05 agosto 2012

Note olimpiche…

Si sono aperte le Olimpiadi di Londra, precedute da una lunga messe di servizi televisivi e articoli giornalistici che hanno ribadito cose che ormai sono di dominio pubblico, tanto da risultare noiose e stucchevoli. Il doping, non certo da quest’anno, sembra essere la piaga costante di tutti gli sport. I controlli si susseguono e le evoluzioni delle varie droghe che tentano costantemente di sfuggirgli riempiono le cronache e le aule dei tribunali. Le squalifiche sono all’ordine del giorno, le sospensioni si moltiplicano, le revoche di record e vittorie ormai sono numerosissime e disorientano lo spettatore che non saprà mai, a fine gara, se quello che ha visto sarà il vero ordine d’arrivo. Sembra che la politica proibizionista non dia risultati sensibili. Il professionismo degli atleti, contrapposto agli eterni principi decoubertiani, non fa più cassetta. Scontato che gli atleti di rango debbano interpretare le loro discipline sportive come dei veri e propri lavori retribuiti. Di maggior successo, invece, i reportage sulle retribuzioni degli sportivi presenti ai Giochi. Non desta certo sorpresa apprendere che il tennista Roger Federer, tra montepremi e sponsor, si porta a casa qualcosa di molto simile a 50 milioni d’euro l’anno. Così come gli stellari campioni della NBA statunitense, che vantano medie intorno ai 30 milioni l’anno, che non si stupiscono di guadagnare tanto, visto che sono totalmente impegnati a scacciare dalle loro menti i fasti di quello che rimarrà il primo e unico Dream Team della Storia e che mai potranno emulare. Non tiene più banco la questione Pistorius, quell’atleta con arti in carbonio, che approda, dopo tante polemiche, sulle piste di atletica londinese, forte del suo tempo minimo raggiunto. Non si sono fugate tutte le perplessità circa la possibilità che atleti “bionici” siano atleti regolari ma in un articolo del CorSera, Eva Cantarella, insigne accademica, ci ha ricordato come non mi ricordo più quale atleta nell’Antica Grecia, corse, vincendo una gara podistica, provvisto di una spalla in avorio che sostituiva quella mancante, introducendo così la bioingegneria già allora. I greci, si sa, hanno inventato, detto, scritto tutto quello che si poteva inventare, dire, scrivere. Solo la Merkel e la BCE fingono di non saperlo, ritenendola indegna dell’Europa che in realtà ha fondato e riempito di senso. Ma le due notizie più intriganti sulla questione, bionico sì, bionico no, che vanno lette sinotticamente, sono comparse ancora sul CorSera di sabato 28 luglio. La prima ci informa che si cimenterà nella gara di tiro con l’arco individuale, un atleta sud coreano ipovedente. Con una vista che non supera i 2/10, vedendo solo i colori del bersaglio, è capace di fare centro. Intervistato, ha dichiarato che lui il bersaglio non lo vede, se non in una nebbia di colori concentrici, lui il bersaglio lo sente e così fa centro. La seconda è che è stata messa a punto una tecnica, già sfruttata dall’esercito USA per i suoi piloti da caccia, che permette, con un’operazione sulla cornea, di portare la normale vista umana (i famosi 10/10 di chi ci vede bene) a 15/10, con la capacità, testimonia l’articolo, di vedere una mosca, nei suoi dettagli, ad una distanza da nove metri. E che magari, all’insaputa di tutti, è già stata utilizzata per qualche atleta tiratore. Mi sono immaginato una sfida tra il sudcoreano ipovedente, forte solo della sua sensazione che guida il dardo al bersaglio e un’infallibile cecchino, forte di questo nuovo ritrovato della Tecnica, guarda caso targato USA e guarda caso già utilizzata dall’esercito per rendere i suoi uomini ancora più mortalmente infallibili. Un’interessante contrapposizione tra Oriente e Occidente e i loro diversi modi di intendere la via da percorrere. L’Oriente. Al lettore accorto non sarà certo sfuggito il volumetto che Adelphi, molti anni fa, ha inserito nelle sue collane Lo zen e il tiro con l’arco di Herrigel, in cui è esplicitato il pensiero sintetico del sudcoreano. Solo attraverso un esercizio che è in primo luogo lavoro mentale, si può ottenere la fusione tra il soggetto e l’oggetto, tra l’arciere, il dardo e il bersaglio. È solo attraverso questa fusione che si può realizzare quel momento in cui le differenze si annullano in uno sfolgorante bagliore che è il Satori. Un’illuminazione individuale che è unica via che non si può insegnare (se non nei suoi primi passi che corrispondono alla disciplina dell’arco) e che permettono di raggiungere il centro del bersaglio. L’Occidente. Di contro la Tecnica occidentale, che ormai ha preso il sopravvento, non ha nessun presupposto nel sentimento, nella visione interiore, nel “sentire”. Freddamente manipola, trasforma, si fa creazione, piega il soggetto alla sua demonia, sostituendolo, brano a brano, con pezzi artificiali, spersonalizzandolo ma realizzando per lui l’ennesimo sogno faustiano. È l’eterna lotta tra la Qualità non tramandabile e la Quantità codificabile, che ha sancito il trionfo del pensiero occidentale, condannandolo, nel contempo, al giogo coatto di una forza ingovernabile quando diventa divinità. È la contrapposizione, che ben ha descritto Pirsig nel classico assoluto Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta, tra visione classica (occidentale) e visione romantica (orientale), propendendo per quella classica, a me così almeno pare, che narra una bellezza soggiacente che a suo dire non sarebbe percepita dai romantici. Sarebbe utile ritornarci e non lasciare che quei due articoli marciscano nel cestino dell’oblio. Poi ci sono, a compimento di questa diarrea mediatica, le sperticate lodi alla manifestazione d’inaugurazione. I maggiori complimenti sono andati all’autoironia degli inglesi che hanno preso in giro se stessi con la presenza di Mr. Bean e soprattutto con la performance della Regina che, a fianco dell’ultimo James Bond, si è prestata a fare la Bond girl, piombando dal cielo in paracadute sullo stadio olimpico. Non lasciatevi abbindolare, è la solita, nota e più volte sottolineata ipocrisia inglese. È il facile sberleffo di chi credendosi ancora un dominatore e infarcito di un senso patologico di superiorità, nei confronti dell’intero globo terraqueo, sa di potersi permettere, in tempo di carnevale, delle licenze senza incrinare l’immagine che ha di se. Alla fine, mi viene restituita l’immagine di un grande spettacolo, divertente ma completamente inconsistente. Un enorme affare che poco ha a che fare con lo sport, che si rappresenta con una cerimonia imbarazzante, piena di morti viventi (come Sir. Paul McCartney), che non mitiga ma esalta il senso di baracconata planetaria che la TV riprende. E da tutto ciò il mio pensiero di sempre riaffiora. Se non si tratta di sport ma di una grande spettacolo per fa soldi e divertire, allora sarebbe giusto permettere tutti i doping a disposizione, permettere tutte le sperimentazioni bioniche conosciute, trapiantare arti di gazzella negli sprinter, innestare bulbi oculari aquilini nei tiratori, inserire fegati di merluzzo per migliorare l’acquaticità dei nuotatori. Bisognerebbe, per sostenere il vertiginoso giro di scommesse sulle gare e per renderle meno scontate, permettere di truccarle a piacimento, corrompere atleti per perdere e pagare allenatori pe rivelare i segreti dei propri assistiti. Tutto in nome dello spettacolo. Non ci vuole immaginazione per questo, basta guardarsi intorno. L’esempio del Palio di Siena è didascalico. Basterebbe applicarlo, lasciando lo sport vero, quello amatoriale (purtroppo ormai anch’esso compromesso in molto) a chi lo vuole praticare in santa pace. Senza record, senza classifiche, senza falsi miti da rincorrere. di Mario Grossi

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05 agosto 2012

Note olimpiche…

Si sono aperte le Olimpiadi di Londra, precedute da una lunga messe di servizi televisivi e articoli giornalistici che hanno ribadito cose che ormai sono di dominio pubblico, tanto da risultare noiose e stucchevoli. Il doping, non certo da quest’anno, sembra essere la piaga costante di tutti gli sport. I controlli si susseguono e le evoluzioni delle varie droghe che tentano costantemente di sfuggirgli riempiono le cronache e le aule dei tribunali. Le squalifiche sono all’ordine del giorno, le sospensioni si moltiplicano, le revoche di record e vittorie ormai sono numerosissime e disorientano lo spettatore che non saprà mai, a fine gara, se quello che ha visto sarà il vero ordine d’arrivo. Sembra che la politica proibizionista non dia risultati sensibili. Il professionismo degli atleti, contrapposto agli eterni principi decoubertiani, non fa più cassetta. Scontato che gli atleti di rango debbano interpretare le loro discipline sportive come dei veri e propri lavori retribuiti. Di maggior successo, invece, i reportage sulle retribuzioni degli sportivi presenti ai Giochi. Non desta certo sorpresa apprendere che il tennista Roger Federer, tra montepremi e sponsor, si porta a casa qualcosa di molto simile a 50 milioni d’euro l’anno. Così come gli stellari campioni della NBA statunitense, che vantano medie intorno ai 30 milioni l’anno, che non si stupiscono di guadagnare tanto, visto che sono totalmente impegnati a scacciare dalle loro menti i fasti di quello che rimarrà il primo e unico Dream Team della Storia e che mai potranno emulare. Non tiene più banco la questione Pistorius, quell’atleta con arti in carbonio, che approda, dopo tante polemiche, sulle piste di atletica londinese, forte del suo tempo minimo raggiunto. Non si sono fugate tutte le perplessità circa la possibilità che atleti “bionici” siano atleti regolari ma in un articolo del CorSera, Eva Cantarella, insigne accademica, ci ha ricordato come non mi ricordo più quale atleta nell’Antica Grecia, corse, vincendo una gara podistica, provvisto di una spalla in avorio che sostituiva quella mancante, introducendo così la bioingegneria già allora. I greci, si sa, hanno inventato, detto, scritto tutto quello che si poteva inventare, dire, scrivere. Solo la Merkel e la BCE fingono di non saperlo, ritenendola indegna dell’Europa che in realtà ha fondato e riempito di senso. Ma le due notizie più intriganti sulla questione, bionico sì, bionico no, che vanno lette sinotticamente, sono comparse ancora sul CorSera di sabato 28 luglio. La prima ci informa che si cimenterà nella gara di tiro con l’arco individuale, un atleta sud coreano ipovedente. Con una vista che non supera i 2/10, vedendo solo i colori del bersaglio, è capace di fare centro. Intervistato, ha dichiarato che lui il bersaglio non lo vede, se non in una nebbia di colori concentrici, lui il bersaglio lo sente e così fa centro. La seconda è che è stata messa a punto una tecnica, già sfruttata dall’esercito USA per i suoi piloti da caccia, che permette, con un’operazione sulla cornea, di portare la normale vista umana (i famosi 10/10 di chi ci vede bene) a 15/10, con la capacità, testimonia l’articolo, di vedere una mosca, nei suoi dettagli, ad una distanza da nove metri. E che magari, all’insaputa di tutti, è già stata utilizzata per qualche atleta tiratore. Mi sono immaginato una sfida tra il sudcoreano ipovedente, forte solo della sua sensazione che guida il dardo al bersaglio e un’infallibile cecchino, forte di questo nuovo ritrovato della Tecnica, guarda caso targato USA e guarda caso già utilizzata dall’esercito per rendere i suoi uomini ancora più mortalmente infallibili. Un’interessante contrapposizione tra Oriente e Occidente e i loro diversi modi di intendere la via da percorrere. L’Oriente. Al lettore accorto non sarà certo sfuggito il volumetto che Adelphi, molti anni fa, ha inserito nelle sue collane Lo zen e il tiro con l’arco di Herrigel, in cui è esplicitato il pensiero sintetico del sudcoreano. Solo attraverso un esercizio che è in primo luogo lavoro mentale, si può ottenere la fusione tra il soggetto e l’oggetto, tra l’arciere, il dardo e il bersaglio. È solo attraverso questa fusione che si può realizzare quel momento in cui le differenze si annullano in uno sfolgorante bagliore che è il Satori. Un’illuminazione individuale che è unica via che non si può insegnare (se non nei suoi primi passi che corrispondono alla disciplina dell’arco) e che permettono di raggiungere il centro del bersaglio. L’Occidente. Di contro la Tecnica occidentale, che ormai ha preso il sopravvento, non ha nessun presupposto nel sentimento, nella visione interiore, nel “sentire”. Freddamente manipola, trasforma, si fa creazione, piega il soggetto alla sua demonia, sostituendolo, brano a brano, con pezzi artificiali, spersonalizzandolo ma realizzando per lui l’ennesimo sogno faustiano. È l’eterna lotta tra la Qualità non tramandabile e la Quantità codificabile, che ha sancito il trionfo del pensiero occidentale, condannandolo, nel contempo, al giogo coatto di una forza ingovernabile quando diventa divinità. È la contrapposizione, che ben ha descritto Pirsig nel classico assoluto Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta, tra visione classica (occidentale) e visione romantica (orientale), propendendo per quella classica, a me così almeno pare, che narra una bellezza soggiacente che a suo dire non sarebbe percepita dai romantici. Sarebbe utile ritornarci e non lasciare che quei due articoli marciscano nel cestino dell’oblio. Poi ci sono, a compimento di questa diarrea mediatica, le sperticate lodi alla manifestazione d’inaugurazione. I maggiori complimenti sono andati all’autoironia degli inglesi che hanno preso in giro se stessi con la presenza di Mr. Bean e soprattutto con la performance della Regina che, a fianco dell’ultimo James Bond, si è prestata a fare la Bond girl, piombando dal cielo in paracadute sullo stadio olimpico. Non lasciatevi abbindolare, è la solita, nota e più volte sottolineata ipocrisia inglese. È il facile sberleffo di chi credendosi ancora un dominatore e infarcito di un senso patologico di superiorità, nei confronti dell’intero globo terraqueo, sa di potersi permettere, in tempo di carnevale, delle licenze senza incrinare l’immagine che ha di se. Alla fine, mi viene restituita l’immagine di un grande spettacolo, divertente ma completamente inconsistente. Un enorme affare che poco ha a che fare con lo sport, che si rappresenta con una cerimonia imbarazzante, piena di morti viventi (come Sir. Paul McCartney), che non mitiga ma esalta il senso di baracconata planetaria che la TV riprende. E da tutto ciò il mio pensiero di sempre riaffiora. Se non si tratta di sport ma di una grande spettacolo per fa soldi e divertire, allora sarebbe giusto permettere tutti i doping a disposizione, permettere tutte le sperimentazioni bioniche conosciute, trapiantare arti di gazzella negli sprinter, innestare bulbi oculari aquilini nei tiratori, inserire fegati di merluzzo per migliorare l’acquaticità dei nuotatori. Bisognerebbe, per sostenere il vertiginoso giro di scommesse sulle gare e per renderle meno scontate, permettere di truccarle a piacimento, corrompere atleti per perdere e pagare allenatori pe rivelare i segreti dei propri assistiti. Tutto in nome dello spettacolo. Non ci vuole immaginazione per questo, basta guardarsi intorno. L’esempio del Palio di Siena è didascalico. Basterebbe applicarlo, lasciando lo sport vero, quello amatoriale (purtroppo ormai anch’esso compromesso in molto) a chi lo vuole praticare in santa pace. Senza record, senza classifiche, senza falsi miti da rincorrere. di Mario Grossi

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