Visualizzazione post con etichetta massoneria. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta massoneria. Mostra tutti i post

15 giugno 2007

La massoneria e la Chiesa in simbiosi



L'ultima volta che la connection fra Vaticano, massoneria e mafia aveva sconquassato assetti istituzionali e cronache giudiziarie fu ai tempi del crack del Banco Ambrosiano con la "eliminazione" di Roberto Calvi sotto il ponte dei Frati neri, a Londra. Oggi a ficcare il naso in quel maleodorante intreccio fra poteri deviati ci riprova il cocciuto magistrato britannico-partenopeo Henry John Woodcock, l'unico sfuggito (finora) a quei subitanei provvedimenti di "avocazione" o alle rituali pratiche d'insabbiamento che avevano bloccato quasi sul nascere analoghe inchieste, dalla Phoney Money di David Monti ad Aosta (con il coraggioso inquirente trasferito in Toscana ad occuparsi di più tranquille vicende) o la vicenda Cheque to Cheque: un pentolone di malaffari tra alti prelati, traffico di armi e boss in odor di affiliazione scoperchiato qualche anno fa dalla Procura di Torre Annunziata e in poco tempo svaporato nel porto delle nebbie. Senza contare che il vero predecessore di Woodcock era stato proprio l'ex procuratore capo di Napoli Agostino Cordova, che fece acquisire elenchi di affiliati alle logge massoniche dalle procure di tutta italia: faldoni che ancora oggi ammuffiscono nei depositi del palazzo di giustizia romano, dopo l'archiviazione disposta all'epoca dal giudice della capitale Augusta Iannini, fra l'altro moglie del giornalista Rai Bruno Vespa.

Ma che cosa ha potuto far riaprire oggi quello scottante capitolo, al punto da indurre il pubblico ministero potentino a chiedere ai 103 prefetti italiani di acquisire gli elenchi degli insospettabili in grembiulino? E cosa riservano di nuovo i filoni sui rapporti fra massoni deviati e le segrete stanze d'oltre Tevere esistenti nei fascicoli all'attenzione di Woodcock? La Voce, che per prima nel 1992 aveva pubblicato gli elenchi dei massoni della Campania e, qualche anno dopo, quelli dei principali affiliati all'Opus Dei e alla Augustissima Arciconfraternita del Pellegrini, prova a partire proprio da acuni nomi presenti nell'inchiesta potentina per seguire le fila che conducono ad alcuni inediti scenari.

Cominciamo da monsignor Francesco Camaldo, controverso cerimoniere vaticano coinvolto nell'indagine che un anno fa aveva portato dietro le sbarre Vittorio Emanuele di Savoia. 55 anni, originario di Lagonegro così come l'ex arcivescovo di Napoli Michele Giordano, col quale ha avuto a lungo comunione d'intenti, secondo l'accusa formulata dalla procura potentina che lo ha iscritto nel registro degli indagati, Camaldo avrebbe chiesto al faccendiere Massimo Pizza di oscurare il sito internet www.pravdanews.com, che conteneva notizie sgradite ai Savoia, con i quali il monsignore ammette d'aver intrattenuto solidi rapporti d'amicizia. Dello stesso reato è accusato anche Emanuele Filiberto: le notizie indigeste a suo padre riguardavano l'Ordine dinastico di casa Savoia, quello dei Santi Maurizio e Lazzaro. Quel sito, di fatto, è sparito dal web e non ne esistono a tutt'oggi tracce.

Entrano così in scena i più ingombranti protagonisti del milieu massonico criminale su cui sta cercando di far luce la magistratura. Un parterre condito di altisonanti cerimonie, ridondanti titoli cavallereschi, oscure affiliazioni e, probabilmente, un sottobosco di affari illeciti. Il tutto con la copertura, non sempre involontaria, di esponenti delle alte sfere vaticane e, come vedremo, anche di qualche grossa personalità della cultura internazionale. Il nome di monsignor Camaldo risuonava nelle stanze della Procura di Potenza già diversi mesi prima dell'ordine di custodia cautelare per sua altezza. A rivelare il particolare è l'agenzia Adista in un articolo a firma di Luca Kocci: «allora il cerimoniere del papa era solamente stato interrogato dal pm Woodcock nell'ambito di un'indagine per una maxi-truffa ai danni di diversi imprenditori italiani architettata da Massimo Pizza. Era stato lo stesso Pizza a tirare in ballo monsignor Camaldo, sostenendo davanti agli inquirenti di avere con lui uno "scambio fruttuoso di notizie" e dichiarando che il prelato si sarebbe mosso "per distruggere" una loggia massonica avversaria». E proprio le indagini su Pizza avevano consentito ai magistrati potentini di avviare l'inchiesta che ha travolto i Savoia.

Decano dei cerimonieri pontifici, in prima fila alle esequie di Giovanni Paolo II e da sempre vicinissimo al suo successore Joseph Ratzinger (che qualche anno fa addirittura gli telefonò, in occasione del suo compleanno, durante i festeggiamenti a casa della madre Irma), Camaldo è finito nelle "grinfie" di Dagospia per le sue frequentazioni mondane, ad esempio in occasione della mega festa in maschera organizzata dallo stilista Gay Mattiolo, che passa per essere suo ottimo amico. «Ma soprattutto - ricostruisce Kocci - Camaldo è stato il "regista" della visita dei Savoia in Vaticano, il 23 dicembre 2002, appena decaduto il divieto di ingresso in Italia per i "reali"; ha aiutato Emanuele Filiberto ad organizzare il suo matrimonio con Clotilde Courau, celebrato dal cardinale Pio Laghi nella basilica di Santa Maria degli Angeli, a Roma, nel settembre 2003; ha concelebrato il battesimo della figlia di Emanuele Filiberto, Vittoria Chiara, nella basilica inferiore di san Francesco, ad Assisi, a maggio 2004; ed è grande amico di Vittorio Emanuele, come ha spiegato Pizza ai magistrati di Potenza: l'erede al trono "è stato ospite a casa sua nell'appartamento di San Giovanni Laterano"». Trait d'union fra le due alte sfere - il Vaticano e Casa Savoia - potrebbero essere i due ordini religiosi che vedono rispettivamente in campo monsignor Camaldo e Vittorio Emanuele.

ORDINE, GENTE...

La Gran Cancelleria dell'Ordine al Merito di San Giuseppe, che vede tra gli affiliati monsignor Francesco Camaldo nel ruolo di "cavaliere ufficiale", vanta ascendenti nel granducato di Lorena Asburgo: Gran Maestro è infatti «S. A. I. & R. (sua altezza imperiale e reale, ndr) Arciduca Sigismondo d'Asburgo Lorena Toscana, Gran duca titolare di Toscana, Arciduca d'Austria, Principe reale di Ungheria e di Boemia». Poi, subito, la prima scoperta. Chi troviamo nella pomposa lista dei "commendatori"? Nientemeno che il «Gen. Dott. Amos Spiazzi di Corte Regia», al secolo, quello stesso neofascista definito dal giudice Felice Casson «un convinto e irriducibile cospiratore» ed arrestato nel 1974 per il golpe della "Rosa dei venti", organizzato in ambienti militari di estrema destra, compresi Ordine Nuovo e i servizi segreti sia italiani che di alcuni paesi della Nato. Condannato a 5 anni di reclusione, nel 1984 fu assolto in appello. Analogo esito aveva subito la condanna all'ergastolo per la strage della questura di Milano. Non appena riabilitato, il camerata Spiazzi, che si proclama "vittima" della malagiustizia italiana, nel 2002 ha fondato i "Fasci del lavoro" in provincia di Mantova. E si dà da fare, oltre che nell'Ordine di San Giuseppe, anche nell'altra corazzata dai contorni massonici, le Guardie d'onore di Napoleone: un consesso "nobiliare" che rilascia titoli accademici, baronie e marchesati compresi, a coloro che si iscrivono ai corsi per body guard e mercenari organizzati dalle società di Giacomo Spartaco Bertoletti, uno dei formatori di Fabrizio Quattrocchi.

Ma ben altri vip popolano le auguste stanze dell'Ordine di San Giuseppe. Gran Cancelliere (praticamente il numero 2, dopo il sovrano d'Asburgo) è «Marchese Cav. Gr. Cr. Vittorio Pancrazi», ex vertice del Banco Ambrosiano (poi capo dell'ufficio fidi alla Comit di Firenze), da qualche anno riconvertito al ruolo di vinicultore nella sua tenuta di Bagnolo a Montemurlo, vicino Prato. Eccoci al notabile numero 3, il vice gran cancelliere «Marchese Gr. Cr. Dott. Don Domenico Serlupi Crescenzi Ottoboni», formidabile trait d'union fra l'Ordine di San Giuseppe e i confratelli del Sacro Militare Costantiniano Ordine di San Giorgio, armati di cappa e spada per difendere i "valori" delle crociate attraverso il loro Gran Maestro Carlo di Borbone.

Ai valori terreni provvedono altri confratelli di monsignor Camaldo, come il membro delle commissioni tributarie Francesco d'Ayala Valva, o il presidente della Cassa di Risparmio di Firenze Aureliano Benedetti, in questi giorni impegnato nella contrastata fusione del suo istituto di credito con Banca Intesa; si divide invece fra onorificenze e business umanitario il «Grande Ufficiale Comm. Cav. Lav. Flaminio Farnesi», governatore di quella Arciconfraternita della Misericordia e del Crocione di Pisa titolare di una convenzione con la locale Asl per il servizio di ambulanze.

Non mancano, nell'Ordine di San Giuseppe, nomi di spicco della politica (i presidenti della Regione Toscana Claudio Martini e del consiglio regionale Riccardo Nencini), e della cultura. Se nel primo caso potrebbe trattarsi d'una iscrizione rituale e, in qualche modo, dovuta, niente permette di escludere che sia più che convinta l'adesione di due intellettuali come il filosofo siciliano Francesco Adorno e soprattutto il medievalista Franco Cardini, ex membro del consiglio d'amministrazione Rai, entrambi nominati "Cavalieri" dell'Ordine. Un passato in politica vanta invece l'ex duro e puro della Lega Nord Alberto Lembo, Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine di San Giuseppe, eletto la prima volta al senato con la casacca di Umberto Bossi, poi un passaggio in An e infine, dopo lo schiaffo dell'esclusione dalle candidature 2006, fondatore di una sigla monarchica fai da te. Altri confratelli "eccellenti" di monsignor Camaldo nell'Ordine di San Giuseppe sono poi un prelato del calibro del cardinale tedesco Augusto Meyer, a lungo presidente del Pontificio Consiglio "Ecclesia Dei", e monsignor Alberto Vallini, assistente ecclesiastico della "Primaria Associazione Cattolica". Tra i civili di sangue blu, anche il cavaliere Giuseppe Pucci Cipriani, artefice ogni anno di un raduno a Civitella del Tronto durante il quale, vagheggiando il ritorno del papa re, si fa in quattro per favorire le nozze fra i leghisti di Mario Borghezio e i ruspanti neoborbonici partenopei. Ma di Pucci Cipriani si ricordano soprattutto l'amicizia con il commissario Luigi Calabresi, ucciso dalle Br, e le successive frequentazioni con l'omicida pentito Leonardo Marino.

ADDA VENI' PELLICCIONI

Dulcis in fundo, fra cavalieri, croci e gran maestri dell'Ordine di San Giuseppe, fino a poco tempo fa si aggirava anche il massone conclamato Luciano Pelliccioni, il cui nome risulta ora scomparso dalle liste. Di Pelliccioni si era occupato per la prima volta a fine anni ottanta il magistrato torinese Lorenzo Poggi nell'ambito di un procedimento penale per associazione a delinquere finalizzata «alla confezione e distribuzione di diplomi di laurea privi di valore legale recanti timbri Cee contraffatti», che vedeva fra gli indagati anche il fondatore del Parlamento Mondiale di Palermo, "Sua Beatitudine Viktor Busà", descritto come personaggio «in rapporti col massone di spicco della circoscrizione Sud Usa, il principe Alliata di Monreale». «Busà - si legge in una consulenza resa all'epoca da esperti della Procura piemontese - risulta essere collegato anche al Sovrano Militare Ospedaliero Ordine di San Giorgio in Carinzia attraverso il suo Gran Maestro, Luciano Pelliccioni. Di quest'ordine si era interessato il giudice Giovanni Tamburino all'epoca dell'inchiesta padovana sull'organizzazione eversiva "Rosa dei Venti"».

BARBACCIA CONTRO YASMIN

Che ci faceva l'incappucciato Pelliccioni nell'Ordine di San Giuseppe? Il suo nome, di sicuro, riporta a un'altra disputa dinastica dagli accentuati contorni massonici: quella in atto fra la autoproclamatasi «Yasmin Hohenstaufen, Sovrana Suprema del Supremo Consiglio del Mondo di tutti gli Ordini e Riti Massonici», e il presunto «Principe Paolo Francesco Barbaccia degli Hohenstaufen di Svevia». Fra i due "nobili", da tempo, volano gli stracci. Stando al velenoso scambio di accuse, la prima altro non sarebbe che l'umile Aprile Gelsomina originaria di Vallo di Briano, un paesino in provincia di Caserta; il secondo proverrebbe invece dalla famiglia siciliana di quell'onorevole democristiano Francesco Barbaccia arrestato ad aprile 1993 per associazione mafiosa. «Buscetta - si legge negli atti del processo a Giulio Andreotti - ha riferito che la carriera politica del Barbaccia è stata costruita con l'appoggio di Cosa Nostra». Dall'alto delle sue esperienze "illuminate", nel libro intitolato "I falsi re di Svevia" Pelliccioni aveva stroncato le velleità nobiliari di Barbaccia. E quest'ultimo tiene a spiegare il perchè: «nel 1981 tramite un personaggio di Poggibonsi conobbi il signor Luciano Pelliccioni che mi ha conferito il diploma di Cavaliere dell'Ordine di San Giorgio in Carinzia. Entrando negli dettagli e venendo a conoscenza delle informazioni compromettenti su Pelliccioni e sul suo "Ordine", rifiutai la sua proposta di "nobilizzarmi" per 50 milioni di lire. Tutto questo ha fatto sì che Pelliccioni mi abbia inserito nel suo libro, vendicandosi a modo suo». Solo folklore? Le pruderie nobiliari di quattro buontemponi nostalgici? Oppure, come spesso è accaduto, attraverso queste farsesche disfide sono ancora una volta loro, i massoni (vaticani e non) a scrivere le pagine della storia? E' molto probabilmente su una di queste piste che sta lavorando Woodcock, al quale il sedicente agente del Sismi Massimo Pizza, nome in codice "Polifemo", aveva rivelato che Camaldo era l'uomo dal quale «i politici lucani andavano a lamentarsi terrorizzati da alcune inchieste che li coinvolgono». Il monsignore si sarebbe adoperato poi «per distruggere» una loggia massonica, «che può togliere seguaci e può distogliere soprattutto soldi e capitali da un'altra loggia massonica». Di sicuro la vendita di onorificenze, titoli nobiliari e diplomi - che per i magistrati puzza di truffa - resta ancora un buon affare. Un "pacco" al quale tanti non sanno resistere. Nell'elenco dei "Cavalieri di Federico II" nominati da Barbaccia figurerebbero tra gli altri il presunto "Presidente dell'Associazione Italiana Tabaccai" Salvatore Coco, "Duca di Caltabellotta", il «Cav. Carmelo Brunetto», bolognese, di professione promotore pubblicitario, nonchè i neoborbonici napoletani «Cav. Salvatore Lanza e Comm. Dott. Pietro Funari», nominato sul campo «coordinatore Napoli I».

DA PIZZA A SCARAMELLA

Il testimone chiave dell'inchiesta di Woodcock Massimo Pizza è amministratore unico di una srl romana, la Morris, letteralmente sparita dai registri della Camera di Commercio. Inesistente nelle ricerche sull'azionariato, risulta come «Posizione sospesa per revisione archivio (progetto 15/11/99)» quando si prova ad identificarne la sede, gli altri amministratori, il capitale o lo scopo sociale, come per qualsiasi altra impresa. Potenza di un uomo che si è autoproclamato generale del Sismi, plenipotenziario italiano per la Somalia, depositario di segreti di Stato come quelli su Ustica o sull'assassinio di Ilaria Alpi, ma che le cronache giudiziarie hanno definito un anno fa, al momento dell'arresto, come «autista di Vittorio Emanuele». Qualche stranezza, comunque, la presenta anche l'altra sigla che vede il cinquentenne salernitano Pizza come amministratore. Si tratta della snc denominata, senza troppa fantasia, New Pizza, fondata a Roma nel ‘91 e dedita ufficialmente al commercio di materiale cinematografico. Socio di Pizza è il quarantaseienne Maurizio Primavera, residente nella capitale ma originario di Sassano, provincia di Isernia. Uomo di multiformi interessi, da cineprese e pellicole Primavera passa con disinvoltura a coltivare il business delle crociere marittime a bordo della sua Marlin One, una srl fondata a Frosinone ma con sede a Roma ed attiva in quel di Chioggia, dove si propone per battute di pesca, escursioni, esplorazioni turistiche o subacquee lungo la laguna. Un personaggio mai balzato agli onori delle cronache e di cui risulta difficile capire, quindi, quali interessi possa tuttora avere in comune col socio faccendiere Massimo Pizza.

Nessun dubbio, invece, sull'idem sentire fra quest'ultimo e il contestatissimo leader dei musulmani filoisraeliani italiani Massimo Palazzi, arrestato nella retata dello scorso anno a Potenza così come Antonio D'Andrea. Tanto quest'ultimo quanto lo stesso Pizza erano infatti vicepresidenti dell'AMI, alla cui guida siede appunto il "Dott. Prof. Mawlana Shaykh Abdul Hadi Palazzi Abu Omar al-Shafi'i, Gran Cancelliere dell'Ordine e Gran Precettore per la lingua italiana del Supremo Ordine Salomonico dei Principi del Shekal". Cioè proprio lui, il romano de Roma Massimo Palazzi, in forte allure di massoneria. Della AMI e di Palazzi (nella cui orbita rientrano i giornalisti Dimitri Buffa del Giornale e soprattutto Magdi Allam, vicedirettore del Corriere della Sera) la Voce si era occupata qualche mese fa in un'inchiesta sull'altro millantatore "di stato" Mario Scaramella. Ad un convegno organizzato a Capua nel 2002 dalla Ecpp, la sigla "ecologista" del presunto 007 partenopeo, fra personalità di primo piano della magistratura come il pm palermitano Lorenzo Matassa, il giudice di Cassazione Amedeo Castiglione e l'attuale superispettore di via Arenula Arcibaldo Miller (parente acquisito di Scaramella), spiccava anche la partecipazione di Dimitri Buffa per conto della sigla musulmana messa su da Palazzi. Ecco la nota d'agenzia sull'evento: «Nel periodo dal 5 al 9 novembre il prof. Mario Scaramella, segretario generale dell'Environmental Crime Prevention Program (Ecpp) ha invitato una delegazione dell'A.M.I. e dell'Istituto Culturale della Comunità Islamica Italiana formata dal presidente Ali Hussen (Massimo Palazzi, ndr), dal responsabile del dipartimento per l'Asia Farid Naimi Khan e dal giornalista Dimitri Buffa a partecipare al simposio internazionale su "Tecnologie spaziali e sicurezza dell'ambiente", organizzato dalla Sezione Affari scientifici della Nato e dall'Ecpp presso il Centro Italiano di Ricerche Aerospaziali (Cira) di Capua. «Nell'inchiesta potentina - sottolineava la Voce a dicembre 2006 - sono documentati vorticosi giri milionari, a bordo di alcune sigle condivise con alcuni compagni di merende: oltre ad Achille De Luca, anche Massimo Pizza e Antonio D'Andrea, i quali si vantano di essere stati agenti dell'Ufficio K del Sismi. Ma cosa ha architettato il quartetto? Una truffa milionaria ai danni di migliaia di risparmiatori, vendendo sul mercato i soliti prodotti-bidone, tramite tre società civetta, Fave, Bezenet e Ivatt Industries. E dove "volavano" i proventi truffaldini? Nei paradisi fiscali, naturalmente, via sigle off shore, approdando vuoi a Montecarlo, vuoi a Miami. Appunto, nella ricca Florida dove spunta la Ecpp di Scaramella».
Rita Pennarola
Visualizzazione post con etichetta massoneria. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta massoneria. Mostra tutti i post

15 giugno 2007

La massoneria e la Chiesa in simbiosi



L'ultima volta che la connection fra Vaticano, massoneria e mafia aveva sconquassato assetti istituzionali e cronache giudiziarie fu ai tempi del crack del Banco Ambrosiano con la "eliminazione" di Roberto Calvi sotto il ponte dei Frati neri, a Londra. Oggi a ficcare il naso in quel maleodorante intreccio fra poteri deviati ci riprova il cocciuto magistrato britannico-partenopeo Henry John Woodcock, l'unico sfuggito (finora) a quei subitanei provvedimenti di "avocazione" o alle rituali pratiche d'insabbiamento che avevano bloccato quasi sul nascere analoghe inchieste, dalla Phoney Money di David Monti ad Aosta (con il coraggioso inquirente trasferito in Toscana ad occuparsi di più tranquille vicende) o la vicenda Cheque to Cheque: un pentolone di malaffari tra alti prelati, traffico di armi e boss in odor di affiliazione scoperchiato qualche anno fa dalla Procura di Torre Annunziata e in poco tempo svaporato nel porto delle nebbie. Senza contare che il vero predecessore di Woodcock era stato proprio l'ex procuratore capo di Napoli Agostino Cordova, che fece acquisire elenchi di affiliati alle logge massoniche dalle procure di tutta italia: faldoni che ancora oggi ammuffiscono nei depositi del palazzo di giustizia romano, dopo l'archiviazione disposta all'epoca dal giudice della capitale Augusta Iannini, fra l'altro moglie del giornalista Rai Bruno Vespa.

Ma che cosa ha potuto far riaprire oggi quello scottante capitolo, al punto da indurre il pubblico ministero potentino a chiedere ai 103 prefetti italiani di acquisire gli elenchi degli insospettabili in grembiulino? E cosa riservano di nuovo i filoni sui rapporti fra massoni deviati e le segrete stanze d'oltre Tevere esistenti nei fascicoli all'attenzione di Woodcock? La Voce, che per prima nel 1992 aveva pubblicato gli elenchi dei massoni della Campania e, qualche anno dopo, quelli dei principali affiliati all'Opus Dei e alla Augustissima Arciconfraternita del Pellegrini, prova a partire proprio da acuni nomi presenti nell'inchiesta potentina per seguire le fila che conducono ad alcuni inediti scenari.

Cominciamo da monsignor Francesco Camaldo, controverso cerimoniere vaticano coinvolto nell'indagine che un anno fa aveva portato dietro le sbarre Vittorio Emanuele di Savoia. 55 anni, originario di Lagonegro così come l'ex arcivescovo di Napoli Michele Giordano, col quale ha avuto a lungo comunione d'intenti, secondo l'accusa formulata dalla procura potentina che lo ha iscritto nel registro degli indagati, Camaldo avrebbe chiesto al faccendiere Massimo Pizza di oscurare il sito internet www.pravdanews.com, che conteneva notizie sgradite ai Savoia, con i quali il monsignore ammette d'aver intrattenuto solidi rapporti d'amicizia. Dello stesso reato è accusato anche Emanuele Filiberto: le notizie indigeste a suo padre riguardavano l'Ordine dinastico di casa Savoia, quello dei Santi Maurizio e Lazzaro. Quel sito, di fatto, è sparito dal web e non ne esistono a tutt'oggi tracce.

Entrano così in scena i più ingombranti protagonisti del milieu massonico criminale su cui sta cercando di far luce la magistratura. Un parterre condito di altisonanti cerimonie, ridondanti titoli cavallereschi, oscure affiliazioni e, probabilmente, un sottobosco di affari illeciti. Il tutto con la copertura, non sempre involontaria, di esponenti delle alte sfere vaticane e, come vedremo, anche di qualche grossa personalità della cultura internazionale. Il nome di monsignor Camaldo risuonava nelle stanze della Procura di Potenza già diversi mesi prima dell'ordine di custodia cautelare per sua altezza. A rivelare il particolare è l'agenzia Adista in un articolo a firma di Luca Kocci: «allora il cerimoniere del papa era solamente stato interrogato dal pm Woodcock nell'ambito di un'indagine per una maxi-truffa ai danni di diversi imprenditori italiani architettata da Massimo Pizza. Era stato lo stesso Pizza a tirare in ballo monsignor Camaldo, sostenendo davanti agli inquirenti di avere con lui uno "scambio fruttuoso di notizie" e dichiarando che il prelato si sarebbe mosso "per distruggere" una loggia massonica avversaria». E proprio le indagini su Pizza avevano consentito ai magistrati potentini di avviare l'inchiesta che ha travolto i Savoia.

Decano dei cerimonieri pontifici, in prima fila alle esequie di Giovanni Paolo II e da sempre vicinissimo al suo successore Joseph Ratzinger (che qualche anno fa addirittura gli telefonò, in occasione del suo compleanno, durante i festeggiamenti a casa della madre Irma), Camaldo è finito nelle "grinfie" di Dagospia per le sue frequentazioni mondane, ad esempio in occasione della mega festa in maschera organizzata dallo stilista Gay Mattiolo, che passa per essere suo ottimo amico. «Ma soprattutto - ricostruisce Kocci - Camaldo è stato il "regista" della visita dei Savoia in Vaticano, il 23 dicembre 2002, appena decaduto il divieto di ingresso in Italia per i "reali"; ha aiutato Emanuele Filiberto ad organizzare il suo matrimonio con Clotilde Courau, celebrato dal cardinale Pio Laghi nella basilica di Santa Maria degli Angeli, a Roma, nel settembre 2003; ha concelebrato il battesimo della figlia di Emanuele Filiberto, Vittoria Chiara, nella basilica inferiore di san Francesco, ad Assisi, a maggio 2004; ed è grande amico di Vittorio Emanuele, come ha spiegato Pizza ai magistrati di Potenza: l'erede al trono "è stato ospite a casa sua nell'appartamento di San Giovanni Laterano"». Trait d'union fra le due alte sfere - il Vaticano e Casa Savoia - potrebbero essere i due ordini religiosi che vedono rispettivamente in campo monsignor Camaldo e Vittorio Emanuele.

ORDINE, GENTE...

La Gran Cancelleria dell'Ordine al Merito di San Giuseppe, che vede tra gli affiliati monsignor Francesco Camaldo nel ruolo di "cavaliere ufficiale", vanta ascendenti nel granducato di Lorena Asburgo: Gran Maestro è infatti «S. A. I. & R. (sua altezza imperiale e reale, ndr) Arciduca Sigismondo d'Asburgo Lorena Toscana, Gran duca titolare di Toscana, Arciduca d'Austria, Principe reale di Ungheria e di Boemia». Poi, subito, la prima scoperta. Chi troviamo nella pomposa lista dei "commendatori"? Nientemeno che il «Gen. Dott. Amos Spiazzi di Corte Regia», al secolo, quello stesso neofascista definito dal giudice Felice Casson «un convinto e irriducibile cospiratore» ed arrestato nel 1974 per il golpe della "Rosa dei venti", organizzato in ambienti militari di estrema destra, compresi Ordine Nuovo e i servizi segreti sia italiani che di alcuni paesi della Nato. Condannato a 5 anni di reclusione, nel 1984 fu assolto in appello. Analogo esito aveva subito la condanna all'ergastolo per la strage della questura di Milano. Non appena riabilitato, il camerata Spiazzi, che si proclama "vittima" della malagiustizia italiana, nel 2002 ha fondato i "Fasci del lavoro" in provincia di Mantova. E si dà da fare, oltre che nell'Ordine di San Giuseppe, anche nell'altra corazzata dai contorni massonici, le Guardie d'onore di Napoleone: un consesso "nobiliare" che rilascia titoli accademici, baronie e marchesati compresi, a coloro che si iscrivono ai corsi per body guard e mercenari organizzati dalle società di Giacomo Spartaco Bertoletti, uno dei formatori di Fabrizio Quattrocchi.

Ma ben altri vip popolano le auguste stanze dell'Ordine di San Giuseppe. Gran Cancelliere (praticamente il numero 2, dopo il sovrano d'Asburgo) è «Marchese Cav. Gr. Cr. Vittorio Pancrazi», ex vertice del Banco Ambrosiano (poi capo dell'ufficio fidi alla Comit di Firenze), da qualche anno riconvertito al ruolo di vinicultore nella sua tenuta di Bagnolo a Montemurlo, vicino Prato. Eccoci al notabile numero 3, il vice gran cancelliere «Marchese Gr. Cr. Dott. Don Domenico Serlupi Crescenzi Ottoboni», formidabile trait d'union fra l'Ordine di San Giuseppe e i confratelli del Sacro Militare Costantiniano Ordine di San Giorgio, armati di cappa e spada per difendere i "valori" delle crociate attraverso il loro Gran Maestro Carlo di Borbone.

Ai valori terreni provvedono altri confratelli di monsignor Camaldo, come il membro delle commissioni tributarie Francesco d'Ayala Valva, o il presidente della Cassa di Risparmio di Firenze Aureliano Benedetti, in questi giorni impegnato nella contrastata fusione del suo istituto di credito con Banca Intesa; si divide invece fra onorificenze e business umanitario il «Grande Ufficiale Comm. Cav. Lav. Flaminio Farnesi», governatore di quella Arciconfraternita della Misericordia e del Crocione di Pisa titolare di una convenzione con la locale Asl per il servizio di ambulanze.

Non mancano, nell'Ordine di San Giuseppe, nomi di spicco della politica (i presidenti della Regione Toscana Claudio Martini e del consiglio regionale Riccardo Nencini), e della cultura. Se nel primo caso potrebbe trattarsi d'una iscrizione rituale e, in qualche modo, dovuta, niente permette di escludere che sia più che convinta l'adesione di due intellettuali come il filosofo siciliano Francesco Adorno e soprattutto il medievalista Franco Cardini, ex membro del consiglio d'amministrazione Rai, entrambi nominati "Cavalieri" dell'Ordine. Un passato in politica vanta invece l'ex duro e puro della Lega Nord Alberto Lembo, Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine di San Giuseppe, eletto la prima volta al senato con la casacca di Umberto Bossi, poi un passaggio in An e infine, dopo lo schiaffo dell'esclusione dalle candidature 2006, fondatore di una sigla monarchica fai da te. Altri confratelli "eccellenti" di monsignor Camaldo nell'Ordine di San Giuseppe sono poi un prelato del calibro del cardinale tedesco Augusto Meyer, a lungo presidente del Pontificio Consiglio "Ecclesia Dei", e monsignor Alberto Vallini, assistente ecclesiastico della "Primaria Associazione Cattolica". Tra i civili di sangue blu, anche il cavaliere Giuseppe Pucci Cipriani, artefice ogni anno di un raduno a Civitella del Tronto durante il quale, vagheggiando il ritorno del papa re, si fa in quattro per favorire le nozze fra i leghisti di Mario Borghezio e i ruspanti neoborbonici partenopei. Ma di Pucci Cipriani si ricordano soprattutto l'amicizia con il commissario Luigi Calabresi, ucciso dalle Br, e le successive frequentazioni con l'omicida pentito Leonardo Marino.

ADDA VENI' PELLICCIONI

Dulcis in fundo, fra cavalieri, croci e gran maestri dell'Ordine di San Giuseppe, fino a poco tempo fa si aggirava anche il massone conclamato Luciano Pelliccioni, il cui nome risulta ora scomparso dalle liste. Di Pelliccioni si era occupato per la prima volta a fine anni ottanta il magistrato torinese Lorenzo Poggi nell'ambito di un procedimento penale per associazione a delinquere finalizzata «alla confezione e distribuzione di diplomi di laurea privi di valore legale recanti timbri Cee contraffatti», che vedeva fra gli indagati anche il fondatore del Parlamento Mondiale di Palermo, "Sua Beatitudine Viktor Busà", descritto come personaggio «in rapporti col massone di spicco della circoscrizione Sud Usa, il principe Alliata di Monreale». «Busà - si legge in una consulenza resa all'epoca da esperti della Procura piemontese - risulta essere collegato anche al Sovrano Militare Ospedaliero Ordine di San Giorgio in Carinzia attraverso il suo Gran Maestro, Luciano Pelliccioni. Di quest'ordine si era interessato il giudice Giovanni Tamburino all'epoca dell'inchiesta padovana sull'organizzazione eversiva "Rosa dei Venti"».

BARBACCIA CONTRO YASMIN

Che ci faceva l'incappucciato Pelliccioni nell'Ordine di San Giuseppe? Il suo nome, di sicuro, riporta a un'altra disputa dinastica dagli accentuati contorni massonici: quella in atto fra la autoproclamatasi «Yasmin Hohenstaufen, Sovrana Suprema del Supremo Consiglio del Mondo di tutti gli Ordini e Riti Massonici», e il presunto «Principe Paolo Francesco Barbaccia degli Hohenstaufen di Svevia». Fra i due "nobili", da tempo, volano gli stracci. Stando al velenoso scambio di accuse, la prima altro non sarebbe che l'umile Aprile Gelsomina originaria di Vallo di Briano, un paesino in provincia di Caserta; il secondo proverrebbe invece dalla famiglia siciliana di quell'onorevole democristiano Francesco Barbaccia arrestato ad aprile 1993 per associazione mafiosa. «Buscetta - si legge negli atti del processo a Giulio Andreotti - ha riferito che la carriera politica del Barbaccia è stata costruita con l'appoggio di Cosa Nostra». Dall'alto delle sue esperienze "illuminate", nel libro intitolato "I falsi re di Svevia" Pelliccioni aveva stroncato le velleità nobiliari di Barbaccia. E quest'ultimo tiene a spiegare il perchè: «nel 1981 tramite un personaggio di Poggibonsi conobbi il signor Luciano Pelliccioni che mi ha conferito il diploma di Cavaliere dell'Ordine di San Giorgio in Carinzia. Entrando negli dettagli e venendo a conoscenza delle informazioni compromettenti su Pelliccioni e sul suo "Ordine", rifiutai la sua proposta di "nobilizzarmi" per 50 milioni di lire. Tutto questo ha fatto sì che Pelliccioni mi abbia inserito nel suo libro, vendicandosi a modo suo». Solo folklore? Le pruderie nobiliari di quattro buontemponi nostalgici? Oppure, come spesso è accaduto, attraverso queste farsesche disfide sono ancora una volta loro, i massoni (vaticani e non) a scrivere le pagine della storia? E' molto probabilmente su una di queste piste che sta lavorando Woodcock, al quale il sedicente agente del Sismi Massimo Pizza, nome in codice "Polifemo", aveva rivelato che Camaldo era l'uomo dal quale «i politici lucani andavano a lamentarsi terrorizzati da alcune inchieste che li coinvolgono». Il monsignore si sarebbe adoperato poi «per distruggere» una loggia massonica, «che può togliere seguaci e può distogliere soprattutto soldi e capitali da un'altra loggia massonica». Di sicuro la vendita di onorificenze, titoli nobiliari e diplomi - che per i magistrati puzza di truffa - resta ancora un buon affare. Un "pacco" al quale tanti non sanno resistere. Nell'elenco dei "Cavalieri di Federico II" nominati da Barbaccia figurerebbero tra gli altri il presunto "Presidente dell'Associazione Italiana Tabaccai" Salvatore Coco, "Duca di Caltabellotta", il «Cav. Carmelo Brunetto», bolognese, di professione promotore pubblicitario, nonchè i neoborbonici napoletani «Cav. Salvatore Lanza e Comm. Dott. Pietro Funari», nominato sul campo «coordinatore Napoli I».

DA PIZZA A SCARAMELLA

Il testimone chiave dell'inchiesta di Woodcock Massimo Pizza è amministratore unico di una srl romana, la Morris, letteralmente sparita dai registri della Camera di Commercio. Inesistente nelle ricerche sull'azionariato, risulta come «Posizione sospesa per revisione archivio (progetto 15/11/99)» quando si prova ad identificarne la sede, gli altri amministratori, il capitale o lo scopo sociale, come per qualsiasi altra impresa. Potenza di un uomo che si è autoproclamato generale del Sismi, plenipotenziario italiano per la Somalia, depositario di segreti di Stato come quelli su Ustica o sull'assassinio di Ilaria Alpi, ma che le cronache giudiziarie hanno definito un anno fa, al momento dell'arresto, come «autista di Vittorio Emanuele». Qualche stranezza, comunque, la presenta anche l'altra sigla che vede il cinquentenne salernitano Pizza come amministratore. Si tratta della snc denominata, senza troppa fantasia, New Pizza, fondata a Roma nel ‘91 e dedita ufficialmente al commercio di materiale cinematografico. Socio di Pizza è il quarantaseienne Maurizio Primavera, residente nella capitale ma originario di Sassano, provincia di Isernia. Uomo di multiformi interessi, da cineprese e pellicole Primavera passa con disinvoltura a coltivare il business delle crociere marittime a bordo della sua Marlin One, una srl fondata a Frosinone ma con sede a Roma ed attiva in quel di Chioggia, dove si propone per battute di pesca, escursioni, esplorazioni turistiche o subacquee lungo la laguna. Un personaggio mai balzato agli onori delle cronache e di cui risulta difficile capire, quindi, quali interessi possa tuttora avere in comune col socio faccendiere Massimo Pizza.

Nessun dubbio, invece, sull'idem sentire fra quest'ultimo e il contestatissimo leader dei musulmani filoisraeliani italiani Massimo Palazzi, arrestato nella retata dello scorso anno a Potenza così come Antonio D'Andrea. Tanto quest'ultimo quanto lo stesso Pizza erano infatti vicepresidenti dell'AMI, alla cui guida siede appunto il "Dott. Prof. Mawlana Shaykh Abdul Hadi Palazzi Abu Omar al-Shafi'i, Gran Cancelliere dell'Ordine e Gran Precettore per la lingua italiana del Supremo Ordine Salomonico dei Principi del Shekal". Cioè proprio lui, il romano de Roma Massimo Palazzi, in forte allure di massoneria. Della AMI e di Palazzi (nella cui orbita rientrano i giornalisti Dimitri Buffa del Giornale e soprattutto Magdi Allam, vicedirettore del Corriere della Sera) la Voce si era occupata qualche mese fa in un'inchiesta sull'altro millantatore "di stato" Mario Scaramella. Ad un convegno organizzato a Capua nel 2002 dalla Ecpp, la sigla "ecologista" del presunto 007 partenopeo, fra personalità di primo piano della magistratura come il pm palermitano Lorenzo Matassa, il giudice di Cassazione Amedeo Castiglione e l'attuale superispettore di via Arenula Arcibaldo Miller (parente acquisito di Scaramella), spiccava anche la partecipazione di Dimitri Buffa per conto della sigla musulmana messa su da Palazzi. Ecco la nota d'agenzia sull'evento: «Nel periodo dal 5 al 9 novembre il prof. Mario Scaramella, segretario generale dell'Environmental Crime Prevention Program (Ecpp) ha invitato una delegazione dell'A.M.I. e dell'Istituto Culturale della Comunità Islamica Italiana formata dal presidente Ali Hussen (Massimo Palazzi, ndr), dal responsabile del dipartimento per l'Asia Farid Naimi Khan e dal giornalista Dimitri Buffa a partecipare al simposio internazionale su "Tecnologie spaziali e sicurezza dell'ambiente", organizzato dalla Sezione Affari scientifici della Nato e dall'Ecpp presso il Centro Italiano di Ricerche Aerospaziali (Cira) di Capua. «Nell'inchiesta potentina - sottolineava la Voce a dicembre 2006 - sono documentati vorticosi giri milionari, a bordo di alcune sigle condivise con alcuni compagni di merende: oltre ad Achille De Luca, anche Massimo Pizza e Antonio D'Andrea, i quali si vantano di essere stati agenti dell'Ufficio K del Sismi. Ma cosa ha architettato il quartetto? Una truffa milionaria ai danni di migliaia di risparmiatori, vendendo sul mercato i soliti prodotti-bidone, tramite tre società civetta, Fave, Bezenet e Ivatt Industries. E dove "volavano" i proventi truffaldini? Nei paradisi fiscali, naturalmente, via sigle off shore, approdando vuoi a Montecarlo, vuoi a Miami. Appunto, nella ricca Florida dove spunta la Ecpp di Scaramella».
Rita Pennarola