31 gennaio 2008

E, venne anche il giorno della sua-legge.


Se non fosse l’ingrato che è, il Cainano erigerebbe a sue spese un monumento equestre al centrosinistra, che per la seconda volta gli riconsegna il Paese esattamente come lui l’aveva lasciato. Almeno per i settori che gl’interessano, cioè la giustizia e l’informazione. Pareva brutto cambiare qualcosa, c’era il rischio di offenderlo. Ieri, per esempio, la giustizia ha dimostrato che, volendo, può essere rapida, fulminea: un quarto d’ora di udienza, cinque minuti di camera di consiglio, poi la sentenza del processo Sme-Ariosto bis per i falsi in bilancio Fininvest connessi alle mazzette pagate al giudice Squillante. “Il fatto non è più previsto dalla legge come reato”, nel senso che l’imputato l’ha depenalizzato.

Il processo era l’ultima coda del filone “toghe sporche” aperto dalla Procura di Milano nell’estate del 1995 in seguito alla testimonianza di Stefania Ariosto. E riguardava i falsi in bilancio contestati al Cavaliere, come titolare del gruppo Fininvest, per far uscire clandestinamente dalle casse delle società estere il denaro necessario a corrompere, o comunque a pagare, alcuni magistrati che stavano sul libro paga del Biscione. Inizialmente il processo Sme-Ariosto era uno solo e vedeva imputati per corruzione giudiziaria Berlusconi, i suoi avvocati Cesare Previti e Attilio Pacifico e i giudici Filippo Verde (per la presunta sentenza venduta sul caso Sme del 1988) e Renato Squillante (per una tangente di 434 mila dollari del 1991); in più Berlusconi rispondeva anche di falso in bilancio. Poi, nel febbraio 2002, il suo governo depenalizzò di fatto i reati contabili, fissando soglie di non punibilità così alte da sanare cifre stratosferiche di fondi neri. Su richiesta della Procura, il Tribunale stralciò il capitolo del falso in bilancio e ricorse contro la nuova legge dinanzi alla Corte di giustizia europea, che però lasciò ai giudici italiani la decisione se applicare la legge italiana o quella (più rigida e prevalente) comunitaria. Intanto, nel processo principale, Previti, Pacifico e Squillante se la cavano con la prescrizione, solo Verde viene assolto. E così Berlusconi, ma solo per insufficienza di prove.

Le accuse
Resta, ormai sul binario morto, il processo sul falso in bilancio che s’è chiuso ieri. Nel capo d’imputazione si legge che “Berlusconi Silvio, in concorso con gli altri amministratori e dirigenti delle spa Fininvest ed Istifi, in esecuzione di un unico disegno criminoso, quale presidente della spa Fininvest e azionista di riferimento dell’omonimo gruppo, fraudolentemente concorreva a esporre nei bilanci di esercizio delle precitate società, relativi agli anni 1986/’87, ‘88, ‘89, nonché nelle relazioni allegate ai bilanci e nelle altre comunicazioni sociali, notizie false e incomplete sulle condizioni economiche delle medesime: operando perché Istifi gestisse la tesoreria del gruppo in modo tale da non consentire l’attribuzione e la ricostruzione delle operazioni finanziarie finalizzate a creare provviste di contanti nonché l’effettivo impiego in operazioni riservate ed illecite ed anche per l’esecuzione dei pagamenti di cui ai capi precedenti (le presunte tangenti ai giudici Squillante e Verde, ndr); creando, attraverso operazioni eseguite presso la Fiduciaria Orefici di Milano, delle disponibilità extracontabili utilizzate per operazioni riservate e illecite nonché per eseguire i pagamenti di cui ai capo che precedono; cosí occultando, nelle diverse comunicazioni sociali, sia la creazione di disponibilità finanziarie, sia il loro impiego, sia l’esistenza di società correlate e di posizioni fiduciarie riferibili alle precitate società (nonché gli impegni per la loro capitalizzazione, i costi relativi e le plusvalenze realizzate)”. Indipendentemente dalla conclusione dei processi, i versamenti in nero della Fininvest sono documentali e incontestabili. I primi risalgono al 1988, poco dopo la sentenza di Cassazione che chiuse la causa civile sulla mancata cessione, nel 1985, della Sme dall’Iri di Prodi alla Buitoni di De Benedetti per l’azione di disturbo inscenata dal trio Berlusconi-Barilla-Ferrero (Iar) su ordine di Bettino Craxi. Il 2 maggio e il 26 luglio 1988, da un conto svizzero di Pietro Barilla, partono due bonifici: il primo di 750 milioni, il secondo di 1 miliardo di lire, entrambi diretti al conto Qasar Business aperto presso la Sbt di Bellinzona dall’avvocato Pacifico. I 750 milioni vengono ritirati in contanti da Pacifico, che li porta in Italia e – secondo l’accusa – ne consegnati una parte (200 milioni) brevi manu al giudice Verde, che nel 1986 ha sentenziato a favore della Iar (che però viene assolto: manca la prova dell’ ultimo passaggio). Il miliardo invece lascia tracce documentali fino al termine del suo percorso: il 29 luglio ’88 Pacifico ne bonifica 850 milioni al conto Mercier di Previti e 100 milioni al conto Rowena di Squillante, trattenendone solo 50 per sè. Perché tutto quel denaro targato Barilla-Berlusconi (soci nella Iar) approda – secondo i pm - sui conti di due magistrati e di due avvocati che l’imprenditore parmigiano non conosce e che non hanno mai lavorato per lui? Perché mai il socio di Berlusconi dovrebbe pagare un miliardo e 750 milioni a due avvocati di Berlusconi che neppure conosce e a un giudice di Roma, anch’egli a lui sconosciuto, se nella causa Sme fosse tutto regolare?

Il bonifico Orologio
C’è poi il versamento del 1991, sganciato dall’affare Sme, ma rientrante – per l’accusa – nello stipendio aggiuntivo che Squillante riceveva da Fininvest per la costante disponibilità al servizio del gruppo: lo attesta un’impressionante sequenza di contabili bancarie svizzere sul passaggio di 434.404 dollari (500 milioni di lire tondi tondi) dal conto Ferrido (All Iberian, cioè Fininvest) al conto Mercier (Previti) al conto Rowena (Squillante), il 5 marzo 1991. Due bonifici diretti, della stessa identica cifra, nel giro di un’ora e mezza, siglati con il riferimento cifrato “Orologio”. Previti, sulle prime, parla di un semplice errore della banca. Poi cambia piú volte versione. All Iberian è la tesoreria occulta del Biscione e bonifica decine di miliardi di lire sui conti svizzeri Polifemo e Ferrido, gestiti dal cassiere centrale Fininvest, Giuseppino Scabini. Da dove arrivano i soldi? Da tre diversi sistemi. Anzitutto dai bonifici della lussemburghese Silvio Berlusconi Finanziaria. Poi, dall’aprile 1991, dal contante versato dalla Diba Cambi di Lugano: il denaro proveniva da due diverse operazioni effettuate grazie alla Fiduciaria Orefici di Milano. La prima è l’operazione «Bica-Rovares», condotta dal gruppo Berlusconi con l’immobiliarista Renato Della Valle, che frutta una ventina di miliardi; la seconda è strettamente legata al «mandato 500»: un mandato personale del Cavaliere aperto presso la Fiduciaria Orefici e utilizzato per acquistare 91 miliardi in Cct. I titoli di Stato vengono poi monetizzati a San Marino e il contante viene consegnato a Milano 2 a Scabini. Parte di questi soldi (18 miliardi circa) finiscono sui conti esteri del gruppo. A portarli in Svizzera provvede lo spallone Alfredo Bossert, che li consegna alla Diba Cambi di Lugano. Insomma, i conti esteri di All Iberian dai quali partono i versamenti ai giudici (ma anche 23 miliardi a Craxi) sono alimentati da denaro della Fininvest e –come ammettono i suoi stessi difensori - «dal patrimonio personale di Silvio Berlusconi». E allora come può il Cavaliere non saperne nulla?

Una partita craxian-berlusconiana
La provvista del bonifico “Orologio” All Iberian-Previti-Squillante proviene da un altro conto del gruppo: il Polifemo, sempre gestito da Scabini. Il 1° marzo 1991, un venerdí, Polifemo riceve da Diba Cambi un accredito di 316.800.000 lire. Il denaro è giunto in Svizzera in contanti quattro giorni prima, il 26 febbraio, direttamente da palazzo Donatello a Milano 2 (sede Fininvest), trasportato dagli uomini di Bossert (la somma non fa parte della provvista creata col «mandato 500», che sarà operativo solo dal luglio 1991). Il lunedí successivo, 4 marzo, quei 316 e rotti milioni permettono a Polifemo di disporre il bonifico di 434.404 dollari a Ferrido (sempre All Iberian), dando cosí il via alla trafila che, attraverso Previti, approda al conto di destinazione finale: Squillante. Insomma, Polifemo gira 2 miliardi a Previti e (tra febbraio e marzo ’91) 10 miliardi a Craxi. Nello stesso periodo Previti riceve un’altra provvista (2,7 miliardi) che utilizza in parte per girare a Pacifico i soldi necessari (425 milioni) a comprare la sentenza del giudice Vittorio Metta che annulla il lodo Mondadori e regala la casa editrice a Berlusconi: un altro affare che sta molto a cuore a Craxi. Nella primavera ’91 dunque Berlusconi completa l’occupazione dei media e paga il politico, gli avvocati e i giudici che l’hanno aiutato. La sequenza temporale ricostruita dall’accusa è impressionante. Il 14 febbraio ’91 Previti versa 425 milioni al giudice Metta tramite Pacifico. Il 6 marzo ’91 bonifica 500 milioni a Squillante. Il 16 aprile ’91, ancora tramite Pacifico, dirotta 500 milioni sul conto «Master 811» di Verde (poi assolto). Sempre con fondi Fininvest.

Non potendo negare i versamenti plurimiliardari a Previti in barba al fisco, Berlusconi li spiega cosí: «Normalissime parcelle professionali”. Ma non esiste una sola fattura che le dimostri. E d’altronde: se quei soldi – come dice la difesa berlusconiana – erano «patrimonio personale di Berlusconi», che c’entrano con le parcelle? Berlusconi pagava le parcelle agli avvocati del gruppo di tasca propria? Assurdo. Ultima perla. Dice Berlusconi che «da uno di quei conti vengono effettuati da Fininvest una serie di acconti ai vari studi legali del gruppo, fra cui lo studio Previti». Ma altri studi non ne risultano: Polifemo finanzia solo l’avvocato Previti e poi Craxi. Anche Craxi era un legale del gruppo Fininvest? Beh, in un certo senso…
"I fatti non sono più previsti dalla legge come reato". Con questa formula i giudici della I sezione penale del Tribunale di Milano hanno prosciolto Silvio Berlusconi dall'accusa di falso in bilancio nell'ultimo stralcio di procedimento nato con il caso-Sme. Gli episodi contestati all'ex premier, infatti, risalivano alla fine degli anni Ottanta. All'inizio dell'udienza, durata meno di un quarto d'ora, l'accusa aveva chiesto la prescrizione, mentre la difesa aveva sollecitato i giudici ad un verdetto di proscioglimento perché i fatti non costituiscono più reato. Era stato, infatti, proprio durante il governo Berlusconi che il falso in bilancio era stato derubricato. Una interpretazione, quest'ultima, che è stata accolta dai giudici. I fatti contestati all'ex premier risalivano al periodo che va dal 1986 al 1989, e, quindi, sarebbe comunque state coperti dalla prescrizione. I giudici, come detto, hanno però deciso di prosciogliere Berlusconi perché il fatto non è più previsto come reato, invece che dichiarare la prescrizione, come richiesto dal pm Ilda Boccassini. Il procedimento in cui Berlusconi era imputato di falso in bilancio era stato stralciato dal troncone principale del processo Sme, in quanto i giudici avevano investito la Corte europea affinché valutasse la congruità della normativa italiana sul falso in bilancio con le direttive comunitarie. La Corte europea aveva deciso però di non entrare nel merito delle leggi in vigore nei singoli Paesi. "Dopo sei anni è stata pronunciata una sentenza che il Tribunale e la Procura avevano cercato in ogni modo di evitare rivolgendosi addirittura alla Corte di Giustizia europea", ha commentato l'avvocato Nicolò Ghedini, difensore insieme al collega Gaetano Pecorella di Silvio Berlusconi. La legge che depenalizza il falso in bilancio è stata una delle prime cosiddette "leggi ad personam" approvate dal passato governo Berlusconi. Il provvedimento è diventato infatti operativo già dal gennaio 2002 grazie a un decreto varato a tempo di record dall'allora ministro della Giustizia Roberto Castelli. "Le fattispecie di minore gravità del falso in bilancio - spiegava il Guardasigilli - sono state depenalizzate e saranno punite con sanzioni amministrative in linea con l'attuale tendenza a limitare ai casi realmente gravi l'intervento penale". Lo scorso ottobre la Casazione aveva chiuso definitivamente un altro troncone del procedimento Sme a carico di Silvio Berlusconi assolvendolo dalle accuse di corruzione nell'intricata vicenda della vendita del comparto agro-alimentare dell'Iri alla Cir, la finanziaria di Carlo De Benedetti. La posizione del leader di Forza Italia era stata stralciata da quella degli altri sei imputati, compresi il senatore Cesare Previti e il giudice Squillante, in seguito all'approvazione del "Lodo Schifani", un'altra delle cosiddette "leggi ad personam" (successivamente dichiarata incostituzionale) che introduceva l'immunità per le cinque più alte cariche dello Stato.

MILANO - Silvio Berlusconi è stato assolto nel processo stralcio per la vicenda Sme. Il pm Ilda Boccassini aveva chiesto che fosse dichiarata la prescrizione per il reato di falso in bilancio relativo alle attività della Fininvest negli anni 1986-1989 di cui era accusato l'ex premier. I suoi
difensori, Nicolò Ghedini e Gaetano Pecorella, aveva invece chiesto l´assoluzione perché il fatto non è più rubricato come reato, dopo la modifica della normativa sul falso in bilancio nell´aprile 2002.
SENTENZA-LAMPO - La sentenza di assoluzione è stata letta dopo 5 minuti di camera di consiglio dai giudici della prima sezione penale presieduti da Antonella Bertoja. Il tribunale ha pronunciato il non doversi procedere perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, accogliendo così la richiesta della difesa di Berlusconi. Complessivamente l'udienza è durata circa un quarto d'ora.
STRALCIATO - Il capitolo Sme in questione era stato separato dal troncone principale - in cui Berlusconi è stato assolto dall'accusa di corruzione in atti giudiziari - perché i giudici si erano rivolti alla Corte europea per chiedere di valutare la corrispondenza tra la normativa italiana e le direttive comunitarie. A ottobre la Cassazione ha confermato l'assoluzione per Berlusconi, dopo che il 27 aprile l'ex premier era stato assolto con formula piena dalla Corte di Appello di Milano.
«IN RITARDO» - «Una sentenza che arriva in ritardo di sei anni, alla fine di un processo che la Procura e il Tribunale di Milano avevano fatto di tutto per evitare rivolgendosi addirittura alla Corte di giustizia europea - commenta l'avvocato Ghedini -. I giudici europei e la Corte Costituzionale avevano detto che la modifica di legge dell´aprile del 2002 era corretta e rispondente alle direttive comunitarie per cui a Milano sono stati costretti, sia pure in ritardo, a celebrare un processo scomodo che è finito come doveva finire».
RUSSO SPENA - «L´assoluzione di Berlusconi dall´accusa di falso in bilancio era scontata: la legge che abolisce il reato se l´era fatta, come molte altre, su misura». Parole di Giovanni Russo Spena, capogruppo di Prc al Senato. «Il governo di centrosinistra - aggiunge - stava reintroducendo il reato di falso in bilancio con il decreto sicurezza, il mondo giuridico e gli imprenditori onesti infatti chiedevano proprio questo ed è ovvio che, se Berlusconi vince le
elezioni, falsificare i bilanci delle aziende diventerà uno sport nazionale».

Marco Travaglio

29 gennaio 2008

Iperinflazione


Mentre tutte le banche si affannano ad iniettare liquidità al sistema finanziario si assiste al declino della carta moneta o titoli spazzatura.
La Storia si ripete, una storia già vissuta nel periodo passato.


I febbrili sforzi per salvare il sistema finanziario internazionale, come la psicotica riduzione del 0.75% del tasso di sconto della Riserva Federale e il piano di “stimolo” di Bush/Paulson, non soltanto sono inutili e inefficienti, ma causeranno un ritorno di fiamma spettacolare. Questo è, nella sostanza, il monito dell’economista e statista americano Lyndon H. LaRouche Jr.: il sistema finanziario è ormai defunto. Qualunque tentativo di salvare il valore fittizio dei milioni di miliardi di dollari circolanti in forma di titoli finanziarii, è destinato a fallire: anzi, qualunque nazione che fosse sufficientemente folle da farsi tentare da una simile ricetta, sarebbe distrutta.

Il sistema finanziario globale, inclusi gli Stati Uniti e l'Europa, entra in un periodo comparabile a quello della Germania di Weimar nell’autunno 1923. Se i danni dell’iperinflazione di allora rimasero in larga misura circoscritti alla Germania stessa, quelli derivanti dal crac odierno sono e saranno globali. Nessun sistema nazionale potrà sopravvivere ai suoi effetti; forse, entro l’anno appena cominciato le nazioni stesse si disferanno.

Il Trattato di Versailles, ratificato alla fine della prima guerra mondiale, prevedeva delle riparazioni di guerra così ingenti, da renderne impossibile il pagamento da parte della Germania sconfitta: l’intenzione era precisamente quella di impedirle di funzionare. Cercando di onorare i suoi impegni, la Germania cominciò a stampare moneta, finanziando così i suoi assegni di riparazione e le necessità della sua economia al grande costo dell’instabilità del marco. Lo stimolo monetario inasprì la situazioni a livelli talmente inauditi che fu coniato apposta il termine “iperinflazione”, per individuarne l’orrore.

Mentre l’economia tedesca crollava, il governo rispose con la stampa di ulteriore moneta a mo’ di stimolo: il valore del Reichsmark cominciò così a precipitare. Durante il periodo 1913-1915 esso si era attestato intorno al valore di 4 marchi per un dollaro, raggiungendo il rapporto di circa sei marchi per dollaro nel periodo 1917-1918. La situazione cominciò a peggiorare poco dopo: i 20 Reichsmark per dollaro del 1919 divennero 62 Reichsmark nel 1920, quindi 105 Reichsmark nel 1921. Alla fine si raggiunse il fondo, con 1886 Reichsmark nel 1922 e un incredibile cambio di 535 miliardi di Reichsmark per lo stesso dollaro, nel 1923. Durante lo stesso periodo l’indice del costo della vita subì un passaggio dal livello di 100 del 1912, al livello di 1019 del 1920, fino al mostruoso livello di 657 miliardi del 23 novembre 1923. Questi sono i dati dell’Istituto di Statistica della Germania.

Come abbiamo detto, è il mondo intero, oggi, a conoscere un collasso iperinflattivo sullo stile della Germania di Weimar. Molte, e simili, ne sono le ragioni. Le azioni della Riserva Federale e della Banca Centrale Europea, così come di altre banche centrali e degli stessi governi; la loro determinazione a cercare di stimolare il morto (il sistema finanziario, appunto), sperando nella sua risurrezione; il loro cieco rifiuto di riconoscere la verità; tutto questo contribuisce a mettere in scena una vera e propria tragedia classica. Bloccati dalla paura, questi moderni Amleto stanno preferendo la distruzione di tutto ciò che hanno di più caro, piuttosto che abbandonare la malriposta fede nelle fallimentari politiche monetarie.

Le nazioni d’Europa, macinate dagli accordi di Maastricht anti-sovranità, hanno rinunciato al loro potere di reagire alla crisi. Questo significa che il peso ricade sugli Stati Uniti, in accordo con i poteri e le responsabilità previsti dalla loro Costituzione: essi devono non soltanto restituirsi a sé stessi, ma salvare il mondo intero. Piuttosto che continuare la strada dei folli tentativi di stimolazione del cadavere, il governo degli Stati Uniti d’America deve usare i suoi poteri sovrani per sottoporre il suo intero sistema finanziario ad una procedura di riorganizzazione fallimentare, stabilendo un precedente e un contesto per le azioni equivalenti che le altri nazioni vorranno intraprendere. Il passo cruciale da compiere innanzitutto, è l’approvazione del disegno di legge di LaRouche in protezione dei proprietari di casa e delle banche (preso in considerazione da un numero crescente di consigli comunali e di assemblee legislative statali), per erigere una muraglia di protezione degli aspetti essenziali delle infrastrutture economiche di base e della popolazione stessa, in modo da mantenere l’economia fisica in grado di funzionare, una volta evitati i danni causati dal crollo finanziario.
Fonte :Movisol

27 gennaio 2008

Prigionieri del MOSTRO/DEBITO


Il bravo Pierluigi Paoletti affronta la questione crisi italiana e globale guardando solo i numeri. Un mostro che cresce in modo spaventoso, con la delicatezza, di un elefante in un negozio di swarovski.

Il debito è stata la molla con la quale si è scelto di far crescere il mondo occidentale.
Attraverso la necessità di restituire più di quanto si è ricevuto in prestito le persone, le imprese hanno ricevuto lo stimolo per fare sempre di più, ingegnandosi per mettere a frutto i propri investimenti. Questo artificio, almeno nel dopoguerra, ha messo in moto la ricostruzione ed ha premiato chiunque abbia intrapreso un’attività imprenditoriale, ma anche i lavoratori dipendenti sono stati promossi dal sistema a “consumatori” http://www.centrofondi.it/articoli/commercio_anima.htm e quindi hanno visto il proprio reddito
aumentare e di conseguenza anche il loro tenore di vita.
Il debito nel dopoguerra è stato un poderoso stimolo all’economia drenando il denaro e mettendo in moto quel meccanismo virtuoso di crescita economica.
Il perché è intuitivo, dopo una guerra ci sono tantissime cose da (ri)costruire, mercati
vergini da sviluppare, portare una classe operaia e impiegatizia a consumare in modo da alimentare e rendere duraturo e stabile l’intero meccanismo ecc.
In una situazione del genere il debito viene assorbito benissimo anche se gli enormi proventi da questo generati entrano in tasche private, leggi banche.
In quegli anni un dollaro di debito generava oltre 4 dollari e questo è accaduto, ovviamente con alti e bassi, fino agli anni ’80 -’90.
La questione si è complicata quando il debito ha iniziato l’ascesa esponenziale che ha
portato il livello di indebitamento ai livelli attuali erodendo enormi fette di reddito
necessarie per il normale ed equilibrato andamento della vita economica, come abbiamo avuto modo di vedere nell’ultimo report sulla funzione sociale delle banche.
Nella situazione in cui siamo, un dollaro di debito non produce più niente e ci si deveindebitare anche per vivere e questo non è più sostenibile. Uno studio pubblicato ieri della Confcommercio ha evidenziato come gli stipendi siano rimasti ai livelli del 1992, mentre iprezzi sappiamo che sono praticamente raddoppiati e quindi il potere di acquisto dimezzato.
Come si può uscire da questo incubo in cui la fine è annunciata? Adottando l’unica possibile soluzione ovvero una moratoria dei debiti o addirittura un azzeramento dell’intero debito.
Conoscendo i meccanismi di creazione del denaro e sapendo come quei debiti sianoillegittimi, noi propendiamo ovviamente per la seconda ipotesi.
Non esiste altra soluzione.
E non è che gli antichi non conoscessero i danni e la pericolosità del meccanismo degli interessi composti, infatti nella più famosa preghiera cristiana, il Padre Nostro, si recita: dacci oggi il nostro pane quotidiano e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, e appare così chiara la funzione del Giubileo che azzerava ogni 50 anni idebiti, spirituali e materiali (oggi solo quelli spirituali).
Ma anche l’anno Sabbatico, ogni 7 anni, del popolo ebraico ha la stessa funzione pratica e non è un caso che l’Islam abbia messo al bando l’usura e la pratica di richiedere interessi.
Pio XI nel 1931 nella Quadragesimo Anno scrisse: «E in primo luogo ciò che ferisce gli occhi è che ai nostri tempi non vi è solo concentrazione di ricchezza, ma l'accumularsi altresì di una potenza enorme, di unadispotica padronanza dell'economia in mano di pochi, e questi sovente neppure proprietari, ma solo depositari e amministratori del capitale, di cui essi però dispongono a loro grado e piacimento. Questo potere diviene poi più che mai dispotico in quelli che, tenendo in pugnoil danaro, la fanno da padroni; onde sono in qualche modo i distributori del sangue stesso,
di cui vive l'organismo economico, e hanno in mano, per così dire, l'anima dell'economia, sicché nessuno, contro la loro volontà, potrebbe nemmeno respirare. (…) Nell'ordine poi delle relazioni internazionali, da una stessa fonte sgorgò… non meno funesto ed esecrabile,
l'imperialismo internazionale del denaro, per cui la patria è dove si sta bene» (numero 105- 106 - 109).
Adesso però il Moloch che è stato creato, vive di vita propria e sta dando i suoi colpi
violenti che una classe dirigente impotente, ignora.
Classe politica IMPOTENTE perché grazie ad i vari passaggi giuridici, trattato di Maastricht, riforma costituzionale ed altre piccolezze del genere, ha messo nelle mani di organi sovranazionali imposti e non eletti da nessuno, come la commissione europea, il
WTO, il FMI, la Banca Mondiale, la BCE, La Banca dei Regolamenti ecc., è assolutamente impotente e non può altro che spartirsi le ricchezze di uno stato, ma consoliamoci che in tutto il mondo ormai allo sfascio,accade la stessa cosa.
Nuove elezioni quindi non potranno fare assolutamente NIENTE se non far continuare il banchetto agli avvoltoi che si spartiscono la carcassa. E qui destra sinistra e centro sono allo
stesso modo complici e colpevoli di questo stato di cose.
In questo momento il Moloch sta tirando colpi che mettono in ginocchio ogni tipo di potere che ha permesso di arrivare a questo punto, sia esso politico, economico o addirittura religioso.
In pratica il mostro sta seguendo la strada della creatura creata dallo scienziato Victor
Frankenstein (Bankestein per Marco Saba) che si vendica contro chi lo ha generato.
Oggi il potere nel suo insieme non ha alternative e se non prenderà in considerazione un suo ravvedimento sarà vittima della propria ingordigia.
Il ravvedimento, è bene precisare che richiede molta intelligenza e sinceramente è una qualità che oggi è scomparsa letteralmente chi ha una qualche responsabilità di governo, Prodi, Fini, Veltroni, Padoa Schioppa, Berlusconi, Bondi, Dini, Draghi, Trichet, Bernanke, Bush, Hilary Clinton&C, Sarkozy ecc. al massimo possono fare gli interpreti principali di un varietà o i pagliacci di un circo.
E allora, cari amici, solo noi abbiamo la possibilità di venire fuori da questa palude di sabbie mobili, rendendoci conto che nelle nostre mani è il futuro nostro e di chi verrà dopo di noi.
Bisogna mettere da parte la stanchezza ed il pessimismo di vivere e farci restituire il potere che ci appartiene di decidere le nostre sorti.
Nessun altro potrà fare questo lavoro al posto nostro e quindi, come oramai facciamo damolto tempo, incoraggiamo a rimboccarci le maniche e attuare quel cambiamento che le istituzioni ci negano. Il futuro è quello che riusciamo a costruirci da ora in poi mettendoci a costruire insieme una rete di rapporti e collaborazioni che a grandi passi ci indicheranno la strada da seguire. Se vi fa piacere saperlo molti lo stanno già facendo e vi invitiamo a vedere domani rai due dalle 11.00 in poi dove saremo con i ragazzi di Napoli ad illustrare il nostro progetto sui Buoni Locali SCEC (la Solidarietà ChE Cammina).
La FED intanto inietta morfina al malato terminale abbassando i tassi in modo preoccupante che fa intravedere la pericolosità della situazione. Alla Fed si contrappone una BCE cheminacciando di aumentare i tassi, farebbe sbellicare dal ridere se avessimo ancora la forza dell’ironia. La realtà è che la bce cerca di agevolare in tutti i modi l’operazione recupero americana per dargli slancio per le elezioni.

26 gennaio 2008

Cioccolatini indigesti?



Adesso è il tempo delle dimissioni. Ce n'è per tutti belli e/o brutti .
Dopo aver festeggiato alla palermitana, qualcosa sarà andata di traverso, forse la crema sapeva troppo di rhum, oppure, alcuni cioccolatini, i famosi fiat, non avevano un buon retrogusto
.

Il vicerè di Sicilia, Totò Cuffaro si dimette. E’ il trionfo dei cannoli. Più cannoli per tutti. Cannoli in famiglia per salutare il ritorno in famiglia del figliol prodigo. Cannoli in piazza per l’opposizione guidata da Rita Borsellino che aveva organizzato una manifestazione per chiederne le dimissioni. Le dimissioni ci sono state, in aula, e l’assemblea regionale è stata sciolta. La parola passa ai cittadini che dovranno votare entro tre mesi per eleggere il nuovo presidente e il nuovo parlamento.
«Mio fratello si dimette da governatore». Poco prima dell'intervento di Salvatore Cuffaro, era stato il fratello del presidente della Regione Sicilia a rompere gli indugi. «Si dimetterà, ce lo ha detto. Non poteva fare altrimenti, questo accanimento giudiziario ma anche politico non poteva andare avanti». «Lo accoglieremo in famiglia per dargli la serenità che merita - ha aggiunto Silvio Cuffaro -. Ora sì che vale la pena di fare festa con i cannoli».
Una festa in piazza è stata organizzata dal centrosinistra e da diverse associazioni della società civile. «L'iniziativa resta. Se prima aveva il senso di una richiesta di dimissioni, adesso assume il valore di una presa d'atto che punta a chiedere un rilancio dell'isola libera da ogni condizionamento in una regione in cui, dopo le prese di posizioni degli imprenditori, anche la politica ha il compito di fare la sua parte» ha spiegato la leader dell'Unione all'Ars Rita Borsellino.
«Ci saremo e saremo in migliaia e con noi porteremo 100 chili di cannoli che sono un simbolo della Sicilia pulita e migliore e non di coloro che pensano soltanto a fare affari e a difendere il proprio potere» ha aggiunto uno degli organizzatori, Pietro Galluccio.
Le principesche dimissioni del vicerè favoreggiatore di singoli mafiosi non di Cosa Nostra nel suo complesso. "Francamente preferisco la via dell'umiltà. Lo faccio per non tradire quegli ideali ai quali sono stato educato, lo faccio per la mia famiglia e lo faccio come ultimo atto di rispetto verso i siciliani, che in questi anni ho servito con dedizione, semplicità e con quella onestà che sono certo mi verrà completamente riconosciuta". Ha detto il presidente della Regione siciliana, Salvatore Cuffaro, in aula all'Assemblea regionale siciliana durante l'annuncio delle sue dimissioni. "Fino a quando non ci sarà una sentenza definitiva -aggiunge il governatore-, ci sarà una verità processuale e una verità sostanziale. Con la mia decisione rispetterò la prima".
Peccato che la verità dei fatti narra di incontri nel retrobottega di un elegante negozio di lingerie tra l viceré e un imprenditore-politico-mafioso per parlare di notizie riservate. Totò lo ha sempre affermato, non ha favorito la mafia ma singoli mafiosi. Ah, meno male. Che galantuomo.
Totò, il vicerè, avrà almeno comprato una ghepierre?
"Già al momento della sentenza sentivo dentro di me il dovere di compiere questo passo, ma ho deciso di attendere fino all'approvazione del bilancio e della legge Finanziaria per senso di responsabilità verso una terra che continuerò ad amare e che in questi anni ho servito fedelmente". Ha detto ancora il presidente della Regione Sicilia, Salvatore Cuffaro, intervenendo in aula per annunciare le sue dimissioni irrevocabili. "Non potevo lasciare -ha detto ancora- che ogni mia decisione fosse assunta senza conoscere la volontà dell'assemblea regionale. Le dimissioni non sono dunque frutto di alcun automatismo ma costituiscono una scelta personale assunta per ragioni umane e politiche".
Scelte umane, come quella di festeggiare con i cannoli, la condanna in primo grado a cinque anni e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Ogni uomo è un’isola…

''Prendo atto della decisione del Presidente della Regione e annuncio che si procederà entro i successivi tre mesi all'elezione del nuovo presidente''. Ha detto il presidente dell'Assemblea regionale siciliana, Gianfranco Miccichè, intervenendo in aula subito dopo l'annuncio delle dimissioni. Ogni isola ha i suoi uomini. E ogni umo i suoi piatti preferiti. Totò i cannoli, Micciché… insisto, meglio gli arancini di Montalbano.
Ed ogni isola festeggia le condanne a modo suo. Al suo ingresso a palazzo dei Normanni, il vicerè, era stato accolto da uno scrosciante applauso di molti deputati della maggioranza. «Tutti i gruppi parlamentari del centrodestra hanno fatto a Cuffaro una richiesta affettuosa e istituzionale di restare al suo posto. Tutti i gruppi hanno ribadito il senso della fiducia votata giovedì scorso» aveva detto il capogruppo di An all'Assemblea regionale, Salvino Caputo. Insomma, la moratoria sulla pena di mrte ha avuto i suoi effetti anche sugli ex forcaioli di An.
Il presidente dell'Assemblea Gianfranco Miccichè, di Forza Italia, ha commentato: «Tutti apprezzino il senso di responsabilità di Cuffaro. Nella mia pur breve vita politica non mi era mai capitato di assistere all'assunzione di scelte, sia dal punto di vista umano che politico, così difficili». Anche se poi non così, tempestive. Ci permettiamo di aggiungere. Peccato che i politici siciliani non curino meglio le persone che frequentano. A Palermo come a Roma, ministero delle Finanze incluso.
Nel chiudere la seduta dell'Ars Miccichè ha ricordato che «le elezioni saranno indette entro tre mesi dallo scioglimento come previsto dalla legge. Nelle more il governatore e gli assessori manterranno i poteri per l'ordinaria amministrazione». È la prima volta nella storia dell'autonomia siciliana che viene sciolta l'Assemblea regionale. Era ora.
Il leader dell'Udc Casini esprime «un profondo apprezzamento per il suo senso delle istituzioni e per il suo amore per la Sicilia». «La polemica mafia-antimafia non si può fare sulla pelle di Cuffaro e dell'Udc anche da parte di chi, in questi giorni, ha avuto un po' troppe amnesie - ha detto il leader dell’Udc - . Sono certo che tra qualche mese, quando Cuffaro sarà assolto da tutte le accuse, tanti sciacalli di queste ore saranno in prima fila a chiedergli scusa». Vedremo.
Duro il commento di Antonio Di Pietro: «Non si dimette per scelta personale e senso di responsabilità, bensì per evitare un provvedimento che lo avrebbe obbligato a rassegnarle. Cuffaro anticipa una decisione dettata dall'ordinamento vigente, come ho ampiamente argomentato nella lettera che inviai giorni fa al presidente Prodi e ai ministri Lanzillotta e Amato. Le dimissioni di Cuffaro, quindi sono ben altro che un atto etico e morale. La grave condanna riportata e le motivazioni della sentenza non lasciano dubbi: le dimissioni erano e sono l'unica strada da prendere».
Ma ai cannoli no, la famiglia dei vicerè non rinuncia. E sia. Più cannoli per tutti.
Pino Finocchiaro

24 gennaio 2008

De Magistris lascia l'ANM



Era nell'aria, ma gli avvenimenti stanno precipitando in una lenta ma inesorabile successione di eventi.
Ecco la lettera con la quale il pm Luigi De Magistris si dimette dall'Associazione nazionale magistrati (come già aveva fatto la collega Ilda Boccassini due settimane fa), dopo la decisione del Csm di rimuoverlo dalla sede di Catanzaro e dall'ufficio di pm.


Già da alcuni mesi avevo deciso - seppur con grande rammarico - di dimettermi dall'Associazione nazionale magistrati. I successivi eventi che mi hanno riguardato, le priorità dettate dai tempi di un processo disciplinare tanto rapido quanto sommario, ingiusto ed iniquo, mi hanno imposto di soprassedere.
Adesso è il tempo che 'tutti i nodi vengano al pettine'.

Vado via da un'associazione che non solo non è più in grado di rappresentare adeguatamente i magistrati che quotidianamente esercitano le funzioni, spesso in condizioni proibitive, ma sta - con le condotte ed i comportamenti di questi anni - portando, addirittura, all'affievolimento ed all'indebolimento di quei valori costituzionali che dovrebbero essere il punto di riferimento principale della sua azione.

L'Anm - che storicamente aveva avuto il ruolo di contribuire a concretizzare i valori di indipendenza interna ed esterna della magistratura - negli ultimi anni, con prassi e condotte censurabili ormai sotto gli occhi di tutti, ha contribuito al consolidamento di una magistratura 'normalizzata' non sapendo e non volendo 'stare vicino' ai tanti colleghi (sicuramente i più 'bisognosi') che dovevano essere sostenuti nelle loro difficili azioni quotidiane spesso in contesti di forte isolamento; ha fatto proprie tendenze e pratiche di lottizzazione attraverso il sistema delle cosiddette correnti; ha contribuito - di fatto - a rendere sempre più arduo l'esercizio di una giurisdizione indipendente che abbia come principale baluardo il principio costituzionale che impone che tutti i cittadini siano uguali di fronte alla legge.



L'Anm è divenuta, con il tempo, un luogo di esercizio del potere, con scambi di ruoli tra magistrati che oggi ricoprono incarichi associativi, domani siedono al Csm, dopodomani ai vertici del ministero e poi, magari, finito il 'giro', si trovano a ricoprire posti apicali ai vertici degli uffici giudiziari. È uno spettacolo che per quanto mi riguarda è divenuto riprovevole.

Anche io, per un periodo, ho pensato, lottando non poco come tutti i miei colleghi sanno, di poter contribuire a cambiare, dall'interno, l'associazionismo giudiziario, ma non è possibile non essendoci più alcun margine. Lascio, pertanto, l'Anm, donando il contributo ad associazioni che, nell'impegno quotidiano antimafia, cercano di garantire l'indipendenza concreta della magistratura molto meglio dell'associazionismo giudiziario.

Non vi è dubbio che anche il Consiglio superiore della magistratura, composto da membri laici, espressione dei partiti, e membri togati, espressione delle correnti, non può, quindi, non risentire dello stato attuale della politica e della magistratura associata.

I magistrati debbono avere nel cuore e nella mente e praticare nelle loro azioni i principi costituzionali ed essere soggetti solo alla legge.

So bene che all'interno di tutte le correnti dell'Anm vi sono colleghi di prim'ordine, ma questo sistema di funzionamento dell'autogoverno della magistratura lo considero non più tollerabile. Il Csm deve essere il luogo in cui tutti i magistrati si sentano, effettivamente, garantiti e tutelati dalle costanti minacce alla loro indipendenza.

Non è possibile assistere ad indegne omissioni o interventi inaccettabili dell'Anm, come ad esempio negli ultimi mesi, su vicende gravissime che hanno coinvolto magistrati che, in prima linea, cercano di adempiere solo alle loro funzioni: da ultimo, quello che è accaduto ai colleghi di Santa Maria Capua Vetere.

Non parlo delle azioni ed omissioni riprovevoli - da parte anche di magistrati, non solo operanti in Calabria - sulla mia vicenda perché di quello ho riferito alla magistratura ordinaria competente e sono fiducioso che, prima o poi, tutto sarà più chiaro.
Certo, lo spettacolo che mi ha visto in questi giorni protagonista, in un processo disciplinare che mi ha lasciato senza parole, ha contribuito a radicare in me la convinzione che questo sistema ormai è divenuto inaccettabile per tutti quei magistrati che ancora sentono e amano profondamente questo mestiere e che siamo ormai al capolinea.

Io sono orgoglioso - sembrerà paradossale - che questo Csm mi abbia inflitto la censura con trasferimento d'ufficio. Era proprio quello che mi aspettavo. Ed anche scritto, in tempi non sospetti. Ho già detto, ad un mio amico antiquario, di farmi una bella cornice: dovrò mettere il dispositivo della sentenza dietro la scrivania del mio ufficio ed indicare a tutti quelli che me lo chiederanno le vere ragioni del mio trasferimento.

La mia condanna disciplinare è grave e infondata, nei confronti della stessa farò ricorso alle sezioni unite civili della Suprema Corte di Cassazione confidando in giudici sereni, onesti, imparziali, in poche parole giusti. La condanna è, poi, talmente priva di fondamento, da ogni punto di vista, che la considero anche inaccettabile.

Mi viene inflitta la censura, devo lasciare Catanzaro ed abbandonare le funzioni di pubblico ministero in sostanza perché non ho informato i miei superiori in alcune circostanze e perché ho secretato un atto solo ed esclusivamente per salvaguardare le indagini ed evitare che vi fossero propalazioni esterne che danneggiassero le inchieste; senza, peraltro, tenere conto delle gravissime ragioni che hanno necessariamente ispirato alcune mie condotte. Troppo zelo, troppi scrupoli, troppo amore per questo mestiere. Del resto il procuratore generale che rappresentava l'accusa in giudizio, nel rimproverarmi, definendomi anche birichino, ha detto che concepisco le mie funzioni come una missione.

Ebbene, questa decisione, a mio umile avviso, contribuisce ad affievolire l'indipendenza della magistratura, conduce ad indebolire i valori ed i principi costituzionali, ci trascina verso una magistratura burocratizzata ed impaurita sotto il maglio e la clava del processo disciplinare.

Il rappresentante della Procura generale della Cassazione in udienza, il dr. Vito D'Ambrosio, ex politico, il quale per circa dieci anni è stato anche presidente della giunta della Regione Marche, ha sostenuto, durante il processo, sostanzialmente, che non rappresento, in modo adeguato, il modello di magistrato.

Ed invero, il modello di magistrato al quale mi sono ispirato è quello rappresentato da mio nonno magistrato (che ha subito anche due attentati durante l'espletamento delle funzioni), da mio padre (che ha condotto processi penali di estrema importanza in materia di terrorismo, criminalità organizzata e corruzione), dai miei magistrati affidatari durante il tirocinio, dai tanti colleghi bravi e onesti conosciuti in questi anni, da quello che ho potuto apprendere ed imparare, sulla mia pelle in contesti ambientali anche molto difficili, dall'esperienza professionale nell'esercizio di un mestiere al quale ho dedicato, praticamente, gran parte della mia vita. Il mio modello è la Costituzione repubblicana, nata dalla resistenza. Il modello 'castale' e del magistrato 'burocrate' non mi interessa e non mi apparterrà mai, nessuna 'quarantena' in altri uffici, nessun 'trattamento di recupero' nelle pur nobili funzioni giudicanti, potrà mutare i miei valori, né potrà far flettere, nemmeno di un centimetro, la mia schiena. Sarò sempre lo stesso, forse, debbo a questo appunto ammetterlo, un magistrato che per il 'sistema' è 'deviato ed eversivo'.

Pertanto, questa sentenza è, per me, la conferma di quello che ho visto in questi anni ed un importante riscontro professionale alla bontà del mio lavoro. Certo è una sentenza che nella sua profonda ingiustizia è anche intrinsecamente mortificante. Imporre ad un pubblico ministero, che si sa che ha sempre professato e praticato l'amore immenso per quel mestiere, di non poterlo più fare - sol perché ha 'osato', in pratica, indagare un sistema devastante di corruzione e cercato di evitare che una 'rete collusiva' ostacolasse il proprio lavoro e, quindi, condannandolo per avere, in definitiva, rispettato la legge - è un po' come dire ad un chirurgo che non può più operare, ad un giornalista di inchiesta che deve occuparsi di fiere in campagna, ad un investigatore di polizia giudiziaria che deve pensare ai servizi amministrativi. Farò di tutto, con passione ed entusiasmo intatti, nei prossimi mesi, per dimostrare quanto ingiusta e grave sia stata questa sentenza e che danno immane abbia prodotto per l'indipendenza e l'autonomia dei magistrati, ed anche e soprattutto per la Calabria, una terra (che continuerò sempre ad amare comunque finisca questa 'storia') che aveva bisogno di ben altri 'segnali' istituzionali.
Lavorerò ancor più alacremente nei prossimi mesi - prima del mio probabile allontanamento 'coatto' dalla Calabria - presso la Procura della Repubblica di Catanzaro per condurre a termine le indagini più delicate pendenti.

Non mi sottrarrò ad eventuali dibattiti pubblici anche tra i lavoratori, tra gli operai, tra gli studenti, nei luoghi in cui vi è sofferenza di diritti, per contribuire - da cittadino e da magistrato, con la mia forza interiore - al consolidamento di una coscienza civile e per la realizzazione di un tessuto connettivo sinceramente democratico.

Il Paese deve, comunque, sapere che vi sono ancora magistrati che con onore e dignità offrono una garanzia per la tutela dei diritti di tutti (dei forti e dei deboli allo stesso modo) e che non si faranno né intimidire, né condizionare, da alcun tipo di potere, da nessuna casta, esercitando le funzioni con piena indipendenza ed autonomia, in una tensione ideale e morale costituzionalmente orientata, in ossequio, in primo luogo, all'art. 3 della Costituzione repubblicana.

fonte:espresso

Scontri fra raccomandati:le differenze.



L'altra sera Bruno Vespa, marito di Augusta lannini che dirige gli Affari di giustizia del ministero per volontà di Mastella, ha organizzato una passerella per Mastella, cioè per il datore di lavoro della sua signora. Il quale lacrimava per le sorti della sua signora agli arresti. Annunciava il ritiro dell'appoggio esterno, anzi del concorso esterno, al governo. E insultava senza contraddittorio giudici, pm e cronisti (assenti) evocando complotti calabro-lucan-campani e sparando le solite corbellerie. La migliore: «Non si arresta mia moglie senza prima sentirla, lo dice pure Andreotti» (i giudici avrebbero dovuto convocarla, anticiparle le accuse e preannunciarle il suo prossimo arresto, sempreché la signora non avesse nulla in contrario).

Poi l'insetto ha mandato in onda il lungo battibecco fra la «iena» Alessandro Sortino ed Elio Mastella, figlio dei più noti Clemente & Sandra. In studio gli squisiti ospiti si profondevano in complimenti per la performance di Elio, che dava del raccomandato a Sortino perché suo padre è membro dell'Authority delle Comunicazioni; mentre lui, Elio, è un umile «metalmeccanico» che tira avanti «con 1800 euro di stipendio». Il mondo alla rovescia. Sortino viene assunto a Radio Capital perché è molto bravo nel lontano '98, sette anni prima che suo padre vada all'Agcom.

Le lene lo notano e lo ingaggiano nel 2000, cinque anni prima che il padre vada all'Agcom. Dunque non è un raccomandato. Non lo è nemmeno il padre Sebastiano, che vanta un curriculum di prim'ordine: laureato in legge, per 10 anni responsabile della Piccola impresa in Confindustria, per 5 anni dirigente Eni, dal '77 direttore generale della Fieg (federazione editori giornali) e consigliere Cnel, esperto di antitrust e tetti pubblicitari tv, dunque nemico giurato del monopolio Mediaset e odiato da Confalonieri. Sortino figlio ha fatto carriera nonostante il padre e il padre ha fatto carriera nonostante Mediaset.

Nell'Agcom siede pure un rappresentante Udeur; si chiama Roberto Napoli, il suo curriculum fa sorridere: medico legale all'ospedale dì Battipaglia, consigliere comunale a Battipaglia, assessore a Battipaglia, sindaco di Battipaglia, senatore dal '94 al 2001, poi trombato e sistemato all'Agenzia per l'ambiente della Campania. Dall'alto di questa spettacolare esperienza e in barba alla legge sulle Authority che pretende «persone di alta e riconosciuta competenza nel settore», nel 2005 Napoli entra in Agcom. Appena arrivato, si dà subito da fare e nomina sua segretaria Alessia Camilleri, promessa sposa di Pellegrino Mastella, figlio di Clemente. Intanto la figlia Monica Napoli prende il praticantato presso Il Campanile, organo dell'Udeur finanziato dallo Stato con 1,3 milioni l'anno. Al Campanile fanno il praticantato anche Alessia Camilleri, il suo futuro sposo Pellegrino Mastella e l'ex fidanzata di Elio Mastella, Manuela D'Argenio. Nel 2005 Il Campanile, secondo l'Espresso, versa a Clemente 40 mila euro per «compensi giornalistici»; 14 mila per pagare i panettoncini e torroncini della signora Sandra per i regali di Natale; 12 mila allo studio legale di Pellegrino; 36 mila in tre anni alla società assicuratrice dello stesso Pellegrino. Il giornale rimborsa molti viaggi aerei alla famiglia Mastella (compresi Pellegrino, Elio e Alessia). Altri 2 mila euro al mese vanno al benzinaio di Ceppaloni che fa il pieno al Porsche Cayenne di Pellegrino.

Ora Elio lavora alla Selex, gruppo Finmeccanica, al modico stipendio - dice - di 1800 euro. Strano, perché ogni mese paga insieme al fratello una super-rata di 6700 euro per il mutuo acceso per acquistare uno dei sei appartamenti rilevati dalla famiglia Mastella nel centro di Roma a prezzi stracciati. L'appartamento ex-lnail, in largo Arenula, ospita Il Campanile ed è della società omonima, intestata all'ex tesoriere Tancredi Cimmino e al segretario Mastella, poi girata ai due figli: 50% a Elio, 50% a Pellegrino. Valore dell'immobile: 2,4 milioni.

Ma i giovanotti lo hanno per 1,45 milioni, grazie a un mutuo di 1,1 milioni con rata mensile di 6700 euro. Come lo pagano? Con l'affitto versato dall'Udeur, 6500 euro mensili, il doppio dì quello pagato allora all'Inaii. Come l'hanno garantito? Con due dei 4 appartamenti delle Generali comprati in contanti in lungotevere Flaminio: 2 da Elio, 2 da Pellegrino. Ricapitolando: il giovane metalmeccanico da 1800 euro possiede mezzo mega-appartamento in largo Arenula, un intero terzo piano comprato per soli 200 mila euro e un alloggio costato 67 mila euro.

Sortino jr. si è fatto strada con le sue gambe, ha comprato casa con soldi suoi, a prezzi di mercato. Una vergogna nel Paese dei Ceppalones. Infatti per Porta a Porta il raccomandato è lui, la iena. Viva commozione invece per il metalmeccanico immobiliarista.

Marco Travaglio

23 gennaio 2008

Banca d'Italia e realtà gattopardiana


Mentre i politici urlano e sbraitano sui salotti buoni della Tv, le grandi truffe e i grandi interessi mediatici e finanziari pensano ad altro.
Non è possibile che in uno Stato che si reputa piena di risorse si accanisce su pagliuzze senza vedere le classiche travi.
Il vuoto di potere delle Istituzioni, prima o poi sarà colmato, ma da chi?
Domanda ingenua che si liquida con: il soggetto più forte. Siamo in mano a banche private che fanno prima la moneta che lo stato, emettono moneta (privilegio di Stato nazionale)senza avere Stati, ma insieme virtuale di confini. Più forte di così?
Una domanda di un lettore di effedieffe chiede perchè si è arrivati a questa situazione e Cupertino si lancia in una disanima della situazione.


«… Bankitalia - come tutti gli istituti di emissione aventi il privilegio dell'emissione di moneta fiduciaria - si appropria di risorse dei cittadini in misura pari all'entità delle banconote in circolazione. La cosa è del resto ammessa apertis verbis … nella relazione al disegno di legge varato dal Consiglio dei Ministri il 10 febbraio 1993: '…In conseguenza, non si consente agli esecutivi degli Stati firmatari del Trattato (di Maastricht, ndr) di esercitare signoraggio in senso stretto: OVVERO DI APPROPRIAZIONE DI RISORSE ATTRAVERSO QUELLA FORMA DI DEBITO INESIGIBILE CHE E'LA MONETA INCONVERTIBILE A CORSO LEGALE' ».

Qui ci sia consentita una breve riflessione personale: se non sono gli Stati ad appropriarsi delle risorse derivanti dal signoraggio perché mai tali risorse devono essere di spettanza, in un modo o nell'altro del sistema central-bancario, che è prevalentemente di natura privatistica mentre le risorse da signoraggio sono un bene comune nazionale?
Altra riflessione: giuridicamente dire «debito inesigibile» è affermare un controsenso come dire che il fuoco è freddo.
Nessun debito può essere di per sé inesigibile, altrimenti non sarebbe debito.
Ora, dire che la moneta bancaria è debito inesigibile significa affermare un ingiusto privilegio a favore di chi, la Banca Centrale, emette moneta in forma di debito senza dover mai rispondere, a causa della inconvertibilità, della propria esposizione debitoria.

Ma continuiamo con la citazione di Salvatore Verde: «Benché questa situazione (la truffa bancaria dell'appropriazione di risorse da signoraggio, ndr) talvolta - come nel caso accennato - venga confessata, di solito viene invece occultata mediante l'espediente contabile di esporre al passivo del bilancio l'importo relativo alla circolazione (nel 1993: 92.507.777.422.000 lire) che invece - per il fatto di essere debito inesigibile - non vi dovrebbe figurare… Ne deriva che il bilancio di Bankitalia in realtà - come si dice in gergo contabile - 'quadra' solo aritmeticamente e formalmente, ma non sostanzialmente (altra riflessione personale: siamo di fronte ad un falso in bilancio? Giriamo la domanda, come tentò il compianto Giacinto Auriti, ma senza ottenere né risposta né giustizia, alla competente Procura della Repubblica o, visto che siamo in Europa, alla Corte di Giustizia Europea, se competente)».
«E meglio sarebbe - continua Verde - se i 93.508 miliardi circa venissero ripartiti imputandoli ad accantonamenti vari e fondi di riserva. O meglio ancora ad 'utili da ripartire', con grande beneficio dei signori partecipanti ed anche dello Stato che ne percepirebbe quota notevole come imposta sul reddito, a sollievo dei contribuenti o a decurtazione del debito pubblico».

Fermiamoci ancora per una riflessione: Verde sembra dire che il debito pubblico nasce a causa di questo trucco central-bancario e che correggere tale imbroglio comporterebbe una notevole riduzione del debito pubblico medesimo, senza dover tagliare pensioni, privatizzare servizi pubblici, ridurre prestazioni sanitarie e scolastiche, aumentare tasse, etc.
Anche Marx, da noi citato nel nostro articolo, riconosceva che: «L'accumularsi del debito pubblico non ha misura più infallibile del progressivo salire delle azioni di queste banche centrali…(perché) la Banca (dà) … con una mano per aver restituito di più con l'altra, (e) …, proprio mentre riceve…, rimane… creditrice perpetua della nazione fino all'ultimo centesimo che (ha) … dato».
Ma ascoltiamo ancora Salvatore Verde: «In sostanza, la voce 'Circolazione' che si legge alla prima riga del passivo del bilancio (di Bankitalia, ndr) dovrebbe scomparire, per apparire nelle 'note' al bilancio, oppure fra le 'voci' fuori bilancio se si volesse tenere in piedi la fictio secondo cui in un avvenire indeterminato abolendo il corso forzoso e tornando alla moneta-merce il debito cesserebbe di essere inestinguibile per tornare ad essere reale… lo Stato dovrebbe spiegare ai cittadini per quale ragione si consente ad una società per azioni sia pure 'sui generis' di appropriarsi di beni reali pari al valore di tale massa circolante di base monetaria. Infatti, lo Stato non ne usufruisce (specie dopo il 'divorzio': tra Tesoro e Banca centrale, ndr) dovendo anch'esso diventare debitore nei confronti di Bankitalia ogni volta che - essendo insufficienti le entrate fiscali e le vendite di beni demaniali - ha bisogno di denaro. L'INDEBITAMENTO NEI CONFRONTI DI BANKITALIA AVVIENE ORMAI QUASI ESCLUSIVAMENTE CONTRO IL RILASCIO DI TITOLI DEL DEBITO PUBBLICO SU CUI (LO STATO, ndr) DOVRA' PAGARE (NOI DOVREMO PAGARE) SALATISSIMI INTERESSI (E PROVVIGIONI). Mentre sarebbe tanto più semplice e meno oneroso se (lo Stato o - oggi - l'Unione di Stati, ndr) emettesse direttamente tutto il denaro di cui necessita mediante l'emissione di proprie banconote. Dove sta scritto - conclude Verde - che senza un Istituto Centrale di emissione la politica monetaria dev'essere fatalmente inflazionistica? E' solo un problema di buone leggi e di uomini capaci».

Anch'io osservavo che si tratta solo di controlli tecnici sull'esercizio del potere di emissione della monete che deve tornare ad essere un potere statuale perché afferente organicamente alla sovranità nazionale o - oggi - alla sovranità dell'Unione di Stati.
Da quanto sopra esposto quel che, però, è più importante desumere è che non è rilevante il fatto che la Banca Centrale non possa detenere essa stessa i titoli del debito pubblico rilasciati dallo Stato a fronte dell'emissione di moneta bancaria.
Infatti, anche se tali titoli sono venduti all'asta in favore del pubblico, su di essi lo Stato, ossia noi, paga salatissimi interessi che, in fin dei conti, sono originati dalla fraudolenta emissione bancaria della moneta circolante, a seguito della storica sottrazione di tale potere alla nazione sovrana.
Si tenga poi conto che, al di là di questo, il vero privilegio del sistema central-bancario è nella indebita appropriazione a suo favore di quel bene immateriale che, nell'articolo, ho definito, con l'Auriti, come «valore indotto» creato dalla accettazione fiduciaria della carta moneta da parte del pubblico e che costituisce il vero «potere d'acquisto» incorporato nel simbolo cartaceo.
E non si venga a dire che il valore al simbolo cartaceo lo conferisce la Banca Centrale emittente: si metta il Governatore della Banca Centrale Europea a stampare euro su un'isola deserta e si verifichi quanto valore avrà la carta da esso stampata.

Per spiegare questa gravissima truffa, così evidente che non ce ne accorgiamo neanche, Auriti soleva fare questo esempio: «L'atteggiamento che la Banca Centrale assume nei confronti della collettività è analogo a quello di chi presta nasse vuote ai pescatori indebitando questi ultimi non solo della nasse ma anche del pesce che sarà pescato».
Fuor di metafora: le «nasse» sono i simboli cartacei che di per sé, al momento della stampa, non valgono assolutamente nulla mentre il pesce è il «valore indotto», ossia il valore che sarà incorporato, nei simboli cartacei, nel successivo momento della loro emissione e circolazione, dalla fiduciaria accettazione del pubblico, che quel valore, per l'appunto, crea.
Un'ultima annotazione sulla natura giuridica delle Banche Centrali.
Esse per lo più sono società per azioni partecipate pro-quota da diversi istituti assicurativi e dalle più importanti banche nazionali (o, oggi, europee), pubbliche ma soprattutto private.
In tal modo, le Banche Centrali risultano essere, benché esercitano poteri pubblici direttamente connessi con l'essenza stessa della sovranità, enti a carattere prevalentemente privatistico, i cui amministratori sono nominati dall'assemblea degli istituti «partecipanti».
La presenza della mano pubblica in tali assetti societari è andata sempre più diminuendo con i processi di privatizzazione degli ultimi vent'anni (si pensi, ad esempio, che la privatizzazione delle Casse di Risparmio, istituti «partecipanti» al capitale di Bankitalia, si trasformò, a suo tempo, automaticamente in una ulteriore privatizzazione della Banca d'Italia).
Sicché le stesse Banche Centrali sono rimaste esposte alle forze dirompenti di una finanza globale ormai incontrollabile dagli Stati.

Questo sistema di assetti societari e di nomine è rimasto sostanzialmente invariato anche a livello europeo con la costituzione della BCE.
In Italia, attualmente, dopo la nota vicenda di Fazio e dei «furbetti del quartiere», lo Stato è parzialmente rientrato in possesso di alcune quote di partecipazione al capitale di Bankitalia e di alcuni poteri in ordine alla nomina del Governatore (che non è più a tempo indeterminato come fu fino a Fazio).
Ma rimane il fatto che, anche per via della sua istituzionalizzazione con il Trattato di Maastricht, che si riflette anche nelle recenti riforme della nostra Costituzione, la Banca Centrale conserva tuttora la sua più totale autonomia nel decidere le politiche monetarie.
Anzi l'ultima riforma italiana, vista la qualità bassissima del nostro ceto politico, rischia di rovesciarsi in una ulteriore dipendenza della politica dalla finanza.
In altri termini, la Banca Centrale, che dovrebbe essere soltanto il «cassiere» dello Stato, magari con chiari ma limitati poteri di controllo, esclusivamente tecnico, per evitare l'abuso politico dello strumento monetario, è invece il «corpo», impolitico e di natura - si ripete - prevalentemente privatistica, che decide, per conto dello Stato o dell'Unione di Stati, ed al loro posto, i parametri finanziari entro i quali poi i politici, che altro non sono in tal sistema che i «camerieri dei banchieri centrali», possono elaborare i loro programmi di governo da sottoporre agli elettori.

Se i cittadini, però, pensano di essere ancora i veri sovrani e di essere soggetti politici di una democrazia, e non sudditi di una bancocrazia, sono solo dei poveri illusi.
Sembra che due secoli di lotte per togliere ai re cristiani la sovranità abbiano avuto come esito paradossale (ma non tanto per chi conosce i retroscena «esoterici» delle filosofie e delle rivoluzioni) quello di subordinare i popoli alla sudditanza alla consorteria central-bancaria.
Quindi, il problema non sta soltanto nei vantaggi economici lucrati immoralmente dal central-banchismo, che pure ci sono e sono immondi anche perché ricadono su pensionati, lavoratori di ogni categoria, imprenditori, ma sta soprattutto nella «castrazione» degli Stati e nell'appropriazione della sovranità monetaria, e quindi in ultima analisi della sovranità politica, da parte delle Banche Centrali e consorterie affini.

Luigi Copertino

22 gennaio 2008

Un Paese che sa di tappo tra politica e televisione


I fatti giornalieri superano la realtà romanzata dai tromboni appollaiati sulle barricate di monnezza eretta dall'opposizione. Meglio gli interessi di privati e/o di partito che nazionali? Non conviene nemmeno dirla la risposta, allora riviviamo la storia, il passato e, impariamo che la storia è unica e, un'esperienza già passata ma difficilmente ripetibile, anzi impossibile. A meno che si è autolesionisti.

Se avessi vent’anni oggi, non verrei particolarmente impressionato dall’ultima uscita domenicale di Berlusconi a difesa delle sue tv,contro ogni accordo sulla legge elettorale,né dalla rettifica alla moviola seguita in qualche modo il lunedì (“…e comunque la Gentiloni è un’aggressione nei miei confronti!”).Magari se fossi di Forza Italia penserei, articolando alla perfezione la lussureggiante grammatica mentale di quei paraggi:”Quanto è figo il Cavaliere,sa come gestire le danze della comunicazione,stop and go,e vai…!”.Oppure se fossi del Partito Democratico osserverei guardingo:”Vediamo come va a finire,speriamo che il nostro Cavaliere in lizza nel torneo,Veltroni, sia più furbo di lui”.Se fossi della Cosa Rossa probabilmente e senza speciale creatività lamenterei il solito “chiagne e fotte” berlusconiano,con una macchinalità pseudoemotiva sub specie politicante neppure così lontana dal disinteresse palese di un ventenne che invece se ne ritraesse inorridito.E senza commenti.

Se avessi avuto vent’anni il 20 novembre del 2002,quando una sentenza della Corte Costituzionale aveva obbligato Mediaset a spedire Rete 4 sul satellite entro il 31 dicembre del 2003 per liberare la concessione delle frequenze occupate da Rete 4 ,avrei opportunamente pensato che Berlusconi non fosse Presidente del Consiglio per la seconda volta per caso.Se invece avessi avuto vent’anni (non c’entra nell’iterazione né Paul Nizan né Gerry Scotti…) nel ’99,quando a Francesco Di Stefano per Europa 7 era stata assegnata la concessione di cui sopra, da osservatore non direttamente coinvolto dagli affari della politica ma solo attento alle libertà costituzionali e alle loro implicazioni sul piano delicatissimo e decisivo dell’informazione mi sarei immaginato finalmente una svolta nel sistema mediatico nazionale.

Come pure,se avessi avuto vent’anni un quinquennio prima,quando nel ’94 una sentenza sempre della Corte Costituzionale ordinava di spegnere la terza rete berlusconiana nell’ambito della legge di settore detta Maccanico,avrei credo ragionato sui cambiamenti epocali che il neonato maggioritario sia pure leggermente straccione,diciamo il Mattarellum,si apprestava a comportare in Italia nell’habitat televisivo.

Ma bypassando all’indietro i fasti dell’altra legge storica,la Mammì,un ventenne quale sarei potuto essere il 20 ottobre 1984,venendo a conoscenza che il presidente del Consiglio di allora,Bettino Craxi, dall’aereo presidenziale sul quale stava tornando da Londra telefonava al suo consiglio dei Ministri un preallarme per un istantaneo provvedimento a favore di Silvio Berlusconi cui il 16 ottobre,dunque solo quattro giorni prima -il decisionismo si vede nei frangenti più importanti,altro che i mollaccioni di ora…- i pretori avevano oscurato le reti, se (pur così giovane) avvertito nel ramo si sarebbe detto forse per la prima volta :”Toh,ma tu dimmi come sono avvinte le edere della politica e della televisione !”.Anche se poi la Camera aveva bocciato il decreto il 28 novembre successivo.Anche se sotto Natale,subito dopo, un nuovo decreto nel merito aveva prorogato la possibilità di trasmettere per l’allora (allora?) Sua Emittenza con tre reti intanto fino al 31 dicembre 1985,decreto convertito in legge grazie al voto decisivo di Almirante

(pro-memoria per i ventenni odierni: trattasi della preistoria di Fini e di alcuni baldi sessantenni di questo gennaio,della Rai,tra gli altri…).

Per maggiori informazioni consultare il libro di Elio Veltri “Da Craxi a craxi”,ed.Laterza, 1993,da cui si può utilmente estrarre anche l’intervento sulla questione da parte di Ugo Intini,sull’Avanti che dirigeva,che sui pretori citati scrisse parole di fuoco contro il “protagonismo” e la politicizzazione di alcuni magistrati.Tu guarda.Dov’è oggi?

E non vorrei qui dover considerare l’aneddoto, eccellente per uno che i vent’anni se li stesse scrostando alla fine degli anni ’70, di quando un Berlusconi ancora piacente e capelluto chiese e ottenne un incontro con Enrico Berlinguer, al Bottegone, per prostrarsi mettendo a disposizione del Pci il suo imberbe impero tv di allora.Il testimone ancora vivo di quella prostrazione racconta che il segretario comunista,che oggi nel pantheon democratico viene sostituito sembra da Craxi (cfr. il Fassino pre-birmano) lo mise alla porta con semplicità:”Scusi,ma qui non facciamo di queste cose”.Silvio imboccò prontamente l’uscio non lontano di Craxi.E chissà che oggi nel Pd (il cui Pantheon dunque ha compiuto la medesima operazione) non pensino che Berlinguer fosse solo un ingenuo senza prospettive….

Detto questo e non essendo ahimé ventenne,oggi dopo le ultime ripetitive esternazioni del Cavaliere sono costretto ad alcune conclusioni destinate ovviamente al silenzio, oppure,nella remota ipotesi che se ne voglia parlare, alla discussione di chiunque mediti di occuparsene con onestà intellettuale anche solo lillipuziana.

1)La questione politico-televisiva condiziona il Paese da quasi trent’anni.C’è un tappo alla bottiglia/Italia,ed è naturalmente Berlusconi,per cui questo Paese sa di tappo in tutte le cose che lo riguardano.Un odoraccio e un saporaccio.Chi osservi la faccenda da fuori,all’estero, se ne rende conto meglio,ma anche da dentro la cosa è chiarissima.Diresti: se stappi l’Italia,puoi ricominciare a coltivare e poi bere vino accettabile o addirittura selezionato,quello che ci sentiamo sventolare sotto il naso da tempo a partire da chi,come Furio Colombo,ne ha fatto una meritoria e ininterrotta campagna (a proposito di campagna,cfr.la sua formula “deformazione del paesaggio”).Già,ma la ricostruzione politico-televisiva di questi trent’anni ci dice che solo Berlinguer,e tanto tempo fa, ha messo alla porta Berlusconi.Quindi,che il tappo prima televisivo-imprenditoriale,poi da quasi tre lustri politico-televisivo-imprenditoriale,viene mantenuto a forza a chiudere la bottiglia dall’intiera classe politica del Paese nelle sue varie evoluzioni.

Anche qui,potrei fare il giochetto della memoria a ritroso,partendo dall’ultima Finanziaria che procrastina astutamente, dopo giochetti da “tre noci/dov’è il pisello?” spuntati dai più strani emendamenti,addirittura al 2012 la traduzione di tutto il sistema televisivo sul digitale terrestre. Fregando quindi in primis chi come il già citato Di Stefano di Europa 7 ha anche a suo favore una sentenza del 18 luglio 2005 del Consiglio di Stato che bollava la legge Gasparri come illegittima nella giurisdizione europea.All’epoca si parlava di “tutto sul digitale” entro il 2006,poi il termine con i soliti sistemi fu fatto slittare in extremis da una proroga-Landolfi al 2008 prima delle ultime elezioni vinte da Prodi (sì,da Prodi).

Va tutto nella stessa direzione di ciò che ho riassunto.Perché?

2)Non c’è dunque alcun ragionevole motivo per pensare che tale questione venga affrontata seriamente per risolverla e non per accroccarla in scambi,baratti,cessioni come fatto finora.In una palude navigata da finte polemiche mediatiche sulla “punitività” di una legge che applica sentenze costituzionali,da reali e a volte addirittura dichiarati urbi et orbi intenti del centrosinistra di non toccare nulla,dalla stanchezza di una pubblica opinione che a forza di decenni vanamente e superfetalmente spesi sulla questione e sulla successiva e collegata dizione “conflitto di interessi” (per Berlusconi come per l’intiera classe dirigente o addirittura l’intiero Paese) non ha più un’opinione,né pubblica né privata.Anzi,solo a sentir evocare il pasticcio per non essere tediata e raggirata mette mano alla pistola,specie se è davanti o dietro una montagna di “mondezza”.

3)Il problema del tappo non è quindi solo Berlusconi,magari lo fosse.Sono un po’ tutti.Al punto di far pensare con raccapriccio politico e letterario sollievo a che cosa accadrà quando prima o poi il tappo salterà malgrado tutte le indicazioni ultramondane del sindaco di Catania,Scapagnini.Che farà quella parte della politica che a parole detesta Berlusconi e nei fatti pare non poterne o volerne fare a meno?Se avessi vent’anni oggi sarei davvero preoccupato,molto preoccupato per questa ineluttabile eventualità.Come faremo con l’Italia stappata e con una sinistra che non l’ha saputa/voluta stappare fino alle estreme conseguenze che abbiamo sotto gli occhi?

Ma non ho vent’anni,e quindi temo “soltanto” per figli e nipoti:che volete che sia,come diceva Totò, quisquillie e pinzillacchere.

fonte: oliviero beha

21 gennaio 2008

Se Cuffaro ha vinto, lo Stato ha perso!


La standing ovation della cosca politica che ha salutato la condanna del governatore siciliano Totò Cuffaro a 5 anni per favoreggiamento di alcuni mafiosi e la sua decisione di restare al suo posto sono perfettamente coerenti con la “ola” parlamentare che, mercoledì mattina, ha accompagnato l’attacco selvaggio del cosiddetto ministro della Giustizia Clemente Mastella alla magistratura che aveva appena arrestato sua moglie e altri 22 suoi compari di partito. Così come con il tifo da stadio che ha osannato la sua signora interrogata ieri in Tribunale. Ma anche con il silenzio tombale che, nella politica e nella magistratura, è seguito alla vergognosa, ributtante decisione all’unanimità della sezione disciplinare del Csm: Luigi De Magistris condannato alla gravissima sanzione della censura e alla pena accessoria del trasferimento lontano da Catanzaro, con l’impossibilità di esercitare ancora le funzioni di pm. Insomma: Cuffaro resta, Mastella è atteso dal governo come il figliol prodigo dal padre buono che prepara il vitello grasso, la first lady ceppalonica dirige il consiglio regionale dagli arresti domiciliari, mentre l’unico che se ne deve andare è De Magistris.

In attesa delle motivazioni della sentenza del Csm, va notato che il procuratore generale che ha sostenuto l’accusa contro De Magistris è Vito D’Ambrosio, ex presidente Ds della Regione Marche, mentre il presidente della sezione disciplinare è l’ex democristiano ed ex margherito Nicola Mancino. Due politici del centrosinistra che giudicano un magistrato che indagava su politici del centrosinistra. E meno male che il Csm è l’organo di “autogoverno” (poi ci sono i membri togati, cioè i magistrati, che han votato unanimi a braccetto con i politici per cacciare il loro giovane collega: speriamo che un giorno si vergognino di quello che hanno fatto).

Anche per Totò Vasa Vasa bisogna attendere le motivazioni della sentenza per sapere come mai il Tribunale non gli abbia applicato l’aggravante della volontà di favorire Cosa Nostra. Ma non si può certo dire che sia stata una sorpresa. C’era chi l’aveva prevista fin dal 2004 e aveva fatto di tutto per scongiurarla: i pm “dissidenti” dalla linea dell’allora procuratore Piero Grasso e del suo fedelissimo aggiunto Giuseppe Pignatone. E cioè Roberto Scarpinato, Antonio Ingroia, Guido Lo Forte e altri, tutti schierati con il pm che aveva avviato le indagini su Cuffaro: Gaetano Paci, il quale nel 2004 fu protagonista di un duro braccio di ferro con i colleghi che indagavano con lui ma che, in ossequio alla linea Grasso, non ne volevano sapere di contestare a Cuffaro il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, peraltro affibbiato a tutti i suoi coimputati, quasi tutti arrestati proprio per quel delitto. Paci ne faceva anzitutto una questione di equità: come si può accusare Cuffaro di essere il capo della banda delle talpe che informavano i mafiosi e poi contestargli soltanto due episodi di favoreggiamento, accusando tutti gli altri (e arrestandone un buon numero) per concorso esterno? La legge è uguale per tutti o i politici sono più uguali degli altri? C’era poi una questione tecnica: avendo dichiarazioni di mafiosi pentiti, ampiamente riscontrate, sul fatto che fin dal 1991 Cuffaro si era messo nelle mani di Cosa Nostra, andando a chiedere al mafioso Angelo Siino i voti per la sua prima elezione all’Assemblea Regionale, era molto più facile dimostrare che il governatore è da oltre 15 anni un fiancheggiatore esterno della mafia. Per il favoreggiamento mafioso, invece, occorre provare che, quando avvertì - tramite i suoi uomini - il boss Giuseppe Guttadauro che aveva la casa piena di microspie, Cuffaro voleva favorire l’intera Cosa Nostra. Una prova difficilissima, anche perché è più logico pensare che Cuffaro intendesse favorire anzitutto se stesso: se Guttadauro avesse continuato a parlare (ascoltato dagli inquirenti), avrebbe messo nei guai alcuni fedelissimi del governatore che frequentavano abitualmente il boss. Paci pagò a carissimo prezzo l’aver tenuto la schiena dritta: il suo capo, cioè Piero Grasso, lo estromise brutalmente dalle indagini che lui stesso aveva avviato. Due anni dopo anche il pm Di Matteo sostenne la necessità di contestare a Cuffaro il concorso esterno, ma anche lui finì in minoranza e dovette lasciare il processo. I pm superstiti, cioè Pignatone, De Lucia e Prestipino, seguitarono caparbiamente a tener duro sulla linea morbida (intanto, per fortuna, il nuovo procuratore Francesco Messineo e l’aggiunto Alfredo Morvillo, cognato di Falcone, aprivano un nuovo fascicolo sul governatore, per concorso esterno). E venerdì sono andati a sbattere contro il Tribunale, che li ha duramente sconfessati (anche se nessuno lo scrive).

Ora il procuratore Grasso fa come la volpe con l’uva: siccome non è riuscito ad afferrarla, dice che era acerba. Sul Corriere, afferma che la prova necessaria per condannare Cuffaro per favoreggiamento mafioso era “una prova diabolica, complicata da trovare”. Bella scoperta: Paci, Di Matteo, Scarpinato, Lo Forte, Ingroia e altri colleghi da lui emarginati gliel’avevano detto per anni. Grasso ribatte che, col concorso esterno, sarebbe andata anche peggio. Ma manca la controprova. Anzi, ci sono fior di sentenze dei giudici di Palermo che condannano personaggi ben più potenti di Cuffaro (da Andreotti a Contrada, da Mannino a Dell’Utri) per concorso esterno. Non per favoreggiamento mafioso. La verità è che la contestazione del favoreggiamento mafioso, ora derubricato a favoreggiamento non mafioso, ha di fatto salvato Cuffaro da un processo che poteva segnare la fine della sua carriera politica. Senza l’aggravante mafiosa, il governatore beneficia dell’indulto e i 5 anni di pena diventano 2. Niente carcere, dunque, in caso di condanna definitiva. C’è l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, ma non scatterà mai perché il reato cadrà in prescrizione - grazie alla legge ex Cirielli - tra un paio d’anni, probabilmente prima che si chiuda il processo d’appello. Così, paradossalmente, Totò pur condannato ha vinto la sua partita, mentre la vecchia Procura l’ha rovinosamente persa. Perché non ha voluto giocarla.
Salvatore Salvato

19 gennaio 2008

Il WEF dice: possibile crollo dei prezzi.


L'economia mondiale potrebbe affrontare un periodo di stagnazione non a causa della crisi energetica, bensì della crisi finanziaria globale. Lo rileva il rapporto Global Risks 2008, redatto dal World Economic Forum (WEF) che sarà discusso in occasione della conferenza annuale che si terrà a Davos a fine gennaio. Senza molta diplomazia, il rapporto rileva che il mondo affronterà il più alto rischio di recessione di questi ultimi 10 anni, facendo sicuramente leva sulle crisi politiche che si sono concentrate in punti geopolitici stratetigici. Tuttavia, tale rischio, stando la lettera degli esperti, deriva dalla crisi finanziaria che ha travolto, di conseguenza ogni settore del sistema economico globale, facendo così, il settore energetico un veicolo della crisi e non semplicemente una causa scatenante.

Gli Stati Uniti sono stati l'epicentro di un terremoto che ben presto si è esteso, come un domino, in ogni Paese del Mondo. Ricordiamo infatti come tra il 2005 e il 2007 il deficit commerciale dell'America e così la svalutazione del dollaro, ha compromesso la stabilità dell'equilibrio finanziario del mondo. Ben presto, la svalutazione monetaria ha rivelato la speculazione sui tassi di interesse, e così sui titoli che la Federal Reserve e le più grandi Banche nordamericane ed europee contribuivano a diffondere, senza alcuna garanzia o controvalore. La debolezza del mercato finanziario, ha poi prodotto i suoi effetti su quello bancario, e così sui mutui, sul credito, sui consumi, sui salari, bloccando di conseguenza la produzione.

Il rapporto così avverte che un "crash" sui prezzi - ossia una caduta libera in seguito al raggiungimento del picco di inflazione - potrebbe provocare una crisi finanziaria globale nel 2008. Il WEF stima che questo rischio è molto vicino, con una probabilità del 20%, e un eventuale crollo del valore dei beni potrebbe causare un danno di bilioni di dollari. Una tale previsione, sebbene così dura e "apocalittica", non è così inverosimile né tanto lontana, considerando che le fasi di evoluzione dell'economia sono sempre più ravvicinati nel tempo e viaggiano con velocità impressionanti. Come abbiamo avuto modo di spiegare più volte, la nostra economia si trova in una fase di recessione molto complessa, come quella della stagflazione, durante la quale ogni politica di intervento risulta inefficace o estremamente dannosa. È infatti quella fase in cui l'alta inflazione, provoca un'iniziale espansione dell'economia e poi una sua riduzione in seguito al blocco della crescita dei salari che sostengono i consumi e così la produzione.
Attualmente, per stessa ammissione di Confindustria e della Banca d'Italia, l'Italia si trova in una fase di stagflazione, così come gli Stati Uniti. Il blocco della produzione, provoca stagnazione ma anche il collasso dei prezzi, a seguito dell'eccessiva offerta rispetto alla domanda. Ebbene, qualora i prezzi dovessero cominciare a diminuire in maniera drastica, si avrebbe l'effetto contrario, in quanto vi sarebbe la svalutazione della produzione industriale, delle risorse, e delle ricchezze di uno Stato. A rendere ancor più critica la situazione saranno le speculazioni, che già si preparano, nascoste dalla virtualità delle contrattazioni della borsa e dell' alta finanza. Questo lo sanno bene tutte le entità economiche, soprattutto quelle sovranazionali che hanno maggiore potere sulle sorti dell'economia. Lo sa l'Opec, che ha sorriso in maniera beffarda quando Bush ha "timidamente" chiesto di aumentare la produzione di petrolio perché l'America soffriva l'aumento dei prezzi. Lo sa la Federal Reserve, che ha ridotto i tassi, aumentato l'offerta di moneta, ma ad un certo punto si è fermata e ha chiesto al Congresso di aumentare la politica fiscale. E lo sa anche la Banca Centrale Europea, che non ha toccato i tassi di interesse, in attesa che sia il mercato a imporglielo di conseguenza.

Per cui, dato tale scenario, la recessione si diffonderà prima negli Stati Uniti e poi in Europa, mentre la crescita di Cina e India saranno lievemente rallentate. Mentre, per quanto riguarda la Russia, il rapporto della WEF prevede un impatto negativo derivante dalla riduzione della richiesta di materie prime ed energie, a causa del calo della produzione. Gli analisti russi si sono soffermati su quello che il rapporto chiama "concetto di 2009", secondo il quale la recessione negli Stati Uniti porterà il prezzo del petrolio ai minimi storici, tale da trasformare, improvvisamente, l'eccedenza di esportazione in un'eccedenza di importazione, tale che deteriorerà anche il valore del rublo. Tale previsione, viene in qualche modo esclusa dalla Russia, così come dagli produttori di petrolio, che vedono i prezzi del greggio e dell'oro in continua ascesa, oltre i limiti storici raggiunti in passato. Questo in relazione alla crescente dipendenza dei Paesi occidentali nei confronti degli idrocarburi, e degli insufficienti investimenti nelle tecnologie di energia alternativa. Infatti, anche se gli Stati Uniti potrebbero rallentare la loro economia, la crescita annuale del 6% della Cina continuerebbe a trainare la richiesta del petrolio.




A confermare invece la tesi del vicino ribasso dei prezzi, è l'osservazione che i Paesi produttori di petrolio, sono restii ad effettuare investimenti rischiosi nella ricerca di nuovi pozzi di petrolio. La stessa Banca Internazionale Goldman Sachs, dopo aver preannunciato un rialzo dei prezzi del greggio oltre i 100$, afferma che nel 2008 un barile di petrolio costerà intorno ai 95$ per diminuire ancora in futuro. D'altro canto, è la stessa legge economica "speculativa" che afferma che, raggiunto il vertice del rialzo, i prezzi cominciano a diminuire, a causa delle forze che spingono la domanda ad eguagliare l'offerta, dopo un lungo periodo di eccedenza. Inoltre, sebbene i prezzi del petrolio potrebbero non turbare i piani degli investitori e dei consumatori, il dato più preoccupante è la crisi sul mercato finanziario che contribuisce a gonfiare ancora di più la bolla speculativa. Le grandi Banche internazionali continuano ad effettuare le svalutazioni del proprio capitale, come l'ennesima di Merrill Lynch che si aggiunge così a quelle effettuate da Ubs Bank e Citigroup, mentre la sfiducia nel mercato finanziario si espande sempre di più. Nel momento in cui si espanderà la recessione negli Stati Uniti, deprimendo così anche l'attrattività del mercato degli investimenti, si arresterà anche l'acquisto di titoli e derivati legati al dollaro, che rappresentano, sostanzialmente, il cuore di tutto il sistema finanziario. Sarà allora che si avvertirà la svendita dei titoli, la riduzione dei tassi di interesse passivi e così anche la riduzione dei prezzi. Un'eventualità questa che risiede nella natura stessa del mercato, che è in continuo movimento, tra espansioni e contrazioni, per raggiungere un equilibrio di lungo termine che rispecchia perfettamente lo stato delle ricchezze e delle risorse del pianeta. È ovvio che al momento le regole del mercato sono truccate, manipolate, distorte, e non rispettano il reale stato dell'economia mondiale. Tuttavia, la completa incapacità dei governi a governare la crisi, dimostra come il sistema è altamente instabile e potrebbe improvvisamente cambiare il proprio trend.
Fonte: etleboro

18 gennaio 2008

La condanna percepita...


In Italia oltre all’inflazione percepita (quella cosa per la quale non sono i prezzi che aumentano, sei tu che sei tirato) adesso hanno inventato anche la condanna percepita. Se appena il giudice legge la sentenza l’imputato comincia a festeggiare, grida, si sbraccia, stappa lo spumante e tutti quanti lo abbracciano, lo baciano e lo applaudono, allora l’opinione pubblica percepirà che è stato assolto.

"Evviva, non sono stato condannato per mafia, non mi dimetto" grida trionfante Totò Cuffaro, governatore della Sicilia, un minuto dopo essere stato condannato a cinque anni di carcere per favoreggiamento con interdizione dai pubblici uffici.

La Casa della Libertà lo festeggia tutta unita come ai bei tempi e Silvio Berlusconi
solidarizza (la sua occupazione principale oltre ad essere rinviato a giudizio in un processo non troppo dissimile da quello Mastella che piazzava primari mentre Silvio piazza veline) proprio come se se fosse stato assolto e dichiara in maniera per nulla sibillina: "fatemi vincere le elezioni e poi facciamo una volta per tutte i conti con la magistratura".

A Totò Cuffaro l’applauso è servito per fare ammuina oggi, ma a Clemente Mastella l’applauso a scena aperta è bastato solo ieri. Oggi si è fatto due conti e ha detto che o la solidarietà la mettono per iscritto o cade il governo. Mastella almeno si è dimesso… Antonio Bassolino non è mai neanche stato sfiorato dall’idea. Intanto, baciando baciando Vasa Vasa Cuffaro e solidarizzando con Mastella, tre notizie sono sparite o spariture:

1. i due operai morti a Marghera,
2. il fatto che mezza Italia non arriva a fine mese,
3. la monnezza in Campania che neanche hanno cominciato a rimuovere.

Ma che importa: dall’Alpi alle Piramidi: Viva Silvio, viva Clemente, viva Totò!

Gennaro Carotenuto

I furbetti della porta accanto


Falsi invalidi, finti disoccupati, imprenditori-fantasma, malati immaginari, evasori totali, lavoratori in nero, affittuari abusivi, furbetti e furboni del Welfare all'italiana. Sono il primo gradino della Casta. Una moltitudine di piccoli predoni dello stato sociale, che l'opinione pubblica tende a perdonare per lo stesso vizio logico che ha portato la maggioranza degli italiani ad assolvere per più di trent'anni la più massiccia evasione fiscale del mondo occidentale: se una persona ruba un miliardo di euro, tutti lo chiamano ladro; ma se dieci milioni di cittadini sottraggono cento euro ciascuno, rischiano di vincere le elezioni.

Dietro tanti micro-ammanchi può esserci una triste e dolorosa guerra tra poveri, in lotta per redditi di sopravvivenza. Ma in molti altri casi c'è la storia di una truffa continuata e diffusa, un colpo colossale con una particolarità: ci sono tantissimi complici e nessuno conosce con certezza l'entità del bottino. In Gran Bretagna, il National Audit Office ha stimato, nel 2006, che l'insieme delle frodi al sistema di sicurezza sanitaria e pensionistica faccia sparire il 2,3 per cento della grande torta del Welfare.

Applicando lo stesso criterio statistico a un paese più simile all'Italia, come la Francia, l'ammanco raggiungerebbe i 19 miliardi di euro. Una montagna di soldi rubati alla parte più povera della popolazione. Milioni di micro-frodi che, messe insieme, riducono le risorse indispensabili ai veri bisognosi. Le vittime sono gli anziani, gli invalidi, i malati, i disoccupati. Una fetta d'Italia che in tempi di crisi economica rischia più di tutti. L'obiettivo di questa inchiesta giornalistica è misurare questo furto ai danni dei più poveri partendo dal basso, mettendo in fila dati concreti e documentabili.

Per capire come e perché può succedere che in Italia, ogni anno, spariscano non meno di 23 miliardi di euro. Prelevati dalle casse sempre più misere dello Stato sociale e riversati nelle tasche di troppi privilegiati. Quasi sempre impuniti, come se il problema sociale fossero loro, quelli che stanno al primo piano, e non quelli che sono costretti a vivere in cantina perché i signori del palazzo lasciano la casa in mano agli abusivi.



Il primo mattone di questo muro socio-economico è una cifra assurda: 379 mila. Sono le famiglie che continuano a ricevere pensioni che l'Inps non dovrebbe pagare per il motivo più ovvio: i soldi erano destinati ai vivi, ma in realtà i beneficiari sono tutti morti.

Il miracolo della resurrezione previdenziale si spiega con i cronici ritardi - di giorni, mesi o anni - nell'aggiornamento degli archivi degli enti pensionistici. Le anagrafi di molti comuni sono ancora cartacee e comunque non collegate con i computer dell'Inps. Per cui lo Stato continua a pagare le pensioni anche ai defunti. Il dato dei 379 mila morti assistiti è stato accertato dai finanzieri del Nucleo speciale spesa pubblica e sarà la base per la prossima, massiccia campagna di verifiche delle Fiamme gialle. Spiega il comandante del nucleo, il colonnello Fernando Verdolotti: "È una delle priorità assegnate alla Guardia di Finanza per il 2008. Anche per le pensioni indebite, come per l'evasione fiscale, c'è un danno economico che colpisce la generalità dei cittadini onesti. All'interno di questi 379 mila casi, il nostro compito è distinguere tra le inefficienze burocratiche e le vere e proprie truffe. Oltre alla repressione degli illeciti, i nostri controlli hanno una funzione di prevenzione".

Fra tanti ritardi, in Italia fisiologici, nelle registrazioni dei decessi, non mancano casi considerati 'patologici': il familiare che nasconde nel freezer il cadavere del compianto pensionato; la donna di Olbia che continua per sette anni a incassare tre pensioni a nome della madre morta nel 2000; il figlio che cerca di giustificarsi, tra le lacrime, giurando che nessuno gli aveva mai detto che suo padre era morto cinque anni fa.

Mentre i finanzieri indagano tra dolo, colpa o errore, la dimensione dello spreco, anzi del furto oggettivo di risorse, che in mancanza di correttivi continuerebbe a perpetuarsi, si può misurare moltiplicando il numero dei defunti per la pensione media pro capite (9.511 euro, secondo l'Istat).
Risultato: almeno tre miliardi e mezzo di euro rubati allo Stato sociale.

Lo stesso nucleo della Guardia di Finanza è specializzato nella lotta alle frodi economiche a sfondo sociale: raggiri, furberie e falsi che permettono a sedicenti imprenditori (e dipendenti) di intascare i sussidi pubblici stanziati per favorire lo sviluppo.

Anche questa è una grossa torta: 7 miliardi e mezzo di euro trasferiti ogni anno dallo Stato alle aziende private. E quasi il doppio versato da altri erogatori, dall'Unione europea alle regioni, province e comuni. Con questo secondo fronte di ruberie, il bottino delle frodi accertato dalle Fiamme gialle solo nei primi 11 mesi del 2007 sale a quota 1 miliardo e 936 milioni di euro. Soprattutto al Sud, le procure più attive indagano su montagne di soldi sprecati per opere mai (o mal) realizzate, dalle discariche ai depuratori. Meno conosciute, ma non meno dannose, sono le truffe economiche diffuse, ad esempio, nelle campagne. False imprese agricole che intascano veri contributi per assumere finti braccianti.

Il sussidio è Cosa Nostra
Tre siciliani creano tra Misilmeri e Vicari una rete di società agricole che beneficiano di contributi pubblici per tre milioni di euro. Il trucco centrale è la falsa assunzione di ben 340 braccianti che in verità non hanno mai lavorato. I soldi dei sussidi, secondo l'inchiesta dei pm Roberto Scarpinato, Sara Micucci e Marco Bottino, vengono moltiplicati finanziando prestiti a usura, garantiti da minacce e intimidazioni. Secondo l'accusa il capo, arrestato, era legato alla famiglia mafiosa di Villabate, la stessa che proteggeva Bernardo Provenzano. Questo metodo di arricchimento si è ramificato soprattutto in Puglia e in Sicilia. Da San Severo a Catania, da Ragusa a Cerignola, sono migliaia i casi documentati di finti braccianti che hanno fatto arrivare sussidi veri nelle tasche di falsi imprenditori. Che li ripagavano con carta, valida per incassare assegni familiari e indennità di disoccupazione.

L'agricoltura è in tutta Europa il settore produttivo più assistito. In Italia, tra sussidi statali ed europei (10 miliardi), agevolazioni contributive (2,7) e tasse ridotte anche sui carburanti, il bilancio degli aiuti supera i 15 miliardi di euro. Un miliardo e 800 milioni l'anno servono solo a far riposare i terreni: soldi per non far coltivare nulla. Almeno questo è sicuramente uno spreco legalizzato. E come tutti i paradossi agricoli ha come giustificazione dichiarata la tutela dell'ambiente; in realtà solo il 2 per cento dei contributi è collegato a obiettivi di riduzione dell'inquinamento, che spesso nessuno controlla. L'unico risultato effettivo è il sostegno dei prezzi, delle produzioni e degli imprenditori agricoli più forti. A danno dei contadini dei paesi in via di sviluppo, quelli che non hanno i soldi per i pesticidi, restano poverissimi e quindi emigrano in massa in un'Europa sempre più chiusa e impaurita. Magari nella Penisola dove regna l'economia nera: imprese totalmente sconosciute al fisco (8.262 quelle appena scoperte dalla Guardia di Finanza) e dipendenti senza alcun contratto o irregolari part-time. Il danno, in questo caso, è l'evasione di massa dei contributi, oltre che delle tasse: nessun versamento per le pensioni e la sanità.

In settori come l'edilizia o i laboratori tessili, la fatica e il bisogno bastano e avanzano a garantire il marchio di veri sfruttati, ad esempio, ai 269 lavoratori irregolari e ai 64 totalmente in nero scoperti in una cooperativa di facchinaggio di Pomezia. O alle migliaia di operai senza nessun contributo identificati nei cantieri di Torino (28 in nero su 36), Imperia (irregolari 23 ditte su 41), Treviglio (13 clandestini su 19 cinesi al lavoro all'una di notte) o Bitonto, dove 59 operaie di turno nel frastuono delle macchine per cucire diventano fantasmi appena arriva l'ispezione. Più furba che necessitata sembra invece l'evasione totale in discoteche e ristoranti. Due esempi fra tutti. A Pozzuoli il gestore del Bagdad Cafè (terza sala da ballo in tre mesi chiusa per lavoro nero) si è visto ritirare la licenza, peraltro scaduta da un anno, perché i 500 clienti, cioè il triplo della capienza teorica, erano serviti da 15 dipendenti tutti irregolari, che non facevano gli scontrini perché mancava anche il registratore di cassa. E nel quartiere di Santa Caterina a Bari, tra i 600 consumatori accalcati sulla pista, c'erano 13 fra cassieri, buttafuori, baristi e deejay tutti rigorosamente black, visto che il gestore non aveva neppure presentato la dichiarazione dei redditi. Tra il 2003 e il 2006 l'Inps ha recuperato 11 miliardi e 760 milioni di contributi non pagati. Nello stesso periodo controlli e incentivi hanno fatto emergere 130 mila aziende totalmente in nero e circa 300 mila lavoratori senza alcun contratto. Secondo una stima del 'Sole 24 Ore', l'evasione contributiva ancora sommersa resta mastodontica: 40 miliardi di euro. Nella civile Francia la Corte dei conti previdenziali (Cpo) ha calcolato nel 2007 una cifra compresa tra gli 8 e i 15 miliardi di euro. Applicando all'Italia la stima più prudente, come se da Milano a Napoli il tasso di legalità fosse lo stesso che tra Parigi e Lione, il risultato è che dalle casse dello Stato sociale mancano almeno altri otto miliardi: non proprio rubati, ma trattenuti alla fonte. Una salute tutta d'oro
La sanità, dopo le pensioni, è l'altra grande voragine dei conti pubblici: nel 2007 ha bruciato quasi 98 miliardi di euro. Le indagini giudiziarie, che devono fornire la prova certa di ogni singola truffa, offrono solo una cifra minima: frodi documentate per 67 milioni nei primi 10 mesi dell'anno scorso. Il campionario va dalle false esenzioni per i ticket, ai rimborsi gonfiati alle cliniche private, fino agli appalti truccati negli ospedali pubblici, in cambio di tangenti, nomine o voti. Ma quanto è grande la torta delle frodi sanitarie? L'unico termometro disponibile, per il momento, è la maxi-inchiesta sulla sanità lombarda: secondo la procura di Milano, risultano documentalmente false, cioè manipolate per gonfiare i contributi, oltre 80 mila cartelle cliniche. Un'alluvione di truffe private, che prima dei blitz giudiziari erano favorite anche dalla strana abitudine dei controllori pubblici, selezionati dalla giunta Formigoni tra i più meritevoli, di esaminare solo un documento su 20 e, per correttezza, di preavvisare le strutture private con almeno 48 ore di anticipo. Il totale delle cartelle da esaminare è di otto milioni e la Guardia di Finanza è a metà dell'opera. Ammesso che i futuri controlli non riservino altre sorprese, ne risulta una quota di frodi dell'1 per cento. Questo, in Lombardia. Applicando la stessa forbice al resto d'Italia, dai rimborsi alle cliniche siciliane alle forniture agli ospedali liguri, e tenendo conto che nel 2008 la spesa sanitaria pubblica salirà a 101 miliardi, si può ritagliare una stima credibile di almeno 1 miliardo di euro.

L'invalido con dieci targhe
Attorno al pianeta salute ruotano altri satelliti eccentrici. Tra i veri e sfortunati non vedenti, che sicuramente meriterebbero aiuti più generosi, le Fiamme Gialle hanno scoperto circa 200 posizioni quantomeno dubbie: persone che dichiarano una cecità totale, ma hanno rinnovato la patente e in qualche caso pure il porto d'armi. Ma ci sono anche abusi commessi sulla base di reali invalidità. Una legge di fine anni '90 garantisce l'abbattimento dell'Iva (dal 20 al 4 per cento) per l'acquisto di auto adattate ai disabili. Una modifica successiva ha esteso il beneficio ai mezzi di trasporto (senza modifiche) per gli invalidi psichici. Risultato: centinaia di invalidi sono diventati d'incanto titolari di interi garage familiari. E in qualche caso la famiglia è molto allargata: a Bologna è stato scoperto un invalido con dieci targhe. Utilitarie, berline, fuoristrada e moto, tutte intestate al parente in carrozzella. Secondo l'Agenzia delle Entrate, solo questo trucchetto dell'Iva scontata ci costa più di 200 milioni di euro all'anno.

Per fermare l'avanzata dell'esercito dei furbi, dieci anni fa una legge ha cercato di imporre un mezzo di prova dell'effettivo stato di bisogno. Assodato che in Italia l'evasione fiscale è massiccia, oltre ai redditi va dichiarato il patrimonio immobiliare e i depositi bancari. Il discorso vale per un terzo delle prestazioni sociali tipiche: circa 10 miliardi su 30. Il sistema si chiama Isee ossia Indicatore della situazione economica equivalente (vedi box a pag. 30) e vale soprattutto per il welfare locale: esonero dei ticket sanitari (in Veneto e Sicilia), sussidi scolastici, assegni familiari, aiuti per la casa. Secondo l'ultimo rapporto sull'Isee (2006), questo misuratore della ricchezza familiare interessa un italiano su cinque: oltre 11 milioni di individui, ovvero 3 milioni e 667 mila famiglie.

La Sicilia dei record
Il problema è che il sistema si basa sull'autocertificazione. E per il popolo dei piccoli e grandi evasori, nascondere i soldi resta una tentazione irresistibile. L'indizio più vistoso, di per sè, dice poco: al Sud si concentrano 2 milioni e 433 mila 'famiglie Isee', cioè due volte la quota del centro-nord, che ha il doppio della popolazione. Ma questo può voler dire solo che nel Mezzogiorno c'è più disoccupazione e meno ricchezza. I problemi cominciano quando si dividono le cifre. In Sicilia l'Isee ha fatto boom (il ministero denuncia una crescita 'abnorme') solo quando la Regione ha collegato a questo indicatore l'esenzione dai ticket sanitari. Sempre al Sud, solo tre regioni hanno più di un terzo di famiglie di 'livello Isee', con differenze singolari: la Calabria ne ha meno della Campania (36,8%) e molte meno della Sicilia, che ha il record nazionale del 57 per cento. Invece al Centro le famiglie presunte bisognose sono una su otto, al Nordest una su dieci, al Nordovest una su dodici.
(17 gennaio 2008)
Ma a far pensare che l'inventiva italiana sia riuscita a beffare anche l'Isee sono altri tre incidenti statistici. Primo guaio: per le famiglie che non hanno una casa in proprietà, la legge consente di abbassare l'autocertificazione sottraendo gli affitti. Ovviamente bisogna che i contratti siano registrati. E per chi incassa gli affitti, addio Isee. Ebbene, nel Settentrione sono meno di un quinto le 'famiglie Isee' che non possiedono case ma non pagano nemmeno affitti, evidentemente perché vivono gratis in alloggi di parenti o come usufruttuari: 18,4 per cento nel Nordovest, 16,1 nel Nordest. Al Centro la quota sale al 25,7 per cento. Al Sud schizza al 39,6. Quindi, delle due l'una: o al Sud si concentrano più di tre milioni di ospiti gratuiti di case altrui, oppure è altissima la percentuale di affitti in nero. E di proprietari di case che, oltre a evadere le tasse, possono continuare a dichiararsi bisognosi di assistenza. A spese degli inquilini.

La variabile geografica sembra influenzare anche il lavoro nero. Tra i 3,6 milioni di 'famiglie Isee', quelle che non hanno neppure un occupato in età da lavoro sono il 16 per cento, come media nazionale. Ma nel Mezzogiorno la percentuale sale al 40. Solo disoccupazione vera o anche lavoro nero?

Per i depositi bancari (e per i patrimoni mobiliari) il divario tra Nord e Sud è tanto alto da sembrare indecente agli stessi tecnici del ministero della solidarietà sociale, decisi a impedire che i furbi erodano le risorse destinate ai più poveri. Al Nord, circa metà delle 'famiglie Isee' confermano di avere un conto in banca. Al Sud solo il 2,3 per cento. Al Nord il 10 per cento ammette di avere depositi bancari superiori alla franchigia annua di 15 mila euro. Al Sud solo lo 0,5 per cento. La conclusione del ministero, nel rapporto Isee 2006, è che la frode sociale è un fenomeno di 'notevole diffusione'. Soprattutto perché i 'controlli di veridicità risultano estremamente difficili dato il ritardo nella messa in opera dell'anagrafe dei conti bancari'. Proprio l'anonimato delle ricchezze e dei depositi, difeso con i denti anche da legioni di commercialisti del ricco Nord, finisce così per funzionare come un 'incentivo a rimanere nel sommerso'. Con l'effetto di accorciare quella coperta che dovrebbe proteggere le famiglie, del Nord come del Sud, 'effettivamente molto povere'. E che lo diventeranno ancora di più se il 2008 sarà l'anno della temuta recessione mondiale.

Anche la terza mina nei conti del Welfare locale è il riflesso delle storiche furberie fiscali. Il dato grezzo è che tra le 'famiglie Isee', tanto per cambiare, i lavoratori dipendenti risultano più benestanti degli autonomi: i salariati avrebbero il 20 per cento di ricchezza in più. Questo risultato è l'incrocio tra due dati tanto opposti da sembrare quasi comici. Primo mistero (doloroso): i lavoratori autonomi dichiarano due terzi del reddito dei dipendenti, che notoriamente non possono evadere perché pagano le tasse alla fonte. Secondo mistero (gaudioso): gli autonomi in compenso dichiarano un patrimonio medio più che doppio dei lavoratori dipendenti (per l'esattezza, 2,3 volte superiore). Ma allora come hanno fatto i soldi? Tutte eredità e lotterie? L'intera catena di anomalie statistiche, a conti fatti, mette in dubbio la regolarità di almeno un quinto delle prestazioni sociali misurate dall'Isee (per non parlare di tutte le altre, che continuano a basarsi solo sui redditi dichiarati): un bottino da almeno due miliardi di euro.

La mina sotto il Welfare
Il direttore dell'Agenzia delle Entrate, Massimo Romano, è perfettamente consapevole della gravità del problema. E spiega a 'L'espresso': "Finora ci si era illusi che potessero bastare i controlli successivi alle dichiarazioni Isee. Dal luglio prossimo dovrebbe finalmente entrare in vigore una nuova norma che ci consentirà di organizzare i controlli preventivi. Redditi, immobili, patrimoni mobiliari: sono tutti dati che l'amministrazione pubblica già possiede. Si tratta solo di metterli insieme. E l'informatica ci aiuta".
"Una rete di controlli effettivi e capillari non indebolisce lo Stato sociale, ma al contrario lo rafforza", sottolinea Raffaele Tangorra, direttore generale del ministero della solidarietà sociale: "I controlli servono proprio a garantire la parte più povera della popolazione, a evitare che le prestazioni sociali vengano dirottate con comportamenti opportunistici". Più legalità, più giustizia.

Il romanzo delle piccole e grandi frodi sociali potrebbe continuare ancora a lungo, ma il capitolo finale va senz'altro dedicato alla micro-truffa più diffusa in tutte le età e classi socialie: alzi la mano chi non si è mai dato malato per saltare un giorno di scuola o di lavoro. Secondo il presidente della Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, "l'assenteismo nel pubblico impiego ci costa quasi un punto di Pil: 8,3 miliardi negli enti centrali, 5,9 in quelli locali". I tecnici del ministero dell'Economia hanno sorriso sentendo Montezemolo citare come esempio alcune amministrazioni che in realtà non controllano le presenze, ma il numero di buoni pasti ritirati, di modo che l'assentetista non solo resta impunito, ma si fa pure pagare il pranzo. Il baratro fra lavoro privato e pubblico, però, è indiscutibile: nelle assenze per malattia, c'è un rapporto è di 1 a 4. Fra i 3 milioni e 612 mila dipendenti statali, le sparizioni dal lavoro per motivi diversi dalle ferie (permessi, scioperi e, appunto, malattie) sono state, in media, 22,7. I giorni saltati, sempre nel 2006, diventano 26,3 nelle agenzie fiscali, 28,9 nella sanità, 31,6 negli enti di ricerca, addirittura 65 al ministero della Difesa.

Ma anche per gli statali generalizzare è sbagliato. Uno studio dell'Agenzia delle entrate sui giorni di malattia dimostra che più di un terzo del personale (37%) in realtà non manca mai dal lavoro. E un altro terzo (34%) fa meno assenze della media. In pratica è il 29 per cento dei dipendenti fiscali a consumare quasi tutto il monte-malattie. Con grandi differenze tra gli stessi malati cronici, che sono solo il 10 per cento dei funzionari in Alto Adige, il 20 in Veneto, il 33 in Puglia e in Molise, 36 in Campania, 38 nel Lazio, 40 in Sicilia e quasi la metà (44%) in Calabria.

I controlli sulle assenze sono affidati ai medici fiscali, che di regola non organizzano visite prima di tre giorni. Mentre i medici di famiglia tendono a certificare le malattie dichiarate dai pazienti, da cui dipendono anche i loro stipendi. Applicando a tutta Italia i dati (prudenti) dell'Agenzia delle entrate, si può concludere che le malattie di comodo sono un problema innegabile per circa un terzo dei funzionari e per un mese di stipendio. Visto che la spesa pubblica per il personale statale è di 162 miliardi e 711 milioni di euro, il costo dell'assenteismo pubblico è sicuramente superiore a 4 miliardi e mezzo di euro. Fuori da ogni controllo restano entità come la Regione Sicilia: per i 14.291 dipendenti stabili, 5455 contratti a termine e 702 lavoratori socialmente utili (dati di fine 2006, gli unici pubblicati per vie traverse) l'amministrazione guidata da Totò Cuffaro non ha neppure trasmesso i dati sulle assenze alla Ragioneria generale dello Stato.
Paolo Biondani

31 gennaio 2008

E, venne anche il giorno della sua-legge.


Se non fosse l’ingrato che è, il Cainano erigerebbe a sue spese un monumento equestre al centrosinistra, che per la seconda volta gli riconsegna il Paese esattamente come lui l’aveva lasciato. Almeno per i settori che gl’interessano, cioè la giustizia e l’informazione. Pareva brutto cambiare qualcosa, c’era il rischio di offenderlo. Ieri, per esempio, la giustizia ha dimostrato che, volendo, può essere rapida, fulminea: un quarto d’ora di udienza, cinque minuti di camera di consiglio, poi la sentenza del processo Sme-Ariosto bis per i falsi in bilancio Fininvest connessi alle mazzette pagate al giudice Squillante. “Il fatto non è più previsto dalla legge come reato”, nel senso che l’imputato l’ha depenalizzato.

Il processo era l’ultima coda del filone “toghe sporche” aperto dalla Procura di Milano nell’estate del 1995 in seguito alla testimonianza di Stefania Ariosto. E riguardava i falsi in bilancio contestati al Cavaliere, come titolare del gruppo Fininvest, per far uscire clandestinamente dalle casse delle società estere il denaro necessario a corrompere, o comunque a pagare, alcuni magistrati che stavano sul libro paga del Biscione. Inizialmente il processo Sme-Ariosto era uno solo e vedeva imputati per corruzione giudiziaria Berlusconi, i suoi avvocati Cesare Previti e Attilio Pacifico e i giudici Filippo Verde (per la presunta sentenza venduta sul caso Sme del 1988) e Renato Squillante (per una tangente di 434 mila dollari del 1991); in più Berlusconi rispondeva anche di falso in bilancio. Poi, nel febbraio 2002, il suo governo depenalizzò di fatto i reati contabili, fissando soglie di non punibilità così alte da sanare cifre stratosferiche di fondi neri. Su richiesta della Procura, il Tribunale stralciò il capitolo del falso in bilancio e ricorse contro la nuova legge dinanzi alla Corte di giustizia europea, che però lasciò ai giudici italiani la decisione se applicare la legge italiana o quella (più rigida e prevalente) comunitaria. Intanto, nel processo principale, Previti, Pacifico e Squillante se la cavano con la prescrizione, solo Verde viene assolto. E così Berlusconi, ma solo per insufficienza di prove.

Le accuse
Resta, ormai sul binario morto, il processo sul falso in bilancio che s’è chiuso ieri. Nel capo d’imputazione si legge che “Berlusconi Silvio, in concorso con gli altri amministratori e dirigenti delle spa Fininvest ed Istifi, in esecuzione di un unico disegno criminoso, quale presidente della spa Fininvest e azionista di riferimento dell’omonimo gruppo, fraudolentemente concorreva a esporre nei bilanci di esercizio delle precitate società, relativi agli anni 1986/’87, ‘88, ‘89, nonché nelle relazioni allegate ai bilanci e nelle altre comunicazioni sociali, notizie false e incomplete sulle condizioni economiche delle medesime: operando perché Istifi gestisse la tesoreria del gruppo in modo tale da non consentire l’attribuzione e la ricostruzione delle operazioni finanziarie finalizzate a creare provviste di contanti nonché l’effettivo impiego in operazioni riservate ed illecite ed anche per l’esecuzione dei pagamenti di cui ai capi precedenti (le presunte tangenti ai giudici Squillante e Verde, ndr); creando, attraverso operazioni eseguite presso la Fiduciaria Orefici di Milano, delle disponibilità extracontabili utilizzate per operazioni riservate e illecite nonché per eseguire i pagamenti di cui ai capo che precedono; cosí occultando, nelle diverse comunicazioni sociali, sia la creazione di disponibilità finanziarie, sia il loro impiego, sia l’esistenza di società correlate e di posizioni fiduciarie riferibili alle precitate società (nonché gli impegni per la loro capitalizzazione, i costi relativi e le plusvalenze realizzate)”. Indipendentemente dalla conclusione dei processi, i versamenti in nero della Fininvest sono documentali e incontestabili. I primi risalgono al 1988, poco dopo la sentenza di Cassazione che chiuse la causa civile sulla mancata cessione, nel 1985, della Sme dall’Iri di Prodi alla Buitoni di De Benedetti per l’azione di disturbo inscenata dal trio Berlusconi-Barilla-Ferrero (Iar) su ordine di Bettino Craxi. Il 2 maggio e il 26 luglio 1988, da un conto svizzero di Pietro Barilla, partono due bonifici: il primo di 750 milioni, il secondo di 1 miliardo di lire, entrambi diretti al conto Qasar Business aperto presso la Sbt di Bellinzona dall’avvocato Pacifico. I 750 milioni vengono ritirati in contanti da Pacifico, che li porta in Italia e – secondo l’accusa – ne consegnati una parte (200 milioni) brevi manu al giudice Verde, che nel 1986 ha sentenziato a favore della Iar (che però viene assolto: manca la prova dell’ ultimo passaggio). Il miliardo invece lascia tracce documentali fino al termine del suo percorso: il 29 luglio ’88 Pacifico ne bonifica 850 milioni al conto Mercier di Previti e 100 milioni al conto Rowena di Squillante, trattenendone solo 50 per sè. Perché tutto quel denaro targato Barilla-Berlusconi (soci nella Iar) approda – secondo i pm - sui conti di due magistrati e di due avvocati che l’imprenditore parmigiano non conosce e che non hanno mai lavorato per lui? Perché mai il socio di Berlusconi dovrebbe pagare un miliardo e 750 milioni a due avvocati di Berlusconi che neppure conosce e a un giudice di Roma, anch’egli a lui sconosciuto, se nella causa Sme fosse tutto regolare?

Il bonifico Orologio
C’è poi il versamento del 1991, sganciato dall’affare Sme, ma rientrante – per l’accusa – nello stipendio aggiuntivo che Squillante riceveva da Fininvest per la costante disponibilità al servizio del gruppo: lo attesta un’impressionante sequenza di contabili bancarie svizzere sul passaggio di 434.404 dollari (500 milioni di lire tondi tondi) dal conto Ferrido (All Iberian, cioè Fininvest) al conto Mercier (Previti) al conto Rowena (Squillante), il 5 marzo 1991. Due bonifici diretti, della stessa identica cifra, nel giro di un’ora e mezza, siglati con il riferimento cifrato “Orologio”. Previti, sulle prime, parla di un semplice errore della banca. Poi cambia piú volte versione. All Iberian è la tesoreria occulta del Biscione e bonifica decine di miliardi di lire sui conti svizzeri Polifemo e Ferrido, gestiti dal cassiere centrale Fininvest, Giuseppino Scabini. Da dove arrivano i soldi? Da tre diversi sistemi. Anzitutto dai bonifici della lussemburghese Silvio Berlusconi Finanziaria. Poi, dall’aprile 1991, dal contante versato dalla Diba Cambi di Lugano: il denaro proveniva da due diverse operazioni effettuate grazie alla Fiduciaria Orefici di Milano. La prima è l’operazione «Bica-Rovares», condotta dal gruppo Berlusconi con l’immobiliarista Renato Della Valle, che frutta una ventina di miliardi; la seconda è strettamente legata al «mandato 500»: un mandato personale del Cavaliere aperto presso la Fiduciaria Orefici e utilizzato per acquistare 91 miliardi in Cct. I titoli di Stato vengono poi monetizzati a San Marino e il contante viene consegnato a Milano 2 a Scabini. Parte di questi soldi (18 miliardi circa) finiscono sui conti esteri del gruppo. A portarli in Svizzera provvede lo spallone Alfredo Bossert, che li consegna alla Diba Cambi di Lugano. Insomma, i conti esteri di All Iberian dai quali partono i versamenti ai giudici (ma anche 23 miliardi a Craxi) sono alimentati da denaro della Fininvest e –come ammettono i suoi stessi difensori - «dal patrimonio personale di Silvio Berlusconi». E allora come può il Cavaliere non saperne nulla?

Una partita craxian-berlusconiana
La provvista del bonifico “Orologio” All Iberian-Previti-Squillante proviene da un altro conto del gruppo: il Polifemo, sempre gestito da Scabini. Il 1° marzo 1991, un venerdí, Polifemo riceve da Diba Cambi un accredito di 316.800.000 lire. Il denaro è giunto in Svizzera in contanti quattro giorni prima, il 26 febbraio, direttamente da palazzo Donatello a Milano 2 (sede Fininvest), trasportato dagli uomini di Bossert (la somma non fa parte della provvista creata col «mandato 500», che sarà operativo solo dal luglio 1991). Il lunedí successivo, 4 marzo, quei 316 e rotti milioni permettono a Polifemo di disporre il bonifico di 434.404 dollari a Ferrido (sempre All Iberian), dando cosí il via alla trafila che, attraverso Previti, approda al conto di destinazione finale: Squillante. Insomma, Polifemo gira 2 miliardi a Previti e (tra febbraio e marzo ’91) 10 miliardi a Craxi. Nello stesso periodo Previti riceve un’altra provvista (2,7 miliardi) che utilizza in parte per girare a Pacifico i soldi necessari (425 milioni) a comprare la sentenza del giudice Vittorio Metta che annulla il lodo Mondadori e regala la casa editrice a Berlusconi: un altro affare che sta molto a cuore a Craxi. Nella primavera ’91 dunque Berlusconi completa l’occupazione dei media e paga il politico, gli avvocati e i giudici che l’hanno aiutato. La sequenza temporale ricostruita dall’accusa è impressionante. Il 14 febbraio ’91 Previti versa 425 milioni al giudice Metta tramite Pacifico. Il 6 marzo ’91 bonifica 500 milioni a Squillante. Il 16 aprile ’91, ancora tramite Pacifico, dirotta 500 milioni sul conto «Master 811» di Verde (poi assolto). Sempre con fondi Fininvest.

Non potendo negare i versamenti plurimiliardari a Previti in barba al fisco, Berlusconi li spiega cosí: «Normalissime parcelle professionali”. Ma non esiste una sola fattura che le dimostri. E d’altronde: se quei soldi – come dice la difesa berlusconiana – erano «patrimonio personale di Berlusconi», che c’entrano con le parcelle? Berlusconi pagava le parcelle agli avvocati del gruppo di tasca propria? Assurdo. Ultima perla. Dice Berlusconi che «da uno di quei conti vengono effettuati da Fininvest una serie di acconti ai vari studi legali del gruppo, fra cui lo studio Previti». Ma altri studi non ne risultano: Polifemo finanzia solo l’avvocato Previti e poi Craxi. Anche Craxi era un legale del gruppo Fininvest? Beh, in un certo senso…
"I fatti non sono più previsti dalla legge come reato". Con questa formula i giudici della I sezione penale del Tribunale di Milano hanno prosciolto Silvio Berlusconi dall'accusa di falso in bilancio nell'ultimo stralcio di procedimento nato con il caso-Sme. Gli episodi contestati all'ex premier, infatti, risalivano alla fine degli anni Ottanta. All'inizio dell'udienza, durata meno di un quarto d'ora, l'accusa aveva chiesto la prescrizione, mentre la difesa aveva sollecitato i giudici ad un verdetto di proscioglimento perché i fatti non costituiscono più reato. Era stato, infatti, proprio durante il governo Berlusconi che il falso in bilancio era stato derubricato. Una interpretazione, quest'ultima, che è stata accolta dai giudici. I fatti contestati all'ex premier risalivano al periodo che va dal 1986 al 1989, e, quindi, sarebbe comunque state coperti dalla prescrizione. I giudici, come detto, hanno però deciso di prosciogliere Berlusconi perché il fatto non è più previsto come reato, invece che dichiarare la prescrizione, come richiesto dal pm Ilda Boccassini. Il procedimento in cui Berlusconi era imputato di falso in bilancio era stato stralciato dal troncone principale del processo Sme, in quanto i giudici avevano investito la Corte europea affinché valutasse la congruità della normativa italiana sul falso in bilancio con le direttive comunitarie. La Corte europea aveva deciso però di non entrare nel merito delle leggi in vigore nei singoli Paesi. "Dopo sei anni è stata pronunciata una sentenza che il Tribunale e la Procura avevano cercato in ogni modo di evitare rivolgendosi addirittura alla Corte di Giustizia europea", ha commentato l'avvocato Nicolò Ghedini, difensore insieme al collega Gaetano Pecorella di Silvio Berlusconi. La legge che depenalizza il falso in bilancio è stata una delle prime cosiddette "leggi ad personam" approvate dal passato governo Berlusconi. Il provvedimento è diventato infatti operativo già dal gennaio 2002 grazie a un decreto varato a tempo di record dall'allora ministro della Giustizia Roberto Castelli. "Le fattispecie di minore gravità del falso in bilancio - spiegava il Guardasigilli - sono state depenalizzate e saranno punite con sanzioni amministrative in linea con l'attuale tendenza a limitare ai casi realmente gravi l'intervento penale". Lo scorso ottobre la Casazione aveva chiuso definitivamente un altro troncone del procedimento Sme a carico di Silvio Berlusconi assolvendolo dalle accuse di corruzione nell'intricata vicenda della vendita del comparto agro-alimentare dell'Iri alla Cir, la finanziaria di Carlo De Benedetti. La posizione del leader di Forza Italia era stata stralciata da quella degli altri sei imputati, compresi il senatore Cesare Previti e il giudice Squillante, in seguito all'approvazione del "Lodo Schifani", un'altra delle cosiddette "leggi ad personam" (successivamente dichiarata incostituzionale) che introduceva l'immunità per le cinque più alte cariche dello Stato.

MILANO - Silvio Berlusconi è stato assolto nel processo stralcio per la vicenda Sme. Il pm Ilda Boccassini aveva chiesto che fosse dichiarata la prescrizione per il reato di falso in bilancio relativo alle attività della Fininvest negli anni 1986-1989 di cui era accusato l'ex premier. I suoi
difensori, Nicolò Ghedini e Gaetano Pecorella, aveva invece chiesto l´assoluzione perché il fatto non è più rubricato come reato, dopo la modifica della normativa sul falso in bilancio nell´aprile 2002.
SENTENZA-LAMPO - La sentenza di assoluzione è stata letta dopo 5 minuti di camera di consiglio dai giudici della prima sezione penale presieduti da Antonella Bertoja. Il tribunale ha pronunciato il non doversi procedere perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, accogliendo così la richiesta della difesa di Berlusconi. Complessivamente l'udienza è durata circa un quarto d'ora.
STRALCIATO - Il capitolo Sme in questione era stato separato dal troncone principale - in cui Berlusconi è stato assolto dall'accusa di corruzione in atti giudiziari - perché i giudici si erano rivolti alla Corte europea per chiedere di valutare la corrispondenza tra la normativa italiana e le direttive comunitarie. A ottobre la Cassazione ha confermato l'assoluzione per Berlusconi, dopo che il 27 aprile l'ex premier era stato assolto con formula piena dalla Corte di Appello di Milano.
«IN RITARDO» - «Una sentenza che arriva in ritardo di sei anni, alla fine di un processo che la Procura e il Tribunale di Milano avevano fatto di tutto per evitare rivolgendosi addirittura alla Corte di giustizia europea - commenta l'avvocato Ghedini -. I giudici europei e la Corte Costituzionale avevano detto che la modifica di legge dell´aprile del 2002 era corretta e rispondente alle direttive comunitarie per cui a Milano sono stati costretti, sia pure in ritardo, a celebrare un processo scomodo che è finito come doveva finire».
RUSSO SPENA - «L´assoluzione di Berlusconi dall´accusa di falso in bilancio era scontata: la legge che abolisce il reato se l´era fatta, come molte altre, su misura». Parole di Giovanni Russo Spena, capogruppo di Prc al Senato. «Il governo di centrosinistra - aggiunge - stava reintroducendo il reato di falso in bilancio con il decreto sicurezza, il mondo giuridico e gli imprenditori onesti infatti chiedevano proprio questo ed è ovvio che, se Berlusconi vince le
elezioni, falsificare i bilanci delle aziende diventerà uno sport nazionale».

Marco Travaglio

29 gennaio 2008

Iperinflazione


Mentre tutte le banche si affannano ad iniettare liquidità al sistema finanziario si assiste al declino della carta moneta o titoli spazzatura.
La Storia si ripete, una storia già vissuta nel periodo passato.


I febbrili sforzi per salvare il sistema finanziario internazionale, come la psicotica riduzione del 0.75% del tasso di sconto della Riserva Federale e il piano di “stimolo” di Bush/Paulson, non soltanto sono inutili e inefficienti, ma causeranno un ritorno di fiamma spettacolare. Questo è, nella sostanza, il monito dell’economista e statista americano Lyndon H. LaRouche Jr.: il sistema finanziario è ormai defunto. Qualunque tentativo di salvare il valore fittizio dei milioni di miliardi di dollari circolanti in forma di titoli finanziarii, è destinato a fallire: anzi, qualunque nazione che fosse sufficientemente folle da farsi tentare da una simile ricetta, sarebbe distrutta.

Il sistema finanziario globale, inclusi gli Stati Uniti e l'Europa, entra in un periodo comparabile a quello della Germania di Weimar nell’autunno 1923. Se i danni dell’iperinflazione di allora rimasero in larga misura circoscritti alla Germania stessa, quelli derivanti dal crac odierno sono e saranno globali. Nessun sistema nazionale potrà sopravvivere ai suoi effetti; forse, entro l’anno appena cominciato le nazioni stesse si disferanno.

Il Trattato di Versailles, ratificato alla fine della prima guerra mondiale, prevedeva delle riparazioni di guerra così ingenti, da renderne impossibile il pagamento da parte della Germania sconfitta: l’intenzione era precisamente quella di impedirle di funzionare. Cercando di onorare i suoi impegni, la Germania cominciò a stampare moneta, finanziando così i suoi assegni di riparazione e le necessità della sua economia al grande costo dell’instabilità del marco. Lo stimolo monetario inasprì la situazioni a livelli talmente inauditi che fu coniato apposta il termine “iperinflazione”, per individuarne l’orrore.

Mentre l’economia tedesca crollava, il governo rispose con la stampa di ulteriore moneta a mo’ di stimolo: il valore del Reichsmark cominciò così a precipitare. Durante il periodo 1913-1915 esso si era attestato intorno al valore di 4 marchi per un dollaro, raggiungendo il rapporto di circa sei marchi per dollaro nel periodo 1917-1918. La situazione cominciò a peggiorare poco dopo: i 20 Reichsmark per dollaro del 1919 divennero 62 Reichsmark nel 1920, quindi 105 Reichsmark nel 1921. Alla fine si raggiunse il fondo, con 1886 Reichsmark nel 1922 e un incredibile cambio di 535 miliardi di Reichsmark per lo stesso dollaro, nel 1923. Durante lo stesso periodo l’indice del costo della vita subì un passaggio dal livello di 100 del 1912, al livello di 1019 del 1920, fino al mostruoso livello di 657 miliardi del 23 novembre 1923. Questi sono i dati dell’Istituto di Statistica della Germania.

Come abbiamo detto, è il mondo intero, oggi, a conoscere un collasso iperinflattivo sullo stile della Germania di Weimar. Molte, e simili, ne sono le ragioni. Le azioni della Riserva Federale e della Banca Centrale Europea, così come di altre banche centrali e degli stessi governi; la loro determinazione a cercare di stimolare il morto (il sistema finanziario, appunto), sperando nella sua risurrezione; il loro cieco rifiuto di riconoscere la verità; tutto questo contribuisce a mettere in scena una vera e propria tragedia classica. Bloccati dalla paura, questi moderni Amleto stanno preferendo la distruzione di tutto ciò che hanno di più caro, piuttosto che abbandonare la malriposta fede nelle fallimentari politiche monetarie.

Le nazioni d’Europa, macinate dagli accordi di Maastricht anti-sovranità, hanno rinunciato al loro potere di reagire alla crisi. Questo significa che il peso ricade sugli Stati Uniti, in accordo con i poteri e le responsabilità previsti dalla loro Costituzione: essi devono non soltanto restituirsi a sé stessi, ma salvare il mondo intero. Piuttosto che continuare la strada dei folli tentativi di stimolazione del cadavere, il governo degli Stati Uniti d’America deve usare i suoi poteri sovrani per sottoporre il suo intero sistema finanziario ad una procedura di riorganizzazione fallimentare, stabilendo un precedente e un contesto per le azioni equivalenti che le altri nazioni vorranno intraprendere. Il passo cruciale da compiere innanzitutto, è l’approvazione del disegno di legge di LaRouche in protezione dei proprietari di casa e delle banche (preso in considerazione da un numero crescente di consigli comunali e di assemblee legislative statali), per erigere una muraglia di protezione degli aspetti essenziali delle infrastrutture economiche di base e della popolazione stessa, in modo da mantenere l’economia fisica in grado di funzionare, una volta evitati i danni causati dal crollo finanziario.
Fonte :Movisol

27 gennaio 2008

Prigionieri del MOSTRO/DEBITO


Il bravo Pierluigi Paoletti affronta la questione crisi italiana e globale guardando solo i numeri. Un mostro che cresce in modo spaventoso, con la delicatezza, di un elefante in un negozio di swarovski.

Il debito è stata la molla con la quale si è scelto di far crescere il mondo occidentale.
Attraverso la necessità di restituire più di quanto si è ricevuto in prestito le persone, le imprese hanno ricevuto lo stimolo per fare sempre di più, ingegnandosi per mettere a frutto i propri investimenti. Questo artificio, almeno nel dopoguerra, ha messo in moto la ricostruzione ed ha premiato chiunque abbia intrapreso un’attività imprenditoriale, ma anche i lavoratori dipendenti sono stati promossi dal sistema a “consumatori” http://www.centrofondi.it/articoli/commercio_anima.htm e quindi hanno visto il proprio reddito
aumentare e di conseguenza anche il loro tenore di vita.
Il debito nel dopoguerra è stato un poderoso stimolo all’economia drenando il denaro e mettendo in moto quel meccanismo virtuoso di crescita economica.
Il perché è intuitivo, dopo una guerra ci sono tantissime cose da (ri)costruire, mercati
vergini da sviluppare, portare una classe operaia e impiegatizia a consumare in modo da alimentare e rendere duraturo e stabile l’intero meccanismo ecc.
In una situazione del genere il debito viene assorbito benissimo anche se gli enormi proventi da questo generati entrano in tasche private, leggi banche.
In quegli anni un dollaro di debito generava oltre 4 dollari e questo è accaduto, ovviamente con alti e bassi, fino agli anni ’80 -’90.
La questione si è complicata quando il debito ha iniziato l’ascesa esponenziale che ha
portato il livello di indebitamento ai livelli attuali erodendo enormi fette di reddito
necessarie per il normale ed equilibrato andamento della vita economica, come abbiamo avuto modo di vedere nell’ultimo report sulla funzione sociale delle banche.
Nella situazione in cui siamo, un dollaro di debito non produce più niente e ci si deveindebitare anche per vivere e questo non è più sostenibile. Uno studio pubblicato ieri della Confcommercio ha evidenziato come gli stipendi siano rimasti ai livelli del 1992, mentre iprezzi sappiamo che sono praticamente raddoppiati e quindi il potere di acquisto dimezzato.
Come si può uscire da questo incubo in cui la fine è annunciata? Adottando l’unica possibile soluzione ovvero una moratoria dei debiti o addirittura un azzeramento dell’intero debito.
Conoscendo i meccanismi di creazione del denaro e sapendo come quei debiti sianoillegittimi, noi propendiamo ovviamente per la seconda ipotesi.
Non esiste altra soluzione.
E non è che gli antichi non conoscessero i danni e la pericolosità del meccanismo degli interessi composti, infatti nella più famosa preghiera cristiana, il Padre Nostro, si recita: dacci oggi il nostro pane quotidiano e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, e appare così chiara la funzione del Giubileo che azzerava ogni 50 anni idebiti, spirituali e materiali (oggi solo quelli spirituali).
Ma anche l’anno Sabbatico, ogni 7 anni, del popolo ebraico ha la stessa funzione pratica e non è un caso che l’Islam abbia messo al bando l’usura e la pratica di richiedere interessi.
Pio XI nel 1931 nella Quadragesimo Anno scrisse: «E in primo luogo ciò che ferisce gli occhi è che ai nostri tempi non vi è solo concentrazione di ricchezza, ma l'accumularsi altresì di una potenza enorme, di unadispotica padronanza dell'economia in mano di pochi, e questi sovente neppure proprietari, ma solo depositari e amministratori del capitale, di cui essi però dispongono a loro grado e piacimento. Questo potere diviene poi più che mai dispotico in quelli che, tenendo in pugnoil danaro, la fanno da padroni; onde sono in qualche modo i distributori del sangue stesso,
di cui vive l'organismo economico, e hanno in mano, per così dire, l'anima dell'economia, sicché nessuno, contro la loro volontà, potrebbe nemmeno respirare. (…) Nell'ordine poi delle relazioni internazionali, da una stessa fonte sgorgò… non meno funesto ed esecrabile,
l'imperialismo internazionale del denaro, per cui la patria è dove si sta bene» (numero 105- 106 - 109).
Adesso però il Moloch che è stato creato, vive di vita propria e sta dando i suoi colpi
violenti che una classe dirigente impotente, ignora.
Classe politica IMPOTENTE perché grazie ad i vari passaggi giuridici, trattato di Maastricht, riforma costituzionale ed altre piccolezze del genere, ha messo nelle mani di organi sovranazionali imposti e non eletti da nessuno, come la commissione europea, il
WTO, il FMI, la Banca Mondiale, la BCE, La Banca dei Regolamenti ecc., è assolutamente impotente e non può altro che spartirsi le ricchezze di uno stato, ma consoliamoci che in tutto il mondo ormai allo sfascio,accade la stessa cosa.
Nuove elezioni quindi non potranno fare assolutamente NIENTE se non far continuare il banchetto agli avvoltoi che si spartiscono la carcassa. E qui destra sinistra e centro sono allo
stesso modo complici e colpevoli di questo stato di cose.
In questo momento il Moloch sta tirando colpi che mettono in ginocchio ogni tipo di potere che ha permesso di arrivare a questo punto, sia esso politico, economico o addirittura religioso.
In pratica il mostro sta seguendo la strada della creatura creata dallo scienziato Victor
Frankenstein (Bankestein per Marco Saba) che si vendica contro chi lo ha generato.
Oggi il potere nel suo insieme non ha alternative e se non prenderà in considerazione un suo ravvedimento sarà vittima della propria ingordigia.
Il ravvedimento, è bene precisare che richiede molta intelligenza e sinceramente è una qualità che oggi è scomparsa letteralmente chi ha una qualche responsabilità di governo, Prodi, Fini, Veltroni, Padoa Schioppa, Berlusconi, Bondi, Dini, Draghi, Trichet, Bernanke, Bush, Hilary Clinton&C, Sarkozy ecc. al massimo possono fare gli interpreti principali di un varietà o i pagliacci di un circo.
E allora, cari amici, solo noi abbiamo la possibilità di venire fuori da questa palude di sabbie mobili, rendendoci conto che nelle nostre mani è il futuro nostro e di chi verrà dopo di noi.
Bisogna mettere da parte la stanchezza ed il pessimismo di vivere e farci restituire il potere che ci appartiene di decidere le nostre sorti.
Nessun altro potrà fare questo lavoro al posto nostro e quindi, come oramai facciamo damolto tempo, incoraggiamo a rimboccarci le maniche e attuare quel cambiamento che le istituzioni ci negano. Il futuro è quello che riusciamo a costruirci da ora in poi mettendoci a costruire insieme una rete di rapporti e collaborazioni che a grandi passi ci indicheranno la strada da seguire. Se vi fa piacere saperlo molti lo stanno già facendo e vi invitiamo a vedere domani rai due dalle 11.00 in poi dove saremo con i ragazzi di Napoli ad illustrare il nostro progetto sui Buoni Locali SCEC (la Solidarietà ChE Cammina).
La FED intanto inietta morfina al malato terminale abbassando i tassi in modo preoccupante che fa intravedere la pericolosità della situazione. Alla Fed si contrappone una BCE cheminacciando di aumentare i tassi, farebbe sbellicare dal ridere se avessimo ancora la forza dell’ironia. La realtà è che la bce cerca di agevolare in tutti i modi l’operazione recupero americana per dargli slancio per le elezioni.

26 gennaio 2008

Cioccolatini indigesti?



Adesso è il tempo delle dimissioni. Ce n'è per tutti belli e/o brutti .
Dopo aver festeggiato alla palermitana, qualcosa sarà andata di traverso, forse la crema sapeva troppo di rhum, oppure, alcuni cioccolatini, i famosi fiat, non avevano un buon retrogusto
.

Il vicerè di Sicilia, Totò Cuffaro si dimette. E’ il trionfo dei cannoli. Più cannoli per tutti. Cannoli in famiglia per salutare il ritorno in famiglia del figliol prodigo. Cannoli in piazza per l’opposizione guidata da Rita Borsellino che aveva organizzato una manifestazione per chiederne le dimissioni. Le dimissioni ci sono state, in aula, e l’assemblea regionale è stata sciolta. La parola passa ai cittadini che dovranno votare entro tre mesi per eleggere il nuovo presidente e il nuovo parlamento.
«Mio fratello si dimette da governatore». Poco prima dell'intervento di Salvatore Cuffaro, era stato il fratello del presidente della Regione Sicilia a rompere gli indugi. «Si dimetterà, ce lo ha detto. Non poteva fare altrimenti, questo accanimento giudiziario ma anche politico non poteva andare avanti». «Lo accoglieremo in famiglia per dargli la serenità che merita - ha aggiunto Silvio Cuffaro -. Ora sì che vale la pena di fare festa con i cannoli».
Una festa in piazza è stata organizzata dal centrosinistra e da diverse associazioni della società civile. «L'iniziativa resta. Se prima aveva il senso di una richiesta di dimissioni, adesso assume il valore di una presa d'atto che punta a chiedere un rilancio dell'isola libera da ogni condizionamento in una regione in cui, dopo le prese di posizioni degli imprenditori, anche la politica ha il compito di fare la sua parte» ha spiegato la leader dell'Unione all'Ars Rita Borsellino.
«Ci saremo e saremo in migliaia e con noi porteremo 100 chili di cannoli che sono un simbolo della Sicilia pulita e migliore e non di coloro che pensano soltanto a fare affari e a difendere il proprio potere» ha aggiunto uno degli organizzatori, Pietro Galluccio.
Le principesche dimissioni del vicerè favoreggiatore di singoli mafiosi non di Cosa Nostra nel suo complesso. "Francamente preferisco la via dell'umiltà. Lo faccio per non tradire quegli ideali ai quali sono stato educato, lo faccio per la mia famiglia e lo faccio come ultimo atto di rispetto verso i siciliani, che in questi anni ho servito con dedizione, semplicità e con quella onestà che sono certo mi verrà completamente riconosciuta". Ha detto il presidente della Regione siciliana, Salvatore Cuffaro, in aula all'Assemblea regionale siciliana durante l'annuncio delle sue dimissioni. "Fino a quando non ci sarà una sentenza definitiva -aggiunge il governatore-, ci sarà una verità processuale e una verità sostanziale. Con la mia decisione rispetterò la prima".
Peccato che la verità dei fatti narra di incontri nel retrobottega di un elegante negozio di lingerie tra l viceré e un imprenditore-politico-mafioso per parlare di notizie riservate. Totò lo ha sempre affermato, non ha favorito la mafia ma singoli mafiosi. Ah, meno male. Che galantuomo.
Totò, il vicerè, avrà almeno comprato una ghepierre?
"Già al momento della sentenza sentivo dentro di me il dovere di compiere questo passo, ma ho deciso di attendere fino all'approvazione del bilancio e della legge Finanziaria per senso di responsabilità verso una terra che continuerò ad amare e che in questi anni ho servito fedelmente". Ha detto ancora il presidente della Regione Sicilia, Salvatore Cuffaro, intervenendo in aula per annunciare le sue dimissioni irrevocabili. "Non potevo lasciare -ha detto ancora- che ogni mia decisione fosse assunta senza conoscere la volontà dell'assemblea regionale. Le dimissioni non sono dunque frutto di alcun automatismo ma costituiscono una scelta personale assunta per ragioni umane e politiche".
Scelte umane, come quella di festeggiare con i cannoli, la condanna in primo grado a cinque anni e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Ogni uomo è un’isola…

''Prendo atto della decisione del Presidente della Regione e annuncio che si procederà entro i successivi tre mesi all'elezione del nuovo presidente''. Ha detto il presidente dell'Assemblea regionale siciliana, Gianfranco Miccichè, intervenendo in aula subito dopo l'annuncio delle dimissioni. Ogni isola ha i suoi uomini. E ogni umo i suoi piatti preferiti. Totò i cannoli, Micciché… insisto, meglio gli arancini di Montalbano.
Ed ogni isola festeggia le condanne a modo suo. Al suo ingresso a palazzo dei Normanni, il vicerè, era stato accolto da uno scrosciante applauso di molti deputati della maggioranza. «Tutti i gruppi parlamentari del centrodestra hanno fatto a Cuffaro una richiesta affettuosa e istituzionale di restare al suo posto. Tutti i gruppi hanno ribadito il senso della fiducia votata giovedì scorso» aveva detto il capogruppo di An all'Assemblea regionale, Salvino Caputo. Insomma, la moratoria sulla pena di mrte ha avuto i suoi effetti anche sugli ex forcaioli di An.
Il presidente dell'Assemblea Gianfranco Miccichè, di Forza Italia, ha commentato: «Tutti apprezzino il senso di responsabilità di Cuffaro. Nella mia pur breve vita politica non mi era mai capitato di assistere all'assunzione di scelte, sia dal punto di vista umano che politico, così difficili». Anche se poi non così, tempestive. Ci permettiamo di aggiungere. Peccato che i politici siciliani non curino meglio le persone che frequentano. A Palermo come a Roma, ministero delle Finanze incluso.
Nel chiudere la seduta dell'Ars Miccichè ha ricordato che «le elezioni saranno indette entro tre mesi dallo scioglimento come previsto dalla legge. Nelle more il governatore e gli assessori manterranno i poteri per l'ordinaria amministrazione». È la prima volta nella storia dell'autonomia siciliana che viene sciolta l'Assemblea regionale. Era ora.
Il leader dell'Udc Casini esprime «un profondo apprezzamento per il suo senso delle istituzioni e per il suo amore per la Sicilia». «La polemica mafia-antimafia non si può fare sulla pelle di Cuffaro e dell'Udc anche da parte di chi, in questi giorni, ha avuto un po' troppe amnesie - ha detto il leader dell’Udc - . Sono certo che tra qualche mese, quando Cuffaro sarà assolto da tutte le accuse, tanti sciacalli di queste ore saranno in prima fila a chiedergli scusa». Vedremo.
Duro il commento di Antonio Di Pietro: «Non si dimette per scelta personale e senso di responsabilità, bensì per evitare un provvedimento che lo avrebbe obbligato a rassegnarle. Cuffaro anticipa una decisione dettata dall'ordinamento vigente, come ho ampiamente argomentato nella lettera che inviai giorni fa al presidente Prodi e ai ministri Lanzillotta e Amato. Le dimissioni di Cuffaro, quindi sono ben altro che un atto etico e morale. La grave condanna riportata e le motivazioni della sentenza non lasciano dubbi: le dimissioni erano e sono l'unica strada da prendere».
Ma ai cannoli no, la famiglia dei vicerè non rinuncia. E sia. Più cannoli per tutti.
Pino Finocchiaro

24 gennaio 2008

De Magistris lascia l'ANM



Era nell'aria, ma gli avvenimenti stanno precipitando in una lenta ma inesorabile successione di eventi.
Ecco la lettera con la quale il pm Luigi De Magistris si dimette dall'Associazione nazionale magistrati (come già aveva fatto la collega Ilda Boccassini due settimane fa), dopo la decisione del Csm di rimuoverlo dalla sede di Catanzaro e dall'ufficio di pm.


Già da alcuni mesi avevo deciso - seppur con grande rammarico - di dimettermi dall'Associazione nazionale magistrati. I successivi eventi che mi hanno riguardato, le priorità dettate dai tempi di un processo disciplinare tanto rapido quanto sommario, ingiusto ed iniquo, mi hanno imposto di soprassedere.
Adesso è il tempo che 'tutti i nodi vengano al pettine'.

Vado via da un'associazione che non solo non è più in grado di rappresentare adeguatamente i magistrati che quotidianamente esercitano le funzioni, spesso in condizioni proibitive, ma sta - con le condotte ed i comportamenti di questi anni - portando, addirittura, all'affievolimento ed all'indebolimento di quei valori costituzionali che dovrebbero essere il punto di riferimento principale della sua azione.

L'Anm - che storicamente aveva avuto il ruolo di contribuire a concretizzare i valori di indipendenza interna ed esterna della magistratura - negli ultimi anni, con prassi e condotte censurabili ormai sotto gli occhi di tutti, ha contribuito al consolidamento di una magistratura 'normalizzata' non sapendo e non volendo 'stare vicino' ai tanti colleghi (sicuramente i più 'bisognosi') che dovevano essere sostenuti nelle loro difficili azioni quotidiane spesso in contesti di forte isolamento; ha fatto proprie tendenze e pratiche di lottizzazione attraverso il sistema delle cosiddette correnti; ha contribuito - di fatto - a rendere sempre più arduo l'esercizio di una giurisdizione indipendente che abbia come principale baluardo il principio costituzionale che impone che tutti i cittadini siano uguali di fronte alla legge.



L'Anm è divenuta, con il tempo, un luogo di esercizio del potere, con scambi di ruoli tra magistrati che oggi ricoprono incarichi associativi, domani siedono al Csm, dopodomani ai vertici del ministero e poi, magari, finito il 'giro', si trovano a ricoprire posti apicali ai vertici degli uffici giudiziari. È uno spettacolo che per quanto mi riguarda è divenuto riprovevole.

Anche io, per un periodo, ho pensato, lottando non poco come tutti i miei colleghi sanno, di poter contribuire a cambiare, dall'interno, l'associazionismo giudiziario, ma non è possibile non essendoci più alcun margine. Lascio, pertanto, l'Anm, donando il contributo ad associazioni che, nell'impegno quotidiano antimafia, cercano di garantire l'indipendenza concreta della magistratura molto meglio dell'associazionismo giudiziario.

Non vi è dubbio che anche il Consiglio superiore della magistratura, composto da membri laici, espressione dei partiti, e membri togati, espressione delle correnti, non può, quindi, non risentire dello stato attuale della politica e della magistratura associata.

I magistrati debbono avere nel cuore e nella mente e praticare nelle loro azioni i principi costituzionali ed essere soggetti solo alla legge.

So bene che all'interno di tutte le correnti dell'Anm vi sono colleghi di prim'ordine, ma questo sistema di funzionamento dell'autogoverno della magistratura lo considero non più tollerabile. Il Csm deve essere il luogo in cui tutti i magistrati si sentano, effettivamente, garantiti e tutelati dalle costanti minacce alla loro indipendenza.

Non è possibile assistere ad indegne omissioni o interventi inaccettabili dell'Anm, come ad esempio negli ultimi mesi, su vicende gravissime che hanno coinvolto magistrati che, in prima linea, cercano di adempiere solo alle loro funzioni: da ultimo, quello che è accaduto ai colleghi di Santa Maria Capua Vetere.

Non parlo delle azioni ed omissioni riprovevoli - da parte anche di magistrati, non solo operanti in Calabria - sulla mia vicenda perché di quello ho riferito alla magistratura ordinaria competente e sono fiducioso che, prima o poi, tutto sarà più chiaro.
Certo, lo spettacolo che mi ha visto in questi giorni protagonista, in un processo disciplinare che mi ha lasciato senza parole, ha contribuito a radicare in me la convinzione che questo sistema ormai è divenuto inaccettabile per tutti quei magistrati che ancora sentono e amano profondamente questo mestiere e che siamo ormai al capolinea.

Io sono orgoglioso - sembrerà paradossale - che questo Csm mi abbia inflitto la censura con trasferimento d'ufficio. Era proprio quello che mi aspettavo. Ed anche scritto, in tempi non sospetti. Ho già detto, ad un mio amico antiquario, di farmi una bella cornice: dovrò mettere il dispositivo della sentenza dietro la scrivania del mio ufficio ed indicare a tutti quelli che me lo chiederanno le vere ragioni del mio trasferimento.

La mia condanna disciplinare è grave e infondata, nei confronti della stessa farò ricorso alle sezioni unite civili della Suprema Corte di Cassazione confidando in giudici sereni, onesti, imparziali, in poche parole giusti. La condanna è, poi, talmente priva di fondamento, da ogni punto di vista, che la considero anche inaccettabile.

Mi viene inflitta la censura, devo lasciare Catanzaro ed abbandonare le funzioni di pubblico ministero in sostanza perché non ho informato i miei superiori in alcune circostanze e perché ho secretato un atto solo ed esclusivamente per salvaguardare le indagini ed evitare che vi fossero propalazioni esterne che danneggiassero le inchieste; senza, peraltro, tenere conto delle gravissime ragioni che hanno necessariamente ispirato alcune mie condotte. Troppo zelo, troppi scrupoli, troppo amore per questo mestiere. Del resto il procuratore generale che rappresentava l'accusa in giudizio, nel rimproverarmi, definendomi anche birichino, ha detto che concepisco le mie funzioni come una missione.

Ebbene, questa decisione, a mio umile avviso, contribuisce ad affievolire l'indipendenza della magistratura, conduce ad indebolire i valori ed i principi costituzionali, ci trascina verso una magistratura burocratizzata ed impaurita sotto il maglio e la clava del processo disciplinare.

Il rappresentante della Procura generale della Cassazione in udienza, il dr. Vito D'Ambrosio, ex politico, il quale per circa dieci anni è stato anche presidente della giunta della Regione Marche, ha sostenuto, durante il processo, sostanzialmente, che non rappresento, in modo adeguato, il modello di magistrato.

Ed invero, il modello di magistrato al quale mi sono ispirato è quello rappresentato da mio nonno magistrato (che ha subito anche due attentati durante l'espletamento delle funzioni), da mio padre (che ha condotto processi penali di estrema importanza in materia di terrorismo, criminalità organizzata e corruzione), dai miei magistrati affidatari durante il tirocinio, dai tanti colleghi bravi e onesti conosciuti in questi anni, da quello che ho potuto apprendere ed imparare, sulla mia pelle in contesti ambientali anche molto difficili, dall'esperienza professionale nell'esercizio di un mestiere al quale ho dedicato, praticamente, gran parte della mia vita. Il mio modello è la Costituzione repubblicana, nata dalla resistenza. Il modello 'castale' e del magistrato 'burocrate' non mi interessa e non mi apparterrà mai, nessuna 'quarantena' in altri uffici, nessun 'trattamento di recupero' nelle pur nobili funzioni giudicanti, potrà mutare i miei valori, né potrà far flettere, nemmeno di un centimetro, la mia schiena. Sarò sempre lo stesso, forse, debbo a questo appunto ammetterlo, un magistrato che per il 'sistema' è 'deviato ed eversivo'.

Pertanto, questa sentenza è, per me, la conferma di quello che ho visto in questi anni ed un importante riscontro professionale alla bontà del mio lavoro. Certo è una sentenza che nella sua profonda ingiustizia è anche intrinsecamente mortificante. Imporre ad un pubblico ministero, che si sa che ha sempre professato e praticato l'amore immenso per quel mestiere, di non poterlo più fare - sol perché ha 'osato', in pratica, indagare un sistema devastante di corruzione e cercato di evitare che una 'rete collusiva' ostacolasse il proprio lavoro e, quindi, condannandolo per avere, in definitiva, rispettato la legge - è un po' come dire ad un chirurgo che non può più operare, ad un giornalista di inchiesta che deve occuparsi di fiere in campagna, ad un investigatore di polizia giudiziaria che deve pensare ai servizi amministrativi. Farò di tutto, con passione ed entusiasmo intatti, nei prossimi mesi, per dimostrare quanto ingiusta e grave sia stata questa sentenza e che danno immane abbia prodotto per l'indipendenza e l'autonomia dei magistrati, ed anche e soprattutto per la Calabria, una terra (che continuerò sempre ad amare comunque finisca questa 'storia') che aveva bisogno di ben altri 'segnali' istituzionali.
Lavorerò ancor più alacremente nei prossimi mesi - prima del mio probabile allontanamento 'coatto' dalla Calabria - presso la Procura della Repubblica di Catanzaro per condurre a termine le indagini più delicate pendenti.

Non mi sottrarrò ad eventuali dibattiti pubblici anche tra i lavoratori, tra gli operai, tra gli studenti, nei luoghi in cui vi è sofferenza di diritti, per contribuire - da cittadino e da magistrato, con la mia forza interiore - al consolidamento di una coscienza civile e per la realizzazione di un tessuto connettivo sinceramente democratico.

Il Paese deve, comunque, sapere che vi sono ancora magistrati che con onore e dignità offrono una garanzia per la tutela dei diritti di tutti (dei forti e dei deboli allo stesso modo) e che non si faranno né intimidire, né condizionare, da alcun tipo di potere, da nessuna casta, esercitando le funzioni con piena indipendenza ed autonomia, in una tensione ideale e morale costituzionalmente orientata, in ossequio, in primo luogo, all'art. 3 della Costituzione repubblicana.

fonte:espresso

Scontri fra raccomandati:le differenze.



L'altra sera Bruno Vespa, marito di Augusta lannini che dirige gli Affari di giustizia del ministero per volontà di Mastella, ha organizzato una passerella per Mastella, cioè per il datore di lavoro della sua signora. Il quale lacrimava per le sorti della sua signora agli arresti. Annunciava il ritiro dell'appoggio esterno, anzi del concorso esterno, al governo. E insultava senza contraddittorio giudici, pm e cronisti (assenti) evocando complotti calabro-lucan-campani e sparando le solite corbellerie. La migliore: «Non si arresta mia moglie senza prima sentirla, lo dice pure Andreotti» (i giudici avrebbero dovuto convocarla, anticiparle le accuse e preannunciarle il suo prossimo arresto, sempreché la signora non avesse nulla in contrario).

Poi l'insetto ha mandato in onda il lungo battibecco fra la «iena» Alessandro Sortino ed Elio Mastella, figlio dei più noti Clemente & Sandra. In studio gli squisiti ospiti si profondevano in complimenti per la performance di Elio, che dava del raccomandato a Sortino perché suo padre è membro dell'Authority delle Comunicazioni; mentre lui, Elio, è un umile «metalmeccanico» che tira avanti «con 1800 euro di stipendio». Il mondo alla rovescia. Sortino viene assunto a Radio Capital perché è molto bravo nel lontano '98, sette anni prima che suo padre vada all'Agcom.

Le lene lo notano e lo ingaggiano nel 2000, cinque anni prima che il padre vada all'Agcom. Dunque non è un raccomandato. Non lo è nemmeno il padre Sebastiano, che vanta un curriculum di prim'ordine: laureato in legge, per 10 anni responsabile della Piccola impresa in Confindustria, per 5 anni dirigente Eni, dal '77 direttore generale della Fieg (federazione editori giornali) e consigliere Cnel, esperto di antitrust e tetti pubblicitari tv, dunque nemico giurato del monopolio Mediaset e odiato da Confalonieri. Sortino figlio ha fatto carriera nonostante il padre e il padre ha fatto carriera nonostante Mediaset.

Nell'Agcom siede pure un rappresentante Udeur; si chiama Roberto Napoli, il suo curriculum fa sorridere: medico legale all'ospedale dì Battipaglia, consigliere comunale a Battipaglia, assessore a Battipaglia, sindaco di Battipaglia, senatore dal '94 al 2001, poi trombato e sistemato all'Agenzia per l'ambiente della Campania. Dall'alto di questa spettacolare esperienza e in barba alla legge sulle Authority che pretende «persone di alta e riconosciuta competenza nel settore», nel 2005 Napoli entra in Agcom. Appena arrivato, si dà subito da fare e nomina sua segretaria Alessia Camilleri, promessa sposa di Pellegrino Mastella, figlio di Clemente. Intanto la figlia Monica Napoli prende il praticantato presso Il Campanile, organo dell'Udeur finanziato dallo Stato con 1,3 milioni l'anno. Al Campanile fanno il praticantato anche Alessia Camilleri, il suo futuro sposo Pellegrino Mastella e l'ex fidanzata di Elio Mastella, Manuela D'Argenio. Nel 2005 Il Campanile, secondo l'Espresso, versa a Clemente 40 mila euro per «compensi giornalistici»; 14 mila per pagare i panettoncini e torroncini della signora Sandra per i regali di Natale; 12 mila allo studio legale di Pellegrino; 36 mila in tre anni alla società assicuratrice dello stesso Pellegrino. Il giornale rimborsa molti viaggi aerei alla famiglia Mastella (compresi Pellegrino, Elio e Alessia). Altri 2 mila euro al mese vanno al benzinaio di Ceppaloni che fa il pieno al Porsche Cayenne di Pellegrino.

Ora Elio lavora alla Selex, gruppo Finmeccanica, al modico stipendio - dice - di 1800 euro. Strano, perché ogni mese paga insieme al fratello una super-rata di 6700 euro per il mutuo acceso per acquistare uno dei sei appartamenti rilevati dalla famiglia Mastella nel centro di Roma a prezzi stracciati. L'appartamento ex-lnail, in largo Arenula, ospita Il Campanile ed è della società omonima, intestata all'ex tesoriere Tancredi Cimmino e al segretario Mastella, poi girata ai due figli: 50% a Elio, 50% a Pellegrino. Valore dell'immobile: 2,4 milioni.

Ma i giovanotti lo hanno per 1,45 milioni, grazie a un mutuo di 1,1 milioni con rata mensile di 6700 euro. Come lo pagano? Con l'affitto versato dall'Udeur, 6500 euro mensili, il doppio dì quello pagato allora all'Inaii. Come l'hanno garantito? Con due dei 4 appartamenti delle Generali comprati in contanti in lungotevere Flaminio: 2 da Elio, 2 da Pellegrino. Ricapitolando: il giovane metalmeccanico da 1800 euro possiede mezzo mega-appartamento in largo Arenula, un intero terzo piano comprato per soli 200 mila euro e un alloggio costato 67 mila euro.

Sortino jr. si è fatto strada con le sue gambe, ha comprato casa con soldi suoi, a prezzi di mercato. Una vergogna nel Paese dei Ceppalones. Infatti per Porta a Porta il raccomandato è lui, la iena. Viva commozione invece per il metalmeccanico immobiliarista.

Marco Travaglio

23 gennaio 2008

Banca d'Italia e realtà gattopardiana


Mentre i politici urlano e sbraitano sui salotti buoni della Tv, le grandi truffe e i grandi interessi mediatici e finanziari pensano ad altro.
Non è possibile che in uno Stato che si reputa piena di risorse si accanisce su pagliuzze senza vedere le classiche travi.
Il vuoto di potere delle Istituzioni, prima o poi sarà colmato, ma da chi?
Domanda ingenua che si liquida con: il soggetto più forte. Siamo in mano a banche private che fanno prima la moneta che lo stato, emettono moneta (privilegio di Stato nazionale)senza avere Stati, ma insieme virtuale di confini. Più forte di così?
Una domanda di un lettore di effedieffe chiede perchè si è arrivati a questa situazione e Cupertino si lancia in una disanima della situazione.


«… Bankitalia - come tutti gli istituti di emissione aventi il privilegio dell'emissione di moneta fiduciaria - si appropria di risorse dei cittadini in misura pari all'entità delle banconote in circolazione. La cosa è del resto ammessa apertis verbis … nella relazione al disegno di legge varato dal Consiglio dei Ministri il 10 febbraio 1993: '…In conseguenza, non si consente agli esecutivi degli Stati firmatari del Trattato (di Maastricht, ndr) di esercitare signoraggio in senso stretto: OVVERO DI APPROPRIAZIONE DI RISORSE ATTRAVERSO QUELLA FORMA DI DEBITO INESIGIBILE CHE E'LA MONETA INCONVERTIBILE A CORSO LEGALE' ».

Qui ci sia consentita una breve riflessione personale: se non sono gli Stati ad appropriarsi delle risorse derivanti dal signoraggio perché mai tali risorse devono essere di spettanza, in un modo o nell'altro del sistema central-bancario, che è prevalentemente di natura privatistica mentre le risorse da signoraggio sono un bene comune nazionale?
Altra riflessione: giuridicamente dire «debito inesigibile» è affermare un controsenso come dire che il fuoco è freddo.
Nessun debito può essere di per sé inesigibile, altrimenti non sarebbe debito.
Ora, dire che la moneta bancaria è debito inesigibile significa affermare un ingiusto privilegio a favore di chi, la Banca Centrale, emette moneta in forma di debito senza dover mai rispondere, a causa della inconvertibilità, della propria esposizione debitoria.

Ma continuiamo con la citazione di Salvatore Verde: «Benché questa situazione (la truffa bancaria dell'appropriazione di risorse da signoraggio, ndr) talvolta - come nel caso accennato - venga confessata, di solito viene invece occultata mediante l'espediente contabile di esporre al passivo del bilancio l'importo relativo alla circolazione (nel 1993: 92.507.777.422.000 lire) che invece - per il fatto di essere debito inesigibile - non vi dovrebbe figurare… Ne deriva che il bilancio di Bankitalia in realtà - come si dice in gergo contabile - 'quadra' solo aritmeticamente e formalmente, ma non sostanzialmente (altra riflessione personale: siamo di fronte ad un falso in bilancio? Giriamo la domanda, come tentò il compianto Giacinto Auriti, ma senza ottenere né risposta né giustizia, alla competente Procura della Repubblica o, visto che siamo in Europa, alla Corte di Giustizia Europea, se competente)».
«E meglio sarebbe - continua Verde - se i 93.508 miliardi circa venissero ripartiti imputandoli ad accantonamenti vari e fondi di riserva. O meglio ancora ad 'utili da ripartire', con grande beneficio dei signori partecipanti ed anche dello Stato che ne percepirebbe quota notevole come imposta sul reddito, a sollievo dei contribuenti o a decurtazione del debito pubblico».

Fermiamoci ancora per una riflessione: Verde sembra dire che il debito pubblico nasce a causa di questo trucco central-bancario e che correggere tale imbroglio comporterebbe una notevole riduzione del debito pubblico medesimo, senza dover tagliare pensioni, privatizzare servizi pubblici, ridurre prestazioni sanitarie e scolastiche, aumentare tasse, etc.
Anche Marx, da noi citato nel nostro articolo, riconosceva che: «L'accumularsi del debito pubblico non ha misura più infallibile del progressivo salire delle azioni di queste banche centrali…(perché) la Banca (dà) … con una mano per aver restituito di più con l'altra, (e) …, proprio mentre riceve…, rimane… creditrice perpetua della nazione fino all'ultimo centesimo che (ha) … dato».
Ma ascoltiamo ancora Salvatore Verde: «In sostanza, la voce 'Circolazione' che si legge alla prima riga del passivo del bilancio (di Bankitalia, ndr) dovrebbe scomparire, per apparire nelle 'note' al bilancio, oppure fra le 'voci' fuori bilancio se si volesse tenere in piedi la fictio secondo cui in un avvenire indeterminato abolendo il corso forzoso e tornando alla moneta-merce il debito cesserebbe di essere inestinguibile per tornare ad essere reale… lo Stato dovrebbe spiegare ai cittadini per quale ragione si consente ad una società per azioni sia pure 'sui generis' di appropriarsi di beni reali pari al valore di tale massa circolante di base monetaria. Infatti, lo Stato non ne usufruisce (specie dopo il 'divorzio': tra Tesoro e Banca centrale, ndr) dovendo anch'esso diventare debitore nei confronti di Bankitalia ogni volta che - essendo insufficienti le entrate fiscali e le vendite di beni demaniali - ha bisogno di denaro. L'INDEBITAMENTO NEI CONFRONTI DI BANKITALIA AVVIENE ORMAI QUASI ESCLUSIVAMENTE CONTRO IL RILASCIO DI TITOLI DEL DEBITO PUBBLICO SU CUI (LO STATO, ndr) DOVRA' PAGARE (NOI DOVREMO PAGARE) SALATISSIMI INTERESSI (E PROVVIGIONI). Mentre sarebbe tanto più semplice e meno oneroso se (lo Stato o - oggi - l'Unione di Stati, ndr) emettesse direttamente tutto il denaro di cui necessita mediante l'emissione di proprie banconote. Dove sta scritto - conclude Verde - che senza un Istituto Centrale di emissione la politica monetaria dev'essere fatalmente inflazionistica? E' solo un problema di buone leggi e di uomini capaci».

Anch'io osservavo che si tratta solo di controlli tecnici sull'esercizio del potere di emissione della monete che deve tornare ad essere un potere statuale perché afferente organicamente alla sovranità nazionale o - oggi - alla sovranità dell'Unione di Stati.
Da quanto sopra esposto quel che, però, è più importante desumere è che non è rilevante il fatto che la Banca Centrale non possa detenere essa stessa i titoli del debito pubblico rilasciati dallo Stato a fronte dell'emissione di moneta bancaria.
Infatti, anche se tali titoli sono venduti all'asta in favore del pubblico, su di essi lo Stato, ossia noi, paga salatissimi interessi che, in fin dei conti, sono originati dalla fraudolenta emissione bancaria della moneta circolante, a seguito della storica sottrazione di tale potere alla nazione sovrana.
Si tenga poi conto che, al di là di questo, il vero privilegio del sistema central-bancario è nella indebita appropriazione a suo favore di quel bene immateriale che, nell'articolo, ho definito, con l'Auriti, come «valore indotto» creato dalla accettazione fiduciaria della carta moneta da parte del pubblico e che costituisce il vero «potere d'acquisto» incorporato nel simbolo cartaceo.
E non si venga a dire che il valore al simbolo cartaceo lo conferisce la Banca Centrale emittente: si metta il Governatore della Banca Centrale Europea a stampare euro su un'isola deserta e si verifichi quanto valore avrà la carta da esso stampata.

Per spiegare questa gravissima truffa, così evidente che non ce ne accorgiamo neanche, Auriti soleva fare questo esempio: «L'atteggiamento che la Banca Centrale assume nei confronti della collettività è analogo a quello di chi presta nasse vuote ai pescatori indebitando questi ultimi non solo della nasse ma anche del pesce che sarà pescato».
Fuor di metafora: le «nasse» sono i simboli cartacei che di per sé, al momento della stampa, non valgono assolutamente nulla mentre il pesce è il «valore indotto», ossia il valore che sarà incorporato, nei simboli cartacei, nel successivo momento della loro emissione e circolazione, dalla fiduciaria accettazione del pubblico, che quel valore, per l'appunto, crea.
Un'ultima annotazione sulla natura giuridica delle Banche Centrali.
Esse per lo più sono società per azioni partecipate pro-quota da diversi istituti assicurativi e dalle più importanti banche nazionali (o, oggi, europee), pubbliche ma soprattutto private.
In tal modo, le Banche Centrali risultano essere, benché esercitano poteri pubblici direttamente connessi con l'essenza stessa della sovranità, enti a carattere prevalentemente privatistico, i cui amministratori sono nominati dall'assemblea degli istituti «partecipanti».
La presenza della mano pubblica in tali assetti societari è andata sempre più diminuendo con i processi di privatizzazione degli ultimi vent'anni (si pensi, ad esempio, che la privatizzazione delle Casse di Risparmio, istituti «partecipanti» al capitale di Bankitalia, si trasformò, a suo tempo, automaticamente in una ulteriore privatizzazione della Banca d'Italia).
Sicché le stesse Banche Centrali sono rimaste esposte alle forze dirompenti di una finanza globale ormai incontrollabile dagli Stati.

Questo sistema di assetti societari e di nomine è rimasto sostanzialmente invariato anche a livello europeo con la costituzione della BCE.
In Italia, attualmente, dopo la nota vicenda di Fazio e dei «furbetti del quartiere», lo Stato è parzialmente rientrato in possesso di alcune quote di partecipazione al capitale di Bankitalia e di alcuni poteri in ordine alla nomina del Governatore (che non è più a tempo indeterminato come fu fino a Fazio).
Ma rimane il fatto che, anche per via della sua istituzionalizzazione con il Trattato di Maastricht, che si riflette anche nelle recenti riforme della nostra Costituzione, la Banca Centrale conserva tuttora la sua più totale autonomia nel decidere le politiche monetarie.
Anzi l'ultima riforma italiana, vista la qualità bassissima del nostro ceto politico, rischia di rovesciarsi in una ulteriore dipendenza della politica dalla finanza.
In altri termini, la Banca Centrale, che dovrebbe essere soltanto il «cassiere» dello Stato, magari con chiari ma limitati poteri di controllo, esclusivamente tecnico, per evitare l'abuso politico dello strumento monetario, è invece il «corpo», impolitico e di natura - si ripete - prevalentemente privatistica, che decide, per conto dello Stato o dell'Unione di Stati, ed al loro posto, i parametri finanziari entro i quali poi i politici, che altro non sono in tal sistema che i «camerieri dei banchieri centrali», possono elaborare i loro programmi di governo da sottoporre agli elettori.

Se i cittadini, però, pensano di essere ancora i veri sovrani e di essere soggetti politici di una democrazia, e non sudditi di una bancocrazia, sono solo dei poveri illusi.
Sembra che due secoli di lotte per togliere ai re cristiani la sovranità abbiano avuto come esito paradossale (ma non tanto per chi conosce i retroscena «esoterici» delle filosofie e delle rivoluzioni) quello di subordinare i popoli alla sudditanza alla consorteria central-bancaria.
Quindi, il problema non sta soltanto nei vantaggi economici lucrati immoralmente dal central-banchismo, che pure ci sono e sono immondi anche perché ricadono su pensionati, lavoratori di ogni categoria, imprenditori, ma sta soprattutto nella «castrazione» degli Stati e nell'appropriazione della sovranità monetaria, e quindi in ultima analisi della sovranità politica, da parte delle Banche Centrali e consorterie affini.

Luigi Copertino

22 gennaio 2008

Un Paese che sa di tappo tra politica e televisione


I fatti giornalieri superano la realtà romanzata dai tromboni appollaiati sulle barricate di monnezza eretta dall'opposizione. Meglio gli interessi di privati e/o di partito che nazionali? Non conviene nemmeno dirla la risposta, allora riviviamo la storia, il passato e, impariamo che la storia è unica e, un'esperienza già passata ma difficilmente ripetibile, anzi impossibile. A meno che si è autolesionisti.

Se avessi vent’anni oggi, non verrei particolarmente impressionato dall’ultima uscita domenicale di Berlusconi a difesa delle sue tv,contro ogni accordo sulla legge elettorale,né dalla rettifica alla moviola seguita in qualche modo il lunedì (“…e comunque la Gentiloni è un’aggressione nei miei confronti!”).Magari se fossi di Forza Italia penserei, articolando alla perfezione la lussureggiante grammatica mentale di quei paraggi:”Quanto è figo il Cavaliere,sa come gestire le danze della comunicazione,stop and go,e vai…!”.Oppure se fossi del Partito Democratico osserverei guardingo:”Vediamo come va a finire,speriamo che il nostro Cavaliere in lizza nel torneo,Veltroni, sia più furbo di lui”.Se fossi della Cosa Rossa probabilmente e senza speciale creatività lamenterei il solito “chiagne e fotte” berlusconiano,con una macchinalità pseudoemotiva sub specie politicante neppure così lontana dal disinteresse palese di un ventenne che invece se ne ritraesse inorridito.E senza commenti.

Se avessi avuto vent’anni il 20 novembre del 2002,quando una sentenza della Corte Costituzionale aveva obbligato Mediaset a spedire Rete 4 sul satellite entro il 31 dicembre del 2003 per liberare la concessione delle frequenze occupate da Rete 4 ,avrei opportunamente pensato che Berlusconi non fosse Presidente del Consiglio per la seconda volta per caso.Se invece avessi avuto vent’anni (non c’entra nell’iterazione né Paul Nizan né Gerry Scotti…) nel ’99,quando a Francesco Di Stefano per Europa 7 era stata assegnata la concessione di cui sopra, da osservatore non direttamente coinvolto dagli affari della politica ma solo attento alle libertà costituzionali e alle loro implicazioni sul piano delicatissimo e decisivo dell’informazione mi sarei immaginato finalmente una svolta nel sistema mediatico nazionale.

Come pure,se avessi avuto vent’anni un quinquennio prima,quando nel ’94 una sentenza sempre della Corte Costituzionale ordinava di spegnere la terza rete berlusconiana nell’ambito della legge di settore detta Maccanico,avrei credo ragionato sui cambiamenti epocali che il neonato maggioritario sia pure leggermente straccione,diciamo il Mattarellum,si apprestava a comportare in Italia nell’habitat televisivo.

Ma bypassando all’indietro i fasti dell’altra legge storica,la Mammì,un ventenne quale sarei potuto essere il 20 ottobre 1984,venendo a conoscenza che il presidente del Consiglio di allora,Bettino Craxi, dall’aereo presidenziale sul quale stava tornando da Londra telefonava al suo consiglio dei Ministri un preallarme per un istantaneo provvedimento a favore di Silvio Berlusconi cui il 16 ottobre,dunque solo quattro giorni prima -il decisionismo si vede nei frangenti più importanti,altro che i mollaccioni di ora…- i pretori avevano oscurato le reti, se (pur così giovane) avvertito nel ramo si sarebbe detto forse per la prima volta :”Toh,ma tu dimmi come sono avvinte le edere della politica e della televisione !”.Anche se poi la Camera aveva bocciato il decreto il 28 novembre successivo.Anche se sotto Natale,subito dopo, un nuovo decreto nel merito aveva prorogato la possibilità di trasmettere per l’allora (allora?) Sua Emittenza con tre reti intanto fino al 31 dicembre 1985,decreto convertito in legge grazie al voto decisivo di Almirante

(pro-memoria per i ventenni odierni: trattasi della preistoria di Fini e di alcuni baldi sessantenni di questo gennaio,della Rai,tra gli altri…).

Per maggiori informazioni consultare il libro di Elio Veltri “Da Craxi a craxi”,ed.Laterza, 1993,da cui si può utilmente estrarre anche l’intervento sulla questione da parte di Ugo Intini,sull’Avanti che dirigeva,che sui pretori citati scrisse parole di fuoco contro il “protagonismo” e la politicizzazione di alcuni magistrati.Tu guarda.Dov’è oggi?

E non vorrei qui dover considerare l’aneddoto, eccellente per uno che i vent’anni se li stesse scrostando alla fine degli anni ’70, di quando un Berlusconi ancora piacente e capelluto chiese e ottenne un incontro con Enrico Berlinguer, al Bottegone, per prostrarsi mettendo a disposizione del Pci il suo imberbe impero tv di allora.Il testimone ancora vivo di quella prostrazione racconta che il segretario comunista,che oggi nel pantheon democratico viene sostituito sembra da Craxi (cfr. il Fassino pre-birmano) lo mise alla porta con semplicità:”Scusi,ma qui non facciamo di queste cose”.Silvio imboccò prontamente l’uscio non lontano di Craxi.E chissà che oggi nel Pd (il cui Pantheon dunque ha compiuto la medesima operazione) non pensino che Berlinguer fosse solo un ingenuo senza prospettive….

Detto questo e non essendo ahimé ventenne,oggi dopo le ultime ripetitive esternazioni del Cavaliere sono costretto ad alcune conclusioni destinate ovviamente al silenzio, oppure,nella remota ipotesi che se ne voglia parlare, alla discussione di chiunque mediti di occuparsene con onestà intellettuale anche solo lillipuziana.

1)La questione politico-televisiva condiziona il Paese da quasi trent’anni.C’è un tappo alla bottiglia/Italia,ed è naturalmente Berlusconi,per cui questo Paese sa di tappo in tutte le cose che lo riguardano.Un odoraccio e un saporaccio.Chi osservi la faccenda da fuori,all’estero, se ne rende conto meglio,ma anche da dentro la cosa è chiarissima.Diresti: se stappi l’Italia,puoi ricominciare a coltivare e poi bere vino accettabile o addirittura selezionato,quello che ci sentiamo sventolare sotto il naso da tempo a partire da chi,come Furio Colombo,ne ha fatto una meritoria e ininterrotta campagna (a proposito di campagna,cfr.la sua formula “deformazione del paesaggio”).Già,ma la ricostruzione politico-televisiva di questi trent’anni ci dice che solo Berlinguer,e tanto tempo fa, ha messo alla porta Berlusconi.Quindi,che il tappo prima televisivo-imprenditoriale,poi da quasi tre lustri politico-televisivo-imprenditoriale,viene mantenuto a forza a chiudere la bottiglia dall’intiera classe politica del Paese nelle sue varie evoluzioni.

Anche qui,potrei fare il giochetto della memoria a ritroso,partendo dall’ultima Finanziaria che procrastina astutamente, dopo giochetti da “tre noci/dov’è il pisello?” spuntati dai più strani emendamenti,addirittura al 2012 la traduzione di tutto il sistema televisivo sul digitale terrestre. Fregando quindi in primis chi come il già citato Di Stefano di Europa 7 ha anche a suo favore una sentenza del 18 luglio 2005 del Consiglio di Stato che bollava la legge Gasparri come illegittima nella giurisdizione europea.All’epoca si parlava di “tutto sul digitale” entro il 2006,poi il termine con i soliti sistemi fu fatto slittare in extremis da una proroga-Landolfi al 2008 prima delle ultime elezioni vinte da Prodi (sì,da Prodi).

Va tutto nella stessa direzione di ciò che ho riassunto.Perché?

2)Non c’è dunque alcun ragionevole motivo per pensare che tale questione venga affrontata seriamente per risolverla e non per accroccarla in scambi,baratti,cessioni come fatto finora.In una palude navigata da finte polemiche mediatiche sulla “punitività” di una legge che applica sentenze costituzionali,da reali e a volte addirittura dichiarati urbi et orbi intenti del centrosinistra di non toccare nulla,dalla stanchezza di una pubblica opinione che a forza di decenni vanamente e superfetalmente spesi sulla questione e sulla successiva e collegata dizione “conflitto di interessi” (per Berlusconi come per l’intiera classe dirigente o addirittura l’intiero Paese) non ha più un’opinione,né pubblica né privata.Anzi,solo a sentir evocare il pasticcio per non essere tediata e raggirata mette mano alla pistola,specie se è davanti o dietro una montagna di “mondezza”.

3)Il problema del tappo non è quindi solo Berlusconi,magari lo fosse.Sono un po’ tutti.Al punto di far pensare con raccapriccio politico e letterario sollievo a che cosa accadrà quando prima o poi il tappo salterà malgrado tutte le indicazioni ultramondane del sindaco di Catania,Scapagnini.Che farà quella parte della politica che a parole detesta Berlusconi e nei fatti pare non poterne o volerne fare a meno?Se avessi vent’anni oggi sarei davvero preoccupato,molto preoccupato per questa ineluttabile eventualità.Come faremo con l’Italia stappata e con una sinistra che non l’ha saputa/voluta stappare fino alle estreme conseguenze che abbiamo sotto gli occhi?

Ma non ho vent’anni,e quindi temo “soltanto” per figli e nipoti:che volete che sia,come diceva Totò, quisquillie e pinzillacchere.

fonte: oliviero beha

21 gennaio 2008

Se Cuffaro ha vinto, lo Stato ha perso!


La standing ovation della cosca politica che ha salutato la condanna del governatore siciliano Totò Cuffaro a 5 anni per favoreggiamento di alcuni mafiosi e la sua decisione di restare al suo posto sono perfettamente coerenti con la “ola” parlamentare che, mercoledì mattina, ha accompagnato l’attacco selvaggio del cosiddetto ministro della Giustizia Clemente Mastella alla magistratura che aveva appena arrestato sua moglie e altri 22 suoi compari di partito. Così come con il tifo da stadio che ha osannato la sua signora interrogata ieri in Tribunale. Ma anche con il silenzio tombale che, nella politica e nella magistratura, è seguito alla vergognosa, ributtante decisione all’unanimità della sezione disciplinare del Csm: Luigi De Magistris condannato alla gravissima sanzione della censura e alla pena accessoria del trasferimento lontano da Catanzaro, con l’impossibilità di esercitare ancora le funzioni di pm. Insomma: Cuffaro resta, Mastella è atteso dal governo come il figliol prodigo dal padre buono che prepara il vitello grasso, la first lady ceppalonica dirige il consiglio regionale dagli arresti domiciliari, mentre l’unico che se ne deve andare è De Magistris.

In attesa delle motivazioni della sentenza del Csm, va notato che il procuratore generale che ha sostenuto l’accusa contro De Magistris è Vito D’Ambrosio, ex presidente Ds della Regione Marche, mentre il presidente della sezione disciplinare è l’ex democristiano ed ex margherito Nicola Mancino. Due politici del centrosinistra che giudicano un magistrato che indagava su politici del centrosinistra. E meno male che il Csm è l’organo di “autogoverno” (poi ci sono i membri togati, cioè i magistrati, che han votato unanimi a braccetto con i politici per cacciare il loro giovane collega: speriamo che un giorno si vergognino di quello che hanno fatto).

Anche per Totò Vasa Vasa bisogna attendere le motivazioni della sentenza per sapere come mai il Tribunale non gli abbia applicato l’aggravante della volontà di favorire Cosa Nostra. Ma non si può certo dire che sia stata una sorpresa. C’era chi l’aveva prevista fin dal 2004 e aveva fatto di tutto per scongiurarla: i pm “dissidenti” dalla linea dell’allora procuratore Piero Grasso e del suo fedelissimo aggiunto Giuseppe Pignatone. E cioè Roberto Scarpinato, Antonio Ingroia, Guido Lo Forte e altri, tutti schierati con il pm che aveva avviato le indagini su Cuffaro: Gaetano Paci, il quale nel 2004 fu protagonista di un duro braccio di ferro con i colleghi che indagavano con lui ma che, in ossequio alla linea Grasso, non ne volevano sapere di contestare a Cuffaro il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, peraltro affibbiato a tutti i suoi coimputati, quasi tutti arrestati proprio per quel delitto. Paci ne faceva anzitutto una questione di equità: come si può accusare Cuffaro di essere il capo della banda delle talpe che informavano i mafiosi e poi contestargli soltanto due episodi di favoreggiamento, accusando tutti gli altri (e arrestandone un buon numero) per concorso esterno? La legge è uguale per tutti o i politici sono più uguali degli altri? C’era poi una questione tecnica: avendo dichiarazioni di mafiosi pentiti, ampiamente riscontrate, sul fatto che fin dal 1991 Cuffaro si era messo nelle mani di Cosa Nostra, andando a chiedere al mafioso Angelo Siino i voti per la sua prima elezione all’Assemblea Regionale, era molto più facile dimostrare che il governatore è da oltre 15 anni un fiancheggiatore esterno della mafia. Per il favoreggiamento mafioso, invece, occorre provare che, quando avvertì - tramite i suoi uomini - il boss Giuseppe Guttadauro che aveva la casa piena di microspie, Cuffaro voleva favorire l’intera Cosa Nostra. Una prova difficilissima, anche perché è più logico pensare che Cuffaro intendesse favorire anzitutto se stesso: se Guttadauro avesse continuato a parlare (ascoltato dagli inquirenti), avrebbe messo nei guai alcuni fedelissimi del governatore che frequentavano abitualmente il boss. Paci pagò a carissimo prezzo l’aver tenuto la schiena dritta: il suo capo, cioè Piero Grasso, lo estromise brutalmente dalle indagini che lui stesso aveva avviato. Due anni dopo anche il pm Di Matteo sostenne la necessità di contestare a Cuffaro il concorso esterno, ma anche lui finì in minoranza e dovette lasciare il processo. I pm superstiti, cioè Pignatone, De Lucia e Prestipino, seguitarono caparbiamente a tener duro sulla linea morbida (intanto, per fortuna, il nuovo procuratore Francesco Messineo e l’aggiunto Alfredo Morvillo, cognato di Falcone, aprivano un nuovo fascicolo sul governatore, per concorso esterno). E venerdì sono andati a sbattere contro il Tribunale, che li ha duramente sconfessati (anche se nessuno lo scrive).

Ora il procuratore Grasso fa come la volpe con l’uva: siccome non è riuscito ad afferrarla, dice che era acerba. Sul Corriere, afferma che la prova necessaria per condannare Cuffaro per favoreggiamento mafioso era “una prova diabolica, complicata da trovare”. Bella scoperta: Paci, Di Matteo, Scarpinato, Lo Forte, Ingroia e altri colleghi da lui emarginati gliel’avevano detto per anni. Grasso ribatte che, col concorso esterno, sarebbe andata anche peggio. Ma manca la controprova. Anzi, ci sono fior di sentenze dei giudici di Palermo che condannano personaggi ben più potenti di Cuffaro (da Andreotti a Contrada, da Mannino a Dell’Utri) per concorso esterno. Non per favoreggiamento mafioso. La verità è che la contestazione del favoreggiamento mafioso, ora derubricato a favoreggiamento non mafioso, ha di fatto salvato Cuffaro da un processo che poteva segnare la fine della sua carriera politica. Senza l’aggravante mafiosa, il governatore beneficia dell’indulto e i 5 anni di pena diventano 2. Niente carcere, dunque, in caso di condanna definitiva. C’è l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, ma non scatterà mai perché il reato cadrà in prescrizione - grazie alla legge ex Cirielli - tra un paio d’anni, probabilmente prima che si chiuda il processo d’appello. Così, paradossalmente, Totò pur condannato ha vinto la sua partita, mentre la vecchia Procura l’ha rovinosamente persa. Perché non ha voluto giocarla.
Salvatore Salvato

19 gennaio 2008

Il WEF dice: possibile crollo dei prezzi.


L'economia mondiale potrebbe affrontare un periodo di stagnazione non a causa della crisi energetica, bensì della crisi finanziaria globale. Lo rileva il rapporto Global Risks 2008, redatto dal World Economic Forum (WEF) che sarà discusso in occasione della conferenza annuale che si terrà a Davos a fine gennaio. Senza molta diplomazia, il rapporto rileva che il mondo affronterà il più alto rischio di recessione di questi ultimi 10 anni, facendo sicuramente leva sulle crisi politiche che si sono concentrate in punti geopolitici stratetigici. Tuttavia, tale rischio, stando la lettera degli esperti, deriva dalla crisi finanziaria che ha travolto, di conseguenza ogni settore del sistema economico globale, facendo così, il settore energetico un veicolo della crisi e non semplicemente una causa scatenante.

Gli Stati Uniti sono stati l'epicentro di un terremoto che ben presto si è esteso, come un domino, in ogni Paese del Mondo. Ricordiamo infatti come tra il 2005 e il 2007 il deficit commerciale dell'America e così la svalutazione del dollaro, ha compromesso la stabilità dell'equilibrio finanziario del mondo. Ben presto, la svalutazione monetaria ha rivelato la speculazione sui tassi di interesse, e così sui titoli che la Federal Reserve e le più grandi Banche nordamericane ed europee contribuivano a diffondere, senza alcuna garanzia o controvalore. La debolezza del mercato finanziario, ha poi prodotto i suoi effetti su quello bancario, e così sui mutui, sul credito, sui consumi, sui salari, bloccando di conseguenza la produzione.

Il rapporto così avverte che un "crash" sui prezzi - ossia una caduta libera in seguito al raggiungimento del picco di inflazione - potrebbe provocare una crisi finanziaria globale nel 2008. Il WEF stima che questo rischio è molto vicino, con una probabilità del 20%, e un eventuale crollo del valore dei beni potrebbe causare un danno di bilioni di dollari. Una tale previsione, sebbene così dura e "apocalittica", non è così inverosimile né tanto lontana, considerando che le fasi di evoluzione dell'economia sono sempre più ravvicinati nel tempo e viaggiano con velocità impressionanti. Come abbiamo avuto modo di spiegare più volte, la nostra economia si trova in una fase di recessione molto complessa, come quella della stagflazione, durante la quale ogni politica di intervento risulta inefficace o estremamente dannosa. È infatti quella fase in cui l'alta inflazione, provoca un'iniziale espansione dell'economia e poi una sua riduzione in seguito al blocco della crescita dei salari che sostengono i consumi e così la produzione.
Attualmente, per stessa ammissione di Confindustria e della Banca d'Italia, l'Italia si trova in una fase di stagflazione, così come gli Stati Uniti. Il blocco della produzione, provoca stagnazione ma anche il collasso dei prezzi, a seguito dell'eccessiva offerta rispetto alla domanda. Ebbene, qualora i prezzi dovessero cominciare a diminuire in maniera drastica, si avrebbe l'effetto contrario, in quanto vi sarebbe la svalutazione della produzione industriale, delle risorse, e delle ricchezze di uno Stato. A rendere ancor più critica la situazione saranno le speculazioni, che già si preparano, nascoste dalla virtualità delle contrattazioni della borsa e dell' alta finanza. Questo lo sanno bene tutte le entità economiche, soprattutto quelle sovranazionali che hanno maggiore potere sulle sorti dell'economia. Lo sa l'Opec, che ha sorriso in maniera beffarda quando Bush ha "timidamente" chiesto di aumentare la produzione di petrolio perché l'America soffriva l'aumento dei prezzi. Lo sa la Federal Reserve, che ha ridotto i tassi, aumentato l'offerta di moneta, ma ad un certo punto si è fermata e ha chiesto al Congresso di aumentare la politica fiscale. E lo sa anche la Banca Centrale Europea, che non ha toccato i tassi di interesse, in attesa che sia il mercato a imporglielo di conseguenza.

Per cui, dato tale scenario, la recessione si diffonderà prima negli Stati Uniti e poi in Europa, mentre la crescita di Cina e India saranno lievemente rallentate. Mentre, per quanto riguarda la Russia, il rapporto della WEF prevede un impatto negativo derivante dalla riduzione della richiesta di materie prime ed energie, a causa del calo della produzione. Gli analisti russi si sono soffermati su quello che il rapporto chiama "concetto di 2009", secondo il quale la recessione negli Stati Uniti porterà il prezzo del petrolio ai minimi storici, tale da trasformare, improvvisamente, l'eccedenza di esportazione in un'eccedenza di importazione, tale che deteriorerà anche il valore del rublo. Tale previsione, viene in qualche modo esclusa dalla Russia, così come dagli produttori di petrolio, che vedono i prezzi del greggio e dell'oro in continua ascesa, oltre i limiti storici raggiunti in passato. Questo in relazione alla crescente dipendenza dei Paesi occidentali nei confronti degli idrocarburi, e degli insufficienti investimenti nelle tecnologie di energia alternativa. Infatti, anche se gli Stati Uniti potrebbero rallentare la loro economia, la crescita annuale del 6% della Cina continuerebbe a trainare la richiesta del petrolio.




A confermare invece la tesi del vicino ribasso dei prezzi, è l'osservazione che i Paesi produttori di petrolio, sono restii ad effettuare investimenti rischiosi nella ricerca di nuovi pozzi di petrolio. La stessa Banca Internazionale Goldman Sachs, dopo aver preannunciato un rialzo dei prezzi del greggio oltre i 100$, afferma che nel 2008 un barile di petrolio costerà intorno ai 95$ per diminuire ancora in futuro. D'altro canto, è la stessa legge economica "speculativa" che afferma che, raggiunto il vertice del rialzo, i prezzi cominciano a diminuire, a causa delle forze che spingono la domanda ad eguagliare l'offerta, dopo un lungo periodo di eccedenza. Inoltre, sebbene i prezzi del petrolio potrebbero non turbare i piani degli investitori e dei consumatori, il dato più preoccupante è la crisi sul mercato finanziario che contribuisce a gonfiare ancora di più la bolla speculativa. Le grandi Banche internazionali continuano ad effettuare le svalutazioni del proprio capitale, come l'ennesima di Merrill Lynch che si aggiunge così a quelle effettuate da Ubs Bank e Citigroup, mentre la sfiducia nel mercato finanziario si espande sempre di più. Nel momento in cui si espanderà la recessione negli Stati Uniti, deprimendo così anche l'attrattività del mercato degli investimenti, si arresterà anche l'acquisto di titoli e derivati legati al dollaro, che rappresentano, sostanzialmente, il cuore di tutto il sistema finanziario. Sarà allora che si avvertirà la svendita dei titoli, la riduzione dei tassi di interesse passivi e così anche la riduzione dei prezzi. Un'eventualità questa che risiede nella natura stessa del mercato, che è in continuo movimento, tra espansioni e contrazioni, per raggiungere un equilibrio di lungo termine che rispecchia perfettamente lo stato delle ricchezze e delle risorse del pianeta. È ovvio che al momento le regole del mercato sono truccate, manipolate, distorte, e non rispettano il reale stato dell'economia mondiale. Tuttavia, la completa incapacità dei governi a governare la crisi, dimostra come il sistema è altamente instabile e potrebbe improvvisamente cambiare il proprio trend.
Fonte: etleboro

18 gennaio 2008

La condanna percepita...


In Italia oltre all’inflazione percepita (quella cosa per la quale non sono i prezzi che aumentano, sei tu che sei tirato) adesso hanno inventato anche la condanna percepita. Se appena il giudice legge la sentenza l’imputato comincia a festeggiare, grida, si sbraccia, stappa lo spumante e tutti quanti lo abbracciano, lo baciano e lo applaudono, allora l’opinione pubblica percepirà che è stato assolto.

"Evviva, non sono stato condannato per mafia, non mi dimetto" grida trionfante Totò Cuffaro, governatore della Sicilia, un minuto dopo essere stato condannato a cinque anni di carcere per favoreggiamento con interdizione dai pubblici uffici.

La Casa della Libertà lo festeggia tutta unita come ai bei tempi e Silvio Berlusconi
solidarizza (la sua occupazione principale oltre ad essere rinviato a giudizio in un processo non troppo dissimile da quello Mastella che piazzava primari mentre Silvio piazza veline) proprio come se se fosse stato assolto e dichiara in maniera per nulla sibillina: "fatemi vincere le elezioni e poi facciamo una volta per tutte i conti con la magistratura".

A Totò Cuffaro l’applauso è servito per fare ammuina oggi, ma a Clemente Mastella l’applauso a scena aperta è bastato solo ieri. Oggi si è fatto due conti e ha detto che o la solidarietà la mettono per iscritto o cade il governo. Mastella almeno si è dimesso… Antonio Bassolino non è mai neanche stato sfiorato dall’idea. Intanto, baciando baciando Vasa Vasa Cuffaro e solidarizzando con Mastella, tre notizie sono sparite o spariture:

1. i due operai morti a Marghera,
2. il fatto che mezza Italia non arriva a fine mese,
3. la monnezza in Campania che neanche hanno cominciato a rimuovere.

Ma che importa: dall’Alpi alle Piramidi: Viva Silvio, viva Clemente, viva Totò!

Gennaro Carotenuto

I furbetti della porta accanto


Falsi invalidi, finti disoccupati, imprenditori-fantasma, malati immaginari, evasori totali, lavoratori in nero, affittuari abusivi, furbetti e furboni del Welfare all'italiana. Sono il primo gradino della Casta. Una moltitudine di piccoli predoni dello stato sociale, che l'opinione pubblica tende a perdonare per lo stesso vizio logico che ha portato la maggioranza degli italiani ad assolvere per più di trent'anni la più massiccia evasione fiscale del mondo occidentale: se una persona ruba un miliardo di euro, tutti lo chiamano ladro; ma se dieci milioni di cittadini sottraggono cento euro ciascuno, rischiano di vincere le elezioni.

Dietro tanti micro-ammanchi può esserci una triste e dolorosa guerra tra poveri, in lotta per redditi di sopravvivenza. Ma in molti altri casi c'è la storia di una truffa continuata e diffusa, un colpo colossale con una particolarità: ci sono tantissimi complici e nessuno conosce con certezza l'entità del bottino. In Gran Bretagna, il National Audit Office ha stimato, nel 2006, che l'insieme delle frodi al sistema di sicurezza sanitaria e pensionistica faccia sparire il 2,3 per cento della grande torta del Welfare.

Applicando lo stesso criterio statistico a un paese più simile all'Italia, come la Francia, l'ammanco raggiungerebbe i 19 miliardi di euro. Una montagna di soldi rubati alla parte più povera della popolazione. Milioni di micro-frodi che, messe insieme, riducono le risorse indispensabili ai veri bisognosi. Le vittime sono gli anziani, gli invalidi, i malati, i disoccupati. Una fetta d'Italia che in tempi di crisi economica rischia più di tutti. L'obiettivo di questa inchiesta giornalistica è misurare questo furto ai danni dei più poveri partendo dal basso, mettendo in fila dati concreti e documentabili.

Per capire come e perché può succedere che in Italia, ogni anno, spariscano non meno di 23 miliardi di euro. Prelevati dalle casse sempre più misere dello Stato sociale e riversati nelle tasche di troppi privilegiati. Quasi sempre impuniti, come se il problema sociale fossero loro, quelli che stanno al primo piano, e non quelli che sono costretti a vivere in cantina perché i signori del palazzo lasciano la casa in mano agli abusivi.



Il primo mattone di questo muro socio-economico è una cifra assurda: 379 mila. Sono le famiglie che continuano a ricevere pensioni che l'Inps non dovrebbe pagare per il motivo più ovvio: i soldi erano destinati ai vivi, ma in realtà i beneficiari sono tutti morti.

Il miracolo della resurrezione previdenziale si spiega con i cronici ritardi - di giorni, mesi o anni - nell'aggiornamento degli archivi degli enti pensionistici. Le anagrafi di molti comuni sono ancora cartacee e comunque non collegate con i computer dell'Inps. Per cui lo Stato continua a pagare le pensioni anche ai defunti. Il dato dei 379 mila morti assistiti è stato accertato dai finanzieri del Nucleo speciale spesa pubblica e sarà la base per la prossima, massiccia campagna di verifiche delle Fiamme gialle. Spiega il comandante del nucleo, il colonnello Fernando Verdolotti: "È una delle priorità assegnate alla Guardia di Finanza per il 2008. Anche per le pensioni indebite, come per l'evasione fiscale, c'è un danno economico che colpisce la generalità dei cittadini onesti. All'interno di questi 379 mila casi, il nostro compito è distinguere tra le inefficienze burocratiche e le vere e proprie truffe. Oltre alla repressione degli illeciti, i nostri controlli hanno una funzione di prevenzione".

Fra tanti ritardi, in Italia fisiologici, nelle registrazioni dei decessi, non mancano casi considerati 'patologici': il familiare che nasconde nel freezer il cadavere del compianto pensionato; la donna di Olbia che continua per sette anni a incassare tre pensioni a nome della madre morta nel 2000; il figlio che cerca di giustificarsi, tra le lacrime, giurando che nessuno gli aveva mai detto che suo padre era morto cinque anni fa.

Mentre i finanzieri indagano tra dolo, colpa o errore, la dimensione dello spreco, anzi del furto oggettivo di risorse, che in mancanza di correttivi continuerebbe a perpetuarsi, si può misurare moltiplicando il numero dei defunti per la pensione media pro capite (9.511 euro, secondo l'Istat).
Risultato: almeno tre miliardi e mezzo di euro rubati allo Stato sociale.

Lo stesso nucleo della Guardia di Finanza è specializzato nella lotta alle frodi economiche a sfondo sociale: raggiri, furberie e falsi che permettono a sedicenti imprenditori (e dipendenti) di intascare i sussidi pubblici stanziati per favorire lo sviluppo.

Anche questa è una grossa torta: 7 miliardi e mezzo di euro trasferiti ogni anno dallo Stato alle aziende private. E quasi il doppio versato da altri erogatori, dall'Unione europea alle regioni, province e comuni. Con questo secondo fronte di ruberie, il bottino delle frodi accertato dalle Fiamme gialle solo nei primi 11 mesi del 2007 sale a quota 1 miliardo e 936 milioni di euro. Soprattutto al Sud, le procure più attive indagano su montagne di soldi sprecati per opere mai (o mal) realizzate, dalle discariche ai depuratori. Meno conosciute, ma non meno dannose, sono le truffe economiche diffuse, ad esempio, nelle campagne. False imprese agricole che intascano veri contributi per assumere finti braccianti.

Il sussidio è Cosa Nostra
Tre siciliani creano tra Misilmeri e Vicari una rete di società agricole che beneficiano di contributi pubblici per tre milioni di euro. Il trucco centrale è la falsa assunzione di ben 340 braccianti che in verità non hanno mai lavorato. I soldi dei sussidi, secondo l'inchiesta dei pm Roberto Scarpinato, Sara Micucci e Marco Bottino, vengono moltiplicati finanziando prestiti a usura, garantiti da minacce e intimidazioni. Secondo l'accusa il capo, arrestato, era legato alla famiglia mafiosa di Villabate, la stessa che proteggeva Bernardo Provenzano. Questo metodo di arricchimento si è ramificato soprattutto in Puglia e in Sicilia. Da San Severo a Catania, da Ragusa a Cerignola, sono migliaia i casi documentati di finti braccianti che hanno fatto arrivare sussidi veri nelle tasche di falsi imprenditori. Che li ripagavano con carta, valida per incassare assegni familiari e indennità di disoccupazione.

L'agricoltura è in tutta Europa il settore produttivo più assistito. In Italia, tra sussidi statali ed europei (10 miliardi), agevolazioni contributive (2,7) e tasse ridotte anche sui carburanti, il bilancio degli aiuti supera i 15 miliardi di euro. Un miliardo e 800 milioni l'anno servono solo a far riposare i terreni: soldi per non far coltivare nulla. Almeno questo è sicuramente uno spreco legalizzato. E come tutti i paradossi agricoli ha come giustificazione dichiarata la tutela dell'ambiente; in realtà solo il 2 per cento dei contributi è collegato a obiettivi di riduzione dell'inquinamento, che spesso nessuno controlla. L'unico risultato effettivo è il sostegno dei prezzi, delle produzioni e degli imprenditori agricoli più forti. A danno dei contadini dei paesi in via di sviluppo, quelli che non hanno i soldi per i pesticidi, restano poverissimi e quindi emigrano in massa in un'Europa sempre più chiusa e impaurita. Magari nella Penisola dove regna l'economia nera: imprese totalmente sconosciute al fisco (8.262 quelle appena scoperte dalla Guardia di Finanza) e dipendenti senza alcun contratto o irregolari part-time. Il danno, in questo caso, è l'evasione di massa dei contributi, oltre che delle tasse: nessun versamento per le pensioni e la sanità.

In settori come l'edilizia o i laboratori tessili, la fatica e il bisogno bastano e avanzano a garantire il marchio di veri sfruttati, ad esempio, ai 269 lavoratori irregolari e ai 64 totalmente in nero scoperti in una cooperativa di facchinaggio di Pomezia. O alle migliaia di operai senza nessun contributo identificati nei cantieri di Torino (28 in nero su 36), Imperia (irregolari 23 ditte su 41), Treviglio (13 clandestini su 19 cinesi al lavoro all'una di notte) o Bitonto, dove 59 operaie di turno nel frastuono delle macchine per cucire diventano fantasmi appena arriva l'ispezione. Più furba che necessitata sembra invece l'evasione totale in discoteche e ristoranti. Due esempi fra tutti. A Pozzuoli il gestore del Bagdad Cafè (terza sala da ballo in tre mesi chiusa per lavoro nero) si è visto ritirare la licenza, peraltro scaduta da un anno, perché i 500 clienti, cioè il triplo della capienza teorica, erano serviti da 15 dipendenti tutti irregolari, che non facevano gli scontrini perché mancava anche il registratore di cassa. E nel quartiere di Santa Caterina a Bari, tra i 600 consumatori accalcati sulla pista, c'erano 13 fra cassieri, buttafuori, baristi e deejay tutti rigorosamente black, visto che il gestore non aveva neppure presentato la dichiarazione dei redditi. Tra il 2003 e il 2006 l'Inps ha recuperato 11 miliardi e 760 milioni di contributi non pagati. Nello stesso periodo controlli e incentivi hanno fatto emergere 130 mila aziende totalmente in nero e circa 300 mila lavoratori senza alcun contratto. Secondo una stima del 'Sole 24 Ore', l'evasione contributiva ancora sommersa resta mastodontica: 40 miliardi di euro. Nella civile Francia la Corte dei conti previdenziali (Cpo) ha calcolato nel 2007 una cifra compresa tra gli 8 e i 15 miliardi di euro. Applicando all'Italia la stima più prudente, come se da Milano a Napoli il tasso di legalità fosse lo stesso che tra Parigi e Lione, il risultato è che dalle casse dello Stato sociale mancano almeno altri otto miliardi: non proprio rubati, ma trattenuti alla fonte. Una salute tutta d'oro
La sanità, dopo le pensioni, è l'altra grande voragine dei conti pubblici: nel 2007 ha bruciato quasi 98 miliardi di euro. Le indagini giudiziarie, che devono fornire la prova certa di ogni singola truffa, offrono solo una cifra minima: frodi documentate per 67 milioni nei primi 10 mesi dell'anno scorso. Il campionario va dalle false esenzioni per i ticket, ai rimborsi gonfiati alle cliniche private, fino agli appalti truccati negli ospedali pubblici, in cambio di tangenti, nomine o voti. Ma quanto è grande la torta delle frodi sanitarie? L'unico termometro disponibile, per il momento, è la maxi-inchiesta sulla sanità lombarda: secondo la procura di Milano, risultano documentalmente false, cioè manipolate per gonfiare i contributi, oltre 80 mila cartelle cliniche. Un'alluvione di truffe private, che prima dei blitz giudiziari erano favorite anche dalla strana abitudine dei controllori pubblici, selezionati dalla giunta Formigoni tra i più meritevoli, di esaminare solo un documento su 20 e, per correttezza, di preavvisare le strutture private con almeno 48 ore di anticipo. Il totale delle cartelle da esaminare è di otto milioni e la Guardia di Finanza è a metà dell'opera. Ammesso che i futuri controlli non riservino altre sorprese, ne risulta una quota di frodi dell'1 per cento. Questo, in Lombardia. Applicando la stessa forbice al resto d'Italia, dai rimborsi alle cliniche siciliane alle forniture agli ospedali liguri, e tenendo conto che nel 2008 la spesa sanitaria pubblica salirà a 101 miliardi, si può ritagliare una stima credibile di almeno 1 miliardo di euro.

L'invalido con dieci targhe
Attorno al pianeta salute ruotano altri satelliti eccentrici. Tra i veri e sfortunati non vedenti, che sicuramente meriterebbero aiuti più generosi, le Fiamme Gialle hanno scoperto circa 200 posizioni quantomeno dubbie: persone che dichiarano una cecità totale, ma hanno rinnovato la patente e in qualche caso pure il porto d'armi. Ma ci sono anche abusi commessi sulla base di reali invalidità. Una legge di fine anni '90 garantisce l'abbattimento dell'Iva (dal 20 al 4 per cento) per l'acquisto di auto adattate ai disabili. Una modifica successiva ha esteso il beneficio ai mezzi di trasporto (senza modifiche) per gli invalidi psichici. Risultato: centinaia di invalidi sono diventati d'incanto titolari di interi garage familiari. E in qualche caso la famiglia è molto allargata: a Bologna è stato scoperto un invalido con dieci targhe. Utilitarie, berline, fuoristrada e moto, tutte intestate al parente in carrozzella. Secondo l'Agenzia delle Entrate, solo questo trucchetto dell'Iva scontata ci costa più di 200 milioni di euro all'anno.

Per fermare l'avanzata dell'esercito dei furbi, dieci anni fa una legge ha cercato di imporre un mezzo di prova dell'effettivo stato di bisogno. Assodato che in Italia l'evasione fiscale è massiccia, oltre ai redditi va dichiarato il patrimonio immobiliare e i depositi bancari. Il discorso vale per un terzo delle prestazioni sociali tipiche: circa 10 miliardi su 30. Il sistema si chiama Isee ossia Indicatore della situazione economica equivalente (vedi box a pag. 30) e vale soprattutto per il welfare locale: esonero dei ticket sanitari (in Veneto e Sicilia), sussidi scolastici, assegni familiari, aiuti per la casa. Secondo l'ultimo rapporto sull'Isee (2006), questo misuratore della ricchezza familiare interessa un italiano su cinque: oltre 11 milioni di individui, ovvero 3 milioni e 667 mila famiglie.

La Sicilia dei record
Il problema è che il sistema si basa sull'autocertificazione. E per il popolo dei piccoli e grandi evasori, nascondere i soldi resta una tentazione irresistibile. L'indizio più vistoso, di per sè, dice poco: al Sud si concentrano 2 milioni e 433 mila 'famiglie Isee', cioè due volte la quota del centro-nord, che ha il doppio della popolazione. Ma questo può voler dire solo che nel Mezzogiorno c'è più disoccupazione e meno ricchezza. I problemi cominciano quando si dividono le cifre. In Sicilia l'Isee ha fatto boom (il ministero denuncia una crescita 'abnorme') solo quando la Regione ha collegato a questo indicatore l'esenzione dai ticket sanitari. Sempre al Sud, solo tre regioni hanno più di un terzo di famiglie di 'livello Isee', con differenze singolari: la Calabria ne ha meno della Campania (36,8%) e molte meno della Sicilia, che ha il record nazionale del 57 per cento. Invece al Centro le famiglie presunte bisognose sono una su otto, al Nordest una su dieci, al Nordovest una su dodici.
(17 gennaio 2008)
Ma a far pensare che l'inventiva italiana sia riuscita a beffare anche l'Isee sono altri tre incidenti statistici. Primo guaio: per le famiglie che non hanno una casa in proprietà, la legge consente di abbassare l'autocertificazione sottraendo gli affitti. Ovviamente bisogna che i contratti siano registrati. E per chi incassa gli affitti, addio Isee. Ebbene, nel Settentrione sono meno di un quinto le 'famiglie Isee' che non possiedono case ma non pagano nemmeno affitti, evidentemente perché vivono gratis in alloggi di parenti o come usufruttuari: 18,4 per cento nel Nordovest, 16,1 nel Nordest. Al Centro la quota sale al 25,7 per cento. Al Sud schizza al 39,6. Quindi, delle due l'una: o al Sud si concentrano più di tre milioni di ospiti gratuiti di case altrui, oppure è altissima la percentuale di affitti in nero. E di proprietari di case che, oltre a evadere le tasse, possono continuare a dichiararsi bisognosi di assistenza. A spese degli inquilini.

La variabile geografica sembra influenzare anche il lavoro nero. Tra i 3,6 milioni di 'famiglie Isee', quelle che non hanno neppure un occupato in età da lavoro sono il 16 per cento, come media nazionale. Ma nel Mezzogiorno la percentuale sale al 40. Solo disoccupazione vera o anche lavoro nero?

Per i depositi bancari (e per i patrimoni mobiliari) il divario tra Nord e Sud è tanto alto da sembrare indecente agli stessi tecnici del ministero della solidarietà sociale, decisi a impedire che i furbi erodano le risorse destinate ai più poveri. Al Nord, circa metà delle 'famiglie Isee' confermano di avere un conto in banca. Al Sud solo il 2,3 per cento. Al Nord il 10 per cento ammette di avere depositi bancari superiori alla franchigia annua di 15 mila euro. Al Sud solo lo 0,5 per cento. La conclusione del ministero, nel rapporto Isee 2006, è che la frode sociale è un fenomeno di 'notevole diffusione'. Soprattutto perché i 'controlli di veridicità risultano estremamente difficili dato il ritardo nella messa in opera dell'anagrafe dei conti bancari'. Proprio l'anonimato delle ricchezze e dei depositi, difeso con i denti anche da legioni di commercialisti del ricco Nord, finisce così per funzionare come un 'incentivo a rimanere nel sommerso'. Con l'effetto di accorciare quella coperta che dovrebbe proteggere le famiglie, del Nord come del Sud, 'effettivamente molto povere'. E che lo diventeranno ancora di più se il 2008 sarà l'anno della temuta recessione mondiale.

Anche la terza mina nei conti del Welfare locale è il riflesso delle storiche furberie fiscali. Il dato grezzo è che tra le 'famiglie Isee', tanto per cambiare, i lavoratori dipendenti risultano più benestanti degli autonomi: i salariati avrebbero il 20 per cento di ricchezza in più. Questo risultato è l'incrocio tra due dati tanto opposti da sembrare quasi comici. Primo mistero (doloroso): i lavoratori autonomi dichiarano due terzi del reddito dei dipendenti, che notoriamente non possono evadere perché pagano le tasse alla fonte. Secondo mistero (gaudioso): gli autonomi in compenso dichiarano un patrimonio medio più che doppio dei lavoratori dipendenti (per l'esattezza, 2,3 volte superiore). Ma allora come hanno fatto i soldi? Tutte eredità e lotterie? L'intera catena di anomalie statistiche, a conti fatti, mette in dubbio la regolarità di almeno un quinto delle prestazioni sociali misurate dall'Isee (per non parlare di tutte le altre, che continuano a basarsi solo sui redditi dichiarati): un bottino da almeno due miliardi di euro.

La mina sotto il Welfare
Il direttore dell'Agenzia delle Entrate, Massimo Romano, è perfettamente consapevole della gravità del problema. E spiega a 'L'espresso': "Finora ci si era illusi che potessero bastare i controlli successivi alle dichiarazioni Isee. Dal luglio prossimo dovrebbe finalmente entrare in vigore una nuova norma che ci consentirà di organizzare i controlli preventivi. Redditi, immobili, patrimoni mobiliari: sono tutti dati che l'amministrazione pubblica già possiede. Si tratta solo di metterli insieme. E l'informatica ci aiuta".
"Una rete di controlli effettivi e capillari non indebolisce lo Stato sociale, ma al contrario lo rafforza", sottolinea Raffaele Tangorra, direttore generale del ministero della solidarietà sociale: "I controlli servono proprio a garantire la parte più povera della popolazione, a evitare che le prestazioni sociali vengano dirottate con comportamenti opportunistici". Più legalità, più giustizia.

Il romanzo delle piccole e grandi frodi sociali potrebbe continuare ancora a lungo, ma il capitolo finale va senz'altro dedicato alla micro-truffa più diffusa in tutte le età e classi socialie: alzi la mano chi non si è mai dato malato per saltare un giorno di scuola o di lavoro. Secondo il presidente della Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, "l'assenteismo nel pubblico impiego ci costa quasi un punto di Pil: 8,3 miliardi negli enti centrali, 5,9 in quelli locali". I tecnici del ministero dell'Economia hanno sorriso sentendo Montezemolo citare come esempio alcune amministrazioni che in realtà non controllano le presenze, ma il numero di buoni pasti ritirati, di modo che l'assentetista non solo resta impunito, ma si fa pure pagare il pranzo. Il baratro fra lavoro privato e pubblico, però, è indiscutibile: nelle assenze per malattia, c'è un rapporto è di 1 a 4. Fra i 3 milioni e 612 mila dipendenti statali, le sparizioni dal lavoro per motivi diversi dalle ferie (permessi, scioperi e, appunto, malattie) sono state, in media, 22,7. I giorni saltati, sempre nel 2006, diventano 26,3 nelle agenzie fiscali, 28,9 nella sanità, 31,6 negli enti di ricerca, addirittura 65 al ministero della Difesa.

Ma anche per gli statali generalizzare è sbagliato. Uno studio dell'Agenzia delle entrate sui giorni di malattia dimostra che più di un terzo del personale (37%) in realtà non manca mai dal lavoro. E un altro terzo (34%) fa meno assenze della media. In pratica è il 29 per cento dei dipendenti fiscali a consumare quasi tutto il monte-malattie. Con grandi differenze tra gli stessi malati cronici, che sono solo il 10 per cento dei funzionari in Alto Adige, il 20 in Veneto, il 33 in Puglia e in Molise, 36 in Campania, 38 nel Lazio, 40 in Sicilia e quasi la metà (44%) in Calabria.

I controlli sulle assenze sono affidati ai medici fiscali, che di regola non organizzano visite prima di tre giorni. Mentre i medici di famiglia tendono a certificare le malattie dichiarate dai pazienti, da cui dipendono anche i loro stipendi. Applicando a tutta Italia i dati (prudenti) dell'Agenzia delle entrate, si può concludere che le malattie di comodo sono un problema innegabile per circa un terzo dei funzionari e per un mese di stipendio. Visto che la spesa pubblica per il personale statale è di 162 miliardi e 711 milioni di euro, il costo dell'assenteismo pubblico è sicuramente superiore a 4 miliardi e mezzo di euro. Fuori da ogni controllo restano entità come la Regione Sicilia: per i 14.291 dipendenti stabili, 5455 contratti a termine e 702 lavoratori socialmente utili (dati di fine 2006, gli unici pubblicati per vie traverse) l'amministrazione guidata da Totò Cuffaro non ha neppure trasmesso i dati sulle assenze alla Ragioneria generale dello Stato.
Paolo Biondani