque, che sia creata una normativa specifica che si adatti alle dinamiche di questo comparto. Nel documento sono proposte una serie di modifiche alla legislazione vigente, come l’esenzione totale dall’Imposta sul Valore Aggiunto (IVA), la dispensa generalizzata dagli obblighi di tracciabilità delle merci per tutte le frazioni di valore medio-basso (mentre nel caso delle merci vendute a un prezzo superiore ai 500 euro c'è l’obbligo di fornire un documento di vendita che non specifichi il prezzo ma solo il numero di carta di identità e la firma del cessionario), l’applicazione del principio di responsabilità soggettiva dell’operatore, il quale, su richiesta, dovrà indicare ai pubblici ufficiali l’origine delle merci con prezzo superiore ai 500 euro ed essere giudicato come unico responsabile nei casi in cui sia accertata la ricettazione della merce, e senza ripercussioni o rappresaglie nei confronti della manifestazione o del mercato dove l’operatore abbia esposto le merci.

Un disciplinamento necessario che andrebbe a regolare situazioni di illegalità e di abusivismo che caratterizzano ad esempio il popolare mercato domenicale di Porta Portese a Roma, sempre di più una piazza per ricettatori. “Il sindaco Veltroni, nel suo ultimo mandato, aveva mostrato con decisione la volontà di affrontare queste problematiche per restituire alla città un luogo di incontro famoso in tutto il mondo, meta di migliaia di romani e turisti. Grazie a un controllo a tappeto fatto dai vigili urbani nell’autunno del 2007 sulle licenze e sulla provenienza delle merci, è stato intrapreso un processo di regolamentazione che ha portato ad arresti e denunce, soprattutto per la vendita di prodotti contraffatti.

venditori ambulanti
Circa 700 ambulanti su 1000 operatori che frequentano Porta Portese sono ambulanti irregolari
Tra gli obiettivi dell’operazione del Campidoglio, che ha permesso di stimare la presenza di circa 700 ambulanti irregolari sui circa 1000 operatori che frequentano abitualmente Porta Portese, anche la ricollocazione degli spazi a tutela dei venditori che hanno realmente diritto e la concessione di nuove licenze per chi fosse frequentatore abituale da 30-40 anni. Attualmente questo processo è stato bloccato. Abbiamo più volte espresso con forza questa esigenza alla nuova amministrazione ma ci è stato risposto dall’Assessore alle Attività Produttive, Davide Bordoni, che il ritorno alla legalità nello storico mercato romano non è tra le priorità della giunta Alemanno” denuncia Antonio Conti dell’Associazione Operatori del mercato di Porta Portese.

Nonostante il settore dell’usato produca evidenti benefici ambientali, sociali, economici e culturali, la sua espansione appare frenata su tutto il territorio nazionale da un sistema di licenze dove vige un numero chiuso di fatto, dovuto alla subordinazione delle licenze alla concessione di uno spazio pubblico. C’è l’esigenza di affrontare tutte le questioni legate al commercio, perché agli ambulanti dell’usato deve essere riconosciuto un trattamento diverso rispetto a quelli del nuovo e dell’alimentare.

La rete perciò suggerisce l’abolizione dell’attuale sistema delle licenze per gli operatori ambulanti dell’usato con un’apposita modifica al D.Lgs. 31.3.1998 n. 114 (Decreto Bersani) che permetta di essere in regola semplicemente presentando una Dichiarazione di Inizio Attività (D.I.A.) al pari dei commercianti su sede fissa. Questo stimolerebbe un comparto che ha bisogno anche di nuovi spazi preposti e di una gestione diversa del sistema di turn over, che possa vitalizzare i mercati degli hobbisti e dei venditori dell’usato incentivandone lo sviluppo nel quadro di una politica di valorizzazione degli stessi a “fini ecologici” e occupazionali.

“Il settore dell’usato rappresenta un’occasione per chi non è in possesso di capitali da investire e vuole avviare una piccola attività in modo onesto. Dobbiamo dare dignità a una figura che non gode di uno status realmente riconosciuto, e che è conseguentemente priva di garanzie e diritti” spiega Augusto Lacala.

I mercatini dell’usato, da sempre luogo d’incontro tra etnie diverse, rappresentano, infatti, una concreta possibilità di inclusione sociale, un’opportunità di impiego semplice per categorie emarginate economicamente, che hanno difficoltà a entrare nel mercato del lavoro o che vogliono uscire da situazioni di devianza, come migranti, rom, ultracinquantenni disoccupati, anziani con pensione insufficiente e invalidi.

Per questo, nel documento, relativamente alla sezione “Sociale e del Lavoro”, si chiede il riconoscimento dell’utilità sociale dell’attività di organizzazione dei mercatini dell’usato attraverso l’introduzione del comparto nelle Politiche Sociali, del Lavoro e della Formazione Professionale e la loro assimilazione al concetto di “educazione ambientale”, che essendo parte delle attività istituzionali delle ONLUS ha regime IVA speciale.

merce   riuso
Un valore sociale ma anche culturale, quello della vendita di merci usate, che è espressione di un fenomeno antico, che appartiene da secoli alla storia e alle tradizioni delle nostre città
Un valore sociale ma anche culturale, quello della vendita di merci usate, che è espressione di un fenomeno antico, che appartiene da secoli alla storia e alle tradizioni delle nostre città, che deve essere sostenuto e incoraggiato per il suo forte impatto simbolico. I mercati popolari delle città italiane dovrebbero pertanto essere riconosciuti - come dichiarato nel manifesto - dal Ministero della Cultura come parte integrante del Patrimonio Culturale italiano e dovrebbero quindi godere dello stanziamento di fondi pubblici per la promozione territoriale, della visibilità nelle televisioni nazionali all’interno di programmi culturali e educativi.

Inoltre la salvaguardia dei tratti identitari storici non deve causare fossilizzazione ma piuttosto incentivare la difesa dall’invasione del dozzinale, dalle minacce di sgombero, dagli arbitri polizieschi e da tutte le dinamiche che incoraggiano l’espulsione dai mercati degli operatori storici.

Tutte proposte concrete ed efficaci che testimoniano il grande dispendio di energie e il lavoro svolto da parte di tutte le realtà partecipanti all’Onu, nel realizzare un documento che possa essere un punto di partenza forte in vista degli “stati generali dell’usato” che si terranno probabilmente a Roma il prossimo 10 novembre per la riorganizzazione di tutto il settore.

di Lucia Cuffaro

Economia moderna : Quanto è antica!

L'economia moderna sposta i capitali, quella dei secoli passati spostava gli schiavi. Cambiando nel tempo l'ordine degli schiavi e del capitale, il processo non cambia: la concentrazione del capitale aumenta con l'aumentare degli schiavi. "Oltre nove milioni di schiavi furono deportati attraverso l'Atlantico fra il 1451 e il 1870. Un altro milione, se non di più, non sopravvisse alla traversata, mentre un numero incalcolabile morì nel viaggio tra il luogo di cattura e quello dell'imbarco. La passione europea per lo zucchero fu il principale incentivo per la tratta" (*). Gli schiavi coltivavano le piantagioni da canna da zucchero esportato in Europa.
Oggi il capitale cerca gli schiavi a buon mercato, la mano d'opera a più basso costo, nei luoghi del mondo in cui le garanzie sociali sono inesistenti e la 626 è un prefisso telefonico. L'economia globale trasforma le Nazioni attraverso una metamorfosi. Il cittadino-produttore di Stati come l'Italia, la Spagna o il Canada diventa cittadino-consumatore. Il capitale va dove lo porta il profitto. Le fabbriche si spostano dove esiste il cittadino-produttore-con-meno-diritti, se si ha fortuna dove sopravvive il cittadino-schiavo-senza-diritti. Il cittadino-consumatore diventa quindi disoccupato, cassintegrato, precario, accusato di non voler lavorare a stipendi da schiavo e senza diritti. Se sciopera, cosa inaudita (e anche inutile) nell'era della globalizzazione mondiale, è accusato di voler seguire i Mondiali di calcio. Senza che se accorga, il cittadino-consumatore diventa cittadino-schiavo. Se vuole mantenere un'occupazione le leggi del capitale sono chiare, deve competere con gli altri schiavi. Se rinuncia a ogni diritto, alla pensione, al tfr, alla sicurezza, si può fare.
E' l'apoteosi del capitale che pareggia il mondo verso la schiavitù globale. La sfrutta dove già esiste e la crea dove non c'è ancora. Chi detiene il capitale diventa sempre più ricco, gli sfruttati globali sempre più poveri. Il capitale si è evoluto, si è affrancato dagli Stati, spesso si è fatto Stato, corrompe gli Stati, elegge i suoi politici-manager. Lo Stato moderno è fondato sul capitale e sviluppa la schiavitù con qualche cucchiaino di zucchero.

(*) dal libro "Africa" di John Reader

18 giugno 2010

Psichiatri israeliani e, i loro suicidi.

Moshe Yatom, un eminente psichiatra israeliano che riesca a guarire le forme più estreme di malattia mentale in tutto una brillante carriera, è stato trovato morto nella sua casa di Tel Aviv ieri da un colpo di pistola apparente ferita auto-inflitta. Una nota di suicidio al suo fianco ha spiegato che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che è stato il suo paziente per gli ultimi nove anni, ha "succhiato la vita fuori di me."

"Io non ne posso più", ha scritto Yatom. "Rapina è la redenzione, l'apartheid è la libertà, attivisti per la pace sono terroristi, l'omicidio è auto-difesa, la pirateria è la legalità, i palestinesi sono giordani, annessione è la liberazione, non c'è fine alle sue contraddizioni. Freud ha promesso razionalità avrebbe regnato nelle passioni istintuali, ma non ha mai incontrato Bibi Netanyahu. Questo tizio diceva Gandhi inventato tirapugni ".

Gli psichiatri hanno familiarità con la tendenza umana a massaggiare la verità per evitare di confrontarsi con materiale emotivamente inquietante, ma Yatom era apparentemente stordito a quella che lui chiamava la "cascata di bugie" che sgorga dalla sua paziente più illustre. I suoi dati personali diario la disintegrazione costante della sua personalità, una volta invincibile sotto il fuoco di fila di razionalizzazioni self-serving avanzata da Netanyahu.

"Sono completamente scioccato", ha detto Yossi Bechor prossimo, la cui famiglia regolarmente viaggiato con la famiglia di Yatom. "Moshe era l'epitome della personalità completamente integrato e aveva guarito decine di schizofrenici, prima dell'inizio dei lavori di Bibi. Non vi era alcuna indicazione esterna che il suo caso era diverso dagli altri. "

Ma è stato. Yatom divenne sempre più depresso a sua totale mancanza di progressi ad ottenere il Primo Ministro a riconoscere la realtà, e lui alla fine ha subito una serie di colpi nel tentativo di cogliere il pensiero di Netanyahu, che ha caratterizzato in un diario come "un buco nero di auto-contraddizione . "

Il primo dei colpi Yatom avvenne quando Netanyahu ha offerto la sua opinione che la 911 gli attacchi su Washington e New York "erano buoni." Il secondo ha seguito una sessione in cui Netanyahu ha ribadito che l'Iran e la Germania nazista erano identici. E il terzo si è verificato dopo il Primo ministro ha dichiarato programma nucleare dell'Iran è stata una "camera a gas di volo", e che tutti gli ebrei ovunque "residenza fissa in Auschwitz". Yatom gli sforzi per calmare l'isteria di Netanyahu sono state estremamente tassare emotivamente e regolarmente conclusa con un fallimento. "L'alibi è sempre lo stesso con lui", si lamentava un altro diario. "Gli ebrei sono sul punto di annientamento per mano dei goyim razzista e l'unico modo per salvare la giornata è di effettuare una strage finale".

Yatom era apparentemente di lavoro sulla conversione di suo diario in un libro sul caso Netanyahu. Molti capitoli di un manoscritto incompiuto, dal titolo "Psychotic on steroids", sono stati trovati nel suo studio. Il brano offre di sotto di un raro sguardo al funzionamento interno di una mente del Primo Ministro, al tempo stesso rivela la scoraggiante sfida Yatom affrontare nel cercare di guidarla alla razionalità:


Lunedi, March 8

"Bibi è venuto da tre per la sua sessione del pomeriggio. Alle quattro ha rifiutato di andarsene e ha sostenuto la mia casa era in realtà il suo. Poi mi ha bloccato nella notte scantinato mentre lui generosamente ospitato al piano di sopra i suoi amici. Quando ho tentato di scappare, lui mi ha chiamato un terrorista e mi ha messo in manette. Ho pregato per la misericordia, ma ha detto che riuscivano a malapena a concedere a qualcuno che non esisteva nemmeno. "


----- Michael K. Smith è l'autore di "Portraits of Empire" e "La pazzia di Re Giorgio", dal Common Courage Press. Può essere raggiunto a proheresy@yahoo.com

Erdogan: mai stato uno "Yes man"




Nella sua autobiografia "In cerca di un'identità" Anwar Sadat ricorda che, quando era un bambino povero di un villagio sperduto, era solito recarsi nella Cairo cosmopolita e si intrufolava nei giardini reali nelle ore notturne, con il solo risultato di essere percosso dalle guardie del Re. Non avrebbe mai immaginato che un giorno avrebbe varcato le porte di quel palazzo per incontrare il re Farouk I in veste di ufficiale dell'esercito egiziano. Non avrebbe mai immaginato, nemmeno nelle sue più sfrenate fantasie, che un giorno avrebbe oltrepassato quelle stesse porte per sedersi proprio sul trono regale, in seguito alla sua elezione presidenziale del 1970.

Il gioco del fato è invero strano, come lo statista britannico Winston Churchill ebbe una volta a descriverlo: "E' un errore guardare troppo innanzi. Si può solo considerare un anello della catena del destino alla volta".

Nel corso dell'ultima settimana, i media dei paesi arabi e musulmani hanno sviscerato in lungo e in largo gli anni della gioventù del primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan. Quando era un giovane venditore ambulante di torte, meloni e limonate nelle strade di Istanbul durante le vacanze estive, non avrebbe mai immaginato che un giorno sarebbe diventato premier.

Crescendo negli anni '60, non avrebbe mai immaginato che sarebbe assurto a leader pan-musulmano, risvegliando simpatie filo-turche che erano state sopite dalla caduta dell'Impero Ottomano, ormai novantadue anni fa.

La famosa televisione saudita Al-Arabiya sostiene in una recente biografia pubblicata sul proprio sito che: "Nella storia recente, solo Erdogan e la diva egiziana Um Kalthoum (morta trentacinque anni fa) sono stati in grado di conquistare le menti e i cuori degli arabi e dei musulmani". Se questo parallelo fosse stato tracciato dieci anni fa, il nome accostato a Um Kalthoum sarebbe stato quello dell'ex presidente egiziano Gamal Abdul Nasser, il "padrino" del mondo arabo moderno. Un uomo di nazionalità turca, con istanze islamiche e che non parla una parola di arabo sarebbe stato decisamente lontano dall'essere all'altezza.

A gennaio, come riconoscimento di quanto stesse diventando popolare, la Saudi King Faisal Foundation lo ha onorato del King Faisal International Prize per il "servigio all'Islam". Ad aprile, la rivista Time lo ha collocato, per la seconda volta, tra le cento persone più influenti al mondo. Prestando attenzione all'intera carriera di Erdogan, risulta evidente che abbia lavorato duramente, ma è probabile che abbia guadagnato la sua popolarità nel mondo arabo e musulmano in modo fortuito.

Il primo marzo 2003, due settimane prima che Erdogan si insediasse come primo ministro, Ankara, guidata dal suo partito AKP, pose il veto su una proposta che autorizzava gli USA ad utilizzare il territorio turco per aprire da nord un secondo fronte con l'Iraq, per rovesciare Saddam Hussein. Questo gli permise di iniziare a conquistare consensi tra arabi e musulmani in genere. Due anni dopo, nel marzo del 2005, l'allora segretario della Difesa statunitense Donald Rumsfeld affidò un amaro sfogo alla Fox News: "Ovviamente se avessimo potuto far entrare la 4 divisione di fanteria da nord, attraverso la Turchia, saremmo riusciti a neutralizzare e catturare parti più consistenti del regime Ba'athista di Saddam Hussein. Se la Turchia avesse cooperato maggiormente, la resistenza (in Iraq) oggi sarebbe minore".

La frustrazione di Rumsfeld, al di là delle sue intenzioni, contribuì ad appuntare al petto di Erdogan un'altra medaglia d'onore agli occhi di milioni di arabi. Lo stesso anno, Erdogan, rifiutò di accettare i diktat statunitensi, rafforzando le relazioni con la Siria in un periodo in cui i rapporti con Damasco e l'amministrazione Bush si stavano inacidendo, e divenne un ospite fisso nella capitale siriana.

Erdogan disobbedì nuovamente agli Stati Uniti ricevendo Khalid Meshaal, il capo dell'ufficio politico di Hamas, dopo che il movimento palestinese emerse vittorioso dalle elezioni del 2005. Inoltre rifiutò un invito da parte dell'ex primo ministro Ariel Sharon a visitare Israele, attirandosi nuovamente le ire americane, e non incontrò Ehud Olmert quando costui visitò la Turchia nel luglio 2004 in qualità di ministro del Lavoro e del Turismo.

Erdogan prese posizione per i palestinesi durante la guerra di Gaza del 2008, accusando Israele di commettere crimini di guerra. Rivolgendosi a Shimon Peres nel corso del Forum Economico Mondiale di Davos a gennaio 2009 disse al presidente israeliano: "Presidente Peres, lei è vecchio e nella sua voce echeggia una coscienza sporca. Quando si tratta di uccidere, lei sa benissimo come uccidere. So fin troppo bene come voi colpite e uccidete bambini lungo le spiagge". Questa singola frase lo proiettò di colpo nell'olimpo della fama nel mondo arabo e musulmano, e nelle maggiori capitali dei paesi arabi iniziarono a spuntare sue foto. Ma la sua sfuriata in Svizzera è nulla in confronto alle parole rabbiose della settimana scorsa, dopo che l'esercito israeliano (IDF) ha attaccato la Freedom Flotilla al largo delle coste di Gaza, uccidendo nove cittadini turchi a bordo della nave turca Mavi Marmara.

Il mondo arabo è insorto in difesa del primo ministro turco, che ha ritirato con acrimonia il proprio ambasciatore in Israele, facendo sì che la propria bandiera fosse sventolata dai manifestanti delle imponenti proteste che hanno attraversato le vie di Damasco, Baghdad, Beirut e Il Cairo.

"L'amicizia della Turchia è forte, ma che tutti sappiano che anche la nostra ostilità è forte". Ha detto Erdogan di fronte al parlamento turco. "La comunità internazionale deve dire a Israele che la misura è colma! La traversata della Freedom Flottilla è legale; l'aggressione di Israele contro la flottiglia è un'aggressione all'ONU. Israele deve pagare il prezzo per quanto compiuto...Israele non può sciacquarsi le mani del crimine che ha perpetrato nel Mediterraneo. Un paese che sfida la rabbia del mondo intero non potrà mai conquistare la propria sicurezza; Israele sta disperdendo ad uno ad uno i tasselli della pace". Ha poi aggiunto: "Israele non dovrebbe guardare nessuno al mondo prima di aver chiesto scusa ed essere stato punito per i suoi crimini. Ne abbiamo abbastanza delle menzogne di Israele. Le azioni del governo israeliano danneggiano il loro stesso paese prima degli altri".

Dopodichè gli arabi lo hanno festeggiato quasi attoniti quando ha fatto trapelare che potrebbe imbarcarsi in prima persona alla volta di Gaza, per forzare l'assedio isrealiano che perdura dal 2007. Lo farebbe facendosi scortare dalla marina turca, cosicchè l'IDF si ritroverebbe impotente mentre lui si dirige verso la striscia di Gaza.

Erdogan è nel suo momento di maggior successo nel mondo arabo e in quello musulmano, grazie a parole decise accompagnate ad azioni altrettanto decise. All'inizio dell'anno, ha obbligato il governo israeliano a scusarsi per aver umiliato l'ambasciatore turco in Israele, inducendo i media arabi ad esclamare: "Israele capisce solo il Turco".

Il mese passato ha dato il via ad un accordo sullo scambio di uranio con Brasile e Iran, il quale, se fosse stato immediatamente accettato dalla comunità internazionale, avrebbe risparmiato all'Iran il fardello di un quarto round di sanzioni che stanno per essere discusse all'ONU mercoledì prossimo. Sotto l'egida del ministro degli esteri Ahmet Davutoglu, la Turchia ha dismesso la sua immagine risalente alla guerra fredda di mera appendice occidentale, rivendicando allo stesso tempo il proprio desiderio di essere un membro a tutti gli effetti dell'Unione Europea entro il 2014. Se entrasse, l'UE confinerebbe con l'Iran e assisterebbe ad un incremento a sei zeri della propria popolazione musulmana. Mirando a "Non aver alcun problema con i vicini" Ankara ha messo in atto accordi di libera circolazione senza visti con Libano, Giordania, Libia e Siria mentre sta per aver effetto quello stipulato con la Russia. Come ha notato Al-Arabiya: "Da un giorno agll'altro egli (Erdogan) è diventato la persona più amata nel mondo arabo mentre Iran, USA e i paesi europei si sforzavano di ottenere quello che lui ha conquistato in un lampo".

Forse sono state l'eloquenza e la forte opposizione a Israele che hanno portato Erdogan nell'empireo del mondo arabo. O forse è stata la sua devozione, dato che è un devoto musulmano la cui moglie indossa un foulard intorno alla testa, come milioni di donne musulmane in tutto il mondo. Negli anni '90, fu estromesso dagli uffici governativi per aver recitato pubblicamente una poesia che sfidava il riverito secolarismo turco con queste parole: "Le moschee sono le nostre caserme, le cupole i nostri elmetti, i minareti le nostre baionette e i fedeli i nostri soldati"

O magari si tratta del suo umile retroterra, figlio di un guardacoste, ha avuto un'educazione dura poichè la sua famiglia era povera, Erdogan eccelleva alla scuola islamica prima di ottenere una laurea in Amministrazione all'Università di Marmara, mentre giocava a calcio a livello professionistico. La sua scalata non è stata scorrevole, nel 1978 e nel 1991, non è riuscito ad essere eletto in parlamento con una coalizione islamica. La vera ragione ad ogni modo è che ha detto "No" a Israele e si è schierato con convinzione con i palestinesi. Questa è una sorta di panacea in Medio Oriente, che non ha mai fallito sin dalla nascita di Israele nel 1948.

Ha fatto meraviglie per le carriere dell'egiziano Nasser, il siriano Hafez al-Assad e l'ex presidente Yasser Arafat. E' anche la ragione del perchè Hassan Nasrallah di Hezbollah è così popolare nelle strade dei paesi arabi e musulmani, e perché leader arabi che hanno negoziato accordi di pace con Israele come il presidente egiziano Hosni Mubarak non lo sono.

Chiunque sappia quanto è stata invisa la Turchia nel mondo arabo durante tutto il ventesimo secolo, grazie al sistematico indottrinamento contro l'Impero Ottomano e con l'alleanza della stessa Turchia con Israele dopo il '48, può comprendere quanto siano stati significativi i traguardi raggiunti da Erdogan negli ultimi sette anni.

Ha dato nuovo lustro alla Turchia, all'intera eredità ottomana, e ha plasmato un nuovo tipo di leadership che combina tratti di Nasser, Nasrallah e Assad. Questo è il motivo per il quale vale la pena osservare il fenomeno Erdogan mentre si sviluppa la sua carriera e acquisisce il carisma, lo stile e l'indole del talentuoso e polivalente leader che è già diventato.

Titolo originale: "Turkey's Erdogan: Never a 'yes' man"

30 giugno 2010

Banche intoccabili

Intoccabili banche

Nel momento in cui Francia, Germania e Gran Bretagna annunciano l’intenzione di presentare al prossimo G20 di Toronto la proposta di una tassa basata sugli utili delle banche, da applicare con caratteristiche diverse a seconda delle condizioni economiche e dei sistemi fiscali di ciascun Paese, e l’Unione Europea esplora addirittura la possibilità di un’imposta “globale” sulle transazioni finanziarie, può essere utile fare il punto della situazione sugli interventi pubblici a favore delle banche e degli istituti finanziari durante gli scorsi due anni, in Europa e negli Stati Uniti, basandosi sull’ultimo dei rapporti semestrali elaborati da RS-Mediobanca (http://www.mbres.it/ita/download/rs_piani_di_stabilizzazione_finanziaria.pdf).

Da esso risulta che il totale di aiuti, in termini di iniezioni di capitale e di prestazione di garanzie, ammonta a 1.518,7 miliardi (di euro) per l’Europa ed a 2.593,2 miliardi (di dollari) oltreoceano. Nel dettaglio, è interessante notare come nel Vecchio Continente i più colpiti dalla crisi finanziaria siano state Germania e Gran Bretagna, con rispettivamente 362,5 e 792,5 miliardi di euro di aiuti erogati, con la seconda protagonista anche della nazionalizzazione di due banche, Northern Rock e

The Bradford & Bingley. Considerando inoltre le ingenti sottoscrizioni di capitale azionario realizzate dal governo britannico a favore di Royal Bank of Scotland e Lloyds TSB Group (per un ammontare complessivo vicino ai 700 miliardi di euro), parlare di libero mercato nella patria di Adam Smith e David Ricardo, fondatori dell’economia politica, oggi appare davvero surreale.

Negli Stati Uniti, gli aiuti pubblici si sono invece concentrati su cinque grandi gruppi finanziari, i colossi del credito immobiliare Fanni Mae e Freddie Mac, Aig, Bank of America e Citigroup.

Ai primi due, posti in amministrazione controllata a partire da settembre 2008, sono stati concessi sostegni diretti pari a 200 miliardi e garanzie per ben 1.450 miliardi di dollari. Aig, ora denominato Aiu, può vantare quasi 70 miliardi di aiuti in qualità di sottoscrizione di capitale, mentre Bank of America e Citigroup rappresentano gli unici casi significativi di liquidità (47 miliardi) e garanzie (419) restituiti quasi integralmente al governo, rispettivamente a settembre e dicembre 2009.

Più che gli esborsi complessivi, a differenziare la situazione dell’Europa da quella statunitense è il numero di istituti finanziari e di credito coinvolti nei piani di salvataggio, dove nella prima ammontano a 115 (di cui 4 in Italia per “soli” 4,1 miliardi di euro) mentre negli Stati Uniti sono ben 1.095, dato che testimonia una crisi generalizzata e profonda di tutto il settore.

Nel frattempo, la Federal Reserve ha completato uno studio sui comportamenti di 28 tra le maggiori banche americane, concludendo che incentivi e bonus riconosciuti ai dirigenti rimangono ai livelli esorbitanti di prima e che i gestori delle operazioni speculative ad alto rischio continuano ad operare come sempre. Peccato che tale rapporto probabilmente non sarà reso pubblico prima dell’anno prossimo, mentre a fine 2009 la bolla dei prodotti finanziari derivati, dopo un ridimensionamento nelle fasi iniziali della crisi, è arrivata a 213 trilioni di dollari (615 trilioni a livello mondiale, con un aumento annuo del 12%). La paura di nuove insolvenze sta minando la fiducia tra le stesse banche che stentano persino a farsi credito tra loro, prova ne sia l’aumento costante e progressivo del LIBOR, il tasso di riferimento per i crediti a breve tra gli istituti di credito.

di Federico Roberti

I terroristi del deficit colpiscono nel Regno Unito.




La settimana scorsa il nuovo governo inglese ha dichiarato che avrebbe abbandonato i piani di incentivi del governo precedente e che avrebbe introdotto le misure di austerità richieste per ripagare i debiti stimati in circa 1.000 miliardi di dollari. Questo equivale al taglio della spesa pubblica, al licenziamento dei dipendenti, alla riduzione dei consumi e all’aumento della disoccupazione e dei fallimenti. Ed equivale anche alla riduzione dell’offerta monetaria, in quanto tutto il “denaro” odierno ha origine in pratica sotto forma di prestiti o di debito. La riduzione dei debiti insoluti farà diminuire la quantità di denaro disponibile per pagare i lavoratori ed acquistare le merci, aggravando la depressione e portando altre sofferenze all’economia.

Il settore finanziario a volte è stato accusato di ridurre di proposito l’offerta monetaria, allo scopo di aumentare la domanda per i propri prodotti. I banchieri lavorano nel business del debito e se venisse concesso ai governi di creare abbastanza denaro per tenersi alla larga dai debiti – i governi stessi e i loro elettori – i prestatori fallirebbero. Le banche centrali, che hanno la responsabilità di mantenere il business bancario, insistono dunque su una “moneta stabile” a tutti costi, anche se questo significa il taglio dei servizi, il licenziamento dei dipendenti e l’aumento del debito e degli interessi. Affinché il business finanziario possa continuare a prosperare, ai governi non deve essere permesso di battere moneta, sia stampandola integralmente che prendendola a prestito dalle banche centrali di proprietà dello stato.

Oggi questo obiettivo finanziario è stato ampiamente raggiunto. Nella maggior parte dei paesi, più del 95% dell’offerta monetaria viene creata dalle banche sotto forma di prestiti (o “credito”). La piccola parte generata dal governo viene di solito creata solamente per sostituire banconote o monete metalliche perse o usurate dal tempo, e non per finanziare nuovi programmi di governo. All’inizio del ventesimo secolo, più o meno il 30% della valuta britannica veniva emessa dal governo come sotto forma di sterline cartacee o di monete, contro solamente il 3% di oggi. Negli Stati Uniti, attualmente solo le monete metalliche vengono emesse dal governo. Le banconote di dollari (Banconote della Federal Reserve) sono emesse dalla Federal Reserve, che è di proprietà di un consorzio di banche private.

Le banche anticipano il capitale ma non l’interesse necessario per ripagare i loro prestiti – e dato che i prestiti bancari sono ora praticamente l’unica fonte di nuovo denaro nell’economia, l’interesse può derivare solamente da altri debiti. Per le banche, questo significa che il business continua ad andare a gonfie vele ma per il resto dell’economia questo equivale a tagliare, stringere la cinghia e austerità. Dato che si paga sempre di più di quanto fosse stato anticipato, il sistema è intrinsecamente instabile. Quando la bolla del debito diventa troppo grande da sostenere, viene fatta arrivare una recessione o una depressione che spazza via una grossa parte del debito consentendo al processo di ricominciare da capo. Tutto questo viene definito “ciclo economico” e provoca un forte ondeggiamento dei mercati, permettendo alle classi capitalistiche che hanno dato il via al ciclo di raccogliere a buon mercato il patrimonio immobiliare ed altri beni nell’ondata di flessione.

Il settore finanziario, che controlla l’offerta monetaria e può facilmente impadronirsi dei media, riesce a persuadere il popolino a sottomersi vendendo il proprio programma come un “bilancio equilibrato”, come una “responsabilità fiscale” che risparmia alle future generazioni un enorme carico di debiti se si applicano oggi le misure di austerità. Bill Mitchell, docente di economia all’Università di New Castle in Australia, definisce tutto questo “terrorismo del deficit”. Il debito creato dalle banche diventa più importante delle scuole, dell’assistenza sanitaria o delle infrastrutture. Invece di “pensare al benessere generale”, lo scopo del governo diventa quello di mantenere il valore degli investimenti dei creditori del governo stesso.

L’Inghilterra indossa il cilicio

La nuova coalizione di governo in Inghilterra ha appena adottato questo programma, imponendo a sé stesso lo stesso genere di austerità fiscale che il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha imposto da tempo ai paesi del Terzo Mondo, e che più di recente ha imposto ai paesi europei, tra cui Lettonia, Islanda, Irlanda e Grecia. Anche se quei paesi sono stati obbligati a sottomettersi ai loro creditori, l’Inghilterra ha dato spontaneamente un giro di vite, avendo ceduto sulla questione che deve ripagare i propri debiti per mantenere attivi i mercati per i propri titoli di stato.

I falchi del deficit puntano il dito minacciosamente verso la Grecia, che è stata praticamente estromessa del mercato privato delle obbligazioni perché nessuno vuole più i suoi titoli di stato. La Grecia è stata costretta a prendere a prestito soldi dal FMI e dall’Unione Monetaria Europea, che hanno imposto misure di austerità draconiane come condizione per i prestiti. Come un paese del Terzo Mondo che ha debiti contratti in una valuta straniera, la Grecia non può stampare euro né prenderli a prestito dalla propria banca centrale dato che queste alternative sono vietate dalle norme dell’Unione Monetaria Europea. In un tentativo disperato di salvare l’euro, la Banca Centrale Europa ha recentemente fatto uno strappo alla regola acquistando titoli greci sul mercato secondario invece che prestarli direttamento al governo di Atene, ma la BCE ha dichiarato che avrebbe “sterilizzato” gli acquisti fatti ritirando dal mercato una quantità equivalente di liquidità, rendendo l’accordo senza un nulla di fatto.

La Grecia è bloccata nella trappola del debito ma il Regno Unito non fa parte dell’Unione Monetaria Europea. E anche se appartiene all’Unione Europea, opera nella propria valuta nazionale che ha potere di emettere direttamente o di prendere a prestito dalla propria banca centrale. Come tutte le banche centrali, la Banca d’Inghilterra è un “prestatore di ultima istanza” il che significa che può creare denaro sui propri registri contabili senza doverlo prendere a prestito. La Banca d’Inghilterra è di proprietà del governo e dunque i prestiti dalla banca al governo dovrebbero essere in effetti esenti da interesse. Finché la Banca d’Inghilterra è disposta a comprare titoli che non vengono venduti sul mercato privato, non bisogna temere alcun crollo del valore dei titoli britannici.

Tuttavia i “terroristi del deficit” non capiscono questa soluzione ovvia, apparentemente a causa della loro paura dell’”iperinflazione”. Il 9 giugno scorso un commento da parte di “Cameroni” sul sito web finanziario di Rick Ackerman ha preso questa posizione. Intitolato “La Gran Bretagna diventa la prima a scegliere la deflazione”, inizia così:

Il nuovo governo di David Cameron in Inghilterra ha annunciato martedì che avrebbe introdotto misure di austerità per iniziare a pagare i debiti stimati in mille miliardi (di dollari) contratti dal governo britannico ... Detto questo, abbiamo appena ricevuto il segnale della fine delle misure globali di incentivi – un segnale che mette una pietra sopra il dibattito se l’Inghilterra debba “stampare” la propria via d’uscita dalla crisi oppure no... Si tratta in realtà di un momento celebrativo anche se, per molti, non sembra essere proprio così... i debiti dovranno essere ripagati... il tenore di vita diminuirà... ma si tratta di un futuro migliore di quello che ci potrebbe portare un’iperinflazione.


Iperinflazione o deflazione?

La terribile minaccia di iperinflazione è invariabilmente esibita per rigettare le proposte per risolvere la crisi dei bilanci governativi emettendo semplicemente i fondi necessari, sia come debito (obbligazioni) che come valuta. Quello che in genere i terroristi del deficit non dicono è che prima che un’economia possa essere minacciata di iperinflazione, deve passare attraverso un periodo di semplice inflazione, e ovunque i governi oggi non sono riusciti ad arrivare a questa fase, anche se ci stanno disperatamente provando. Cameroni osserva:

“I governi di tutto il pianeta hanno tentato la via degli incentivi nel corso dell’ultima crisi del credito e delle recessione, con pochi risultati. Hanno cercato, infruttuosamente, di generare persino una leggera inflazione nonostante enormi sforzi di incentivi e spese inutili”.


In effetti, l’offerta monetaria si sta riducendo ad un ritmo allarmante. In un articolo del 26 maggio sul Financial Times dal titolo “L’offerta monetaria degli Stati Uniti precipita ai livelli degli anni Trenta mentre Obama pensa a nuovi incentivi”, Ambrose Evans-Pritchard scrive:

“La quantità di moneta è scesa dai 14.200 miliardi di dollari ai 13.900 miliardi di dollari in tre mesi ad aprile, equivalenti ad un livello annuale di riduzione del 9,6 per cento. I beni dei fondi del mercato monetario istituzionale sono scesi ad un livello del 37 per cento, il più forte calo di sempre”

“E’ preoccupante”, ha detto il professor Tim Congdon dell’International Monetary Research. “La diminuzione dell’M3 non ha precedenti dalla Grande Depressione. La ragione prevalente è che i regolatori di tutto il mondo stiano esercitando pressioni sulle banche per aumentare i livelli dei capitali e per ridurre i loro beni di rischio. E’ questa la ragione per la quale gli Stati Uniti non si stanno riprendendo come dovrebbero”.


Difficilmente potrebbe essere stato iniettato troppo denaro in un’economia nella quale l’offerta monetaria si sta riducendo. Ma Cameroni conclude dicendo che visto che gli incentivi non sono riusciti a riportare il denaro necessario nell’offerta monetaria, i programmi di incentivi dovrebbero essere abbandonati a favore del loro esatto contrario – la più totale austerità. Cameroni ammette però che il risultato sarebbe devastante:

“Significherebbe una lunga, lenta e premeditata flessione finché non verrà raggiunta la solvibilità. Significherà che città, stati e contee falliranno e non saranno salvate. E sarà alquanto doloroso. La spesa pubblica sarà ridotta. I consumi potrebbero diminuire drasticamente. Le cifre sulla disoccupazione potrebbero schizzare alle stelle e i fallimenti potrebbero sbalordire i lettori di blog come questo. Metterà un freno alla crescita in tutto il mondo... Il Dow crollerà e ci saranno effetti di espansione in tutta l’Unione Europea e, alla fine, in tutto il mondo... i programmi di aiuti al Terzo Mondo saranno sventrati e non riesco ad immaginare le conseguenze che avranno sulle popolazioni più povere del pianeta.


Ma “ne vale la pena” dice Cameroni, perché prevale sull’inevitabile alternativa iperinflazionistica, che “è troppo sconvolgente da tenere in considerazione”.

L’iperinflazione, tuttavia, è un falso problema e prima di rigettare l’idea degli incentivi, dovremmo chiederci perché questi programmi hanno fallito. Forse perché erano incentivi elargiti al settore sbagliato dell’economia, l’intermediario finanziario improduttivo che per primo ha fatto precipitare la crisi. I governi hanno cercato di “rigonfiare” le loro economie fiacche riversando soldi alle banche che hanno avuto effetti rovinosi sui bilanci, ma le banche non si sono nemmeno degnate di dare quei fondi alle imprese e ai consumatori sotto forma di prestiti. Invece, hanno utilizzato quei finanziamenti a buon mercato per speculare, per acquistare banche più piccole, e per acquistare dei titoli governativi sicuri, riscuotendo un cospiscuo interesse da quegli stessi contribuenti che avevano dato loro i soldi del salvataggio. Sicuramente alle banche, in base al loro modello di business, viene chiesto di raggiungere quei profitti con prestiti rischiosi. Come tutte le aziende private, non sono là per fare l’interesse pubblico ma di guadagnare soldi per i loro azionisti.

In cerca di soluzioni

L’alternativa a riversare enormi quantità di denaro alle banche non è quella di far morire di fame e punire oltremodo e le imprese e i cittadini ma di foraggiarli direttamente con qualche incentivo, con progetti pubblici che forniscano i servizi necessari creando nel contempo posti di lavoro. Esistono numerosi precedenti di successo con questo approccio, tra cui i programmi di opere pubbliche compiuti in Inghilterra, Canada, Australia e Nuova Zelanda negli anni Trenta, Quaranta e Cinquant e che furono finanziati con denaro emesso dal governo, sia preso a prestito dalle loro banche centrali che stampato direttamente. La Banca d’Inghilterra è stata nazionalizzata nel 1946 nel corso di un forte governo laburista che fondò anche il Servizio Sanitario Nazionale, le ferrovie nazionali e che sviluppò molti altri programmi pubblici dal costo contenuto che giovarono all’economia per decenni.

In Australia, nel corso della crisi attuale, un pacchetto di incentivi sotto forma di contributo in denaro contante è stato dato direttamente alla popolazione come misura temporanea, e non si è avuta alcuna crescita negativa (recessione) per due trimestri e la disoccupazione si è mantenuta stabile al 5%. Il governo, tuttavia, ha preso a prestito questi soldi straordinari in maniera privata invece che emetterlo pubblicamente, sviato dalla paura dell’iperinflazione. Meglio sarebbe stato dare credito esente da interesse attraverso la banca centrale di proprietà dello stato ai cittadini e alle imprese, che erano d’accordo nell’investire il denaro in maniera produttiva.

I cinesi hanno fatto di meglio, espandendo la loro economia di oltre il 9% nel corso della crisi creando denaro aggiuntivo che è stato investito principalmente in infrastrutture pubbliche.

I paesi dell’Unione Monetaria Europea sono intrappolati in uno schema piramidale mortale, perché hanno abbandonato le loro valute sovrane per un euro controllato dalla BCE. I loro deficit possono essere finanziati solamente con altro debito, gravato da interesse, e quindi si deve sempre restituire più di quanto si fosse preso a prestito. La BCE potrebbe fornire un po’ di assistenza impegnandosi in un “alleggerimento quantitativo” (creando nuovi euro) ma ha insistito dicendo che l’avrebbe fatto solamente con la “sterilizzazione” – togliendo dal sistema l’equivalente dei soldi che venivano introdotti. Il modello dell’Unione Monetaria Europea è matematicamente insostenibile e destinato a fallire a meno che in qualche modo venga modificato, o ridando la sovranità economica ai propri paesi membri o consolidandoli in un unico paese con un unico governo.

Una terza possibilità, suggerita dai professori Randall Wray e Jan Kregel, sarebbe quella di assegnare alla BCE il ruolo di “datore di lavoro di ultima istanza”, utilizzando l’”alleggerimento quantitativo” per assumere i disoccupati ad uno stipendio minimo.

Una quarta possibilità sarebbe quella per i paesi membri di costituire delle “banche per lo sviluppo” di proprietà pubblica sulla base del modello cinese. Queste banche potrebbero emettere credito in euro per le opere pubbliche, creando posti di lavoro ed allargando l’offerta monetaria esattamente come fanno ogni giorno le banche private quando erogano dei prestiti. Oggi le banche private sono limitate nel loro potenziale di generazione di prestiti dal requisito sul capitale, da registri contabili infarciti di titoli tossici, da una mancanza di mutuatari cui si può fare credito e un modello di business che antepone il profitto degli azionisti all’interesse pubblico. Le banche di proprietà pubblica avrebbero i beni dello stato per tirare su il capitale, registri contabili puliti, un mandato per essere al servizio della gente e un mutuatario cui si può dare credito perché si tratta della nazione stessa, sostenuta dalla forza di riscossione delle imposte.

A differenza dei paesi dell’Unione Monetaria Europea, i governi di Inghilterra, Stati Uniti e altre nazioni sovrane possono ancora prendere denaro a prestito dalle proprie banche centrali, finanziando i programmi di cui si ha bisogno sostanzialmente esenti da interesse. Possono ma probabilmente non lo faranno, perché sono state ingannate a cedere quel potere sovrano ad un settore finanziario bugiardo che è volto a controllare i sistemi monetari mondiali in modo privato e autocratico. Il professor Carroll Quigley, un addetto ai lavori allevato dai banchieri internazionali, ha svelato questo piano nel 1966, scrivendo “Tragedy and Hope”:

“I poteri del capitalismo finanziario avevano un altro scopo più ampio, nientemeno quello di creare un sistema mondiale di controllo finanziario, in mani private, capace di dominare il sistema politico di ciascun paese e l'economia del mondo nel suo insieme. Questo sistema doveva essere controllato in un modo feudale da parte delle banche centrali del mondo che agiscono di concerto, attraverso accordi segreti cui si arrivava durante frequenti incontri e conferenze private”.


Proprio quando l’Unione Monetaria Europea sembrava essere sul punto di raggiungere quell’obiettivo, ha iniziato a cadere a pezzi. La sovranità potrebbe ancora prevalere.
di Ellen Brown

28 giugno 2010

Quale sindacato per la festa?

La trasformazione economica che stiamo vivendo non e' l'apocalisse. E' semplicemente la trasformazione che in Italia abbiamo sembre cercato di evitare, ovvero la trasformazione di un'economia basata sui costi ad un'economia basata sulla produttivita'. Le difficolta' che stiamo attraversando sono dovute ad un semplice fenomeno, ovvero il fatto che se cambia l'ambiente solo chi e' adatto sopravvive. Vediamo di fare un esempio.

Se avete seguito la vicenda FIAT sui due giornali che riportano il pensiero di marchionne (La Stampa e Il Sole: come dire che per capire il CEI bisogni leggere Avvenire) , avrete notato una cosa molto semplice: Marchionne non chiede di abbassare i salari.

Questo non e' tipico delle economie basate sulla riduzione dei costi, bensi' e' tipico delle economie basate sul'indice di produttivita'. Qual'e' il conto economico che sta facendo Marchionne?

Il conto e' semplice: col livello di Salari di Pomigliano, perche' si possa produrre Panda in quella fabbrica occorre produrne 250.000/anno. Possiamo prendere questa semplice affermazione e splittarla in due o tre parti:

  1. Occorre che questa cifra sia proprio quella. Le previsioni di vendita sono quelle, e non si puo' lasciare il cliente senza prodotto.
  2. Occorre che la fabbrica sia una sola, altrimenti i costi lievitano perche' ogni fabbrica necessitera' di logistica, trasporti, contabilita', infrastruttura dedicata, eccetera.
  3. Il livello di qualita' deve essere abbastanza alto da permettere alle Panda prodotte li' di essere vendute nei mercati di tutto il mondo, anche i piu' difficili.

Questo significa entrare nel mondo dell'indice di produzione: occorre investire 700 milioni perche' la fabbrica possa produrre, addestrare il personale alle nuove automobili e ai nuovi impianti, e occorre che la fabbrica sia operativa, su turni, giorno e notte. In queste condizioni, anche i salari italiani permettono di produrre.

Si tratta del primo esempio di calcolo economico basato sull'indice di produttivita', e non semplicemente sul rapporto tra spese e pezzi prodotti. Perche' dico cosi'?

Se fossimo ancora nel vecchio mondo basato sul rapporto tra spese e costi, la scelta sarebbe stata ovvia: produrre in qualche baracca cinese.In un mondo basato sui costi, le cose sarebbero andate diversamente, ovvero come sono andate sino ad ora in Italia.

  1. Se la cifra non e' di 250.000, affiancheremo a Pomegliano un'altra fabbrica, chiedendo aiuti allo stato.
  2. Se la fabbrica non e' una sola, pazienza: chiederemo allo stato di partecipare alla costruzione di un'altra fabbrica, che ci costera' meno.
  3. Se la qualita' non e' quella di sempre, pazienza: lo stato contribuira' ai costi abbastanza da rendere comunque vantaggioso il prezzo del veicolo.

Questo era il vecchio andazzo di FIAT. Per aziende incapaci di chiedere soldi allo stato, invece, era una cosa fatta cosi':

  1. Se la cifra non e' di 250.000 , chiederemo a qualcun altro di produrci le auto che mancano, magari un cinese che ci vende manodopera e schiavi pagati due euro al giorno.
  2. Se quella fabbrica non basta, ne apriremo due in cina, o in Polonia, tanto quelli non guadagnano niente.
  3. Se la qualita' non e' quella di sempre, beh, con gli schiavi a due euro al giorno ci guadagnamo lo stesso.

Qual'e' la differenza dell'approccio? Che il conto economico basato sull'indice di produttivita' evita il conflitto con i sindacati, ed evita il social dumping, semplicemente chiedendosi quanto deve produrre una fabbrica per sostenere i propri costi. In pratica, quello che fa l'imprenditore non e' chiedersi quali costi debba sostenere per guadagnare col prodotto, ma chiedersi quanto e quanto bene deve produrre per sostenere quei costi.

Adesso andiamo ai punti chiave. Perche' questo approccio si sta affermando sugli altri, e perche' questo approccio si e' incagliato in Italia.

Se andiamo a vedere per quale ragione questo approccio sia vincente, i vantaggi rispetto agli altri approcci sono evidenti.

Rispetto al tradizionale approccio fiat, basato sul "male che va c'e' il governo che paga", il vantaggio e' innanzitutto che non bisogna trattare col governo, ungere ruote, avere a che fare con tutte le trafile politiche, e specialmente coi tempi della politica. Inoltre, permette di lavorare su indici di qualita' migliori.

Marchionne non e' andato, come si faceva prima, ad incontrare i sindacati dentro la grande cattedrale dello stato. Ne' a chiedere aiuti di stato per Pomigliano.Ha semplicemente bypassato la trafila politica rendendo pubblico il suo progetto e trattandolo coi sindacati.

Rispetto al secondo approccio, detto "la capanna dello zio tom", il piu' seguito dalle PMI schiaviste, il grande vantaggio e' che non vai a toccare gli stipendi al ribasso, ma con i lavoratori vai a trattare l'output, ovvero la cifra di automobili che deve uscire dalla fabbrica.

Rispetto all'approccio capanna dello zio tom questo approccio ha il vantaggio di poter progettare sia la qualita' che la quantita', e quindi di poter gestire contratti a medio e lungo termine (prenotazione di materie prime, gestione dei fornitori, etc) molto meglio del negriero che ha tot schiavi sottopagati i quali daranno qualita' quando possono, dentro strutture fatiscenti e non aggiornate, e che non puo' programmare proprio nulla perche' si basa su un'infrastruttura non stabile.

E' quindi del tutto verosimile pensare che questo approccio all'industria , che gia' e' diffuso nel resto del mondo industrializzato moderno, si affermi anche in Italia, nel prossimo futuro.

Le aziende che non lo adotteranno sono destinate a chiudere. Sono destinate a chiudere per diverse ragioni. La prima e' che se ti basi sulle spese non puoi pianificare nel tempo. Quando Marchionne dice che con il costo della manodopera attuale deve produrre almeno 250.000 auto , sta facendo una previsione nel tempo. Potra' contarci sino a quando, perlomeno, saranno prodotti i primi 250.000 veicoli.

Il negriero che si limita a calcolare quanto debba abbassare i costi per avere un certo margine di contribuzione, invece, non si preoccupa ne' delle quantita' ne' delle quantita'. Del resto, non deve. Ma cosi' facendo, corre sia il rischio di avere un'azienda incapace di soddisfare le richieste del mercato, sia di avere un'azienda troppo grande per il prodotto che effettivamente sfornera'.

Ma se MArchionne progetta di ottenere tot macchine in un anno, ha un altro enorme vantaggio: sa per quando le puo' promettere alla catena di distribuzione, cosa che il negriero non sa. Non lo sa perche' il negriero si rivolge ad un mercato del lavoro estremamente variabile, poco addestrato, ad una infrastruttura obsoleta, eccetera.

Sul piano dell'affidabilita' dell'infrastruttura, chi progetta l'infrastruttura produttiva pre-determinando 'output e mettendolo a contratto, e' in vantaggio sul piano commerciale molto piu' di quanto non lo sia chi si limita ad abbassare le spese senza poter prevedere l'output dell'azienda. Il ritorno di investimento e' noto, per il semplice motivo che conosciamo l'output.

E' inutile avere dei pezzi pronti per una data che non sai di preciso, ad un costo che non conosci di preciso , perche' spesso i contratti non prevedono ritardi. Ed e' inutile andare di fronte agli azionisti dicendo che non sai se potrai onorare gli ordini.

Quello che Marchionne deve fare e' andare dagli azionisti a dire "con 700 milioni di euro metteremo questa fabbrica in grado di produrre tot auto in tot tempo. Il ricavo previsto sara' tot". Al contrario, il negriero non puo' farlo, deve vivere alla giornata: deve andare dal cliente a trattare il prezzo perche' non sa quanto gli costi il prodotto di preciso, a seconda della scala. Tutto e' affidato al suo intuito, e alla sua fortuna, e alla speranza di lavorare su un margine di contribuzione cosi' alto da sopportare le oscillazioni.

In altre parole, il vantaggio in termini di pianificazione del conto economico basato sulla produttivita' e' tale da superare gli svantaggi dovuti al costo del lavoro. Non c'e' al mondo negro abbastanza negro in termini di basso reddito da rendere competitiva una fabbrica che lavori seguendo questo approccio.

Questo e' il motivo per il quale non si e' messo in discussione il salario, ma solo l'output della fabbrica: l'assenza di scioperi, il ciclo di lavoro continuo, eccetera.

E qui siamo al punto Italiano. Ne' i sindacati italiani ne' i lavoratori ne' moltissimi industriali (e mi riferisco ai fornitori) sono abituati a discutere in questi termini. MArchionne per esempio e' ingenuo se pensa che i fornitori locali di Pomigliano , se anche riuscisse a creare una fabbrica senza tempi morti, sarebbero capaci di rispettare i tempi di fornitura con precisione.

Il problema FIAT, quindi, impatta contro una gigantesca obsolescenza che riguarda prima di tutto i sindacati, ma anche tutto il resto del mondo industriale.

  • Affermare che una fabbrica possa lavorare a ciclo continuo (come le fabbriche di tutto il mondo) significa accordarsi coi sindacati per avere lavoratori puntuali e aggiornati.
  • Affermare che una fabbrica possa lavorare a ciclo continuo (come le fabbriche di tutto il mondo) significa accordarsi coi fornitori per avere ricambi e parti puntuali e di qualita'.

Il primo punto lo abbiamo visto all'opera: il sincacato, obsoleto ed ottocentesco, non e' nemmeno riuscito a fornire una proposta decente per garantire a FIAT l'output, ovvero il numero di auto, delle quali ha bisogno. FIAT chiede che tot auto escano da quella fabbrica, ovvero che la fabbrica lavori a ciclo continuo. Fine. Sta trattando l'output della fabbrica.

Qual'e' la proposta dei sindacati per fare si' che la fabbrica produca tanto? UIL e CISL hanno accettato quella di FIAT, FIOM no.

Ma al di la' del "NO", che cosa propone FIOM perche' Pomigliano produca 250.000 auto ? Non si capisce. Del resto, FIOM e' cosi' antiquata che non sa parlare la lingua della produttivita'. Si tratta di un sindacato ottocentesco che pensa di poter vivere in eterno contando i minuti di pausa pranzo.

Tutto quello che FIOM sta facendo e' parlare di diritti, ma di quali diritti sta parlando FIOM? La generazione attuale , fatta di precari, cocopro e stagisti, quei diritti non li vedra' mai. E neanche quelli che sono nelle PMI, dove i sindacati si guardano bene dall'entrare, oggi feudo leghista.

Cosi', FIOM tratta di alcuni rituali ottocenteschi praticabili solo tra gli statali e alcune grandifabbriche costruite dallo stato , o coi soldi dello stato, allo scopo di dare lavoro.(1)

Anche dal lato degli industriali, pero', la cosa non andrebbe meglio. Si dice che Pomigliano abbia un indotto, ed e' vero. Ma le aziende dell'indotto sono capaci di supportare una fabbrica che ha bisogno di rifornimenti puntuali? No.

Si tratta in gran parte di baracche basate sul vecchio concetto di rapporto tra costi e fatturato, e come tale non si tratta di fabbriche capaci di promettere output: il rapporto tra costi e fatturato non permette di fare previsioni sulla quantita' ne' sui tempi.

Oggi, pero', il mondo e' cambiato. Viviamo in un mondo economicamente multipolare ed e' questo che sta segnando i tempi del declino del mondo del lavoro italiano.

Le aziende italiane ragionano ancora in termini di spesa/fatturato. Il che significa che sono sempre piu' in difficolta' a fornire le aziende straniere, che da tempo ragionano in termini di produttivita'.

Il sindacato italiano ragiona ancora in termini di "padroni e operai", e si presenta ai tavoli senza proposte su come raggiungere i livelli di produttivita' richiesta, ma solo con astruse teorie del secolo scorso, con retoriche ottocentesche, le quali discutono i minuti di mensa, ma mai che cosa il lavoratore debba produrre.

A Marchionne non frega un cazzo se il lavoratore lavora 80 ore in piu' o meno. Per quanto vale, se il lavoratore produce quell'output che gli e' richiesto, se e' capace di farlo in 20 ore gli va bene lo stesso. Il problema di Marchionne e' che da una singola fabbrica che costa X escano Y macchine in un tempo Z. Fissati i costi, e quindi senza discutere del salario, il termine della discussione e' il prodotto.

La FIOM ha qualcosa da dire , per garantire che da quella fabbrica escano tot macchine? No. Non ce l'ha. La FIOM ha gioco facile a decidere che tale giorno si sciopera: puo' decidere o GARANTIRE invece che tale obiettivo produttivo venga raggiunto? La risposta e' NO.

In definitiva, la misura della crisi di occupazione italiana e' dovuta al fatto che il rapporto commerciale e' l'unico a garantire output. E come tale viene usato. Al cocopro, come alla nostra partita iva, possiamo chiedere di garantirci che il prodotto venga consegnato per la tale data, altrimenti non paghiamo.

Ma non ci sarebbe bisogno di queste figure se il sindacato la smettesse di assomigliare ad una macchietta da film e iniziasse a garantire che , fatto l'accordo, gli obiettivi di produttivita' vengano raggiunti.

In questi giorni, il mio capo mi sta chiedendo di mandare online 500.000 utenti olandesi nelle prossime settimane, in due ondate. Bene. Se io scrivo degli script con dei cicli for che applicano le nuove configurazioni e lo faccio in cinque minuti, o lavoro giorno e notte, al mio capo frega zero.

Io ho una pila di task da portare a termine in un giorno. Che io mi sia scritto degli script per farlo o meno, sono affari miei. Lui vuole vedere che gli utenti sono online e che fatturano. Punto. Se io, come sono uso fare, mi scripto tutto quanto, e poi scrivo sul blog , a lui frega zero. Fino a quando continuero' a dargli il "Deliverable" che lui chiede, in termini di qualita' e quantita', per lui posso anche farlo usando facebook.

Ora, immaginate che arrivi qui una ipotetica RSU(2) e si metta a trattare col mio capo dei miei minuti di pausa o dei miei tempi di lavoro. Probabilmente si sentirebbe rispondere "I couldn't care less". Ed e' vero: non mi controllano gli orari, ma solo i risultati.

Questo significa che la principalre caratteristica di me, in termini di metrica, che li spinge a pagarmi il pane, i viaggi dall'italia e la casa qui sta nel fatto che se mi dicono di fare qualcosa, avranno quella cosa. Affidabilita'.

Ed ecco il punto. Le domande che dobbiamo porci sono in termini di affidabilita': se il mondo passa ad una visuale basata sull'indice di produttivita', chi garantisce l'affidabilita' del lavoro? Quello che si chiede e' che:

  1. I fornitori consegnino sempre in tempo.
  2. I lavoratori facciano quanto previsto in tempi previsti.
  3. Il sindacato rispetti gli accordi fatti, "facendosi garante" anche della produzione.

In qualche modo, in Germania questo obiettivo si e' parzialmente raggionto, e quindi i tedeschi riescono ad esportare come pazzi pur avendo dei livelli di reddito enormi. In Italia questo e' possibile? Le difficolta' sono:

  1. Il fornitore italiano e' spesso impreciso, pianifica poco e pensa che il prezzo sia tutto. Quando arriva in ritardo pensa ancora di ovviare con uno sconto, senza rendersi conto di aver fermato la produzione di uno stabilimento piu' grande.
  2. Il lavoratore italiano e' spesso molto attaccato alla cifra del contratto in termini di minuti per il cesso, orari, eccetera, segue i processi in maniera burocratica, si ferma se qualcosa va storto, passa la palla e la responsabilita' ad altri sedendosi e fermando il processo.
  3. Un accordo col sindacato e' carta straccia. Anche accordandosi con la FIOM per qualcosa, domani scenderanno in sciopero comunque, con qualche altro pretesto. Lo sciopero di mirafiori "per solidarieta'" , proprio mentre giovava la nazionale , e' un esempio. Gli accordi della fabbrica di Mirafiori coi sindacati locali sono stati rispettati? No.

Del resto, in che modo un accordo con FIOM avrebbe valore, se anche accordandosi per non scioperare piu', domani FIOM sciopererebbe comunque per solidarieta' a qualsiasi altra vertenza, o perche' la CGIL ha fatto uno sciopero contro il governo?

Questi sono i nodi sul tavolo della nostra economia industriale: avere fornitori affidabili, lavoratori affidabili, sindacati affidabili.

Sui fornitoriaffidabili ancora non sappiamo, molti lavoratori si sono impegnati (65%) a fare quanto richiesto, ma il 35% e' troppo e puo' ancora fermare la fabbrica, FIOM ha fatto la solita figura del sindacato italiano, che per sindacato intende sciopero, sciopero, sciopero. Sciopero per solidarieta', sciopero per la partita, sciopero per tutto.

E quindi, il destino e' gia' scritto: solo chi riuscira' a garantire affidabilita' nel lavoro e nelle consegne sopravvivera'. E oggi l'unico modo di ottenerlo, con un sindacato inaffidabile, e' di avere il cocopro pagato solo se consegna, la partita iva pagata solo se consegna, eccetera.

Non per nulla, e' stato Treu a inventare il precariato: senza di esso, la riforma del lavoro avrebbe riguardato tutti i lavoratori e cambiato le regole sindacali per tutti. Cosi' facendo, invece, abbiamo lavoratori che discutono i turni e i minuti per il cesso e precari che lavorano tempi qualsiasi senza alcuna regola.

MA i primi, almeno sostengono ancora il vecchio, obsoleto sindacato. Il che era quello che Treu voleva.

Quindi, i precari non si aspettino aiuti dai ssindacati italiani. Essi pagano il prezzo che il sindacato ha dovuto pagare per poter vivere, vecchio e obsoleto come sempre, nelle grandi realta'.

Senza il precariato, si sarebbe dovuto discutere tutto, per tutti i lavoratori. E un sindacato obsoleto sarebbe morto. Cosi', il sindacato sopravvive, e le esigenze produttive le soddisfano i precari.

Tranne alcune riserve indiane come Pomegliano. Che stanno chiudendo. The party is over.

Uriel

(1) Quando la gente si lamenta che lo stato abbia dato soldi a FIAT, dovrebbe ricordare che con quei soldi si sono mantenuti dei "lavoratori" che altrimenti non avevano la piu' pallida chance di avere un lavoro.

(2) Non sono iscritto a nessun sindacato, in italia.

27 giugno 2010

Corruzione e burocrazia, nemici dell’economia



E’ assai singolare la disputa in corso tra economisti keynesiani e antikeynesiani sulla manovra di finanza pubblica. I primi pensano che sia necessario lasciare inalterata la spesa pubblica perché questa, stimolando l’economia, contribuisce alla crescita (più correttamente alla domanda aggregata, di beni e servizi). Essi sostengono che siano, addirittura, necessari stimoli monetari - stampare moneta ovvero prendere denaro in prestito dalle banche centrali - non essendo ancora comprovata l’uscita dalla crisi e ritenendo, quindi, più importante garantire lo stimolo alla economia privata, alla piena occupazione e agli acquisti, che provvedere alla riduzione del deficit statale. I secondi rilevano che, al contrario, tagliando la spesa appena usciti dalla crisi, in un momento di crescita economica - seppur debole - come quello attuale, l’effetto recessivo sarebbe nullo o, perlomeno, molto molto basso. Inoltre, le correzioni dei conti pubblici basate sulla riduzione della spesa, e non sull’aumento delle tasse, possono incidere più energicamente sul deficit e sul debito pubblico. Sono scuole di pensiero legittime, entrambe con importanti ricerche e studi ed esempi storici volti a supportare le proprie tesi. Intanto, l’Europa nel suo complesso ha scelto la seconda strada. Tutti i governi hanno puntato a misure di contenimento dei deficit di bilancio e di rientro in parametri più consoni del rapporto debito/PIL. L’Italia ha puntato su un contenimento della spesa pubblica e sul recupero dell’evasione fiscale, non nascondendo che la manovra avrà comunque un effetto recessivo immediato - su un Prodotto Interno Lordo previsto comunque in crescita - almeno per il prossimo biennio. Chiunque può proporre le proprie soluzioni ai problemi di bilancio italiani con piena legittimità. Non esistono, a priori, ricette giuste o sbagliate, se sono proposte nell’interesse comune. Certo è che, finite le dispute macroeconomiche, che comunque nel giro di quattro-cinque anni ci mostreranno chi aveva ragione e chi torto, bisogna inquadrare ogni intervento sui conti pubblici italiani in un ambito più particolare, che gli altri paesi europei non devono fronteggiare. La spesa pubblica italiana ha l’aggravante di essere appesantita da costi impropri, che sulle altre economie europee non pesano. Quasi duemila reati l’anno tra corruzione e abuso d’ufficio, con un trend crescente negli ultimi anni, comportano un costo complessivo valutato, dalla Corte dei Conti e dal Servizio Anticorruzione e Trasparenza del ministero della pubblica amministrazione e dell’innovazione, tra i 50 e i 60 miliardi di euro l’anno (3,3-4 punti percentuali di PIL ovvero quasi il doppio della cifra che viene investita ogni anno in diritti sociali, politiche sociali e famiglia). Sei milioni di aziende costrette ad affrontare un costo medio di 12.000 mila euro per impresa (secondo le stime delle associazioni di categoria) per i famosi “lacci e laccioli” della burocrazia, fanno un totale di 72 miliardi (4,8 punti percentuali di PIL ovvero una cifra che copre quasi il costo dell’intero sistema pensionistico). A questi costi va aggiunto l’onere delle mancate liberalizzazioni - ma anche quello delle liberalizzazioni e privatizzazioni fatte male - che danno un valore stimato (forse per difetto dalle associazioni favorevoli al libero mercato) in 40 miliardi (2,6 punti percentuali di PIL ovvero una somma molto vicina al costo dell’intero sistema di istruzione scolastico). Queste sono spese che non gravano sul bilancio dello Stato, ma direttamente sui bilanci delle famiglie italiane (maggiori costi per gas, energia elettrica, smaltimento rifiuti, ferrovie, trasporto aereo, trasporto locale, telefonia, credito, commercio). Tali, continuano ad essere i grandi dilemmi del nostro paese che affronta i propri problemi strutturali di bilancio con una manovra che ha un impatto massimo pari a 25 miliardi, quando avrebbe a disposizione, come abbiamo visto, almeno altri 160-170 miliardi se recuperasse la propria efficienza. Ecco, allora, che anche le più giuste ed oneste tesi macroeconomiche saltano per aria quando l’economia si scontra con i flagelli della corruzione e della burocrazia.

di Alessandro L. Salvaneschi

26 giugno 2010

Golfo del Messico: un'esplosione nucleare controllata per impedire che la macchia raggiunga l'Atlantico

(MoviSol) - Lo statunitense Centro Nazionale per la Ricerca sull'Atmosfera ha elaborato alcune mappe della distribuzione nel Golfo del Messico della macchia di greggio perso dal pozzo della British Petroleum (BP), macchia che nel corso dell'ultimo mese ha raggiunto le coste occidentali della Florida.

Il centro di ricerca prevede che tra poco più di due settimane il petrolio, una volta raggiunto l'estremo meridionale di quella penisola e sospinto dalle correnti oceaniche che la lambiscono, potrà inquinare anche l'Atlantico, addensandosi lungo una fascia di circa 100 miglia al largo delle coste della Georgia, delle due Caroline e della Virginia, ma anche raggiungendo, una settimana più tardi, l'Atlantico settentrionale.

Da tempo alcuni geologi marini e altri specialisti stanno valutando le condizioni fisiche del pozzo petrolifero, degli strati del fondale e di altri fattori rilevanti rispetto all'impiego di esplosivi di profondità, anche nucleari, per interrompere definitivamente l'efflusso di petrolio.

Le valutazioni di uno tra i principali esperti americani di esplosivi nucleari ad uso civile cominciano ad essere di dominio pubblico.

Tuttavia, finora alla Casa Bianca hanno invece prevalso il paradigma ecologista e i pareri di consiglieri come Carol Browner, lo "zar" di Obama per le questioni legate all'energia e al cosiddetto "cambiamento climatico", cui si è associato anche l'ammiraglio Thad Allen, a capo del Comando Unificato degli Stati Uniti, il quale ha dichiarato alla vigilia della prima visita del Presidente in Louisiana che l'uso degli esplosivi è un tema "periferico rispetto alle cose di cui siamo chiamati a discutere in questo momento".

"Avremmo dovuto demolire quel pozzo con gli esplosivi, più di un mese fa", ha dichiarato ai primi di giugno al Daily Beast Christopher Brown, ex ufficiale della flotta dei sottomarini nucleari. "E siamo ancora qui a portare la croce mentre la BP passa di piano in piano per raccogliere il suo greggio e per proteggere i suoi capitali… sarebbe meglio, e di gran lunga, se il nostro Presidente alzasse la cornetta del telefono rosso per chiamare Vladimir Putin, in modo da ricevere una lezione di ninjapolitik, piuttosto che lasciare alla BP l'incombenza di piani inefficaci da essa stessa avanzati…"

Il risvolto politico più importante di questa faccenda è che la determinazione del Presidente Obama a non offendere Wall Street e l'Impero Britannico, di cui la BP è un braccio economico, mette ulteriormente in pericolo l'istituzione stessa degli Stati Uniti d'America.

La sua inettitudine anche di fronte a questo problema va ad aggiungersi ai "capi d'imputazione" utili alla procedura di impeachment che Lyndon LaRouche pretende da tempo.

25 giugno 2010

La Commissione UE opta per il fascismo fiscale

(MoviSol) - In un incontro con i leader sindacali europei l'11 giugno, il Presidente della Commissione Europea José Manuel Barroso ha di fatto minacciato i paesi membri dell'UE di colpi di stato militari e di fascismo se non riuscissero ad applicare le misure di austerità massiccia richieste per salvare le banche.

Le minacce di Barroso sono state riassunte da John Monks, segretario generale dello European Trade Union Congress (ETUC), in un'intervista all'EU Observer il 14 giugno. "Ho avuto una discussione con Barroso lo scorso venerdì", ha detto Monks, "su che cosa si può fare per la Grecia, la Spagna, il Portogallo e il resto, e il suo messaggio è stato brusco: 'Guarda, se non applicano questi pacchetti d'austerità, quei paesi potrebbero virtualmente sparire nella forma democratica in cui li conosciamo. Non hanno scelta, prendere o lasciare'… Ci ha sbigottiti con una visione apocalittica delle democrazie europee al collasso a causa dell'indebitamento".

Monks stesso sostiene, al contrario, che proprio le misure di austerità condurranno a tale situazione. "Stiamo tornando", ha detto, "agli anni '30, quando, con la Grande Depressione, alla fine ci ritrovammo le dittature militari. Non sto dicendo che ci siamo già, ma è potenzialmente molto grave, non solo economicamente ma anche politicamente".

Helga Zepp LaRouche ha stigmatizzato gli argomenti di Barroso: "E' vero esattamente l'opposto [di quanto afferma il Presidente della Commissione UE]: se i governi europei continueranno a capitolare al diktat dell'UE e espandere il debito statale in modo inflazionistico solo per salvare o nazionalizzare banche scassate, mentre contemporaneamente tagliano brutalmente i livelli di vita degli strati della popolazione poveri o meno abbienti, allora la minaccia di un'apocalisse è reale". La signora Zepp LaRouche ha fatto riferimento alla scadenza del 1 luglio, quando scadono 442 miliardi di finanziamenti a un anno della BCE alle banche europee, o alla data in cui la Grecia chiederà un nuovo salvataggio o la Spagna si farà avanti per il suo pacchetto di salvataggio, come possibili punti traumatici che potrebbero far collassare il sistema. Come dimostra il ruolo storico svolto da Lord Cockfield, le politiche molto "europee" che vengono seguite supinamente dall'Europa continentale hanno origine negli ambienti imperialistici londinesi.

Questo fatto è stato reso palese ancora una volta al vertice UE di Bruxelles del 17 giugno, quando la Commissione Europea, nella persona del Commissario alle Finanze Olli Rehn, ha richiesto programmi di austerità ancora più distruttivi da parte dei governi europei, ammettendo che ogni tornata di tagli peggiora la situazione. Lyndon LaRouche ha commentato che la politica di Rehn è "semplice iperinflazione automatica". Gli obbiettivi di deficit imposti dalla Commissione appena due mesi fa vengono oggi dichiarati inadeguati. "Se continueranno con questa politica, il prossimo mese non ci sarà nessuno", ha sentenziato LaRouche.

Nel frattempo, il Primo ministro britannico David Cameron ha confermato che Londra sta dietro la "dittatura economica" dell'Eurozona, anche se la Gran Bretagna non entrerà nella moneta unica. Ad una conferenza stampa ai margini del vertice, ha affermato: "Chiariamo questa cosa: la Gran Bretagna non è d'accordo e non acconsentirà che vengano trasferiti ulteriori poteri da Westminster a Bruxelles; non siamo membri dell'euro. Noi presenteremo sempre il nostro bilancio prima al Parlamento. Ma se gli stati membri dell'euro ora ritengono che, a causa della situazione critica in cui si trovano, debbano stipulare nuovi accordi di governance [cioè un supergoverno fascista dell'UE], dovranno procedere con questo piano".

Il commento di LaRouche è stato: "Che bello, che carino… se i popoli dell'Europa continentale vogliono essere schiavi, lo diventeranno".

24 giugno 2010

La crisi dell'euro provoca il fallimento degli stati e la paralisi dei governi

Tre elezioni recenti nell'eurozona – nei Paesi Bassi, Belgio (elezioni politiche anticipate) e nello stato più popoloso della Germania, il Nord Reno Westfalia (NRW) – confermano la perdita drammatica di fiducia da parte degli elettori nei partiti affermati – in particolare per quanto riguarda i cristiano democratici, in quei paesi. La situazione politica è diventata così complicata che la formazione di nuovi governi sta diventando praticamente impossibile.

Un segno dei tempi? Cinque settimane dopo le elezioni per il parlamento regionale nel NRW, tutte le opzioni per un governo di coalizione sono crollate, e la coalizione precedente tra il CDU e l'FDP (liberali) rimarrà al potere per ora anche senza maggioranza nel parlamento regionale.

È un brutto auspicio per gli scenari che vengono ventilati sulla stampa in questi giorni, che parlano per esempio di una divisione dell'eurozona tra una parte settentrionale guidata dalla Germania ed una parte meridionale guidata dalla Francia. La parte settentrionale, che viene dipinta come quella più "stabile" rispetto al vicino del sud, in realtà non lo sarebbe affatto, basandosi su Germania, Belgio e i Paesi Bassi.

Infatti la non-governabilità del NRW si aggiunge ai molti altri problemi che affliggono la cancelliera Merkel. La coalizione di governo nazionale è divisa su molti punti della politica di salvataggio europea, quali gli aumenti drastici delle tasse e gli ulteriori tagli al bilancio, oltre ai piani per estendere il divieto delle vendite allo scoperto. Se la Corte Costituzionale dovesse decidere a favore dei ricorrenti che hanno presentato ricorso contro il pacchetto di salvataggio UE, anche solo in parte, sarebbe un duro colpo per il governo; come lo sarebbe anche l'eventuale fallimento del candidato della Merkel per la presidenza federale Christian Wulff alle votazioni del 30 giugno. Come ha notato il Financial Times del 14 giugno, un tale fallimento "potrebbe essere sufficiente a causare la rottura della coalizione di governo della signora Merkel".

Benché l'elettorato olandese abbia dato una batosta senza precedenti all'ex partito al potere, i cristiano democratici, riducendo i suoi seggi al parlamento nazionale da 41 a 21, questo risultato è stato accompagnato da un frazionamento dello scenario politico, rendendo ancora più difficile la possibilità di formare un esecutivo stabile. Il vincitore è stato il partito liberale di destra VVD, che è passato da 21 a 31 seggi, ma avrà difficoltà a formare un governo. I media parlano già di un periodo lungo alcuni mesi.

Nel Belgio, il partito separatista fiammingo Nieuw-Vlaamse Alliantie (NV-A) ha ricevuto il suo risultato migliore di sempre nelle Fiandre, con il 28.3%. Nella regione francofona della Wallonia i socialisti, che hanno cominciato di recente a mobilitarsi in difesa delle pensioni, del tenore di vita e per la solidarietà nazionale, hanno avuto il 36%, un risultato imprevisto. In altre parole, la formazione di una coalizione non sarà facile in Belgio, dove ci sono voluti nove mesi per formare l'ultimo esecutivo, che non è riuscito a finire la legislatura. Il Belgio potrebbe essere senza governo ancora quando diventa presidente di turno dell'UE a luglio.

La realtà è che fintanto continua la strategia iperinflattiva dei salvataggi, con l'austerità brutale imposta sui cittadini, l'Europa potrà solo sognarsi la "stabilizzazione". L'unico rimedio consiste in una vera riforma del sistema bancario e finanziario, sul modello Glass-Steagall
by Movisol

23 giugno 2010

Appalti e procedure speciali: 13 miliardi in nove anni

ROMA — Nel Paese (l’Italia) dove ci sono più di tredicimila «stazioni appaltanti», cioè soggetti con il potere di bandire gare per opere pubbliche, ce n’è una che le surclassa tutte. Si chiama Protezione civile. Volete sapere quanti soldi sono passati per le mani di Guido Bertolaso da quando, nel 2001, Silvio Berlusconi lo ha rimesso a capo del Dipartimento e gli ha dato pure le competenze sui grandi eventi? La bellezza di 12 miliardi 894 milioni 770.574 euro. E 38 centesimi: pure quelli ha contato l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici nel suo ultimo rapporto. Sottolineando ancora una volta con la precisione delle cifre la gigantesca anomalia di una struttura con licenza di deroga alle procedure ordinarie: non soltanto per le calamità naturali, ma anche incomprensibilmente per la gestione di gare sportive, vertici internazionali, manifestazioni varie.

Illuminante è una relazione della Corte dei conti su una regata alla Maddalena svoltasi mesi (con solita ordinanza di Protezione civile) davanti ai luoghi del G8, pietra dello scandalo che sta travolgendo affaristi pubblici e privati. Costretto a ingoiare il rospo, il magistrato si è tolto comunque un sassolino dalla scarpa, giudicando ingiustificabile che per una competizione velica come la «Louis Vuitton world series» siano stati impiegati dipendenti pubblici e soldi sulla carta accantonati per le calamità. E su una cosa non ha voluto transigere, rifiutando il proprio visto di conformità: il fatto che al comitato organizzatore siano stati versati 2,3 milioni di denari pubblici. Prelevati anch’essi dallo stesso fondo per la protezione civile.

Come si è arrivati a spendere con procedure in deroga quasi 13 miliardi, cifra che sarebbe sufficiente a fare due ponti sullo stretto di Messina, è spiegato in dettaglio nel rapporto dell’authority presieduta da Luigi Giampaolino. Dove si racconta che le ordinanze di Bertolaso le quali implicano il ricorso all’appalto sono lievitate con un crescendo rossiniano: 28 nel 2001, 34 nel 2006, 49 nel 2009 (anche a causa del terremoto). Prendiamo la spazzatura in Campania: se dal 2001 al 2005 la Protezione civile aveva emanato in media un’ordinanza l’anno, nel 2007 si è passati a sette, poi a 11 nel 2008. Da brivido la cifra finale: l’importo destinato in soli nove anni all’emergenza rifiuti in quella Regione avrebbe ha raggiunto 3 miliardi 548 milioni 878.439 euro. Ben 613 euro per ogni cittadino campano.

Poi, fra quelle 302 ordinanze di Protezione civile emanate dal 2001 al 2009, ci sono i famosi Grandi eventi. Come i mondiali di nuoto dell’anno scorso, che hanno fatto scattare un’inchiesta giudiziaria e sui quali l’autorità di Giampaolino aveva già avuto qualcosa da ridire. Oppure come il G8 della Maddalena su cui indagano i giudici e per il quale sarebbe stata stanziata, anche se poi non effettivamente utilizzata, una somma sbalorditiva. Tenetevi forte: un miliardo, 6 milioni 415.139 euro e 68 centesimi. O, ancora, come le iniziative per le celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, altro capitolo che non ha mancato di interessare i magistrati e a proposito del quale la stessa authority ha sollevato una serie di questioni. Per esempio, che non siano state fornite indicazioni sulle procedure seguite per affidare incarichi a progettisti e collaudatori. Per esempio, che visti i tempi stretti si sia deciso di riconoscere alle imprese «premi di accelerazione» (?) non contemplati nelle gare. Per esempio, che fra avviso «di preinformazione » e pubblicazione dei bandi siano passati soli 14 giorni: troppo pochi «per poter ritenere di fatto efficace il relativo avviso».

Stranezze. Seguite da altre «stranezze», come l’immediata sparizione dalla manovra di una norma voluta dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti per ricondurre sotto il controllo della ragioneria generale dello Stato tutte le spese che fanno capo alla presidenza del Consiglio: una ventina di miliardi di euro l’anno. Fra queste, manco a farlo apposta, ci sono quelle della Protezione civile. Che continueranno quindi a essere svincolate dai controlli del Tesoro.
Né è stato possibile ripristinare una disposizione che aveva introdotto l’ex ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro: l’abolizione degli arbitrati. Perciò si andrà avanti con quella forma di giustizia privata, gestita in prima persona da magistrati amministrativi e contabili e alti funzionari pubblici lautamente retribuiti (oltre allo stipendio, s’intende) per tali prestazioni: dalla quale, nonostante ciò, lo Stato esce regolarmente a pezzi. Anche nel 2009 la pubblica amministrazione è risultata «soccombente » nel 94% dei 136 arbitrati cosiddetti «liberi», cioè dove gli arbitri sono scelti «liberamente» fra le parti. Per una spesa aggiuntiva di 414 milioni di euro. Siamo arrivati al punto che ogni due appalti di importo superiore a 15 milioni di euro scatta un arbitrato. E con questo sistema il costo delle opere pubbliche è lievitato mediamente del 18%.


Sergio Rizzo

22 giugno 2010

Sicilia: onorevoli superpagati

http://www.imitidicthulhu.it/Blog/PupoSiciliano.jpg

Sono 14 i parlamentari nazionali, ex deputati regionali all’Assemblea regionale siciliana, pagati due volte, a cui si aggiungono 2 ex parlamentari regionali, che attualmente hanno i seguenti incarichi istituzionali, l’assessore regionale al turismo, Nino Strano ed il presidente della Provincia Regionale di Messina, Nino Ricevuto.
Alla faccia della crisi economica e del risanamento del deficitario bilancio regionale siciliano.
Difatti, alla indennità di parlamentare nazionale (deputato o senatore), sommano la pensione maturata all’Ars, malgrado la loro età. Precisamente, quasi tutti hanno un’età inferiore ai 65 anni, la loro media di età è attorno ai 50 anni.
Che ne pensa il ministro Brunetta!
Ed ecco i 14 beneficiari, appartenenti a quasi tutti i partiti politici, Pdl Pd, Udc e Idv: Leoluca Orlando, Salvatore Cuffaro, Calogero Mannino, Angelo Capodicasa, Vladimiro Crisafulli, Nicola Cristaldi, Giuseppe Firrarello, Salvatore Fleres, Fabio Granata, Ugo Grimaldi, Dore Misuraca, Alessandro Pagano, Raffaele Stancanelli e Sebastiano Burgaretta Aparo.
In grande inciucio trasversale cui partecipano tutti, in danno ai contribuenti. Tutti uniti appassionatamente…, altro che valori sbandierati dal portavoce di Idv, Leoluca Orlando, che simula la sua verginità politico-partitica. Ma quale valori! Ma quale opposizione! Sono un tutt’uno, maggioranza e minoranza (non opposizione, che non è mai esistita).
Il sistema premiale trasversale o bipartizan di cumulo è tutto siciliano e riguarda tutti gli ex deputati regionali che hanno cominciato la loro carriera partitica all’Ars prima della riforma previdenziale dell’anno 2000 e continuano ad usufruire del vecchio sistema, per il quale si può ricevere l’assegno vitalizio anche a 50 anni, avendo tre legislature alle spalle. La soglia sale a 55 anni per i parlamentari regionali con due legislature e a 60 per chi ha all’attivo una sola legislatura.
In merito, il regolamento dell’Ars prevede che, raggiunti i predetti requisiti, gli ex deputati regionali possono chiedere il vitalizio e mantenerlo anche se nel frattempo hanno assunto il titolo di parlamentare nazionale. Al contrario, il regolamento della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica non lo permettono affatto il cumulo dell’assegno vitalizio nazionale con l’indennità da consigliere o deputato regionale. Contraddizione che di fatto determina un trattamento di maggior favore per i 16 (14 più 2) ex parlamentari regionali siciliani provenienti dall’Ars.
La Sicilia è un mondo a parte.
di Giacomo Faso

La crisi è finita. Ma c’è chi si vende un rene


Nonostante le patetiche rassicurazioni del governo, la crisi economica in Italia è ancora molto forte. Prendiamo ad esempio la storia di G. M., 46 anni, ex imprenditore di Ponte della Priula (TV). Oberato da i debiti e con una famiglia da mantenere, ha deciso di vendere un rene: «Sono sano, forte come un lupo e abbastanza giovane: metto in vendita un mio rene per 150mila euro», questa la sua offerta shock.

Non si tratta certo di una provocazione, ma dell’unica via d’uscita da una vita non più dignitosa. «Dal 28 maggio sono di nuovo disoccupato, adesso mi arrangio con dei lavoretti, faccio anche il muratore. La casa è andata all’asta e ci viviamo fino a quando non ci sfratteranno. Che futuro posso assicurare alle mie figlie in queste condizioni? Ogni mattina quando mi sveglio non so se impiccarmi e mettere fine a tutto questo o se continuare a vivere. Sono alla ricerca di denaro, disposto a fare qualsiasi lavoro. Non riesco a trovarne uno di stabile e adesso ho deciso».

Eppure all’inizio la sua attività di autotrasporti sembrava andare bene. «Era il 2001 e avevo quattro camion e tante speranze, poi sono iniziate le pendenze con le banche e ho dovuto chiudere. Ho lavorato come operaio autista, alle dipendenze di due aziende locali una delle quali è fallita». Con i soldi guadagnati prima cerca di ripianare i debiti, ma poi la situazione diventa insostenibile. «Mi sono mangiato la casa che è finita all’asta. A fine aprile l’hanno acquistata per 80mila euro circa, ma non è bastato. Le banche mi chiedono ancora denaro e io non ne ho più. Sono su una strada».

Per ora lui e la sua famiglia, moglie e due bimbe piccole, hanno ancora un tetto, ma durerà poco. «Viviamo ancora nella casa fino a quando non ci sfratteranno. Io così non ce la faccio più, ho ancora debiti da saldare e non riesco a trovare un lavoro fisso e se dovessi trovare uno stipendio le banche me lo pignorerebbero». Ecco perché la soluzione estrema della vendita del rene. «Lo so che qui in Italia non si potrebbe fare, ma io offro il mio rene. È sano, io sono sano e se c’è qualche persona benestante con problemi di salute sono a sua disposizione. Chiedo 150mila euro e prometto che 20mila euro andranno per la ricerca. Lo faccio per la mia famiglia, per mia moglie e le mie figlie. Voglio assicurare loro un futuro, gli studi, la serenità di una volta, non chiedo poi molto. Da mesi cerco lavoro, mi tengono per tre mesi e poi mi lasciano a casa. Dicono che questi tempi sono duri per tutti ma così non ce la faccio più ad andare avanti, vi prego datemi una mano almeno voi».

Questi sono gli effetti deleteri del capitalismo, un sistema destinato ad implodere su se stesso ed incurante della dignità della persona. Quanti altri casi come quello dell’imprenditore trevigiano dovremo ancora vedere prima che il popolo decida di ribellarsi e cominci a lottare per abbattere la dittatura del Capitale? Purtroppo all’orizzonte non vediamo ancora nulla di buono.

di Alessandro Cavallini

20 giugno 2010

Nasce Onu, la rete nazionale degli operatori dell'usato


usa e getta consumismo
Siamo nell'era dell’usa e getta in cui le regole dell’economia tendono a manovrare le nostre necessità verso il bisogno e il possesso del “nuovo”
Nell’era del consumo dell’usa e getta in cui le regole dell’economia tendono a manovrare le nostre necessità verso il bisogno e il possesso del “nuovo”, in cui ogni secondo sono immessi nel mercato miliardi di prodotti, che in breve tempo finiscono in disuso, la possibilità di trovare articoli di seconda mano in perfette condizioni e caratterizzati da prezzi particolarmente convenienti è decisamente alta. In questo senso la cultura dell’usato rappresenta un importante antidoto a questo sistema economico che produce inquinamento e devasta l’ambiente per smaltire queste immense quantità di merci prodotte. Allungare la vita dei beni, attraverso l’incentivazione di strategie del “riutilizzo” è pertanto una delle risposte più efficaci e concrete all’emergenza ambientale della nostra epoca, perché trasforma un potenziale problema in una grande opportunità.

Al fine di dare supporto, dignità e status giuridico a un comparto che cresce ancora troppo lentamente, lo scorso 16 giugno presso la sala conferenze della Città dell'Altra Economia di Roma è stata presentata ufficialmente la Rete Nazionale degli operatori dell’usato (Rete Onu): la prima organizzazione degli operatori dell’usato dei mercati storici e delle pulci, della strada e delle fiere.

La rete, di cui fanno parte già circa 3.000 addetti, è promossa da associazioni e realtà già radicate sui territori di riferimento, come Associazione Bidonville con sede a Napoli, che ha organizzato le ventotto edizioni de “La Fiera del Baratto e dell’Usato”, l’Associazione Operatori del Mercato di Porta Portese, nata nella seconda metà degli anni '90 allo scopo di tutelare gli operatori del mercato storico di Roma, l’Associazione Vivibalon di Torino, l’Occhio del Riciclone, creata con l’obiettivo di promuovere il riutilizzo e di individuare una soluzione all’emergenza rifiuti a partire dal punto di vista dell’economia popolare, e la Rete di Sostegno ai Mercatini Rom, che da circa dieci anni opera con difficoltà sempre crescenti aiutando le famiglie rom del territorio romano a costruire un futuro dignitoso attraverso un lavoro legale di raccolta e vendita dell’usato.

Nel corso della conferenza è stato presentato alla stampa un manifesto che sintetizza le proposte della rete attorno a cinque tematiche fondamentali: ambiente, fiscalità, commercio, sociale/lavoro, cultura e che si pone come proposta concreta di dialogo con le Pubbliche Amministrazioni e i soggetti sociali ed economici interessati.

ambiente rifiuti riuso
“L’impatto disastroso sull’ambiente di politiche basate principalmente sullo smaltimento in discarica mette in evidenza il grande effetto positivo nella diminuzione degli oggetti da smaltire"
“L’impatto disastroso sull’ambiente di politiche basate principalmente sullo smaltimento in discarica mette in evidenza il grande effetto positivo nella diminuzione degli oggetti da smaltire - commenta Gianfranco Bongiovanni dell’Occhio del Riciclone - se gli operatori dell’usato avessero accesso ai rifiuti ingombranti che i cittadini portano ai Centri di raccolta urbani, ovvero le strutture pubbliche gratuite e attrezzate nella raccolta e avvio al recupero di rifiuti”. Ciò comporterebbe anche un abbattimento dei costi per la raccolta differenziata grazie all’autosufficienza economica delle isole ecologiche. “È pertanto impellente l’esigenza di dare vita a un ‘Consorzio Nazionale del Riuso’ che possa garantire la gestione di tutta la frazione riusabile nelle filiere del riutilizzo - prosegue Bongiovanni - che permetta l’acquisto a prezzi sostenibili di merci riusabili all’ingrosso da immettere nel sistema della vendita dell’usato. A questo proposito ci muoveremo premendo su tutte le istituzioni di riferimento nel settore del commercio, dell’ambiente e delle politiche sociali per la creazione di un’entità analoga al Conai che opera per il riutilizzo dei materiali di imballaggio, che oltre ad attenuare il problema dello smaltimento dei rifiuti porterebbe nuova occupazione”.

Nel caso di materiali non utilizzabili per la vendita, la rete chiede che anche gli scarti delle isole ecologiche possano trovare nuova linfa, divenendo materiali per la realizzazione di opere artistiche.

La questione fiscale è uno dei temi più impellenti come ricorda Augusto Lacala, presidente di Bidonville: “Nonostante la priorità espressa nella legislazione nazionale ed europea nel riutilizzo delle merci, manca in Italia una legge che regoli il settore dell’usato, che a tutt’oggi è omologato a quello del nuovo. Un insieme di regole che cambiano da regione a regione o addirittura da comune a comune, e che non tengono in considerazione le peculiarità di questo specifico comparto soprattutto per quanto riguarda il regime fiscale e di tracciabilità dei prodotti. Anche se obbligatorio, è impossibile la registrazione dei carichi e degli scarichi perché l’approvvigionamento dell’usato non avviene in serie. Una zona grigia che inibisce seriamente l’attività sia dei professionisti sia degli hobbisti, i quali sono esposti al sospetto di ricettazione e all’arbitrio delle forze dell’ordine, che porta in molti casi alla chiusura dei mercati, specialmente quando i venditori sono di etnia rom”.

Occorre, dunque, che sia creata una normativa specifica che si adatti alle dinamiche di questo comparto. Nel documento sono proposte una serie di modifiche alla legislazione vigente, come l’esenzione totale dall’Imposta sul Valore Aggiunto (IVA), la dispensa generalizzata dagli obblighi di tracciabilità delle merci per tutte le frazioni di valore medio-basso (mentre nel caso delle merci vendute a un prezzo superiore ai 500 euro c'è l’obbligo di fornire un documento di vendita che non specifichi il prezzo ma solo il numero di carta di identità e la firma del cessionario), l’applicazione del principio di responsabilità soggettiva dell’operatore, il quale, su richiesta, dovrà indicare ai pubblici ufficiali l’origine delle merci con prezzo superiore ai 500 euro ed essere giudicato come unico responsabile nei casi in cui sia accertata la ricettazione della merce, e senza ripercussioni o rappresaglie nei confronti della manifestazione o del mercato dove l’operatore abbia esposto le merci.

Un disciplinamento necessario che andrebbe a regolare situazioni di illegalità e di abusivismo che caratterizzano ad esempio il popolare mercato domenicale di Porta Portese a Roma, sempre di più una piazza per ricettatori. “Il sindaco Veltroni, nel suo ultimo mandato, aveva mostrato con decisione la volontà di affrontare queste problematiche per restituire alla città un luogo di incontro famoso in tutto il mondo, meta di migliaia di romani e turisti. Grazie a un controllo a tappeto fatto dai vigili urbani nell’autunno del 2007 sulle licenze e sulla provenienza delle merci, è stato intrapreso un processo di regolamentazione che ha portato ad arresti e denunce, soprattutto per la vendita di prodotti contraffatti.

venditori ambulanti
Circa 700 ambulanti su 1000 operatori che frequentano Porta Portese sono ambulanti irregolari
Tra gli obiettivi dell’operazione del Campidoglio, che ha permesso di stimare la presenza di circa 700 ambulanti irregolari sui circa 1000 operatori che frequentano abitualmente Porta Portese, anche la ricollocazione degli spazi a tutela dei venditori che hanno realmente diritto e la concessione di nuove licenze per chi fosse frequentatore abituale da 30-40 anni. Attualmente questo processo è stato bloccato. Abbiamo più volte espresso con forza questa esigenza alla nuova amministrazione ma ci è stato risposto dall’Assessore alle Attività Produttive, Davide Bordoni, che il ritorno alla legalità nello storico mercato romano non è tra le priorità della giunta Alemanno” denuncia Antonio Conti dell’Associazione Operatori del mercato di Porta Portese.

Nonostante il settore dell’usato produca evidenti benefici ambientali, sociali, economici e culturali, la sua espansione appare frenata su tutto il territorio nazionale da un sistema di licenze dove vige un numero chiuso di fatto, dovuto alla subordinazione delle licenze alla concessione di uno spazio pubblico. C’è l’esigenza di affrontare tutte le questioni legate al commercio, perché agli ambulanti dell’usato deve essere riconosciuto un trattamento diverso rispetto a quelli del nuovo e dell’alimentare.

La rete perciò suggerisce l’abolizione dell’attuale sistema delle licenze per gli operatori ambulanti dell’usato con un’apposita modifica al D.Lgs. 31.3.1998 n. 114 (Decreto Bersani) che permetta di essere in regola semplicemente presentando una Dichiarazione di Inizio Attività (D.I.A.) al pari dei commercianti su sede fissa. Questo stimolerebbe un comparto che ha bisogno anche di nuovi spazi preposti e di una gestione diversa del sistema di turn over, che possa vitalizzare i mercati degli hobbisti e dei venditori dell’usato incentivandone lo sviluppo nel quadro di una politica di valorizzazione degli stessi a “fini ecologici” e occupazionali.

“Il settore dell’usato rappresenta un’occasione per chi non è in possesso di capitali da investire e vuole avviare una piccola attività in modo onesto. Dobbiamo dare dignità a una figura che non gode di uno status realmente riconosciuto, e che è conseguentemente priva di garanzie e diritti” spiega Augusto Lacala.

I mercatini dell’usato, da sempre luogo d’incontro tra etnie diverse, rappresentano, infatti, una concreta possibilità di inclusione sociale, un’opportunità di impiego semplice per categorie emarginate economicamente, che hanno difficoltà a entrare nel mercato del lavoro o che vogliono uscire da situazioni di devianza, come migranti, rom, ultracinquantenni disoccupati, anziani con pensione insufficiente e invalidi.

Per questo, nel documento, relativamente alla sezione “Sociale e del Lavoro”, si chiede il riconoscimento dell’utilità sociale dell’attività di organizzazione dei mercatini dell’usato attraverso l’introduzione del comparto nelle Politiche Sociali, del Lavoro e della Formazione Professionale e la loro assimilazione al concetto di “educazione ambientale”, che essendo parte delle attività istituzionali delle ONLUS ha regime IVA speciale.

merce   riuso
Un valore sociale ma anche culturale, quello della vendita di merci usate, che è espressione di un fenomeno antico, che appartiene da secoli alla storia e alle tradizioni delle nostre città
Un valore sociale ma anche culturale, quello della vendita di merci usate, che è espressione di un fenomeno antico, che appartiene da secoli alla storia e alle tradizioni delle nostre città, che deve essere sostenuto e incoraggiato per il suo forte impatto simbolico. I mercati popolari delle città italiane dovrebbero pertanto essere riconosciuti - come dichiarato nel manifesto - dal Ministero della Cultura come parte integrante del Patrimonio Culturale italiano e dovrebbero quindi godere dello stanziamento di fondi pubblici per la promozione territoriale, della visibilità nelle televisioni nazionali all’interno di programmi culturali e educativi.

Inoltre la salvaguardia dei tratti identitari storici non deve causare fossilizzazione ma piuttosto incentivare la difesa dall’invasione del dozzinale, dalle minacce di sgombero, dagli arbitri polizieschi e da tutte le dinamiche che incoraggiano l’espulsione dai mercati degli operatori storici.

Tutte proposte concrete ed efficaci che testimoniano il grande dispendio di energie e il lavoro svolto da parte di tutte le realtà partecipanti all’Onu, nel realizzare un documento che possa essere un punto di partenza forte in vista degli “stati generali dell’usato” che si terranno probabilmente a Roma il prossimo 10 novembre per la riorganizzazione di tutto il settore.

di Lucia Cuffaro

Economia moderna : Quanto è antica!

L'economia moderna sposta i capitali, quella dei secoli passati spostava gli schiavi. Cambiando nel tempo l'ordine degli schiavi e del capitale, il processo non cambia: la concentrazione del capitale aumenta con l'aumentare degli schiavi. "Oltre nove milioni di schiavi furono deportati attraverso l'Atlantico fra il 1451 e il 1870. Un altro milione, se non di più, non sopravvisse alla traversata, mentre un numero incalcolabile morì nel viaggio tra il luogo di cattura e quello dell'imbarco. La passione europea per lo zucchero fu il principale incentivo per la tratta" (*). Gli schiavi coltivavano le piantagioni da canna da zucchero esportato in Europa.
Oggi il capitale cerca gli schiavi a buon mercato, la mano d'opera a più basso costo, nei luoghi del mondo in cui le garanzie sociali sono inesistenti e la 626 è un prefisso telefonico. L'economia globale trasforma le Nazioni attraverso una metamorfosi. Il cittadino-produttore di Stati come l'Italia, la Spagna o il Canada diventa cittadino-consumatore. Il capitale va dove lo porta il profitto. Le fabbriche si spostano dove esiste il cittadino-produttore-con-meno-diritti, se si ha fortuna dove sopravvive il cittadino-schiavo-senza-diritti. Il cittadino-consumatore diventa quindi disoccupato, cassintegrato, precario, accusato di non voler lavorare a stipendi da schiavo e senza diritti. Se sciopera, cosa inaudita (e anche inutile) nell'era della globalizzazione mondiale, è accusato di voler seguire i Mondiali di calcio. Senza che se accorga, il cittadino-consumatore diventa cittadino-schiavo. Se vuole mantenere un'occupazione le leggi del capitale sono chiare, deve competere con gli altri schiavi. Se rinuncia a ogni diritto, alla pensione, al tfr, alla sicurezza, si può fare.
E' l'apoteosi del capitale che pareggia il mondo verso la schiavitù globale. La sfrutta dove già esiste e la crea dove non c'è ancora. Chi detiene il capitale diventa sempre più ricco, gli sfruttati globali sempre più poveri. Il capitale si è evoluto, si è affrancato dagli Stati, spesso si è fatto Stato, corrompe gli Stati, elegge i suoi politici-manager. Lo Stato moderno è fondato sul capitale e sviluppa la schiavitù con qualche cucchiaino di zucchero.

(*) dal libro "Africa" di John Reader

18 giugno 2010

Psichiatri israeliani e, i loro suicidi.

Moshe Yatom, un eminente psichiatra israeliano che riesca a guarire le forme più estreme di malattia mentale in tutto una brillante carriera, è stato trovato morto nella sua casa di Tel Aviv ieri da un colpo di pistola apparente ferita auto-inflitta. Una nota di suicidio al suo fianco ha spiegato che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che è stato il suo paziente per gli ultimi nove anni, ha "succhiato la vita fuori di me."

"Io non ne posso più", ha scritto Yatom. "Rapina è la redenzione, l'apartheid è la libertà, attivisti per la pace sono terroristi, l'omicidio è auto-difesa, la pirateria è la legalità, i palestinesi sono giordani, annessione è la liberazione, non c'è fine alle sue contraddizioni. Freud ha promesso razionalità avrebbe regnato nelle passioni istintuali, ma non ha mai incontrato Bibi Netanyahu. Questo tizio diceva Gandhi inventato tirapugni ".

Gli psichiatri hanno familiarità con la tendenza umana a massaggiare la verità per evitare di confrontarsi con materiale emotivamente inquietante, ma Yatom era apparentemente stordito a quella che lui chiamava la "cascata di bugie" che sgorga dalla sua paziente più illustre. I suoi dati personali diario la disintegrazione costante della sua personalità, una volta invincibile sotto il fuoco di fila di razionalizzazioni self-serving avanzata da Netanyahu.

"Sono completamente scioccato", ha detto Yossi Bechor prossimo, la cui famiglia regolarmente viaggiato con la famiglia di Yatom. "Moshe era l'epitome della personalità completamente integrato e aveva guarito decine di schizofrenici, prima dell'inizio dei lavori di Bibi. Non vi era alcuna indicazione esterna che il suo caso era diverso dagli altri. "

Ma è stato. Yatom divenne sempre più depresso a sua totale mancanza di progressi ad ottenere il Primo Ministro a riconoscere la realtà, e lui alla fine ha subito una serie di colpi nel tentativo di cogliere il pensiero di Netanyahu, che ha caratterizzato in un diario come "un buco nero di auto-contraddizione . "

Il primo dei colpi Yatom avvenne quando Netanyahu ha offerto la sua opinione che la 911 gli attacchi su Washington e New York "erano buoni." Il secondo ha seguito una sessione in cui Netanyahu ha ribadito che l'Iran e la Germania nazista erano identici. E il terzo si è verificato dopo il Primo ministro ha dichiarato programma nucleare dell'Iran è stata una "camera a gas di volo", e che tutti gli ebrei ovunque "residenza fissa in Auschwitz". Yatom gli sforzi per calmare l'isteria di Netanyahu sono state estremamente tassare emotivamente e regolarmente conclusa con un fallimento. "L'alibi è sempre lo stesso con lui", si lamentava un altro diario. "Gli ebrei sono sul punto di annientamento per mano dei goyim razzista e l'unico modo per salvare la giornata è di effettuare una strage finale".

Yatom era apparentemente di lavoro sulla conversione di suo diario in un libro sul caso Netanyahu. Molti capitoli di un manoscritto incompiuto, dal titolo "Psychotic on steroids", sono stati trovati nel suo studio. Il brano offre di sotto di un raro sguardo al funzionamento interno di una mente del Primo Ministro, al tempo stesso rivela la scoraggiante sfida Yatom affrontare nel cercare di guidarla alla razionalità:


Lunedi, March 8

"Bibi è venuto da tre per la sua sessione del pomeriggio. Alle quattro ha rifiutato di andarsene e ha sostenuto la mia casa era in realtà il suo. Poi mi ha bloccato nella notte scantinato mentre lui generosamente ospitato al piano di sopra i suoi amici. Quando ho tentato di scappare, lui mi ha chiamato un terrorista e mi ha messo in manette. Ho pregato per la misericordia, ma ha detto che riuscivano a malapena a concedere a qualcuno che non esisteva nemmeno. "


----- Michael K. Smith è l'autore di "Portraits of Empire" e "La pazzia di Re Giorgio", dal Common Courage Press. Può essere raggiunto a proheresy@yahoo.com

Erdogan: mai stato uno "Yes man"




Nella sua autobiografia "In cerca di un'identità" Anwar Sadat ricorda che, quando era un bambino povero di un villagio sperduto, era solito recarsi nella Cairo cosmopolita e si intrufolava nei giardini reali nelle ore notturne, con il solo risultato di essere percosso dalle guardie del Re. Non avrebbe mai immaginato che un giorno avrebbe varcato le porte di quel palazzo per incontrare il re Farouk I in veste di ufficiale dell'esercito egiziano. Non avrebbe mai immaginato, nemmeno nelle sue più sfrenate fantasie, che un giorno avrebbe oltrepassato quelle stesse porte per sedersi proprio sul trono regale, in seguito alla sua elezione presidenziale del 1970.

Il gioco del fato è invero strano, come lo statista britannico Winston Churchill ebbe una volta a descriverlo: "E' un errore guardare troppo innanzi. Si può solo considerare un anello della catena del destino alla volta".

Nel corso dell'ultima settimana, i media dei paesi arabi e musulmani hanno sviscerato in lungo e in largo gli anni della gioventù del primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan. Quando era un giovane venditore ambulante di torte, meloni e limonate nelle strade di Istanbul durante le vacanze estive, non avrebbe mai immaginato che un giorno sarebbe diventato premier.

Crescendo negli anni '60, non avrebbe mai immaginato che sarebbe assurto a leader pan-musulmano, risvegliando simpatie filo-turche che erano state sopite dalla caduta dell'Impero Ottomano, ormai novantadue anni fa.

La famosa televisione saudita Al-Arabiya sostiene in una recente biografia pubblicata sul proprio sito che: "Nella storia recente, solo Erdogan e la diva egiziana Um Kalthoum (morta trentacinque anni fa) sono stati in grado di conquistare le menti e i cuori degli arabi e dei musulmani". Se questo parallelo fosse stato tracciato dieci anni fa, il nome accostato a Um Kalthoum sarebbe stato quello dell'ex presidente egiziano Gamal Abdul Nasser, il "padrino" del mondo arabo moderno. Un uomo di nazionalità turca, con istanze islamiche e che non parla una parola di arabo sarebbe stato decisamente lontano dall'essere all'altezza.

A gennaio, come riconoscimento di quanto stesse diventando popolare, la Saudi King Faisal Foundation lo ha onorato del King Faisal International Prize per il "servigio all'Islam". Ad aprile, la rivista Time lo ha collocato, per la seconda volta, tra le cento persone più influenti al mondo. Prestando attenzione all'intera carriera di Erdogan, risulta evidente che abbia lavorato duramente, ma è probabile che abbia guadagnato la sua popolarità nel mondo arabo e musulmano in modo fortuito.

Il primo marzo 2003, due settimane prima che Erdogan si insediasse come primo ministro, Ankara, guidata dal suo partito AKP, pose il veto su una proposta che autorizzava gli USA ad utilizzare il territorio turco per aprire da nord un secondo fronte con l'Iraq, per rovesciare Saddam Hussein. Questo gli permise di iniziare a conquistare consensi tra arabi e musulmani in genere. Due anni dopo, nel marzo del 2005, l'allora segretario della Difesa statunitense Donald Rumsfeld affidò un amaro sfogo alla Fox News: "Ovviamente se avessimo potuto far entrare la 4 divisione di fanteria da nord, attraverso la Turchia, saremmo riusciti a neutralizzare e catturare parti più consistenti del regime Ba'athista di Saddam Hussein. Se la Turchia avesse cooperato maggiormente, la resistenza (in Iraq) oggi sarebbe minore".

La frustrazione di Rumsfeld, al di là delle sue intenzioni, contribuì ad appuntare al petto di Erdogan un'altra medaglia d'onore agli occhi di milioni di arabi. Lo stesso anno, Erdogan, rifiutò di accettare i diktat statunitensi, rafforzando le relazioni con la Siria in un periodo in cui i rapporti con Damasco e l'amministrazione Bush si stavano inacidendo, e divenne un ospite fisso nella capitale siriana.

Erdogan disobbedì nuovamente agli Stati Uniti ricevendo Khalid Meshaal, il capo dell'ufficio politico di Hamas, dopo che il movimento palestinese emerse vittorioso dalle elezioni del 2005. Inoltre rifiutò un invito da parte dell'ex primo ministro Ariel Sharon a visitare Israele, attirandosi nuovamente le ire americane, e non incontrò Ehud Olmert quando costui visitò la Turchia nel luglio 2004 in qualità di ministro del Lavoro e del Turismo.

Erdogan prese posizione per i palestinesi durante la guerra di Gaza del 2008, accusando Israele di commettere crimini di guerra. Rivolgendosi a Shimon Peres nel corso del Forum Economico Mondiale di Davos a gennaio 2009 disse al presidente israeliano: "Presidente Peres, lei è vecchio e nella sua voce echeggia una coscienza sporca. Quando si tratta di uccidere, lei sa benissimo come uccidere. So fin troppo bene come voi colpite e uccidete bambini lungo le spiagge". Questa singola frase lo proiettò di colpo nell'olimpo della fama nel mondo arabo e musulmano, e nelle maggiori capitali dei paesi arabi iniziarono a spuntare sue foto. Ma la sua sfuriata in Svizzera è nulla in confronto alle parole rabbiose della settimana scorsa, dopo che l'esercito israeliano (IDF) ha attaccato la Freedom Flotilla al largo delle coste di Gaza, uccidendo nove cittadini turchi a bordo della nave turca Mavi Marmara.

Il mondo arabo è insorto in difesa del primo ministro turco, che ha ritirato con acrimonia il proprio ambasciatore in Israele, facendo sì che la propria bandiera fosse sventolata dai manifestanti delle imponenti proteste che hanno attraversato le vie di Damasco, Baghdad, Beirut e Il Cairo.

"L'amicizia della Turchia è forte, ma che tutti sappiano che anche la nostra ostilità è forte". Ha detto Erdogan di fronte al parlamento turco. "La comunità internazionale deve dire a Israele che la misura è colma! La traversata della Freedom Flottilla è legale; l'aggressione di Israele contro la flottiglia è un'aggressione all'ONU. Israele deve pagare il prezzo per quanto compiuto...Israele non può sciacquarsi le mani del crimine che ha perpetrato nel Mediterraneo. Un paese che sfida la rabbia del mondo intero non potrà mai conquistare la propria sicurezza; Israele sta disperdendo ad uno ad uno i tasselli della pace". Ha poi aggiunto: "Israele non dovrebbe guardare nessuno al mondo prima di aver chiesto scusa ed essere stato punito per i suoi crimini. Ne abbiamo abbastanza delle menzogne di Israele. Le azioni del governo israeliano danneggiano il loro stesso paese prima degli altri".

Dopodichè gli arabi lo hanno festeggiato quasi attoniti quando ha fatto trapelare che potrebbe imbarcarsi in prima persona alla volta di Gaza, per forzare l'assedio isrealiano che perdura dal 2007. Lo farebbe facendosi scortare dalla marina turca, cosicchè l'IDF si ritroverebbe impotente mentre lui si dirige verso la striscia di Gaza.

Erdogan è nel suo momento di maggior successo nel mondo arabo e in quello musulmano, grazie a parole decise accompagnate ad azioni altrettanto decise. All'inizio dell'anno, ha obbligato il governo israeliano a scusarsi per aver umiliato l'ambasciatore turco in Israele, inducendo i media arabi ad esclamare: "Israele capisce solo il Turco".

Il mese passato ha dato il via ad un accordo sullo scambio di uranio con Brasile e Iran, il quale, se fosse stato immediatamente accettato dalla comunità internazionale, avrebbe risparmiato all'Iran il fardello di un quarto round di sanzioni che stanno per essere discusse all'ONU mercoledì prossimo. Sotto l'egida del ministro degli esteri Ahmet Davutoglu, la Turchia ha dismesso la sua immagine risalente alla guerra fredda di mera appendice occidentale, rivendicando allo stesso tempo il proprio desiderio di essere un membro a tutti gli effetti dell'Unione Europea entro il 2014. Se entrasse, l'UE confinerebbe con l'Iran e assisterebbe ad un incremento a sei zeri della propria popolazione musulmana. Mirando a "Non aver alcun problema con i vicini" Ankara ha messo in atto accordi di libera circolazione senza visti con Libano, Giordania, Libia e Siria mentre sta per aver effetto quello stipulato con la Russia. Come ha notato Al-Arabiya: "Da un giorno agll'altro egli (Erdogan) è diventato la persona più amata nel mondo arabo mentre Iran, USA e i paesi europei si sforzavano di ottenere quello che lui ha conquistato in un lampo".

Forse sono state l'eloquenza e la forte opposizione a Israele che hanno portato Erdogan nell'empireo del mondo arabo. O forse è stata la sua devozione, dato che è un devoto musulmano la cui moglie indossa un foulard intorno alla testa, come milioni di donne musulmane in tutto il mondo. Negli anni '90, fu estromesso dagli uffici governativi per aver recitato pubblicamente una poesia che sfidava il riverito secolarismo turco con queste parole: "Le moschee sono le nostre caserme, le cupole i nostri elmetti, i minareti le nostre baionette e i fedeli i nostri soldati"

O magari si tratta del suo umile retroterra, figlio di un guardacoste, ha avuto un'educazione dura poichè la sua famiglia era povera, Erdogan eccelleva alla scuola islamica prima di ottenere una laurea in Amministrazione all'Università di Marmara, mentre giocava a calcio a livello professionistico. La sua scalata non è stata scorrevole, nel 1978 e nel 1991, non è riuscito ad essere eletto in parlamento con una coalizione islamica. La vera ragione ad ogni modo è che ha detto "No" a Israele e si è schierato con convinzione con i palestinesi. Questa è una sorta di panacea in Medio Oriente, che non ha mai fallito sin dalla nascita di Israele nel 1948.

Ha fatto meraviglie per le carriere dell'egiziano Nasser, il siriano Hafez al-Assad e l'ex presidente Yasser Arafat. E' anche la ragione del perchè Hassan Nasrallah di Hezbollah è così popolare nelle strade dei paesi arabi e musulmani, e perché leader arabi che hanno negoziato accordi di pace con Israele come il presidente egiziano Hosni Mubarak non lo sono.

Chiunque sappia quanto è stata invisa la Turchia nel mondo arabo durante tutto il ventesimo secolo, grazie al sistematico indottrinamento contro l'Impero Ottomano e con l'alleanza della stessa Turchia con Israele dopo il '48, può comprendere quanto siano stati significativi i traguardi raggiunti da Erdogan negli ultimi sette anni.

Ha dato nuovo lustro alla Turchia, all'intera eredità ottomana, e ha plasmato un nuovo tipo di leadership che combina tratti di Nasser, Nasrallah e Assad. Questo è il motivo per il quale vale la pena osservare il fenomeno Erdogan mentre si sviluppa la sua carriera e acquisisce il carisma, lo stile e l'indole del talentuoso e polivalente leader che è già diventato.

Titolo originale: "Turkey's Erdogan: Never a 'yes' man"