31 luglio 2012

Italia sotto tutela bancaria

Una recentissima indagine commissionata da Unioncamere e Ministero del Lavoro sul terzo trimestre 2012 ci dice che nel periodo luglio-settembre i contratti a tempo indeterminato in Italia saranno solo il 19,8% su quasi 159 mila. L’Istat invece ai primi di giugno di quest’anno forniva i dati inquietanti sulla disoccupazione, che nel primo trimestre si sarebbe attestata al 10,9% con un aumento su base annua del 2,3 %, con una disoccupazione giovanile che è oramai oltre il 35 %, mentre i posti di lavoro persi tra marzo e aprile sono ben trentotto mila. Ebbene di fronte a dati di questo genere qualsiasi governo con un minimo di decenza si sarebbe dimesso e il Parlamento, luogo oramai deputato in Italia solo a fornire agi e privilegi a degli incompetenti nulla facenti, sarebbe sciolto da un Capo dello Stato serio e credibile. E invece c’è stato imposto il “ Fiscal Compact” (già il termine inglese suona meglio nel continuo scimmiottare Londra da parte dei peones della politica nostrana), ad eccezione della Gran Bretagna e Repubblica Ceca che non l’hanno accettato, che ci impone rigorosamente, per chi ha un debito pubblico superiore al 60% del Pil, di restare sotto tale soglia (a oggi il rapporto tra debito pubblico e Pil ammonta al 123,3%), con l’obbligo per chi sfora tale percentuale di rientrarvi nell’arco di 20 anni per un ventesimo della quota che sfora il 60 % da versare ogni anno. Questo significa che gli italiani dovranno per i prossimi 20 anni subire tagli alla spesa pubblica per ben 45 miliardi di euro l’anno! Una cifra colossale, che colpirà soprattutto i ceti medio bassi, anche paragonata all’altra stangata infertaci dal governo delle banche, lo “Spending Review” (anche qui l’inglese è d’obbligo perché fa tanto british e bocconiano) che ammonta a 29 miliardi in tre anni. Un vero salasso in barba alle ridicolaggini sulla crescita e altre amenità che escono ogni giorno dalla bocca del senile professore che siede a Palazzo Chigi. A ciò si deve aggiungere l’altro mostro partorito dalla burocrazia di Bruxelles e Francoforte, il MES - Meccanismo Europeo di Stabilità - che obbliga l’Italia a versare 15 miliardi in 5 anni a sostegno del fondo salva banche. Non c’è che dire, una fine davvero ingloriosa per la nostra penisola, che dopo essere “stata liberata” nel 1945 dalle armate degli invasori anglo-americani, e da allora sempre occupata militarmente, oggi si avvia alla totale estinzione anche economica e sociale per opera degli stessi di allora. Adattando la celebre frase di Von Clausewitz, che vedeva nella guerra il proseguimento della politica con altri mezzi, verrebbe da dire che qui si tratta dell’economia che prosegue la guerra con altri mezzi. Non contenta la BCE, che non risponde a nessun governo eletto, alla faccia di chi vuole esportare nel mondo a suon di bombe questo modello Occidentale, e che muove le fila al governo Monti, si diletta quotidianamente a darci consigli su come ridurre la disoccupazione con le solite soluzioni lacrime e sangue: “Salari più bassi e maggior flessibilità”, peccato però che i prezzi di prima necessità aumentino costantemente, e prosegue… “in vari Paesi la correzione al ribasso dei salari è stata modesta e ciò nonostante l’aumento della disoccupazione; solo la moderazione salariale e la flessibilità possono riallocare i lavoratori in esubero”. Più chiari di così! A fronte di simili esternazioni, che lasciano il tempo che trovano e aspettano sempre una conferma sul campo mai arrivata, che hanno come unico obiettivo distruggere ogni certezza contrattuale e salariale e ridurre ancor di più quello che resta di Stato Sociale in Italia e in Europa, nessun politico italiano e sindacalista ha sentito il dovere di dire in modo chiaro come stanno realmente le cose e dichiarare apertamente che il “Re è nudo” e che in Italia vi è in atto tutt’ora un vero e proprio colpo di Stato finanziario: finiti i tempi delle divise che sapevano tanto di America Latina, ora si vestono in giacca e cravatta. La BCE, il FMI, l’Ue e i loro camerieri inseriti a vari livelli nei governi europei, stanno operando una sistematica distruzione di tutte le conquiste sociali fatte dal lontano 1930 a oggi, con la Fornero come “Cavallo di Troia” inserito nella cittadella del lavoro, mentre il governo di Mr. Monti, quello che durante il recente viaggio a Mosca, incurante del ridicolo e della nullità del suo governo in campo internazionale, si è addirittura paragonato a uno statista nell’intervista concessa a Itar Tass e diffusa dalla tv “Russia 24”. Sta solo eseguendo i compiti affidatigli dall’oligarchia anglosassone e mondialista. Con la scusa dello spread, a colpi di machete si taglia tutto quello che c’è da tagliare di sociale, scuola, università, sanità, pensioni, salari, servizi sociali, trasporti pubblici, senza però toccare le banche e i loro interessi, nella speranza di spremere tutto quello che si può ora e subito, finché è ancora possibile, non per cercare un impossibile pareggio di bilancio, pia illusione poiché paghiamo interessi su interessi usurai, ma di far affluire nuovi capitali nelle casse degli istituti di credito in nome di quel debito pubblico che non è altro che il signoraggio operato dalla BCE che stampa e presta a usura il denaro, poi che vada tutto al diavolo. Una Fornero saccente e prepotente, che uscita dal cilindro del mondo bancario, come gran parte degli accoliti di Mr Monti, predica le solite ricette fasulle e portatrici di miseria in salsa liberista, “facilità di licenziamento, flessibilità-precarietà, moderazione salariale, tagli occupazionali, meno diritti”. Tutte cose già viste fuori Europa, dove sono state applicate a man bassa nei cosiddetti Paesi in via di sviluppo e in America Latina in passato e dove hanno solo portato un abbassamento drastico del tenore di vita della popolazione, ma al tempo stesso, guarda caso, a un aumento dei profitti delle multinazionali e del sistema bancario internazionale e all’oligarchia di quelle nazioni. E ora questa economista da quattro soldi, ben piazzata ovunque con tutta la famiglia, che ripete a memoria la lezioncina contro il posto fisso, sta dettando legge nella più completa libertà d’azione, incurante dei danni sociali che sta arrecando, ringraziando ogni giorni gli ex sindacati oramai solo di nome come Cigl Cisl Uil e Ugl, che erano pronti a mobilitarsi in un non lontano passato, un giorno sì e l’altro pure contro Berlusconi. Ora tutti costoro, invece di far scendere in strada i lavoratori in uno sciopero generale ad oltranza, fanno spallucce e lanciano solo flebili proclami degni del Ferragosto contro il governo e la “professoressa” ministra. Però la coppia dei distruttori dell’Italia nulla sarebbe se non avesse alle spalle quel Mario Draghi, mentore del potere finanziario e bancario, che sta dettando le regole agli ignavi governi dell’Ue (tranne i britannici ovviamente, che di quel potere fanno parte integrante da sempre e che dopo essersi tenuti saldamente la loro sterlina, non accettano “Fiscal Compact” di sorta e imposizioni da Bruxelles e Francoforte; loro sono uno Stato sovrano non una colonia come l’Italietta del neoresistenziale Napolitano). Proprio il saccente Draghi, che oramai si sente un piccolo dio in terra, ci dice che “l’euro è irreversibile”, come se nella storia ci fosse mai stato un qualcosa d’irreversibile, e che quindi, “forte del sostegno dei governi, nulla cambierà in futuro”. Si dovrò proseguire sulla stessa strada intrapresa per l’Italia, la Spagna e la Grecia, in altre parole dopo che le solite note agenzie di rating hanno declassato gli Stati ecco arrivare i prestiti usurai in cambio però delle cosiddette riforme strutturali, così le chiama il banchiere di Francoforte, non lo chiamiamo statista per non indispettire l’altro, quello vero, il bocconiano di casa nostra, che sono anche queste sempre le solite e arcinote e con il classico obiettivo. Totale deregolamentazione del mondo del lavoro, che significa globalizzazione e quindi peggioramento del livello di vita dei lavoratori a vantaggio dei grandi gruppi internazionali e della concorrenza al ribasso dei Paesi che non hanno alcuna garanzia sociale e salariale. Si produrranno le stesse cose a costi inferiori e con maggiori profitti per gli investitori esteri che verranno in Italia o in Europa. Marchionne ne è il tipico esempio: dopo avere la Fiat succhiato per decenni contributi statali, ora apre fabbriche all’estero, come in Serbia, dove la mano d’opera costa meno della metà che in Italia, per poi rivendere il prodotto finito a prezzo pieno con ricavi ben superiori a quelli che si avrebbero con i lavoratori italiani. Via poi ogni forma di protezionismo economico sia pur minimo, che sempre secondo Draghi inibisce la competitività, certo lui sa bene cosa significhi tutto questo per la nostra economia, perché dall’altra parte dell’Oceano, da dove gli arrivano i compitini ogni giorno, gli Stati Uniti praticano da sempre il più stretto protezionismo, invocando invece l’apertura dei mercati per tutti gli altri popoli in nome del “dio mercato”. Liberalizzazioni, invoca Draghi, che fa rima con privatizzazioni, che a loro volta fanno rima con svendite del patrimonio pubblico nazionale, che così può facilmente entrare nel mirino dei “datori di lavoro” del presidente della BCE, i quali potranno completare la campagna acquisti già iniziata sotto i precedenti imbelli governi di centro sinistra e destra. E, infatti, Mr. Monti è già sulla buona strada visto che ha già dichiarato che “non solo non escludiamo quote dell’attivo del settore pubblico, ma stiamo preparando e presto seguiranno degli atti concreti”, riferendosi questa volta ai patrimoni di Comuni e Regioni, che come quelli dello Stato sono di tutti gli italiani e non certo di un Presidente del Consiglio da nessuno eletto, costruiti nel corso degli anni con i nostri sacrifici e delle generazioni precedenti, ma che ora rischiano di essere spazzati via e ceduti al migliore offerente. E per finire ecco l’affondo finale dell’ex governatore di Bankitalia, con l’invocazione, ma meglio sarebbe dire l’ordine, vista la spocchia da banchiere che si ritrova, a varare al più presto l’Unione di Bilancio, al fine di creare un’entità sovranazionale. Sappiamo bene da chi e in che modo sarebbe poi guidata questa entità, lo stiamo già vedendo e subendo ogni giorno proprio in Italia, dove la politica ha da tempo lasciato il passo al mondo della finanza apolide, la Costituzione è oramai carta straccia, buona solo per i gonzi che ancora credono nella democrazia, mentre tutte le decisioni che contano sono prese altrove, tranne che in Parlamento aula sorda e grigia. di Federico Dal Cortivo

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31 luglio 2012

Italia sotto tutela bancaria

Una recentissima indagine commissionata da Unioncamere e Ministero del Lavoro sul terzo trimestre 2012 ci dice che nel periodo luglio-settembre i contratti a tempo indeterminato in Italia saranno solo il 19,8% su quasi 159 mila. L’Istat invece ai primi di giugno di quest’anno forniva i dati inquietanti sulla disoccupazione, che nel primo trimestre si sarebbe attestata al 10,9% con un aumento su base annua del 2,3 %, con una disoccupazione giovanile che è oramai oltre il 35 %, mentre i posti di lavoro persi tra marzo e aprile sono ben trentotto mila. Ebbene di fronte a dati di questo genere qualsiasi governo con un minimo di decenza si sarebbe dimesso e il Parlamento, luogo oramai deputato in Italia solo a fornire agi e privilegi a degli incompetenti nulla facenti, sarebbe sciolto da un Capo dello Stato serio e credibile. E invece c’è stato imposto il “ Fiscal Compact” (già il termine inglese suona meglio nel continuo scimmiottare Londra da parte dei peones della politica nostrana), ad eccezione della Gran Bretagna e Repubblica Ceca che non l’hanno accettato, che ci impone rigorosamente, per chi ha un debito pubblico superiore al 60% del Pil, di restare sotto tale soglia (a oggi il rapporto tra debito pubblico e Pil ammonta al 123,3%), con l’obbligo per chi sfora tale percentuale di rientrarvi nell’arco di 20 anni per un ventesimo della quota che sfora il 60 % da versare ogni anno. Questo significa che gli italiani dovranno per i prossimi 20 anni subire tagli alla spesa pubblica per ben 45 miliardi di euro l’anno! Una cifra colossale, che colpirà soprattutto i ceti medio bassi, anche paragonata all’altra stangata infertaci dal governo delle banche, lo “Spending Review” (anche qui l’inglese è d’obbligo perché fa tanto british e bocconiano) che ammonta a 29 miliardi in tre anni. Un vero salasso in barba alle ridicolaggini sulla crescita e altre amenità che escono ogni giorno dalla bocca del senile professore che siede a Palazzo Chigi. A ciò si deve aggiungere l’altro mostro partorito dalla burocrazia di Bruxelles e Francoforte, il MES - Meccanismo Europeo di Stabilità - che obbliga l’Italia a versare 15 miliardi in 5 anni a sostegno del fondo salva banche. Non c’è che dire, una fine davvero ingloriosa per la nostra penisola, che dopo essere “stata liberata” nel 1945 dalle armate degli invasori anglo-americani, e da allora sempre occupata militarmente, oggi si avvia alla totale estinzione anche economica e sociale per opera degli stessi di allora. Adattando la celebre frase di Von Clausewitz, che vedeva nella guerra il proseguimento della politica con altri mezzi, verrebbe da dire che qui si tratta dell’economia che prosegue la guerra con altri mezzi. Non contenta la BCE, che non risponde a nessun governo eletto, alla faccia di chi vuole esportare nel mondo a suon di bombe questo modello Occidentale, e che muove le fila al governo Monti, si diletta quotidianamente a darci consigli su come ridurre la disoccupazione con le solite soluzioni lacrime e sangue: “Salari più bassi e maggior flessibilità”, peccato però che i prezzi di prima necessità aumentino costantemente, e prosegue… “in vari Paesi la correzione al ribasso dei salari è stata modesta e ciò nonostante l’aumento della disoccupazione; solo la moderazione salariale e la flessibilità possono riallocare i lavoratori in esubero”. Più chiari di così! A fronte di simili esternazioni, che lasciano il tempo che trovano e aspettano sempre una conferma sul campo mai arrivata, che hanno come unico obiettivo distruggere ogni certezza contrattuale e salariale e ridurre ancor di più quello che resta di Stato Sociale in Italia e in Europa, nessun politico italiano e sindacalista ha sentito il dovere di dire in modo chiaro come stanno realmente le cose e dichiarare apertamente che il “Re è nudo” e che in Italia vi è in atto tutt’ora un vero e proprio colpo di Stato finanziario: finiti i tempi delle divise che sapevano tanto di America Latina, ora si vestono in giacca e cravatta. La BCE, il FMI, l’Ue e i loro camerieri inseriti a vari livelli nei governi europei, stanno operando una sistematica distruzione di tutte le conquiste sociali fatte dal lontano 1930 a oggi, con la Fornero come “Cavallo di Troia” inserito nella cittadella del lavoro, mentre il governo di Mr. Monti, quello che durante il recente viaggio a Mosca, incurante del ridicolo e della nullità del suo governo in campo internazionale, si è addirittura paragonato a uno statista nell’intervista concessa a Itar Tass e diffusa dalla tv “Russia 24”. Sta solo eseguendo i compiti affidatigli dall’oligarchia anglosassone e mondialista. Con la scusa dello spread, a colpi di machete si taglia tutto quello che c’è da tagliare di sociale, scuola, università, sanità, pensioni, salari, servizi sociali, trasporti pubblici, senza però toccare le banche e i loro interessi, nella speranza di spremere tutto quello che si può ora e subito, finché è ancora possibile, non per cercare un impossibile pareggio di bilancio, pia illusione poiché paghiamo interessi su interessi usurai, ma di far affluire nuovi capitali nelle casse degli istituti di credito in nome di quel debito pubblico che non è altro che il signoraggio operato dalla BCE che stampa e presta a usura il denaro, poi che vada tutto al diavolo. Una Fornero saccente e prepotente, che uscita dal cilindro del mondo bancario, come gran parte degli accoliti di Mr Monti, predica le solite ricette fasulle e portatrici di miseria in salsa liberista, “facilità di licenziamento, flessibilità-precarietà, moderazione salariale, tagli occupazionali, meno diritti”. Tutte cose già viste fuori Europa, dove sono state applicate a man bassa nei cosiddetti Paesi in via di sviluppo e in America Latina in passato e dove hanno solo portato un abbassamento drastico del tenore di vita della popolazione, ma al tempo stesso, guarda caso, a un aumento dei profitti delle multinazionali e del sistema bancario internazionale e all’oligarchia di quelle nazioni. E ora questa economista da quattro soldi, ben piazzata ovunque con tutta la famiglia, che ripete a memoria la lezioncina contro il posto fisso, sta dettando legge nella più completa libertà d’azione, incurante dei danni sociali che sta arrecando, ringraziando ogni giorni gli ex sindacati oramai solo di nome come Cigl Cisl Uil e Ugl, che erano pronti a mobilitarsi in un non lontano passato, un giorno sì e l’altro pure contro Berlusconi. Ora tutti costoro, invece di far scendere in strada i lavoratori in uno sciopero generale ad oltranza, fanno spallucce e lanciano solo flebili proclami degni del Ferragosto contro il governo e la “professoressa” ministra. Però la coppia dei distruttori dell’Italia nulla sarebbe se non avesse alle spalle quel Mario Draghi, mentore del potere finanziario e bancario, che sta dettando le regole agli ignavi governi dell’Ue (tranne i britannici ovviamente, che di quel potere fanno parte integrante da sempre e che dopo essersi tenuti saldamente la loro sterlina, non accettano “Fiscal Compact” di sorta e imposizioni da Bruxelles e Francoforte; loro sono uno Stato sovrano non una colonia come l’Italietta del neoresistenziale Napolitano). Proprio il saccente Draghi, che oramai si sente un piccolo dio in terra, ci dice che “l’euro è irreversibile”, come se nella storia ci fosse mai stato un qualcosa d’irreversibile, e che quindi, “forte del sostegno dei governi, nulla cambierà in futuro”. Si dovrò proseguire sulla stessa strada intrapresa per l’Italia, la Spagna e la Grecia, in altre parole dopo che le solite note agenzie di rating hanno declassato gli Stati ecco arrivare i prestiti usurai in cambio però delle cosiddette riforme strutturali, così le chiama il banchiere di Francoforte, non lo chiamiamo statista per non indispettire l’altro, quello vero, il bocconiano di casa nostra, che sono anche queste sempre le solite e arcinote e con il classico obiettivo. Totale deregolamentazione del mondo del lavoro, che significa globalizzazione e quindi peggioramento del livello di vita dei lavoratori a vantaggio dei grandi gruppi internazionali e della concorrenza al ribasso dei Paesi che non hanno alcuna garanzia sociale e salariale. Si produrranno le stesse cose a costi inferiori e con maggiori profitti per gli investitori esteri che verranno in Italia o in Europa. Marchionne ne è il tipico esempio: dopo avere la Fiat succhiato per decenni contributi statali, ora apre fabbriche all’estero, come in Serbia, dove la mano d’opera costa meno della metà che in Italia, per poi rivendere il prodotto finito a prezzo pieno con ricavi ben superiori a quelli che si avrebbero con i lavoratori italiani. Via poi ogni forma di protezionismo economico sia pur minimo, che sempre secondo Draghi inibisce la competitività, certo lui sa bene cosa significhi tutto questo per la nostra economia, perché dall’altra parte dell’Oceano, da dove gli arrivano i compitini ogni giorno, gli Stati Uniti praticano da sempre il più stretto protezionismo, invocando invece l’apertura dei mercati per tutti gli altri popoli in nome del “dio mercato”. Liberalizzazioni, invoca Draghi, che fa rima con privatizzazioni, che a loro volta fanno rima con svendite del patrimonio pubblico nazionale, che così può facilmente entrare nel mirino dei “datori di lavoro” del presidente della BCE, i quali potranno completare la campagna acquisti già iniziata sotto i precedenti imbelli governi di centro sinistra e destra. E, infatti, Mr. Monti è già sulla buona strada visto che ha già dichiarato che “non solo non escludiamo quote dell’attivo del settore pubblico, ma stiamo preparando e presto seguiranno degli atti concreti”, riferendosi questa volta ai patrimoni di Comuni e Regioni, che come quelli dello Stato sono di tutti gli italiani e non certo di un Presidente del Consiglio da nessuno eletto, costruiti nel corso degli anni con i nostri sacrifici e delle generazioni precedenti, ma che ora rischiano di essere spazzati via e ceduti al migliore offerente. E per finire ecco l’affondo finale dell’ex governatore di Bankitalia, con l’invocazione, ma meglio sarebbe dire l’ordine, vista la spocchia da banchiere che si ritrova, a varare al più presto l’Unione di Bilancio, al fine di creare un’entità sovranazionale. Sappiamo bene da chi e in che modo sarebbe poi guidata questa entità, lo stiamo già vedendo e subendo ogni giorno proprio in Italia, dove la politica ha da tempo lasciato il passo al mondo della finanza apolide, la Costituzione è oramai carta straccia, buona solo per i gonzi che ancora credono nella democrazia, mentre tutte le decisioni che contano sono prese altrove, tranne che in Parlamento aula sorda e grigia. di Federico Dal Cortivo

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