10 ottobre 2013

La decadenza della menzogna




I politici non si ergono mai oltre il livello della falsa  dichiarazione, ed effettivamente si accordano a dimostrare, a discutere, ad argomentare… Se un uomo è sufficientemente privo di immaginazione per produrre una evidenza a supporto di una menzogna, tanto vale che dica la verità subito (O. Wilde)

Anche la menzogna è decaduta in questo Paese, insieme a tutto il resto.Dall’economia alla società, ogni cosa si è sfatta e decomposta, sotto l’effetto di frottole di corto respiro e di fandonie con le gambe corte, che da quanto più in alto provengono, tanto più scadono. Fole senza stile che segnalano l’insulsaggine dei nostri governanti.
La democrazia italiana non si fonda, come dovrebbe, sulla normale insincerità per superiori fini politici, i quali restano noti unicamente a pochi serbatoi di pensiero e ambiti di elaborazione strategica all’interno degli apparati statali, ma sulla disonestà “eticheggiante” e sul perbenismo doppiogiochista che richiama l’ipocrita trasparenza civile per celare la propria inconsistenza servile.
La bugia ad uso politico, quando è elemento mimetizzante della strategia complessiva di gruppi dirigenti nazionali, consci dei tempi nei quali sono costretti ad operare, è necessaria a tenere riservati piani e finalità, che per essere realizzati devono restare coperti, almeno per l’essenziale. Non stiamo parlando, dunque, delle finte promesse a scopo elettorale dei partiti per guadagnarsi un posto in Parlamento, ma della dissimulazione comportamentale che una élite mette in atto per raggiungere i suoi scopi, in un contesto di conflittualità e concorrenza globale molto accese, in cui le alleanze sono sempre transitorie ed abbondano i colpi bassi di amici e nemici.
Dunque, si può mentire senza ingannare, per proteggere o allargare gli interessi nazionali, oppure si può alterare la realtà per frodare, cioè per sfruttare a proprio limitato vantaggio le sventure di un popolo intero. La scelta dei nostri screditati rappresentanti parlamentari è ricaduta, ovviamente, sulla seconda opzione. Per questo diciamo che anche le menzogne sono degnerate  in questa vile provincia colonizzata, qual è diventata la nostra povera Repubblica.
I tanti pinocchi del sistema, che ricomprende mass media, istituzioni, organizzazioni intra e para statali, hanno fatto fronte comune per raggirare i connazionali, i quali sono sempre più umiliati e tartassati da una classe politica che ha barattato il Paese per la propria sopravvivenza corporativa.
Chi è stato il garante indiscusso di questo pantano che sta portando all’esproprio del popolo italiano? Chi ha messo in sella, negli ultimi due governi, aggirando le elezioni e rinnegando la sovranità popolare, personaggi addestrati nei centri finanziari internazionali dove si parla soltanto l’inglese con accento americano? Chi ci ha costretti a sottostare, senza protestare, ai diktat di Bruxelles, di Berlino e del FMI?
Non è un rebus, ma un Re autoproclamatosi tale. Stiamo parlando del “peggiorista atlantista”, l’ex piccìsta convertitosi al capitalismo e al liberalismo, dopo un viaggio a Washington nel 1978. Costui è il responsabile dell’attuale cancrena italiana e ci sarebbero alcuni buoni motivi (dall’alto tradimento dello Stato all’attentato alla Costituzione) per chiederne l’impeachment all’istante.
Ma il Parlamento è diventato il suo bivacco di manipoli, un ricettacolo di manigoldi, di rinnegati e di crapuloni a spese della collettività che temono le urne come la peste perché non vogliono perdere i loro privilegi. Il recente ed ennesimo voltafaccia, quello dei vertici del Pdl che hanno girato le spalle al loro capo storico, non lascia ulteriori speranze di scampo al Belpaese.

Gli allarmismi sullo stato dei conti pubblici ed il caos istituzionale che ne è seguito servivano proprio a mettere Roma con le spalle al muro.L’obiettivo, ormai scoperto, era quello di costringerci a liquidare i tesori di Stato, soprattutto gli asset pubblici dei settori avanzati, ancora in nostro possesso, che facevano gola ai competitors stranieri. Anche l’ultimo baluardo dell’industria strategica nazionale cadrà a breve. Nemmeno più un diodo ci potrà salvare.
di Gianni Petrosillo 

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10 ottobre 2013

La decadenza della menzogna




I politici non si ergono mai oltre il livello della falsa  dichiarazione, ed effettivamente si accordano a dimostrare, a discutere, ad argomentare… Se un uomo è sufficientemente privo di immaginazione per produrre una evidenza a supporto di una menzogna, tanto vale che dica la verità subito (O. Wilde)

Anche la menzogna è decaduta in questo Paese, insieme a tutto il resto.Dall’economia alla società, ogni cosa si è sfatta e decomposta, sotto l’effetto di frottole di corto respiro e di fandonie con le gambe corte, che da quanto più in alto provengono, tanto più scadono. Fole senza stile che segnalano l’insulsaggine dei nostri governanti.
La democrazia italiana non si fonda, come dovrebbe, sulla normale insincerità per superiori fini politici, i quali restano noti unicamente a pochi serbatoi di pensiero e ambiti di elaborazione strategica all’interno degli apparati statali, ma sulla disonestà “eticheggiante” e sul perbenismo doppiogiochista che richiama l’ipocrita trasparenza civile per celare la propria inconsistenza servile.
La bugia ad uso politico, quando è elemento mimetizzante della strategia complessiva di gruppi dirigenti nazionali, consci dei tempi nei quali sono costretti ad operare, è necessaria a tenere riservati piani e finalità, che per essere realizzati devono restare coperti, almeno per l’essenziale. Non stiamo parlando, dunque, delle finte promesse a scopo elettorale dei partiti per guadagnarsi un posto in Parlamento, ma della dissimulazione comportamentale che una élite mette in atto per raggiungere i suoi scopi, in un contesto di conflittualità e concorrenza globale molto accese, in cui le alleanze sono sempre transitorie ed abbondano i colpi bassi di amici e nemici.
Dunque, si può mentire senza ingannare, per proteggere o allargare gli interessi nazionali, oppure si può alterare la realtà per frodare, cioè per sfruttare a proprio limitato vantaggio le sventure di un popolo intero. La scelta dei nostri screditati rappresentanti parlamentari è ricaduta, ovviamente, sulla seconda opzione. Per questo diciamo che anche le menzogne sono degnerate  in questa vile provincia colonizzata, qual è diventata la nostra povera Repubblica.
I tanti pinocchi del sistema, che ricomprende mass media, istituzioni, organizzazioni intra e para statali, hanno fatto fronte comune per raggirare i connazionali, i quali sono sempre più umiliati e tartassati da una classe politica che ha barattato il Paese per la propria sopravvivenza corporativa.
Chi è stato il garante indiscusso di questo pantano che sta portando all’esproprio del popolo italiano? Chi ha messo in sella, negli ultimi due governi, aggirando le elezioni e rinnegando la sovranità popolare, personaggi addestrati nei centri finanziari internazionali dove si parla soltanto l’inglese con accento americano? Chi ci ha costretti a sottostare, senza protestare, ai diktat di Bruxelles, di Berlino e del FMI?
Non è un rebus, ma un Re autoproclamatosi tale. Stiamo parlando del “peggiorista atlantista”, l’ex piccìsta convertitosi al capitalismo e al liberalismo, dopo un viaggio a Washington nel 1978. Costui è il responsabile dell’attuale cancrena italiana e ci sarebbero alcuni buoni motivi (dall’alto tradimento dello Stato all’attentato alla Costituzione) per chiederne l’impeachment all’istante.
Ma il Parlamento è diventato il suo bivacco di manipoli, un ricettacolo di manigoldi, di rinnegati e di crapuloni a spese della collettività che temono le urne come la peste perché non vogliono perdere i loro privilegi. Il recente ed ennesimo voltafaccia, quello dei vertici del Pdl che hanno girato le spalle al loro capo storico, non lascia ulteriori speranze di scampo al Belpaese.

Gli allarmismi sullo stato dei conti pubblici ed il caos istituzionale che ne è seguito servivano proprio a mettere Roma con le spalle al muro.L’obiettivo, ormai scoperto, era quello di costringerci a liquidare i tesori di Stato, soprattutto gli asset pubblici dei settori avanzati, ancora in nostro possesso, che facevano gola ai competitors stranieri. Anche l’ultimo baluardo dell’industria strategica nazionale cadrà a breve. Nemmeno più un diodo ci potrà salvare.
di Gianni Petrosillo 

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