11 settembre 2009

Destra e sinistra: sempre più una convenzione


1. Da tempo ormai sta diventando opinione comune che la distinzione tra destra e sinistra è sempre più labile e indistinta. Adesso poi, con certi atteggiamenti smaccati di Fini, le nette separazioni sembrano cadute. Anch’io ho parlato spesso di “gioco degli specchi”, volendo ricordare che, pur nella confusione tra i due schieramenti, possono a volte sussistere differenze di “fisionomia”. Tuttavia, ho l’impressione che spesso l’attuale non distinzione venga presa come una diversità netta rispetto soprattutto a presunti antagonismi di un tempo. Bisognerebbe invece ricordare che, in Italia, il trasformismo della sinistra risale addirittura al Governo Depretis del 1876. Non si creda però che altrove si sia avuta una chiara divaricazione tra i due schieramenti; non sempre almeno.

Cominciamo con il dire che sinistra e destra sono considerate, per chi viene da una tradizione effettivamente antagonistica, correnti “borghesi”, comunque dei dominanti nelle società di tipologia capitalistica; correnti del tutto integrate nella riproduzione sistemica di tale forma di società, di cui hanno sempre rappresentato alternative riguardanti modalità di poco diseguali per conseguire le medesime finalità. Se immaginiamo che la politica, nel capitalismo, sia un fiume, potremmo pensare a due suoi rami che corrono grosso modo paralleli, dirigendosi verso la stessa foce. Nel bel film La villeggiatura (di Marco Leto), rivolgendosi al “villeggiante” (condannato al confino) prof. Rossini, inizialmente liberale, che teneva lezioni sulla storia d’Italia fino alla presa del potere da parte del fascismo, l’operaio comunista ad un certo punto sbotta (cito il senso, non le autentiche parole pronunciate nel film): “perché lei continua a parlare della destra e della sinistra? Ci sono la destra, la sinistra e la sinistra di classe”.
Mi permetto di rilevare un errore, giacché la sinistra di classe è il comunismo. In ogni caso, il senso è chiaro: le prime due correnti fluiscono lungo alvei paralleli, l’unica che si distacca e vuol dirigersi altrove è la terza. Da una parte, dunque, due forme differenti di lubrificazione della stessa “macchina” sociale; dall’altra, la volontà di inceppare la stessa e di proporre, per via rivoluzionaria, una sua drastica trasformazione, indirizzandola verso la riproduzione di rapporti sociali pensati come comunisti. Qui arriviamo al punto decisivo. In altre parti d’Europa, molto prima che in Italia (e per certi versi in Francia e paesi latini), ma in modo assai netto nel mondo anglosassone e scandinavo, ecc., il comunismo è sparito da gran tempo e le due correnti “borghesi” (uso apposta un termine un po’ vetusto) appaiono quale unico orizzonte politico; per cui ci si è pigramente adattati alla distinzione tra destra e sinistra – sempre più esile di senso – senza troppi problemi.

2. In Italia è stato diverso poiché esisteva alcuni decenni fa, nella coscienza di strati popolari (operai e contadini) non esigui, il sentimento dell’antagonismo tra comunismo (non semplicemente “sinistra di classe”) e le correnti “borghesi”. Solo che, come si evince anche dal bell’articolo di Berlendis, la prima corrente, per ragioni internazionali (patto di Yalta con divisione del mondo in due “campi”, ecc.) e interne, si è andata progressivamente adattando, nei suoi vertici dirigenti, alla riproduzione dei rapporti capitalistici. Così, insensibilmente, il comunismo è stato via via pensato quale semplice parte della sinistra; un po’ più radicale dell’altra, ma progressivamente sempre meno radicale. Si è prodotto uno iato crescente tra gruppi dirigenti del Pci e base popolare, in cui – sia pure in modo viepiù sbiadito – rimaneva una “memoria” dell’antagonismo “al sistema”. La rottura più netta si è prodotta tra ceti intellettuali e assimilati – in specie quelli dei settori improduttivi (non dico inutili, pur se spesso sono anche questo, anzi nocivi) del settore “pubblico” o da questo alimentati finanziariamente – e la base popolare.

In Italia, dunque, la sempre più scarsa distinguibilità, e la trasversalità, tra destra e sinistra è frutto di una sorta di “mutazione genetica” subita dal comunismo italiano. Quando poi si è verificato il crollo del campo detto socialista – cui il Pci era ormai lontano, non avendo però ancora rotto con esso ogni legame ombelicale (quasi soltanto finanziario) – è avvenuto “l’ultimo scatto” verso il pieno schieramento atlantico, cioè filoamericano, perdendo ogni pur piccola “eco” di ciò che fu il comunismo, quanto meno come ideologia e presa di posizione antisistema; “scatto” sanzionato da ripetuti cambi di nome e di sostanza, cioè di iscritti e base elettorale. Così, qualcuno ha vissuto gli ultimi anni come si trattasse di un’autentica confusione tra destra e sinistra. La confusione, l’illanguidirsi di una distinzione, c’è senz’altro e non solo in Italia; tuttavia, qui da noi l’impressione è stata decisamente superiore per il fatto di questa graduale trasformazione del comunismo in sinistra, che ha cancellato ogni vestigia della critica anticapitalistica e antistatunitense (salvo che in pochi zombi, più dannosi ancora nella loro vetustà).

3. Pensare di invertire oggi il flusso della trasformazione storica, ricostituendo forme esangui e utopiche di comunismo e antiquato antimperialismo, è pura illusione (quando non sia solo un ulteriore “tradimento” a scoppi successivi e ritardati, utili a impedire ogni sano ripensamento). Intendiamoci bene: il laido viso del tradimento è ben limpido davanti a chi vuol vedere. La “sinistra – cioè il comunismo divenuto sinistra – è questo viso; per il semplice motivo che ogni processo oggettivo forgia i suoi agenti. E’ certo il tradimento a creare i traditori. Tuttavia, bisogna tenere ben presenti le due lame della forbice se si vuol tagliare (e non tagliarsi). Il tradimento è stato oggettivamente provocato dall’impossibilità di costruzione del socialismo (e comunismo) per errori pratici indotti da gravi errori di teoria. Quest’ultima aveva indicato la possibilità (anzi certezza) di mettere in moto dati processi, possibilità invece oggettivamente insussistente. La conseguente incapacità degli agenti, di dare vita ad un’effettiva transizione al socialismo, ha indotto gli stessi (in quanto guida della “schiera” che credeva di marciare in quella direzione) a coprire gli insuccessi – spesso inconsapevolmente, almeno all’inizio del loro tentativo – con la pura ideologia, magari gridando al sabotaggio dei commilitoni e seguaci. Alla fine però, quando si è capito o intuito che tutto era perduto, gli ultimi dirigenti del movimento diventarono reali traditori; in quel momento, assunsero il comando i più spregevoli, i più meschini, i veri ignobili individui dall’animo nero come la pece.

E’ obbligo morale denunciare e combattere i traditori, indicarli come esempio di bassezza senza limiti. Tuttavia, tale atteggiamento va accompagnato dall’analisi del processo che ha condotto al tradimento, e che difficilmente avrebbe potuto produrre qualcosa di positivo. In ogni caso, però, dobbiamo oggi concludere per l’impossibilità di una qualsiasi ripresa di una critica “antisistema”, in assenza di un ripensamento generale che solo in pochi hanno iniziato, mentre la maggioranza è passata al “sistema” e una piccola minoranza di ritardatari si ostina a sguazzare nel vecchio pantano. Sul comunismo stendiamo momentaneamente (una fase storica) il silenzio; perché parlarne senza analisi – e senza nuove categorie d’analisi – è da sciocchi o da mascalzoni; significa produrre idee fantasmagoriche della “novella società”, che non hanno una qualsiasi possibilità di convincere se non pochi dissennati.

4. In questo senso, e solo in questo, va inteso il programma di studiare e comprendere la transizione d’epoca che sembra in corso di svolgimento adesso. In tale passaggio storico, permangono alcune forme di lotta dei raggruppamenti sociali (non classi) subordinati che, pur con forme apparentemente nuove, ripetono invece il sostanziale “tradunionismo” delle vecchie. Non si tratta di contrastare tali lotte; anzi, nei limiti del possibile, di appoggiarle. Senza però illusioni. Non sono forme di lotta che spostano reali equilibri nei rapporti di forza tra chi sta sopra e chi sta sotto. Sono le lotte tra dominanti – e soprattutto nei loro effetti di conflitto tra più compartimenti degli stessi sul piano internazionale – a provocare effettivi mutamenti fortemente dinamici in questa fase storica. La crisi economica è solo la “passerella” su cui sfilano attori reali che tuttavia coprono quelli decisivi e assai meno appariscenti (non però del tutto nascosti).

Ciò che appare non è. Formula che tuttavia può indurre in errore. Diciamo meglio: ciò che è in vivida luce attira i nostri sguardi e così non vediamo quanto sarebbe più essenziale vedere. Chi manovra i riflettori illumina gli attori (spesso guitti da avanspettacolo) e lascia in (pen)ombra i ben più efficaci suggeritori. In questo nostro paese, tra gli attori illuminati chi troviamo? Vecchie conoscenze: i traditori del comunismo. Quel vecchio tradimento è ormai consumato; utile riparlarne solo in sede storica per comprendere le radici del tradimento odierno. Con animo immutato, infatti, questi deformi nanetti vogliono ripetere lo stesso “scherzo” nell’attuale fase di transizione ad altra epoca, in attuazione mediante la nuova lotta tra dominanti in campo internazionale; mi riferisco alle più volte da noi trattata conflittualità tendenzialmente multipolare che si va instaurando.
E ancora una volta ripeto: questo tradimento va studiato nelle sue determinanti oggettive: quelle del conflitto che – grazie alla “legge” dello sviluppo ineguale delle varie formazioni particolari – si sta instaurando tra Usa e nuove potenze in gestazione. Dobbiamo comprendere le forme di tale conflitto, rifarci a quello precedente (epoca dell’imperialismo) per individuarne le differenze, che implicano diversità della strutturazione sociale dei capitalismi in lotta. Senza mai dimenticare però i traditori, quelli che intendono mettere in svendita gli interessi del paese. E’ a mio avviso superficiale sostenere che tutto ciò riguarda solo i dominanti, mentre noi dovremmo interessarci soltanto dei dominati. Questi ultimi, lo si capisca infine, resteranno a lungo a lottare in quanto dominati, e per di più a livelli di vita in peggioramento, che non ha mai favorito – di per sé, in mancanza di un conflitto lacerante tra i dominanti di vari paesi – la trasformazione anticapitalistica. Intanto, individuiamo i caratteri del conflitto nella fase attuale e come si muovono in esso i traditori degli interessi di ogni dato paese (che sia tra quelli delle rivoluzioni “colorate”, o uno di quelli europei in apnea, o il nostro a rischio di collasso).
di Gianfranco La Grassa

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11 settembre 2009

Destra e sinistra: sempre più una convenzione


1. Da tempo ormai sta diventando opinione comune che la distinzione tra destra e sinistra è sempre più labile e indistinta. Adesso poi, con certi atteggiamenti smaccati di Fini, le nette separazioni sembrano cadute. Anch’io ho parlato spesso di “gioco degli specchi”, volendo ricordare che, pur nella confusione tra i due schieramenti, possono a volte sussistere differenze di “fisionomia”. Tuttavia, ho l’impressione che spesso l’attuale non distinzione venga presa come una diversità netta rispetto soprattutto a presunti antagonismi di un tempo. Bisognerebbe invece ricordare che, in Italia, il trasformismo della sinistra risale addirittura al Governo Depretis del 1876. Non si creda però che altrove si sia avuta una chiara divaricazione tra i due schieramenti; non sempre almeno.

Cominciamo con il dire che sinistra e destra sono considerate, per chi viene da una tradizione effettivamente antagonistica, correnti “borghesi”, comunque dei dominanti nelle società di tipologia capitalistica; correnti del tutto integrate nella riproduzione sistemica di tale forma di società, di cui hanno sempre rappresentato alternative riguardanti modalità di poco diseguali per conseguire le medesime finalità. Se immaginiamo che la politica, nel capitalismo, sia un fiume, potremmo pensare a due suoi rami che corrono grosso modo paralleli, dirigendosi verso la stessa foce. Nel bel film La villeggiatura (di Marco Leto), rivolgendosi al “villeggiante” (condannato al confino) prof. Rossini, inizialmente liberale, che teneva lezioni sulla storia d’Italia fino alla presa del potere da parte del fascismo, l’operaio comunista ad un certo punto sbotta (cito il senso, non le autentiche parole pronunciate nel film): “perché lei continua a parlare della destra e della sinistra? Ci sono la destra, la sinistra e la sinistra di classe”.
Mi permetto di rilevare un errore, giacché la sinistra di classe è il comunismo. In ogni caso, il senso è chiaro: le prime due correnti fluiscono lungo alvei paralleli, l’unica che si distacca e vuol dirigersi altrove è la terza. Da una parte, dunque, due forme differenti di lubrificazione della stessa “macchina” sociale; dall’altra, la volontà di inceppare la stessa e di proporre, per via rivoluzionaria, una sua drastica trasformazione, indirizzandola verso la riproduzione di rapporti sociali pensati come comunisti. Qui arriviamo al punto decisivo. In altre parti d’Europa, molto prima che in Italia (e per certi versi in Francia e paesi latini), ma in modo assai netto nel mondo anglosassone e scandinavo, ecc., il comunismo è sparito da gran tempo e le due correnti “borghesi” (uso apposta un termine un po’ vetusto) appaiono quale unico orizzonte politico; per cui ci si è pigramente adattati alla distinzione tra destra e sinistra – sempre più esile di senso – senza troppi problemi.

2. In Italia è stato diverso poiché esisteva alcuni decenni fa, nella coscienza di strati popolari (operai e contadini) non esigui, il sentimento dell’antagonismo tra comunismo (non semplicemente “sinistra di classe”) e le correnti “borghesi”. Solo che, come si evince anche dal bell’articolo di Berlendis, la prima corrente, per ragioni internazionali (patto di Yalta con divisione del mondo in due “campi”, ecc.) e interne, si è andata progressivamente adattando, nei suoi vertici dirigenti, alla riproduzione dei rapporti capitalistici. Così, insensibilmente, il comunismo è stato via via pensato quale semplice parte della sinistra; un po’ più radicale dell’altra, ma progressivamente sempre meno radicale. Si è prodotto uno iato crescente tra gruppi dirigenti del Pci e base popolare, in cui – sia pure in modo viepiù sbiadito – rimaneva una “memoria” dell’antagonismo “al sistema”. La rottura più netta si è prodotta tra ceti intellettuali e assimilati – in specie quelli dei settori improduttivi (non dico inutili, pur se spesso sono anche questo, anzi nocivi) del settore “pubblico” o da questo alimentati finanziariamente – e la base popolare.

In Italia, dunque, la sempre più scarsa distinguibilità, e la trasversalità, tra destra e sinistra è frutto di una sorta di “mutazione genetica” subita dal comunismo italiano. Quando poi si è verificato il crollo del campo detto socialista – cui il Pci era ormai lontano, non avendo però ancora rotto con esso ogni legame ombelicale (quasi soltanto finanziario) – è avvenuto “l’ultimo scatto” verso il pieno schieramento atlantico, cioè filoamericano, perdendo ogni pur piccola “eco” di ciò che fu il comunismo, quanto meno come ideologia e presa di posizione antisistema; “scatto” sanzionato da ripetuti cambi di nome e di sostanza, cioè di iscritti e base elettorale. Così, qualcuno ha vissuto gli ultimi anni come si trattasse di un’autentica confusione tra destra e sinistra. La confusione, l’illanguidirsi di una distinzione, c’è senz’altro e non solo in Italia; tuttavia, qui da noi l’impressione è stata decisamente superiore per il fatto di questa graduale trasformazione del comunismo in sinistra, che ha cancellato ogni vestigia della critica anticapitalistica e antistatunitense (salvo che in pochi zombi, più dannosi ancora nella loro vetustà).

3. Pensare di invertire oggi il flusso della trasformazione storica, ricostituendo forme esangui e utopiche di comunismo e antiquato antimperialismo, è pura illusione (quando non sia solo un ulteriore “tradimento” a scoppi successivi e ritardati, utili a impedire ogni sano ripensamento). Intendiamoci bene: il laido viso del tradimento è ben limpido davanti a chi vuol vedere. La “sinistra – cioè il comunismo divenuto sinistra – è questo viso; per il semplice motivo che ogni processo oggettivo forgia i suoi agenti. E’ certo il tradimento a creare i traditori. Tuttavia, bisogna tenere ben presenti le due lame della forbice se si vuol tagliare (e non tagliarsi). Il tradimento è stato oggettivamente provocato dall’impossibilità di costruzione del socialismo (e comunismo) per errori pratici indotti da gravi errori di teoria. Quest’ultima aveva indicato la possibilità (anzi certezza) di mettere in moto dati processi, possibilità invece oggettivamente insussistente. La conseguente incapacità degli agenti, di dare vita ad un’effettiva transizione al socialismo, ha indotto gli stessi (in quanto guida della “schiera” che credeva di marciare in quella direzione) a coprire gli insuccessi – spesso inconsapevolmente, almeno all’inizio del loro tentativo – con la pura ideologia, magari gridando al sabotaggio dei commilitoni e seguaci. Alla fine però, quando si è capito o intuito che tutto era perduto, gli ultimi dirigenti del movimento diventarono reali traditori; in quel momento, assunsero il comando i più spregevoli, i più meschini, i veri ignobili individui dall’animo nero come la pece.

E’ obbligo morale denunciare e combattere i traditori, indicarli come esempio di bassezza senza limiti. Tuttavia, tale atteggiamento va accompagnato dall’analisi del processo che ha condotto al tradimento, e che difficilmente avrebbe potuto produrre qualcosa di positivo. In ogni caso, però, dobbiamo oggi concludere per l’impossibilità di una qualsiasi ripresa di una critica “antisistema”, in assenza di un ripensamento generale che solo in pochi hanno iniziato, mentre la maggioranza è passata al “sistema” e una piccola minoranza di ritardatari si ostina a sguazzare nel vecchio pantano. Sul comunismo stendiamo momentaneamente (una fase storica) il silenzio; perché parlarne senza analisi – e senza nuove categorie d’analisi – è da sciocchi o da mascalzoni; significa produrre idee fantasmagoriche della “novella società”, che non hanno una qualsiasi possibilità di convincere se non pochi dissennati.

4. In questo senso, e solo in questo, va inteso il programma di studiare e comprendere la transizione d’epoca che sembra in corso di svolgimento adesso. In tale passaggio storico, permangono alcune forme di lotta dei raggruppamenti sociali (non classi) subordinati che, pur con forme apparentemente nuove, ripetono invece il sostanziale “tradunionismo” delle vecchie. Non si tratta di contrastare tali lotte; anzi, nei limiti del possibile, di appoggiarle. Senza però illusioni. Non sono forme di lotta che spostano reali equilibri nei rapporti di forza tra chi sta sopra e chi sta sotto. Sono le lotte tra dominanti – e soprattutto nei loro effetti di conflitto tra più compartimenti degli stessi sul piano internazionale – a provocare effettivi mutamenti fortemente dinamici in questa fase storica. La crisi economica è solo la “passerella” su cui sfilano attori reali che tuttavia coprono quelli decisivi e assai meno appariscenti (non però del tutto nascosti).

Ciò che appare non è. Formula che tuttavia può indurre in errore. Diciamo meglio: ciò che è in vivida luce attira i nostri sguardi e così non vediamo quanto sarebbe più essenziale vedere. Chi manovra i riflettori illumina gli attori (spesso guitti da avanspettacolo) e lascia in (pen)ombra i ben più efficaci suggeritori. In questo nostro paese, tra gli attori illuminati chi troviamo? Vecchie conoscenze: i traditori del comunismo. Quel vecchio tradimento è ormai consumato; utile riparlarne solo in sede storica per comprendere le radici del tradimento odierno. Con animo immutato, infatti, questi deformi nanetti vogliono ripetere lo stesso “scherzo” nell’attuale fase di transizione ad altra epoca, in attuazione mediante la nuova lotta tra dominanti in campo internazionale; mi riferisco alle più volte da noi trattata conflittualità tendenzialmente multipolare che si va instaurando.
E ancora una volta ripeto: questo tradimento va studiato nelle sue determinanti oggettive: quelle del conflitto che – grazie alla “legge” dello sviluppo ineguale delle varie formazioni particolari – si sta instaurando tra Usa e nuove potenze in gestazione. Dobbiamo comprendere le forme di tale conflitto, rifarci a quello precedente (epoca dell’imperialismo) per individuarne le differenze, che implicano diversità della strutturazione sociale dei capitalismi in lotta. Senza mai dimenticare però i traditori, quelli che intendono mettere in svendita gli interessi del paese. E’ a mio avviso superficiale sostenere che tutto ciò riguarda solo i dominanti, mentre noi dovremmo interessarci soltanto dei dominati. Questi ultimi, lo si capisca infine, resteranno a lungo a lottare in quanto dominati, e per di più a livelli di vita in peggioramento, che non ha mai favorito – di per sé, in mancanza di un conflitto lacerante tra i dominanti di vari paesi – la trasformazione anticapitalistica. Intanto, individuiamo i caratteri del conflitto nella fase attuale e come si muovono in esso i traditori degli interessi di ogni dato paese (che sia tra quelli delle rivoluzioni “colorate”, o uno di quelli europei in apnea, o il nostro a rischio di collasso).
di Gianfranco La Grassa

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