10 gennaio 2009

I carnefici di regime spiegano...

carnefici_550.jpg


Angelo Panebianco sul Corriere di domenica: «Fra le molte asimmetrie del conflitto c’è anche quella rappresentata dal diverso valore attribuito dai contendenti alla vita umana. Per gli uomini di Hamas, come per Hezbollah in Libano, la vita (anche quella degli appartenenti al proprio popolo) vale talmente poco che essi non hanno alcun problema a usare i civili, compresi i bambini e le donne, come scudi umani. Per gli israeliani, le cose stanno differentemente. Cercano di limitare il più possibile le ingiurie alla popolazione civile...».

Quando menzogne così disonorevoli, sputi sulle vittime, vengono scritte sui giornali autorevoli da autorevoli commentatori, chi ha un po’ di esperienza storica sa che qualcosa è successo.

Gli vengono a mente i precedenti: per mezzo secolo, finchè il comunismo sovietico ebbe il favore della intellettualità ebraica, questo tipo di menzogne di sapore inequivocabile – aperte violazioni della verità evidente – erano pane quotidiano sui giornali non solo comunisti, ma progressisti e delle borghesie illuminate d’Europa.

Nel 1932-33, mentre Lazar Moiseyevich Kaganovich, numero 2 del Partito, procedeva alla requisione forzata dei grani in Ucraina, con fucilazioni dei contadini e provocando la morte per fame di 7 milioni di esseri umani, non era raro trovare articoli dove si gettava la colpa sui «kulaki», come «sabotatori» che «sottraevano il grano all’ammasso». Fior di scrittori tornavano dall’URSS magnificando, in articoli estasiati, la felicità e l’abbondanza che il sistema sovietico aveva regalato ai russi.

L’assoluta maggioranza degli intellettuali, non solo comunisti, insorgeva se qualche (rara) voce si alzava a rivelare che in URSS vigeva il Terrore poliziesco e milioni di esseri umani innocenti stavano scomparendo nel vasto arcipelago Gulag, gestito dal capo supremo della repressione, Genrich Yagoda, e da 500 mila ebrei comunisti che avevano trovato un ben pagato lavoro nella Ghepeù, poi NKVD, poi KGB: erano tutte «calunnie» contro lo «Stato dei lavoratori» che aveva «liberato il proletariato»; per adesso in un solo Paese, ma gli intellettuali aperti e progressisti auspicavano che il paradiso sovietico arrivasse al più presto a liberare anche noi.

Solo dopo la denuncia ufficiale di Kruscev lo stesso Corriere osò ammettere i «crimini di Stalin». I crimini di Lazar Moiseyevich Kaganovich non sono mai stati evocati, anche se è stato pari grado di Stalin, l’autore non solo dell’holodmor, del genocidio ucraino, ma della eradicazione del cristianesimo in Russia.

Solo il 26 settembre 1995 il New York Times ha rievocato il commissario Kaganovich mentre, in piedi fra le macerie della cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca, la principale delle chiese che fece distruggere, esclamava ebbro di stupro: «Abbiamo umiliato la Madre Russia; le abbiamo strappato la gonna».

Kaganovich, figlio di ciabattino ebreo, è morto nel 1991 nel suo letto, mai molestato, con la ricca pensione dell’alto funzionario sovietico.

Solo nel 2003 Simon Sebag Montefiore ha rievocato il sadidsmo massacratore di Yagoda, il capo supremo dei Gulag; e di come, dopo aver fatto trucidare Zinov’ev e Kamenev, avesse fatto recuperare i proiettili dal loro cranio per conservarli, puliti e incastonati su piedistalli, insieme alla sua ricca collezione di 3900 foto e 11 film pornografici, 165 pipe e portasigarette ornate di immagini oscene, falli di gomma e montagne di biancheria intima femminile.

Ma nel 1935, quando Yagoda era all’apice del potere, lo scrittore ebreo francese Romain Rolland , premio Nobel, scrisse un inno in lode ed esaltazione del mostro.

Ecco, qualcosa del genere succede adesso. Con Angelo Panebianco e suoi compari nei panni dei Rolland, degli Aragon e dei Sartre, o dei Moravia & C. La sola differenza è che chi diceva la verità allora, era bollato come reazionario e fascista, ridotto allo stato di non-persona; oggi, come anti-semita e criminalizzato. Ma il clima è lo stesso, lo stesso il «sapore» della difesa dello stesso potere, con la stessa impronta.

Solo così si spiega che un Panebianco possa scrivere frasi come: «Richard Falk, il relatore speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi, rappresentante dell’Human Right Council alle Nazioni Unite, sta usando la sua carica e la sponsorizzazione dell’ONU per fare propaganda pro-Hamas e anti-israeliana». (ebreo americano, docente di diritto internazionale a Princeton, Falk è stato respinto alla frontiera da Israele perchè non fosse testimone della verità).

Questo tipo di frasi, per uno della mia età, suona molto «sovietico» . Vuol dire che simili frasi sono state, diciamo, autorizzate.

Quindi solo a futura memoria, non certo per convincere Panebianco (che è ben pagato per fare quello che fa) traduco qui alcune citazioni di capo sionisti famosi, che ci dicono quanto valore essi diano alla vita umana, non solo dei goym, ma anche dei loro ebrei.

David Ben Gurion, durante la guerra: «Se io sapessi che è possibile salvare tutti i figli (ebrei) di Germania trasferendoli in Inghilterra, e solo metà di loro trasferendoli nella terra di Israele, sceglierei la seconda possibilità; perchè di fronte a noi non abbiamo solo il numero di questi figli, ma il progetto storico del popolo di Israele» (Shabtai Teveth, «Ben Gurion», 1988,).

«Dobbiamo usare il terrore, l’assassinio, l’intimidazione, la confisca dei terreni e il taglio di tutti i servizi sociali per liberare la Galilea dalla sua popolazione araba» (David Ben-Gurion, maggio 1948, to the General Staff. Da «Ben-Gurion, A Biography», di y Michael Ben-Zohar, Delacorte, New York 1978).

«Dobbiamo espellere arabi e prendere i loro posti» –(David Ben Gurion, 1937, «Ben Gurion and the Palestine Arabs» Shabtai Teveth, Oxford University Press, 1985).

«Non esiste qualcosa come un popolo palestinese. Non è che siamo venuti, li abbiamo buttati fuori e abbiamo preso il loro paese. Essi non esistevano» (Golda Meir,dichiarazione al The Sunday Times, 15 giugno 1969).

«Come possiamo restituire I territor occupati? Non c’è nessuno a cui restituirli» ( Golda Meir, marzo, 1969).

«...Uscimmo fuori, e Ben Gurion ci accompagnò sulla porta. Allon ripetè la sua domanda: cosa si deve fare con la popolazione palestinese? Ben Gurion scosse la mano con un gesto che diceva: cacciarli fuori». (Yitzhak Rabin,è un passo censurato delle memorie di Rabin, rivelato dal New York Times, 23 ottobrer 1979)

«Saranno create, nel corso dei 10 o 20 anni prossimi, condizioni tali da attrarre la naturale e volontaria emigrazione dei rifugiati da Gaza e dalla Cisgiordania verso la Giordania. Per ottenere questo dobbiamo accordarci con re Hussein e non con Yasser Arafat». (Yitzhak Rabin, citato dn David Shipler sul New York Times, 04/04/1983)

«I palestinesi sono bestie con due zampe» (Menachem Begin,primo ministro di Israele 1977-83, davanti alla Knesset, citato da Amnon Kapeliouk, "Begin and the Beasts", New Statesman, June 25, 1982.)

«La partizione della Palestina è illegale. Non sarà mai riconosciuta... Gerusalenne fu e sarà per sempre la nostra capitale. Eretz Israel sarà restaurato per il popolo d’Israele; tutto e per sempre» (Menachem Begin, il giorno dopo il voto all’Onu per la partizione della Palestina).

«I palestinesi saranno schiacciati come cavallette... le teste spaccate contro le rocce e i muri» ( Yitzhak Shamir, primo ministro in carica, in un discorso ai «coloni» ebraici, New York Times 1 aprile, 1988).

«Israele doveva sfruttare la repressione delle dimostrazioni in Cina (nei giorni di Tienanmen, ndr.) quando l’attenzione del mondo era concentrata su quel paese, per procedere alle espulsioni di massa degli arabi dei territori (occupati)» (Benyamin Netanyahu, all’epoca vice-ministro degli esteri, già primo ministro, davanti agli studenti della t Bar Ilan University; citazione tratta dal giornale isrealiano Hotam, 24 novembre 1989).

«I palestinesi sono come coccodrilli, più carne gli dai e più ne vogliono» (Ehud Barak, primo ministro all’epoca, 28 agosto 2000. Riportato dal Jerusalem Post 30 agosto 2000).

«Se pensassimo che anzichè 200 morti palestinesi, 2 mila morti ponessero fine alla guerriglia in un colpo solo, useremmo molto più forza…» (Ehud Barak, primo ministro, citato dalla Associated Press, 16 novembre 2000).

«Mi sarei arruolato in una organizzazione terroristica»: (risposta di - Ehud Barak a Gideon Levy, il noto giornalista di Ha'aretz che gli aveva domandato cosa avrebbe fatto se fosse nato palestinese)

«C’è un abisso tra noi (ebrei) e i nostri nemici: non solo in capacità ma in moralità, cultura, decenza di vita e coscienza. Sono i nostri vicini, ma è come se non appartenessero al nostro continente, al nostro mondo, ma a una diversa galassia» (Moshe Katsav, presidente di Israele, al Jerusalem Post, 10 maggio 2001. Katsav ha poi dovuto dimettersi per molestie sessuali alle sue segretarie).

«Noi dichiariamo apertamente che gli arabi non hanno alcun diritto di abitare anche in un centimetro di Eretz Israel... Capiscono solo la forza. Noi useremo la forza senza limiti finchè i palestinesi non vengano strisciando a noi» (Rafael Eitan, capo dello stato maggiore di Tsahal, citato da Gad Becker in «Yedioth Ahronot», 13 aprile 1983).

«E’ dovere dei leader israeliani spiegare all’opinione pubblica, con chiarezza e coraggio, alcuni fatti che col tempo sono stati dimenticati. Il primo è: non c’è sionismo, colonizzazione o stato ebraico senza l’espulsione degli arabi e la confisca delle loro terre» (Ariel Sharon, allora ministro degli esteri, ad un discorso tenuto davanti ai militanti del partito di estrema destra Tsomet – Agence France Presse, 15 novembre 1998).

«Ciascuno deve darsi una mossa, correre e arraffare quante più alture possibile per espandere gli insediamenti (ebraici), perchè tutto ciò che prendiamo adesso rimarrà nostro... Tutto ciò che non arraffiamo andrà a loro» (Ariel Sharon, stesso discorso di cui sopra).

«Israele ha il diritto di processare altri, ma nessuno ha il diritto di mettere sotto processo il popolo ebraico e lo Stato di Israele» (Sharon, primo ministro, 25 marzo 2001, BBC Online).

Queste citazioni sono sufficienti a capire qual è lo scopo delle incursioni in corso, e qual è lo scopo di Israele in generale: la pulizia etnica e l’espulsione forzata, a forza di massacri, dei palestinesi dalla «terra santa».

Negli anni ’30, si sarebbero potute estrarre identiche affermazioni (a favore del «socialismo mondiale») dai discorsi di Kaganovic, di Yagoda, di Trotsky-Bronstein; ciò non avrebbe indotto i Panebianco dell’epoca a un ripensamento.

A quell’epoca, gli ebrei erano per il socialismo, e dunque la menzogna più plateale era autorizzata; oggi che sono per il sionismo armato, è autorizzata la menzogna sionista.

Quando Panebianco esalta il superiore «valore della vita» umana che gli ebrei nutrirebbero rispetto ad Hamas, non fa che riecheggiare i discorsi della propaganda ebraica.

Per esempio la replica del rabbino Levi Brackman a Sarah Roy, una docente di Harvard che sul Christian Science Monitor si è chiesta angosciata di fronte ai bombardamenti spietati: «Abbiamo ancora la tradizione etica ebraica? La promessa di santità, così centrale alla nostra esistenza, è oggi oltre la nostra capacità di perseguirla?».

Risponde rabbi Brackman (1): «Sarah Roy scrive che essere ebrei significa ‘testimoniare, sollevarsi davanti all’ingiustizia e rifiutare di tacere. Significa compassione, tolleranza, e soccorso. In assenza di questi imperativi, cessiamo di essere ebrei’. Ma una più profonda lettura dell’ebraismo mostra che sì, gli ebrei sono un popolo definito dalla loro capacità di compassione e tolleranza; ma ci sono momenti in cui ci è vietato di agire secondo questi sentimenti perchè tali azioni sarebbero distruttive. E’ importante sentire compassione per i residenti di Gaza, ma questo sentimento di preoccupazione e simpatia non deve esere confuso con la chiarezza etica e morale. Al contrario, decidere di non montare una difesa contro terroristi omicidi per compassione, non è solo immorale, è anti-ebraico, idiota e profondamente irresponsabile».

Bel discorso, no? Ma anche rabbi Beckman non è l’autore di questo civile ragionamento. Ecco l’originale:

«…Dobbiamo essere onesti, decenti, leali e membri camerateschi verso la nostra stirpe e nessun altro.... Non dobbiamo mai essere duri e spietati quando non è necessario, questo è chiaro. Noi tedeschi, che siamo il solo popolo del mondo che ha un atteggiamento morale verso gli animali, dobbiamo avere un atteggiamento morale anche verso questi animali umani. Ma è un delitto contro il nostro sangue preoccuparsi di loro, se questo causa problemi ai nostri figli e nipoti. Quando qualcuno viene da me e mi dice, “Non posso scavare la trincea anticarro usando donne e bambini, è inumano, li espone alla morte’, io rispondo: ‘Tu sei un assassino del tuo stesso sangue, perchè se la trincea anticarro non è scavata, moriranno soldati tedeschi, e sono figli di madri tedesche, sono il nostro sangue”».

Chi parla? Heinrich Himmler, nel celebre discorso di Posen (Poznan) agli alti ufficiali SS (SS-Gruppenfueher) pronunciato il 4 ottobre 1943 (2).

Si è detto che tutti coloro che in Germania non si opposero al Reich, e magari ne celebrarono le lodi, erano «volonterosi carnefici di Hitler».

Oggi, sul Corriere vantano la superiore moralità ebraica altrettanti volontari carnefici; poichè solo la deplorazione e l’indignazione pubblica, sui media, potrebbe frenare il massacro degli inermi, il pubblico applauso corale dei media occidentali, al contrario, incoreaggia nuove e peggiori imprese SS (soldati sionisti).

E poichè la lode corale va all’attuale ministro della difesa Ehud Barak, converrà ricordare che «Barak» non è il suo vero nome, è un nome di battaglia: significa «Fulmine». In tedesco, Blitz.

Maurizio Blondet

Nessun commento:

10 gennaio 2009

I carnefici di regime spiegano...

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Angelo Panebianco sul Corriere di domenica: «Fra le molte asimmetrie del conflitto c’è anche quella rappresentata dal diverso valore attribuito dai contendenti alla vita umana. Per gli uomini di Hamas, come per Hezbollah in Libano, la vita (anche quella degli appartenenti al proprio popolo) vale talmente poco che essi non hanno alcun problema a usare i civili, compresi i bambini e le donne, come scudi umani. Per gli israeliani, le cose stanno differentemente. Cercano di limitare il più possibile le ingiurie alla popolazione civile...».

Quando menzogne così disonorevoli, sputi sulle vittime, vengono scritte sui giornali autorevoli da autorevoli commentatori, chi ha un po’ di esperienza storica sa che qualcosa è successo.

Gli vengono a mente i precedenti: per mezzo secolo, finchè il comunismo sovietico ebbe il favore della intellettualità ebraica, questo tipo di menzogne di sapore inequivocabile – aperte violazioni della verità evidente – erano pane quotidiano sui giornali non solo comunisti, ma progressisti e delle borghesie illuminate d’Europa.

Nel 1932-33, mentre Lazar Moiseyevich Kaganovich, numero 2 del Partito, procedeva alla requisione forzata dei grani in Ucraina, con fucilazioni dei contadini e provocando la morte per fame di 7 milioni di esseri umani, non era raro trovare articoli dove si gettava la colpa sui «kulaki», come «sabotatori» che «sottraevano il grano all’ammasso». Fior di scrittori tornavano dall’URSS magnificando, in articoli estasiati, la felicità e l’abbondanza che il sistema sovietico aveva regalato ai russi.

L’assoluta maggioranza degli intellettuali, non solo comunisti, insorgeva se qualche (rara) voce si alzava a rivelare che in URSS vigeva il Terrore poliziesco e milioni di esseri umani innocenti stavano scomparendo nel vasto arcipelago Gulag, gestito dal capo supremo della repressione, Genrich Yagoda, e da 500 mila ebrei comunisti che avevano trovato un ben pagato lavoro nella Ghepeù, poi NKVD, poi KGB: erano tutte «calunnie» contro lo «Stato dei lavoratori» che aveva «liberato il proletariato»; per adesso in un solo Paese, ma gli intellettuali aperti e progressisti auspicavano che il paradiso sovietico arrivasse al più presto a liberare anche noi.

Solo dopo la denuncia ufficiale di Kruscev lo stesso Corriere osò ammettere i «crimini di Stalin». I crimini di Lazar Moiseyevich Kaganovich non sono mai stati evocati, anche se è stato pari grado di Stalin, l’autore non solo dell’holodmor, del genocidio ucraino, ma della eradicazione del cristianesimo in Russia.

Solo il 26 settembre 1995 il New York Times ha rievocato il commissario Kaganovich mentre, in piedi fra le macerie della cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca, la principale delle chiese che fece distruggere, esclamava ebbro di stupro: «Abbiamo umiliato la Madre Russia; le abbiamo strappato la gonna».

Kaganovich, figlio di ciabattino ebreo, è morto nel 1991 nel suo letto, mai molestato, con la ricca pensione dell’alto funzionario sovietico.

Solo nel 2003 Simon Sebag Montefiore ha rievocato il sadidsmo massacratore di Yagoda, il capo supremo dei Gulag; e di come, dopo aver fatto trucidare Zinov’ev e Kamenev, avesse fatto recuperare i proiettili dal loro cranio per conservarli, puliti e incastonati su piedistalli, insieme alla sua ricca collezione di 3900 foto e 11 film pornografici, 165 pipe e portasigarette ornate di immagini oscene, falli di gomma e montagne di biancheria intima femminile.

Ma nel 1935, quando Yagoda era all’apice del potere, lo scrittore ebreo francese Romain Rolland , premio Nobel, scrisse un inno in lode ed esaltazione del mostro.

Ecco, qualcosa del genere succede adesso. Con Angelo Panebianco e suoi compari nei panni dei Rolland, degli Aragon e dei Sartre, o dei Moravia & C. La sola differenza è che chi diceva la verità allora, era bollato come reazionario e fascista, ridotto allo stato di non-persona; oggi, come anti-semita e criminalizzato. Ma il clima è lo stesso, lo stesso il «sapore» della difesa dello stesso potere, con la stessa impronta.

Solo così si spiega che un Panebianco possa scrivere frasi come: «Richard Falk, il relatore speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi, rappresentante dell’Human Right Council alle Nazioni Unite, sta usando la sua carica e la sponsorizzazione dell’ONU per fare propaganda pro-Hamas e anti-israeliana». (ebreo americano, docente di diritto internazionale a Princeton, Falk è stato respinto alla frontiera da Israele perchè non fosse testimone della verità).

Questo tipo di frasi, per uno della mia età, suona molto «sovietico» . Vuol dire che simili frasi sono state, diciamo, autorizzate.

Quindi solo a futura memoria, non certo per convincere Panebianco (che è ben pagato per fare quello che fa) traduco qui alcune citazioni di capo sionisti famosi, che ci dicono quanto valore essi diano alla vita umana, non solo dei goym, ma anche dei loro ebrei.

David Ben Gurion, durante la guerra: «Se io sapessi che è possibile salvare tutti i figli (ebrei) di Germania trasferendoli in Inghilterra, e solo metà di loro trasferendoli nella terra di Israele, sceglierei la seconda possibilità; perchè di fronte a noi non abbiamo solo il numero di questi figli, ma il progetto storico del popolo di Israele» (Shabtai Teveth, «Ben Gurion», 1988,).

«Dobbiamo usare il terrore, l’assassinio, l’intimidazione, la confisca dei terreni e il taglio di tutti i servizi sociali per liberare la Galilea dalla sua popolazione araba» (David Ben-Gurion, maggio 1948, to the General Staff. Da «Ben-Gurion, A Biography», di y Michael Ben-Zohar, Delacorte, New York 1978).

«Dobbiamo espellere arabi e prendere i loro posti» –(David Ben Gurion, 1937, «Ben Gurion and the Palestine Arabs» Shabtai Teveth, Oxford University Press, 1985).

«Non esiste qualcosa come un popolo palestinese. Non è che siamo venuti, li abbiamo buttati fuori e abbiamo preso il loro paese. Essi non esistevano» (Golda Meir,dichiarazione al The Sunday Times, 15 giugno 1969).

«Come possiamo restituire I territor occupati? Non c’è nessuno a cui restituirli» ( Golda Meir, marzo, 1969).

«...Uscimmo fuori, e Ben Gurion ci accompagnò sulla porta. Allon ripetè la sua domanda: cosa si deve fare con la popolazione palestinese? Ben Gurion scosse la mano con un gesto che diceva: cacciarli fuori». (Yitzhak Rabin,è un passo censurato delle memorie di Rabin, rivelato dal New York Times, 23 ottobrer 1979)

«Saranno create, nel corso dei 10 o 20 anni prossimi, condizioni tali da attrarre la naturale e volontaria emigrazione dei rifugiati da Gaza e dalla Cisgiordania verso la Giordania. Per ottenere questo dobbiamo accordarci con re Hussein e non con Yasser Arafat». (Yitzhak Rabin, citato dn David Shipler sul New York Times, 04/04/1983)

«I palestinesi sono bestie con due zampe» (Menachem Begin,primo ministro di Israele 1977-83, davanti alla Knesset, citato da Amnon Kapeliouk, "Begin and the Beasts", New Statesman, June 25, 1982.)

«La partizione della Palestina è illegale. Non sarà mai riconosciuta... Gerusalenne fu e sarà per sempre la nostra capitale. Eretz Israel sarà restaurato per il popolo d’Israele; tutto e per sempre» (Menachem Begin, il giorno dopo il voto all’Onu per la partizione della Palestina).

«I palestinesi saranno schiacciati come cavallette... le teste spaccate contro le rocce e i muri» ( Yitzhak Shamir, primo ministro in carica, in un discorso ai «coloni» ebraici, New York Times 1 aprile, 1988).

«Israele doveva sfruttare la repressione delle dimostrazioni in Cina (nei giorni di Tienanmen, ndr.) quando l’attenzione del mondo era concentrata su quel paese, per procedere alle espulsioni di massa degli arabi dei territori (occupati)» (Benyamin Netanyahu, all’epoca vice-ministro degli esteri, già primo ministro, davanti agli studenti della t Bar Ilan University; citazione tratta dal giornale isrealiano Hotam, 24 novembre 1989).

«I palestinesi sono come coccodrilli, più carne gli dai e più ne vogliono» (Ehud Barak, primo ministro all’epoca, 28 agosto 2000. Riportato dal Jerusalem Post 30 agosto 2000).

«Se pensassimo che anzichè 200 morti palestinesi, 2 mila morti ponessero fine alla guerriglia in un colpo solo, useremmo molto più forza…» (Ehud Barak, primo ministro, citato dalla Associated Press, 16 novembre 2000).

«Mi sarei arruolato in una organizzazione terroristica»: (risposta di - Ehud Barak a Gideon Levy, il noto giornalista di Ha'aretz che gli aveva domandato cosa avrebbe fatto se fosse nato palestinese)

«C’è un abisso tra noi (ebrei) e i nostri nemici: non solo in capacità ma in moralità, cultura, decenza di vita e coscienza. Sono i nostri vicini, ma è come se non appartenessero al nostro continente, al nostro mondo, ma a una diversa galassia» (Moshe Katsav, presidente di Israele, al Jerusalem Post, 10 maggio 2001. Katsav ha poi dovuto dimettersi per molestie sessuali alle sue segretarie).

«Noi dichiariamo apertamente che gli arabi non hanno alcun diritto di abitare anche in un centimetro di Eretz Israel... Capiscono solo la forza. Noi useremo la forza senza limiti finchè i palestinesi non vengano strisciando a noi» (Rafael Eitan, capo dello stato maggiore di Tsahal, citato da Gad Becker in «Yedioth Ahronot», 13 aprile 1983).

«E’ dovere dei leader israeliani spiegare all’opinione pubblica, con chiarezza e coraggio, alcuni fatti che col tempo sono stati dimenticati. Il primo è: non c’è sionismo, colonizzazione o stato ebraico senza l’espulsione degli arabi e la confisca delle loro terre» (Ariel Sharon, allora ministro degli esteri, ad un discorso tenuto davanti ai militanti del partito di estrema destra Tsomet – Agence France Presse, 15 novembre 1998).

«Ciascuno deve darsi una mossa, correre e arraffare quante più alture possibile per espandere gli insediamenti (ebraici), perchè tutto ciò che prendiamo adesso rimarrà nostro... Tutto ciò che non arraffiamo andrà a loro» (Ariel Sharon, stesso discorso di cui sopra).

«Israele ha il diritto di processare altri, ma nessuno ha il diritto di mettere sotto processo il popolo ebraico e lo Stato di Israele» (Sharon, primo ministro, 25 marzo 2001, BBC Online).

Queste citazioni sono sufficienti a capire qual è lo scopo delle incursioni in corso, e qual è lo scopo di Israele in generale: la pulizia etnica e l’espulsione forzata, a forza di massacri, dei palestinesi dalla «terra santa».

Negli anni ’30, si sarebbero potute estrarre identiche affermazioni (a favore del «socialismo mondiale») dai discorsi di Kaganovic, di Yagoda, di Trotsky-Bronstein; ciò non avrebbe indotto i Panebianco dell’epoca a un ripensamento.

A quell’epoca, gli ebrei erano per il socialismo, e dunque la menzogna più plateale era autorizzata; oggi che sono per il sionismo armato, è autorizzata la menzogna sionista.

Quando Panebianco esalta il superiore «valore della vita» umana che gli ebrei nutrirebbero rispetto ad Hamas, non fa che riecheggiare i discorsi della propaganda ebraica.

Per esempio la replica del rabbino Levi Brackman a Sarah Roy, una docente di Harvard che sul Christian Science Monitor si è chiesta angosciata di fronte ai bombardamenti spietati: «Abbiamo ancora la tradizione etica ebraica? La promessa di santità, così centrale alla nostra esistenza, è oggi oltre la nostra capacità di perseguirla?».

Risponde rabbi Brackman (1): «Sarah Roy scrive che essere ebrei significa ‘testimoniare, sollevarsi davanti all’ingiustizia e rifiutare di tacere. Significa compassione, tolleranza, e soccorso. In assenza di questi imperativi, cessiamo di essere ebrei’. Ma una più profonda lettura dell’ebraismo mostra che sì, gli ebrei sono un popolo definito dalla loro capacità di compassione e tolleranza; ma ci sono momenti in cui ci è vietato di agire secondo questi sentimenti perchè tali azioni sarebbero distruttive. E’ importante sentire compassione per i residenti di Gaza, ma questo sentimento di preoccupazione e simpatia non deve esere confuso con la chiarezza etica e morale. Al contrario, decidere di non montare una difesa contro terroristi omicidi per compassione, non è solo immorale, è anti-ebraico, idiota e profondamente irresponsabile».

Bel discorso, no? Ma anche rabbi Beckman non è l’autore di questo civile ragionamento. Ecco l’originale:

«…Dobbiamo essere onesti, decenti, leali e membri camerateschi verso la nostra stirpe e nessun altro.... Non dobbiamo mai essere duri e spietati quando non è necessario, questo è chiaro. Noi tedeschi, che siamo il solo popolo del mondo che ha un atteggiamento morale verso gli animali, dobbiamo avere un atteggiamento morale anche verso questi animali umani. Ma è un delitto contro il nostro sangue preoccuparsi di loro, se questo causa problemi ai nostri figli e nipoti. Quando qualcuno viene da me e mi dice, “Non posso scavare la trincea anticarro usando donne e bambini, è inumano, li espone alla morte’, io rispondo: ‘Tu sei un assassino del tuo stesso sangue, perchè se la trincea anticarro non è scavata, moriranno soldati tedeschi, e sono figli di madri tedesche, sono il nostro sangue”».

Chi parla? Heinrich Himmler, nel celebre discorso di Posen (Poznan) agli alti ufficiali SS (SS-Gruppenfueher) pronunciato il 4 ottobre 1943 (2).

Si è detto che tutti coloro che in Germania non si opposero al Reich, e magari ne celebrarono le lodi, erano «volonterosi carnefici di Hitler».

Oggi, sul Corriere vantano la superiore moralità ebraica altrettanti volontari carnefici; poichè solo la deplorazione e l’indignazione pubblica, sui media, potrebbe frenare il massacro degli inermi, il pubblico applauso corale dei media occidentali, al contrario, incoreaggia nuove e peggiori imprese SS (soldati sionisti).

E poichè la lode corale va all’attuale ministro della difesa Ehud Barak, converrà ricordare che «Barak» non è il suo vero nome, è un nome di battaglia: significa «Fulmine». In tedesco, Blitz.

Maurizio Blondet

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