09 agosto 2006

Beirut 2006: un deja vu



MedioOriente: venti di guerra con morti di civili affollano i nostri media.
La bilancia della giustizia dettata dai giornalisti nostrani è proporzionata alle offese subite.
Anche sul numero delle vittime civili la tradizione è rispettata: per difendersi dagli attacchi dei razzi lanciati da Hezbollah – che hanno provocato ad oggi 10 vittime civili in Israele – l’aviazione di Tel Aviv ne ha ammazzate (solo i civili) 200 in Libano. Il classico rapporto di 1 : 20 è rispettato, come nelle peggiori rappresaglie di guerra.
Sono state uccise intere famiglie, addirittura una famiglia canadese in visita ai parenti in Libano ed un casco blu indiano, dopo che Tzahal aveva preso di mira anche le forze ONU sul confine. E non si venga a dire che è stato un “errore” colpire due distinti raggruppamenti di caschi blu perché l’esercito israeliano, quando spara, sa bene su chi spara. Tanto, dopo si scusa.
Ebbene, la mente è ancora affollata dai nostri valorosi giornalisti, 2 vicedirettore di quotidiani nazionale che per un pugno di denari hanno scritto e depistato avendone licenza ed impunità.
Ho in mente l’ONU come un ente inutile schiavo di veti ed immunità per alcuni Stati ad oltranza. Ho in mente la discussione dei nostri dipendenti (grillo docet) eletti dal popolo italiano che giustificano la risposta militare israeliana. Per quei dipendenti possiamo vantare un primato internazionale, abbiamo la più alta percentuale di eletti ex detenuti. Nel frattempo l’ambasciata italiana è stata danneggiata da quelli che loro giustificano nella lotta al terrore.
Questo articolo sulla guerra in libano, scritto da Gilad Atzmon che è nato in Israele e ha prestato servizio militare nell’esercito israeliano, fa il punto della situazione interna.
Due settimane fa militanti palestinesi hanno rapito un legittimo obiettivo militare, un soldato israeliano. Ieri un attacco eroico orchestrato in maniera analogamente schiacciante da combattenti guerriglieri di Hizbollah. Entrambi gli attacchi sono avvenuti per mandare un messaggio di resistenza: Israele non riuscirà mai a imporre la sua disgustosa nozione unilaterale di ‘pace’. Di fatto il ritiro unilaterale può aver avuto un effetto magico sugli elettori israeliani così come su alcuni leader occidentali sionistizzati come Bush, Blair e la Merkel. Però gli abitanti di Gaza e dei villaggi del sud del Libano sono un po’ meno impressionati dall’inclinazione israeliana nei confronti della pace. A Gaza e nel sud del Libano è abbastanza chiaro che le forze della resistenza araba si opporranno all’agenda unilaterale israeliana fino alla fine dei tempi. Sanno bene che, così come il tango si balla in due, la pace non trionferà finché la causa palestinese non verrà affrontata in modo appropriato.

In breve, le diverse forme di ritiro unilaterale israeliano dal Libano, da Gaza o addirittura dalla Cisgiordania (che avverrà) non daranno pace a Israele. Al contrario invece; gli arabi non sono stupidi, sanno molto bene che Israele ha lasciato il Libano dopo essere stato umiliato sul piano militare per vent’anni. Sanno anche che Sharon non è scappato via da Gaza perché stava inseguendo la pace. I palestinesi sanno inoltre che è solo una questione di tempo perché avvenga anche in Cisgiordania. Per essere precisi è dal 1973 che il potere deterrente di Israele sta diminuendo. È dal 1973 che Israele non riesce a sconfiggere nessuno dei suoi nemici. Al contrario, un po’ per volta sono i nemici di Israele che sono in grado di dettare le manovre politiche e tattiche israeliane. Nelle ultime due settimane sono state due organizzazioni paramilitari relativamente piccole, che usano tecniche di guerriglia, che sono riuscite a portare Israele a scatenare tutta la sua potenza militare contro civili innocenti sia a Gaza che in Libano.

Però la reazione israeliana agli attacchi dei militanti palestinesi e Hizbollah è abbastanza strana. Nonostante sia i militanti palestinesi sia Hizbollah inizialmente abbiano colpito obiettivi militari legittimi, la controffensiva israeliana è stata chiaramente diretta verso obiettivi civili, infrastrutture civili e ha visto uccisioni di massa dirette verso una popolazione innocente. Non serve un genio per capire che non è certo il modo per vincere una guerra o affrontare un tipo di combattimento particolare come la guerriglia.

Vorrei far notare che ancora una volta il governo israeliano ci offre uno scorcio affascinante sulla forma mentis della psiche collettiva israeliana. Cercherò di sviluppare questa questione.

A causa di alcune evidenti circostanze storiche, l’esercito israeliano in origine è stato creato per combattere armate arabe. Era pensato per vincere guerre convenzionali sui campi di battaglia. È stato costituito anche per sfinire la volontà dei vicini di Israele di combattere esercitando una certa superiorità opprimente nell’aviazione e una politica di minaccia nucleare. Dalla fine della guerra fredda le cose sono cambiate. Israele non è più minacciato dagli stati vicini, piuttosto, negli anni più recenti è diventato evidente che in realtà è il popolo palestinese che alla fine distruggerà il sogno di uno stato ebraico nazionale.

È abbastanza strano che Israele non abbia mai adattato o corretto la sua dottrina militare per adeguarla alle nuove condizioni emergenti. Invece ha riqualificato molte delle sue unità combattenti come forze di polizia, ha trasformato alcuni dei suoi carri armati in veicoli della polizia e tuttora non ha ancora modificato significativamente la sua dottrina militare. Proprio come la Wehrmacht alla fine della seconda guerra mondiale, le IDF (Forze di difesa israeliane) seguono ancora in maniera classica la dottrina militare offensiva. Finora, invece di vincere sul campo di battaglia, le IDF al momento si stanno stremando disperatamente su due fronti combattendo organizzazioni paramilitari relativamente piccole. Ma la situazione può peggiorare, è piuttosto verosimile che l’entusiasmo eroico palestinese si espanda in Cisgiordania. Se dovesse succedere, le IDF si troverebbero coinvolte in una guerra totale ad appena pochi chilometri dai centri israeliani a maggiore densità di popolazione. Evidentemente il cosiddetto esercito più forte del Medio Oriente sta combattendo una guerra disperata che non potrà mai vincere né sul piano tattico né su quello morale.

A livello tattico abbiamo sufficienti riferimenti storici per dedurre che nessun esercito coloniale ha mai vinto contro la guerriglia. La ragione è semplice, più un’armata coloniale sparge distruzione, più i guerriglieri combattenti diventano popolari fra la popolazione circostante che li sostiene. Questo è proprio il caso di Gaza e Beirut oggi. Più stragi ci sono a Gaza, più forte diventa Hamas. Più bombe vengono sganciate sull’aeroporto di Beirut, più giovani vorranno unirsi ad Hizbollah.

Ma non finisce qui, sia i militanti palestinesi che Hizbollah sono stati molto furbi a scegliere obiettivi puramente militari. Mentre in passato Hamas veniva associata agli attentati suicidi contro i civili israeliani, questa volta sono stati presi di mira soldati israeliani e postazioni puramente militari. In altre parole, è praticamente impossibile obiettare sul fatto che i militanti palestinesi e Hizbollah in realtà hanno agito come legittimi gruppi di resistenza paramilitari che combattono contro un esercito coloniale e forze di occupazione.

Comunque, leggendo le notizie che arrivano dal Medio Oriente, è abbastanza ovvio che il governo israeliano non abbia un piano chiaro per reagire alle attuali operazioni militari provocatorie contro il suo esercito e come se non bastasse, le IDF non hanno mezzi per rispondere ad assalti di guerriglia del genere. I crudeli danni collaterali di oggi a Beirut come a Gaza sono la prova che almeno sul piano militare, Israele è in una situazione assolutamente disperata. Non ha una risposta né politica né militare per controbattere la resistenza araba. Ma qui sta il punto; Israele non ha bisogno di una risposta in quanto tale, non la cerca nemmeno.

Israele è una democrazia ad orientamento razziale. I suoi leader sono impegnati in un’unica cosa, cioè mantenere il loro potere politico. Per quanto riguarda il gioco politico israeliano, le regole sono semplici, più sangue arabo hai sulle mani più sei adatto per avere successo nel tuo lavoro al governo. Questa regola ovviamente ha avvantaggiato Rabin, Sharon, Barak e Netanyahu. Olmert e Peretz sono ancora abbastanza indietro. Sia al primo ministro che al suo ministro della difesa manca qualche esperienza reale in questioni militari e di sicurezza per hanno parecchio da recuperare.

In altre parole Peretz e Olmert devono fornire al popolo israeliano un glorioso spettacolo di spietata rappresaglia. Devono dimostrare ai loro entusiasti elettori che hanno interiorizzato il vero significato biblico di ‘occhio per occhio’. Di fronte al massacro di oggi a Beirut sembra in qualche modo che abbiano provato addirittura a dare al vecchio detto ebraico un nuovo significato. Per quanto devastante possa sembrare, è esattamente quello che gli israeliani vogliono che facciano. All’interno del democratico Israele il richiamo biblico “scaglia la tua furia contro i goyim” viene tradotto in una pratica politica pragmatica ebraica laica. Non è solo triste, è una vera tragedia. E mi chiedo se c’è qualcuno là fuori che è ancora sopraffatto dall’agenda di pace unilaterale israeliana.

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09 agosto 2006

Beirut 2006: un deja vu



MedioOriente: venti di guerra con morti di civili affollano i nostri media.
La bilancia della giustizia dettata dai giornalisti nostrani è proporzionata alle offese subite.
Anche sul numero delle vittime civili la tradizione è rispettata: per difendersi dagli attacchi dei razzi lanciati da Hezbollah – che hanno provocato ad oggi 10 vittime civili in Israele – l’aviazione di Tel Aviv ne ha ammazzate (solo i civili) 200 in Libano. Il classico rapporto di 1 : 20 è rispettato, come nelle peggiori rappresaglie di guerra.
Sono state uccise intere famiglie, addirittura una famiglia canadese in visita ai parenti in Libano ed un casco blu indiano, dopo che Tzahal aveva preso di mira anche le forze ONU sul confine. E non si venga a dire che è stato un “errore” colpire due distinti raggruppamenti di caschi blu perché l’esercito israeliano, quando spara, sa bene su chi spara. Tanto, dopo si scusa.
Ebbene, la mente è ancora affollata dai nostri valorosi giornalisti, 2 vicedirettore di quotidiani nazionale che per un pugno di denari hanno scritto e depistato avendone licenza ed impunità.
Ho in mente l’ONU come un ente inutile schiavo di veti ed immunità per alcuni Stati ad oltranza. Ho in mente la discussione dei nostri dipendenti (grillo docet) eletti dal popolo italiano che giustificano la risposta militare israeliana. Per quei dipendenti possiamo vantare un primato internazionale, abbiamo la più alta percentuale di eletti ex detenuti. Nel frattempo l’ambasciata italiana è stata danneggiata da quelli che loro giustificano nella lotta al terrore.
Questo articolo sulla guerra in libano, scritto da Gilad Atzmon che è nato in Israele e ha prestato servizio militare nell’esercito israeliano, fa il punto della situazione interna.
Due settimane fa militanti palestinesi hanno rapito un legittimo obiettivo militare, un soldato israeliano. Ieri un attacco eroico orchestrato in maniera analogamente schiacciante da combattenti guerriglieri di Hizbollah. Entrambi gli attacchi sono avvenuti per mandare un messaggio di resistenza: Israele non riuscirà mai a imporre la sua disgustosa nozione unilaterale di ‘pace’. Di fatto il ritiro unilaterale può aver avuto un effetto magico sugli elettori israeliani così come su alcuni leader occidentali sionistizzati come Bush, Blair e la Merkel. Però gli abitanti di Gaza e dei villaggi del sud del Libano sono un po’ meno impressionati dall’inclinazione israeliana nei confronti della pace. A Gaza e nel sud del Libano è abbastanza chiaro che le forze della resistenza araba si opporranno all’agenda unilaterale israeliana fino alla fine dei tempi. Sanno bene che, così come il tango si balla in due, la pace non trionferà finché la causa palestinese non verrà affrontata in modo appropriato.

In breve, le diverse forme di ritiro unilaterale israeliano dal Libano, da Gaza o addirittura dalla Cisgiordania (che avverrà) non daranno pace a Israele. Al contrario invece; gli arabi non sono stupidi, sanno molto bene che Israele ha lasciato il Libano dopo essere stato umiliato sul piano militare per vent’anni. Sanno anche che Sharon non è scappato via da Gaza perché stava inseguendo la pace. I palestinesi sanno inoltre che è solo una questione di tempo perché avvenga anche in Cisgiordania. Per essere precisi è dal 1973 che il potere deterrente di Israele sta diminuendo. È dal 1973 che Israele non riesce a sconfiggere nessuno dei suoi nemici. Al contrario, un po’ per volta sono i nemici di Israele che sono in grado di dettare le manovre politiche e tattiche israeliane. Nelle ultime due settimane sono state due organizzazioni paramilitari relativamente piccole, che usano tecniche di guerriglia, che sono riuscite a portare Israele a scatenare tutta la sua potenza militare contro civili innocenti sia a Gaza che in Libano.

Però la reazione israeliana agli attacchi dei militanti palestinesi e Hizbollah è abbastanza strana. Nonostante sia i militanti palestinesi sia Hizbollah inizialmente abbiano colpito obiettivi militari legittimi, la controffensiva israeliana è stata chiaramente diretta verso obiettivi civili, infrastrutture civili e ha visto uccisioni di massa dirette verso una popolazione innocente. Non serve un genio per capire che non è certo il modo per vincere una guerra o affrontare un tipo di combattimento particolare come la guerriglia.

Vorrei far notare che ancora una volta il governo israeliano ci offre uno scorcio affascinante sulla forma mentis della psiche collettiva israeliana. Cercherò di sviluppare questa questione.

A causa di alcune evidenti circostanze storiche, l’esercito israeliano in origine è stato creato per combattere armate arabe. Era pensato per vincere guerre convenzionali sui campi di battaglia. È stato costituito anche per sfinire la volontà dei vicini di Israele di combattere esercitando una certa superiorità opprimente nell’aviazione e una politica di minaccia nucleare. Dalla fine della guerra fredda le cose sono cambiate. Israele non è più minacciato dagli stati vicini, piuttosto, negli anni più recenti è diventato evidente che in realtà è il popolo palestinese che alla fine distruggerà il sogno di uno stato ebraico nazionale.

È abbastanza strano che Israele non abbia mai adattato o corretto la sua dottrina militare per adeguarla alle nuove condizioni emergenti. Invece ha riqualificato molte delle sue unità combattenti come forze di polizia, ha trasformato alcuni dei suoi carri armati in veicoli della polizia e tuttora non ha ancora modificato significativamente la sua dottrina militare. Proprio come la Wehrmacht alla fine della seconda guerra mondiale, le IDF (Forze di difesa israeliane) seguono ancora in maniera classica la dottrina militare offensiva. Finora, invece di vincere sul campo di battaglia, le IDF al momento si stanno stremando disperatamente su due fronti combattendo organizzazioni paramilitari relativamente piccole. Ma la situazione può peggiorare, è piuttosto verosimile che l’entusiasmo eroico palestinese si espanda in Cisgiordania. Se dovesse succedere, le IDF si troverebbero coinvolte in una guerra totale ad appena pochi chilometri dai centri israeliani a maggiore densità di popolazione. Evidentemente il cosiddetto esercito più forte del Medio Oriente sta combattendo una guerra disperata che non potrà mai vincere né sul piano tattico né su quello morale.

A livello tattico abbiamo sufficienti riferimenti storici per dedurre che nessun esercito coloniale ha mai vinto contro la guerriglia. La ragione è semplice, più un’armata coloniale sparge distruzione, più i guerriglieri combattenti diventano popolari fra la popolazione circostante che li sostiene. Questo è proprio il caso di Gaza e Beirut oggi. Più stragi ci sono a Gaza, più forte diventa Hamas. Più bombe vengono sganciate sull’aeroporto di Beirut, più giovani vorranno unirsi ad Hizbollah.

Ma non finisce qui, sia i militanti palestinesi che Hizbollah sono stati molto furbi a scegliere obiettivi puramente militari. Mentre in passato Hamas veniva associata agli attentati suicidi contro i civili israeliani, questa volta sono stati presi di mira soldati israeliani e postazioni puramente militari. In altre parole, è praticamente impossibile obiettare sul fatto che i militanti palestinesi e Hizbollah in realtà hanno agito come legittimi gruppi di resistenza paramilitari che combattono contro un esercito coloniale e forze di occupazione.

Comunque, leggendo le notizie che arrivano dal Medio Oriente, è abbastanza ovvio che il governo israeliano non abbia un piano chiaro per reagire alle attuali operazioni militari provocatorie contro il suo esercito e come se non bastasse, le IDF non hanno mezzi per rispondere ad assalti di guerriglia del genere. I crudeli danni collaterali di oggi a Beirut come a Gaza sono la prova che almeno sul piano militare, Israele è in una situazione assolutamente disperata. Non ha una risposta né politica né militare per controbattere la resistenza araba. Ma qui sta il punto; Israele non ha bisogno di una risposta in quanto tale, non la cerca nemmeno.

Israele è una democrazia ad orientamento razziale. I suoi leader sono impegnati in un’unica cosa, cioè mantenere il loro potere politico. Per quanto riguarda il gioco politico israeliano, le regole sono semplici, più sangue arabo hai sulle mani più sei adatto per avere successo nel tuo lavoro al governo. Questa regola ovviamente ha avvantaggiato Rabin, Sharon, Barak e Netanyahu. Olmert e Peretz sono ancora abbastanza indietro. Sia al primo ministro che al suo ministro della difesa manca qualche esperienza reale in questioni militari e di sicurezza per hanno parecchio da recuperare.

In altre parole Peretz e Olmert devono fornire al popolo israeliano un glorioso spettacolo di spietata rappresaglia. Devono dimostrare ai loro entusiasti elettori che hanno interiorizzato il vero significato biblico di ‘occhio per occhio’. Di fronte al massacro di oggi a Beirut sembra in qualche modo che abbiano provato addirittura a dare al vecchio detto ebraico un nuovo significato. Per quanto devastante possa sembrare, è esattamente quello che gli israeliani vogliono che facciano. All’interno del democratico Israele il richiamo biblico “scaglia la tua furia contro i goyim” viene tradotto in una pratica politica pragmatica ebraica laica. Non è solo triste, è una vera tragedia. E mi chiedo se c’è qualcuno là fuori che è ancora sopraffatto dall’agenda di pace unilaterale israeliana.

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