30 aprile 2010

E gli economisti sbagliano ancora




Gli economisti? Bravissimi. Dopo. Prima, molto meno. Sbagliano, eccome se sbagliano. Ieri, tantissimo. Oggi, altrettanto.
È come se venisse proiettato lo stesso film, cambiano i Paesi e le situazioni: Wall Street nel 1987, l’Asia dieci anni dopo, i mutui subprime nel 2008, ora la Grecia e con ogni probabilità, Spagna e Portogallo. Ma il finale è sempre lo stesso. Gli economisti elaborano tabelle, scenari, si consultano, producendo previsioni basate sul cosiddetto «consenso di mercato». Ma alla fine fanno cilecca.
E tu, risparmiatore, soffri. Vai in banca, chiedi spiegazioni al tuo gestore, lui si difende e allargando le braccia ricorda che non è l’unico a sbagliare, perché tutti hanno fatto le stesse scelte, seguendo gli stessi orientamenti suggeriti dai nomi, dai grandi nomi, che fanno tendenza. Ma l’ha detto Tizio... ma l’ha detto Caio... Chi poteva prevederlo... E il bello è che ha persino ragione.
D’accordo, l’economia non è una scienza esatta e la storia dimostra che tutti i grandi teorici del passato quando sono passati dalla teoria alla pratica si sono rivelati dei pessimi investitori, inclusi Einaudi e diversi premi Nobel, con le sole eccezioni di Ricardo e, in parte, di Keynes. Ovvero: non affidare i tuoi soldi a un professorone. Quasi certamente non ne farà buon uso. E infatti nessun premio Nobel è diventato miliardario.
Ma da loro, così come dai grandi esperti di finanza, ti aspetteresti un grado di attendibilità più elevato. E un po’ più di coraggio. Hanno diritto a delle attenuanti, d’accordo. I mercati di oggi sono molto complessi, la speculazione possiede una potenza di condizionamento che non ha precedenti nella storia e questo favorisce movimenti bruschi e repentini. Ma perché gli economisti sbagliano sempre tutti assieme?
Non tutti, a onor del vero. Ogni crisi ha il suo eroe, qualche analista o gestore che, andando controcorrente, è riuscito a vedere quel che gli altri nemmeno consideravano. Roubini, ad esempio, nel 2007 veniva deriso dai colleghi; eppure è stato uno dei pochissimi ad aver annunciato la crisi dei subprime. Anche oggi qualche voce libera si è alzata per tempo, pronosticando la bufera in Europa, come quella dello svizzero Hummler.
Ma alla fine nulla cambia. Passata la crisi torna tutto come prima. E la maggior parte degli economisti riprende a muoversi in gregge. Perché? Sono modesti? In teoria è possibile, ma in realtà improbabile; da qualche anno le facoltà di economia e finanza drenano alcune delle menti più brillanti, attratte da stipendi stratosferici. Qualcuno li considera alla stregua di meteorologi o di cartomanti. Ne ha il diritto. Ma non serve a capire come va il mondo.
Perché questo è il punto. Com’è possibile che in una società liberale come la nostra prevalga, tra gli economisti, il pensiero unico? Perché sono così facilmente condizionabili? Domande a cui è difficile rispondere, ma che vanno analizzate in un contesto più ampio. Quello a cui assistiamo non è il semplice fallimento degli economisti in genere, ma di un sistema, che pur scosso da crisi incredibili è ancora incapace di correggere le sue storture.
Prendiamo le agenzie di rating, che danno i voti a chi emette titoli di Stato e obbligazioni. Sono finanziate dalle società che poi sono chiamate a giudicare, hanno commesso errori colossali, mantenendo doppie e «triple A» a compagnie come Enron e Lehman Brothers fino al giorno del fallimento, l’anno scorso sono emersi intrecci finanziari sconcertanti, connivenze eclatanti. Venivano giudicate inattendibili e manipolabili. È passato un anno e mezzo dalla crisi dei subprime. E nulla è cambiato. Avevano promesso riforme, non ci sono state. Moody’s e Standard & Poor’s non hanno più credibilità. Dovrebbero essere ignorate. Eppure continuano a condizionare i mercati. Le bufere sulla Grecia e negli ultimi giorni su Portogallo e Spagna si sono alzate quando loro hanno abbassato i rating. Manco fosse un giudizio divino.
Quella degli economisti, oracoli bislacchi, non è l’unica anomalia di questa strana epoca.
di Marcello Foa

29 aprile 2010

I numeri delle bugie


.Ogni volta che parlo di uscita dall' Euro, arrivano i soliti a dire che uscendone ci sarebbe una difficolta' nel comprare materie prime quotate in dollari. Questa e' un'altra bugia che viene sempre dal terzetto Prodi, Amato, Ciampi, ovvero quella secondo la quale l'euro sarebbe stato una moneta piu' forte della lira. Mantenere questa apparenza e' facile per la cifra alta 1936,27 . Ma nessuno si pone il problema: con un euro possiamo comprare di piu' o di meno che con 1936,27 lire?
Andiamo a vedere che cosa successe, numeri alla mano.

Ad un certo punto, dopo aver praticato una svalutazione, la lira rientra nello SME. Da quel momento in poi, inizia quello che in pratica sarebbe diventato il cambio dollaro/euro. Da quel momento, il cambio Lira/Dollaro NON FA CHE PEGGIORARE.
1986 (31 dic. minimo1351) 1490
1987 (31 dic. minimo 1169) 1296
1988 (media dell'anno) 1301
1989 (media dell'anno) 1372
1990 (shock Iraq-Kuwait)) 1198
1991 (media dell'anno) 1240
1992 (media dell'anno) 1228
1993 (media dell'anno) 1571
1994 (media dell'anno) 1611
1995 (media dell'anno) 1629
1996 (Italia rientro SME) 1533
1997 (media dell'anno) 1702
1998 (media dell'anno) 1736
1999 (media dell'anno) 1840
2000 (media dell'anno) 2100
2001 (media dell'anno) 2196

Allora, adesso vorrei sapere dai signori farlocchi che continuano a straparlare di zona euro come zona "forte", in che modo ci si sarebbe guadagnato sui cambi internazionali e sugli acquisti.
Quello che IO vedo da questi numeri e' che rientrando nello SME la lira ha perso il 30% e rotti del proprio potere di acquisto sulle materie prime, come petrolio ed altro, ovvero tutto cio' che viene pagato in DOLLARI.
Questa e' la prima bugia del terzetto Prodi, Amato, Ciampi: l'eurozona, tramite la sua presunta "forza" , ci avvantaggerebbe nell'acquisto di beni in dollari. PALLE. Pur mantenendo le condizioni dello SME, la lira ha PERSO rispetto al dollaro.
Se qualcuno cioe' si illude che usando l'euro possiate comprare piu' petrolio o piu' cose quotate in dollari, vi sbagliate di brutto. Usando un euro, comprate MENO petrolio di quello che prima compravate con 1936,27 lire.
Adesso facciamo il punto della situazione: quando l' Italia entra nello sme, con 1500 lire si compra un dollaro. Quando l'euro viene distribuito a banche e poste, vale tra gli 0.8 e gli 0.9, cioe' tra le 2300 e le 2400 lire. Mi dite ancora che ci abbiamo guadagnato?
Ovviamente i farlocchi verranno a dirci che in questo hanno pesato le politiche di svalutazione e valutazione americane. Il che e' FALSO.
La politica del "dollaro forte" inizia, da parte degli USA, il 13 marzo del 1979, e finisce nel settembre 1985, con gli accordi del Plaza. Da quel momento, il dollaro si e' SEMPRE deprezzato. SEMPRE. O meglio, ha sempre perso potere d'acquisto rispetto al petrolio.
L'unica area verso la quale si e' apprezzato e' quella dell'euro.
Ma attenzione, perche' adesso i farlocchi vi diranno che "ma dopo il 2001, l'euro ha superato il dollaro".

Palle. E' il dollaro che si e' deprezzato, causando aumenti mostruosi ovunque.Con un euro , oggi, comprate MOLTO MENO petrolio di quello che , prima di entrarci, compravamo in lire.
Tuttavia, mi dicono, l'euro ha superato il dollaro. Non esattamente: e' crollato il dollaro.
A voler essere precisi, il sorpasso dell'euro sul dollaro inizia esattamente il sei dicembre 2002, quando va a 1,0119 dopo le dimissioni del segretario al Tesoro Paul O'Neill e del consigliere economico della Casa Bianca Lawrence Lindsey.
Da quel momento, il valore del dollaro in termini di potere d'acquisto finisce sotto i tacchi. Il fatto che l'euro da quel momento cresca modestamente sul dollaro NON cambia di una virgola il fatto che il petrolio sia piu' che triplicato rispetto al dollaro.

Morale della storia: che piaccia o no ai farlocchi, se parliamo di mercato in dollari, l'euro e' piu' DEBOLE della lira, nella misura in cui con 1936 lire si comprava piu' petrolio che con un euro, ad un solo anno dall'entrata in vigore del trattato euro.

Il trattato dell'euro va in vigore il primo gennaio 1999. Il dollaro vale 1800 lire. Con 1936 lire si compra un 1.07 dollari di petrolio. L'euro inizia ad essere distribuito il 1 settembre 2001. Quando questo avviene, con 1936 lire comprate petrolio per 0.8 dollari. Ci abbiamo guadagnato nelle importazioni? Non si direbbe.
Dopodiche', la situazione e' SOLO peggiorata, perche' l'aumento dell'euro sul dollaro ha corrisposto un crollo del dollaro sul petrolio.

Andiamo a vedere l'andamento del rapporto lira-euro, considerando il cambio fisso a 1936,27:
2002 (media dell'anno) 1950
2003 (media dell'anno) 1611
2004 (media dell'anno) 1456
2005 (media dell'anno) 1648
2006 (media dell'anno) 1481
2007 (media dell'anno) 1318


Direte voi: bellissimo: allora adesso siamo forti sul dollaro. Davvero? Non e' esatto. Dopo gli accordi del Plaza, il dollaro si e' deprezzato enormemente, ma non allo stesso modo verso tutti. Ecco un grafico riassuntivo (grazie al blog di petrolio):

Adesso ditemi: il cambio petrolio/dollaro e' variato come il cambio dollaro/euro?

Nel 2002 siamo a 1950 lire al dollaro. Il dollaro scende tra i 20 e i 30 per barile/barile.
Nel 2003 siamo a 1600 lire al dollaro. Il dollaro scende da i 30 a 38 dollari/barile. In pratica, cambia nulla.
Nel 2004 siamo a 1456 lire al dollaro. Il dollaro scende da 30 a 50 dollari/barile.L'euro e' DEBOLE.
Nel 2005 siamo a 1648 lire al dollaro. Il dollaro scende da 40 a 60 dollari/barile.L'euro e' DEBOLE.
Nel 2006 siamo a 1481 lire al dollaro. Il dollaro scende da 60 a 80 dollari/barile.L'euro e' DEBOLE.

Per poter affermare che l'euro ci avvantaggi nell'acquisto di petrolio, le cose avrebbero dovuto andare in maniera MOLTO diversa.

Nel 2002, per avere questo vantaggio avremmo dovuto essere ad 1,5 dollari per euro.
Nel 2003, per avere questo vantaggio avremmo dovuto essere ad 1,8 dollari per euro.
Nel 2004, per avere questo vantaggio avremmo dovuto essere a 2.5 dollari per euro.
Nel 2005, per avere questo vantaggio avremmo dovuto essere a 3 dollari per euro.
Nel 2006, per avere questo vantaggio avremmo dovuto essere a 3/4 dollari per euro.
Mi spiace, ma affermare che l'euro ci abbia dato qualche vantaggio nelle importazioni di petrolio equivale ad affermare questo. E no, e' il dollaro che e' svalutato, piu' che il petrolio aumentato.
Nello stesso periodo, dal 2002 al 2006, la sterlina passa da poco piu' di 1.2 dollari a due dollari e rotti. Ben piu' di quanto ci abbia guadagnato l'euro. Moneta forte?
Qualcuno dira' che il petrolio sarebbe aumentato comunque. Possibile. In questo caso, sarebbe cresciuta l'inflazione, mangiandosi i debiti. Cosa che, grazie alle meravigliose politiche della BCE, non e' avvenuta. Risultato: cornuti e mazziati.
Ma c'e' di peggio. Perche' se da un lato con l'euro siamo diventati piu' DEBOLI nelle importazioni, (e non piu' forti come ci raccontano i farlocchi), dall'altro non ci ha aiutati nelle esportazioni. E perche'?
Innanzitutto, una grossa fetta del nostro export va verso i paesi europei. Con il cambio fisso, a questo deprezzamento della lira quando compriamo materie prime , non corrisponde alcun deprezzamento quando vendiamo. Anzi: se l'euro e' piu' debole nell'acquisto perche' al suo apprezzamento in dollari corrisponde un indebolimento ben piu' grande del dollaro, dall'altro lato il cambio col resto del continente non si muove di una virgola.
I vantaggi della svalutazione sono , di solito, pesati cosi: vi conviene vendere, non vi conviene comprare.
I vantaggi della rivalutazione sono : conviene comprare, ma non vendere.
Mettere la lira nell' Euro ha unito gli svantaggi della svalutazione (comprare e' piu' DIFFICILE) , con quelli della rivalutazione: anche vendere e' piu' difficile.
Il tutto e' dovuto al comportamento NON lineare del dollaro. Il dollaro ha perso enormemente nei confronti del petrolio e delle materie prime, ma ha perso POCO rispetto all'euro. Se il costo delle materie prime in dollari e' piu' che raddoppiato, l'euro ha superato il dollaro di qualche frazione di unita'.
Cosi', il risultato e' che con l'euro si fatica a vendere a chi paga in dollari. D'altro canto, questo vantaggio NON si recupera comprando in euro, visto che il dollaro ha perso molto piu' verso il petrolio che verso l'euro.
L'Euro ci sta dando tutti gli svantaggi di una moneta debole sul dollaro in acquisto, e tutti gli svantaggi di una moneta forte sul dollaro in fase di vendita.
Quando andiamo a comprare petrolio, facciamo due cambi: euro -> dollaro -> petrolio.
Quando vendiamo , facciamo un cambio : euro -> dollaro.
Voi capite rapidamente dove sia la fregatura, ovvero nel cambio dollaro/petrolio, che ha divorato tre volte i vantaggi del cambio euro -> dollaro.
Perche' avviene questo? E' per via del meccanismo perverso di gestione dei dollari.
Gli Uffici di Cambio (che dipendono dalle Banche Centrali) dei Paesi esportatori verso gli USA raccolgono i dollari che fatturano le loro multinazionali (in USA vendono le merci contro moneta locale, dollari) e li mettono nella riserva (di valuta estera) della Banca Centrale; la Banca Centrale non chiede di cambiare i dollari nella moneta nazionale, ma li mette in circolazione per comprare petrolio; i Paesi produttori di petrolio non chiedono alla FED di cambiare i petrodollari nella moneta locale dei Paesi Arabi, ma tengono i proventi del petrolio in conti correnti denominati in dollari e in buona parte investiti in titoli del Tesoro e azioni USA. Fondamentalmente i dollari emessi non si presentano al cambio condizionando il valore del dollaro sulle altre monete. D'altra parte sono investiti in titoli di lungo termine o in azioni che non vengono scambiate a forte frequenza: per cui quei dollari non sono nemmeno moneta circolante che produrrebbe inflazione rientrando in America.
Morale della storia: il dollaro rimane relativamente stabile al cambio monetario, ma diventa catastroficamente sempre piu' debole rispetto al valore delle merci: perde, cioe', potere d'acquisto, ma non perde nei cambi. Per cui, se l'euro guadagna il 30% sul dollaro, il petrolio guadagna il 300% sul dollaro. E il rafforzarsi del cambio non aiuta nessuno.
Sarebbe stato diverso se ci fossimo tenuti la lira? Si', enormemente.
Senza il cambio fisso con gli altri paesi UE, potevamo rimanere competitivi sui mercati europei SENZA diminuire il costo del lavoro, cioe' senza bisogno del precariato: il costo della trasformazione poteva venire assorbito da una adeguata politica di svalutazione graduale In secondo luogo, all'aumento dei prezzi del petrolio e delle merci si poteva reagire approfittandone per praticare una politica iperinflattiva e ridurre l'indebitamento.
Ma il punto non e' questo: il punto e' che i presunti vantaggi nell'acquisto del petrolio usando l'euro sono dei veri e propri falsi. Oggi che l'euro vale un dollaro e rotti, poiche' un euro vale 1936,27 lire, siamo scesi di fatto ai valori del 1996. Valori che la lira aveva saputo guadagnarsi da sola, e come se non bastasse in un periodo ove la dottrina americana era quella del dollaro forte. Dopodiche' inizia la dottrina del dollaro debole, ma per le monete dello SME il dollaro cresce e basta. Dove cazzo e' questa "moneta forte"? Dov'e' quest'area forte dell'euro?
E' un falso che entrando nello SME l'Italia ci abbia guadagnato negli acquisti di materie prime.
Ed e' un falso che con l'euro si possa comprare piu' petrolio di prima.
Ed e' evidentemente falso che con l'euro si sia piu' competitivi sui mercati europei.
Non e' quello che e' successo, non e' MAI successo, non si e' mai visto tale vantaggio.
Se volete sapere perche' si siano fatti quegli accordi, chiedere a Prodi. Io, personalmente, lo accuserei di tradimento e lo sbatterei in carcere, per aver accettato roba simile.
by Uriel

28 aprile 2010

Euro: le bugie di Prodi, Amato e Ciampi

Per anni chi era euroscettico si e' sentito rispondere che se non fossimo entrati nell' Euro allora saremmo sicuramente andati in Default. E che , proprio per esservi entrati, non solo non si andava in default, ma eventualmente il solo fatto di appartenere all'eurozona ci avrebbe fatto da "paracadute" in caso di crack.
Successe semplicemente che il trio Prodi, Amato, Ciampi gestivano cosi' male le finanze pubbliche da portare il deficit a livelli mai visti (nemmeno oggi) e a rischiare davvero il default. I nostri eroi decisero allora che per salvare il paese bisognasse entrare nell'eurozona.

Si trattava di palle, raccontate da pallisti che avevano portato al disastro le finanze pubbliche, e che oggi avendo le gambe corte si mostrano per cio' erano: palle.

Non e' mai esistita alcuna letteratura scientifica che dimostrasse come legarsi ad un valuta forte proteggesse dal default i bilanci dello stato. Il caso argentino, peraltro, sembrava suggerire il contrario, nel senso che la dollarizzazione dell'economia rese piu' duri gli effetti del crack.

Questa obiezione veniva ogni volta annullata dal solito osceno coretto mainstream "l'europa ci salva, l'europa ci rende stabili, l'europa ci allunga l'uccello".

No, non funziona cosi'. L'europa e' solo il tentativo dei tedeschi e dei francesi di crearsi un mercato protetto, usando gli strumenti delle quote e dei divieti per uccidere le economie di tutti gli altri paesi. Cosa che e' stata fatta con l'Italia, se pensiamo all'acciaio, agli zuccheri, al latte, a tutto quanto.

Ma, si diceva, questi piccoli svantaggi si sarebbero recuperati in termini di mai visti vantaggi dell'unificazione , ovvero in stabilita' e sicurezza valutaria.

PALLE.

E come tutte le bugie, in poco tempo sono venute a galla. Il default greco di per se' non coinvolge cifre enormi. Se pensate che il comune di Roma ha circa 9 miliardi di euro di debiti, che quello di milano ne ha circa altrettanti, capite che i 30 miliardi (forse 40) del debito greco non siano poi un dramma cosi' grande come lo si vuol far credere.

Specialmente se lo paragoniamo al debito pubblico italiano: se la famosa potenza stabilizzatrice europea non riesce a tenere a bada un debituccio da amministrazione metropolitana, figuriamoci quanto ha reso stabile il debito italiano, che e' "un bel pochino" piu' grande.

Niente. Se non siamo andati in default lo dobbiamo al fatto che i governi che hanno seguito Prodi, Amato e Ciampi erano di qualita' superiore. Di certo non e' stata una zona euro incapace di stabilizzare la Grecia a stabilizzare noi. Questa e' la prima truffa d Prodi, Amato , Ciampi. Aver spacciato l' unione europea per un ente stabilizzatore che, alla prova dei fatti, NON E'.

Il PIL della zona euro e' di circa 18 trilioni di dollari. Il piano greco e' di 30-40 miliardi. Meno del deficit di alcune amministrazioni locali americane. Eppure, la UE ha fallito completamente: non si nota alcuna azione stabilizzatrice, se non nella misura in cui la UE prometta di sganciare dei soldi. Ma questo non significa nulla: nel default greco ci rimetterebbero ben di piu'.

Cosi', ecco finire nel nulla la prima tra le balle UE: che entrando nella UE si sarebbe goduto di un "ombrello", di una "garanzia" capace di dare fiducia. Non e' cosi'.

Ma andiamo oltre, perche' adesso i greci si troveranno a subire il DANNO dovuto all'entrata nell'euro. Che cosa intendo? Intendo dire che se la Grecia fosse un paese normale, avrebbe potuto fare come Dubai. Cioe' rinegoziare il proprio debito pubblico, dicendo semplicemente "signori, se fate i bravi vi restituiamo il 10% di quanto avete versato. Siccome ci avete gia' guadagnato un sacco, state zitti e non scocciate".

Dopodiche', svalutando la moneta, potevano praticare una politica iperinflattiva che desse respiro alle imprese locali, e che svilisse i debiti fino a farli diventare di entita' ridicola.

Ma non si puo', perche' accettando l'euro si e' commesso lo STESSO errore dell' Argentina. Legarsi ad una moneta forte, cioe', non conviene proprio ai paesi con un forte debito: lo ha mostrato l' Argentina con la dollarizzazione. Quando il governo si e' trovato a dover svalutare la moneta, ha dovuto creare una nuova valuta. Niente di strano, sin qui: numerosi paesi lo hanno fatto, Francia compresa.

Ma essendo la vecchia valuta legata al dollaro, e' successo che la gente si sia precipitata nelle banche a ritirare banconote da tenere sotto il letto. Risultato: il caos. Banche chiuse, eccetera.

Succederebbe esattamente lo stesso alla Grecia , se tentasse di uscire dall'euro. Immediatamente le persone si precipiterebbero in banca per ritirare tutti i contanti che possono, da tenere sotto il letto. Poiche' le banche non hanno tutti quei contanti, inevitabilmente chiuderebbero gli sportelli. E sarebbe la paralisi.

Questo e' dovuto proprio all'adesione all'euro: lo spettro dell' Argentina aleggia sui paesi dell'euro non perche' siano in difficolta', ma perche' e proprio perche' e SOLO perche' sono entrati nell' Euro. Come l'argentina, hanno commesso l'errore di legarsi ad una valuta piu' forte. Come l'argentina, si trovano oggi nelle condizioni di dover chiudere le banche in caso di svalutazione.

Morale della storia: entrare nell' Euro non e' una scelta, saggia, non lo era allora, e le bugie di Prodi, Amato e Ciampi mostrano le gambe corte adesso. Vorrei sentirli, adesso, i cazzari che ci raccontavano che l' Euro potesse stabilizzare la fiducia nell' Italia, quando non riesce a fare qualcosa per la Grecia.

Non c'e' quindi modo di uscire dall'euro? Si', per i paesi piccoli c'e'. Consiste nell'introdurre la doppia circolazione della moneta , ma fare in modo che le banche emettano, in liquidita', solo la nuova moneta, diciamo la nuova dracma per la grecia (o la nuova lira per l'italia). Contemporaneamente, mano a mano che si ritira il debito in euro si emette debito in nuova dracme.

Ad un certo punto, quando la massa in euro (tra debito e denaro circolante) e' diventata molto bassa, si potra' svincolare l'economia. Non vedo molte altre vie di uscita, ed e' quella che seguirei se volessi far uscire l' Italia dall'Euro, cosa che sarebbe molto saggio iniziare a fare: i vantaggi dell' Euro come vedete sono nulli. I costi sono tutt'altro che nulli.

Ma quello che conta di piu' e' che per prima cosa dovremo iniziare con una "cura culturale", cioe' colo mettere le persone di fronte alla pura verita': l'unione europea non ha salvato l'italia dal default, perche' alla prova dei fatti non sarebbe capace di salvare realta' debitorie molto , molto, molto piu' piccole.

La bugia di Amato, Ciampi, Prodi, e' stata adesso smascherata.

Ed e' sotto gli occhi di tutti: nessun paese e' al sicuro dal default perche' sta nell' Euro. E nessun paese soffrirebbe meno un default per via dell'Euro, anzi: le conseguenze si sono amplificate, come nel caso argentino, proprio perche' ci siamo legati ad un'altra valuta.

Questo deve far capire all'italia ed agli italiani una cosa semplicissima: uscire dall'Euro si puo' e si deve.

L'euro non solo non ci stabilizza, non solo non ci aiuta, non solo costa, non solo uccide le nostre esportazioni, ma in caso di problemi trasformerebbe un problema gestibile con metodi tradizionali (svalutazione, iperinflazione) in un disastro argentino.

Prima ce ne andiamo, quindi, meglio e'.

Uriel

Grecia, dal Fmi lacrime e sangue. Ma poi?

Manca solo il sì tedesco (e non un’incognita da poco), ma salvo rivolgimenti il quadro è delineato. La Grecia riceverà aiuti per 45 miliardi, di cui 30 dai partner Ue e 15 dal Fondo monetario internazionale. Riuscirà così a evitare il default, perlomeno a breve. Evviva, scrivono i media internazionali e i mercati respirano. Il peggio è scongiurato. Ma ne siamo proprio certi?
Quel che ancora non emerge dalle cronache di questi giorni è il prezzo che i cittadini greci dovranno pagare. La Ue ha già imposto un programma per ridurre drasticamente il deficit nel 2011 e nel 2012 con un mix che prevede tagli alla sanità, alla scuola, alle pensioni e, a quanto pare, un aumento delle tasse. Secondo indiscrezioni uscite nelle ultime ore, ma che, guarda caso non hanno trovato spazio sui media, il Fmi, nella sua magnanimità, avrebbe già inviato al Papandreu un dossier con le proprie richieste, che sarebbero ancora più severe di quelle europee. Insomma, chiede lacrime e sangue.
E sia, per evitare il fallimento, dicono tutti. Già, ma con quale futuro? Quali sono le prospettive della Grecia una volta rimessi in sesto i conti? Quali saranno i settori economici trainanti? Nessuno parla del dopo. Ai greci si chiede di tirare la cinghia, ma né la Ue né l’Fmi sono capaci di indicare un percorso per creare nuova ricchezza e nuovo benessere, molto diffici da creare in un Paese piccolo e per molti versi arretrato come la Grecia.
Perché così esige Maastricht, perché gli unici parametri che contano sono quelli finanziari. E in futuro rischia di andare anche peggio.
Fino a pochi giorni fa si parlava di una possibile revisione del Trattato al fine di renderli più flessibli, equi e aderenti alla realtà, considerando altri criteri oltre ai cinque stabiliti all’inzio degli anni Novanta. La riforma ci sarà, ma se queste indiscrezioni sono attendibili (e hanno tutta l’aria di esserlo), la Ue e la Bce intendono procedere della direzione opposta ovvero rendendo ancora più severi i cinque parametri di Maastricht. Il che significa lacrime e sangue per tutti. Anche per noi.
Ne vale davvero la pena?
di M. Foa

27 aprile 2010

Il doppio pacco di Goldman Sachs

La più grande banca d'affari americana è sotto inchiesta da qualche settimana per la madre di tutte le frodi. Il Senato americano ha rese pubbliche le email nelle quali i dirigenti della banca discutevano come fare il pacco e il doppio pacco ai loro investitori. Goldman Sachs avrebbe creato titoli tossici dai mutui spazzatura e, mentre con una mano li vendeva ai consumatori, con l'altra scommetteva sul loro crollo, guadagnando miliardi e facendo scoccare la scintilla della crisi.

Il santuario della finanza globale è oramai un fortino sotto assedio. L'accusa dell'autorità di vigilanza di Wall Street è estremamente grave perché cancella in un istante il mantra che ha fatto la fortuna di Goldman Sachs: “Il cliente prima di tutto.” Un danno d'immagine difficile da recuperare, anche perché gli esperti del settore fanno capire che si tratta solo dell'inizio.

Finalmente si comincia a capire come facesse la banca d'affari a macinare utili quando tutto il mondo sprofondava insieme ai mutui subprime. “Ecco, con parole loro, Goldman Sachs mentre prende the big short, mentre scommette tutto contro il mercato dei mutui,” dice il Senatore Levin, presidente della commissione d'inchiesta del Senato USA che sta investigando sulle responsabilità delle banche nella crisi.

“Banche d'investimento come Goldman Sachs,” prosegue Levin, “non erano semplicemente i creatori del mercato dei mutui, ma anche i promotori di schemi che, mentre producevano utili per le banche, allo stesso tempo facevano esplodere la crisi. Hanno impacchettato mutui tossici all'interno di complessi strumenti finanziari, hanno ottenuto dalle agenzie di rating compiacenti il marchio AAA di totale affidabilità, li hanno venduti agli investitori, amplificando e allargando il rischio a tutto il mercato finanziario, tutto questo mentre scommettevano contro gli stessi titoli che vendevano, mietendo profitti alle spese dei loro clienti.”

Il Senato americano ha reso pubbliche le e-mail scambiate tra i dirigenti della banca durante il periodo caldo del crollo dei mutui subprime nel 2007. Questa corrispondenza elettronica apre uno spaccato sul vero modus operandi del mondo della finanza, di cui Goldman è il santuario per eccellenza. Vediamo alcuni estratti delle conversazioni.

“Brutte notizie” scrive un impiegato della Goldman il 17 Maggio 2007, quando un titolo che la Goldman aveva appena creato e venduto in calo fa perdere alla banca 2,5 milioni di dollari. La riposta del secondo impiegato è “Buone notizie... siamo protetti per 10 milioni... abbiamo guadagnato 5 milioni.” L'azienda ha preso 5 milioni scommettendo contro il titolo che aveva appena creato e venduto. In poche parole, la Goldman Sachs si assicurava (grazie all'AIG, il gigante assicurativo ora fallito proprio a causa di queste polizze stipulate con Goldman) contro il crollo dei titoli subprime che essa stessa vendeva.

Il 25 Luglio successivo, il capo delle operazioni della banca scrive di aver appena perso 322 milioni di dollari sui mutui residenziali, ma guadagnato 373 milioni scommettendo sul loro crollo. Venticinque minuti dopo la risposta del collega: “Questo ti mostra cosa sta succedendo a quelli che non hanno the big short”, ovvero quelli che non stavano scommettendo sul crollo dei mutui. Soltanto in quella transazione Goldman Sachs ha guadagnato 51 milioni di dollari. La voluminosa raccolta di tutte le e-mail è aperta al pubblico sul sito del Senato americano.

La banca è sotto il doppio fuoco del Senato e della Security and Exchange Commission, che si gioca tutta la sua credibilità con questa inchiesta. I controllori devono far dimenticare di aver chiuso entrambi gli occhi per anni di fronte alle pratiche predatorie delle banche d'affari e soprattutto devono rifarsi della cantonata colossale presa con l'affare Bernie Madoff.

Il tempismo con cui è stata aperta l'inchiesta è favorevole all'Amministrazione Obama, che ha cominciato la discussione sulla riforma del sistema finanziario. Prima della Goldman Sachs, la fallita Lehman Brothers è stata passata ai raggi X e altre frodi finanziarie sono state portate alla ribalta delle cronache. La speranza è che queste inchieste servano a ricreare un momento favorevole alla riforma, che era altissimo nel 2008, all'apice della crisi, ma va scemando mentre l'economia americana riprende a viaggiare. Obama ha dichiarato che non firmerà la riforma se non conterrà regole precise per gli strumenti derivati.

Fa una certa impressione accorgersi come la Goldman Sachs abbia infiltrato il sistema politico e finanziario dell'intero pianeta. Solo alcuni esempi. In America, l'ultimo segretario del tesoro dell'Amministrazione Bush, Hank Paulson, e il precedente governatore del New Jersey, Jon Corzine, sono entrambi ex-amministratori delegati della banca. La Goldman Sachs è diretta responsabile, grazie ad un prestito, del disastro finanziario del governo greco e anche Romani Prodi si è rivolto alla banca americana durante il suo primo governo, per un enorme prestito ponte che ci permise di entrare nell'Euro. Anche l'attuale governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, ha lavorato alla Goldman per tre anni, a partire dal 2002.

Il premio Nobel per l'economia Paul Krugman, dalle pagine del New York Times, ha dichiarato che “una parte troppo grande della ricchezza e del talento degli Stati Uniti è stata usata per escogitare e vendere complessi sistemi finanziari; sistemi che hanno la tendenza a far saltare l'intera economia. Mettere fine questo stato di cose farà sicuramente male all'industria della finanza. E allora?

di Luca Mazzucato

26 aprile 2010

Inopportunisti contro cazzeggiatori


Nuntio vobis gaudium magnum. Scrivo all’alba del 23 aprile 2010: il sole è entrato da due giorni nel toro, oggi è il genetliaco di William Shakespeare, siamo in piena ancorché timida primavera, la nube del vulcano islandese incombe ancora su di noi ma il mondo è bello e santo è l’avvenire. La strada da fare è ancora lunga, e senza dubbio vi saranno difficoltà e amarezze. Poi, quando sentiremo di essere usciti da questo brutto tunnel, verranno altre prove: la vita è fatta così.

Però, questa è fatta. Ieri, abbiamo assistito tutti al principio della fine della Dittatura del Berluskariato. E’ vero che la stampa aziendale, saldamente tenuta in mano dal personale di servizio di Arcore, ha travestito la cocente sconfitta del Berluska dal suo trionfo solo perché la Direzione nazionale di un partito-ameba che non c’è ma che coagula funambolicamente milioni di voti di cittadini disorientati, disinformati e incoscienti hanno votato, con poco più di una decina di coraggiosi, come voleva il Sciur Padrùn. Però l’abbiamo visto tutti il Sciur padrùn livido in volto, mentre minaccia dall’alto del podio la terza autorità ufficiale della repubblica rea di non voler star più al suo gioco. Berlusconi ha umiliato Fini, ha blaterato in coro la stampa asservita. E’ vero il contrario, perdinci, e il Sciur Padrùn se n’è accorto benissimo, e gli è andato di traverso, e mal pro gli faccia. “Leader carismatico”, lo proclamano quelli della sua corte di comprati un tanto al chilo e di voltagabbana, tutti gli ex-comunisti, gli ex-craxiani, gli ex-radicali e gli ex-missini uniti nella profonda coscienza che “Lui” li ha miracolati promovendo a ministri e a senatori gente che al massimo avrebbe fatto scialba figura in un consiglio comunale della prima repubblica e gestendo i due rami del parlamento che, grazie all’infame legge elettorale che egli ha voluto, è ormai fatta di reggicoda designati dall’alto e legittimati ohimè dal plebiscitario consenso di un popolo sempre più depoliticizzato e scippato di quelle che erano e dovrebbero essere le sue prerogative sovrane. Ben gli sta, al Popolo Bue. Ma ora l’incanto è rotto: Fini, che pur ha pesantissime responsabilità nella sua resistibile ascesa, ha dimostrato che gli si può dir di no. Pochi per adesso lo hanno seguito: ma, come si diceva nel Sessantotto, ca n’est qu’un debut. A quei pochi che non lo hanno abbandonato, se ne aggiungeranno altri: e sarà una frana. Se il Re è Nudo, figurarsi il Berluska.

Certo, nessuno è innocente. Se il Sciur Padrùn è stato e resterà ancora per alcuni mesi a esercitare il suo ruolo di Grande Corruttore della società civile italiana o di quel poco che ne rimane, ciò è dovuto al fatto che essa è costituita in gran parte da Piccoli Corrotti.

E allora, lasciatemi sciogliere un elogio al Pensiero Libero. Che non è il Libero Pensiero, espressione compromessa da laicisti anticattolici. Ma che è quello che è: il pensiero di chi non accetta di pigarsi alle circostanze e agli opportunismi.

Nemmeno io sono innocente. Nel 1993-94 ero talmente invelenito con la classe dirigente di allora, che mi capitò di ritenere che l’arrivo dell’avventuriero di Arcore avrebbe potuto portar una folata di vento rigeneratore. Invano il mio maestro di giornalismo, Indro Montanelli, mi avvertì, quando mi chiese di abbandonare “Il Giornale” ormai destinato a far da foglio dell’Azienda di Arcore e di seguirlo nell’avventura de “La Voce”. Berlusconi entra in politica per salvarsi dal disastro che incombe su di lui per le sue malefatte, mi avvertiva Indro. Non gli credetti. Invece aveva ragione lui.

Io sono un in opportunista, un anticamaleonte. Adagiato su un tavolo verde, divento immediatamente d’un bel rosso squillante. E viceversa. Sono stato orgogliosamente neofascista, al tempo in cui nella nostra Italia si mangiava solo Pane e Resistenza: e non so nemmeno io come sono riuscito, nuotando controcorrente, a vincere per concorso una cattedra all’università: perché nemmeno allora i concorsi erano uno specchio di equità. Ero abituato, cattolico demaistriano e “reazionario”, ad arrancare quando i padroni del vapore si sceglievano i loro Comitati d’Affari politici solo fra gli intellettuali di sinistra e i cattocomunismi.

Eppure, quel pur pesantissimo clima lasciava qualche spiraglio. “E’ un fascista, ma è intelligente, è preparato”, dicevano di me. Così insegnavo e scribacchiavo anche su qualche giornale. Certo, niente posti di rilievo, niente riconoscimenti, niente prebende e consulenze. Ma tiravo avanti a testa alta, perché potevo dir quello che volevo.

Così, mi capitò anche di venir notato. Nel ’94 mi notò una ragazzina leghista diventata per caso presidente della Camera, Irene Pivetti. Gli piaceva il mio cattolicesimo anarcoide, il mio dirmi reazionario in politica e nella cultura e socialista sul piano socioeconomico. Ch’è ancora quel che sono oggi, e come diceva Don Giovanni “No, no, ch’io non mi pento”. La Pivetti mi spedì nel Consiglio d’Amministrazione della RAI contro il parere del Berluska: allora, mi fregai altamente di non piacere granché al Gran Capo (che sembra non abbia simpatia per la gente con la barba): oggi, me ne congratulo e me ne vanto. Per due anni restai in RAI; ed evidentemente dovetti dar prova di una qualche capacità e di parecchio senso d’indipendenza, perché nel ’96, allo scadere del mandato, Walter Veltroni – che sapeva bene fino a che punto fossi d’una parrocchia diversa dalla sua – mi spedì a Cinecitta per altri sei.

Ma dopo allora, cioè dal 2002, provai ormai sessantenne che cosa sul serio significava l’ostracismo. Il Berluska era tornato al governo ed era decisamente incarognito. Io commisi alcuni peccati: mi schierai – e non senza cognizione di causa – con quelli che sostenevano che non tutto era chiaro nella ricostruzione ufficiale dei fatti del tragico 11 settembre 2001; poi, nell’estate del 2002, dissi (e ne addussi le prove) ch’era impossibile che Saddam Hussein disponesse di terribili armi di distruzione di massa, mentre il Berluska, nel nome della Libertà e della Dignità nazionale, si affrettava a mandare i nostri soldati a morire in Iraq e in Afghanistan per guerre infami che non ci riguardano, pur di far piacere al suo boss d’Oltreoceano, quel George W.Bush che resterà nella storia come il Più Coglione dei Tiranni. Il Berluska obbediva, il Grande Coglione gli affibbiava sonore pacche sulle spalle e lui era contento. A questo livello di mancanza di decoro l’uomo di Arcore ha trascinato il nostro paese.

Scrissi vari libri su quegli anni. Uno, significativo, uscì nel 2007 presso l’editore Fazi di Roma: si chiamava La fatica della libertà e nessun media di rilievo mostrò di accorgersene. Eppure non ero l’ultimo arrivato sulla scena culturale del Bel Paese. Il fatto è che sono un Opportunista e un Anticamaleonte; e il Berluska - padrone d’un partito-azienda, della radiotelevisione di servizio diciamo cosi “pubblico”, di case editrici e di giornali - manda avanti quelli che appartengono al partito opposto al mio: quello dei Leccaculo e dei Cazzeggiatori.

A questo punto va detto che conosciamo tutti alcune delle presunte regole d’oro del successo: aver sempre qualcosa da dire e una tribuna dalla quale dirla, non consentire all’opinione pubblica di scordarsi di noi, rilanciare costantemente la propria presenza in modo da dar l’impressione d’essere - al tempo stesso - presenti e indispensabili. Che poi questa presenza sia, nella sua essenza intima, profondamente superflua, è irrilevante. La cosa che conta èe che appaia il contrario. E che ci s’ingrazi i poteri che gestiscono i media di cui abbiamo bisogno.

In questa cultura dell’apparire, dell’esserci - che non è certo il Dasein di Martin Heidegger - l’Italia vanta dei primati da Guinnes, dei veri campioni del “c’era-questo-c’era-quello”. Essi sono - con le dovute, venerabili eccezioni – non certamente tutti, tuttavia molti fra i nostri politici, i nostri intellettuali e i nostri opinion makers. Come i Maestri della moda hanno bisogno di continue novità stagionali per le loro collezioni, allo stesso modo i Maestri del Pensiero Inesistente hanno bisogno di parlare, di scriver sui giornali, di apparire in TV. Di farsi credere onnipresenti e necessari. L’incensar il potere di turno è la scorciatoia per ottenere tutto ciò. E, al solito, il Leccaculo Cazzeggiante per sua natura tende a strafare: il Padrone si accontenterebbe anche di corvée adulatrici meno intense, ma è meglio abbondare: non si sa mai.

La fabbrica dei neologismi - nella quale essi sono tutto: coproprietari, cogestori, agenti pubblicitari, manovali, guardiani notturni...- li aiuta. Anni fa, ad esempio, si elaborò la categoria dell’ “impegno”: e allora tutti giù a dirsi impegnati, anche se si capiva benissimo che tale termine era, in realtà, un eufemismo per indicare la propaganda politica. Più di recente ci si adeguo alla dimensione del “pensiero debole”: dal momento che l’ideologia che si era cavalcata per far carriera - e che prometteva di rifondare il mondo, crear l’uomo nuovo e trascinare il paradiso in terra - si era fracassata urtando contro la storia, bisognava inventar qualcosa di soft per distrarre l’opinione pubblica. Et voila, personaggi fino ad allora rigorosissimi, abituati a strapazzar cose e persone con tanto d’occhi iniettati di sangue, diventarono gentilissimi cagnetti da salotto che ti confessavano con gentile umilta le loro debolezze e le loro sconfitte. Tutto cio si tiro dietro il “buonismo”: e gli arcigni custodi del Senso e del Vento della Storia si riciclarono in sorridenti e flessibili cultori di tutti i relativismi e i possibilismi di questo mondo.

L’ulteriore strillo del pret-à-porter intellettuale fu il “leggerismo”, che naturalmente si contrapponeva al “profondismo”. Ormai non lo chiamano più così: la parola, in effetti, non ebbe fortuna. L’aveva lanciata anni fa sull’ ”Espresso” Eugenio Scalfari il quale, rivisitando con l’usata arguta capacità di sintesi storia e filosofia universali, scopriva come a forza di voler andar in fondo alle cose si sprofondi; e proclamava pertanto solennemente che tutti i grandi spiriti dell'universo sono stati, in fondo, dei “cazzeggiatori”.

In effetti, cazzeggismo, cazzatologia e cazzeggiologia comparata - in attesa del sorgere d’una vera e propria cazzatosofia sistematica; e Dio non voglia che giunga il tempo della cazzatolatria - dominano ormai grande stampa e piccolo schermo. Accadeva anche prima: si trattava però d’iniziative private o di felici, casuali e sovente involontarie occasioni. Ma ormai, si è visto quante ballerine di fila del Gran Galà della Cultura Mondana si siano uniformate al nuovo verbo: quanti hanno tentato, spesso magari riuscendovi, di far passare la loro abituale stolidità per autentico Cazzeggiar d’Autore D.O.C.

E le citazioni già si sprecano. Pensate al grande Umberto Eco, che notoriamente ha continuato a lungo – ora, la quasi ottantina gli consiglia maggior prudenza – ad andar per osterie, a sbevazzare e a strafogarsi, a dir le parolacce, a inventar filastrocche in rima, a urlar a squarciagola le canzonacce goliardiche dei suoi anni verdi, quelle col paraponziponzipò: ma lui resta un Maestro, se lo può permettere. Ricordate Ugo Sciascia e il suo cazzeggiare pallido e assorto, da gran signore? Ricordate Federico Zevi, il suo sgranar piselli in pubblico, i suoi tormentoni, i suoi eroici furori dove non si sapeva mai se era un arrabbiato che si divertiva annoiandosi o un annoiato che si arrabbiava divertendosi o un divertito che si annoiava arrabbiandosi? Questi però sono i modelli “alti”, davanti ai quali sbiadiscono gli Sgarbi e i Mughini. Ma se l’intellettuale dev’essere uno che ingrana collanine di battute di spirito, che si diverte coi giochi di parole, che si butta sul ridere-ridere-ridere peggio di Petrolini, allora giù con la Hit Parade televisiva di quelli che la cultura la intendono e la vivono nel senso del girar con la sciarpetta di seta, il papillon, le camicie a scacchi, il ciuffo al vento, il cappelluccio. E pensate agli opinion makers. Avete presente tutti gli ex inferociti di Lotta Continua e di Avanguardia Operaia, ora passati giulivamente, e a quel che sembra senza alcun imbarazzo (salvo dar del provocatore a chi ricorda il loro passato), alla difesa delle magnifiche sorti del liberal-liberismo, e regolarmente premiati con la direzione o la vicedirezione di quotidiani nazionali, la titolarità di talkshows televisivi di grido eccetera? Ricordate gli apocalittici di professione, quelli che predicavano dagli spalti inattaccabili della Tradizione cattolica la rivolta contro il mondo moderno e che oggi pontificano sui periodici berlusconiani sostenendo che cattolicità e liberismo sian tutt’uno e che perfino il Sillabo di Pio IX, del quale sono estimatori e magari editori, diceva proprio quello per quanto non ne fosse cosciente? Leggerezza nel guardar alla propria coerenza – del resto virtù degli imbecilli, come dichiarava Giovanni Papini -, leggerezza nell’assolver se stessi così come nel condannare irremissibilmente tutti gli altri, quelli che la pensano in modo diverso.

Per la verità, questa storia dello “spirito di leggerezza” l’avevano già tirata fuori in parecchi. Se non sbaglio, sono i Padri della Chiesa ad affermare spesso che il diavolo non ride mai (il sorrisetto di scherno o la sghignazzata sono un’altra cosa). Se non prendo abbagli, le categorie dell’ironia, della satira, della parodia, del paradosso e perfino dell’allegria sono antichi strumenti della dialettica. Se non m’inganno, di “leggerezza” aveva già parlato il vecchio Nietzsche. Se non vado errato, un certo Johan Huizinga, in un modesto pamphlet intitolato Homo ludens, aveva già fatto l’elogio del gioco e dimostrato com’esso racchiuda una profonda, autentica serietà.

Ma ormai siamo al trionfo non solo del deja vu, bensì addirittura dell’ovvio. L’Italia sempre piu teledipendente è stata consegnata dal Sciur padrùn di Arcore, sotto il profilo dell cultura massmediale, in mano a una ben organizzata mafia di Grilli Parlanti, “intellettuali” per autocertificazione e per certificazione reciproca. Siamo abituati a vederli citarsi a vicenda, invitarsi a turno ai loro shows, far propaganda ai loro libri e l’uno ai libri dell’altro, scambiarsi favori sotto forma di premi letterari. L’italiano medio che - purtroppo - qualche volta entra ancora in libreria, i consigli su che cosa leggere se li fa dare dall’anchor man di turno. E da parecchi anni gli anchor men sono sempre gli stessi, o i loro amici (amiche), o i loro allievi (allieve), o i loro eredi. In passato, li abbiamo visti ridicolmente mobilitati ogni volta che i loro padroni politici avevano bisogno di un “manifesto” da far firmare. Oggi, li vediamo impegnati in battaglie politiche o intellettuali o sedicenti tali ch’essi combattono timbrando il loro bravo cartellino, con l’aria di chi lavora in un’azienda: e difatti c’è l’azienda-partito, l’azienda-Italia, mentre a Bassora abbiamo impiantato per ordine del Pentagono - è la dignita nazionale dei Frattini e dei La Russa - l’azienda-militarumanitaria che sostiene di fare il peacekeeping mentre invece, neomussolinianamente, serve la patria facendo la guardia a un bidone di benzina (quello che gli americani hanno promesso all’ENI, se il nostro paese continuerà a rendersi complice dell’occupazione dell’Iraq). Un bidone di benzina altrui.

Cazzeggiano, loro. Intanto, finito il sanguinoso “secolo breve”, col nuovo millennio si è tornati a bombardare e si è perfino rispolverata una fino a qualche anno fa impensabile attualitè delle crociate: e loro, ex di molte battaglie pacifiste, ci hanno riscodellato riscaldati i marinettiani elogi della guerra igiene del mondo, quella che esporta la democrazia. Sono accadute poi cose come l’orrore di Guantanamo: e loro, che col loro blaterar prezzolato o col loro silenzio quando non con la loro acquiescenza hanno favorito (talora perfino invocato) i bombardamenti sulla Serbia, sull’Afghanistan, sull’Iraq, tacciono. Ora, stanno inventando la minaccia nucleare iraniana (per il nucleare militare occorre l’uranio arricchito all’80%: l’Iran può arricchirlo solo fino al 3,5%).

Ma qualcuno accusa i cazzeggiatori, ormai diventati impiegati dell’azienda brianzola che per ora continua a “governarci”, di cinismo e di latitanza morale: ed eccoli pronti a sfoderare l’ennesimo alibi, a rivendicar il loro diritto al cazzeggiamento travestito da nuovo impegno politico.

Nossignori, non possiamo starci. Questa gente, o i loro maestri e protettori, un ventennio fa non perdeva occasione per lanciare appelli e redigere manifesti. Ricordiamo tutti che, proprio sul medesimo organo di stampa che si fece poi alfiere del cazzeggiamento teorizzato da Scalfari, illustri intellettuali ormai da tempo iscritti nelle folte file del partito dei cazzeggianti, dei cazzeggisti e dei cazzeggiofili incitavano ieri a imbracciare il mitra e a rovesciare la società del privilegio. E’ anche a causa del clima da essi instaurato - e al quale molti di essi sono debitori di cattedre universitarie, scranni parlamentari, poltrone dirigenziali di vario genere - che a suo tempo vennero ammazzati i Calabresi e i Casalegno. Negli anni di piombo per causa loro andarono ad uccidere e a morire tanti ragazzi di destra e di sinistra vittime delle cose che i cazzeggiatori di oggi scrivevano per guadagnarsi le prime pagine e per far carriera. Ora l’hanno fatta: e continuano a imperversare, dopo aver tranquillamente cambiato musica. Al servizio del Sciur padrun.

Nossignori: non ci sto. Intendiamoci, non sto proclamando nessuna guerra totale: molti di questi personaggi sono intelligenti, abili, perfino simpatici; magari hanno un sacco di buone qualità umane e individuali. Non mi sognerei mai di indicarli come candidati ad alcuna gogna e nemmeno di toglier loro il saluto: sarà che da buon cattolico allievo della Compagnia di Gesù sono un possibilista e non riesco a indignarmi delle debolezze umane e tanto meno a sentirmene estraneo; sarà che sto invecchiando. Tuttavia, non mi piace la loro abilità nel dir come se niente fosse quello che il Padrone vuole che tutti dicano e pensino e poi proporsi a capofila di quel che tutti dicono e vogliono sentirsi dire perché sono stati proprio loro a suggerirlo.

Sono sicuro che ogni uomo ha un prezzo e credo che pochi potrebbero dire in buona fede che, quanto a loro, non si venderebbero mai. Spesso chi non si è venduto lo ha fatto soltanto perché non ha mai trovato un compratore. Vorrei soltanto, per il rispetto dell’uomo che ho appreso da Platone, da Gesù e da Erasmo da Rotterdam, che ci si vendesse solo a prezzi altissimi, stratosferici: e qui mi sembra invece che stia crollando il mercato.

Una settanta-ottantina d’anni or sono, quando in Italia andava di moda il “Me ne frego!”, uno che la fronda la faceva sul serio e la pagava di tasca sua, Berto Ricci, scriveva su “L’Universale” - tanto caro a Indro Montanelli; e anche a me - che no, non era lecito, non si poteva proprio fregarsene, perche stavano succedendo nel mondo cose molto gravi.

Oggi le cose sono cambiate, ma il problema di fondo resta. Non c’e nulla da cazzeggiare. E il peggior cazzeggio odierno è quello di chi accetta di star con chi vince: è secondario che lo faccia per viltà o per furbizia o per interesse o perfino per ingenuità. Dalla persona di cultura e di pensiero ci si aspettano suggerimenti seri, che aiutino a vivere e a migliorare: il che oggi equivale a prender strade difficili, in salita. Se l’intellettuale rivendica un ruolo clownesco e salottiero, se accetta e anzi sollecita il suo ruolo di gadget inutile - ma strapagato - nella società dei consumi, se invita al cazzeggio come forma di filosofia esistenziale (e la forma piu ricercata e meglio retribuita del suo cazzeggio è oggi dar ragione al più forte, soprattutto perché il piu forte riesce bene a far creder di averla), allora si deve rispondergli chiedendogli a quanto ammontano i guadagni del suo cazzeggiare. Perché il cazzeggiator cortese appartiene - in questo nostro mondo globale - al tipo di persona disposto a giustificare che i l 15% della popolazione del pianeta gestisca l’85% delle risorse e gli altri vivacchino sulle briciole che restano. Sfido che, a chi si trova bene in questa condizione, gli venga il cazzeggio facile.

Ma chiedetelo agli altri. Chiedetelo ai kosovari, ai ceceni, agli irakeni, alla gente di Timor Est, ai disgraziati costretti a lasciare il loro paese per fuggir la miseria, chiedetelo alle folle diseredate e sfruttate d’Africa e d’America, chiedetelo ai bambini che muoiono di AIDS, chiedetelo ai poveri del sud del pianeta ai quali le multinazionali stanno vendendo a caro prezzo l’acqua potabile, da “diritto” degradata” a “servizio” per la gloria della Nestle, della Danone e della Coca Cola.

I diseredati, però, c’impartiscono una dura lezione. Quella che la vita non è un premio letterario, non è un festival, non è una battuta di spirito, non è una puntata del “Grande Fratello” o dell’ “Isola dei Famosi”. La Dittatura del Berluskariato ha semiaddormentato le coscienze e si e insediata su questo dormiveglia collettivo. E’ l’ora di svegliarsi. E il primo passo dev’essere, appunto, individuare Leccaculo e Cazzeggiatori: e chiamarli con i loro nomi, anche quando – soprattutto quando – sono Venerabili Mezzibusti Televisivi oppure Signori Professori

24 aprile 2010

La truffa dei derivati della Goldman Sachs



Quando la Security Exchange Commission, l’ente governativo di controllo dei mercati finanziari, ha contestato il reato di frode alla banca americana Goldman Sachs, non è stata una sorpresa. Al contrario. Si sapeva che presto o tardi qualche cosa di grosso sarebbe venuto a galla. I grandi finanzieri, più agguerriti che mai, da tempo erano tornati ai tavoli verdi dei giochi speculativi con i fondi dei salvataggi fatti dai governi e con i soldi presi a prestito a tasso zero.

La SEC ha denunciato la banca di New York di aver ingaggiato nel 2007 l’hedge fund di John Paulson, perché questo, insieme ad un altro ignaro selezionatore ACA, includesse nel paniere di un nuovo CDO (Collateralized Debt Obligation, una obbligazione speculativa), alcuni tra i titoli più a rischio del settore dei mutui subprime. Quel prodotto, chiamato Abacus 2007-AC1, fu in seguito dalla Goldman Sachs piazzato ai suoi clienti istituzionali, fondi pensioni, banche europee ed altri.

Nel contempo però lo stesso hedge fund J. Paulson & Co. apriva posizioni speculative al ribasso su sul CDO Abacus, scommettendo sul crollo del settore dei mutui casa. Mentre le famiglie perdevano la casa e le banche coinvolte nelle speculazioni dei crediti subprime andavano a gambe all’aria, Paulson incassava miliardi di dollari di profitti. La Goldman Sachs era consapevole delle truffa, anche perché, secondo la SEC, avrebbe ripetuto questo giochetto almeno altre 25 volte.

Che la Goldman Sachs fosse una “strana bestia”, lo avevamo già indicato da tempo. Infatti, essa compare per la prima volta a fine 2008 nel listino dell’istituto governativo “Office of the Comptroller of the Currency”, che include le grandi banche americane operanti sui mercati non regolamentati dei derivati. A quella data essa vantava derivati OTC per 30.200 miliardi di dollari, e a fine marzo 2009, cioè soltanto in tre mesi, ne aveva già 10.000 miliardi in più!

Oggi Goldman Sachs Group ha OTC per 49.000 miliardi di dollari a fronte di un valore reale dei suoi assets di 849 miliardi di dollari, cioè un cinquantottesimo Si ricordi che, nel mezzo della crisi finanziaria più grave e devastante della storia e mentre si gettava a capofitto nella speculazione in derivati, essa otteneva oltre 10 miliardi di dollari di aiuti TARP da parte del Tesoro. Intanto continuava a elargire bonus ai suoi manager per 4,8 miliardi.

Il crollo delle azioni della Gs sul mercato di Wall Street rischia di destabilizzare tutte le borse. La lobby delle banche è all’opera con il solito ricatto del too big to fail. Occorre, invece, fare subito luce su queste vicende, compreso il suo ruolo nel fallimento del colosso assicurativo AIG, che fu salvato con 180 miliardi di soldi pubblici, se davvero si vuole uscire dalle paludi delle crisi finanziaria ed economica globale.

La truffa della Gs è solo la punta dell’iceberg. I CDO sintetici e ad alto rischio sono stati manovrati anche dalla JP Morgan, dalla Citi Group e dalla Merrill Lynch negli Usa. Anche da altre banche in Europa, a cominciare dalla Deutsche Bank e dalla UBS svizzera.

I governi di Londra e di Berlino sono scesi in campo chiedendo, giustamente, informazioni alla SEC per valutare eventuali operazioni truffaldine della Gs anche nei loro paesi e nell’intera area dell’euro. Del resto il suo coinvolgimento nelle operazioni della Grecia di falsificazione dei bilanci, ne è la prova.

Naturalmente la Goldman Sachs non è l’unico lupo famelico!

Almeno due grandi banche europee, la ABN Ambro olandese, adesso parte della Royal Bank of Scotland, e la tedesca IKB, entrambe “golose” di CDO ad alto rischio, avevano enormi quantità di Abacus, perdendo oltre 1 miliardo di dollari per tali obbligazioni. Per la loro situazione di crisi complessiva, il governo tedesco e quello inglese hanno poi dovuto versare 83 miliardi di dollari di aiuti per salvarle dalla bancarotta.

Il presidente Obama nel suo ultimo discorso settimanale, riferendosi alla truffa della Gs, ha spinto a varare immediatamente la riforma finanziaria “per evitare gli eccessi compiuti con i derivati. Altrimenti si rischia di essere travolti da una nuova crisi”.

Non c’è più tempo da perdere. Servono le nuove regole e bisogna realizzare la Nuova Bretton Woods di cui tanto si è parlato.
di Mario Lettieri - Paolo Raimondi

23 aprile 2010

La Privatizzazione illecita

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Ogni volta che Frank Anderson parla nel modo come ha fatto in un forum pubblico recente a Washington D.C. sulle “funzioni statali di base eseguite da affaristi”, la gente l’ascolti bene.
Mr. Anderson è il presidente del Middle Est Policy Council, ma in passato è stato il capo del Near East e della South Asia Division della CIA.
Tale discussione - ritrasmessa da C-Span – animata Mr. Anderson, si è svolta tra studiosi noti e insicuri politicizzati attenti alla sicurezza nazionale in tale area tumultuosa del mondo.
A Mr. Anderson fu chiesto di Blackwater, la corporation discussa i cui profitti vengono dai contratti del Pentagono e del Dipartimento di Stato per fornire sicurezza al personale del governo USA in Asia occidentale e centrale e per compiere varie operazioni segrete che creerebbero una crisi d’identità con la CIA.
Blackwater si è messa nei guai per aver sparato a civili iracheni senza subire provocazioni.
I lavoratori della corporation sono coinvolti in missioni sensibili, come la recente esplosione suicida di 2 agenti in Afganistan.
Ancora una volta, la linea tra funzioni governative e aziendali non è solo confusa, essa ha cessato di esistere.
L’On. J. Schakowsky (D-IL) definì Blackwater un “trasgressore seriale che mette spesso in pericolo la nostra missione, le vite dei nostri militari e costa la vita a civili innocenti”. Lei chiese perché Blackwater è impiegata ovunque dal governo USA.
Originata dalle attività di sicurezza nazionale, proprio per incontrare le richieste di lavoro per le agenzie segrete, sta turbando molti membri attivi e in pensione della difesa nazionale e delle agenzie di sicurezza.
Le contrattazione aziendali, lanciate tanto tempo fa da R. Reagan, sembrano ancora inarrestabili.
Ci sono più contrattisti in Iraq e Afganistan che soldati degli USA. Sono oltre duecentomila e bisognerebbe continuare a contare.
La ragione di questi contratti è (1) maggiore efficienza, (2) maggiore talento e (3) maggiore flessibilità personale ogni volta che questa è necessaria.
Primo, buttate via l’idea dei risparmi fiscali.
Mr. Anderson stima che i costi siano da due a tre volte più alti quando le corporations fanno il lavoro.
Altre stime sono più alte, persino se il cibo contaminato e l’acqua da bere non spediti, le appropriazioni indebite e la frode che costringono i revisori del Pentagono a svegliarsi di notte, non sono inclusi.
Gli specialisti dell’acquisizione governativa accusano i politici di creare schiere e file di contrattisti con i loro contratti forti e complicati che dissipano le contabilità.
E’ un incubo kafkiano dell’idea di stato multinazionale.
Certo, tutto ciò ha condotto al cervello di governo e a un canale abile per le multinazionali che pagano molto di più del governo.
Un ciclo vizioso di incapacità e inganno esterno stabilizza e permette ai dipartimenti governativi di razionalizzare di più la fuga dagli enti.
“E’ impossibile che noi si possa aver permesso agli uomini di affari di compiere le funzioni statali”, ha detto Mr. Anderson, specialmente ha aggiunto nelle aree dei “servizi segreti e dell’applicazione della violenza”.
Allo stesso forum, Bruce Riefel, docente anziano di politica estera al Brookings Institution, ex agente CIA e specialista sul Middle East Affaire, ha concordato con Mr. Anderson, lamentandosi moltissimo delle schiere di parate e contratti.
I signori Anderson e Riedel non sono più soli.
Le loro idee riflettono spesso un cerchio più grande di professionisti governativi che hanno visto il fuggi - fuggi di massa di contrattisti governativi da DOD, CIA AID e NASA.
Il Congresso è impegnato a guardare in questa follia che dilata i deficit e fugge dai modelli di servizio pubblico e di valori.
Le possibilità di cambiamento?
Mr. Anderson ha detto “fissare questo richiederebbe cambiamenti rivoluzionari”. Tale obbiettivo può venire solo dalla gente proverbiale - sveglia e determinata.
Se questo non accadrà, quello che Franklin Delano Roosevelt chiamò fascismo nel 1938 - che è il controllo “corporate” del governo - stringerà la sua presa molto costosa.
La mentalità del governo “corporate” non è ristretta a Washington, D.C. I governi statali sono svuotati anche con una frode simile, sebbene meno devastante, e con una fuga dalle responsabilità.
Proprio l’altra settimana, il nuovo governatore della Virginia, R. F. McDonnell, ha annunciato che permetterà ai segretari del suo gabinetto di fare doppi giuramenti lavorando nei consigli di amministrazione di imprese commerciali. La Virginia è uno degli stati che permette un conflitto di interesse interno tra i doveri verso i cittadini e la lealtà a un profitto aziendale specifico. Così il suo nuovo Secretary of Commerce and Trade, Robert Sledd, continuerà a sedere in tre consigli aziendali.
Nel suo lavoro giornaliero, Sledd è responsabile di 13 agenzie che regolano la politica commerciale, secondo il Washington Post.
Da questo lato, sta nel consiglio di un’impresa del tabacco e in un affare di forniture mediche. Giù in Arizona, un nuovo scivolamento verso i fossati è pronto per verificarsi.
Accerchiato da un grande deficit statale, i dirigenti statali e il loro governo rifiutano di cessare il benefici aziendale e i relativi sgravi e sussidi fiscali.
Al contrario, hanno messo il cartello “vendesi” al palazzo statale di Arizona per realizzare $735 milioni e pagare dopo l’affitto agli acquirenti!! (Breaking News--Svendita fatta!)
Sono in vendita anche, tra le altre strutture, gli edifici del legislativo, il Department of Public Safety, le prigioni e il Coliseum statale.
Per gli psichiatri sociali e per gli economisti dell’efficienza: per favore aiutateci a capire.
Non avrebbero fatto meglio per i legislatori statali a vendere proprio le spalle delle loro giacchette agli inserzionisti delle imprese?
In tal caso come minimo, ci sarebbe la verità nello slogan!

di Ralph Nader

21 aprile 2010

L'Argentina sta saldando il debito del 2001, mentre la Grecia lotta





La Grecia fa di tutto per evitare di guadagnarsi la reputazione di Paese poco attento ai debiti, come l’Argentina dieci anni fa

Per scacciare i fantasmi del suo passato economico, l’Argentina ha proposto di pagare l’ultimo gruppo di creditori risalenti al suo crack finanziario da 100 miliardi di dollari di dieci anni fa, mentre la Greca si sta impegnando in una battaglia per evitare lo stesso destino. Il primo ministro greco George Papandreu ha detto questa mattina al parlamento che è sbagliato credere che la nazione, pur pesantemente indebitata, sia fallita, solo perché il Fondo Monetario Internazionale si è offerto di farla uscire dai guai.

Rappresentanti del FMI dovranno recarsi la prossima settimana ad Atene per discutere quali misure saranno necessarie a curare l’economia, dopo che il ministro dell’economia greco ha richiesto al Fondo e all’Europa che si metta a punto un piano di salvataggio da 45 miliardi di euro.

“Oggi c’è un meccanismo di aiuto dove prima non ce n’era nessuno” ha dichiarato Papandreu. “E’ un ancora di salvezza per la Nazione contro la speculazione finanziaria e una concreta manifestazione di aiuto da parte dell’Unione Europea. Il coinvolgimento del FMI non significa che il Paese sia in bancarotta. L’attivazione dei meccanismi dell’UE o del FMI sarà decisa a seconda degli interessi della nazione.”

La Grecia fa di tutto per evitare di guadagnarsi la reputazione di Paese poco attento ai debiti, come l’Argentina dieci anni fa. Nella notte il paese ha annunciato dettagli di un’offerta di scambio del debito che sta proponendo ai possessori di circa 20 miliardi di bonds ancora non pagati dal crack del 2001.

Il ministro argentino dell’economia Amado Badou ha detto che attraverso questa offerta il governo spera di “farla finita con la vergogna del 2001 una volta per tutte”. I creditori dovrebbero accettare uno sconto del 66.3 per cento sui loro investimenti ma le fluttuazioni della moneta fanno si che l’offerta valga circa 51 centesimi per dollaro. Il governo ha tentato di persuadere la maggior parte dei creditori ad accettare un accordo ai tassi del 2005 ma i titolari dei rimanenti 20 miliardi hanno cercato di ottenere un accordo migliore. Nei fatti, con gli interessi sopra il periodo, il gruppo di creditori deve ricevere più di 29 miliardi di dollari.

Giungere ad un accordo è cruciale per l’Argentina poiché è stata effettivamente tagliata fuori dai mercati negli scorsi nove anni, impossibilitata a chiedere nuovi fondi per paura che i creditori avrebbero preteso quei soldi. In passato, i creditori dell’Argentina hanno fatto ricorso ai tribunali cercando di ottenere la confisca di ogni bene, dai vascelli navali alle residenze diplomatiche.

Mentre il governo assicura di non dover chiedere ancora fondi, ci sono da pagare 15 miliardi di debiti di questo anno e ci sono già piani per una vendita di 1 miliardo in bond.
di Richard Wray

Titolo originale: "Argentina to repay 2001 debt as Greece struggles to avoid default "

Fonte: http://www.guardian.co.uk

20 aprile 2010

Signore e signori il signoraggio s'ignora


Oggigiorno in tutto il mondo, risultato legalizzato di una continua evoluzione durata molti secoli, tutta la massa monetaria viene creata da un unico ente emittente: il Sistema Bancario, ovvero l’ insieme delle Banche Centrali e delle Banche Commerciali e d’ Affari concatenate secondo uno schema piramidale.
Tale moneta viene emessa esclusivamente con le seguenti caratteristiche contemporanee:

- come un debito, ovvero in contropartita a titoli di debito emessi dal richiedente, cioè PRESTANDO;
- senza alcuna contropartita economica, ovvero semplicemente STAMPANDOLA su carta filigranata o DIGITANDOLA al computer (moneta nominale), quindi creandola letteralmente DAL NULLA e perciò diventando una falsa cambiale;
- pretesa di GARANZIE REALI (beni, stipendi, rendite, prelievo fiscale, ecc.) dal debitore SOLTANTO, chiunque esso sia (privati, imprese, Stati e altre Pubbliche Amministrazioni), anziché dall’ ente emittente-prestatore stesso;
- pretesa di pagamento di un interesse e di restituzione del valore nominale del debito monetario contratto;
- distruzione del valore nominale della moneta restituita in quota capitale - moneta-debito dissipativa - e percepimento dell’ interesse restituito (solo esso verrà poi eventualmente tassato), a conferma del fatto che la massa monetaria per il prestito era stata creata dal nulla;
- vincolata metodologicamente e quantitativamente a nessun dato oggettivo se non alle decisioni segrete, inappellabili, autoreferenziali e antidemocratiche prese dal Sistema Bancario che esso solo detiene la sovranità monetaria.

Da siffatta modalità di emissione monetaria si deducono pesanti illeciti e/o conseguenze sul Sistema Uomo + Mondo.

1) Truffa. Si pretende la restituzione NON DOVUTA di un falso debito - a prescindere dal fatto che successivamente si distrugge la moneta restituita sul valore nominale del falso prestito - sul quale si fanno pagare pure gli interessi: essendo tutta la moneta-debito creata dal nulla, il sistema economico reale è obbligato a restituire a un FALSARIO moneta ottenuta lavorando sul mercato dei beni e dei servizi reali, quindi il guadagno - il SIGNORAGGIO - del Sistema Bancario è INFINITO. Il Sistema Bancario si AUTOCREA POTERE D’ ACQUISTO poiché compra a costo zero beni e servizi con gli interessi truffati e con i pignoramenti in caso di insolvenza del falso debitore, senza mai dimenticare che quest’ ultimo restituisce in ogni caso moneta frutto del suo lavoro a un falsario che poi ne procede alla distruzione (debito dissipativo).

2) Usura. Siccome all’ atto dell’ emissione il Sistema Bancario crea una moneta NOMINALE (valore intrinseco pressoché nullo) e la ADDEBITA, così facendo esso si appropria del valore della misura monetario senza fare alcunché poiché l’ atto del prestare è prerogativa del proprietario e contemporaneamente si contravviene al principio logico per cui chi dà valore indotto a una moneta nominale è chi la accetta e NON chi la emette: quindi il costo del denaro è del 200% all’ origine senza nemmeno contare gli interessi poiché si addebita la moneta emessa che invece dovrebbe essere al contrario data in proprietà al portatore-accettatore - moneta-proprietà - accreditandola o a titolo gratuito (reddito di cittadinanza) o contro cessione di beni/servizi; infine il pagamento degli interessi è la seconda usura applicata alla prima già enorme.

3) Falso in bilancio legalizzato. L’ appropriazione monetaria viene occultata postando la moneta emessa al passivo dello stato patrimoniale del bilancio bancario annullando in partita doppia il valore nominale del credito maturato verso il falso debitore e postato all’ attivo.

4) Istigazione al suicidio da insolvenza. E’ ovvio che, essendo la moneta-debito bancaria una moneta con le caratteristiche intrinseche della rarità a causa del debito dissipativo e del controllo unilaterale, dittatoriale e autoreferenziale da parte del Sistema Bancario (anemia monetaria programmata), è matematicamente impossibile per la gran parte dei debitori onorare le scadenze per insufficienza di moneta nel sistema economico: questi sono costretti a scegliere tra l’ indigenza, la disperazione e il suicidio per onorare un debito pure non dovuto al 100%.

5) Incostituzionalità del Sistema Bancario e della moneta solo come debito. Violazione della Costituzione Italiana negli Articoli 1, 42, 43 e 47, della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e del Trattato di Maastricht insieme alla precedente consuetudine della riserva in oro.

6) Non si muove foglia che il Sistema Bancario non voglia. E’ paradossale che l’ economia reale sia ferma o precipiti con danni sociali incalcolabili per la sola mancanza di elettroni o di carta filigranata gestiti dittatorialmente dalle banche: è come dire con parole del poeta Ezra Pound che un ingegnere non può costruire strade per mancanza di chilometri.

7) Aumento continuo dei costi economici reali: moneta-debito-costo. Poiché tutta la moneta nasce solo come debito, ogni sua emissione inietta nell’ economia reale un costo aggiuntivo di pari valore - la TASSA DA RESTITUZIONE MONETARIA - e aggravato dalla quota interessi - la TASSA SULLA TASSA DA RESTITUZIONE - che obbliga tutto il sistema economico ad AUMENTARE i prezzi e/o a TAGLIARE tutti gli altri costi, cioè salari, forniture, investimenti, misure antinquinamento, stato sociale, ecc., generando inoltre inflazione per natura poiché viene regolarmente falcidiato il potere d’ acquisto dei redditi.
Di conseguenza avere ampie zone del Pianeta a costo economico quasi zero per materie prime, lavoro, salute umana e preservamento ambientale diventa OBBLIGATORIO e i regimi autoritari e le dittature militari fantoccio che controllano tali territori – il c.d. Terzo Mondo e i c.d. Paesi in via di sviluppo - sono NECESSARI a mantenere tali queste gigantesche discariche di costi su scala mondiale e per garantire una parvenza di benessere ai c.d. Paesi sviluppati in quanto si presenta quasi come il benessere dei polli in batteria.
Infatti il debito verso il Sistema Bancario è tra tutte le passività quella a massima esigibilità e a minima negoziabilità.

8 )Fisco. Gli Stati Nazionali e le altre Pubbliche Amministrazioni essendo quindi privi di sovranità monetaria si vedono costretti a imporre tasse di ogni tipo in quanto SOLO riciclando la poca moneta già circolante nel sistema economico si garantiscono i servizi di pubblica utilità, anziché procedere a creare moneta a costo zero per sé e senza alcuna formazione di Debito Pubblico. Viene da secoli fatta passare l’ idea che le tasse servono a finanziare la spesa pubblica senza contemporaneamente dire che… sono assolutamente inutili in quanto basterebbe copiare quello che già fa il Sistema Bancario: creare moneta sovrana a costo zero. L’ imposizione fiscale statale è pura conseguenza della presenza del Sistema Bancario come unico sovrano sulla moneta oltre che garanzia di solvibilità sullo stesso Debito Pubblico e diventa una delle principali forme coercitive di controllo sociale: indirizzamento economico-ideologico e stress e classizzazione del tessuto sociale.
Inoltre il sistema fiscale è deleterio anche perché è inflattivo in tutti i casi in cui aumenta il suo prelievo, imponendo un costo monetario.
Infine una parte delle entrate pubbliche ordinarie (circa il 10% nel caso dell’ Italia) serve a pagare interessi di continuo ed estinzioni di titoli saltuarie al Sistema Bancario che è il principale proprietario del Debito Pubblico. Questa è una delle fonti di lucro a costo zero del Sistema Bancario e funge da garanzia in caso di insolvenza generalizzata del settore privato o peggio di tragicomici salvataggi delle stesse banche prestatrici. Infatti il portafoglio delle Banche Centrali è composto generalmente da titoli di debito statali vista la loro alta solvibilità.
Lo Stato così concepito è un semplice fantasma giuridico utilizzato per servirSI anziché per serviRE.

9) Crisi economiche e fallimenti INELUTTABILI. E’ ovvio che la moneta-debito-costo dissipativa somiglia nel complesso a un osso lanciato in un canile pieno di cani affamati e arrabbiati che si azzannano solo per l’ idea di avere quell’ unico osso, una riedizione moderna della rarità aurea. Infatti il sistema economico nel complesso è costretto a barcamenarsi avendo a disposizione la poca moneta circolante e mantenuta rara nella media attraverso le continue operazioni di iniezione (creazione) e ritiro (distruzione) monetario attuate dal Sistema Bancario: perciò le crisi NON sono causate dalla mancanza di beni e servizi ma dalla mancanza di moneta per comprarli.

10) Monopoli, Mafie e Mangiatoie pubbliche e private. Siccome la moneta-debito-costo dissipativa emessa dal Sistema Bancario è inesorabile nelle sue caratteristiche poc’ anzi descritte, come sono fisiologiche le discariche di costi globali così pure diventa fisiologica la formazione di Monopoli privati o pubblici, di sistemi corruttivo-clientelar-familistici e di associazioni a delinquere nazionali e sovrannazionali: infatti, siccome la rarità monetaria viene fatta passare SOLO attraverso i canali della produzione di beni e servizi, l’ accesso al potere d’ acquisto monetario diventa raro di conseguenza e perciò in tali condizioni di alto stress competitivo economico chi arriva per primo sulle informazioni non può che puntare sulla creazione di un’ oligarchia ben organizzata - cartelli e monopoli - in ogni settore produttivo poiché solo essa consente in condizioni di anemia monetaria di ottimizzare i profitti, minimizzare i costi e stabilizzare nel tempo un dato profitto (eliminazione della concorrenza). In tale sistema monetario e sociale si alimentano bisogni e paure a circolo vizioso e funzionali al mantenimento in anestesia totale o menomazione della mente umana e chi ottiene il controllo di settori di business come quello dei media e degli stupefacenti (completamente sovvenzionati e supportati dal Sistema Bancario e dalla classe dirigente) si ritrova in una condizione di privilegio monetario praticamente permanente in termini di copertura di mercato e di abbattimento/ottimizzazione di costi/profitti tipico dei Monopoli legalizzati.
La scorciatoia monetaria di arricchimento del Sistema Bancario alimenta col debito-costo e con l’ anemia monetaria tutte le altre scorciatoie al miglioramento del potere d’ acquisto contro la fatica competitiva e contro l’ aumento dei costi: monopoli, corruzione istituzionale endemica (tangenti e clientelismi), grandi organizzazioni malavitose e illegalità diffusa già a basso livello. In definitiva si creano a cascata altre forme di signoraggio, cioè ottenere il massimo con la minima spesa emulando il Sistema Bancario.
Inoltre il Sistema Bancario ha interesse a prestare moneta proprio a chi dà le massime garanzie di restituzione del debito e/o di remunerazione di interessi e a chi se non a enti e società pubbliche o private che gestiscono monopoli naturali e artificiali e cartelli industriali in settori economici strategici? Come per esempio quelli bellico, chimico, farmaceutico, agroalimentare, energetico o dei trasporti… senza contare l’ opzione per le stesse banche di entrare direttamente al controllo dei cartelli multinazionali.

11) Moneta come massima forma di droga per il controllo sociale a livello planetario. Chi stenta alla competizione economico-sociale data dallo scannamento sull’ osso monetario viene considerato dal gregge inconsapevole un outcast, un reietto, un fannullone, un parassita, un indegno di vivere anche solo perché mette in dubbio le “certezze” della massa inquadrata e chi magari una volta tentata la competizione non riesce in qualche modo a posizionarsi secondo le aspettative viene pubblicamente deriso e umiliato. Da secoli infatti il concetto di dare denaro SOLO in cambio di lavoro è imposto come IGNOBILE DOGMA (anziché concepire il lavoro come semplice attitudine spontanea deideologizzata) che impedisce al pubblico di capire che la moneta acquista valore per convenzione sociale SENZA LAVORARE e ha la SOLA funzione di misurare il valore dei beni/servizi misurabili senza veicolare valore intrinseco e senza alcuna riserva depositata.
Nel Sistema del Debito Dissipativo il lavoro diventa un concetto ideologico imposto dalla NECESSITA’ di reperire moneta pena la propria esistenza fisica: ogni mansione diventa speculazione difensiva. In tale girone infernale lo stress sociale è ineliminabile perché BANALMENTE e TRAGICAMENTE creato all’ origine a livello monetario. Ogni altro male sociale è un semplice cascame dello stress economico-monetario.

12) Moneta come massima forma di divisione classista della società. Da quanto precedentemente rilevato, risulta che nel Sistema Piramidale del Debito Dissipativo implementato dittatorialmente dal Sistema Bancario la divisione della società in classi è intrinseca e ingessata: i pochi che raggiungono i piani intermedi e i pochissimi che stanno al vertice della piramide monetaria tendono a rimanervi perché vedono il parassitismo finanziario corporativo o verticistico che li caratterizza come la miglior forma di autosostentamento e di speculazione economica in quanto la ricaduta sugli stessi con gli interessi di tutti i danni umani e ambientali causati dal Sistema ha tempistiche molto più lunghe rispetto alla massa che vive ai piani bassi della stessa piramide e che ambisce a salire di livello. Il motivo per continuare così diventa mors tua vita mea: l’ Umanità non può che diventare cattiva con se stessa non avendo altra alternativa che la guerra economico-monetaria permanente.
Mediamente nella quasi totalità dei casi si perde ma la gente continua imperterrita, perché obbligata, a giocare alla Roulette del Debito in cui, ironia delle parole, il Banco vince sempre: è ovvio che il Banco vince perché… produce letteralmente le situazioni e le informazioni.
Il trucco psicologico del Banco sta nel creare la generica aspettativa di un futuro roseo attraverso copiose elargizioni monetarie iniziali, riproducendo dopo ogni disastro l’ allucinazione di un nuovo Far West da predare spostando artatamente più a Ovest la costa del Pacifico.
di Vito Zuccato

19 aprile 2010

Banksters, un po` di fumo negli occhi

http://trendsupdates.com/wp-content/uploads/2009/02/goldman-sachs.jpg


Anche nella patria dei banksters qualcosa si muove.
La Goldman & Sachs, la potente banca d’affari protagonista di scempii sociali e finanziari e della bancarotta delle produzioni nazionali di mezzo mondo, è sotto accusa negli Stati Uniti per frode. Le sue azioni colano a picco perché la Sec, l’organo di controllo federale sulle borse Usa, ha accusato la Goldman di aver creato e venduto prodotti finanziari “collaterali” - detti “cdo” - fasulli e di più che dubbio rendimento agganciati a quei mutui subprime che nell’autunno 2008 hanno travoltoi e devastato le economie anglo-americane trascinando a ruota nel disastro mezzo Occidente.
Siamo tuttavia certi che dopo l’attuale clamore di “propaganda” farà seguito la consueta doccia fredda del prevedibile “nulla di fatto” e cioè del salvataggio della banca dei banksters (non a caso le famiglie Goldman-Sachs e Schapiro - Mary Schapiro è l’attuale governatrice della Sec, nominata qualche mese fa da Obama - sono strettamente collegate).
Tuttavia, a esclusivo beneficio dei nostri lettori, vogliamo ricordare qui brevemente, a futura memoria, tre o quattro eventi e alcuni protagonisti delle performances della Goldman & Sachs.
1869. Fondata da Marcus Goldman. 27 anni dopo, associato il genero Samuel Sachs viene quotata al New York Stock Exchange.
1929. La G%S è già una delle quattro cinque istituzioni finanziarie che governano Wall Street. Rischia il fallimento per aver piazzato “fondi di investimento” privi di rendita. L’anno dopo il socio partener Sydney Weinberg ristruttura l’istituto di lucro che indirizza le sue attenzioni alle aziende e ai servizi. Inventa obbligazioni (prestiti a usura) che intervengono, per fare profitti, sui bilanci e sulle casse dei Comuni Usa. La nuova “guida” degli anni ‘50, Gus Levy, crea il marchingegno della compravendita “serrata” di azioni diretta a rastrellare il risparmio di piccoli investitori priuvati. Negli anni ‘80 diventa la principale “consulente” per “aiutare” i processi di privatizzazioni delle aziende pubbliche nel mondo.
1992. “Gita” nel Britannia, il panfilo della Regina, al largo di Civitavecchia. Assieme all’anfitrione governatore d’Inghilterra e al proprio “agente” Georges Soros, ospiti gli Andreatta, i Draghi e gli altri nomi eccellenti della nascente “seconda repubblica italiana”, pianifica un mega-profitto sulla speculazione sulla lira, che verrà svalutata - misteriosamente troppo tardi - da Ciampi, e uscirà dallo Sme. Quindi avviene il sacco più totale delle grandi aziende strategiche italiane, dalle tlc ai trasporti, all’energia, tutte svendute e privatizzate al peggior offerente. Operazione che verrà pianificata anche in altre nazioni del mondo, in Europa (contro la sterlina) e nell’Asia del sud est (Soros verrà condannato a morte in Malesia per tali operazioni).
Qualche altro nome noto, della sua organizzazione.
Naturalmente Mario Draghi, l’attuale governatore di Bankitalia, vicepresidente di G&S; Romano Prodi, “consulente”; Mario Monti (già commissario Ue); Massimo Tononi (sottosegretario del governo Prodi); Gianni Letta (sottosegretario del governo di Berlusconi. E poi un elenco senza fine di governanti Usa: da Robert Rubin a Henry Paulson, daRobert Zoellich e William Dudley (Fed) e così via.
Ora i suoi titoli stanno andano a picco.
Peccato che, passata la tempesta, verrà salvata.

di Ugo Gaudenzi

16 aprile 2010

COMPETITIVAMENTE AL COLLASSO

Economia A CURA DEL CLUB ORLOV

Ci stiamo confrontando con un periodo di collasso economico, politico e sociale. Ogni giorno che passa ci avvicina sempre di più a questo collasso e non sappiamo nemmeno come fermarci, vero? Ma, quale parte della frase “più duramente ci si prova, più duramente si cade” non capiamo? Perché non siamo in grado di capire che ogni dollaro in più di debito ci porta sempre più velocemente, più duramente e più profondamente verso la bancarotta? Perché non riusciamo ad afferrare il concetto che ogni dollaro investito in spese militari mina la nostra sicurezza? Esiste per caso qualche sorta di debolezza mentale che ci impedisce di capire che ogni dollaro che finisce nell’industria medica ci rende solo più malati? Perché non riusciamo a vedere che ogni figlio messo al mondo in questa situazione insostenibile renderà solo la vita più difficile a tutti i bambini? In breve, quale diavolo è il nostro problema?

Perché non ci fermiamo? Possiamo dare la colpa all’evoluzione, che ha prodotto in noi degli istinti che ci obbligano ad ingozzarci quando il cibo è abbondante, a costruirci riserve di grasso per i periodi di magra. Questi istinti non ci sono utili quando ci si trova in uno di quei buffet sempre aperti.

Questi istinti non sono nemmeno del tutto nostri: anche altri animali non sanno quando fermarsi. Le farfalle banchettano con la frutta fermentata fino a quando non sono troppo ubriache per volare. I maiali continuano a mangiare ghiande fino a quando non sono troppo grassi per stare in piedi e sono costretti a carponare sulla pancia per, ovviamente, riuscire a mangiare altre ghiande. Gli americani che sono troppo grassi per camminare sono considerati come dei disabili e il governo li ha dotati di scooter motorizzati affinché non provino l’umiliazione di carponare sulle loro pance fino ad un buffet all-you-can-eat. Un progresso considerevole.

Oppure diamo colpa alla nostra educazione che mette il ragionamento matematico in cima al senso comune. La matematica fa uso dell’induzione – cioè l’idea che se uno più uno fa due quindi due più uno deve fare tre e così via fino all’infinito. Nel mondo reale, contando le ghiande, una ghianda più una ghianda non è lo stesso di un milione di ghiande più una – non se ci sono scoiattoli che ci girano attorno, soprattutto una volta scoperto che siete stati voi i primi a rubare le loro ghiande. Un milione di ghiande è semplicemente una quantità impossibile da portarsi via e voi siete concentrati invece a trovare il modo per aggiungerne ancora una alla pila mentre state combattendo contro gli scoiattoli facendo venir voglia ai bambini di iniziare a deridervi con nomi stupidi. La pila di ghiande cresce, ancora più di quanto previsto ma in questo modo non state facendo altro che commettere un errore sempre più grande dimostrando che 1.000.000 + 1 è effettivamente 1.000.001 - ∂, dove ∂ è il numero di ghiande di cui avete perso le tracce, chissà dove. Una volta che ∂ > 0, voi avete in realtà messo da parte qualcosa che è in diminuzione e una volta che ∂ > 1 avrete un vero e proprio risparmio negativo. Nella realtà dei fatti, per quanto pensiate possa questo essere un grande numero, nella realtà, si rivelerà sempre più piccolo. Come risultato può non essere soddisfacente e non ci sono teorie a supporto di questa tesi ma, in compenso, è qualcosa che si può osservare ovunque. Il fatto è che non siamo in grado di spiegare tutto ciò che succede usando solo il nostro cervellino da primate ma questo non rende i fenomeni meno reali.

Il concetto di risparmio decrescente è abbastanza semplice da comprendere e da osservare, eppure è notoriamente difficile da percepire dalle persone che stanno cercando di ottenerlo. Il punto centrale del risparmio decrescente effettivamente è difficile da individuare perché ci siamo allontanati talmente tanto da quel punto da non essere in grado di riconoscere niente. Se voi ora beveste un drink sapreste dirmi quando sarete al punto di ottenere un risparmio decrescente? Un altro drink vi renderebbe più felici e socievoli o non farebbe poi molta differenza? Oppure vi causerà un imbarazzante dopo-sbronza? O ancora, vi farà arrivare al pronto soccorso perché avete respirato il vostro vomito? Come regola generale, più di quanto possiate pensare, tutto dipende dalla difficoltà per voi di tracciare delle sottili distinzioni tra tutte queste cose. Questa regola non è legata solo al bere ma si può applicare a quasi tutti i comportamenti legati alla produzione di euforia o alla semplice soddisfazione dei bisogni. La maggior parte di noi è in grado di fermarsi prima di bere troppa acqua o mangiare troppo porridge o di accatastare troppe balle di fieno. Invece tendiamo a commettere degli errori con l’autocontrollo quando si parla di cose particolarmente piacevoli o che causano assuefazione come droghe, tabacco, alcol e cibi particolarmente gustosi. In più tendiamo a perdere completamente l’autocontrollo quando quest’iniezione di euforia riguarda aspetti sociali quasi intangibili come l’ingordigia, la ricerca di uno status, il potere e così via.

Questo è il meglio che siamo in grado di fare? Assolutamente no! La cultura umana è piena di esempi in cui le persone decidono di opporsi con successo a queste tendenze primitive. Gli antichi greci fecero della moderazione una virtù: il tempo di Apollo a Delfi porta l’iscrizione “Niente in eccesso”; la tradizione taoista si basa sull’idea di equilibrio tra lo ying e lo yang, forze apparentemente in contrasto ma che in realtà lavorano insieme per mantenere questo equilibrio. Anche nella moderna cultura dell'ingegneria esiste il motto “Il meglio è nemico del bene” (Voltaire) sebbene, sfortunatamente, gli ingegneri abbastanza bravi da rispettare questo motto siano una rarità. A livello microscopico il business che li circonda li forza perennemente ad ottenere il massimo (inteso come massima crescita, reddito e profitto) o un minimo poco intelligente (di costi, di ciclo di produzione e di manutenzione); sono costretti a fare questo a causa dell’influenza di un pernicioso concetto che si è insinuato in loro e in molti altri aspetti della cultura: il concetto di competizione.

Il concetto di competizione sembra essere stato il primo ad elevarsi allo status di culto al tempo dei giochi intesi come forma di sacrificio agli dei, in culture molto differenti come quella dell’antica Grecia o dei Maya, in cui gli eventi competitivi erano concepiti come mezzo per compiacere gli dei. Io preferisco decisamente la versione olimpica, in cui il principio ispiratore del gioco era l’ideale di perfezione umana sia nella forma che nella funzione, rispetto a quella dei Maya, in cui risultato dei giochi era il modo per decidere chi sarebbe stato sacrificato sull’altare di qualche particolare archetipo culturale, ma essendo abbastanza di mentalità aperta sono in grado di accettare anche questo principio come valido. È stato Aristotele a sottolineare che l’inseguimento del principio primo non è un’area in cui la moderazione non può essere d’aiuto, e chi sono io per contraddire Aristotele? Ma quando ci si sposta dal difendere un ideale o un principio alla vita mondana, pratica e utilitaristica, è l’idea stessa della competizione che dovrebbe essere vista come un’offerta buona, calda e gustosa sacrificata sull’altare del nostro buon senso.

Se il fine è conseguire un successo adeguato con uno sforzo minimo, perché due persone dovrebbero competere per uno stesso lavoro? E se esiste abbastanza lavoro per tutti e due perché questi non dovrebbero collaborare invece di sprecare energie nella competizione? Beh, forse ad entrambi è stato fatto il lavaggio del cervello che li ha portati a pensare di dover competere per avere successo, ma non è questo il punto. Il punto è che c’è una grande differenza tra il competere per rispondere ad un principio come quello della perfezione divina e il competere per il mero denaro. Non c’è niente di divino in una montagna di soldi e, proprio come per una montagna di ghiande, gli scoiattoli attratti saranno molti; infatti chi si trova seduto su una qualche pila di ghiande spesso sembra egli stesso uno scoiattolo. Mischiando un po’ di metafore si può dire che sembri una gallina che sta arrostendo sulla sua pila di ghiande non aspettando altro che quella si trasformi in più ghiande ancora; ma sia che siano scoiattoli o galline certamente non si tratta di divinità e le loro ghiande non valgono certo il nostro sacrificio.

Una volta dispensata l’idea che la competizione è qualcosa di necessario, o addirittura auspicabile, si aprono nuove scuole di pensiero. Quando si può dire di possedere abbastanza? Probabilmente è molto meno di quanto possediamo in questo momento. Quanto duramente bisogna lavorare per riuscire ad ottenere questo risultato? Probabilmente molto più duramente di quanto stiamo lavorando adesso. Cosa succede se non sentiamo di possedere abbastanza? Beh, probabilmente sarebbe il caso di metterci un po’ più di impegno, oppure forse è arrivato il momento di prendersi qualche ghianda da chi continua ad averne troppe. Dato che possedere troppo è un lavoraccio (maledetti scoiattoli!) noi dobbiamo prestare loro il nostro aiuto. Di certo non a diventare come loro, dato che noi sappiamo che quelle persone si stanno dirigendo verso un pittoresco, esclusivo, piccolo posto chiamato collasso. Quello che probabilmente potremmo fare è invece stabilire una specie di bilancia, in cui abbastanza è effettivamente abbastanza.

Titolo originale: "Collapse Competitively"

30 aprile 2010

E gli economisti sbagliano ancora




Gli economisti? Bravissimi. Dopo. Prima, molto meno. Sbagliano, eccome se sbagliano. Ieri, tantissimo. Oggi, altrettanto.
È come se venisse proiettato lo stesso film, cambiano i Paesi e le situazioni: Wall Street nel 1987, l’Asia dieci anni dopo, i mutui subprime nel 2008, ora la Grecia e con ogni probabilità, Spagna e Portogallo. Ma il finale è sempre lo stesso. Gli economisti elaborano tabelle, scenari, si consultano, producendo previsioni basate sul cosiddetto «consenso di mercato». Ma alla fine fanno cilecca.
E tu, risparmiatore, soffri. Vai in banca, chiedi spiegazioni al tuo gestore, lui si difende e allargando le braccia ricorda che non è l’unico a sbagliare, perché tutti hanno fatto le stesse scelte, seguendo gli stessi orientamenti suggeriti dai nomi, dai grandi nomi, che fanno tendenza. Ma l’ha detto Tizio... ma l’ha detto Caio... Chi poteva prevederlo... E il bello è che ha persino ragione.
D’accordo, l’economia non è una scienza esatta e la storia dimostra che tutti i grandi teorici del passato quando sono passati dalla teoria alla pratica si sono rivelati dei pessimi investitori, inclusi Einaudi e diversi premi Nobel, con le sole eccezioni di Ricardo e, in parte, di Keynes. Ovvero: non affidare i tuoi soldi a un professorone. Quasi certamente non ne farà buon uso. E infatti nessun premio Nobel è diventato miliardario.
Ma da loro, così come dai grandi esperti di finanza, ti aspetteresti un grado di attendibilità più elevato. E un po’ più di coraggio. Hanno diritto a delle attenuanti, d’accordo. I mercati di oggi sono molto complessi, la speculazione possiede una potenza di condizionamento che non ha precedenti nella storia e questo favorisce movimenti bruschi e repentini. Ma perché gli economisti sbagliano sempre tutti assieme?
Non tutti, a onor del vero. Ogni crisi ha il suo eroe, qualche analista o gestore che, andando controcorrente, è riuscito a vedere quel che gli altri nemmeno consideravano. Roubini, ad esempio, nel 2007 veniva deriso dai colleghi; eppure è stato uno dei pochissimi ad aver annunciato la crisi dei subprime. Anche oggi qualche voce libera si è alzata per tempo, pronosticando la bufera in Europa, come quella dello svizzero Hummler.
Ma alla fine nulla cambia. Passata la crisi torna tutto come prima. E la maggior parte degli economisti riprende a muoversi in gregge. Perché? Sono modesti? In teoria è possibile, ma in realtà improbabile; da qualche anno le facoltà di economia e finanza drenano alcune delle menti più brillanti, attratte da stipendi stratosferici. Qualcuno li considera alla stregua di meteorologi o di cartomanti. Ne ha il diritto. Ma non serve a capire come va il mondo.
Perché questo è il punto. Com’è possibile che in una società liberale come la nostra prevalga, tra gli economisti, il pensiero unico? Perché sono così facilmente condizionabili? Domande a cui è difficile rispondere, ma che vanno analizzate in un contesto più ampio. Quello a cui assistiamo non è il semplice fallimento degli economisti in genere, ma di un sistema, che pur scosso da crisi incredibili è ancora incapace di correggere le sue storture.
Prendiamo le agenzie di rating, che danno i voti a chi emette titoli di Stato e obbligazioni. Sono finanziate dalle società che poi sono chiamate a giudicare, hanno commesso errori colossali, mantenendo doppie e «triple A» a compagnie come Enron e Lehman Brothers fino al giorno del fallimento, l’anno scorso sono emersi intrecci finanziari sconcertanti, connivenze eclatanti. Venivano giudicate inattendibili e manipolabili. È passato un anno e mezzo dalla crisi dei subprime. E nulla è cambiato. Avevano promesso riforme, non ci sono state. Moody’s e Standard & Poor’s non hanno più credibilità. Dovrebbero essere ignorate. Eppure continuano a condizionare i mercati. Le bufere sulla Grecia e negli ultimi giorni su Portogallo e Spagna si sono alzate quando loro hanno abbassato i rating. Manco fosse un giudizio divino.
Quella degli economisti, oracoli bislacchi, non è l’unica anomalia di questa strana epoca.
di Marcello Foa

29 aprile 2010

I numeri delle bugie


.Ogni volta che parlo di uscita dall' Euro, arrivano i soliti a dire che uscendone ci sarebbe una difficolta' nel comprare materie prime quotate in dollari. Questa e' un'altra bugia che viene sempre dal terzetto Prodi, Amato, Ciampi, ovvero quella secondo la quale l'euro sarebbe stato una moneta piu' forte della lira. Mantenere questa apparenza e' facile per la cifra alta 1936,27 . Ma nessuno si pone il problema: con un euro possiamo comprare di piu' o di meno che con 1936,27 lire?
Andiamo a vedere che cosa successe, numeri alla mano.

Ad un certo punto, dopo aver praticato una svalutazione, la lira rientra nello SME. Da quel momento in poi, inizia quello che in pratica sarebbe diventato il cambio dollaro/euro. Da quel momento, il cambio Lira/Dollaro NON FA CHE PEGGIORARE.
1986 (31 dic. minimo1351) 1490
1987 (31 dic. minimo 1169) 1296
1988 (media dell'anno) 1301
1989 (media dell'anno) 1372
1990 (shock Iraq-Kuwait)) 1198
1991 (media dell'anno) 1240
1992 (media dell'anno) 1228
1993 (media dell'anno) 1571
1994 (media dell'anno) 1611
1995 (media dell'anno) 1629
1996 (Italia rientro SME) 1533
1997 (media dell'anno) 1702
1998 (media dell'anno) 1736
1999 (media dell'anno) 1840
2000 (media dell'anno) 2100
2001 (media dell'anno) 2196

Allora, adesso vorrei sapere dai signori farlocchi che continuano a straparlare di zona euro come zona "forte", in che modo ci si sarebbe guadagnato sui cambi internazionali e sugli acquisti.
Quello che IO vedo da questi numeri e' che rientrando nello SME la lira ha perso il 30% e rotti del proprio potere di acquisto sulle materie prime, come petrolio ed altro, ovvero tutto cio' che viene pagato in DOLLARI.
Questa e' la prima bugia del terzetto Prodi, Amato, Ciampi: l'eurozona, tramite la sua presunta "forza" , ci avvantaggerebbe nell'acquisto di beni in dollari. PALLE. Pur mantenendo le condizioni dello SME, la lira ha PERSO rispetto al dollaro.
Se qualcuno cioe' si illude che usando l'euro possiate comprare piu' petrolio o piu' cose quotate in dollari, vi sbagliate di brutto. Usando un euro, comprate MENO petrolio di quello che prima compravate con 1936,27 lire.
Adesso facciamo il punto della situazione: quando l' Italia entra nello sme, con 1500 lire si compra un dollaro. Quando l'euro viene distribuito a banche e poste, vale tra gli 0.8 e gli 0.9, cioe' tra le 2300 e le 2400 lire. Mi dite ancora che ci abbiamo guadagnato?
Ovviamente i farlocchi verranno a dirci che in questo hanno pesato le politiche di svalutazione e valutazione americane. Il che e' FALSO.
La politica del "dollaro forte" inizia, da parte degli USA, il 13 marzo del 1979, e finisce nel settembre 1985, con gli accordi del Plaza. Da quel momento, il dollaro si e' SEMPRE deprezzato. SEMPRE. O meglio, ha sempre perso potere d'acquisto rispetto al petrolio.
L'unica area verso la quale si e' apprezzato e' quella dell'euro.
Ma attenzione, perche' adesso i farlocchi vi diranno che "ma dopo il 2001, l'euro ha superato il dollaro".

Palle. E' il dollaro che si e' deprezzato, causando aumenti mostruosi ovunque.Con un euro , oggi, comprate MOLTO MENO petrolio di quello che , prima di entrarci, compravamo in lire.
Tuttavia, mi dicono, l'euro ha superato il dollaro. Non esattamente: e' crollato il dollaro.
A voler essere precisi, il sorpasso dell'euro sul dollaro inizia esattamente il sei dicembre 2002, quando va a 1,0119 dopo le dimissioni del segretario al Tesoro Paul O'Neill e del consigliere economico della Casa Bianca Lawrence Lindsey.
Da quel momento, il valore del dollaro in termini di potere d'acquisto finisce sotto i tacchi. Il fatto che l'euro da quel momento cresca modestamente sul dollaro NON cambia di una virgola il fatto che il petrolio sia piu' che triplicato rispetto al dollaro.

Morale della storia: che piaccia o no ai farlocchi, se parliamo di mercato in dollari, l'euro e' piu' DEBOLE della lira, nella misura in cui con 1936 lire si comprava piu' petrolio che con un euro, ad un solo anno dall'entrata in vigore del trattato euro.

Il trattato dell'euro va in vigore il primo gennaio 1999. Il dollaro vale 1800 lire. Con 1936 lire si compra un 1.07 dollari di petrolio. L'euro inizia ad essere distribuito il 1 settembre 2001. Quando questo avviene, con 1936 lire comprate petrolio per 0.8 dollari. Ci abbiamo guadagnato nelle importazioni? Non si direbbe.
Dopodiche', la situazione e' SOLO peggiorata, perche' l'aumento dell'euro sul dollaro ha corrisposto un crollo del dollaro sul petrolio.

Andiamo a vedere l'andamento del rapporto lira-euro, considerando il cambio fisso a 1936,27:
2002 (media dell'anno) 1950
2003 (media dell'anno) 1611
2004 (media dell'anno) 1456
2005 (media dell'anno) 1648
2006 (media dell'anno) 1481
2007 (media dell'anno) 1318


Direte voi: bellissimo: allora adesso siamo forti sul dollaro. Davvero? Non e' esatto. Dopo gli accordi del Plaza, il dollaro si e' deprezzato enormemente, ma non allo stesso modo verso tutti. Ecco un grafico riassuntivo (grazie al blog di petrolio):

Adesso ditemi: il cambio petrolio/dollaro e' variato come il cambio dollaro/euro?

Nel 2002 siamo a 1950 lire al dollaro. Il dollaro scende tra i 20 e i 30 per barile/barile.
Nel 2003 siamo a 1600 lire al dollaro. Il dollaro scende da i 30 a 38 dollari/barile. In pratica, cambia nulla.
Nel 2004 siamo a 1456 lire al dollaro. Il dollaro scende da 30 a 50 dollari/barile.L'euro e' DEBOLE.
Nel 2005 siamo a 1648 lire al dollaro. Il dollaro scende da 40 a 60 dollari/barile.L'euro e' DEBOLE.
Nel 2006 siamo a 1481 lire al dollaro. Il dollaro scende da 60 a 80 dollari/barile.L'euro e' DEBOLE.

Per poter affermare che l'euro ci avvantaggi nell'acquisto di petrolio, le cose avrebbero dovuto andare in maniera MOLTO diversa.

Nel 2002, per avere questo vantaggio avremmo dovuto essere ad 1,5 dollari per euro.
Nel 2003, per avere questo vantaggio avremmo dovuto essere ad 1,8 dollari per euro.
Nel 2004, per avere questo vantaggio avremmo dovuto essere a 2.5 dollari per euro.
Nel 2005, per avere questo vantaggio avremmo dovuto essere a 3 dollari per euro.
Nel 2006, per avere questo vantaggio avremmo dovuto essere a 3/4 dollari per euro.
Mi spiace, ma affermare che l'euro ci abbia dato qualche vantaggio nelle importazioni di petrolio equivale ad affermare questo. E no, e' il dollaro che e' svalutato, piu' che il petrolio aumentato.
Nello stesso periodo, dal 2002 al 2006, la sterlina passa da poco piu' di 1.2 dollari a due dollari e rotti. Ben piu' di quanto ci abbia guadagnato l'euro. Moneta forte?
Qualcuno dira' che il petrolio sarebbe aumentato comunque. Possibile. In questo caso, sarebbe cresciuta l'inflazione, mangiandosi i debiti. Cosa che, grazie alle meravigliose politiche della BCE, non e' avvenuta. Risultato: cornuti e mazziati.
Ma c'e' di peggio. Perche' se da un lato con l'euro siamo diventati piu' DEBOLI nelle importazioni, (e non piu' forti come ci raccontano i farlocchi), dall'altro non ci ha aiutati nelle esportazioni. E perche'?
Innanzitutto, una grossa fetta del nostro export va verso i paesi europei. Con il cambio fisso, a questo deprezzamento della lira quando compriamo materie prime , non corrisponde alcun deprezzamento quando vendiamo. Anzi: se l'euro e' piu' debole nell'acquisto perche' al suo apprezzamento in dollari corrisponde un indebolimento ben piu' grande del dollaro, dall'altro lato il cambio col resto del continente non si muove di una virgola.
I vantaggi della svalutazione sono , di solito, pesati cosi: vi conviene vendere, non vi conviene comprare.
I vantaggi della rivalutazione sono : conviene comprare, ma non vendere.
Mettere la lira nell' Euro ha unito gli svantaggi della svalutazione (comprare e' piu' DIFFICILE) , con quelli della rivalutazione: anche vendere e' piu' difficile.
Il tutto e' dovuto al comportamento NON lineare del dollaro. Il dollaro ha perso enormemente nei confronti del petrolio e delle materie prime, ma ha perso POCO rispetto all'euro. Se il costo delle materie prime in dollari e' piu' che raddoppiato, l'euro ha superato il dollaro di qualche frazione di unita'.
Cosi', il risultato e' che con l'euro si fatica a vendere a chi paga in dollari. D'altro canto, questo vantaggio NON si recupera comprando in euro, visto che il dollaro ha perso molto piu' verso il petrolio che verso l'euro.
L'Euro ci sta dando tutti gli svantaggi di una moneta debole sul dollaro in acquisto, e tutti gli svantaggi di una moneta forte sul dollaro in fase di vendita.
Quando andiamo a comprare petrolio, facciamo due cambi: euro -> dollaro -> petrolio.
Quando vendiamo , facciamo un cambio : euro -> dollaro.
Voi capite rapidamente dove sia la fregatura, ovvero nel cambio dollaro/petrolio, che ha divorato tre volte i vantaggi del cambio euro -> dollaro.
Perche' avviene questo? E' per via del meccanismo perverso di gestione dei dollari.
Gli Uffici di Cambio (che dipendono dalle Banche Centrali) dei Paesi esportatori verso gli USA raccolgono i dollari che fatturano le loro multinazionali (in USA vendono le merci contro moneta locale, dollari) e li mettono nella riserva (di valuta estera) della Banca Centrale; la Banca Centrale non chiede di cambiare i dollari nella moneta nazionale, ma li mette in circolazione per comprare petrolio; i Paesi produttori di petrolio non chiedono alla FED di cambiare i petrodollari nella moneta locale dei Paesi Arabi, ma tengono i proventi del petrolio in conti correnti denominati in dollari e in buona parte investiti in titoli del Tesoro e azioni USA. Fondamentalmente i dollari emessi non si presentano al cambio condizionando il valore del dollaro sulle altre monete. D'altra parte sono investiti in titoli di lungo termine o in azioni che non vengono scambiate a forte frequenza: per cui quei dollari non sono nemmeno moneta circolante che produrrebbe inflazione rientrando in America.
Morale della storia: il dollaro rimane relativamente stabile al cambio monetario, ma diventa catastroficamente sempre piu' debole rispetto al valore delle merci: perde, cioe', potere d'acquisto, ma non perde nei cambi. Per cui, se l'euro guadagna il 30% sul dollaro, il petrolio guadagna il 300% sul dollaro. E il rafforzarsi del cambio non aiuta nessuno.
Sarebbe stato diverso se ci fossimo tenuti la lira? Si', enormemente.
Senza il cambio fisso con gli altri paesi UE, potevamo rimanere competitivi sui mercati europei SENZA diminuire il costo del lavoro, cioe' senza bisogno del precariato: il costo della trasformazione poteva venire assorbito da una adeguata politica di svalutazione graduale In secondo luogo, all'aumento dei prezzi del petrolio e delle merci si poteva reagire approfittandone per praticare una politica iperinflattiva e ridurre l'indebitamento.
Ma il punto non e' questo: il punto e' che i presunti vantaggi nell'acquisto del petrolio usando l'euro sono dei veri e propri falsi. Oggi che l'euro vale un dollaro e rotti, poiche' un euro vale 1936,27 lire, siamo scesi di fatto ai valori del 1996. Valori che la lira aveva saputo guadagnarsi da sola, e come se non bastasse in un periodo ove la dottrina americana era quella del dollaro forte. Dopodiche' inizia la dottrina del dollaro debole, ma per le monete dello SME il dollaro cresce e basta. Dove cazzo e' questa "moneta forte"? Dov'e' quest'area forte dell'euro?
E' un falso che entrando nello SME l'Italia ci abbia guadagnato negli acquisti di materie prime.
Ed e' un falso che con l'euro si possa comprare piu' petrolio di prima.
Ed e' evidentemente falso che con l'euro si sia piu' competitivi sui mercati europei.
Non e' quello che e' successo, non e' MAI successo, non si e' mai visto tale vantaggio.
Se volete sapere perche' si siano fatti quegli accordi, chiedere a Prodi. Io, personalmente, lo accuserei di tradimento e lo sbatterei in carcere, per aver accettato roba simile.
by Uriel

28 aprile 2010

Euro: le bugie di Prodi, Amato e Ciampi

Per anni chi era euroscettico si e' sentito rispondere che se non fossimo entrati nell' Euro allora saremmo sicuramente andati in Default. E che , proprio per esservi entrati, non solo non si andava in default, ma eventualmente il solo fatto di appartenere all'eurozona ci avrebbe fatto da "paracadute" in caso di crack.
Successe semplicemente che il trio Prodi, Amato, Ciampi gestivano cosi' male le finanze pubbliche da portare il deficit a livelli mai visti (nemmeno oggi) e a rischiare davvero il default. I nostri eroi decisero allora che per salvare il paese bisognasse entrare nell'eurozona.

Si trattava di palle, raccontate da pallisti che avevano portato al disastro le finanze pubbliche, e che oggi avendo le gambe corte si mostrano per cio' erano: palle.

Non e' mai esistita alcuna letteratura scientifica che dimostrasse come legarsi ad un valuta forte proteggesse dal default i bilanci dello stato. Il caso argentino, peraltro, sembrava suggerire il contrario, nel senso che la dollarizzazione dell'economia rese piu' duri gli effetti del crack.

Questa obiezione veniva ogni volta annullata dal solito osceno coretto mainstream "l'europa ci salva, l'europa ci rende stabili, l'europa ci allunga l'uccello".

No, non funziona cosi'. L'europa e' solo il tentativo dei tedeschi e dei francesi di crearsi un mercato protetto, usando gli strumenti delle quote e dei divieti per uccidere le economie di tutti gli altri paesi. Cosa che e' stata fatta con l'Italia, se pensiamo all'acciaio, agli zuccheri, al latte, a tutto quanto.

Ma, si diceva, questi piccoli svantaggi si sarebbero recuperati in termini di mai visti vantaggi dell'unificazione , ovvero in stabilita' e sicurezza valutaria.

PALLE.

E come tutte le bugie, in poco tempo sono venute a galla. Il default greco di per se' non coinvolge cifre enormi. Se pensate che il comune di Roma ha circa 9 miliardi di euro di debiti, che quello di milano ne ha circa altrettanti, capite che i 30 miliardi (forse 40) del debito greco non siano poi un dramma cosi' grande come lo si vuol far credere.

Specialmente se lo paragoniamo al debito pubblico italiano: se la famosa potenza stabilizzatrice europea non riesce a tenere a bada un debituccio da amministrazione metropolitana, figuriamoci quanto ha reso stabile il debito italiano, che e' "un bel pochino" piu' grande.

Niente. Se non siamo andati in default lo dobbiamo al fatto che i governi che hanno seguito Prodi, Amato e Ciampi erano di qualita' superiore. Di certo non e' stata una zona euro incapace di stabilizzare la Grecia a stabilizzare noi. Questa e' la prima truffa d Prodi, Amato , Ciampi. Aver spacciato l' unione europea per un ente stabilizzatore che, alla prova dei fatti, NON E'.

Il PIL della zona euro e' di circa 18 trilioni di dollari. Il piano greco e' di 30-40 miliardi. Meno del deficit di alcune amministrazioni locali americane. Eppure, la UE ha fallito completamente: non si nota alcuna azione stabilizzatrice, se non nella misura in cui la UE prometta di sganciare dei soldi. Ma questo non significa nulla: nel default greco ci rimetterebbero ben di piu'.

Cosi', ecco finire nel nulla la prima tra le balle UE: che entrando nella UE si sarebbe goduto di un "ombrello", di una "garanzia" capace di dare fiducia. Non e' cosi'.

Ma andiamo oltre, perche' adesso i greci si troveranno a subire il DANNO dovuto all'entrata nell'euro. Che cosa intendo? Intendo dire che se la Grecia fosse un paese normale, avrebbe potuto fare come Dubai. Cioe' rinegoziare il proprio debito pubblico, dicendo semplicemente "signori, se fate i bravi vi restituiamo il 10% di quanto avete versato. Siccome ci avete gia' guadagnato un sacco, state zitti e non scocciate".

Dopodiche', svalutando la moneta, potevano praticare una politica iperinflattiva che desse respiro alle imprese locali, e che svilisse i debiti fino a farli diventare di entita' ridicola.

Ma non si puo', perche' accettando l'euro si e' commesso lo STESSO errore dell' Argentina. Legarsi ad una moneta forte, cioe', non conviene proprio ai paesi con un forte debito: lo ha mostrato l' Argentina con la dollarizzazione. Quando il governo si e' trovato a dover svalutare la moneta, ha dovuto creare una nuova valuta. Niente di strano, sin qui: numerosi paesi lo hanno fatto, Francia compresa.

Ma essendo la vecchia valuta legata al dollaro, e' successo che la gente si sia precipitata nelle banche a ritirare banconote da tenere sotto il letto. Risultato: il caos. Banche chiuse, eccetera.

Succederebbe esattamente lo stesso alla Grecia , se tentasse di uscire dall'euro. Immediatamente le persone si precipiterebbero in banca per ritirare tutti i contanti che possono, da tenere sotto il letto. Poiche' le banche non hanno tutti quei contanti, inevitabilmente chiuderebbero gli sportelli. E sarebbe la paralisi.

Questo e' dovuto proprio all'adesione all'euro: lo spettro dell' Argentina aleggia sui paesi dell'euro non perche' siano in difficolta', ma perche' e proprio perche' e SOLO perche' sono entrati nell' Euro. Come l'argentina, hanno commesso l'errore di legarsi ad una valuta piu' forte. Come l'argentina, si trovano oggi nelle condizioni di dover chiudere le banche in caso di svalutazione.

Morale della storia: entrare nell' Euro non e' una scelta, saggia, non lo era allora, e le bugie di Prodi, Amato e Ciampi mostrano le gambe corte adesso. Vorrei sentirli, adesso, i cazzari che ci raccontavano che l' Euro potesse stabilizzare la fiducia nell' Italia, quando non riesce a fare qualcosa per la Grecia.

Non c'e' quindi modo di uscire dall'euro? Si', per i paesi piccoli c'e'. Consiste nell'introdurre la doppia circolazione della moneta , ma fare in modo che le banche emettano, in liquidita', solo la nuova moneta, diciamo la nuova dracma per la grecia (o la nuova lira per l'italia). Contemporaneamente, mano a mano che si ritira il debito in euro si emette debito in nuova dracme.

Ad un certo punto, quando la massa in euro (tra debito e denaro circolante) e' diventata molto bassa, si potra' svincolare l'economia. Non vedo molte altre vie di uscita, ed e' quella che seguirei se volessi far uscire l' Italia dall'Euro, cosa che sarebbe molto saggio iniziare a fare: i vantaggi dell' Euro come vedete sono nulli. I costi sono tutt'altro che nulli.

Ma quello che conta di piu' e' che per prima cosa dovremo iniziare con una "cura culturale", cioe' colo mettere le persone di fronte alla pura verita': l'unione europea non ha salvato l'italia dal default, perche' alla prova dei fatti non sarebbe capace di salvare realta' debitorie molto , molto, molto piu' piccole.

La bugia di Amato, Ciampi, Prodi, e' stata adesso smascherata.

Ed e' sotto gli occhi di tutti: nessun paese e' al sicuro dal default perche' sta nell' Euro. E nessun paese soffrirebbe meno un default per via dell'Euro, anzi: le conseguenze si sono amplificate, come nel caso argentino, proprio perche' ci siamo legati ad un'altra valuta.

Questo deve far capire all'italia ed agli italiani una cosa semplicissima: uscire dall'Euro si puo' e si deve.

L'euro non solo non ci stabilizza, non solo non ci aiuta, non solo costa, non solo uccide le nostre esportazioni, ma in caso di problemi trasformerebbe un problema gestibile con metodi tradizionali (svalutazione, iperinflazione) in un disastro argentino.

Prima ce ne andiamo, quindi, meglio e'.

Uriel

Grecia, dal Fmi lacrime e sangue. Ma poi?

Manca solo il sì tedesco (e non un’incognita da poco), ma salvo rivolgimenti il quadro è delineato. La Grecia riceverà aiuti per 45 miliardi, di cui 30 dai partner Ue e 15 dal Fondo monetario internazionale. Riuscirà così a evitare il default, perlomeno a breve. Evviva, scrivono i media internazionali e i mercati respirano. Il peggio è scongiurato. Ma ne siamo proprio certi?
Quel che ancora non emerge dalle cronache di questi giorni è il prezzo che i cittadini greci dovranno pagare. La Ue ha già imposto un programma per ridurre drasticamente il deficit nel 2011 e nel 2012 con un mix che prevede tagli alla sanità, alla scuola, alle pensioni e, a quanto pare, un aumento delle tasse. Secondo indiscrezioni uscite nelle ultime ore, ma che, guarda caso non hanno trovato spazio sui media, il Fmi, nella sua magnanimità, avrebbe già inviato al Papandreu un dossier con le proprie richieste, che sarebbero ancora più severe di quelle europee. Insomma, chiede lacrime e sangue.
E sia, per evitare il fallimento, dicono tutti. Già, ma con quale futuro? Quali sono le prospettive della Grecia una volta rimessi in sesto i conti? Quali saranno i settori economici trainanti? Nessuno parla del dopo. Ai greci si chiede di tirare la cinghia, ma né la Ue né l’Fmi sono capaci di indicare un percorso per creare nuova ricchezza e nuovo benessere, molto diffici da creare in un Paese piccolo e per molti versi arretrato come la Grecia.
Perché così esige Maastricht, perché gli unici parametri che contano sono quelli finanziari. E in futuro rischia di andare anche peggio.
Fino a pochi giorni fa si parlava di una possibile revisione del Trattato al fine di renderli più flessibli, equi e aderenti alla realtà, considerando altri criteri oltre ai cinque stabiliti all’inzio degli anni Novanta. La riforma ci sarà, ma se queste indiscrezioni sono attendibili (e hanno tutta l’aria di esserlo), la Ue e la Bce intendono procedere della direzione opposta ovvero rendendo ancora più severi i cinque parametri di Maastricht. Il che significa lacrime e sangue per tutti. Anche per noi.
Ne vale davvero la pena?
di M. Foa

27 aprile 2010

Il doppio pacco di Goldman Sachs

La più grande banca d'affari americana è sotto inchiesta da qualche settimana per la madre di tutte le frodi. Il Senato americano ha rese pubbliche le email nelle quali i dirigenti della banca discutevano come fare il pacco e il doppio pacco ai loro investitori. Goldman Sachs avrebbe creato titoli tossici dai mutui spazzatura e, mentre con una mano li vendeva ai consumatori, con l'altra scommetteva sul loro crollo, guadagnando miliardi e facendo scoccare la scintilla della crisi.

Il santuario della finanza globale è oramai un fortino sotto assedio. L'accusa dell'autorità di vigilanza di Wall Street è estremamente grave perché cancella in un istante il mantra che ha fatto la fortuna di Goldman Sachs: “Il cliente prima di tutto.” Un danno d'immagine difficile da recuperare, anche perché gli esperti del settore fanno capire che si tratta solo dell'inizio.

Finalmente si comincia a capire come facesse la banca d'affari a macinare utili quando tutto il mondo sprofondava insieme ai mutui subprime. “Ecco, con parole loro, Goldman Sachs mentre prende the big short, mentre scommette tutto contro il mercato dei mutui,” dice il Senatore Levin, presidente della commissione d'inchiesta del Senato USA che sta investigando sulle responsabilità delle banche nella crisi.

“Banche d'investimento come Goldman Sachs,” prosegue Levin, “non erano semplicemente i creatori del mercato dei mutui, ma anche i promotori di schemi che, mentre producevano utili per le banche, allo stesso tempo facevano esplodere la crisi. Hanno impacchettato mutui tossici all'interno di complessi strumenti finanziari, hanno ottenuto dalle agenzie di rating compiacenti il marchio AAA di totale affidabilità, li hanno venduti agli investitori, amplificando e allargando il rischio a tutto il mercato finanziario, tutto questo mentre scommettevano contro gli stessi titoli che vendevano, mietendo profitti alle spese dei loro clienti.”

Il Senato americano ha reso pubbliche le e-mail scambiate tra i dirigenti della banca durante il periodo caldo del crollo dei mutui subprime nel 2007. Questa corrispondenza elettronica apre uno spaccato sul vero modus operandi del mondo della finanza, di cui Goldman è il santuario per eccellenza. Vediamo alcuni estratti delle conversazioni.

“Brutte notizie” scrive un impiegato della Goldman il 17 Maggio 2007, quando un titolo che la Goldman aveva appena creato e venduto in calo fa perdere alla banca 2,5 milioni di dollari. La riposta del secondo impiegato è “Buone notizie... siamo protetti per 10 milioni... abbiamo guadagnato 5 milioni.” L'azienda ha preso 5 milioni scommettendo contro il titolo che aveva appena creato e venduto. In poche parole, la Goldman Sachs si assicurava (grazie all'AIG, il gigante assicurativo ora fallito proprio a causa di queste polizze stipulate con Goldman) contro il crollo dei titoli subprime che essa stessa vendeva.

Il 25 Luglio successivo, il capo delle operazioni della banca scrive di aver appena perso 322 milioni di dollari sui mutui residenziali, ma guadagnato 373 milioni scommettendo sul loro crollo. Venticinque minuti dopo la risposta del collega: “Questo ti mostra cosa sta succedendo a quelli che non hanno the big short”, ovvero quelli che non stavano scommettendo sul crollo dei mutui. Soltanto in quella transazione Goldman Sachs ha guadagnato 51 milioni di dollari. La voluminosa raccolta di tutte le e-mail è aperta al pubblico sul sito del Senato americano.

La banca è sotto il doppio fuoco del Senato e della Security and Exchange Commission, che si gioca tutta la sua credibilità con questa inchiesta. I controllori devono far dimenticare di aver chiuso entrambi gli occhi per anni di fronte alle pratiche predatorie delle banche d'affari e soprattutto devono rifarsi della cantonata colossale presa con l'affare Bernie Madoff.

Il tempismo con cui è stata aperta l'inchiesta è favorevole all'Amministrazione Obama, che ha cominciato la discussione sulla riforma del sistema finanziario. Prima della Goldman Sachs, la fallita Lehman Brothers è stata passata ai raggi X e altre frodi finanziarie sono state portate alla ribalta delle cronache. La speranza è che queste inchieste servano a ricreare un momento favorevole alla riforma, che era altissimo nel 2008, all'apice della crisi, ma va scemando mentre l'economia americana riprende a viaggiare. Obama ha dichiarato che non firmerà la riforma se non conterrà regole precise per gli strumenti derivati.

Fa una certa impressione accorgersi come la Goldman Sachs abbia infiltrato il sistema politico e finanziario dell'intero pianeta. Solo alcuni esempi. In America, l'ultimo segretario del tesoro dell'Amministrazione Bush, Hank Paulson, e il precedente governatore del New Jersey, Jon Corzine, sono entrambi ex-amministratori delegati della banca. La Goldman Sachs è diretta responsabile, grazie ad un prestito, del disastro finanziario del governo greco e anche Romani Prodi si è rivolto alla banca americana durante il suo primo governo, per un enorme prestito ponte che ci permise di entrare nell'Euro. Anche l'attuale governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, ha lavorato alla Goldman per tre anni, a partire dal 2002.

Il premio Nobel per l'economia Paul Krugman, dalle pagine del New York Times, ha dichiarato che “una parte troppo grande della ricchezza e del talento degli Stati Uniti è stata usata per escogitare e vendere complessi sistemi finanziari; sistemi che hanno la tendenza a far saltare l'intera economia. Mettere fine questo stato di cose farà sicuramente male all'industria della finanza. E allora?

di Luca Mazzucato

26 aprile 2010

Inopportunisti contro cazzeggiatori


Nuntio vobis gaudium magnum. Scrivo all’alba del 23 aprile 2010: il sole è entrato da due giorni nel toro, oggi è il genetliaco di William Shakespeare, siamo in piena ancorché timida primavera, la nube del vulcano islandese incombe ancora su di noi ma il mondo è bello e santo è l’avvenire. La strada da fare è ancora lunga, e senza dubbio vi saranno difficoltà e amarezze. Poi, quando sentiremo di essere usciti da questo brutto tunnel, verranno altre prove: la vita è fatta così.

Però, questa è fatta. Ieri, abbiamo assistito tutti al principio della fine della Dittatura del Berluskariato. E’ vero che la stampa aziendale, saldamente tenuta in mano dal personale di servizio di Arcore, ha travestito la cocente sconfitta del Berluska dal suo trionfo solo perché la Direzione nazionale di un partito-ameba che non c’è ma che coagula funambolicamente milioni di voti di cittadini disorientati, disinformati e incoscienti hanno votato, con poco più di una decina di coraggiosi, come voleva il Sciur Padrùn. Però l’abbiamo visto tutti il Sciur padrùn livido in volto, mentre minaccia dall’alto del podio la terza autorità ufficiale della repubblica rea di non voler star più al suo gioco. Berlusconi ha umiliato Fini, ha blaterato in coro la stampa asservita. E’ vero il contrario, perdinci, e il Sciur Padrùn se n’è accorto benissimo, e gli è andato di traverso, e mal pro gli faccia. “Leader carismatico”, lo proclamano quelli della sua corte di comprati un tanto al chilo e di voltagabbana, tutti gli ex-comunisti, gli ex-craxiani, gli ex-radicali e gli ex-missini uniti nella profonda coscienza che “Lui” li ha miracolati promovendo a ministri e a senatori gente che al massimo avrebbe fatto scialba figura in un consiglio comunale della prima repubblica e gestendo i due rami del parlamento che, grazie all’infame legge elettorale che egli ha voluto, è ormai fatta di reggicoda designati dall’alto e legittimati ohimè dal plebiscitario consenso di un popolo sempre più depoliticizzato e scippato di quelle che erano e dovrebbero essere le sue prerogative sovrane. Ben gli sta, al Popolo Bue. Ma ora l’incanto è rotto: Fini, che pur ha pesantissime responsabilità nella sua resistibile ascesa, ha dimostrato che gli si può dir di no. Pochi per adesso lo hanno seguito: ma, come si diceva nel Sessantotto, ca n’est qu’un debut. A quei pochi che non lo hanno abbandonato, se ne aggiungeranno altri: e sarà una frana. Se il Re è Nudo, figurarsi il Berluska.

Certo, nessuno è innocente. Se il Sciur Padrùn è stato e resterà ancora per alcuni mesi a esercitare il suo ruolo di Grande Corruttore della società civile italiana o di quel poco che ne rimane, ciò è dovuto al fatto che essa è costituita in gran parte da Piccoli Corrotti.

E allora, lasciatemi sciogliere un elogio al Pensiero Libero. Che non è il Libero Pensiero, espressione compromessa da laicisti anticattolici. Ma che è quello che è: il pensiero di chi non accetta di pigarsi alle circostanze e agli opportunismi.

Nemmeno io sono innocente. Nel 1993-94 ero talmente invelenito con la classe dirigente di allora, che mi capitò di ritenere che l’arrivo dell’avventuriero di Arcore avrebbe potuto portar una folata di vento rigeneratore. Invano il mio maestro di giornalismo, Indro Montanelli, mi avvertì, quando mi chiese di abbandonare “Il Giornale” ormai destinato a far da foglio dell’Azienda di Arcore e di seguirlo nell’avventura de “La Voce”. Berlusconi entra in politica per salvarsi dal disastro che incombe su di lui per le sue malefatte, mi avvertiva Indro. Non gli credetti. Invece aveva ragione lui.

Io sono un in opportunista, un anticamaleonte. Adagiato su un tavolo verde, divento immediatamente d’un bel rosso squillante. E viceversa. Sono stato orgogliosamente neofascista, al tempo in cui nella nostra Italia si mangiava solo Pane e Resistenza: e non so nemmeno io come sono riuscito, nuotando controcorrente, a vincere per concorso una cattedra all’università: perché nemmeno allora i concorsi erano uno specchio di equità. Ero abituato, cattolico demaistriano e “reazionario”, ad arrancare quando i padroni del vapore si sceglievano i loro Comitati d’Affari politici solo fra gli intellettuali di sinistra e i cattocomunismi.

Eppure, quel pur pesantissimo clima lasciava qualche spiraglio. “E’ un fascista, ma è intelligente, è preparato”, dicevano di me. Così insegnavo e scribacchiavo anche su qualche giornale. Certo, niente posti di rilievo, niente riconoscimenti, niente prebende e consulenze. Ma tiravo avanti a testa alta, perché potevo dir quello che volevo.

Così, mi capitò anche di venir notato. Nel ’94 mi notò una ragazzina leghista diventata per caso presidente della Camera, Irene Pivetti. Gli piaceva il mio cattolicesimo anarcoide, il mio dirmi reazionario in politica e nella cultura e socialista sul piano socioeconomico. Ch’è ancora quel che sono oggi, e come diceva Don Giovanni “No, no, ch’io non mi pento”. La Pivetti mi spedì nel Consiglio d’Amministrazione della RAI contro il parere del Berluska: allora, mi fregai altamente di non piacere granché al Gran Capo (che sembra non abbia simpatia per la gente con la barba): oggi, me ne congratulo e me ne vanto. Per due anni restai in RAI; ed evidentemente dovetti dar prova di una qualche capacità e di parecchio senso d’indipendenza, perché nel ’96, allo scadere del mandato, Walter Veltroni – che sapeva bene fino a che punto fossi d’una parrocchia diversa dalla sua – mi spedì a Cinecitta per altri sei.

Ma dopo allora, cioè dal 2002, provai ormai sessantenne che cosa sul serio significava l’ostracismo. Il Berluska era tornato al governo ed era decisamente incarognito. Io commisi alcuni peccati: mi schierai – e non senza cognizione di causa – con quelli che sostenevano che non tutto era chiaro nella ricostruzione ufficiale dei fatti del tragico 11 settembre 2001; poi, nell’estate del 2002, dissi (e ne addussi le prove) ch’era impossibile che Saddam Hussein disponesse di terribili armi di distruzione di massa, mentre il Berluska, nel nome della Libertà e della Dignità nazionale, si affrettava a mandare i nostri soldati a morire in Iraq e in Afghanistan per guerre infami che non ci riguardano, pur di far piacere al suo boss d’Oltreoceano, quel George W.Bush che resterà nella storia come il Più Coglione dei Tiranni. Il Berluska obbediva, il Grande Coglione gli affibbiava sonore pacche sulle spalle e lui era contento. A questo livello di mancanza di decoro l’uomo di Arcore ha trascinato il nostro paese.

Scrissi vari libri su quegli anni. Uno, significativo, uscì nel 2007 presso l’editore Fazi di Roma: si chiamava La fatica della libertà e nessun media di rilievo mostrò di accorgersene. Eppure non ero l’ultimo arrivato sulla scena culturale del Bel Paese. Il fatto è che sono un Opportunista e un Anticamaleonte; e il Berluska - padrone d’un partito-azienda, della radiotelevisione di servizio diciamo cosi “pubblico”, di case editrici e di giornali - manda avanti quelli che appartengono al partito opposto al mio: quello dei Leccaculo e dei Cazzeggiatori.

A questo punto va detto che conosciamo tutti alcune delle presunte regole d’oro del successo: aver sempre qualcosa da dire e una tribuna dalla quale dirla, non consentire all’opinione pubblica di scordarsi di noi, rilanciare costantemente la propria presenza in modo da dar l’impressione d’essere - al tempo stesso - presenti e indispensabili. Che poi questa presenza sia, nella sua essenza intima, profondamente superflua, è irrilevante. La cosa che conta èe che appaia il contrario. E che ci s’ingrazi i poteri che gestiscono i media di cui abbiamo bisogno.

In questa cultura dell’apparire, dell’esserci - che non è certo il Dasein di Martin Heidegger - l’Italia vanta dei primati da Guinnes, dei veri campioni del “c’era-questo-c’era-quello”. Essi sono - con le dovute, venerabili eccezioni – non certamente tutti, tuttavia molti fra i nostri politici, i nostri intellettuali e i nostri opinion makers. Come i Maestri della moda hanno bisogno di continue novità stagionali per le loro collezioni, allo stesso modo i Maestri del Pensiero Inesistente hanno bisogno di parlare, di scriver sui giornali, di apparire in TV. Di farsi credere onnipresenti e necessari. L’incensar il potere di turno è la scorciatoia per ottenere tutto ciò. E, al solito, il Leccaculo Cazzeggiante per sua natura tende a strafare: il Padrone si accontenterebbe anche di corvée adulatrici meno intense, ma è meglio abbondare: non si sa mai.

La fabbrica dei neologismi - nella quale essi sono tutto: coproprietari, cogestori, agenti pubblicitari, manovali, guardiani notturni...- li aiuta. Anni fa, ad esempio, si elaborò la categoria dell’ “impegno”: e allora tutti giù a dirsi impegnati, anche se si capiva benissimo che tale termine era, in realtà, un eufemismo per indicare la propaganda politica. Più di recente ci si adeguo alla dimensione del “pensiero debole”: dal momento che l’ideologia che si era cavalcata per far carriera - e che prometteva di rifondare il mondo, crear l’uomo nuovo e trascinare il paradiso in terra - si era fracassata urtando contro la storia, bisognava inventar qualcosa di soft per distrarre l’opinione pubblica. Et voila, personaggi fino ad allora rigorosissimi, abituati a strapazzar cose e persone con tanto d’occhi iniettati di sangue, diventarono gentilissimi cagnetti da salotto che ti confessavano con gentile umilta le loro debolezze e le loro sconfitte. Tutto cio si tiro dietro il “buonismo”: e gli arcigni custodi del Senso e del Vento della Storia si riciclarono in sorridenti e flessibili cultori di tutti i relativismi e i possibilismi di questo mondo.

L’ulteriore strillo del pret-à-porter intellettuale fu il “leggerismo”, che naturalmente si contrapponeva al “profondismo”. Ormai non lo chiamano più così: la parola, in effetti, non ebbe fortuna. L’aveva lanciata anni fa sull’ ”Espresso” Eugenio Scalfari il quale, rivisitando con l’usata arguta capacità di sintesi storia e filosofia universali, scopriva come a forza di voler andar in fondo alle cose si sprofondi; e proclamava pertanto solennemente che tutti i grandi spiriti dell'universo sono stati, in fondo, dei “cazzeggiatori”.

In effetti, cazzeggismo, cazzatologia e cazzeggiologia comparata - in attesa del sorgere d’una vera e propria cazzatosofia sistematica; e Dio non voglia che giunga il tempo della cazzatolatria - dominano ormai grande stampa e piccolo schermo. Accadeva anche prima: si trattava però d’iniziative private o di felici, casuali e sovente involontarie occasioni. Ma ormai, si è visto quante ballerine di fila del Gran Galà della Cultura Mondana si siano uniformate al nuovo verbo: quanti hanno tentato, spesso magari riuscendovi, di far passare la loro abituale stolidità per autentico Cazzeggiar d’Autore D.O.C.

E le citazioni già si sprecano. Pensate al grande Umberto Eco, che notoriamente ha continuato a lungo – ora, la quasi ottantina gli consiglia maggior prudenza – ad andar per osterie, a sbevazzare e a strafogarsi, a dir le parolacce, a inventar filastrocche in rima, a urlar a squarciagola le canzonacce goliardiche dei suoi anni verdi, quelle col paraponziponzipò: ma lui resta un Maestro, se lo può permettere. Ricordate Ugo Sciascia e il suo cazzeggiare pallido e assorto, da gran signore? Ricordate Federico Zevi, il suo sgranar piselli in pubblico, i suoi tormentoni, i suoi eroici furori dove non si sapeva mai se era un arrabbiato che si divertiva annoiandosi o un annoiato che si arrabbiava divertendosi o un divertito che si annoiava arrabbiandosi? Questi però sono i modelli “alti”, davanti ai quali sbiadiscono gli Sgarbi e i Mughini. Ma se l’intellettuale dev’essere uno che ingrana collanine di battute di spirito, che si diverte coi giochi di parole, che si butta sul ridere-ridere-ridere peggio di Petrolini, allora giù con la Hit Parade televisiva di quelli che la cultura la intendono e la vivono nel senso del girar con la sciarpetta di seta, il papillon, le camicie a scacchi, il ciuffo al vento, il cappelluccio. E pensate agli opinion makers. Avete presente tutti gli ex inferociti di Lotta Continua e di Avanguardia Operaia, ora passati giulivamente, e a quel che sembra senza alcun imbarazzo (salvo dar del provocatore a chi ricorda il loro passato), alla difesa delle magnifiche sorti del liberal-liberismo, e regolarmente premiati con la direzione o la vicedirezione di quotidiani nazionali, la titolarità di talkshows televisivi di grido eccetera? Ricordate gli apocalittici di professione, quelli che predicavano dagli spalti inattaccabili della Tradizione cattolica la rivolta contro il mondo moderno e che oggi pontificano sui periodici berlusconiani sostenendo che cattolicità e liberismo sian tutt’uno e che perfino il Sillabo di Pio IX, del quale sono estimatori e magari editori, diceva proprio quello per quanto non ne fosse cosciente? Leggerezza nel guardar alla propria coerenza – del resto virtù degli imbecilli, come dichiarava Giovanni Papini -, leggerezza nell’assolver se stessi così come nel condannare irremissibilmente tutti gli altri, quelli che la pensano in modo diverso.

Per la verità, questa storia dello “spirito di leggerezza” l’avevano già tirata fuori in parecchi. Se non sbaglio, sono i Padri della Chiesa ad affermare spesso che il diavolo non ride mai (il sorrisetto di scherno o la sghignazzata sono un’altra cosa). Se non prendo abbagli, le categorie dell’ironia, della satira, della parodia, del paradosso e perfino dell’allegria sono antichi strumenti della dialettica. Se non m’inganno, di “leggerezza” aveva già parlato il vecchio Nietzsche. Se non vado errato, un certo Johan Huizinga, in un modesto pamphlet intitolato Homo ludens, aveva già fatto l’elogio del gioco e dimostrato com’esso racchiuda una profonda, autentica serietà.

Ma ormai siamo al trionfo non solo del deja vu, bensì addirittura dell’ovvio. L’Italia sempre piu teledipendente è stata consegnata dal Sciur padrùn di Arcore, sotto il profilo dell cultura massmediale, in mano a una ben organizzata mafia di Grilli Parlanti, “intellettuali” per autocertificazione e per certificazione reciproca. Siamo abituati a vederli citarsi a vicenda, invitarsi a turno ai loro shows, far propaganda ai loro libri e l’uno ai libri dell’altro, scambiarsi favori sotto forma di premi letterari. L’italiano medio che - purtroppo - qualche volta entra ancora in libreria, i consigli su che cosa leggere se li fa dare dall’anchor man di turno. E da parecchi anni gli anchor men sono sempre gli stessi, o i loro amici (amiche), o i loro allievi (allieve), o i loro eredi. In passato, li abbiamo visti ridicolmente mobilitati ogni volta che i loro padroni politici avevano bisogno di un “manifesto” da far firmare. Oggi, li vediamo impegnati in battaglie politiche o intellettuali o sedicenti tali ch’essi combattono timbrando il loro bravo cartellino, con l’aria di chi lavora in un’azienda: e difatti c’è l’azienda-partito, l’azienda-Italia, mentre a Bassora abbiamo impiantato per ordine del Pentagono - è la dignita nazionale dei Frattini e dei La Russa - l’azienda-militarumanitaria che sostiene di fare il peacekeeping mentre invece, neomussolinianamente, serve la patria facendo la guardia a un bidone di benzina (quello che gli americani hanno promesso all’ENI, se il nostro paese continuerà a rendersi complice dell’occupazione dell’Iraq). Un bidone di benzina altrui.

Cazzeggiano, loro. Intanto, finito il sanguinoso “secolo breve”, col nuovo millennio si è tornati a bombardare e si è perfino rispolverata una fino a qualche anno fa impensabile attualitè delle crociate: e loro, ex di molte battaglie pacifiste, ci hanno riscodellato riscaldati i marinettiani elogi della guerra igiene del mondo, quella che esporta la democrazia. Sono accadute poi cose come l’orrore di Guantanamo: e loro, che col loro blaterar prezzolato o col loro silenzio quando non con la loro acquiescenza hanno favorito (talora perfino invocato) i bombardamenti sulla Serbia, sull’Afghanistan, sull’Iraq, tacciono. Ora, stanno inventando la minaccia nucleare iraniana (per il nucleare militare occorre l’uranio arricchito all’80%: l’Iran può arricchirlo solo fino al 3,5%).

Ma qualcuno accusa i cazzeggiatori, ormai diventati impiegati dell’azienda brianzola che per ora continua a “governarci”, di cinismo e di latitanza morale: ed eccoli pronti a sfoderare l’ennesimo alibi, a rivendicar il loro diritto al cazzeggiamento travestito da nuovo impegno politico.

Nossignori, non possiamo starci. Questa gente, o i loro maestri e protettori, un ventennio fa non perdeva occasione per lanciare appelli e redigere manifesti. Ricordiamo tutti che, proprio sul medesimo organo di stampa che si fece poi alfiere del cazzeggiamento teorizzato da Scalfari, illustri intellettuali ormai da tempo iscritti nelle folte file del partito dei cazzeggianti, dei cazzeggisti e dei cazzeggiofili incitavano ieri a imbracciare il mitra e a rovesciare la società del privilegio. E’ anche a causa del clima da essi instaurato - e al quale molti di essi sono debitori di cattedre universitarie, scranni parlamentari, poltrone dirigenziali di vario genere - che a suo tempo vennero ammazzati i Calabresi e i Casalegno. Negli anni di piombo per causa loro andarono ad uccidere e a morire tanti ragazzi di destra e di sinistra vittime delle cose che i cazzeggiatori di oggi scrivevano per guadagnarsi le prime pagine e per far carriera. Ora l’hanno fatta: e continuano a imperversare, dopo aver tranquillamente cambiato musica. Al servizio del Sciur padrun.

Nossignori: non ci sto. Intendiamoci, non sto proclamando nessuna guerra totale: molti di questi personaggi sono intelligenti, abili, perfino simpatici; magari hanno un sacco di buone qualità umane e individuali. Non mi sognerei mai di indicarli come candidati ad alcuna gogna e nemmeno di toglier loro il saluto: sarà che da buon cattolico allievo della Compagnia di Gesù sono un possibilista e non riesco a indignarmi delle debolezze umane e tanto meno a sentirmene estraneo; sarà che sto invecchiando. Tuttavia, non mi piace la loro abilità nel dir come se niente fosse quello che il Padrone vuole che tutti dicano e pensino e poi proporsi a capofila di quel che tutti dicono e vogliono sentirsi dire perché sono stati proprio loro a suggerirlo.

Sono sicuro che ogni uomo ha un prezzo e credo che pochi potrebbero dire in buona fede che, quanto a loro, non si venderebbero mai. Spesso chi non si è venduto lo ha fatto soltanto perché non ha mai trovato un compratore. Vorrei soltanto, per il rispetto dell’uomo che ho appreso da Platone, da Gesù e da Erasmo da Rotterdam, che ci si vendesse solo a prezzi altissimi, stratosferici: e qui mi sembra invece che stia crollando il mercato.

Una settanta-ottantina d’anni or sono, quando in Italia andava di moda il “Me ne frego!”, uno che la fronda la faceva sul serio e la pagava di tasca sua, Berto Ricci, scriveva su “L’Universale” - tanto caro a Indro Montanelli; e anche a me - che no, non era lecito, non si poteva proprio fregarsene, perche stavano succedendo nel mondo cose molto gravi.

Oggi le cose sono cambiate, ma il problema di fondo resta. Non c’e nulla da cazzeggiare. E il peggior cazzeggio odierno è quello di chi accetta di star con chi vince: è secondario che lo faccia per viltà o per furbizia o per interesse o perfino per ingenuità. Dalla persona di cultura e di pensiero ci si aspettano suggerimenti seri, che aiutino a vivere e a migliorare: il che oggi equivale a prender strade difficili, in salita. Se l’intellettuale rivendica un ruolo clownesco e salottiero, se accetta e anzi sollecita il suo ruolo di gadget inutile - ma strapagato - nella società dei consumi, se invita al cazzeggio come forma di filosofia esistenziale (e la forma piu ricercata e meglio retribuita del suo cazzeggio è oggi dar ragione al più forte, soprattutto perché il piu forte riesce bene a far creder di averla), allora si deve rispondergli chiedendogli a quanto ammontano i guadagni del suo cazzeggiare. Perché il cazzeggiator cortese appartiene - in questo nostro mondo globale - al tipo di persona disposto a giustificare che i l 15% della popolazione del pianeta gestisca l’85% delle risorse e gli altri vivacchino sulle briciole che restano. Sfido che, a chi si trova bene in questa condizione, gli venga il cazzeggio facile.

Ma chiedetelo agli altri. Chiedetelo ai kosovari, ai ceceni, agli irakeni, alla gente di Timor Est, ai disgraziati costretti a lasciare il loro paese per fuggir la miseria, chiedetelo alle folle diseredate e sfruttate d’Africa e d’America, chiedetelo ai bambini che muoiono di AIDS, chiedetelo ai poveri del sud del pianeta ai quali le multinazionali stanno vendendo a caro prezzo l’acqua potabile, da “diritto” degradata” a “servizio” per la gloria della Nestle, della Danone e della Coca Cola.

I diseredati, però, c’impartiscono una dura lezione. Quella che la vita non è un premio letterario, non è un festival, non è una battuta di spirito, non è una puntata del “Grande Fratello” o dell’ “Isola dei Famosi”. La Dittatura del Berluskariato ha semiaddormentato le coscienze e si e insediata su questo dormiveglia collettivo. E’ l’ora di svegliarsi. E il primo passo dev’essere, appunto, individuare Leccaculo e Cazzeggiatori: e chiamarli con i loro nomi, anche quando – soprattutto quando – sono Venerabili Mezzibusti Televisivi oppure Signori Professori

24 aprile 2010

La truffa dei derivati della Goldman Sachs



Quando la Security Exchange Commission, l’ente governativo di controllo dei mercati finanziari, ha contestato il reato di frode alla banca americana Goldman Sachs, non è stata una sorpresa. Al contrario. Si sapeva che presto o tardi qualche cosa di grosso sarebbe venuto a galla. I grandi finanzieri, più agguerriti che mai, da tempo erano tornati ai tavoli verdi dei giochi speculativi con i fondi dei salvataggi fatti dai governi e con i soldi presi a prestito a tasso zero.

La SEC ha denunciato la banca di New York di aver ingaggiato nel 2007 l’hedge fund di John Paulson, perché questo, insieme ad un altro ignaro selezionatore ACA, includesse nel paniere di un nuovo CDO (Collateralized Debt Obligation, una obbligazione speculativa), alcuni tra i titoli più a rischio del settore dei mutui subprime. Quel prodotto, chiamato Abacus 2007-AC1, fu in seguito dalla Goldman Sachs piazzato ai suoi clienti istituzionali, fondi pensioni, banche europee ed altri.

Nel contempo però lo stesso hedge fund J. Paulson & Co. apriva posizioni speculative al ribasso su sul CDO Abacus, scommettendo sul crollo del settore dei mutui casa. Mentre le famiglie perdevano la casa e le banche coinvolte nelle speculazioni dei crediti subprime andavano a gambe all’aria, Paulson incassava miliardi di dollari di profitti. La Goldman Sachs era consapevole delle truffa, anche perché, secondo la SEC, avrebbe ripetuto questo giochetto almeno altre 25 volte.

Che la Goldman Sachs fosse una “strana bestia”, lo avevamo già indicato da tempo. Infatti, essa compare per la prima volta a fine 2008 nel listino dell’istituto governativo “Office of the Comptroller of the Currency”, che include le grandi banche americane operanti sui mercati non regolamentati dei derivati. A quella data essa vantava derivati OTC per 30.200 miliardi di dollari, e a fine marzo 2009, cioè soltanto in tre mesi, ne aveva già 10.000 miliardi in più!

Oggi Goldman Sachs Group ha OTC per 49.000 miliardi di dollari a fronte di un valore reale dei suoi assets di 849 miliardi di dollari, cioè un cinquantottesimo Si ricordi che, nel mezzo della crisi finanziaria più grave e devastante della storia e mentre si gettava a capofitto nella speculazione in derivati, essa otteneva oltre 10 miliardi di dollari di aiuti TARP da parte del Tesoro. Intanto continuava a elargire bonus ai suoi manager per 4,8 miliardi.

Il crollo delle azioni della Gs sul mercato di Wall Street rischia di destabilizzare tutte le borse. La lobby delle banche è all’opera con il solito ricatto del too big to fail. Occorre, invece, fare subito luce su queste vicende, compreso il suo ruolo nel fallimento del colosso assicurativo AIG, che fu salvato con 180 miliardi di soldi pubblici, se davvero si vuole uscire dalle paludi delle crisi finanziaria ed economica globale.

La truffa della Gs è solo la punta dell’iceberg. I CDO sintetici e ad alto rischio sono stati manovrati anche dalla JP Morgan, dalla Citi Group e dalla Merrill Lynch negli Usa. Anche da altre banche in Europa, a cominciare dalla Deutsche Bank e dalla UBS svizzera.

I governi di Londra e di Berlino sono scesi in campo chiedendo, giustamente, informazioni alla SEC per valutare eventuali operazioni truffaldine della Gs anche nei loro paesi e nell’intera area dell’euro. Del resto il suo coinvolgimento nelle operazioni della Grecia di falsificazione dei bilanci, ne è la prova.

Naturalmente la Goldman Sachs non è l’unico lupo famelico!

Almeno due grandi banche europee, la ABN Ambro olandese, adesso parte della Royal Bank of Scotland, e la tedesca IKB, entrambe “golose” di CDO ad alto rischio, avevano enormi quantità di Abacus, perdendo oltre 1 miliardo di dollari per tali obbligazioni. Per la loro situazione di crisi complessiva, il governo tedesco e quello inglese hanno poi dovuto versare 83 miliardi di dollari di aiuti per salvarle dalla bancarotta.

Il presidente Obama nel suo ultimo discorso settimanale, riferendosi alla truffa della Gs, ha spinto a varare immediatamente la riforma finanziaria “per evitare gli eccessi compiuti con i derivati. Altrimenti si rischia di essere travolti da una nuova crisi”.

Non c’è più tempo da perdere. Servono le nuove regole e bisogna realizzare la Nuova Bretton Woods di cui tanto si è parlato.
di Mario Lettieri - Paolo Raimondi

23 aprile 2010

La Privatizzazione illecita

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Ogni volta che Frank Anderson parla nel modo come ha fatto in un forum pubblico recente a Washington D.C. sulle “funzioni statali di base eseguite da affaristi”, la gente l’ascolti bene.
Mr. Anderson è il presidente del Middle Est Policy Council, ma in passato è stato il capo del Near East e della South Asia Division della CIA.
Tale discussione - ritrasmessa da C-Span – animata Mr. Anderson, si è svolta tra studiosi noti e insicuri politicizzati attenti alla sicurezza nazionale in tale area tumultuosa del mondo.
A Mr. Anderson fu chiesto di Blackwater, la corporation discussa i cui profitti vengono dai contratti del Pentagono e del Dipartimento di Stato per fornire sicurezza al personale del governo USA in Asia occidentale e centrale e per compiere varie operazioni segrete che creerebbero una crisi d’identità con la CIA.
Blackwater si è messa nei guai per aver sparato a civili iracheni senza subire provocazioni.
I lavoratori della corporation sono coinvolti in missioni sensibili, come la recente esplosione suicida di 2 agenti in Afganistan.
Ancora una volta, la linea tra funzioni governative e aziendali non è solo confusa, essa ha cessato di esistere.
L’On. J. Schakowsky (D-IL) definì Blackwater un “trasgressore seriale che mette spesso in pericolo la nostra missione, le vite dei nostri militari e costa la vita a civili innocenti”. Lei chiese perché Blackwater è impiegata ovunque dal governo USA.
Originata dalle attività di sicurezza nazionale, proprio per incontrare le richieste di lavoro per le agenzie segrete, sta turbando molti membri attivi e in pensione della difesa nazionale e delle agenzie di sicurezza.
Le contrattazione aziendali, lanciate tanto tempo fa da R. Reagan, sembrano ancora inarrestabili.
Ci sono più contrattisti in Iraq e Afganistan che soldati degli USA. Sono oltre duecentomila e bisognerebbe continuare a contare.
La ragione di questi contratti è (1) maggiore efficienza, (2) maggiore talento e (3) maggiore flessibilità personale ogni volta che questa è necessaria.
Primo, buttate via l’idea dei risparmi fiscali.
Mr. Anderson stima che i costi siano da due a tre volte più alti quando le corporations fanno il lavoro.
Altre stime sono più alte, persino se il cibo contaminato e l’acqua da bere non spediti, le appropriazioni indebite e la frode che costringono i revisori del Pentagono a svegliarsi di notte, non sono inclusi.
Gli specialisti dell’acquisizione governativa accusano i politici di creare schiere e file di contrattisti con i loro contratti forti e complicati che dissipano le contabilità.
E’ un incubo kafkiano dell’idea di stato multinazionale.
Certo, tutto ciò ha condotto al cervello di governo e a un canale abile per le multinazionali che pagano molto di più del governo.
Un ciclo vizioso di incapacità e inganno esterno stabilizza e permette ai dipartimenti governativi di razionalizzare di più la fuga dagli enti.
“E’ impossibile che noi si possa aver permesso agli uomini di affari di compiere le funzioni statali”, ha detto Mr. Anderson, specialmente ha aggiunto nelle aree dei “servizi segreti e dell’applicazione della violenza”.
Allo stesso forum, Bruce Riefel, docente anziano di politica estera al Brookings Institution, ex agente CIA e specialista sul Middle East Affaire, ha concordato con Mr. Anderson, lamentandosi moltissimo delle schiere di parate e contratti.
I signori Anderson e Riedel non sono più soli.
Le loro idee riflettono spesso un cerchio più grande di professionisti governativi che hanno visto il fuggi - fuggi di massa di contrattisti governativi da DOD, CIA AID e NASA.
Il Congresso è impegnato a guardare in questa follia che dilata i deficit e fugge dai modelli di servizio pubblico e di valori.
Le possibilità di cambiamento?
Mr. Anderson ha detto “fissare questo richiederebbe cambiamenti rivoluzionari”. Tale obbiettivo può venire solo dalla gente proverbiale - sveglia e determinata.
Se questo non accadrà, quello che Franklin Delano Roosevelt chiamò fascismo nel 1938 - che è il controllo “corporate” del governo - stringerà la sua presa molto costosa.
La mentalità del governo “corporate” non è ristretta a Washington, D.C. I governi statali sono svuotati anche con una frode simile, sebbene meno devastante, e con una fuga dalle responsabilità.
Proprio l’altra settimana, il nuovo governatore della Virginia, R. F. McDonnell, ha annunciato che permetterà ai segretari del suo gabinetto di fare doppi giuramenti lavorando nei consigli di amministrazione di imprese commerciali. La Virginia è uno degli stati che permette un conflitto di interesse interno tra i doveri verso i cittadini e la lealtà a un profitto aziendale specifico. Così il suo nuovo Secretary of Commerce and Trade, Robert Sledd, continuerà a sedere in tre consigli aziendali.
Nel suo lavoro giornaliero, Sledd è responsabile di 13 agenzie che regolano la politica commerciale, secondo il Washington Post.
Da questo lato, sta nel consiglio di un’impresa del tabacco e in un affare di forniture mediche. Giù in Arizona, un nuovo scivolamento verso i fossati è pronto per verificarsi.
Accerchiato da un grande deficit statale, i dirigenti statali e il loro governo rifiutano di cessare il benefici aziendale e i relativi sgravi e sussidi fiscali.
Al contrario, hanno messo il cartello “vendesi” al palazzo statale di Arizona per realizzare $735 milioni e pagare dopo l’affitto agli acquirenti!! (Breaking News--Svendita fatta!)
Sono in vendita anche, tra le altre strutture, gli edifici del legislativo, il Department of Public Safety, le prigioni e il Coliseum statale.
Per gli psichiatri sociali e per gli economisti dell’efficienza: per favore aiutateci a capire.
Non avrebbero fatto meglio per i legislatori statali a vendere proprio le spalle delle loro giacchette agli inserzionisti delle imprese?
In tal caso come minimo, ci sarebbe la verità nello slogan!

di Ralph Nader

21 aprile 2010

L'Argentina sta saldando il debito del 2001, mentre la Grecia lotta





La Grecia fa di tutto per evitare di guadagnarsi la reputazione di Paese poco attento ai debiti, come l’Argentina dieci anni fa

Per scacciare i fantasmi del suo passato economico, l’Argentina ha proposto di pagare l’ultimo gruppo di creditori risalenti al suo crack finanziario da 100 miliardi di dollari di dieci anni fa, mentre la Greca si sta impegnando in una battaglia per evitare lo stesso destino. Il primo ministro greco George Papandreu ha detto questa mattina al parlamento che è sbagliato credere che la nazione, pur pesantemente indebitata, sia fallita, solo perché il Fondo Monetario Internazionale si è offerto di farla uscire dai guai.

Rappresentanti del FMI dovranno recarsi la prossima settimana ad Atene per discutere quali misure saranno necessarie a curare l’economia, dopo che il ministro dell’economia greco ha richiesto al Fondo e all’Europa che si metta a punto un piano di salvataggio da 45 miliardi di euro.

“Oggi c’è un meccanismo di aiuto dove prima non ce n’era nessuno” ha dichiarato Papandreu. “E’ un ancora di salvezza per la Nazione contro la speculazione finanziaria e una concreta manifestazione di aiuto da parte dell’Unione Europea. Il coinvolgimento del FMI non significa che il Paese sia in bancarotta. L’attivazione dei meccanismi dell’UE o del FMI sarà decisa a seconda degli interessi della nazione.”

La Grecia fa di tutto per evitare di guadagnarsi la reputazione di Paese poco attento ai debiti, come l’Argentina dieci anni fa. Nella notte il paese ha annunciato dettagli di un’offerta di scambio del debito che sta proponendo ai possessori di circa 20 miliardi di bonds ancora non pagati dal crack del 2001.

Il ministro argentino dell’economia Amado Badou ha detto che attraverso questa offerta il governo spera di “farla finita con la vergogna del 2001 una volta per tutte”. I creditori dovrebbero accettare uno sconto del 66.3 per cento sui loro investimenti ma le fluttuazioni della moneta fanno si che l’offerta valga circa 51 centesimi per dollaro. Il governo ha tentato di persuadere la maggior parte dei creditori ad accettare un accordo ai tassi del 2005 ma i titolari dei rimanenti 20 miliardi hanno cercato di ottenere un accordo migliore. Nei fatti, con gli interessi sopra il periodo, il gruppo di creditori deve ricevere più di 29 miliardi di dollari.

Giungere ad un accordo è cruciale per l’Argentina poiché è stata effettivamente tagliata fuori dai mercati negli scorsi nove anni, impossibilitata a chiedere nuovi fondi per paura che i creditori avrebbero preteso quei soldi. In passato, i creditori dell’Argentina hanno fatto ricorso ai tribunali cercando di ottenere la confisca di ogni bene, dai vascelli navali alle residenze diplomatiche.

Mentre il governo assicura di non dover chiedere ancora fondi, ci sono da pagare 15 miliardi di debiti di questo anno e ci sono già piani per una vendita di 1 miliardo in bond.
di Richard Wray

Titolo originale: "Argentina to repay 2001 debt as Greece struggles to avoid default "

Fonte: http://www.guardian.co.uk

20 aprile 2010

Signore e signori il signoraggio s'ignora


Oggigiorno in tutto il mondo, risultato legalizzato di una continua evoluzione durata molti secoli, tutta la massa monetaria viene creata da un unico ente emittente: il Sistema Bancario, ovvero l’ insieme delle Banche Centrali e delle Banche Commerciali e d’ Affari concatenate secondo uno schema piramidale.
Tale moneta viene emessa esclusivamente con le seguenti caratteristiche contemporanee:

- come un debito, ovvero in contropartita a titoli di debito emessi dal richiedente, cioè PRESTANDO;
- senza alcuna contropartita economica, ovvero semplicemente STAMPANDOLA su carta filigranata o DIGITANDOLA al computer (moneta nominale), quindi creandola letteralmente DAL NULLA e perciò diventando una falsa cambiale;
- pretesa di GARANZIE REALI (beni, stipendi, rendite, prelievo fiscale, ecc.) dal debitore SOLTANTO, chiunque esso sia (privati, imprese, Stati e altre Pubbliche Amministrazioni), anziché dall’ ente emittente-prestatore stesso;
- pretesa di pagamento di un interesse e di restituzione del valore nominale del debito monetario contratto;
- distruzione del valore nominale della moneta restituita in quota capitale - moneta-debito dissipativa - e percepimento dell’ interesse restituito (solo esso verrà poi eventualmente tassato), a conferma del fatto che la massa monetaria per il prestito era stata creata dal nulla;
- vincolata metodologicamente e quantitativamente a nessun dato oggettivo se non alle decisioni segrete, inappellabili, autoreferenziali e antidemocratiche prese dal Sistema Bancario che esso solo detiene la sovranità monetaria.

Da siffatta modalità di emissione monetaria si deducono pesanti illeciti e/o conseguenze sul Sistema Uomo + Mondo.

1) Truffa. Si pretende la restituzione NON DOVUTA di un falso debito - a prescindere dal fatto che successivamente si distrugge la moneta restituita sul valore nominale del falso prestito - sul quale si fanno pagare pure gli interessi: essendo tutta la moneta-debito creata dal nulla, il sistema economico reale è obbligato a restituire a un FALSARIO moneta ottenuta lavorando sul mercato dei beni e dei servizi reali, quindi il guadagno - il SIGNORAGGIO - del Sistema Bancario è INFINITO. Il Sistema Bancario si AUTOCREA POTERE D’ ACQUISTO poiché compra a costo zero beni e servizi con gli interessi truffati e con i pignoramenti in caso di insolvenza del falso debitore, senza mai dimenticare che quest’ ultimo restituisce in ogni caso moneta frutto del suo lavoro a un falsario che poi ne procede alla distruzione (debito dissipativo).

2) Usura. Siccome all’ atto dell’ emissione il Sistema Bancario crea una moneta NOMINALE (valore intrinseco pressoché nullo) e la ADDEBITA, così facendo esso si appropria del valore della misura monetario senza fare alcunché poiché l’ atto del prestare è prerogativa del proprietario e contemporaneamente si contravviene al principio logico per cui chi dà valore indotto a una moneta nominale è chi la accetta e NON chi la emette: quindi il costo del denaro è del 200% all’ origine senza nemmeno contare gli interessi poiché si addebita la moneta emessa che invece dovrebbe essere al contrario data in proprietà al portatore-accettatore - moneta-proprietà - accreditandola o a titolo gratuito (reddito di cittadinanza) o contro cessione di beni/servizi; infine il pagamento degli interessi è la seconda usura applicata alla prima già enorme.

3) Falso in bilancio legalizzato. L’ appropriazione monetaria viene occultata postando la moneta emessa al passivo dello stato patrimoniale del bilancio bancario annullando in partita doppia il valore nominale del credito maturato verso il falso debitore e postato all’ attivo.

4) Istigazione al suicidio da insolvenza. E’ ovvio che, essendo la moneta-debito bancaria una moneta con le caratteristiche intrinseche della rarità a causa del debito dissipativo e del controllo unilaterale, dittatoriale e autoreferenziale da parte del Sistema Bancario (anemia monetaria programmata), è matematicamente impossibile per la gran parte dei debitori onorare le scadenze per insufficienza di moneta nel sistema economico: questi sono costretti a scegliere tra l’ indigenza, la disperazione e il suicidio per onorare un debito pure non dovuto al 100%.

5) Incostituzionalità del Sistema Bancario e della moneta solo come debito. Violazione della Costituzione Italiana negli Articoli 1, 42, 43 e 47, della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e del Trattato di Maastricht insieme alla precedente consuetudine della riserva in oro.

6) Non si muove foglia che il Sistema Bancario non voglia. E’ paradossale che l’ economia reale sia ferma o precipiti con danni sociali incalcolabili per la sola mancanza di elettroni o di carta filigranata gestiti dittatorialmente dalle banche: è come dire con parole del poeta Ezra Pound che un ingegnere non può costruire strade per mancanza di chilometri.

7) Aumento continuo dei costi economici reali: moneta-debito-costo. Poiché tutta la moneta nasce solo come debito, ogni sua emissione inietta nell’ economia reale un costo aggiuntivo di pari valore - la TASSA DA RESTITUZIONE MONETARIA - e aggravato dalla quota interessi - la TASSA SULLA TASSA DA RESTITUZIONE - che obbliga tutto il sistema economico ad AUMENTARE i prezzi e/o a TAGLIARE tutti gli altri costi, cioè salari, forniture, investimenti, misure antinquinamento, stato sociale, ecc., generando inoltre inflazione per natura poiché viene regolarmente falcidiato il potere d’ acquisto dei redditi.
Di conseguenza avere ampie zone del Pianeta a costo economico quasi zero per materie prime, lavoro, salute umana e preservamento ambientale diventa OBBLIGATORIO e i regimi autoritari e le dittature militari fantoccio che controllano tali territori – il c.d. Terzo Mondo e i c.d. Paesi in via di sviluppo - sono NECESSARI a mantenere tali queste gigantesche discariche di costi su scala mondiale e per garantire una parvenza di benessere ai c.d. Paesi sviluppati in quanto si presenta quasi come il benessere dei polli in batteria.
Infatti il debito verso il Sistema Bancario è tra tutte le passività quella a massima esigibilità e a minima negoziabilità.

8 )Fisco. Gli Stati Nazionali e le altre Pubbliche Amministrazioni essendo quindi privi di sovranità monetaria si vedono costretti a imporre tasse di ogni tipo in quanto SOLO riciclando la poca moneta già circolante nel sistema economico si garantiscono i servizi di pubblica utilità, anziché procedere a creare moneta a costo zero per sé e senza alcuna formazione di Debito Pubblico. Viene da secoli fatta passare l’ idea che le tasse servono a finanziare la spesa pubblica senza contemporaneamente dire che… sono assolutamente inutili in quanto basterebbe copiare quello che già fa il Sistema Bancario: creare moneta sovrana a costo zero. L’ imposizione fiscale statale è pura conseguenza della presenza del Sistema Bancario come unico sovrano sulla moneta oltre che garanzia di solvibilità sullo stesso Debito Pubblico e diventa una delle principali forme coercitive di controllo sociale: indirizzamento economico-ideologico e stress e classizzazione del tessuto sociale.
Inoltre il sistema fiscale è deleterio anche perché è inflattivo in tutti i casi in cui aumenta il suo prelievo, imponendo un costo monetario.
Infine una parte delle entrate pubbliche ordinarie (circa il 10% nel caso dell’ Italia) serve a pagare interessi di continuo ed estinzioni di titoli saltuarie al Sistema Bancario che è il principale proprietario del Debito Pubblico. Questa è una delle fonti di lucro a costo zero del Sistema Bancario e funge da garanzia in caso di insolvenza generalizzata del settore privato o peggio di tragicomici salvataggi delle stesse banche prestatrici. Infatti il portafoglio delle Banche Centrali è composto generalmente da titoli di debito statali vista la loro alta solvibilità.
Lo Stato così concepito è un semplice fantasma giuridico utilizzato per servirSI anziché per serviRE.

9) Crisi economiche e fallimenti INELUTTABILI. E’ ovvio che la moneta-debito-costo dissipativa somiglia nel complesso a un osso lanciato in un canile pieno di cani affamati e arrabbiati che si azzannano solo per l’ idea di avere quell’ unico osso, una riedizione moderna della rarità aurea. Infatti il sistema economico nel complesso è costretto a barcamenarsi avendo a disposizione la poca moneta circolante e mantenuta rara nella media attraverso le continue operazioni di iniezione (creazione) e ritiro (distruzione) monetario attuate dal Sistema Bancario: perciò le crisi NON sono causate dalla mancanza di beni e servizi ma dalla mancanza di moneta per comprarli.

10) Monopoli, Mafie e Mangiatoie pubbliche e private. Siccome la moneta-debito-costo dissipativa emessa dal Sistema Bancario è inesorabile nelle sue caratteristiche poc’ anzi descritte, come sono fisiologiche le discariche di costi globali così pure diventa fisiologica la formazione di Monopoli privati o pubblici, di sistemi corruttivo-clientelar-familistici e di associazioni a delinquere nazionali e sovrannazionali: infatti, siccome la rarità monetaria viene fatta passare SOLO attraverso i canali della produzione di beni e servizi, l’ accesso al potere d’ acquisto monetario diventa raro di conseguenza e perciò in tali condizioni di alto stress competitivo economico chi arriva per primo sulle informazioni non può che puntare sulla creazione di un’ oligarchia ben organizzata - cartelli e monopoli - in ogni settore produttivo poiché solo essa consente in condizioni di anemia monetaria di ottimizzare i profitti, minimizzare i costi e stabilizzare nel tempo un dato profitto (eliminazione della concorrenza). In tale sistema monetario e sociale si alimentano bisogni e paure a circolo vizioso e funzionali al mantenimento in anestesia totale o menomazione della mente umana e chi ottiene il controllo di settori di business come quello dei media e degli stupefacenti (completamente sovvenzionati e supportati dal Sistema Bancario e dalla classe dirigente) si ritrova in una condizione di privilegio monetario praticamente permanente in termini di copertura di mercato e di abbattimento/ottimizzazione di costi/profitti tipico dei Monopoli legalizzati.
La scorciatoia monetaria di arricchimento del Sistema Bancario alimenta col debito-costo e con l’ anemia monetaria tutte le altre scorciatoie al miglioramento del potere d’ acquisto contro la fatica competitiva e contro l’ aumento dei costi: monopoli, corruzione istituzionale endemica (tangenti e clientelismi), grandi organizzazioni malavitose e illegalità diffusa già a basso livello. In definitiva si creano a cascata altre forme di signoraggio, cioè ottenere il massimo con la minima spesa emulando il Sistema Bancario.
Inoltre il Sistema Bancario ha interesse a prestare moneta proprio a chi dà le massime garanzie di restituzione del debito e/o di remunerazione di interessi e a chi se non a enti e società pubbliche o private che gestiscono monopoli naturali e artificiali e cartelli industriali in settori economici strategici? Come per esempio quelli bellico, chimico, farmaceutico, agroalimentare, energetico o dei trasporti… senza contare l’ opzione per le stesse banche di entrare direttamente al controllo dei cartelli multinazionali.

11) Moneta come massima forma di droga per il controllo sociale a livello planetario. Chi stenta alla competizione economico-sociale data dallo scannamento sull’ osso monetario viene considerato dal gregge inconsapevole un outcast, un reietto, un fannullone, un parassita, un indegno di vivere anche solo perché mette in dubbio le “certezze” della massa inquadrata e chi magari una volta tentata la competizione non riesce in qualche modo a posizionarsi secondo le aspettative viene pubblicamente deriso e umiliato. Da secoli infatti il concetto di dare denaro SOLO in cambio di lavoro è imposto come IGNOBILE DOGMA (anziché concepire il lavoro come semplice attitudine spontanea deideologizzata) che impedisce al pubblico di capire che la moneta acquista valore per convenzione sociale SENZA LAVORARE e ha la SOLA funzione di misurare il valore dei beni/servizi misurabili senza veicolare valore intrinseco e senza alcuna riserva depositata.
Nel Sistema del Debito Dissipativo il lavoro diventa un concetto ideologico imposto dalla NECESSITA’ di reperire moneta pena la propria esistenza fisica: ogni mansione diventa speculazione difensiva. In tale girone infernale lo stress sociale è ineliminabile perché BANALMENTE e TRAGICAMENTE creato all’ origine a livello monetario. Ogni altro male sociale è un semplice cascame dello stress economico-monetario.

12) Moneta come massima forma di divisione classista della società. Da quanto precedentemente rilevato, risulta che nel Sistema Piramidale del Debito Dissipativo implementato dittatorialmente dal Sistema Bancario la divisione della società in classi è intrinseca e ingessata: i pochi che raggiungono i piani intermedi e i pochissimi che stanno al vertice della piramide monetaria tendono a rimanervi perché vedono il parassitismo finanziario corporativo o verticistico che li caratterizza come la miglior forma di autosostentamento e di speculazione economica in quanto la ricaduta sugli stessi con gli interessi di tutti i danni umani e ambientali causati dal Sistema ha tempistiche molto più lunghe rispetto alla massa che vive ai piani bassi della stessa piramide e che ambisce a salire di livello. Il motivo per continuare così diventa mors tua vita mea: l’ Umanità non può che diventare cattiva con se stessa non avendo altra alternativa che la guerra economico-monetaria permanente.
Mediamente nella quasi totalità dei casi si perde ma la gente continua imperterrita, perché obbligata, a giocare alla Roulette del Debito in cui, ironia delle parole, il Banco vince sempre: è ovvio che il Banco vince perché… produce letteralmente le situazioni e le informazioni.
Il trucco psicologico del Banco sta nel creare la generica aspettativa di un futuro roseo attraverso copiose elargizioni monetarie iniziali, riproducendo dopo ogni disastro l’ allucinazione di un nuovo Far West da predare spostando artatamente più a Ovest la costa del Pacifico.
di Vito Zuccato

19 aprile 2010

Banksters, un po` di fumo negli occhi

http://trendsupdates.com/wp-content/uploads/2009/02/goldman-sachs.jpg


Anche nella patria dei banksters qualcosa si muove.
La Goldman & Sachs, la potente banca d’affari protagonista di scempii sociali e finanziari e della bancarotta delle produzioni nazionali di mezzo mondo, è sotto accusa negli Stati Uniti per frode. Le sue azioni colano a picco perché la Sec, l’organo di controllo federale sulle borse Usa, ha accusato la Goldman di aver creato e venduto prodotti finanziari “collaterali” - detti “cdo” - fasulli e di più che dubbio rendimento agganciati a quei mutui subprime che nell’autunno 2008 hanno travoltoi e devastato le economie anglo-americane trascinando a ruota nel disastro mezzo Occidente.
Siamo tuttavia certi che dopo l’attuale clamore di “propaganda” farà seguito la consueta doccia fredda del prevedibile “nulla di fatto” e cioè del salvataggio della banca dei banksters (non a caso le famiglie Goldman-Sachs e Schapiro - Mary Schapiro è l’attuale governatrice della Sec, nominata qualche mese fa da Obama - sono strettamente collegate).
Tuttavia, a esclusivo beneficio dei nostri lettori, vogliamo ricordare qui brevemente, a futura memoria, tre o quattro eventi e alcuni protagonisti delle performances della Goldman & Sachs.
1869. Fondata da Marcus Goldman. 27 anni dopo, associato il genero Samuel Sachs viene quotata al New York Stock Exchange.
1929. La G%S è già una delle quattro cinque istituzioni finanziarie che governano Wall Street. Rischia il fallimento per aver piazzato “fondi di investimento” privi di rendita. L’anno dopo il socio partener Sydney Weinberg ristruttura l’istituto di lucro che indirizza le sue attenzioni alle aziende e ai servizi. Inventa obbligazioni (prestiti a usura) che intervengono, per fare profitti, sui bilanci e sulle casse dei Comuni Usa. La nuova “guida” degli anni ‘50, Gus Levy, crea il marchingegno della compravendita “serrata” di azioni diretta a rastrellare il risparmio di piccoli investitori priuvati. Negli anni ‘80 diventa la principale “consulente” per “aiutare” i processi di privatizzazioni delle aziende pubbliche nel mondo.
1992. “Gita” nel Britannia, il panfilo della Regina, al largo di Civitavecchia. Assieme all’anfitrione governatore d’Inghilterra e al proprio “agente” Georges Soros, ospiti gli Andreatta, i Draghi e gli altri nomi eccellenti della nascente “seconda repubblica italiana”, pianifica un mega-profitto sulla speculazione sulla lira, che verrà svalutata - misteriosamente troppo tardi - da Ciampi, e uscirà dallo Sme. Quindi avviene il sacco più totale delle grandi aziende strategiche italiane, dalle tlc ai trasporti, all’energia, tutte svendute e privatizzate al peggior offerente. Operazione che verrà pianificata anche in altre nazioni del mondo, in Europa (contro la sterlina) e nell’Asia del sud est (Soros verrà condannato a morte in Malesia per tali operazioni).
Qualche altro nome noto, della sua organizzazione.
Naturalmente Mario Draghi, l’attuale governatore di Bankitalia, vicepresidente di G&S; Romano Prodi, “consulente”; Mario Monti (già commissario Ue); Massimo Tononi (sottosegretario del governo Prodi); Gianni Letta (sottosegretario del governo di Berlusconi. E poi un elenco senza fine di governanti Usa: da Robert Rubin a Henry Paulson, daRobert Zoellich e William Dudley (Fed) e così via.
Ora i suoi titoli stanno andano a picco.
Peccato che, passata la tempesta, verrà salvata.

di Ugo Gaudenzi

16 aprile 2010

COMPETITIVAMENTE AL COLLASSO

Economia A CURA DEL CLUB ORLOV

Ci stiamo confrontando con un periodo di collasso economico, politico e sociale. Ogni giorno che passa ci avvicina sempre di più a questo collasso e non sappiamo nemmeno come fermarci, vero? Ma, quale parte della frase “più duramente ci si prova, più duramente si cade” non capiamo? Perché non siamo in grado di capire che ogni dollaro in più di debito ci porta sempre più velocemente, più duramente e più profondamente verso la bancarotta? Perché non riusciamo ad afferrare il concetto che ogni dollaro investito in spese militari mina la nostra sicurezza? Esiste per caso qualche sorta di debolezza mentale che ci impedisce di capire che ogni dollaro che finisce nell’industria medica ci rende solo più malati? Perché non riusciamo a vedere che ogni figlio messo al mondo in questa situazione insostenibile renderà solo la vita più difficile a tutti i bambini? In breve, quale diavolo è il nostro problema?

Perché non ci fermiamo? Possiamo dare la colpa all’evoluzione, che ha prodotto in noi degli istinti che ci obbligano ad ingozzarci quando il cibo è abbondante, a costruirci riserve di grasso per i periodi di magra. Questi istinti non ci sono utili quando ci si trova in uno di quei buffet sempre aperti.

Questi istinti non sono nemmeno del tutto nostri: anche altri animali non sanno quando fermarsi. Le farfalle banchettano con la frutta fermentata fino a quando non sono troppo ubriache per volare. I maiali continuano a mangiare ghiande fino a quando non sono troppo grassi per stare in piedi e sono costretti a carponare sulla pancia per, ovviamente, riuscire a mangiare altre ghiande. Gli americani che sono troppo grassi per camminare sono considerati come dei disabili e il governo li ha dotati di scooter motorizzati affinché non provino l’umiliazione di carponare sulle loro pance fino ad un buffet all-you-can-eat. Un progresso considerevole.

Oppure diamo colpa alla nostra educazione che mette il ragionamento matematico in cima al senso comune. La matematica fa uso dell’induzione – cioè l’idea che se uno più uno fa due quindi due più uno deve fare tre e così via fino all’infinito. Nel mondo reale, contando le ghiande, una ghianda più una ghianda non è lo stesso di un milione di ghiande più una – non se ci sono scoiattoli che ci girano attorno, soprattutto una volta scoperto che siete stati voi i primi a rubare le loro ghiande. Un milione di ghiande è semplicemente una quantità impossibile da portarsi via e voi siete concentrati invece a trovare il modo per aggiungerne ancora una alla pila mentre state combattendo contro gli scoiattoli facendo venir voglia ai bambini di iniziare a deridervi con nomi stupidi. La pila di ghiande cresce, ancora più di quanto previsto ma in questo modo non state facendo altro che commettere un errore sempre più grande dimostrando che 1.000.000 + 1 è effettivamente 1.000.001 - ∂, dove ∂ è il numero di ghiande di cui avete perso le tracce, chissà dove. Una volta che ∂ > 0, voi avete in realtà messo da parte qualcosa che è in diminuzione e una volta che ∂ > 1 avrete un vero e proprio risparmio negativo. Nella realtà dei fatti, per quanto pensiate possa questo essere un grande numero, nella realtà, si rivelerà sempre più piccolo. Come risultato può non essere soddisfacente e non ci sono teorie a supporto di questa tesi ma, in compenso, è qualcosa che si può osservare ovunque. Il fatto è che non siamo in grado di spiegare tutto ciò che succede usando solo il nostro cervellino da primate ma questo non rende i fenomeni meno reali.

Il concetto di risparmio decrescente è abbastanza semplice da comprendere e da osservare, eppure è notoriamente difficile da percepire dalle persone che stanno cercando di ottenerlo. Il punto centrale del risparmio decrescente effettivamente è difficile da individuare perché ci siamo allontanati talmente tanto da quel punto da non essere in grado di riconoscere niente. Se voi ora beveste un drink sapreste dirmi quando sarete al punto di ottenere un risparmio decrescente? Un altro drink vi renderebbe più felici e socievoli o non farebbe poi molta differenza? Oppure vi causerà un imbarazzante dopo-sbronza? O ancora, vi farà arrivare al pronto soccorso perché avete respirato il vostro vomito? Come regola generale, più di quanto possiate pensare, tutto dipende dalla difficoltà per voi di tracciare delle sottili distinzioni tra tutte queste cose. Questa regola non è legata solo al bere ma si può applicare a quasi tutti i comportamenti legati alla produzione di euforia o alla semplice soddisfazione dei bisogni. La maggior parte di noi è in grado di fermarsi prima di bere troppa acqua o mangiare troppo porridge o di accatastare troppe balle di fieno. Invece tendiamo a commettere degli errori con l’autocontrollo quando si parla di cose particolarmente piacevoli o che causano assuefazione come droghe, tabacco, alcol e cibi particolarmente gustosi. In più tendiamo a perdere completamente l’autocontrollo quando quest’iniezione di euforia riguarda aspetti sociali quasi intangibili come l’ingordigia, la ricerca di uno status, il potere e così via.

Questo è il meglio che siamo in grado di fare? Assolutamente no! La cultura umana è piena di esempi in cui le persone decidono di opporsi con successo a queste tendenze primitive. Gli antichi greci fecero della moderazione una virtù: il tempo di Apollo a Delfi porta l’iscrizione “Niente in eccesso”; la tradizione taoista si basa sull’idea di equilibrio tra lo ying e lo yang, forze apparentemente in contrasto ma che in realtà lavorano insieme per mantenere questo equilibrio. Anche nella moderna cultura dell'ingegneria esiste il motto “Il meglio è nemico del bene” (Voltaire) sebbene, sfortunatamente, gli ingegneri abbastanza bravi da rispettare questo motto siano una rarità. A livello microscopico il business che li circonda li forza perennemente ad ottenere il massimo (inteso come massima crescita, reddito e profitto) o un minimo poco intelligente (di costi, di ciclo di produzione e di manutenzione); sono costretti a fare questo a causa dell’influenza di un pernicioso concetto che si è insinuato in loro e in molti altri aspetti della cultura: il concetto di competizione.

Il concetto di competizione sembra essere stato il primo ad elevarsi allo status di culto al tempo dei giochi intesi come forma di sacrificio agli dei, in culture molto differenti come quella dell’antica Grecia o dei Maya, in cui gli eventi competitivi erano concepiti come mezzo per compiacere gli dei. Io preferisco decisamente la versione olimpica, in cui il principio ispiratore del gioco era l’ideale di perfezione umana sia nella forma che nella funzione, rispetto a quella dei Maya, in cui risultato dei giochi era il modo per decidere chi sarebbe stato sacrificato sull’altare di qualche particolare archetipo culturale, ma essendo abbastanza di mentalità aperta sono in grado di accettare anche questo principio come valido. È stato Aristotele a sottolineare che l’inseguimento del principio primo non è un’area in cui la moderazione non può essere d’aiuto, e chi sono io per contraddire Aristotele? Ma quando ci si sposta dal difendere un ideale o un principio alla vita mondana, pratica e utilitaristica, è l’idea stessa della competizione che dovrebbe essere vista come un’offerta buona, calda e gustosa sacrificata sull’altare del nostro buon senso.

Se il fine è conseguire un successo adeguato con uno sforzo minimo, perché due persone dovrebbero competere per uno stesso lavoro? E se esiste abbastanza lavoro per tutti e due perché questi non dovrebbero collaborare invece di sprecare energie nella competizione? Beh, forse ad entrambi è stato fatto il lavaggio del cervello che li ha portati a pensare di dover competere per avere successo, ma non è questo il punto. Il punto è che c’è una grande differenza tra il competere per rispondere ad un principio come quello della perfezione divina e il competere per il mero denaro. Non c’è niente di divino in una montagna di soldi e, proprio come per una montagna di ghiande, gli scoiattoli attratti saranno molti; infatti chi si trova seduto su una qualche pila di ghiande spesso sembra egli stesso uno scoiattolo. Mischiando un po’ di metafore si può dire che sembri una gallina che sta arrostendo sulla sua pila di ghiande non aspettando altro che quella si trasformi in più ghiande ancora; ma sia che siano scoiattoli o galline certamente non si tratta di divinità e le loro ghiande non valgono certo il nostro sacrificio.

Una volta dispensata l’idea che la competizione è qualcosa di necessario, o addirittura auspicabile, si aprono nuove scuole di pensiero. Quando si può dire di possedere abbastanza? Probabilmente è molto meno di quanto possediamo in questo momento. Quanto duramente bisogna lavorare per riuscire ad ottenere questo risultato? Probabilmente molto più duramente di quanto stiamo lavorando adesso. Cosa succede se non sentiamo di possedere abbastanza? Beh, probabilmente sarebbe il caso di metterci un po’ più di impegno, oppure forse è arrivato il momento di prendersi qualche ghianda da chi continua ad averne troppe. Dato che possedere troppo è un lavoraccio (maledetti scoiattoli!) noi dobbiamo prestare loro il nostro aiuto. Di certo non a diventare come loro, dato che noi sappiamo che quelle persone si stanno dirigendo verso un pittoresco, esclusivo, piccolo posto chiamato collasso. Quello che probabilmente potremmo fare è invece stabilire una specie di bilancia, in cui abbastanza è effettivamente abbastanza.

Titolo originale: "Collapse Competitively"