08 aprile 2010

La vera anomalia



1. Tutti quelli che mi leggono sanno come la penso sulla sedicente seconda Repubblica, mai nata; sul suo atto di fondazione ufficiale, quelle sporche “Mani pulite” cui diedero impulso i nostri parassitari gruppi industriali privati, complici e succubi della ben nota “manina d’oltreoceano” di geronimiana memoria. Tutti sanno pure che prima ci fu la riunione sul panfilo “Britannia”, divenuto più che altro simbolo delle decisioni prese in merito allo smantellamento della nostra industria (e finanza) pubblica. Si sa ormai anche del “granellino nell’ingranaggio” rappresentato dalla discesa (obbligata) di Berlusconi in campo, che approfittò di una “piccola” dimenticanza degli organizzatori del mascherato colpo di Stato: non si era tenuto conto dell’elettorato Dc e Psi (e altri minori), che mai avrebbe votato uno schieramento politico, il cui nucleo era costituito dai rinnegati del “comunismo” (quello che preferisco definire piciismo), con attorno gli scampoli peggiori e più deteriori dei vecchi partiti governativi; uno schieramento che sembrava nell’insieme ricordare la struttura politica delle ormai dissoltesi “democrazie popolari” dell’est, dove un partito comunista si attorniava di partitini che non contavano un bel nulla.
Fu così facile ad un Berlusconi, filoatlantico e dunque filoamericano, giocare (e tuttora il gioco continua) sulla presunta continuità comunista degli ex piciisti (ormai pidiessini e poi via via tanti altri nomi), mentre in realtà questi ultimi, rinnegando tutto il passato e ormai privi di storia, di radici e di valori, erano dei puri sicari prezzolati del peggiore dei capitalismi italiani e internazionali. Dall’altra parte, non si trovò di meglio che definire lo schieramento berlusconiano una riedizione del fascismo. Da 16 anni abbiamo un fascismo sempre montante, una libertà sempre conculcata, mentre forsennati indecenti berciano e urlano portando l’infezione in ogni ambito della società, ormai anarcoide e bisognosa veramente che finalmente si dia un colpo definitivo, non fascista ma certo d’ordine, a questi mostruosi spezzoni di uno schieramento, che non avendo assolto bene il loro ruolo di scherani filoamericani, si stanno spappolando in mille miasmi velenosi e cancerogeni.
Così da quasi un ventennio, nel mentre “fini” politologi (vecchi e dementi) cianciano di una mai esistita seconda Repubblica (adesso parlano perfino di una Terza), abbiamo un “comunismo” e un “fascismo” puramente virtuali che ancora si battono come 70 anni fa. E, ancor peggio vanno le cose, quando poi ci s’inventa che esiste la sinistra contro la destra. Alla fine si scopre che il partito più vecchio fra quelli esistenti è la Lega. Tutto il resto è soltanto un paio di branchi, che uniscono vecchi residuati a torme nuove; il tutto senza, lo ripeto, un passato, delle tradizioni, un sistema di valori, un minimo di capacità di dare coerenza a un variegato crepitare di scemenze senza capo né coda, che di politico non hanno proprio nulla. Tutti urlano, strepitano, si fingono condottieri di ingenti masse, e poi si dividono fra loro, intriganti, invidiosi, biliosi, scassinatori di coscienze, del resto anch’esse non più tali, ma solo scatole riempite di meschini calcoli, che da Roma si diramano fino all’Italia comunale e anzi rionale.
La “destra” (il “fascismo” sempre montante come una panna che non riesce) ha bene o male trovato un capo che, per motivi misteriosi, è “carismatico”. Se manca lui, è il caos più totale. La “sinistra” (il “comunismo”, sempre vivo come lo sono quelli del Convento dei Cappuccini a Palermo) è ormai fuori di senno; dal tempo del rinnegamento non riesce a trovare un capo che sia un capo, malgrado si agitino e strillino ex magistrati e questurini (e agenti dei servizi segreti) e qualche guitto da avanspettacolo.
Comunque, come detto altre volte, si deve sempre tenere ben fermo dov’è la causa e dov’è l’effetto; qual è l’azione e quale la reazione. L’azione è stata quella della “manina d’oltreoceano” con la nostra “buona” Confindustria (guidata da quell’Agnelli che disse: i miei interessi di destra sono meglio difesi dalla sinistra) quale sua succube e complice. Fu facile approfittare del crollo del “socialismo reale”, del buon training al trasferimento di campo portato avanti per tanti anni dall’eurocomunismo alla Berlinguer, unitosi all’antifascismo “laico” erede dei voltagabbana del 1943. Bastò mettersi d’accordo con il Pci, che già nell’89 dichiarò il proposito di abiurare il comunismo, e il gioco fu fatto: una bella accolita di sicari fedeli perché sempre ricattabili. Una spruzzata di cattolici e “laici antifascisti” (già da tempo guidati da chi aveva messo in piedi “Repubblica”) e l’accozzaglia denominata “sinistra” fu pronta a mettersi in moto. E questa sinistra fu per di più progressista, avanzata sul piano del permissivismo più bieco, del tutto è consentito, del relativismo più assoluto, del moralismo intransigente per gli altri e dell’indulgenza per se stessi; insomma del cosiddetto politicamente corretto, la più grande perversione dell’intelletto umano mai inventata.
La reazione è stata quella degli altri, di coloro che hanno giocato alla difesa della famiglia, della patria (minuscolo per non offendere quelli che comunque hanno creduto nella Patria, anche se il sottoscritto non ci crede), dei valori della tradizione, un po’ sbrecciati invero da troppi affarismi e flussi di denaro, ecc. Comunque, questa è stata una reazione, sbagliata, a mio avviso “malata”, ma una reazione all’aggressione del virus infettivo proveniente dall’altra parte. In ogni caso, un inganno dietro l’altro, un pasticcio dietro l’altro, una confusione immane.

2. Si ferma qui la completa illusione ottica in cui siamo immersi da quasi vent’anni? Nemmeno per sogno. Ve n’è un’altra ancora più divertente (si fa per dire). Abbiamo un Premier in pieno conflitto di interessi, così si sostiene. Abbiamo un Premier che è anche imprenditore e farebbe le leggi ad hoc per la sua impresa, così si urla. Qui raggiungiamo l’apice del comico. La risposta più semplicistica potrebbe essere: non abbiamo subito per mezzo secolo e più leggi fatte per favorire la Fiat, il cui proprietario restava imprenditore e non Premier e nemmeno ministro? E non abbiamo, in Italia non più che nel paese principe del capitalismo e della “democrazia” (Usa), fior di Governi che si scervellano per non danneggiare, anzi favorire, le banche, pur tuonando contro la finanza divoratrice e causa della recente crisi? E si potrebbe continuare, ma non andremmo al cuore del problema.
Non soltanto il marxismo, accusato di mettere al centro il fattore economico, ma anche e ancor più le teorie dei dominanti, hanno sempre avuto come sottofondo, come leitmotiv, la predominanza degli interessi economici sulle scelte politiche. La crisi ultima è stata enfatizzata come principale pericolo per il sistema della “civiltà occidentale” e, in particolare, per il suo predominante paese, gli Stati Uniti, di cui molti vedevano lo sprofondamento persino nei confronti della tapina Europa Unita. Adesso, i dementi marxisti, che sono però pochini, sono rimasti senza “crollo del capitalismo”. I più, fra i critici, che seguono le teorie economiche e finanziarie dominanti, insistono che lo sprofondamento ci sarà, che “lutti e dolori” sono in agguato; la finanza è sempre sulla cresta dell’onda, quale Regina (e strega) cattiva di “Biancaneve”, e farà infine mangiare la mela avvelenata alla povera verginella: l’economia sana dei sani produttori.
Nessuno è in grado di dire se siamo proprio ormai fuori della crisi, se ci sarà qualche ritorno di fiamma, se ancora si dovrà “soffrire” per risalire la china; né sappiamo quale tipo di risalita ci aspetta. Intanto, però, si capisce che la nazione più “in sofferenza” è l’Italia; guarda caso, è il paese in preda alle convulsioni pseudopolitiche appena sopra sinteticamente elencate. Gli Usa, e non per merito di aver scelto un nero alla presidenza, dimostrano di avere maggiori capacità reattive dell’Europa. Che cos’è, un caso, una sorta di evento erratico? Per nulla affatto. E’ solo la banalità degli economi(ci)sti: marxisti (degenerati in fedeli di una religione) o di altre scuole più accreditate nelle “alte Accademie” del sapere “occidentale”. In realtà, al primo posto non sta l’economia bensì la politica, il conflitto multipolare riapertosi, lo scontro tra diverse politiche delle “sfere di influenza” elaborate dai vari centri strategici dei dominanti in conflitto.
Un conflitto sempre mascherato, soprattutto all’inizio di un’epoca del genere, da diplomazie, da accordi, da firme di trattati (l’ultimo è il nuovo trattato sulle armi nucleari). La politica si pone in primo piano. Gli Stati nazionali “tornano”; nel senso che erano spariti solo nelle teste di “grandi” pensatori economici o politici, perfino di alcuni “terribili ultrarivoluzionari”, storditi dal solo presunto predominio delle multinazionali (anzi ormai transnazionali sempre per queste teste che in realtà non pensano). Siccome non erano mai spariti, ma semplicemente surclassati per un decennio o poco più da uno solo di essi, gli Stati sono tranquillamente di nuovo in vista. L’economia (e la finanza in particolare) sono strumento di questo conflitto tra strategie dei vari gruppi dominanti e delle diverse potenze. Come per qualsiasi strumento, possono verificarsi cattivi usi, usi smodati, l’apparenza che lo strumento ormai vada per conto suo in mani poco capaci o molto rapaci; ma se poi si guarda ex post, per un periodo di media lunghezza, riappare in tutta la sua evidenza che il conflitto tra strategie politiche è quello decisivo e risolutivo.
Il problema non è quindi quello di un imprenditore che fa politica, che cadrebbe nel conflitto di interessi. Queste sono le idiozie di coloro che non vedono una vera grande anomalia italiana, che è però in gran parte anche europea; è l’anomalia di tutti i paesi che restano subordinati alla predominanza di una potenza nell’epoca delle lotta multipolare tra potenze. L’anomalia è costituita dal fatto che l’intero ceto detto politico è subordinato alla sfera economica, la politica è prona di fronte all’imprenditoria; e magari, in particolare, a quella finanziaria. Questo è quanto avvenne – situazione paradigmatica – nella Repubblica di Weimar, dove la finanza era succube di quella americana, ma in quanto quest’ultima era a sua volta intermediaria della predominanza dei centri strategici statunitensi sulla Germania sconfitta, che ebbe ancora un sussulto (nazista, questa è la storia, piaccia o non piaccia) per spazzare via la sua subordinazione e rimettersi in conflitto per la supremazia mondiale, restando poi ancora sconfitta in guerra, dopo la quale, nel campo capitalistico, gli Usa assunsero la posizione centrale e preminente.
L’anomalia grave italiana non è in Berlusconi, è nel fatto che due branchi pseudopolitici – senza storia, né tradizioni, né radici, ecc., tutte cose già dette – sono puri sicari della sfera economica (e finanziaria), che è tramite per il nostro asservimento rispetto ai centri finanziari statunitensi (o quelli che si fingono internazionali, ivi compresi gli europei, ma sono sempre dominati dagli Usa); i quali, a loro volta, sono strumento dei centri strategici di quel paese, che si sta attrezzando al conflitto multipolare con le potenze in crescita “ad est”. Anche gli altri paesi europei stanno di fatto nella stessa situazione di servilismo verso gli Stati Uniti; l’unica differenza è che lì vi sono forze politiche che, in qualche modo, hanno una storia e delle tradizioni, ecc. Per cui la subordinazione di quei paesi è più “ordinata”, passa per canali che appaiono politici. In Italia, la subordinazione è accompagnata dalla più totale disorganizzazione, anarchia, urla e strepiti, mazzette intascate e puttane che influenzano indirizzi pseudopolitici; ecc. La differenza non è però enorme.
Nemmeno si tratta di vera anomalia storica, se si pensa appunto al paradigma costituito da Weimar. Si tratta solo di capire meglio come si costituisce la rete di subordinazione in una situazione di incipiente multipolarismo come quella attuale, e di capire la particolarità italiana; la più deteriore certo in Europa, ma non a causa di Berlusconi, bensì per come si è configurata quell’azione/reazione di cui si è parlato alla fine del primo paragrafo. Questo dobbiamo capire e qui si vedrà chi ha più filo da tessere per forgiare le categorie adeguate ad afferrare la situazione. Certamente non saranno le melmose e sbrecciate categorie del fascismo e dell’antifascismo, del comunismo e dell’anticomunismo, in una parola della destra e della sinistra. Qui sta l’inganno, qui sta la vergogna di un ceto intellettuale (per quattro quinti di “sinistra”) che bercia e inonda di ciarpame i media e l’editoria, ben protetto e pagato dal peggiore capitalismo di ogni epoca storica. Contro tutto questo dobbiamo muoverci, altro che contro l’anomalia berlusconiana, foglia di fico che copre le vergogne immonde di una classe dirigente e di un ceto intellettuale ignobili e fonte di infezione. Disinfettiamo il nostro paese!
di Gianfranco La Grassa

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08 aprile 2010

La vera anomalia



1. Tutti quelli che mi leggono sanno come la penso sulla sedicente seconda Repubblica, mai nata; sul suo atto di fondazione ufficiale, quelle sporche “Mani pulite” cui diedero impulso i nostri parassitari gruppi industriali privati, complici e succubi della ben nota “manina d’oltreoceano” di geronimiana memoria. Tutti sanno pure che prima ci fu la riunione sul panfilo “Britannia”, divenuto più che altro simbolo delle decisioni prese in merito allo smantellamento della nostra industria (e finanza) pubblica. Si sa ormai anche del “granellino nell’ingranaggio” rappresentato dalla discesa (obbligata) di Berlusconi in campo, che approfittò di una “piccola” dimenticanza degli organizzatori del mascherato colpo di Stato: non si era tenuto conto dell’elettorato Dc e Psi (e altri minori), che mai avrebbe votato uno schieramento politico, il cui nucleo era costituito dai rinnegati del “comunismo” (quello che preferisco definire piciismo), con attorno gli scampoli peggiori e più deteriori dei vecchi partiti governativi; uno schieramento che sembrava nell’insieme ricordare la struttura politica delle ormai dissoltesi “democrazie popolari” dell’est, dove un partito comunista si attorniava di partitini che non contavano un bel nulla.
Fu così facile ad un Berlusconi, filoatlantico e dunque filoamericano, giocare (e tuttora il gioco continua) sulla presunta continuità comunista degli ex piciisti (ormai pidiessini e poi via via tanti altri nomi), mentre in realtà questi ultimi, rinnegando tutto il passato e ormai privi di storia, di radici e di valori, erano dei puri sicari prezzolati del peggiore dei capitalismi italiani e internazionali. Dall’altra parte, non si trovò di meglio che definire lo schieramento berlusconiano una riedizione del fascismo. Da 16 anni abbiamo un fascismo sempre montante, una libertà sempre conculcata, mentre forsennati indecenti berciano e urlano portando l’infezione in ogni ambito della società, ormai anarcoide e bisognosa veramente che finalmente si dia un colpo definitivo, non fascista ma certo d’ordine, a questi mostruosi spezzoni di uno schieramento, che non avendo assolto bene il loro ruolo di scherani filoamericani, si stanno spappolando in mille miasmi velenosi e cancerogeni.
Così da quasi un ventennio, nel mentre “fini” politologi (vecchi e dementi) cianciano di una mai esistita seconda Repubblica (adesso parlano perfino di una Terza), abbiamo un “comunismo” e un “fascismo” puramente virtuali che ancora si battono come 70 anni fa. E, ancor peggio vanno le cose, quando poi ci s’inventa che esiste la sinistra contro la destra. Alla fine si scopre che il partito più vecchio fra quelli esistenti è la Lega. Tutto il resto è soltanto un paio di branchi, che uniscono vecchi residuati a torme nuove; il tutto senza, lo ripeto, un passato, delle tradizioni, un sistema di valori, un minimo di capacità di dare coerenza a un variegato crepitare di scemenze senza capo né coda, che di politico non hanno proprio nulla. Tutti urlano, strepitano, si fingono condottieri di ingenti masse, e poi si dividono fra loro, intriganti, invidiosi, biliosi, scassinatori di coscienze, del resto anch’esse non più tali, ma solo scatole riempite di meschini calcoli, che da Roma si diramano fino all’Italia comunale e anzi rionale.
La “destra” (il “fascismo” sempre montante come una panna che non riesce) ha bene o male trovato un capo che, per motivi misteriosi, è “carismatico”. Se manca lui, è il caos più totale. La “sinistra” (il “comunismo”, sempre vivo come lo sono quelli del Convento dei Cappuccini a Palermo) è ormai fuori di senno; dal tempo del rinnegamento non riesce a trovare un capo che sia un capo, malgrado si agitino e strillino ex magistrati e questurini (e agenti dei servizi segreti) e qualche guitto da avanspettacolo.
Comunque, come detto altre volte, si deve sempre tenere ben fermo dov’è la causa e dov’è l’effetto; qual è l’azione e quale la reazione. L’azione è stata quella della “manina d’oltreoceano” con la nostra “buona” Confindustria (guidata da quell’Agnelli che disse: i miei interessi di destra sono meglio difesi dalla sinistra) quale sua succube e complice. Fu facile approfittare del crollo del “socialismo reale”, del buon training al trasferimento di campo portato avanti per tanti anni dall’eurocomunismo alla Berlinguer, unitosi all’antifascismo “laico” erede dei voltagabbana del 1943. Bastò mettersi d’accordo con il Pci, che già nell’89 dichiarò il proposito di abiurare il comunismo, e il gioco fu fatto: una bella accolita di sicari fedeli perché sempre ricattabili. Una spruzzata di cattolici e “laici antifascisti” (già da tempo guidati da chi aveva messo in piedi “Repubblica”) e l’accozzaglia denominata “sinistra” fu pronta a mettersi in moto. E questa sinistra fu per di più progressista, avanzata sul piano del permissivismo più bieco, del tutto è consentito, del relativismo più assoluto, del moralismo intransigente per gli altri e dell’indulgenza per se stessi; insomma del cosiddetto politicamente corretto, la più grande perversione dell’intelletto umano mai inventata.
La reazione è stata quella degli altri, di coloro che hanno giocato alla difesa della famiglia, della patria (minuscolo per non offendere quelli che comunque hanno creduto nella Patria, anche se il sottoscritto non ci crede), dei valori della tradizione, un po’ sbrecciati invero da troppi affarismi e flussi di denaro, ecc. Comunque, questa è stata una reazione, sbagliata, a mio avviso “malata”, ma una reazione all’aggressione del virus infettivo proveniente dall’altra parte. In ogni caso, un inganno dietro l’altro, un pasticcio dietro l’altro, una confusione immane.

2. Si ferma qui la completa illusione ottica in cui siamo immersi da quasi vent’anni? Nemmeno per sogno. Ve n’è un’altra ancora più divertente (si fa per dire). Abbiamo un Premier in pieno conflitto di interessi, così si sostiene. Abbiamo un Premier che è anche imprenditore e farebbe le leggi ad hoc per la sua impresa, così si urla. Qui raggiungiamo l’apice del comico. La risposta più semplicistica potrebbe essere: non abbiamo subito per mezzo secolo e più leggi fatte per favorire la Fiat, il cui proprietario restava imprenditore e non Premier e nemmeno ministro? E non abbiamo, in Italia non più che nel paese principe del capitalismo e della “democrazia” (Usa), fior di Governi che si scervellano per non danneggiare, anzi favorire, le banche, pur tuonando contro la finanza divoratrice e causa della recente crisi? E si potrebbe continuare, ma non andremmo al cuore del problema.
Non soltanto il marxismo, accusato di mettere al centro il fattore economico, ma anche e ancor più le teorie dei dominanti, hanno sempre avuto come sottofondo, come leitmotiv, la predominanza degli interessi economici sulle scelte politiche. La crisi ultima è stata enfatizzata come principale pericolo per il sistema della “civiltà occidentale” e, in particolare, per il suo predominante paese, gli Stati Uniti, di cui molti vedevano lo sprofondamento persino nei confronti della tapina Europa Unita. Adesso, i dementi marxisti, che sono però pochini, sono rimasti senza “crollo del capitalismo”. I più, fra i critici, che seguono le teorie economiche e finanziarie dominanti, insistono che lo sprofondamento ci sarà, che “lutti e dolori” sono in agguato; la finanza è sempre sulla cresta dell’onda, quale Regina (e strega) cattiva di “Biancaneve”, e farà infine mangiare la mela avvelenata alla povera verginella: l’economia sana dei sani produttori.
Nessuno è in grado di dire se siamo proprio ormai fuori della crisi, se ci sarà qualche ritorno di fiamma, se ancora si dovrà “soffrire” per risalire la china; né sappiamo quale tipo di risalita ci aspetta. Intanto, però, si capisce che la nazione più “in sofferenza” è l’Italia; guarda caso, è il paese in preda alle convulsioni pseudopolitiche appena sopra sinteticamente elencate. Gli Usa, e non per merito di aver scelto un nero alla presidenza, dimostrano di avere maggiori capacità reattive dell’Europa. Che cos’è, un caso, una sorta di evento erratico? Per nulla affatto. E’ solo la banalità degli economi(ci)sti: marxisti (degenerati in fedeli di una religione) o di altre scuole più accreditate nelle “alte Accademie” del sapere “occidentale”. In realtà, al primo posto non sta l’economia bensì la politica, il conflitto multipolare riapertosi, lo scontro tra diverse politiche delle “sfere di influenza” elaborate dai vari centri strategici dei dominanti in conflitto.
Un conflitto sempre mascherato, soprattutto all’inizio di un’epoca del genere, da diplomazie, da accordi, da firme di trattati (l’ultimo è il nuovo trattato sulle armi nucleari). La politica si pone in primo piano. Gli Stati nazionali “tornano”; nel senso che erano spariti solo nelle teste di “grandi” pensatori economici o politici, perfino di alcuni “terribili ultrarivoluzionari”, storditi dal solo presunto predominio delle multinazionali (anzi ormai transnazionali sempre per queste teste che in realtà non pensano). Siccome non erano mai spariti, ma semplicemente surclassati per un decennio o poco più da uno solo di essi, gli Stati sono tranquillamente di nuovo in vista. L’economia (e la finanza in particolare) sono strumento di questo conflitto tra strategie dei vari gruppi dominanti e delle diverse potenze. Come per qualsiasi strumento, possono verificarsi cattivi usi, usi smodati, l’apparenza che lo strumento ormai vada per conto suo in mani poco capaci o molto rapaci; ma se poi si guarda ex post, per un periodo di media lunghezza, riappare in tutta la sua evidenza che il conflitto tra strategie politiche è quello decisivo e risolutivo.
Il problema non è quindi quello di un imprenditore che fa politica, che cadrebbe nel conflitto di interessi. Queste sono le idiozie di coloro che non vedono una vera grande anomalia italiana, che è però in gran parte anche europea; è l’anomalia di tutti i paesi che restano subordinati alla predominanza di una potenza nell’epoca delle lotta multipolare tra potenze. L’anomalia è costituita dal fatto che l’intero ceto detto politico è subordinato alla sfera economica, la politica è prona di fronte all’imprenditoria; e magari, in particolare, a quella finanziaria. Questo è quanto avvenne – situazione paradigmatica – nella Repubblica di Weimar, dove la finanza era succube di quella americana, ma in quanto quest’ultima era a sua volta intermediaria della predominanza dei centri strategici statunitensi sulla Germania sconfitta, che ebbe ancora un sussulto (nazista, questa è la storia, piaccia o non piaccia) per spazzare via la sua subordinazione e rimettersi in conflitto per la supremazia mondiale, restando poi ancora sconfitta in guerra, dopo la quale, nel campo capitalistico, gli Usa assunsero la posizione centrale e preminente.
L’anomalia grave italiana non è in Berlusconi, è nel fatto che due branchi pseudopolitici – senza storia, né tradizioni, né radici, ecc., tutte cose già dette – sono puri sicari della sfera economica (e finanziaria), che è tramite per il nostro asservimento rispetto ai centri finanziari statunitensi (o quelli che si fingono internazionali, ivi compresi gli europei, ma sono sempre dominati dagli Usa); i quali, a loro volta, sono strumento dei centri strategici di quel paese, che si sta attrezzando al conflitto multipolare con le potenze in crescita “ad est”. Anche gli altri paesi europei stanno di fatto nella stessa situazione di servilismo verso gli Stati Uniti; l’unica differenza è che lì vi sono forze politiche che, in qualche modo, hanno una storia e delle tradizioni, ecc. Per cui la subordinazione di quei paesi è più “ordinata”, passa per canali che appaiono politici. In Italia, la subordinazione è accompagnata dalla più totale disorganizzazione, anarchia, urla e strepiti, mazzette intascate e puttane che influenzano indirizzi pseudopolitici; ecc. La differenza non è però enorme.
Nemmeno si tratta di vera anomalia storica, se si pensa appunto al paradigma costituito da Weimar. Si tratta solo di capire meglio come si costituisce la rete di subordinazione in una situazione di incipiente multipolarismo come quella attuale, e di capire la particolarità italiana; la più deteriore certo in Europa, ma non a causa di Berlusconi, bensì per come si è configurata quell’azione/reazione di cui si è parlato alla fine del primo paragrafo. Questo dobbiamo capire e qui si vedrà chi ha più filo da tessere per forgiare le categorie adeguate ad afferrare la situazione. Certamente non saranno le melmose e sbrecciate categorie del fascismo e dell’antifascismo, del comunismo e dell’anticomunismo, in una parola della destra e della sinistra. Qui sta l’inganno, qui sta la vergogna di un ceto intellettuale (per quattro quinti di “sinistra”) che bercia e inonda di ciarpame i media e l’editoria, ben protetto e pagato dal peggiore capitalismo di ogni epoca storica. Contro tutto questo dobbiamo muoverci, altro che contro l’anomalia berlusconiana, foglia di fico che copre le vergogne immonde di una classe dirigente e di un ceto intellettuale ignobili e fonte di infezione. Disinfettiamo il nostro paese!
di Gianfranco La Grassa

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