15 dicembre 2011

Professori ben venduti






http://www.lospaziodellapolitica.com/wp-content/uploads/2011/11/monti-napolitano-284x300.jpg

“L’ideale che canta nell’anima di tutti gli imbecilli e prende forma nelle non cantate prose delle loro invettive e declamazioni e utopie, è quello di una sorta di areopago, composto di onest’uomini, ai quali dovrebbero affidarsi gli affari del proprio paese. Entrerebbero in quel consesso chimici, fisici, poeti, matematici, medici, padri di famiglia, [Professori] e via dicendo, che avrebbero tutti per fondamentali requisiti la bontà delle intenzioni e il personale disinteresse, e, insieme con ciò, la conoscenza e l’abilità in qualche ramo dell’attività umana, che non sia peraltro la politica propriamente detta: questa invece dovrebbe, nel suo senso buono, essere la risultante di un incrocio tra l’onestà e la competenza, come si dice, tecnica. Quale sorta di politica farebbe codesta accolta di onesti uomini tecnici, per fortuna non ci è dato sperimentare [a noi, generazione più imbelle ed imbecille che sfortunata, invece, sì], perché non mai la storia ha attuato quell’ideale e nessuna voglia mostra di attuarlo. Tutt’al più, qualche volta, episodicamente, [forse all'epoca di chi scrive, mentre da vent’anni a questa parte l’eccezione si è fatta regola] ha per breve tempo fatto salire al potere in quissimile di quelle elette compagnie, o ha messo a capo degli Stati uomini e da tutti amati e venerati per la loro probità e candidezza e ingegno scientifico e dottrina; ma subito poi li ha rovesciati[aspettiamo impazientemente quel momento], aggiungendo alle loro alte qualifiche quella, non so se del pari alta, d’inettitudine”. (Benedetto Croce).

Gli italiani, un tempo, indipendentemente dalle appartenenze politiche e dalle convinzioni ideologiche erano semplicemente uomini intelligenti, come dimostra il paragrafo citato e ripreso da un articolo di Benedetto Croce, intitolato “L’onestà politica”. Sapevano pensare con la propria testa e non si preoccupavano dei prezzi e delle oscillazioni della domanda sul mercato dei concetti. Offrivano al mondo quello che avevano e non quello che quest’ultimo si aspettava da loro per applaudirli, riverirli e neutralizzarli. Niente svendite, e pochi sconti nelle botteghe autonome del pensiero. Nessun mercimonio di idee per la fama ed il denaro che quando arrivavano (senza suscitare finto sdegno ma nemmeno ostentazione senza ritegno) era quasi sempre per coerenza, bravura e rigorosità scientifica. Allora i supermercati dei pennivendoli e i discount delle puttane che elucubravano a gettone non erano così affollati, scarseggiavano persino o, almeno, non mettevano insegne così iridescenti e spudorate come quelle odierne. Sono passati ottant’anni dalle parole del filosofo napoletano e smarrita la sua filosofia c’è rimasto soltanto Napolitano il quale, contraddicendo ogni singola locuzione della speculazione crociana, ha innalzato l’imbecillità a ragione sovrana e l’inettitudine con la laurea a formula di gabinetto perfetto. La tecnica, foderata di imparzialità, ha svestito la politica e si è santificata indossando non il saio ma un loden. Poi respingendo quello spiritello di uno spread ha stretto un patto col demonio obamiano ricevendo l’immeritata beatificazione internazionale anzichè un urgente esorcismo nazionale. Tali intelligentoni, che fino a qualche mese fa non vedevano né le piaghe della crisi né i presagi del default, si sono fatti Stato e, già che c’erano, si sono fatti pure lo Stato con tutte le sue istituzioni, chiamando la loro orgia professionale fisiologia della salvezza nazionale. Sulle nostre teste annaspanti a causa della dappocaggine di chi ci governava innanzi è piovuto un salvagente di pietra, lanciatoci proprio da questi illustri professori, i quali sono stati talmente servizievoli verso la patria da averle fatto il servizio completo. L’unica speme che ci resta è quella sentenziata da Croce, e cioè che la Storia li rovesci in poco tempo con disonore ed infamia . Tuttavia, non basta il desiderio e lo scongiuro per liberarsi di questi usurpatori eleganti e calcolatori, spalleggiati da troppi signori forestieri fedelmente seguiti da autoctoni arcieri. Bisogna buttarli giù dalla torre eburnea prima che facciano danni oltre ogni aspettativa. In ogni caso, è proprio il principio ad essere errato. Ci vogliono gli eserciti per respingere gli assalti dei nemici. Con i professori, fino a prova contraria, si tengono lezioni ma non si danno sonore lezioni a nessuno. Dunque gli imbecilli, di stato, di partito e di aula universitaria, vanno messi da parte che così facendo si assolve la loro parte e la nostra. Scavando loro la fossa.

di Gianni Petrosillo

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15 dicembre 2011

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“L’ideale che canta nell’anima di tutti gli imbecilli e prende forma nelle non cantate prose delle loro invettive e declamazioni e utopie, è quello di una sorta di areopago, composto di onest’uomini, ai quali dovrebbero affidarsi gli affari del proprio paese. Entrerebbero in quel consesso chimici, fisici, poeti, matematici, medici, padri di famiglia, [Professori] e via dicendo, che avrebbero tutti per fondamentali requisiti la bontà delle intenzioni e il personale disinteresse, e, insieme con ciò, la conoscenza e l’abilità in qualche ramo dell’attività umana, che non sia peraltro la politica propriamente detta: questa invece dovrebbe, nel suo senso buono, essere la risultante di un incrocio tra l’onestà e la competenza, come si dice, tecnica. Quale sorta di politica farebbe codesta accolta di onesti uomini tecnici, per fortuna non ci è dato sperimentare [a noi, generazione più imbelle ed imbecille che sfortunata, invece, sì], perché non mai la storia ha attuato quell’ideale e nessuna voglia mostra di attuarlo. Tutt’al più, qualche volta, episodicamente, [forse all'epoca di chi scrive, mentre da vent’anni a questa parte l’eccezione si è fatta regola] ha per breve tempo fatto salire al potere in quissimile di quelle elette compagnie, o ha messo a capo degli Stati uomini e da tutti amati e venerati per la loro probità e candidezza e ingegno scientifico e dottrina; ma subito poi li ha rovesciati[aspettiamo impazientemente quel momento], aggiungendo alle loro alte qualifiche quella, non so se del pari alta, d’inettitudine”. (Benedetto Croce).

Gli italiani, un tempo, indipendentemente dalle appartenenze politiche e dalle convinzioni ideologiche erano semplicemente uomini intelligenti, come dimostra il paragrafo citato e ripreso da un articolo di Benedetto Croce, intitolato “L’onestà politica”. Sapevano pensare con la propria testa e non si preoccupavano dei prezzi e delle oscillazioni della domanda sul mercato dei concetti. Offrivano al mondo quello che avevano e non quello che quest’ultimo si aspettava da loro per applaudirli, riverirli e neutralizzarli. Niente svendite, e pochi sconti nelle botteghe autonome del pensiero. Nessun mercimonio di idee per la fama ed il denaro che quando arrivavano (senza suscitare finto sdegno ma nemmeno ostentazione senza ritegno) era quasi sempre per coerenza, bravura e rigorosità scientifica. Allora i supermercati dei pennivendoli e i discount delle puttane che elucubravano a gettone non erano così affollati, scarseggiavano persino o, almeno, non mettevano insegne così iridescenti e spudorate come quelle odierne. Sono passati ottant’anni dalle parole del filosofo napoletano e smarrita la sua filosofia c’è rimasto soltanto Napolitano il quale, contraddicendo ogni singola locuzione della speculazione crociana, ha innalzato l’imbecillità a ragione sovrana e l’inettitudine con la laurea a formula di gabinetto perfetto. La tecnica, foderata di imparzialità, ha svestito la politica e si è santificata indossando non il saio ma un loden. Poi respingendo quello spiritello di uno spread ha stretto un patto col demonio obamiano ricevendo l’immeritata beatificazione internazionale anzichè un urgente esorcismo nazionale. Tali intelligentoni, che fino a qualche mese fa non vedevano né le piaghe della crisi né i presagi del default, si sono fatti Stato e, già che c’erano, si sono fatti pure lo Stato con tutte le sue istituzioni, chiamando la loro orgia professionale fisiologia della salvezza nazionale. Sulle nostre teste annaspanti a causa della dappocaggine di chi ci governava innanzi è piovuto un salvagente di pietra, lanciatoci proprio da questi illustri professori, i quali sono stati talmente servizievoli verso la patria da averle fatto il servizio completo. L’unica speme che ci resta è quella sentenziata da Croce, e cioè che la Storia li rovesci in poco tempo con disonore ed infamia . Tuttavia, non basta il desiderio e lo scongiuro per liberarsi di questi usurpatori eleganti e calcolatori, spalleggiati da troppi signori forestieri fedelmente seguiti da autoctoni arcieri. Bisogna buttarli giù dalla torre eburnea prima che facciano danni oltre ogni aspettativa. In ogni caso, è proprio il principio ad essere errato. Ci vogliono gli eserciti per respingere gli assalti dei nemici. Con i professori, fino a prova contraria, si tengono lezioni ma non si danno sonore lezioni a nessuno. Dunque gli imbecilli, di stato, di partito e di aula universitaria, vanno messi da parte che così facendo si assolve la loro parte e la nostra. Scavando loro la fossa.

di Gianni Petrosillo

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