18 dicembre 2011

Avanzando verso il precipizio





Uno dei lavori della Convenzione sul Cambiamento Climatico delle Nazioni Unite, che è in corso di svolgimento a Durban in Sud Africa (il vertice si è concluso il 9 dicembre ndr), è quello di estendere le decisioni politiche precedenti, che sono limitate e solo parzialmente applicate.

Queste decisioni risalgono alla Convenzione del 1992 dell’ONU e al protocollo di Kyoto del 1997, al quale gli Stati Uniti si rifiutarono di aderire. Il primo periodo di impegno del Protocollo di Kyoto termina nel 2012. L’aria generale che si respirava prima della conferenza è stata catturata dal New York Times col titolo “Tematiche, ma scarse aspettative”.

Mentre i delegati si riuniscono a Durban, un rapporto su alcuni recenti sondaggi realizzati dal Consiglio delle Relazioni Estere e dal Programma sull’Approccio Politico Internazionale (PIPA) rivela che “i cittadini di tutto il mondo e degli Stati Uniti chiedono che i governi diano una priorità maggiore ai problemi del riscaldamento globale e che appoggino con forza azioni multilaterali per soddisfare questa necessità”.

La maggioranza dei cittadini statunitensi è d’accordo, anche se il PIPA chiarisce che la percentuale “è calata negli ultimi anni, per il fatto che la preoccupazione degli Stati Uniti è significativamente più bassa rispetto a quella mondiale, ora il 79% contro il precedente 84%”.

Gli statunitensi non ritengono che ci sia un consenso scientifico sull’urgenza di prendere iniziative per contrastare il cambiamento climatico. […] Una grande maggioranza pensa che sarà colpita personalmente dal cambiamento climatico, ma solo una minoranza crede che già ora si stiano subendo le conseguenze di tale cambio, contrariamente all’opinione della maggioranza degli altri paesi. Gli statunitensi tendono a sottovalutare il livello di preoccupazione.”

Questi atteggiamenti non sono casuali. Nel 2009 le industrie energetiche, appoggiate dai gruppi dirigenti delle grandi aziende, hanno lanciato grandi campagne che hanno instillato dubbi sulla presenza del consenso degli scienziati riguardo la severità della minaccia del riscaldamento globale prodotto dagli esseri umani.

Il consenso è solamente “quasi unanime”, perché non include molti esperti convinti che gli allarmi sul riscaldamento globale non siano sufficientemente forti, oltre a un gruppo marginale che nega completamente la consistenza della minaccia.

“L’analisi abituale di questo problema” si basa sul mantenimento di “equilibrio”: la gran parte degli scienziati da un lato e i “negazionisti” dall’altro. Gli scienziati che manifestano gli allarmi più forti sono generalmente ignorati dalla maggioranza.

Per questi motivi solo un terzo della popolazione statunitense crede che esista un consenso scientifico sulla minaccia del riscaldamento globale, molto meno rispetto alla media mondiale, e un qualcosa di radicalmente contrastante con i fatti.

Non è un segreto che il governo statunitense stia impuntando i piedi sui temi del clima. “I cittadini di tutto il mondo hanno criticato il modo in cui gli Stati Uniti stanno trattando il problema del cambiamento climatico”, secondo il PIPA. “In generale, gli Stati Uniti sono visti da tutti come il paese che ha prodotto l’impatto più negativo sull’ambiente, seguito dalla Cina. La Germania ha ottenuto riconoscimenti superiori.”

A volte, per riuscire ad avere una visione chiara sui fatti del mondo può essere utile adottare la posizione degli osservatori extraterrestri intelligenti che contemplano gli strani avvenimenti della Terra. Osserverebbero, stupiti, che il paese più ricco e potente nella storia del pianeta adesso guida i lemming nel loro allegro avanzare verso il precipizio.

Il mese scorso l’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica (AIEA), formata nel 1974 per il volere del Segretario di Stato statunitense Henry Kissinger, ha emesso un rapporto aggiornato sull’accelerazione dell’incremento delle emissioni di carbonio provenienti dall’uso di combustibili fossili.

L’AIEA ha calcolato che, se il mondo continuerà su questa strada, il “budget di carbonio” sarà terminato nel 2017. Il budget è la quantità di emissioni che possono mantenere il riscaldamento globale entro un livello di 2 gradi Celsius, quello che viene considerato il limite di sicurezza.

L’economista a capo dell’AIEA, Fatih Birol, ha detto: “La porta si sta chiudendo. […] Se non cambiamo adesso il nostro modo di utilizzare l’energia, oltrepasseremo quello che gli scienziati hanno considerato il limite minimo (di sicurezza). La porta si chiuderà per sempre.”

Anche il mese scorso il Dipartimento di Energia statunitense ha reso pubblici i dati delle emissioni del 2010. Le “emissioni sono aumentate al livello massimo registrato finora”, ha citato la Associated Press, ciò significa che “i livelli di gas serra sono più elevati di quelli del peggiore scenario” che era stato preventivato nel 2007 dal Gruppo Internazionale sul Cambiamento Climatico.

John Reilly, codirettore del programma sul cambiamento climatico del Massachusetts Institute of Technology, ha riferito alla Associated Press che gli scienziati ritengono che le previsioni dell’IPCC sono state troppo conservatrici, a differenza del piccolo gruppo di “negazionisti” che attraggono l’opinione pubblica. Reilly ha informato che il peggiore scenario dell’IPCC era circa alla metà delle stime possibili degli scienziati del MIT sui possibili esiti.

Nel mentre venivano resi noti questi dati allarmanti, il Financial Times ha dedicato una pagina intera alle aspettative ottimistiche, che ipotizzano un’indipendenza energetica degli Stati Uniti per circa un secolo grazie alle nuove tecnologie per l’estrazione dei combustibili fossili del Nord America.

Anche se le proiezioni sono incerte, secondo il Financial Times, gli Stati Uniti “potrebbero superare l’Arabia Saudita e la Russia diventando il più grande produttore al mondo di idrocarburi liquidi, considerando sia il greggio che i gas naturali”.

In questo felice caso, gli Stati Uniti potrebbero sperare di mantenere la propria egemonia mondiale. A parte alcuni commenti sull’impatto ecologico locale, il Financial Times non ci ha detto niente sul genere di pianeta che emergerebbe da queste appetibili prospettive. L’energia va bruciata: e al diavolo l’ambiente.

Quasi tutti i governi stanno cercando di far qualcosa contro la catastrofe che si avvicina. Gli Stati Uniti sono in cima alla fila, guardandola dal fondo. La Camera dei Rappresentanti degli USA, dominata dai Repubblicani, sta ora smantellando le misure ambientali introdotte da Richard Nixon, che sotto molti aspetti fu l’ultimo presidente liberale.

Questo comportamento reazionario è uno dei tanti segnali della crisi della democrazia statunitense durante la scorsa generazione. La breccia fra l’opinione pubblica e la politica è cresciuta fino a convertirsi in un abisso sui temi centrali del dibattito politico attuale, come il deficit e il lavoro. Tuttavia, grazie all’offensiva propagandistica, la breccia è minore di quella che dovrebbe essere nel tema più serio dell’agenda internazionale odierna, e forse della storia.

Potremmo riuscire a perdonare questi ipotetici osservatori extraterrestri se dovesse concludere che sembriamo affetti da una forma di follia letale.

di Noam Chomsky

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18 dicembre 2011

Avanzando verso il precipizio





Uno dei lavori della Convenzione sul Cambiamento Climatico delle Nazioni Unite, che è in corso di svolgimento a Durban in Sud Africa (il vertice si è concluso il 9 dicembre ndr), è quello di estendere le decisioni politiche precedenti, che sono limitate e solo parzialmente applicate.

Queste decisioni risalgono alla Convenzione del 1992 dell’ONU e al protocollo di Kyoto del 1997, al quale gli Stati Uniti si rifiutarono di aderire. Il primo periodo di impegno del Protocollo di Kyoto termina nel 2012. L’aria generale che si respirava prima della conferenza è stata catturata dal New York Times col titolo “Tematiche, ma scarse aspettative”.

Mentre i delegati si riuniscono a Durban, un rapporto su alcuni recenti sondaggi realizzati dal Consiglio delle Relazioni Estere e dal Programma sull’Approccio Politico Internazionale (PIPA) rivela che “i cittadini di tutto il mondo e degli Stati Uniti chiedono che i governi diano una priorità maggiore ai problemi del riscaldamento globale e che appoggino con forza azioni multilaterali per soddisfare questa necessità”.

La maggioranza dei cittadini statunitensi è d’accordo, anche se il PIPA chiarisce che la percentuale “è calata negli ultimi anni, per il fatto che la preoccupazione degli Stati Uniti è significativamente più bassa rispetto a quella mondiale, ora il 79% contro il precedente 84%”.

Gli statunitensi non ritengono che ci sia un consenso scientifico sull’urgenza di prendere iniziative per contrastare il cambiamento climatico. […] Una grande maggioranza pensa che sarà colpita personalmente dal cambiamento climatico, ma solo una minoranza crede che già ora si stiano subendo le conseguenze di tale cambio, contrariamente all’opinione della maggioranza degli altri paesi. Gli statunitensi tendono a sottovalutare il livello di preoccupazione.”

Questi atteggiamenti non sono casuali. Nel 2009 le industrie energetiche, appoggiate dai gruppi dirigenti delle grandi aziende, hanno lanciato grandi campagne che hanno instillato dubbi sulla presenza del consenso degli scienziati riguardo la severità della minaccia del riscaldamento globale prodotto dagli esseri umani.

Il consenso è solamente “quasi unanime”, perché non include molti esperti convinti che gli allarmi sul riscaldamento globale non siano sufficientemente forti, oltre a un gruppo marginale che nega completamente la consistenza della minaccia.

“L’analisi abituale di questo problema” si basa sul mantenimento di “equilibrio”: la gran parte degli scienziati da un lato e i “negazionisti” dall’altro. Gli scienziati che manifestano gli allarmi più forti sono generalmente ignorati dalla maggioranza.

Per questi motivi solo un terzo della popolazione statunitense crede che esista un consenso scientifico sulla minaccia del riscaldamento globale, molto meno rispetto alla media mondiale, e un qualcosa di radicalmente contrastante con i fatti.

Non è un segreto che il governo statunitense stia impuntando i piedi sui temi del clima. “I cittadini di tutto il mondo hanno criticato il modo in cui gli Stati Uniti stanno trattando il problema del cambiamento climatico”, secondo il PIPA. “In generale, gli Stati Uniti sono visti da tutti come il paese che ha prodotto l’impatto più negativo sull’ambiente, seguito dalla Cina. La Germania ha ottenuto riconoscimenti superiori.”

A volte, per riuscire ad avere una visione chiara sui fatti del mondo può essere utile adottare la posizione degli osservatori extraterrestri intelligenti che contemplano gli strani avvenimenti della Terra. Osserverebbero, stupiti, che il paese più ricco e potente nella storia del pianeta adesso guida i lemming nel loro allegro avanzare verso il precipizio.

Il mese scorso l’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica (AIEA), formata nel 1974 per il volere del Segretario di Stato statunitense Henry Kissinger, ha emesso un rapporto aggiornato sull’accelerazione dell’incremento delle emissioni di carbonio provenienti dall’uso di combustibili fossili.

L’AIEA ha calcolato che, se il mondo continuerà su questa strada, il “budget di carbonio” sarà terminato nel 2017. Il budget è la quantità di emissioni che possono mantenere il riscaldamento globale entro un livello di 2 gradi Celsius, quello che viene considerato il limite di sicurezza.

L’economista a capo dell’AIEA, Fatih Birol, ha detto: “La porta si sta chiudendo. […] Se non cambiamo adesso il nostro modo di utilizzare l’energia, oltrepasseremo quello che gli scienziati hanno considerato il limite minimo (di sicurezza). La porta si chiuderà per sempre.”

Anche il mese scorso il Dipartimento di Energia statunitense ha reso pubblici i dati delle emissioni del 2010. Le “emissioni sono aumentate al livello massimo registrato finora”, ha citato la Associated Press, ciò significa che “i livelli di gas serra sono più elevati di quelli del peggiore scenario” che era stato preventivato nel 2007 dal Gruppo Internazionale sul Cambiamento Climatico.

John Reilly, codirettore del programma sul cambiamento climatico del Massachusetts Institute of Technology, ha riferito alla Associated Press che gli scienziati ritengono che le previsioni dell’IPCC sono state troppo conservatrici, a differenza del piccolo gruppo di “negazionisti” che attraggono l’opinione pubblica. Reilly ha informato che il peggiore scenario dell’IPCC era circa alla metà delle stime possibili degli scienziati del MIT sui possibili esiti.

Nel mentre venivano resi noti questi dati allarmanti, il Financial Times ha dedicato una pagina intera alle aspettative ottimistiche, che ipotizzano un’indipendenza energetica degli Stati Uniti per circa un secolo grazie alle nuove tecnologie per l’estrazione dei combustibili fossili del Nord America.

Anche se le proiezioni sono incerte, secondo il Financial Times, gli Stati Uniti “potrebbero superare l’Arabia Saudita e la Russia diventando il più grande produttore al mondo di idrocarburi liquidi, considerando sia il greggio che i gas naturali”.

In questo felice caso, gli Stati Uniti potrebbero sperare di mantenere la propria egemonia mondiale. A parte alcuni commenti sull’impatto ecologico locale, il Financial Times non ci ha detto niente sul genere di pianeta che emergerebbe da queste appetibili prospettive. L’energia va bruciata: e al diavolo l’ambiente.

Quasi tutti i governi stanno cercando di far qualcosa contro la catastrofe che si avvicina. Gli Stati Uniti sono in cima alla fila, guardandola dal fondo. La Camera dei Rappresentanti degli USA, dominata dai Repubblicani, sta ora smantellando le misure ambientali introdotte da Richard Nixon, che sotto molti aspetti fu l’ultimo presidente liberale.

Questo comportamento reazionario è uno dei tanti segnali della crisi della democrazia statunitense durante la scorsa generazione. La breccia fra l’opinione pubblica e la politica è cresciuta fino a convertirsi in un abisso sui temi centrali del dibattito politico attuale, come il deficit e il lavoro. Tuttavia, grazie all’offensiva propagandistica, la breccia è minore di quella che dovrebbe essere nel tema più serio dell’agenda internazionale odierna, e forse della storia.

Potremmo riuscire a perdonare questi ipotetici osservatori extraterrestri se dovesse concludere che sembriamo affetti da una forma di follia letale.

di Noam Chomsky

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