10 aprile 2011

Che accade sotto il cielo della finanza italiana?

Le dimissioni di Cesare Geronzi dalla presidenza delle Generali sono arrivate inaspettamente, benché negli ultimi mesi si fosse alzato un polverone di polemiche all’interno dei vertici della compagnia triestina. In questa débâcle di uno dei personaggi più potenti della finanza italiana qualcuno vi ha visto un regime “ex-change”, qualcun altro un indebolimento dell’asse politico-economico del potere Berlusconiano (valutata la vicinanza del banchiere di Marino al Cavaliere di Arcore), altri un rafforzamento di Tremonti su Letta che fa del primo la vera eminenza grigia del capitalismo italiano a scapito del secondo, altri ancora il risultato di faide ataviche nell’universo bancario nostrano che stanno portando alla ribalta una nuova ed agguerrita generazione di managers, la quale sembra avere la meglio sui guru invecchiati di una precedente stagione storica. Probabilmente sono tutte queste cose messe insieme con il risultato che, qualsiasi direzione s’intenda seguire per capirci qualcosa (e non è affatto facile!), si scorge un quadro di grande confusione ed instabilità sotto il cielo dei rapporti di forza che reggono il Sistema-Italia. C’è da dire che Geronzi aveva effettivamente aperto a Berlusconi il salotto buono dei poteri nazionali, un mondo esclusivo e ristretto dal quale costui era sempre stato tenuto ai margini e guardato con estrema diffidenza. B. veniva considerato un parvenu dagli officianti del sacro rito dei titoli azionari e dei biglietti verdi e pertanto non era mai stato accettato da quella aristocrazia del denaro che nel Belpaese continua a spadroneggiare a causa di gravi insufficienze della politica. La finanza domina un popolo solo quando quest’ultimo non riesce ad esprimere un parterre parlamentare e governativo all’altezza dei suoi compiti dirigenziali, cioè quando la sua classe politica è carente di quella visione strategica indispensabile a gestire ed innovare le scelte politiche interne ed internazionali. Nello Stivale, da qualche decennio, non abbiamo gruppi capaci di mettere la museruola all’universo economico ed anzi spesso ritroviamo uomini, partiti ed apparati istituzionali a rimorchio degli speculatori e dei padroni delle ferriere. Allorchè sono i drappelli appena menzionati a dettare l’agenda allo Stato, il mercato e gli egoismi particolaristici prendono il sopravvento sugli interessi collettivi e generali. In questa epoca in cui si stanno ridefinendo gli equilibri geopolitici a livello planetario non avere una guida politico-strategica degna di tale nome significa deporre le armi ancor prima ancora di combattere e consegnarsi legati e bendati alle altre potenze le quali, invece, continuano a proiettarsi sugli scenari mondiali per affermare la propria egemonia. L’Italia oggi sembra recitare questo misero ruolo di comparsa che non sa tutelare "rendite" acquisite e vantaggi "posizionali" (come attestato dalla vicenda libica). Se il politico diviene una marionetta nelle mani delle schiere finanziarie si accomoderà passivamente su verità ideologiche, ad esempio l’efficienza e l’efficacia di mercato, che diventeranno tanto più esorbitanti quanto più elevata sarà la sua irrisolutezza decisionale. Ma dietro la neutralità delle regole del gioco economico si nascondono sempre mani più potenti che indirizzano le cose a proprio beneficio, secondo logiche che esulano dai totem apparentemente "naturali" della competizione e della concorrenza. Le leggi del mercato non piovono dal cielo, c’è chi le crea e chi le patisce. Un Paese che non ha forza politica può solo subirle e mentre va a picco, come sul Titanic, continuerà a far suonare la sua orchestrina di esperti ed analisti che per accelerare l'affondamento chiederà maggiori liberalizzazioni e privatizzazioni. Nonchè la totale svendita dei suoi gioielli di famiglia. Questa è la situazione dell’Italia che, per dirla con Leopardi, fu donna e signora ed ora è appena povera ancella.
di Gianni Petrosillo

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10 aprile 2011

Che accade sotto il cielo della finanza italiana?

Le dimissioni di Cesare Geronzi dalla presidenza delle Generali sono arrivate inaspettamente, benché negli ultimi mesi si fosse alzato un polverone di polemiche all’interno dei vertici della compagnia triestina. In questa débâcle di uno dei personaggi più potenti della finanza italiana qualcuno vi ha visto un regime “ex-change”, qualcun altro un indebolimento dell’asse politico-economico del potere Berlusconiano (valutata la vicinanza del banchiere di Marino al Cavaliere di Arcore), altri un rafforzamento di Tremonti su Letta che fa del primo la vera eminenza grigia del capitalismo italiano a scapito del secondo, altri ancora il risultato di faide ataviche nell’universo bancario nostrano che stanno portando alla ribalta una nuova ed agguerrita generazione di managers, la quale sembra avere la meglio sui guru invecchiati di una precedente stagione storica. Probabilmente sono tutte queste cose messe insieme con il risultato che, qualsiasi direzione s’intenda seguire per capirci qualcosa (e non è affatto facile!), si scorge un quadro di grande confusione ed instabilità sotto il cielo dei rapporti di forza che reggono il Sistema-Italia. C’è da dire che Geronzi aveva effettivamente aperto a Berlusconi il salotto buono dei poteri nazionali, un mondo esclusivo e ristretto dal quale costui era sempre stato tenuto ai margini e guardato con estrema diffidenza. B. veniva considerato un parvenu dagli officianti del sacro rito dei titoli azionari e dei biglietti verdi e pertanto non era mai stato accettato da quella aristocrazia del denaro che nel Belpaese continua a spadroneggiare a causa di gravi insufficienze della politica. La finanza domina un popolo solo quando quest’ultimo non riesce ad esprimere un parterre parlamentare e governativo all’altezza dei suoi compiti dirigenziali, cioè quando la sua classe politica è carente di quella visione strategica indispensabile a gestire ed innovare le scelte politiche interne ed internazionali. Nello Stivale, da qualche decennio, non abbiamo gruppi capaci di mettere la museruola all’universo economico ed anzi spesso ritroviamo uomini, partiti ed apparati istituzionali a rimorchio degli speculatori e dei padroni delle ferriere. Allorchè sono i drappelli appena menzionati a dettare l’agenda allo Stato, il mercato e gli egoismi particolaristici prendono il sopravvento sugli interessi collettivi e generali. In questa epoca in cui si stanno ridefinendo gli equilibri geopolitici a livello planetario non avere una guida politico-strategica degna di tale nome significa deporre le armi ancor prima ancora di combattere e consegnarsi legati e bendati alle altre potenze le quali, invece, continuano a proiettarsi sugli scenari mondiali per affermare la propria egemonia. L’Italia oggi sembra recitare questo misero ruolo di comparsa che non sa tutelare "rendite" acquisite e vantaggi "posizionali" (come attestato dalla vicenda libica). Se il politico diviene una marionetta nelle mani delle schiere finanziarie si accomoderà passivamente su verità ideologiche, ad esempio l’efficienza e l’efficacia di mercato, che diventeranno tanto più esorbitanti quanto più elevata sarà la sua irrisolutezza decisionale. Ma dietro la neutralità delle regole del gioco economico si nascondono sempre mani più potenti che indirizzano le cose a proprio beneficio, secondo logiche che esulano dai totem apparentemente "naturali" della competizione e della concorrenza. Le leggi del mercato non piovono dal cielo, c’è chi le crea e chi le patisce. Un Paese che non ha forza politica può solo subirle e mentre va a picco, come sul Titanic, continuerà a far suonare la sua orchestrina di esperti ed analisti che per accelerare l'affondamento chiederà maggiori liberalizzazioni e privatizzazioni. Nonchè la totale svendita dei suoi gioielli di famiglia. Questa è la situazione dell’Italia che, per dirla con Leopardi, fu donna e signora ed ora è appena povera ancella.
di Gianni Petrosillo

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