25 marzo 2007

Lunardi: un ministro che deve risarcire lo stato?


Non succede spesso che a un ministro venga chiesto di pagare di tasca propria il denaro pubblico sperperato. Ma quando accade, le cifre sono importanti. L’ingegner Pietro Lunardi, ex ministro alle Infrastrutture del governo Berlusconi, dovrà risarcire l’Anas per 2.757.877,34 euro avendo costretto l’azienda, quando era ministro, a pagare le maxiliquidazioni del Cda pur di farne piazza pulita. La sezione Lazio della corte dei conti, il 10 novembre scorso, ha infatti depositato la sentenza di condanna nei confronti dell’ex ministro ritenendo risarcimenti, buonuscite e finte consulenze non dovuti. La vicenda I fatti risalgono al 2001. L’ingegner Lunardi si è appena insediato al ministero e una delle sue prime decisioni è mandare a casa i vertici Anas. Presidente, all’epoca, è Giuseppe D'Angiolino, ex ufficiale della guardia di finanza. Tra i due non corre buon sangue. D’Angiolino, infatti, ha revocato alcuni incarichi all’ingegnere non ancora ministro ma consulenze per Anas per un paio di gallerie. All’ex ufficiale i conti non tornano. Quando c’è di mezzo la società di Lunardi, la Rocksoil, i costi lievitano. Così, dopo aver fatto eseguire delle perizie, chiede al futuro ministro di abbassare il prezzo o lasciare. Quando Lunardi arriva al ministero, ha il dente avvelenato. Costringe D'Angiolino a farsi da parte. Per convincerlo è disposto a pagare, anche più del dovuto. Il 27 settembre 2001 il presidente lascia l’incarico con risoluzione consensuale del contratto. Lo seguono a ruota i quattro consiglieri: Paolo Urbani, Alessandro Migliavacca, Clemente Carta e Ivan Cicconi rassegnano le dimissioni tra il 15 e il 19 ottobre 2001. L’uscita di scena dei cinque viene concordata con il ministro dietro il pagamento di parecchio denaro. La buonuscita del presidente Il professor D’Angiolino torna a casa con un milione e mezzo di euro in tasca. Chiede e ottiene: 816mila euro come compenso in qualità di amministratore dell'Anas superiori ai 350 milioni di lire previsti (l’ex ufficiale sostiene di poter far valere le norme sui dirigenti d'azienda privati per l'intero periodo del suo incarico, ovvero dal 1994 al 2001); altri 413mila euro come adeguamento del compenso (D’Angiolino sostiene di aver svolto mansioni di amministratore straordinario dal 1994 al 2001 anche se la corte sottolinea come, dal 1995, egli sia nominato presidente); altri 154mila euro arrivano come risarcimento per il patto di fedeltà che impone all’ex presidente di Anas di non esercitare nei tre anni successivi lavori in concorrenza con il gestore della rete stradale (ma la clausola è già contenuta nel contratto di nomina e quindi non bisognava pagarla a parte); infine il ministro accorda altri 154mila euro di consulenze da effettuare per conto del ministero in tre anni. Il conto verrà poi «elegantemente» girato all’Anas (non sia mai che il ministero si trovi in difficoltà), ma quel che è peggio è che la corte non trova traccia di alcuna consulenza effettuata da D’Angiolino. Per questo sono stati condannati insieme al ministro anche due funzionari Anas colpevoli di aver pagato l’ex presidente senza aver controllato che avesse effettivamente svolto i lavori. Generosi anche coi consiglieri Non è solo il presidente D’Angiolino a venire lautamente remunerato dal ministro. I quattro membri del Cda concordano infatti con l’ingegner Lunardi un «risarcimento» pari allo stipendio che avrebbero percepito fino a fine mandato se il loro incarico non fosse stato prematuramente interrotto. Addirittura la corte scopre che ai quattro consiglieri vengono riconosciuti i gettoni di presenza «futuri» sulla base di una media calcolata sugli mesi precedenti. E di riunioni, quel Cda, non ne avrebbe più fatte. Alla fine ogni consigliere ha intascato 335.700 euro che, sommati alla cifra già data all’ex presidente, significa 2.881.000 euro. La colpa La corte, alla fine, ha stabilito che il ministro ha avuto gravi colpe nello sperpero di denaro. Non solo quei soldi non dovevano essere pagati, ma l’ingegner Lunardi non aveva alcun potere di stabilire compensi, risarcimenti e quant’altro essendoci norme, regole e organi preposti proprio a questo. Per questo l’ex ministro è stato condannato a pagare 2.757.877,34 euro, mentre i due funzionari dell’Anas dovranno sborsare 61.974 euro a testa. In attesa di un eventuale ricorso in appello da parte dei condannati, il piatto piange. Non succede spesso che a un ministro venga chiesto di pagare di tasca propria il denaro pubblico sperperato. Ma quando accade, le cifre sono importanti. L’ingegner Pietro Lunardi, ex ministro alle Infrastrutture del governo Berlusconi, dovrà risarcire l’Anas per 2.757.877,34 euro avendo costretto l’azienda, quando era ministro, a pagare le maxiliquidazioni del Cda pur di farne piazza pulita. La sezione Lazio della corte dei conti, il 10 novembre scorso, ha infatti depositato la sentenza di condanna nei confronti dell’ex ministro ritenendo risarcimenti, buonuscite e finte consulenze non dovuti. La vicenda I fatti risalgono al 2001. L’ingegner Lunardi si è appena insediato al ministero e una delle sue prime decisioni è mandare a casa i vertici Anas. Presidente, all’epoca, è Giuseppe D'Angiolino, ex ufficiale della guardia di finanza. Tra i due non corre buon sangue. D’Angiolino, infatti, ha revocato alcuni incarichi all’ingegnere non ancora ministro ma consulenze per Anas per un paio di gallerie. All’ex ufficiale i conti non tornano. Quando c’è di mezzo la società di Lunardi, la Rocksoil, i costi lievitano. Così, dopo aver fatto eseguire delle perizie, chiede al futuro ministro di abbassare il prezzo o lasciare. Quando Lunardi arriva al ministero, ha il dente avvelenato. Costringe D'Angiolino a farsi da parte. Per convincerlo è disposto a pagare, anche più del dovuto. Il 27 settembre 2001 il presidente lascia l’incarico con risoluzione consensuale del contratto. Lo seguono a ruota i quattro consiglieri: Paolo Urbani, Alessandro Migliavacca, Clemente Carta e Ivan Cicconi rassegnano le dimissioni tra il 15 e il 19 ottobre 2001. L’uscita di scena dei cinque viene concordata con il ministro dietro il pagamento di parecchio denaro. La buonuscita del presidente Il professor D’Angiolino torna a casa con un milione e mezzo di euro in tasca. Chiede e ottiene: 816mila euro come compenso in qualità di amministratore dell'Anas superiori ai 350 milioni di lire previsti (l’ex ufficiale sostiene di poter far valere le norme sui dirigenti d'azienda privati per l'intero periodo del suo incarico, ovvero dal 1994 al 2001); altri 413mila euro come adeguamento del compenso (D’Angiolino sostiene di aver svolto mansioni di amministratore straordinario dal 1994 al 2001 anche se la corte sottolinea come, dal 1995, egli sia nominato presidente); altri 154mila euro arrivano come risarcimento per il patto di fedeltà che impone all’ex presidente di Anas di non esercitare nei tre anni successivi lavori in concorrenza con il gestore della rete stradale (ma la clausola è già contenuta nel contratto di nomina e quindi non bisognava pagarla a parte); infine il ministro accorda altri 154mila euro di consulenze da effettuare per conto del ministero in tre anni. Il conto verrà poi «elegantemente» girato all’Anas (non sia mai che il ministero si trovi in difficoltà), ma quel che è peggio è che la corte non trova traccia di alcuna consulenza effettuata da D’Angiolino. Per questo sono stati condannati insieme al ministro anche due funzionari Anas colpevoli di aver pagato l’ex presidente senza aver controllato che avesse effettivamente svolto i lavori. Generosi anche coi consiglieri Non è solo il presidente D’Angiolino a venire lautamente remunerato dal ministro. I quattro membri del Cda concordano infatti con l’ingegner Lunardi un «risarcimento» pari allo stipendio che avrebbero percepito fino a fine mandato se il loro incarico non fosse stato prematuramente interrotto. Addirittura la corte scopre che ai quattro consiglieri vengono riconosciuti i gettoni di presenza «futuri» sulla base di una media calcolata sugli mesi precedenti. E di riunioni, quel Cda, non ne avrebbe più fatte. Alla fine ogni consigliere ha intascato 335.700 euro che, sommati alla cifra già data all’ex presidente, significa 2.881.000 euro. La colpa La corte, alla fine, ha stabilito che il ministro ha avuto gravi colpe nello sperpero di denaro. Non solo quei soldi non dovevano essere pagati, ma l’ingegner Lunardi non aveva alcun potere di stabilire compensi, risarcimenti e quant’altro essendoci norme, regole e organi preposti proprio a questo. Per questo l’ex ministro è stato condannato a pagare 2.757.877,34 euro, mentre i due funzionari dell’Anas dovranno sborsare 61.974 euro a testa. In attesa di un eventuale ricorso in appello da parte dei condannati, il piatto piange. Non succede spesso che a un ministro venga chiesto di pagare di tasca propria il denaro pubblico sperperato. Ma quando accade, le cifre sono importanti. L’ingegner Pietro Lunardi, ex ministro alle Infrastrutture del governo Berlusconi, dovrà risarcire l’Anas per 2.757.877,34 euro avendo costretto l’azienda, quando era ministro, a pagare le maxiliquidazioni del Cda pur di farne piazza pulita. La sezione Lazio della corte dei conti, il 10 novembre scorso, ha infatti depositato la sentenza di condanna nei confronti dell’ex ministro ritenendo risarcimenti, buonuscite e finte consulenze non dovuti. La vicenda I fatti risalgono al 2001. L’ingegner Lunardi si è appena insediato al ministero e una delle sue prime decisioni è mandare a casa i vertici Anas. Presidente, all’epoca, è Giuseppe D'Angiolino, ex ufficiale della guardia di finanza. Tra i due non corre buon sangue. D’Angiolino, infatti, ha revocato alcuni incarichi all’ingegnere non ancora ministro ma consulenze per Anas per un paio di gallerie. All’ex ufficiale i conti non tornano. Quando c’è di mezzo la società di Lunardi, la Rocksoil, i costi lievitano. Così, dopo aver fatto eseguire delle perizie, chiede al futuro ministro di abbassare il prezzo o lasciare. Quando Lunardi arriva al ministero, ha il dente avvelenato. Costringe D'Angiolino a farsi da parte. Per convincerlo è disposto a pagare, anche più del dovuto. Il 27 settembre 2001 il presidente lascia l’incarico con risoluzione consensuale del contratto. Lo seguono a ruota i quattro consiglieri: Paolo Urbani, Alessandro Migliavacca, Clemente Carta e Ivan Cicconi rassegnano le dimissioni tra il 15 e il 19 ottobre 2001. L’uscita di scena dei cinque viene concordata con il ministro dietro il pagamento di parecchio denaro. La buonuscita del presidente Il professor D’Angiolino torna a casa con un milione e mezzo di euro in tasca. Chiede e ottiene: 816mila euro come compenso in qualità di amministratore dell'Anas superiori ai 350 milioni di lire previsti (l’ex ufficiale sostiene di poter far valere le norme sui dirigenti d'azienda privati per l'intero periodo del suo incarico, ovvero dal 1994 al 2001); altri 413mila euro come adeguamento del compenso (D’Angiolino sostiene di aver svolto mansioni di amministratore straordinario dal 1994 al 2001 anche se la corte sottolinea come, dal 1995, egli sia nominato presidente); altri 154mila euro arrivano come risarcimento per il patto di fedeltà che impone all’ex presidente di Anas di non esercitare nei tre anni successivi lavori in concorrenza con il gestore della rete stradale (ma la clausola è già contenuta nel contratto di nomina e quindi non bisognava pagarla a parte); infine il ministro accorda altri 154mila euro di consulenze da effettuare per conto del ministero in tre anni. Il conto verrà poi «elegantemente» girato all’Anas (non sia mai che il ministero si trovi in difficoltà), ma quel che è peggio è che la corte non trova traccia di alcuna consulenza effettuata da D’Angiolino. Per questo sono stati condannati insieme al ministro anche due funzionari Anas colpevoli di aver pagato l’ex presidente senza aver controllato che avesse effettivamente svolto i lavori. Generosi anche coi consiglieri Non è solo il presidente D’Angiolino a venire lautamente remunerato dal ministro. I quattro membri del Cda concordano infatti con l’ingegner Lunardi un «risarcimento» pari allo stipendio che avrebbero percepito fino a fine mandato se il loro incarico non fosse stato prematuramente interrotto. Addirittura la corte scopre che ai quattro consiglieri vengono riconosciuti i gettoni di presenza «futuri» sulla base di una media calcolata sugli mesi precedenti. E di riunioni, quel Cda, non ne avrebbe più fatte. Alla fine ogni consigliere ha intascato 335.700 euro che, sommati alla cifra già data all’ex presidente, significa 2.881.000 euro. La colpa La corte, alla fine, ha stabilito che il ministro ha avuto gravi colpe nello sperpero di denaro. Non solo quei soldi non dovevano essere pagati, ma l’ingegner Lunardi non aveva alcun potere di stabilire compensi, risarcimenti e quant’altro essendoci norme, regole e organi preposti proprio a questo. Per questo l’ex ministro è stato condannato a pagare 2.757.877,34 euro, mentre i due funzionari dell’Anas dovranno sborsare 61.974 euro a testa. In attesa di un eventuale ricorso in appello da parte dei condannati, il piatto piange.

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25 marzo 2007

Lunardi: un ministro che deve risarcire lo stato?


Non succede spesso che a un ministro venga chiesto di pagare di tasca propria il denaro pubblico sperperato. Ma quando accade, le cifre sono importanti. L’ingegner Pietro Lunardi, ex ministro alle Infrastrutture del governo Berlusconi, dovrà risarcire l’Anas per 2.757.877,34 euro avendo costretto l’azienda, quando era ministro, a pagare le maxiliquidazioni del Cda pur di farne piazza pulita. La sezione Lazio della corte dei conti, il 10 novembre scorso, ha infatti depositato la sentenza di condanna nei confronti dell’ex ministro ritenendo risarcimenti, buonuscite e finte consulenze non dovuti. La vicenda I fatti risalgono al 2001. L’ingegner Lunardi si è appena insediato al ministero e una delle sue prime decisioni è mandare a casa i vertici Anas. Presidente, all’epoca, è Giuseppe D'Angiolino, ex ufficiale della guardia di finanza. Tra i due non corre buon sangue. D’Angiolino, infatti, ha revocato alcuni incarichi all’ingegnere non ancora ministro ma consulenze per Anas per un paio di gallerie. All’ex ufficiale i conti non tornano. Quando c’è di mezzo la società di Lunardi, la Rocksoil, i costi lievitano. Così, dopo aver fatto eseguire delle perizie, chiede al futuro ministro di abbassare il prezzo o lasciare. Quando Lunardi arriva al ministero, ha il dente avvelenato. Costringe D'Angiolino a farsi da parte. Per convincerlo è disposto a pagare, anche più del dovuto. Il 27 settembre 2001 il presidente lascia l’incarico con risoluzione consensuale del contratto. Lo seguono a ruota i quattro consiglieri: Paolo Urbani, Alessandro Migliavacca, Clemente Carta e Ivan Cicconi rassegnano le dimissioni tra il 15 e il 19 ottobre 2001. L’uscita di scena dei cinque viene concordata con il ministro dietro il pagamento di parecchio denaro. La buonuscita del presidente Il professor D’Angiolino torna a casa con un milione e mezzo di euro in tasca. Chiede e ottiene: 816mila euro come compenso in qualità di amministratore dell'Anas superiori ai 350 milioni di lire previsti (l’ex ufficiale sostiene di poter far valere le norme sui dirigenti d'azienda privati per l'intero periodo del suo incarico, ovvero dal 1994 al 2001); altri 413mila euro come adeguamento del compenso (D’Angiolino sostiene di aver svolto mansioni di amministratore straordinario dal 1994 al 2001 anche se la corte sottolinea come, dal 1995, egli sia nominato presidente); altri 154mila euro arrivano come risarcimento per il patto di fedeltà che impone all’ex presidente di Anas di non esercitare nei tre anni successivi lavori in concorrenza con il gestore della rete stradale (ma la clausola è già contenuta nel contratto di nomina e quindi non bisognava pagarla a parte); infine il ministro accorda altri 154mila euro di consulenze da effettuare per conto del ministero in tre anni. Il conto verrà poi «elegantemente» girato all’Anas (non sia mai che il ministero si trovi in difficoltà), ma quel che è peggio è che la corte non trova traccia di alcuna consulenza effettuata da D’Angiolino. Per questo sono stati condannati insieme al ministro anche due funzionari Anas colpevoli di aver pagato l’ex presidente senza aver controllato che avesse effettivamente svolto i lavori. Generosi anche coi consiglieri Non è solo il presidente D’Angiolino a venire lautamente remunerato dal ministro. I quattro membri del Cda concordano infatti con l’ingegner Lunardi un «risarcimento» pari allo stipendio che avrebbero percepito fino a fine mandato se il loro incarico non fosse stato prematuramente interrotto. Addirittura la corte scopre che ai quattro consiglieri vengono riconosciuti i gettoni di presenza «futuri» sulla base di una media calcolata sugli mesi precedenti. E di riunioni, quel Cda, non ne avrebbe più fatte. Alla fine ogni consigliere ha intascato 335.700 euro che, sommati alla cifra già data all’ex presidente, significa 2.881.000 euro. La colpa La corte, alla fine, ha stabilito che il ministro ha avuto gravi colpe nello sperpero di denaro. Non solo quei soldi non dovevano essere pagati, ma l’ingegner Lunardi non aveva alcun potere di stabilire compensi, risarcimenti e quant’altro essendoci norme, regole e organi preposti proprio a questo. Per questo l’ex ministro è stato condannato a pagare 2.757.877,34 euro, mentre i due funzionari dell’Anas dovranno sborsare 61.974 euro a testa. In attesa di un eventuale ricorso in appello da parte dei condannati, il piatto piange. Non succede spesso che a un ministro venga chiesto di pagare di tasca propria il denaro pubblico sperperato. Ma quando accade, le cifre sono importanti. L’ingegner Pietro Lunardi, ex ministro alle Infrastrutture del governo Berlusconi, dovrà risarcire l’Anas per 2.757.877,34 euro avendo costretto l’azienda, quando era ministro, a pagare le maxiliquidazioni del Cda pur di farne piazza pulita. La sezione Lazio della corte dei conti, il 10 novembre scorso, ha infatti depositato la sentenza di condanna nei confronti dell’ex ministro ritenendo risarcimenti, buonuscite e finte consulenze non dovuti. La vicenda I fatti risalgono al 2001. L’ingegner Lunardi si è appena insediato al ministero e una delle sue prime decisioni è mandare a casa i vertici Anas. Presidente, all’epoca, è Giuseppe D'Angiolino, ex ufficiale della guardia di finanza. Tra i due non corre buon sangue. D’Angiolino, infatti, ha revocato alcuni incarichi all’ingegnere non ancora ministro ma consulenze per Anas per un paio di gallerie. All’ex ufficiale i conti non tornano. Quando c’è di mezzo la società di Lunardi, la Rocksoil, i costi lievitano. Così, dopo aver fatto eseguire delle perizie, chiede al futuro ministro di abbassare il prezzo o lasciare. Quando Lunardi arriva al ministero, ha il dente avvelenato. Costringe D'Angiolino a farsi da parte. Per convincerlo è disposto a pagare, anche più del dovuto. Il 27 settembre 2001 il presidente lascia l’incarico con risoluzione consensuale del contratto. Lo seguono a ruota i quattro consiglieri: Paolo Urbani, Alessandro Migliavacca, Clemente Carta e Ivan Cicconi rassegnano le dimissioni tra il 15 e il 19 ottobre 2001. L’uscita di scena dei cinque viene concordata con il ministro dietro il pagamento di parecchio denaro. La buonuscita del presidente Il professor D’Angiolino torna a casa con un milione e mezzo di euro in tasca. Chiede e ottiene: 816mila euro come compenso in qualità di amministratore dell'Anas superiori ai 350 milioni di lire previsti (l’ex ufficiale sostiene di poter far valere le norme sui dirigenti d'azienda privati per l'intero periodo del suo incarico, ovvero dal 1994 al 2001); altri 413mila euro come adeguamento del compenso (D’Angiolino sostiene di aver svolto mansioni di amministratore straordinario dal 1994 al 2001 anche se la corte sottolinea come, dal 1995, egli sia nominato presidente); altri 154mila euro arrivano come risarcimento per il patto di fedeltà che impone all’ex presidente di Anas di non esercitare nei tre anni successivi lavori in concorrenza con il gestore della rete stradale (ma la clausola è già contenuta nel contratto di nomina e quindi non bisognava pagarla a parte); infine il ministro accorda altri 154mila euro di consulenze da effettuare per conto del ministero in tre anni. Il conto verrà poi «elegantemente» girato all’Anas (non sia mai che il ministero si trovi in difficoltà), ma quel che è peggio è che la corte non trova traccia di alcuna consulenza effettuata da D’Angiolino. Per questo sono stati condannati insieme al ministro anche due funzionari Anas colpevoli di aver pagato l’ex presidente senza aver controllato che avesse effettivamente svolto i lavori. Generosi anche coi consiglieri Non è solo il presidente D’Angiolino a venire lautamente remunerato dal ministro. I quattro membri del Cda concordano infatti con l’ingegner Lunardi un «risarcimento» pari allo stipendio che avrebbero percepito fino a fine mandato se il loro incarico non fosse stato prematuramente interrotto. Addirittura la corte scopre che ai quattro consiglieri vengono riconosciuti i gettoni di presenza «futuri» sulla base di una media calcolata sugli mesi precedenti. E di riunioni, quel Cda, non ne avrebbe più fatte. Alla fine ogni consigliere ha intascato 335.700 euro che, sommati alla cifra già data all’ex presidente, significa 2.881.000 euro. La colpa La corte, alla fine, ha stabilito che il ministro ha avuto gravi colpe nello sperpero di denaro. Non solo quei soldi non dovevano essere pagati, ma l’ingegner Lunardi non aveva alcun potere di stabilire compensi, risarcimenti e quant’altro essendoci norme, regole e organi preposti proprio a questo. Per questo l’ex ministro è stato condannato a pagare 2.757.877,34 euro, mentre i due funzionari dell’Anas dovranno sborsare 61.974 euro a testa. In attesa di un eventuale ricorso in appello da parte dei condannati, il piatto piange. Non succede spesso che a un ministro venga chiesto di pagare di tasca propria il denaro pubblico sperperato. Ma quando accade, le cifre sono importanti. L’ingegner Pietro Lunardi, ex ministro alle Infrastrutture del governo Berlusconi, dovrà risarcire l’Anas per 2.757.877,34 euro avendo costretto l’azienda, quando era ministro, a pagare le maxiliquidazioni del Cda pur di farne piazza pulita. La sezione Lazio della corte dei conti, il 10 novembre scorso, ha infatti depositato la sentenza di condanna nei confronti dell’ex ministro ritenendo risarcimenti, buonuscite e finte consulenze non dovuti. La vicenda I fatti risalgono al 2001. L’ingegner Lunardi si è appena insediato al ministero e una delle sue prime decisioni è mandare a casa i vertici Anas. Presidente, all’epoca, è Giuseppe D'Angiolino, ex ufficiale della guardia di finanza. Tra i due non corre buon sangue. D’Angiolino, infatti, ha revocato alcuni incarichi all’ingegnere non ancora ministro ma consulenze per Anas per un paio di gallerie. All’ex ufficiale i conti non tornano. Quando c’è di mezzo la società di Lunardi, la Rocksoil, i costi lievitano. Così, dopo aver fatto eseguire delle perizie, chiede al futuro ministro di abbassare il prezzo o lasciare. Quando Lunardi arriva al ministero, ha il dente avvelenato. Costringe D'Angiolino a farsi da parte. Per convincerlo è disposto a pagare, anche più del dovuto. Il 27 settembre 2001 il presidente lascia l’incarico con risoluzione consensuale del contratto. Lo seguono a ruota i quattro consiglieri: Paolo Urbani, Alessandro Migliavacca, Clemente Carta e Ivan Cicconi rassegnano le dimissioni tra il 15 e il 19 ottobre 2001. L’uscita di scena dei cinque viene concordata con il ministro dietro il pagamento di parecchio denaro. La buonuscita del presidente Il professor D’Angiolino torna a casa con un milione e mezzo di euro in tasca. Chiede e ottiene: 816mila euro come compenso in qualità di amministratore dell'Anas superiori ai 350 milioni di lire previsti (l’ex ufficiale sostiene di poter far valere le norme sui dirigenti d'azienda privati per l'intero periodo del suo incarico, ovvero dal 1994 al 2001); altri 413mila euro come adeguamento del compenso (D’Angiolino sostiene di aver svolto mansioni di amministratore straordinario dal 1994 al 2001 anche se la corte sottolinea come, dal 1995, egli sia nominato presidente); altri 154mila euro arrivano come risarcimento per il patto di fedeltà che impone all’ex presidente di Anas di non esercitare nei tre anni successivi lavori in concorrenza con il gestore della rete stradale (ma la clausola è già contenuta nel contratto di nomina e quindi non bisognava pagarla a parte); infine il ministro accorda altri 154mila euro di consulenze da effettuare per conto del ministero in tre anni. Il conto verrà poi «elegantemente» girato all’Anas (non sia mai che il ministero si trovi in difficoltà), ma quel che è peggio è che la corte non trova traccia di alcuna consulenza effettuata da D’Angiolino. Per questo sono stati condannati insieme al ministro anche due funzionari Anas colpevoli di aver pagato l’ex presidente senza aver controllato che avesse effettivamente svolto i lavori. Generosi anche coi consiglieri Non è solo il presidente D’Angiolino a venire lautamente remunerato dal ministro. I quattro membri del Cda concordano infatti con l’ingegner Lunardi un «risarcimento» pari allo stipendio che avrebbero percepito fino a fine mandato se il loro incarico non fosse stato prematuramente interrotto. Addirittura la corte scopre che ai quattro consiglieri vengono riconosciuti i gettoni di presenza «futuri» sulla base di una media calcolata sugli mesi precedenti. E di riunioni, quel Cda, non ne avrebbe più fatte. Alla fine ogni consigliere ha intascato 335.700 euro che, sommati alla cifra già data all’ex presidente, significa 2.881.000 euro. La colpa La corte, alla fine, ha stabilito che il ministro ha avuto gravi colpe nello sperpero di denaro. Non solo quei soldi non dovevano essere pagati, ma l’ingegner Lunardi non aveva alcun potere di stabilire compensi, risarcimenti e quant’altro essendoci norme, regole e organi preposti proprio a questo. Per questo l’ex ministro è stato condannato a pagare 2.757.877,34 euro, mentre i due funzionari dell’Anas dovranno sborsare 61.974 euro a testa. In attesa di un eventuale ricorso in appello da parte dei condannati, il piatto piange.

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