10 agosto 2013

Due paroline sulla "democrazia"






Oggi lascio per un po’ da parte la questione su cui tutti si sono buttati a capofitto, quella del berlusca condannato. Per il momento attendiamo che le galline starnazzanti depositino qualche uovo, se ne sono capaci, poi ne riparleremo. Quello su cui voglio dire due parole è altro, anche se non è disgiunto da quanto accade nell’attuale pollaio. Farò qualche pensiero, terra terra, sulla democrazia. E’ ora di finirla di considerare democratici quei paesi in cui si tengono le “libere elezioni”. Ed è altrettanto ora di finirla di prendere per democratici quei gran chiacchieroni che sproloquiano appunto su questo o quel regime elettorale. Perché democrazia, in sostanza, vorrebbe dire “governo del popolo” (mi sembra almeno). Tuttavia, ci si accorge senza difficoltà che i vari regimi elettorali creano spesso impedimenti a coloro che devono governare; poiché per governare è necessario prendere decisioni rilevanti, mai discusse nelle campagne elettorali, e certi regimi di votazione mettono capo a Parlamenti e schieramenti maggioritari incerti, divisi, dove appunto è pressoché impossibile prendere queste decisioni con la necessaria rapidità.
Il problema centrale non è però quello appena ricordato. Che cosa significa in realtà “governo del popolo” per la gente comune? Chiunque parli nei vari “luoghi pubblici” con tipici esponenti di questo popolo – in cui si trovano senz’altro persone intelligenti, concrete, che lavorano e producono e si orientano con una certa sicurezza se non addirittura saggezza in questioni della vita quotidiana – si accorge che, nel 95% dei casi (e sono già molto cauto), essi non hanno la più pallida idea dei caratteri dell’attività politica. Spesso dicono che la “politica è sporca”; tuttavia, poi cadono nell’illusione secondo cui tutto ciò che appare alla luce del Sole è sostanzialmente vero, rappresenta l’effettiva posta in gioco. Le alternative da decidere, ne sono convinti, sono proprio quelle che sono state loro presentate; e le motivazioni ufficiali per cui si prende questa o quella decisione sono per loro le sole sul tappeto, mentre sono invece la pura superficie “epifenomenica” dei processi in corso. Al massimo, poiché per semplice simpatia epidermica (spesso guardando in TV come si presenta questo o quel personaggio) molti si schierano a favore di un dato partito, di un dato orientamento, ecc., le decisioni giuste sono quelle prese dai “simpatici” (che sono per definizione gli “onesti”), quelle sbagliate promanano dagli “antipatici” (magari delinquenti perché lo dichiarano i “simpatici”).
La politica è un gioco, in cui ogni giocatore, così com’è da che mondo è mondo, cerca di attuare le migliori mosse per prevalere. Mai visto un giocatore rivelare agli astanti quale sarà il comportamento cui ha deciso di attenersi nella speranza di risultare vittorioso. Solo gli ignari, fra gli astanti, chiederebbero ai giocatori come intendano realmente muoversi o almeno l’indicazione del loro orientamento di fondo (la strategia e la tattica seguite). Eppure, qualcuno pretenderebbe che in politica i giocatori esplicitassero agli elettori (al popolo) le loro reali intenzioni nel gioco teso a sconfiggere gli avversari. Un’autentica assurdità.
Ovviamente, si può sostenere l’utilità e convenienza di condurre il gioco in presenza di spettatori che, come accade sovente in ogni vicenda della vita degli esseri umani, tendono alla fine a schierarsi da una parte o dall’altra, per un giocatore o per l’altro. Escludere i “tifosi”, dire loro di mettersi a cuccia in casa propria attendendo il risultato finale, senza mai partecipare nemmeno alla pura e semplice visione del gioco, del suo farsi momento per momento – cioè seguendo momento per momento come si configurano “sul campo” (del conflitto) i movimenti dei giocatori – può essere negativo, può far crescere l’insoddisfazione del popolo. Se il giocatore, seguito da esso (o dalla sua maggioranza) vince, tutto va bene: il popolo festeggia, tripudia, e il giocatore rinsalda il suo potere. Se però perde, rischia ancora più grosso del giocatore che ha ammesso alla visione del gioco il popolo: il quale, alla fin fine, si scaglia sempre addosso al perdente, ma certamente con particolare virulenza se nemmeno gli si è fatta vedere la partita.
E’ quindi meglio, nelle normali contingenze, consentire al popolo di assistere ai giochi e di schierarsi in opposte “tifoserie”. Semmai, qualora un “gladiatore” finisse a terra in situazione di grave pericolo, si può chiedere l’intervento dell’“imperatore” con il suo pollice verso o alzato. Facendo un esempio attuale (anche se un po’ banale), qualcuno può chiedere all’“ultimo monarca d’Italia” di concedere la grazia al contendente gettato a terra con qualche artifizio e indubbio “raggiro” (si ha quanto meno l’impressione che certi “patti” siano stati elusi). Vi sono tuttavia congiunture specifiche in cui è proprio necessario escludere il popolo perfino dal “tifo” per i vari giocatori, poiché uno di essi ha bisogno di una più completa libertà di movimento e della indiscussa e cieca fiducia dei suoi “supporters” nella realizzazione delle sue finalità strategico-tattiche. La “democrazia” (le “libere elezioni”) viene messa sotto sequestro temporaneo (più o meno lungo, ma mai per sempre).
Un’ottima lezione in tal senso si ha nel film “La villeggiatura” (1973) di Marco Leto che narra quanto accaduto ad un certo prof. Rossini: personaggio e vicenda inventate, ma non il fatto del non giuramento di fedeltà al fascismo di 13 prof. universitari (su poco meno di 3000), e del confino o incarceramento di alcuni altri che scelsero l’aperta attività antifascista. Vi è una bella scena, decisiva, in cui il prof. e il disincantato Commissario di polizia (un grande Adolfo Celi), “servitore dello Stato” con qualsiasi regime ed in qualsiasi congiuntura, giocano a scacchi. Ad un certo punto, per esigenze “didattiche”, il Commissario abolisce ogni regola del normale gioco e si mangia tutte le pedine dell’avversario perché ormai se ne è creato il potere in vista di uno “scopo superiore” (giudicato tale dal giocatore in questione, ma che è comunque realmente tale per lui e in quella specifica congiuntura). Il Commissario aggiunge, però, che si tratta di una congiuntura sicuramente temporanea. Di conseguenza, tornerà il tempo del ripristino di certe regole, con le “tifoserie” nuovamente ammesse alla visione del gioco e alla chiassosa manifestazione di sostegno nei confronti dei propri beniamini; e allora, in quel tempo futuro, lui e il prof. si troveranno nuovamente a far parte di schieramenti avversi, e in piena “recita democratica”.
Posta la questione della “democrazia” sui suoi più corretti binari – seguendo un ragionamento molto semplice e privo di dotte disquisizioni “teoretiche” – quali conclusioni, diciamo pratiche (cioè “per noi”), se ne possono trarre? Il nostro blog non è nato, né cresciuto, con la primaria esigenza di “fare politica”, cioè di prendere partito nell’ambito di questa o quella “tifoseria”. Talvolta ha senza dubbio assunto posizioni che sfioravano il “tifo”; in tal caso, è inevitabile il cosiddetto “torcere il bastone in un senso”, quasi sempre per rispondere ad altri che lo piegavano “nell’altro senso”. Ciò è avvenuto, e avverrà ancora, consapevolmente e dunque per scelta precisa di chi scrive.
In linea generale, però, il blog ha finalità di analisi: certamente da definirsi politica, ma non nello stesso significato della più esplicita “presa di partito” (cioè della scelta di schierarsi da una parte o dall’altra). Si tratta di un’analisi che non può non rifarsi a determinate impostazioni teoriche, dunque all’assunzione di determinate categorie elaborate nel dibattito sempre in corso nelle varie “scuole di pensiero” formatesi nella scienza sociale. Nessuna pretesa di assurgere alla Verità, alla analisi della realtà sociale così com’essa è, con la massima “obiettività” e “neutralità”. Tuttavia, il “prima logico” è rappresentato dall’elaborazione e sviluppo di categorie teoriche con le quali procedere all’interpretazione dei “fatti” nel corso dei processi in svolgimento in specifiche congiunture storiche. Dopo di che, ci si dedica appunto all’analisi e all’eventuale presa di posizione in base a quest’ultima. Il che implica comunque una “spassionatezza”; non l’obiettività fattuale che certuni raccontano, ma senz’altro un atteggiamento in qualche modo freddo e distaccato rispetto all’aperta passionalità della scelta “tifosa”.
In ogni caso, mi interessava dire basta allo sproloquiare sulla democrazia. Quest’ultima è soltanto la scelta di far partecipare il popolo al tifo per questa o quella delle ristrette élites che rappresentano i giocatori nel campo del conflitto politico in ambito sociale. Il popolo acclama o inveisce più o meno vivacemente; senza dubbio, quando gli animi troppo si accendono, ne possono risultare disturbi anche forti, di fronte ai quali – se una data società non vuole soccombere, nel senso di disgregarsi e non trovare più un coordinamento possibile per uno scorrevole svolgimento degli eventi nel suo ambito – è indispensabile comportarsi come il Commissario nel film prima citato: non si rispettano più le regole del gioco e si portano via con la forza tutte le pedine delle altre parti in lotta. Se ciò non fosse possibile, quella società decade, si imbastardisce sempre più e, spesso, cade allora sotto la predominanza di un’altra, che ne assicura la sopravvivenza; comportandosi però come il ragno che, dopo aver punto (e paralizzato) le sue vittime, garantisce la continuazione della loro vita (in piena “immobilità”) per nutrirsi sempre meglio di carne viva e non putrefatta.
Quindi, mente lucida e la si smetta con le litanie su regimi impossibili, ultrautopici (perfino più utopici del comunismo come ancora qualche residuo di sciagurati lo pensa con “sindrome religiosa”). Il “governo del popolo” è una contraddizione in termini. Amen!


di Gianfranco La Grassa

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10 agosto 2013

Due paroline sulla "democrazia"






Oggi lascio per un po’ da parte la questione su cui tutti si sono buttati a capofitto, quella del berlusca condannato. Per il momento attendiamo che le galline starnazzanti depositino qualche uovo, se ne sono capaci, poi ne riparleremo. Quello su cui voglio dire due parole è altro, anche se non è disgiunto da quanto accade nell’attuale pollaio. Farò qualche pensiero, terra terra, sulla democrazia. E’ ora di finirla di considerare democratici quei paesi in cui si tengono le “libere elezioni”. Ed è altrettanto ora di finirla di prendere per democratici quei gran chiacchieroni che sproloquiano appunto su questo o quel regime elettorale. Perché democrazia, in sostanza, vorrebbe dire “governo del popolo” (mi sembra almeno). Tuttavia, ci si accorge senza difficoltà che i vari regimi elettorali creano spesso impedimenti a coloro che devono governare; poiché per governare è necessario prendere decisioni rilevanti, mai discusse nelle campagne elettorali, e certi regimi di votazione mettono capo a Parlamenti e schieramenti maggioritari incerti, divisi, dove appunto è pressoché impossibile prendere queste decisioni con la necessaria rapidità.
Il problema centrale non è però quello appena ricordato. Che cosa significa in realtà “governo del popolo” per la gente comune? Chiunque parli nei vari “luoghi pubblici” con tipici esponenti di questo popolo – in cui si trovano senz’altro persone intelligenti, concrete, che lavorano e producono e si orientano con una certa sicurezza se non addirittura saggezza in questioni della vita quotidiana – si accorge che, nel 95% dei casi (e sono già molto cauto), essi non hanno la più pallida idea dei caratteri dell’attività politica. Spesso dicono che la “politica è sporca”; tuttavia, poi cadono nell’illusione secondo cui tutto ciò che appare alla luce del Sole è sostanzialmente vero, rappresenta l’effettiva posta in gioco. Le alternative da decidere, ne sono convinti, sono proprio quelle che sono state loro presentate; e le motivazioni ufficiali per cui si prende questa o quella decisione sono per loro le sole sul tappeto, mentre sono invece la pura superficie “epifenomenica” dei processi in corso. Al massimo, poiché per semplice simpatia epidermica (spesso guardando in TV come si presenta questo o quel personaggio) molti si schierano a favore di un dato partito, di un dato orientamento, ecc., le decisioni giuste sono quelle prese dai “simpatici” (che sono per definizione gli “onesti”), quelle sbagliate promanano dagli “antipatici” (magari delinquenti perché lo dichiarano i “simpatici”).
La politica è un gioco, in cui ogni giocatore, così com’è da che mondo è mondo, cerca di attuare le migliori mosse per prevalere. Mai visto un giocatore rivelare agli astanti quale sarà il comportamento cui ha deciso di attenersi nella speranza di risultare vittorioso. Solo gli ignari, fra gli astanti, chiederebbero ai giocatori come intendano realmente muoversi o almeno l’indicazione del loro orientamento di fondo (la strategia e la tattica seguite). Eppure, qualcuno pretenderebbe che in politica i giocatori esplicitassero agli elettori (al popolo) le loro reali intenzioni nel gioco teso a sconfiggere gli avversari. Un’autentica assurdità.
Ovviamente, si può sostenere l’utilità e convenienza di condurre il gioco in presenza di spettatori che, come accade sovente in ogni vicenda della vita degli esseri umani, tendono alla fine a schierarsi da una parte o dall’altra, per un giocatore o per l’altro. Escludere i “tifosi”, dire loro di mettersi a cuccia in casa propria attendendo il risultato finale, senza mai partecipare nemmeno alla pura e semplice visione del gioco, del suo farsi momento per momento – cioè seguendo momento per momento come si configurano “sul campo” (del conflitto) i movimenti dei giocatori – può essere negativo, può far crescere l’insoddisfazione del popolo. Se il giocatore, seguito da esso (o dalla sua maggioranza) vince, tutto va bene: il popolo festeggia, tripudia, e il giocatore rinsalda il suo potere. Se però perde, rischia ancora più grosso del giocatore che ha ammesso alla visione del gioco il popolo: il quale, alla fin fine, si scaglia sempre addosso al perdente, ma certamente con particolare virulenza se nemmeno gli si è fatta vedere la partita.
E’ quindi meglio, nelle normali contingenze, consentire al popolo di assistere ai giochi e di schierarsi in opposte “tifoserie”. Semmai, qualora un “gladiatore” finisse a terra in situazione di grave pericolo, si può chiedere l’intervento dell’“imperatore” con il suo pollice verso o alzato. Facendo un esempio attuale (anche se un po’ banale), qualcuno può chiedere all’“ultimo monarca d’Italia” di concedere la grazia al contendente gettato a terra con qualche artifizio e indubbio “raggiro” (si ha quanto meno l’impressione che certi “patti” siano stati elusi). Vi sono tuttavia congiunture specifiche in cui è proprio necessario escludere il popolo perfino dal “tifo” per i vari giocatori, poiché uno di essi ha bisogno di una più completa libertà di movimento e della indiscussa e cieca fiducia dei suoi “supporters” nella realizzazione delle sue finalità strategico-tattiche. La “democrazia” (le “libere elezioni”) viene messa sotto sequestro temporaneo (più o meno lungo, ma mai per sempre).
Un’ottima lezione in tal senso si ha nel film “La villeggiatura” (1973) di Marco Leto che narra quanto accaduto ad un certo prof. Rossini: personaggio e vicenda inventate, ma non il fatto del non giuramento di fedeltà al fascismo di 13 prof. universitari (su poco meno di 3000), e del confino o incarceramento di alcuni altri che scelsero l’aperta attività antifascista. Vi è una bella scena, decisiva, in cui il prof. e il disincantato Commissario di polizia (un grande Adolfo Celi), “servitore dello Stato” con qualsiasi regime ed in qualsiasi congiuntura, giocano a scacchi. Ad un certo punto, per esigenze “didattiche”, il Commissario abolisce ogni regola del normale gioco e si mangia tutte le pedine dell’avversario perché ormai se ne è creato il potere in vista di uno “scopo superiore” (giudicato tale dal giocatore in questione, ma che è comunque realmente tale per lui e in quella specifica congiuntura). Il Commissario aggiunge, però, che si tratta di una congiuntura sicuramente temporanea. Di conseguenza, tornerà il tempo del ripristino di certe regole, con le “tifoserie” nuovamente ammesse alla visione del gioco e alla chiassosa manifestazione di sostegno nei confronti dei propri beniamini; e allora, in quel tempo futuro, lui e il prof. si troveranno nuovamente a far parte di schieramenti avversi, e in piena “recita democratica”.
Posta la questione della “democrazia” sui suoi più corretti binari – seguendo un ragionamento molto semplice e privo di dotte disquisizioni “teoretiche” – quali conclusioni, diciamo pratiche (cioè “per noi”), se ne possono trarre? Il nostro blog non è nato, né cresciuto, con la primaria esigenza di “fare politica”, cioè di prendere partito nell’ambito di questa o quella “tifoseria”. Talvolta ha senza dubbio assunto posizioni che sfioravano il “tifo”; in tal caso, è inevitabile il cosiddetto “torcere il bastone in un senso”, quasi sempre per rispondere ad altri che lo piegavano “nell’altro senso”. Ciò è avvenuto, e avverrà ancora, consapevolmente e dunque per scelta precisa di chi scrive.
In linea generale, però, il blog ha finalità di analisi: certamente da definirsi politica, ma non nello stesso significato della più esplicita “presa di partito” (cioè della scelta di schierarsi da una parte o dall’altra). Si tratta di un’analisi che non può non rifarsi a determinate impostazioni teoriche, dunque all’assunzione di determinate categorie elaborate nel dibattito sempre in corso nelle varie “scuole di pensiero” formatesi nella scienza sociale. Nessuna pretesa di assurgere alla Verità, alla analisi della realtà sociale così com’essa è, con la massima “obiettività” e “neutralità”. Tuttavia, il “prima logico” è rappresentato dall’elaborazione e sviluppo di categorie teoriche con le quali procedere all’interpretazione dei “fatti” nel corso dei processi in svolgimento in specifiche congiunture storiche. Dopo di che, ci si dedica appunto all’analisi e all’eventuale presa di posizione in base a quest’ultima. Il che implica comunque una “spassionatezza”; non l’obiettività fattuale che certuni raccontano, ma senz’altro un atteggiamento in qualche modo freddo e distaccato rispetto all’aperta passionalità della scelta “tifosa”.
In ogni caso, mi interessava dire basta allo sproloquiare sulla democrazia. Quest’ultima è soltanto la scelta di far partecipare il popolo al tifo per questa o quella delle ristrette élites che rappresentano i giocatori nel campo del conflitto politico in ambito sociale. Il popolo acclama o inveisce più o meno vivacemente; senza dubbio, quando gli animi troppo si accendono, ne possono risultare disturbi anche forti, di fronte ai quali – se una data società non vuole soccombere, nel senso di disgregarsi e non trovare più un coordinamento possibile per uno scorrevole svolgimento degli eventi nel suo ambito – è indispensabile comportarsi come il Commissario nel film prima citato: non si rispettano più le regole del gioco e si portano via con la forza tutte le pedine delle altre parti in lotta. Se ciò non fosse possibile, quella società decade, si imbastardisce sempre più e, spesso, cade allora sotto la predominanza di un’altra, che ne assicura la sopravvivenza; comportandosi però come il ragno che, dopo aver punto (e paralizzato) le sue vittime, garantisce la continuazione della loro vita (in piena “immobilità”) per nutrirsi sempre meglio di carne viva e non putrefatta.
Quindi, mente lucida e la si smetta con le litanie su regimi impossibili, ultrautopici (perfino più utopici del comunismo come ancora qualche residuo di sciagurati lo pensa con “sindrome religiosa”). Il “governo del popolo” è una contraddizione in termini. Amen!


di Gianfranco La Grassa

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