04 gennaio 2010

A che serve la flessibilità?


Chi soffrirà di più e più a lungo per l'implosione di Wall Street del 2008-2009 e per la recessione mondiale che ne è seguita?
Non i banchieri e i finanzieri che hanno causato il disastro. Alcuni finanzieri, come Bernard Madoff, andranno in prigione per truffa. Ma anche se Madoff era solo la punta dell'iceberg del dilagante malcostume finanziario, la maggior parte dei finanzieri sospetti non ha ragione di temere l'arresto, o perché il loro comportamento era semplicemente ai limiti della legalità oppure perché gli illeciti finanziari, più raffinati della truffa vera e propria, spesso sono difficili da provare.

Alcuni direttori di banca se ne andranno in pensione con disonore, ma con una maxiliquidazione che potrà alleviare le loro pene, come la buonuscita da 55 milioni di dollari concessa a Ken Lewis della Bank of America, o come la pensione di 25 milioni di sterline garantita a Fred Goodwin della Royal Bank of Scotland. Molte banche, incoraggiate dal salvataggio pubblico, dalle garanzie e dai bassi tassi d'interesse, hanno rincominciato a versare colossali gratifiche ai loro top manager e nel frattempo si battono vigorosamente contro l'introduzione di riforme che mirano a imporre limiti ai loro rischi e ai loro sistemi di retribuzione.

I grandi sconfitti di questo disastro economico sono i lavoratori dei paesi ricchi che hanno abbracciato la flessibilità liberista del capitalismo di stampo americano. Dal 2007 all'ottobre 2009, gli Stati Uniti hanno perso quasi otto milioni di posti di lavoro, con un calo della percentuale degli occupati dal 63 al 58,5% della popolazione. Alla fine del 2009, la percentuale dei senza lavoro ha superato il 10% e i disoccupati restano tali più a lungo di tutti i periodi precedenti, dalla Grande Depressione in poi. Milioni di persone si sono viste decurtare l'orario di lavoro, e altri milioni, scoraggiati dalla mancanza di lavoro, hanno rinunciato a cercarlo.
Anche l'Europa economicamente più avanzata, il Canada e il Giappone hanno subìto pesanti cali occupazionali, che persisteranno a lungo. La Spagna, dove sono molto diffusi i contratti a tempo determinato, è quella che ha avuto il maggiore incremento della disoccupazione, perché licenziare un lavoratore in Spagna è facile come in America. Alcuni paesi - ad esempio la Germania, la Svezia e la Corea del Sud hanno "nascosto" la loro disoccupazione pagando le aziende per mantenere i lavoratori sul libro paga. Può funzionare sul breve periodo, ma nel tempo è una soluzione insostenibile.

Dagli anni 80 fino alla metà di questo decennio, ogni volta che c'è stata una ripresa economica l'occupazione è cresciuta più lentamente del Pil, e ogni volta il divario era maggiore. Negli Stati Uniti, sotto la presidenza Clinton, la ripresa non portò posti di lavoro, fino al boom di Internet della fine degli anni 90; anche dopo il rallentamento del 2001, con Bush alla Casa Bianca, la ripresa non produsse effetti positivi sull'occupazione.Nei primi anni 90 la Svezia è stata colpita da una pesantissima recessione, provocata dallo scoppio della bolla immobiliare e da una crisi bancaria. Il tasso di disoccupazione salì dall'1,8% del 1990 al 9,6% del 1994, prima di attestarsi intorno al 5% nel 2001. Sedici anni dopo la crisi, il tasso di disoccupazione era al 6,2%, più del triplo rispetto a quello del 1990.

Nel 1997, la Corea del Sud si trovò in difficoltà non solo per la crisi finanziaria asiatica, ma anche per l'insistenterichiesta degli Stati Uniti e dell'Fmi di alzare i tassi d'interesse e introdurre riforme modellate sul "consenso di Washington", in cambio di aiuti. L'occupazione ripartì, ma principalmente sotto forma di posti di lavoro "non regolari", con benefit limitati, bassi salari e poca sicurezza dell'impiego. La disuguaglianza nel paese asiatico, fino ad allora su livelli modesti, crebbe fino a portare Seul al secondo posto (dopo gli Stati Uniti) nella classifica dei paesi dell'Ocse.

La debolezza del mercato del lavoro penalizza gravemente l'economia e il benessere individuale. Quando il mercato del lavoro è debole, i giovani in cerca di prima occupazione e i lavoratori esperti che perdono il posto subiscono perdite economiche che faranno sentire i loro effetti per tutta la vita. Studi sulla felicità dimostrano che la disoccupazione produce un effetto negativo comparabile a quello della perdita di un congiunto.
È difficile che gli Stati Uniti tornino in tempi brevi alla piena occupazione. Dal 1993 al 1998, l'America ha creato milioni di posti di lavoro, che hanno fatto salire il tasso d'occupazione di 5,4 punti percentuali. Se l'occupazione comincerà a crescere a questo ritmo nel 2010, bisognerà aspettare fino al 2015 prima di tornare ai livelli precedenti alla recessione. E una ripresa lenta negli Usa frenerebbe la ripresa anche negli altri paesi avanzati, penalizzando anche lì l'occupazione.

Un lungo e penoso periodo di disoccupazione alta va nella direzione opposta a quello che quasi tutti gli esperti pensavano sarebbe stato l'esito del modello economico americano, improntato alla flessibilità. Dai primi anni 90 in poi molti analisti hanno valutato che l'America aveva un tasso di disoccupazione più basso di quello della maggior parte dei paesi dell'Ue grazie alla scarsa sindacalizzazione, alla facilità di assunzione, all'assenza di forti garanzie giuridiche contro il licenziamento e al forte ricambio di personale. Molti paesi Ocse hanno introdotto riforme di vario genere nel senso della flessibilità, nella speranza di migliorare la propria economia imitando l'America.La tesi che la flessibilità sia il fattore chiave per l'occupazione non è più sostenibile. Nel suo Employment Outlook del 2009, l'Ocse analizza impietosamente le sue riforme preferite e giunge alla conclusione che non sono sufficienti per consentire a un paese di adeguarsi agli effetti di una recessione trainata dalla finanza. Secondo l'Ocse, «non sembra esserci nessun motivo reale per ritenere che le recenti riforme strutturali abbiano reso il mercato del lavoro dei paesi Ocse significativamente più resistente a gravi flessioni dell'economia».

Quindi l'insegnamento che possiamo trarre dalla recessione è chiaro: l'anello debole del capitalismo non è il mercato del lavoro, ma il mercato finanziario. Le imperfezioni del mercato del lavoro impongono alla società tutt'al più dei costi modesti in termini d'inefficienza, mentre le imperfezioni del mercato finanziario danneggiano pesantemente la società, e chi ci rimette di più sono i lavoratori, non gli artefici del disastro. Inoltre, a causa della globalizzazione il collasso del mercato finanziario americano dissemina miseria in tutto il mondo.

Dobbiamo reinventare la finanza, in modo che lavori per arricchire l'economia reale, invece che arricchire soltanto i finanzieri: lo dobbiamo ai lavoratori vittime di questa recessione. Reinventare la finanzia significa cambiare gli incentivi e le regole che governano il settore finanziario. E dal momento che sono in pericolo anche l'economia e l'occupazione di altri paesi, questi stati hanno il dovere, nei confronti dei loro cittadini, di fare pressione sugli Stati Uniti perché realizzino riforme finanziarie significative.

di Richard Freeman (docente di Economia Harward)

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04 gennaio 2010

A che serve la flessibilità?


Chi soffrirà di più e più a lungo per l'implosione di Wall Street del 2008-2009 e per la recessione mondiale che ne è seguita?
Non i banchieri e i finanzieri che hanno causato il disastro. Alcuni finanzieri, come Bernard Madoff, andranno in prigione per truffa. Ma anche se Madoff era solo la punta dell'iceberg del dilagante malcostume finanziario, la maggior parte dei finanzieri sospetti non ha ragione di temere l'arresto, o perché il loro comportamento era semplicemente ai limiti della legalità oppure perché gli illeciti finanziari, più raffinati della truffa vera e propria, spesso sono difficili da provare.

Alcuni direttori di banca se ne andranno in pensione con disonore, ma con una maxiliquidazione che potrà alleviare le loro pene, come la buonuscita da 55 milioni di dollari concessa a Ken Lewis della Bank of America, o come la pensione di 25 milioni di sterline garantita a Fred Goodwin della Royal Bank of Scotland. Molte banche, incoraggiate dal salvataggio pubblico, dalle garanzie e dai bassi tassi d'interesse, hanno rincominciato a versare colossali gratifiche ai loro top manager e nel frattempo si battono vigorosamente contro l'introduzione di riforme che mirano a imporre limiti ai loro rischi e ai loro sistemi di retribuzione.

I grandi sconfitti di questo disastro economico sono i lavoratori dei paesi ricchi che hanno abbracciato la flessibilità liberista del capitalismo di stampo americano. Dal 2007 all'ottobre 2009, gli Stati Uniti hanno perso quasi otto milioni di posti di lavoro, con un calo della percentuale degli occupati dal 63 al 58,5% della popolazione. Alla fine del 2009, la percentuale dei senza lavoro ha superato il 10% e i disoccupati restano tali più a lungo di tutti i periodi precedenti, dalla Grande Depressione in poi. Milioni di persone si sono viste decurtare l'orario di lavoro, e altri milioni, scoraggiati dalla mancanza di lavoro, hanno rinunciato a cercarlo.
Anche l'Europa economicamente più avanzata, il Canada e il Giappone hanno subìto pesanti cali occupazionali, che persisteranno a lungo. La Spagna, dove sono molto diffusi i contratti a tempo determinato, è quella che ha avuto il maggiore incremento della disoccupazione, perché licenziare un lavoratore in Spagna è facile come in America. Alcuni paesi - ad esempio la Germania, la Svezia e la Corea del Sud hanno "nascosto" la loro disoccupazione pagando le aziende per mantenere i lavoratori sul libro paga. Può funzionare sul breve periodo, ma nel tempo è una soluzione insostenibile.

Dagli anni 80 fino alla metà di questo decennio, ogni volta che c'è stata una ripresa economica l'occupazione è cresciuta più lentamente del Pil, e ogni volta il divario era maggiore. Negli Stati Uniti, sotto la presidenza Clinton, la ripresa non portò posti di lavoro, fino al boom di Internet della fine degli anni 90; anche dopo il rallentamento del 2001, con Bush alla Casa Bianca, la ripresa non produsse effetti positivi sull'occupazione.Nei primi anni 90 la Svezia è stata colpita da una pesantissima recessione, provocata dallo scoppio della bolla immobiliare e da una crisi bancaria. Il tasso di disoccupazione salì dall'1,8% del 1990 al 9,6% del 1994, prima di attestarsi intorno al 5% nel 2001. Sedici anni dopo la crisi, il tasso di disoccupazione era al 6,2%, più del triplo rispetto a quello del 1990.

Nel 1997, la Corea del Sud si trovò in difficoltà non solo per la crisi finanziaria asiatica, ma anche per l'insistenterichiesta degli Stati Uniti e dell'Fmi di alzare i tassi d'interesse e introdurre riforme modellate sul "consenso di Washington", in cambio di aiuti. L'occupazione ripartì, ma principalmente sotto forma di posti di lavoro "non regolari", con benefit limitati, bassi salari e poca sicurezza dell'impiego. La disuguaglianza nel paese asiatico, fino ad allora su livelli modesti, crebbe fino a portare Seul al secondo posto (dopo gli Stati Uniti) nella classifica dei paesi dell'Ocse.

La debolezza del mercato del lavoro penalizza gravemente l'economia e il benessere individuale. Quando il mercato del lavoro è debole, i giovani in cerca di prima occupazione e i lavoratori esperti che perdono il posto subiscono perdite economiche che faranno sentire i loro effetti per tutta la vita. Studi sulla felicità dimostrano che la disoccupazione produce un effetto negativo comparabile a quello della perdita di un congiunto.
È difficile che gli Stati Uniti tornino in tempi brevi alla piena occupazione. Dal 1993 al 1998, l'America ha creato milioni di posti di lavoro, che hanno fatto salire il tasso d'occupazione di 5,4 punti percentuali. Se l'occupazione comincerà a crescere a questo ritmo nel 2010, bisognerà aspettare fino al 2015 prima di tornare ai livelli precedenti alla recessione. E una ripresa lenta negli Usa frenerebbe la ripresa anche negli altri paesi avanzati, penalizzando anche lì l'occupazione.

Un lungo e penoso periodo di disoccupazione alta va nella direzione opposta a quello che quasi tutti gli esperti pensavano sarebbe stato l'esito del modello economico americano, improntato alla flessibilità. Dai primi anni 90 in poi molti analisti hanno valutato che l'America aveva un tasso di disoccupazione più basso di quello della maggior parte dei paesi dell'Ue grazie alla scarsa sindacalizzazione, alla facilità di assunzione, all'assenza di forti garanzie giuridiche contro il licenziamento e al forte ricambio di personale. Molti paesi Ocse hanno introdotto riforme di vario genere nel senso della flessibilità, nella speranza di migliorare la propria economia imitando l'America.La tesi che la flessibilità sia il fattore chiave per l'occupazione non è più sostenibile. Nel suo Employment Outlook del 2009, l'Ocse analizza impietosamente le sue riforme preferite e giunge alla conclusione che non sono sufficienti per consentire a un paese di adeguarsi agli effetti di una recessione trainata dalla finanza. Secondo l'Ocse, «non sembra esserci nessun motivo reale per ritenere che le recenti riforme strutturali abbiano reso il mercato del lavoro dei paesi Ocse significativamente più resistente a gravi flessioni dell'economia».

Quindi l'insegnamento che possiamo trarre dalla recessione è chiaro: l'anello debole del capitalismo non è il mercato del lavoro, ma il mercato finanziario. Le imperfezioni del mercato del lavoro impongono alla società tutt'al più dei costi modesti in termini d'inefficienza, mentre le imperfezioni del mercato finanziario danneggiano pesantemente la società, e chi ci rimette di più sono i lavoratori, non gli artefici del disastro. Inoltre, a causa della globalizzazione il collasso del mercato finanziario americano dissemina miseria in tutto il mondo.

Dobbiamo reinventare la finanza, in modo che lavori per arricchire l'economia reale, invece che arricchire soltanto i finanzieri: lo dobbiamo ai lavoratori vittime di questa recessione. Reinventare la finanzia significa cambiare gli incentivi e le regole che governano il settore finanziario. E dal momento che sono in pericolo anche l'economia e l'occupazione di altri paesi, questi stati hanno il dovere, nei confronti dei loro cittadini, di fare pressione sugli Stati Uniti perché realizzino riforme finanziarie significative.

di Richard Freeman (docente di Economia Harward)

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