11 gennaio 2010

A che serve risparmiare?

Per secoli "`risparmiare"' ha voluto significare "`accantonare, mettere da parte"' in previsione di spese future importanti o impreviste. Il risparmio permette di pianificare, progettare e migliorare le prospettive di vita e lavoro delle generazioni presenti e future; basti pensare al padre che rinuncia ai consumi presenti per garantire al figlio la possibilità creare una propria impresa o di accedere a master di specializzazione.

Quello che invece è accaduto negli ultimi venti anni è un totale stravolgimento del concetto di risparmio, operato dall'economia del Pil.

Per sostenere la fantascientifica, costante e inarrestabile crescita del Pil, si è pensato di sostenere in modo altrettanto fantascientifico il livello dei consumi. D'altronde si insegna anche nelle università che aumentando i consumi aumenta la produzione, si generano più posti di lavoro, quindi più stipendi da spendere in consumi e di nuovo più produzione (anche l'assiduo frequentatore del bar dello sport è in grado di fare questo ragionamento). L'effetto sul Pil (cioè sulla produzione di beni) è moltiplicativo. L'esponenziale produzione di rifiuti generata da questo processa produrrà altro Pil visto che occuperà manodopera e imprese che altrimenti non sarebbero esistite. Dal momento stesso in cui il reddito delle famiglie si è rivelato non sufficiente al sostenimento del livello desiderato dei consumi, si è pensato di aumentarlo virtualmente attraverso la concessione illimitata di credito al consumo. Questo ha permesso la nascita di un numero smisurato di finanziarie (quelle che fanno credito anche ai cattivi pagatori privi di reddito) e la realizzazione di sogni a tutti coloro che fino a quel momento si vedevano preclusa la possibilità di acquistare un SUV 5000 a benzina o di vivere una vacanza di sette giorni nel paradiso dei pedofili in Thailandia.

Il paradosso di tutto questo processo, considerato virtuoso dagli economisti, non sta tanto nelle esternalità negative prodotte (si pensi all'inquinamento o alla possibilità di impiegare il denaro speso in attività più fruttuose come imparare a suonare un strumento musicale) ma nel fatto che il consumatore, pur avendo speso tutto il suo reddito presente e quello futuro dei suoi figli in merci di consumo (si badi che parlo di merci e non di beni), ha la percezione di aver risparmiato.

Frasi del tipo "`grazie alla rottamazione ho acquistato una nuova autovettura risparmiando 2000 euro"', senza considerare il fatto che l'auto rottamata poteva durare ancora per parecchi anni o "`il negozio X faceva gli sconti, così ne ho approfittato acquistando un set da poker con fiches numerate, 6 bicchieri (made in China), una bilancia digitale e una tenda da campeggio, risparmiando ben 100 euro", non curante del fatto che a poker non ci gioca mai, di bicchieri ne ha piena la credenza, di bilancia ne possiede una meccanica perfettamente funzionante che non ha bisogno di pile e infine l'ultima volta che è andato in campeggio aveva 18 anni (ora ne ha 40). In entrambi gli esempi il consumatore è convinto di aver risparmiato, pur avendo speso denaro per merci del tutto inutili.

E' questo il geniale incantesimo dell'economia del Pil: illudere il consumatore che sta risparmiando, anche nel momento in cui sta ipotecando il futuro dei propri figli acquistando un'auto grande come un Tir, rigorosamente con lettore MP3 integrato (pagato qualche centinaio di euro – si rende noto che i lettori MP3 [certo, non integrati] costano poche decine di euro.)

I consumi, così, rimangono alti ma alle strette dipendenze del sistema finanziario. Se questo crolla crollano inevitabilmente anche i consumi. E' con la crisi finanziaria che il consumatore si accorge che è un poveraccio e che al massimo poteva permettersi un televisore mivar bianco e nero piuttosto che il 100 pollici al plasma (pagabile in 100 comode rate da 20 euro al mese).

A quel punto ci si accorge che non si ha niente da parte e che i libri scolastici dei figli, così come l'iscrizione all'università, costano troppo; che si è preferito un lavoro privo di qualunque prospettiva di crescita e gratificazione perchè permetteva da subito un guadagno basso ma sicuro che dava la possibilità di ottenere credito per acquistare l'auto, il pc portatile e altre merci il cui acquisto poteva (ma ce ne accorgiamo solo ora) essere rinviato al futuro.

Se tutti i consumatori si accorgessero del raggiro cui sono stati vittime sarebbe comunque un buon risultato e da lì si potrebbe ripartire per riformulare un nuovo paradigma dei consumi che abbia come elemento centrale i beni e non le merci. Purtroppo il cambio di mentalità, reso possibile anche dal fondamentale ruolo svolto dalla televisione e dai media in generale, è stato così devastante che oggi, in piena crisi finanziaria, il consumatore cerca in tutti i modi di conservare lo standard di consumi acquisito senza considerare minimamente la possibilità di rivedere tale standard al ribasso, magari acquistando beni di cui ha bisogno e non merci che divorano il suo reddito. Piuttosto che non acquistare aspetta i saldi e quando non ce la fa più entra in uno stato di profonda frustrazione che lo porta a imprecare contro politici e calciatori (che prendono troppo) o contro datore di lavoro e sindacati che non fanno nulla per aumentargli lo stipendio.

Con dei semplici calcoli si accorgerebbe di avere ancora potenzialità di risparmio reale senza intaccare minimamente (anzi migliorando) la qualità della sua mediocre esistenza, pur continuando a pagare la rata del mutuo. Basterebbe che smettesse di riempire il carrello di imballaggi colorati, limitando gli acquisti a beni necessari e genuini, magari facendosi un giretto nei negozi del centro o nelle aziende agricole vicine alla propria città, piuttosto che perdersi negli enormi lager commerciali che infestano le periferie dei centri abitati; in questo modo produrrebbe anche meno rifiuti. Con questa semplice mossa si ritroverebbe alla fine dell'anno con un primo gruzzoletto al quale potrebbero aggiungersene altri se evitasse di comprare continuamente merci tecnologiche come telefonini, telecamere, frullatori, aspirabriciole ecc.. limitandosi ad usare il più possibile quelli che già possiede. Ulteriori risparmi deriverebbero dalla rinuncia al telefono fisso e alla televisione a pagamento (altro cancro che ormai ha diffuso le sue metastasi presso tutti i ceti sociali).

Qualora fosse possibile, sarebbe opportuno autoprodursi quei beni che fino a pochi anni fa ogni famiglia era in grado di fabbricarsi da sola: pane, passata di pomodoro, olio, dolci. L'economia del Pil, infatti, rendendo accessibili merci a chiunque ha reso del tutto inutile la conservazione di conoscenze e abilità che nei secoli hanno permesso il sostentamento a famiglie numerosissime prive di reddito monetario.

Tutto quello di cui abbiamo bisogno lo si può comprare, dal divertimento dei figli al broccolo fluorescente. Perchè autoprodurselo? Il motivo principale sarebbe che l'autoproduzione permetterebbe di ricominciare a risparmiare, ma nel vero senso della parola, una buona parte del reddito monetario.

Insomma, ritornare a risparmiare come facevano i nostri nonni.

La fine del risparmio ha già prodotto effetti devastanti sulle capacità dei giovani di progettare la propria vita futura, di fare programmi a lungo termine. Il bisogno di consumo ha preso il sopravvento sull'abilità del giovane di pensare e costruire il proprio avvenire. Non ritengo che la perdita di speranza dei giovani sia imputabile (almeno non totalmente) alla precarizzazione del lavoro; tale precarizzazione ha semplicemente reso più problematica la possibilità di mantenere alto il livello del consumo di merci; da un certo punto di vista è un bene che lavori come "`centralinista di call-center"' siano principalmente con contratti a termine in quanto è impensabile che un essere umano possa tutta la vita svolgere quel tipo di lavoro, senza prospettive di crescita umana e intellettuale. Il problema è che molti giovani, non avendo in testa l'idea di risparmio, preferiscono questo lavoro che permette loro di consumare merci (al resto ci pensano mamma e papà) invece che risparmiare tempo e denaro per l'acquisizione di conoscenze e abilità che garantirebbero l'accesso (ma in futuro) a lavori più gratificanti.

Ecco quindi che un centralinista part-time che prende 800 euro al mese e che vive con i genitori, può ancora permettersi l'acquisto (a rate) di una moto e di un'auto, di fare vacanze in luoghi esotici, di aggiornare con cadenza mensile l'hardware del proprio pc e di acquistare settimanalmente abbigliamento griffato. In realtà questo consumatore, perdendo l'abilità al risparmio, ha barattato il proprio avvenire con la possibilità di consumi immediati; vive nell'illusione di aver risparmiato pur non avendo un centesimo in tasca.

di Luca Correani

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11 gennaio 2010

A che serve risparmiare?

Per secoli "`risparmiare"' ha voluto significare "`accantonare, mettere da parte"' in previsione di spese future importanti o impreviste. Il risparmio permette di pianificare, progettare e migliorare le prospettive di vita e lavoro delle generazioni presenti e future; basti pensare al padre che rinuncia ai consumi presenti per garantire al figlio la possibilità creare una propria impresa o di accedere a master di specializzazione.

Quello che invece è accaduto negli ultimi venti anni è un totale stravolgimento del concetto di risparmio, operato dall'economia del Pil.

Per sostenere la fantascientifica, costante e inarrestabile crescita del Pil, si è pensato di sostenere in modo altrettanto fantascientifico il livello dei consumi. D'altronde si insegna anche nelle università che aumentando i consumi aumenta la produzione, si generano più posti di lavoro, quindi più stipendi da spendere in consumi e di nuovo più produzione (anche l'assiduo frequentatore del bar dello sport è in grado di fare questo ragionamento). L'effetto sul Pil (cioè sulla produzione di beni) è moltiplicativo. L'esponenziale produzione di rifiuti generata da questo processa produrrà altro Pil visto che occuperà manodopera e imprese che altrimenti non sarebbero esistite. Dal momento stesso in cui il reddito delle famiglie si è rivelato non sufficiente al sostenimento del livello desiderato dei consumi, si è pensato di aumentarlo virtualmente attraverso la concessione illimitata di credito al consumo. Questo ha permesso la nascita di un numero smisurato di finanziarie (quelle che fanno credito anche ai cattivi pagatori privi di reddito) e la realizzazione di sogni a tutti coloro che fino a quel momento si vedevano preclusa la possibilità di acquistare un SUV 5000 a benzina o di vivere una vacanza di sette giorni nel paradiso dei pedofili in Thailandia.

Il paradosso di tutto questo processo, considerato virtuoso dagli economisti, non sta tanto nelle esternalità negative prodotte (si pensi all'inquinamento o alla possibilità di impiegare il denaro speso in attività più fruttuose come imparare a suonare un strumento musicale) ma nel fatto che il consumatore, pur avendo speso tutto il suo reddito presente e quello futuro dei suoi figli in merci di consumo (si badi che parlo di merci e non di beni), ha la percezione di aver risparmiato.

Frasi del tipo "`grazie alla rottamazione ho acquistato una nuova autovettura risparmiando 2000 euro"', senza considerare il fatto che l'auto rottamata poteva durare ancora per parecchi anni o "`il negozio X faceva gli sconti, così ne ho approfittato acquistando un set da poker con fiches numerate, 6 bicchieri (made in China), una bilancia digitale e una tenda da campeggio, risparmiando ben 100 euro", non curante del fatto che a poker non ci gioca mai, di bicchieri ne ha piena la credenza, di bilancia ne possiede una meccanica perfettamente funzionante che non ha bisogno di pile e infine l'ultima volta che è andato in campeggio aveva 18 anni (ora ne ha 40). In entrambi gli esempi il consumatore è convinto di aver risparmiato, pur avendo speso denaro per merci del tutto inutili.

E' questo il geniale incantesimo dell'economia del Pil: illudere il consumatore che sta risparmiando, anche nel momento in cui sta ipotecando il futuro dei propri figli acquistando un'auto grande come un Tir, rigorosamente con lettore MP3 integrato (pagato qualche centinaio di euro – si rende noto che i lettori MP3 [certo, non integrati] costano poche decine di euro.)

I consumi, così, rimangono alti ma alle strette dipendenze del sistema finanziario. Se questo crolla crollano inevitabilmente anche i consumi. E' con la crisi finanziaria che il consumatore si accorge che è un poveraccio e che al massimo poteva permettersi un televisore mivar bianco e nero piuttosto che il 100 pollici al plasma (pagabile in 100 comode rate da 20 euro al mese).

A quel punto ci si accorge che non si ha niente da parte e che i libri scolastici dei figli, così come l'iscrizione all'università, costano troppo; che si è preferito un lavoro privo di qualunque prospettiva di crescita e gratificazione perchè permetteva da subito un guadagno basso ma sicuro che dava la possibilità di ottenere credito per acquistare l'auto, il pc portatile e altre merci il cui acquisto poteva (ma ce ne accorgiamo solo ora) essere rinviato al futuro.

Se tutti i consumatori si accorgessero del raggiro cui sono stati vittime sarebbe comunque un buon risultato e da lì si potrebbe ripartire per riformulare un nuovo paradigma dei consumi che abbia come elemento centrale i beni e non le merci. Purtroppo il cambio di mentalità, reso possibile anche dal fondamentale ruolo svolto dalla televisione e dai media in generale, è stato così devastante che oggi, in piena crisi finanziaria, il consumatore cerca in tutti i modi di conservare lo standard di consumi acquisito senza considerare minimamente la possibilità di rivedere tale standard al ribasso, magari acquistando beni di cui ha bisogno e non merci che divorano il suo reddito. Piuttosto che non acquistare aspetta i saldi e quando non ce la fa più entra in uno stato di profonda frustrazione che lo porta a imprecare contro politici e calciatori (che prendono troppo) o contro datore di lavoro e sindacati che non fanno nulla per aumentargli lo stipendio.

Con dei semplici calcoli si accorgerebbe di avere ancora potenzialità di risparmio reale senza intaccare minimamente (anzi migliorando) la qualità della sua mediocre esistenza, pur continuando a pagare la rata del mutuo. Basterebbe che smettesse di riempire il carrello di imballaggi colorati, limitando gli acquisti a beni necessari e genuini, magari facendosi un giretto nei negozi del centro o nelle aziende agricole vicine alla propria città, piuttosto che perdersi negli enormi lager commerciali che infestano le periferie dei centri abitati; in questo modo produrrebbe anche meno rifiuti. Con questa semplice mossa si ritroverebbe alla fine dell'anno con un primo gruzzoletto al quale potrebbero aggiungersene altri se evitasse di comprare continuamente merci tecnologiche come telefonini, telecamere, frullatori, aspirabriciole ecc.. limitandosi ad usare il più possibile quelli che già possiede. Ulteriori risparmi deriverebbero dalla rinuncia al telefono fisso e alla televisione a pagamento (altro cancro che ormai ha diffuso le sue metastasi presso tutti i ceti sociali).

Qualora fosse possibile, sarebbe opportuno autoprodursi quei beni che fino a pochi anni fa ogni famiglia era in grado di fabbricarsi da sola: pane, passata di pomodoro, olio, dolci. L'economia del Pil, infatti, rendendo accessibili merci a chiunque ha reso del tutto inutile la conservazione di conoscenze e abilità che nei secoli hanno permesso il sostentamento a famiglie numerosissime prive di reddito monetario.

Tutto quello di cui abbiamo bisogno lo si può comprare, dal divertimento dei figli al broccolo fluorescente. Perchè autoprodurselo? Il motivo principale sarebbe che l'autoproduzione permetterebbe di ricominciare a risparmiare, ma nel vero senso della parola, una buona parte del reddito monetario.

Insomma, ritornare a risparmiare come facevano i nostri nonni.

La fine del risparmio ha già prodotto effetti devastanti sulle capacità dei giovani di progettare la propria vita futura, di fare programmi a lungo termine. Il bisogno di consumo ha preso il sopravvento sull'abilità del giovane di pensare e costruire il proprio avvenire. Non ritengo che la perdita di speranza dei giovani sia imputabile (almeno non totalmente) alla precarizzazione del lavoro; tale precarizzazione ha semplicemente reso più problematica la possibilità di mantenere alto il livello del consumo di merci; da un certo punto di vista è un bene che lavori come "`centralinista di call-center"' siano principalmente con contratti a termine in quanto è impensabile che un essere umano possa tutta la vita svolgere quel tipo di lavoro, senza prospettive di crescita umana e intellettuale. Il problema è che molti giovani, non avendo in testa l'idea di risparmio, preferiscono questo lavoro che permette loro di consumare merci (al resto ci pensano mamma e papà) invece che risparmiare tempo e denaro per l'acquisizione di conoscenze e abilità che garantirebbero l'accesso (ma in futuro) a lavori più gratificanti.

Ecco quindi che un centralinista part-time che prende 800 euro al mese e che vive con i genitori, può ancora permettersi l'acquisto (a rate) di una moto e di un'auto, di fare vacanze in luoghi esotici, di aggiornare con cadenza mensile l'hardware del proprio pc e di acquistare settimanalmente abbigliamento griffato. In realtà questo consumatore, perdendo l'abilità al risparmio, ha barattato il proprio avvenire con la possibilità di consumi immediati; vive nell'illusione di aver risparmiato pur non avendo un centesimo in tasca.

di Luca Correani

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