10 luglio 2007

Riforma o Rivoluzione aspettando l'8 settembre

In questo caos politico ognuno dice "facciamo chiarezza". Un altro modo di dire mettiamoci d'accordo sulle balle da raccontare tanto cosa possono farci? Nuotiamo sulla stessa acqua! Qualcuno si lascia sfuggire "Non possiamo pensare alle riforme, dobbiamo pensare alle tasse, alle evasioni fiscali a tutto quello che è tassabile".

Perchè ?

Perchè, si è scoperto l’immenso spreco provocato dalle «partecipate», ossia dagli enti un tempo pubblici o municipali ora pseudo-privatizzati, dall’ENI all’ENEL alla Centrale del Latte di un qualunque Comune.
Queste aziende ex di Stato sono state dichiarate «private», il che significa che sono ora soggette al diritto privato e non al controllo pubblico.
Ma la loro privatizzazione è meramente formale, legalistica.
Restano aziende pubbliche per almeno due motivi: poiché l’azionista di maggioranza di queste presunte società per azioni resta il Tesoro, o il Comune o la Regione, a pagare le perdite sono sempre i contribuenti, attraverso le casse pubbliche.
Queste SpA presunte, fornendo un servizio pubblico, non possono esser lasciate.
Non si possono lasciare senza luce, acqua e gas i cittadini delle ex-municipali, ora «partecipate».
Queste cosiddette imprese, inoltre, continuano ad operare più o meno in regime di monopolio: dunque sono al di fuori di ogni «mercato», su di loro non agisce la mano invisibile di Adam Smith, e non devono occuparsi di alcuna «competitività».
A che cosa è servito dunque «privatizzarle»?
E si capisce che sarebbe facile, qui la «riforma»: basta ritornare al sistema pubblico per tutto ciò che dà servizi pubblici. Perché la privatizzazione (pseudo) non ha nulla a che fare con la devoluzione, e nemmeno con la democrazia. Aziende pubbliche erano autoritarie, ma soggette a qualche genere di controllo e in teoria almeno, possono essere rese più trasparenti.
Le aziende «partecipate» restano autoritarie, ma ora opache e non-responsabili, in mano ad oligarchie che si sottraggono ad ogni controllo ed esame.
Sono «private» nel senso che se ne infischiano del bene pubblico (res publica), ma non portano nessuna efficienza né vantaggio al consumatore o utente.
Dunque, si deve creare uno statuto giuridico diverso e nuovo per queste aziende.
Si deve ri-centralizzare ogni servizio pubblico: la regionalizzazione, proclamata per portare «il potere vicino al cittadino», è solo un enorme colabrodo con più buchi di prima.
E poi, che senso ha chiamare Servizio Sanitario Nazionale un’entità che invece è gestita dalle regioni, ciascuna a suo modo, con ineguali servizi e costi enormemente diversi?
Perché infinite municipalizzate per fornire elettricità e gas, comprati da fornitori unici e colossali, come l’Arabia, l’Algeria e la Russia, che sono pure stati sovrani?
Centralizzare è d’obbligo, per risparmiare e rendere più efficiente il servizio, e perché i manager capaci non sono poi tanti.
Ma questa riforma «facile» è anche quella che non si farà.
L’Ulivo non la farà perché è appunto il partito dei parassiti miliardari di stato e delle burocrazie inadempienti. Ma anche il Polo si è ben guardato dal fare una riforma di questo spreco vergognoso: è troppo comodo disporre di posti inutili ma ben pagati per amici e clienti.
Chi può farlo?
Strano a dirsi nella presunta «culla del diritto» (dove è vero il diritto non è mai uscito dalla culla), nessun giurista, nessuna Corte costituzionale, ha avvertito la perversione legale, la vera patologia del diritto che è costituita da «partecipate» che sono «private» per statuto, ma le cui perdite vengono pagate da contribuenti.
Il mostro giuridico dura, perché serve.
La Banca d’Italia non fiata: il grande responsabile e promotore di queste privatizzazioni false e mostruose è stato Mario Draghi, che può citare in suo appoggio anche Monti, Ciampi, Padoa Schioppa…tutta gente che il «mercato» non sa nemmeno cos’è, e che ha trovato il modo di perpetuare il suo potere attraverso questo nuovo mostro giuridico.
Nessuno vorrà farlo.
Nessuna burocrazia inutile, nella storia, si è riformata da sé.
Nessuna mostruosità è mai stata spontaneamente risanata, anche quando la sua natura suicida era chiara a tutti: così come la legge sciagurata che diede al Parlamento polacco l’obbligo di decidere all’unanimità, benchè palesemente paralizzante e patologico, non fu mai sanato dai parlamentari.
Il motivo è semplice: ciascuno di loro aveva un diritto di veto, un potere demente a cui non voleva rinunziare.
La «guarigione» venne solo dall’esterno: con spartizioni della Polonia fra le potenze vicine, perdite di territorio e di indipendenza spaventevoli…
Così accadrà all’Italia.
Stiamo davvero andando verso la situazione dell’Argentina, a forza di tasse per pagare i parassiti e i loro sprechi.
Il nostro destino è già stato descritto: «Una spirale discendente a circolo vizioso, dove la debolezza della crescita economica provoca introiti fiscali in diminuzione nonostante ogni inasprimento della torchia; conseguente rialzo dei tassi a lungo termine sul debito pubblico, a cui seguiranno tasse ancora più feroci, che provocheranno un ulteriore rallentamento dell’economia e un deficit pubblico crescente dovuto a introiti fiscali ancora diminuiti».
La spirale argentina.
Nessuno ci salverà, perché lorsignori che sono al potere saranno pronti ad accusare chi proponesse le necessarie evidenti riforme di «ritorno al centralismo», di socialismo (tale è la pretesa che la cosa pubblica resti pubblica e non sia regalata ai privati), e di sospette nostalgie autoritarie antidemocratiche.
Ma la «democrazia» su cui loro presiedono e da cui ricavano le loro ricchezze è quella così definita da Gore Vidal: «il sistema che dà ai ricchi la licenza di rubare ai poveri, facendo loro credere che hanno votato per questo risultato».
La sola soluzione - come sempre quando si tratta di sbattere fuori una grossa casta di parassiti costosi - si chiama rivoluzione.
Ma chi la vuole fare?
Blondet M.

09 luglio 2007

Garibaldi: pirata, massone e ... Padre della Patria


Giuseppe Garibaldi ci è stato presentato come l'eroe dagli occhi
azzurri, biondo, alto, coraggioso, romantico, idealista; colui il quale
metteva a repentaglio la propria vita per la libertà altrui. Non esiste
città d'Italia che non gli abbia dedicato una piazza o una strada.
Garibaldi non era alto, era biondiccio e pieno di reumatismi, camminava
quasi curvo e dovevano alzarlo in due sul suo cavallo. Portava i
capelli lunghi, si dice nel sud, perché violentando una ragazza questa
gli staccò un orecchio. Questo signore non era un eroe; oggi lo si
chiamerebbe delinquente, terrorista, mercenario. Era alto 1,65, aveva
le gambe arcuate e curava molto la sua persona.

Fra il 1825 ed il 1832 fu quasi sempre imbarcato intraprendendo viaggi
nel Mediterraneo. Nel 1833, durante un viaggio a Taganrog ebbe modo di
conoscere dei rivoluzionari che lo affascinarono all'idea della
fratellanza umana ed universale e all'abolizione delle classi, idee che
si rifacevano al Saint Simon. Cominciò, pertanto, a pensare all'idea
dell'unificazione italiana da realizzare con l'abbattimento di tutte le
monarchie allora dominanti e la fondazione di una repubblica.

Accrebbe codesta convinzione quando incontrò Giuseppe Mazzini nei
sobborghi di Marsiglia e, affascinato dalle idee del genovese, si
iscrisse alla setta segreta "Giovine Italia". Nel dicembre del 1833 si
arruolò nella marina piemontese per sobillare e per praticare la
propaganda della setta tra i marinai savoiardi. Nel 1834 tentò un'
insurrezione a Genova contro il Piemonte; scoperto riuscì a fuggire in
Francia. Processato in contumacia a Genova, fu condannato a morte per
alto tradimento dal governo piemontese. Nel 1835 fuggì in Brasile,
considerato una specie d'Eldorado dagli emigranti piemontesi che in
patria non trovavano lavoro, ed erano tantissimi; da lì e dalle altre
province del nord, ogni anno un milione di emigranti raggiungevano le
terre Sudamericane.

Fra i 28 e 40 anni Garibaldi visse come un corsaro ed imitò i grandi
pirati del passato assaltando navi, saccheggiando e, come dice Denis
Mack Smith a pag. 14 "...si abituò a vedere nei grandi proprietari
delle pampas un tipo ideale di persona delle pampas". Al diavolo la
lotta di classe! il danaro era più importante - diciamo noi. A Rio de
Janeiro si iscrisse alla sezione locale della Giovine Italia. Nel 1836
chiese a Mazzini se poteva cominciare la lotta di liberazione
affondando navi piemontesi ed austriache che stazionavano a Rio.
Il rappresentante piemontese nella capitale brasiliana rapportò al
governo sabaudo che nelle case di quei rivoluzionari sventolava la
bandiera tricolore, simbolo di rivoluzione e sovversivismo. Nel maggio
del 1837, con i soldi della carboneria, Garibaldi mise in mare una
barca di 20 tonnellate per predare navi brasiliane; non a caso fu
battezzata Mazzini.

Quest'uomo, condannato a morte per alto tradimento e poi pirata e
corsaro nel fiume Rio Grande, è il nostro eroe nazionale; anzi, non lo
è più! Ora è eroe della nazione Nord. In Uruguay si batteva per
assicurare il monopolio commerciale all'Impero Britannico contrastando
l'egemonia cattolico-ispanica. Nel 1844, a Montevideo iniziò la sua
vera carriera di massone dopo l'iniziazione avuta con l'iscrizione alla
Giovine Italia del Mazzini. In Italia i pennivendoli di regime
continuano ad osannare le imprese banditesche del pirata nizzardo
offendendo la storia e la dignità delle nazioni Sudamericane.

L'indignazione della gente è racchiusa in un articolo di un giornale,
il Pais che vende 300.000 copie giornaliere e che così si è espresso
il 27-7-1995 a pag. 6: "... Garibaldi. Il presidente d'Italia è stato
nostro illustre visitante...... Disgraziatamente, in un momento della
sua visita, il presidente italiano si è riferito alla presenza di
Garibaldi nel Rio della Plata, in un momento molto speciale della
storia delle nazioni di questa parte del mondo. E, senza animo di
riaprire vecchie polemiche e aspre discussioni, diciamo al dott.
Scalfaro che il suo compatriota (ndr, Giuseppe Garibaldi) non ha
lottato per la libertà di queste nazioni come (Scalfaro) afferma.
Piuttosto il contrario". La carriera massonica di Garibaldi culminò
col 33°gr. ricevuto a Torino nel 1862, la suprema carica di Gran
Hierofante del Rito Egiziano del Menphis-Misraim nel 1881.

Il Grande Oriente di Palermo gli conferì tutti i gradi dal 4° al 33° e
a condurre il rito fu mandato Francesco Crispi accompagnato da altri
cinque fra massoni. Il mito di Garibaldi finisce quando si apprende che
la spedizione dei Mille fu finanziata dalla massoneria inglese con una
somma spaventosa di piastre turche equivalenti a milioni di dollari in
moneta attuale (2). Con tale montagna di denaro poté corrompere
generali, alti funzionari e ministri borbonici, tra i quali non pochi
erano massoni. Come poteva vincere Francesco II, se il suo primo
ministro, Don Liborio Romano era massone d'alto grado.

Appena arrivato a Palermo, Garibaldi saccheggiò il Banco di Sicilia di
ben cinque milioni di ducati come fece saccheggiare tutte le chiese e
tutto ciò che trovava sulla sua strada. In una lettera Vittorio
Emanuele II ebbe a lamentarsi con Cavour circa le ruberie del pirata
nizzardo : "Come avrete visto, ho liquidato rapidamente la
sgradevolissima faccenda Garibaldi, sebbene - siatene certo - questo
personaggio non è affatto così docile né così onesto come lo si dipinge
, e come voi stesso ritenete. Il suo talento militare è molto modesto,
come prova l'affare di Capua, e il male immenso che è stato commesso
qui, ad esempio l'infame furto di tutto il denaro dell'erario, è da
attribuirsi interamente a lui, che s'è circondato di canaglie, ne ha
seguito i cattivi consigli e ha piombato questo infelice paese in una
situazione spaventosa".

Ma erano mille i garibaldini? Certamente. Ma ogni giorno sbarcavano
sulla costa siciliana migliaia di soldati piemontesi congedati dall'
esercito sabaudo per l'occasione dall'altro massone Cavour ed arruolati
in quello del generale nizzardo. Una spedizione ben congegnata,
raffinata, scientifica, appoggiata dalla flotta inglese ed assistita
da valenti esperti internazionali. La massoneria siciliana, da anni,
stava preparando la sollevazione e mise a disposizione di Garibaldi
tutto l'apparato mafioso della Trinacria. A Bronte fece fucilare
per mano di Nino Bixio i contadini che avevano osato "usurpare" le
terre concesse agli inglesi dai Borbone.

Ecco chi era il vero Garibaldi! Amico e servo dei figli d'Albione,
assassino e criminale di guerra per aver fatto fucilare cittadini
italiani a Bronte. Il socialismo, l'uguaglianza, la libertà potevano
anche andare a farsi benedire di fronte allo sporco danaro e al suo
servilismo massonico. Suo fine non era dare libertà alle genti del Sud
ma togliere loro anche la vita. Scopo della sua missione fu quello di
distruggere la chiesa cattolica e sostituirla con quella massonica
guidata da Londra.

Garibaldi, questo avventuriero, definiva Pio IX "...un metro cubo di
letame" in quanto lo riteneva - acerrimo nemico dell'Italia e dell'
unità". Considerava il papa "...la più nociva di tutte le creature,
perché egli, più di nessun altro, è un ostacolo al progresso umano,
alla fratellanza degli uomini e dei popoli", inoltre affermò che:
"...Se sorgesse una società del demonio, che combattesse dispotismo e
preti, mi arruolerei nelle sue file" . Era chiaro l'obiettivo della
massoneria: colpire il potere della chiesa e con esso scardinare le
monarchie cattoliche per asservirle ad uno stato laico per potere
finalmente mettere le mani sui nuovi mercati, sulle loro immense
ricchezze umane, sulle loro ricche industrie, sui loro demani pubblici,
sui beni ecclesiastici, sulle riserve auree del Regno delle Due Sicilie, sulle banche.

Con la breccia di Porta Pia finì il potere temporale dei papi con
grande esultanza dei fra massoni. Roma divenne così capitale d'Italia
e della massoneria, come aveva stabilito Albert Pike, designando come
suo successore Adriano Lemmi, massimo esponente del Rito Palladio.

08 luglio 2007

2001-2006. Segreti ... ma di quale STATO?


Berlusconi fa sapere che, con le spiate del Sismi nominato dal governo Berlusconi, Berlusconi non c’entra. Del resto, se anziché spiare i terroristi islamici e nostrani, i mafiosi, i camorristi e gli ’ndranghetisti, il duo Pompa&Pollari spiava magistrati, politici d’opposizione e giornalisti ritenuti ostili a Berlusconi, chi mai potrebbe sospettare che lo facesse per conto di Berlusconi? È vero, i dossier di Spio Pompa su Prodi finivano dritti e filati su Libero per la firma di Renato Farina, intervistatore di fiducia di Berlusconi stipendiato dal Sismi. Ma Berlusconi non c’entra. I dossier su inesistenti vertici a Lugano tra magistrati italiani e stranieri ansiosi di arrestare Berlusconi finivano su Panorama di Berlusconi, sul Foglio di Berlusconi e sul Giornale di Berlusconi per la penna di Lino Jannuzzi, senatore del partito di Berlusconi, ma Berlusconi non c’entra.

Pompa e Pollari maneggiavano dossier sulla Telekom Serbia che foraggiavano l’omonima commissione creata da Berlusconi per dimostrare la corruzione degli oppositori di Berlusconi, ma Berlusconi non c’entra. Le teorie sul planetario complotto mediatico-giudiziario ai danni di Berlusconi formulate chez Pompa venivano copiate pari pari e rilanciate da Berlusconi, ma Berlusconi non c’entra. I giornalisti che scrivevano cose turpi (e dunque vere) su Berlusconi venivano pedinati da uomini del Sismi a spese dei contribuenti, ma Berlusconi non c’entra. Nei dossier di via Nazionale si progettava di «disarticolare con mezzi traumatici» i magistrati che indagavano su Berlusconi e i suoi cari, ma Berlusconi non c’entra.

Pompa nel 2001 scriveva a Berlusconi: «Sarò, se Lei vorrà, il Suo uomo fedele e leale… Desidero averLa come riferimento e esempio ponendomi da subito al lavoro. Un lavoro che vorrei concordare con Lei quando potrò, se lo riterrà opportuno, nuovamente incontrarLa… Insieme a don Luigi (Verzè, ndr) voglio impegnarmi a fondo, com’è nella tradizione contadina della mia famiglia, nella difesa della Sua straordinaria missione che scandisce la Sua esistenza», ma Berlusconi non c’entra. In un paese decente, per molto meno, si parlerebbe di regime, tantopiù se si associa il caso Sismi a quanto sta emergendo sulla «macelleria messicana» del G8 di Genova («uno a zero per noi!», esultava nel 2001 un poliziotto dopo la morte di Carlo Giuliani) e chi ha avuto responsabilità anche solo politiche in questi sporchi affari andrebbe ipso facto a casa, o forse in luoghi meno ospitali. Invece da noi la parola «regime» è stata per 5 anni vietata dalla stessa sinistra (dava l’«orticaria», come ben ricorda Furio Colombo) e non si dimette nessuno.

La classe politica, salvo rare eccezioni, guarda a questi scandali con annoiata sufficienza. Poi c’è qualche furbastro trasversale che coglie la palla al balzo per varare la tanto sospirata commissione d’inchiesta sulle intercettazioni. Naturalmente le deviazioni istituzionali del Sismi non c’entrano: le intercettazioni non le fa il Sismi, ma i magistrati, che proprio grazie alle intercettazioni hanno scoperto i dossieraggi e le complicità dei vertici del servizio militare in un sequestro di persona, prima che il governo opponesse un inesistente segreto di Stato e bloccasse il processo. Non facciano i furbi: la commissione sulle intercettazioni non è contro i dossieraggi illegali, è contro i magistrati che applicano le leggi.

Semmai, se le commissioni servissero a qualcosa, ne andrebbe creata una sulle imprese del Sismi e degli altri apparati di spionaggio abusivi con copertura istituzionali, come quello di Telecom. Invece abbiamo indagato per 5 anni su Mitrokhin, cioè sullo spionaggio sovietico, tema senz’altro stimolante se non avessimo in casa due o tre centrali di spionaggio italiano. Ma il tema non appassiona nessuno, a parte la magistratura, ostacolata in ogni modo. Sarebbe interessante conoscere il parere degl’intellettuali “liberali” che ogni due per tre intasano le prime pagine per denunciare le «invasioni di campo» della magistratura nella politica e nella privacy dei cittadini inermi.

Che ne dicono delle invasioni di campo del Sismi nella politica e nella libera informazione, spiate a spese dei contribuenti addirittura nei pubblici convegni e nelle presentazioni di libri? Come si chiamano i posti in cui avvengono queste cose, se non regimi? I Panebianchi, gli Ostellini, i Galli della Loggia e altri liberali a 24 carati staranno preparando articoli di fuoco sull’argomento. Speriamo pure di leggerli, prima o poi.
Marco Travaglio

10 luglio 2007

Riforma o Rivoluzione aspettando l'8 settembre

In questo caos politico ognuno dice "facciamo chiarezza". Un altro modo di dire mettiamoci d'accordo sulle balle da raccontare tanto cosa possono farci? Nuotiamo sulla stessa acqua! Qualcuno si lascia sfuggire "Non possiamo pensare alle riforme, dobbiamo pensare alle tasse, alle evasioni fiscali a tutto quello che è tassabile".

Perchè ?

Perchè, si è scoperto l’immenso spreco provocato dalle «partecipate», ossia dagli enti un tempo pubblici o municipali ora pseudo-privatizzati, dall’ENI all’ENEL alla Centrale del Latte di un qualunque Comune.
Queste aziende ex di Stato sono state dichiarate «private», il che significa che sono ora soggette al diritto privato e non al controllo pubblico.
Ma la loro privatizzazione è meramente formale, legalistica.
Restano aziende pubbliche per almeno due motivi: poiché l’azionista di maggioranza di queste presunte società per azioni resta il Tesoro, o il Comune o la Regione, a pagare le perdite sono sempre i contribuenti, attraverso le casse pubbliche.
Queste SpA presunte, fornendo un servizio pubblico, non possono esser lasciate.
Non si possono lasciare senza luce, acqua e gas i cittadini delle ex-municipali, ora «partecipate».
Queste cosiddette imprese, inoltre, continuano ad operare più o meno in regime di monopolio: dunque sono al di fuori di ogni «mercato», su di loro non agisce la mano invisibile di Adam Smith, e non devono occuparsi di alcuna «competitività».
A che cosa è servito dunque «privatizzarle»?
E si capisce che sarebbe facile, qui la «riforma»: basta ritornare al sistema pubblico per tutto ciò che dà servizi pubblici. Perché la privatizzazione (pseudo) non ha nulla a che fare con la devoluzione, e nemmeno con la democrazia. Aziende pubbliche erano autoritarie, ma soggette a qualche genere di controllo e in teoria almeno, possono essere rese più trasparenti.
Le aziende «partecipate» restano autoritarie, ma ora opache e non-responsabili, in mano ad oligarchie che si sottraggono ad ogni controllo ed esame.
Sono «private» nel senso che se ne infischiano del bene pubblico (res publica), ma non portano nessuna efficienza né vantaggio al consumatore o utente.
Dunque, si deve creare uno statuto giuridico diverso e nuovo per queste aziende.
Si deve ri-centralizzare ogni servizio pubblico: la regionalizzazione, proclamata per portare «il potere vicino al cittadino», è solo un enorme colabrodo con più buchi di prima.
E poi, che senso ha chiamare Servizio Sanitario Nazionale un’entità che invece è gestita dalle regioni, ciascuna a suo modo, con ineguali servizi e costi enormemente diversi?
Perché infinite municipalizzate per fornire elettricità e gas, comprati da fornitori unici e colossali, come l’Arabia, l’Algeria e la Russia, che sono pure stati sovrani?
Centralizzare è d’obbligo, per risparmiare e rendere più efficiente il servizio, e perché i manager capaci non sono poi tanti.
Ma questa riforma «facile» è anche quella che non si farà.
L’Ulivo non la farà perché è appunto il partito dei parassiti miliardari di stato e delle burocrazie inadempienti. Ma anche il Polo si è ben guardato dal fare una riforma di questo spreco vergognoso: è troppo comodo disporre di posti inutili ma ben pagati per amici e clienti.
Chi può farlo?
Strano a dirsi nella presunta «culla del diritto» (dove è vero il diritto non è mai uscito dalla culla), nessun giurista, nessuna Corte costituzionale, ha avvertito la perversione legale, la vera patologia del diritto che è costituita da «partecipate» che sono «private» per statuto, ma le cui perdite vengono pagate da contribuenti.
Il mostro giuridico dura, perché serve.
La Banca d’Italia non fiata: il grande responsabile e promotore di queste privatizzazioni false e mostruose è stato Mario Draghi, che può citare in suo appoggio anche Monti, Ciampi, Padoa Schioppa…tutta gente che il «mercato» non sa nemmeno cos’è, e che ha trovato il modo di perpetuare il suo potere attraverso questo nuovo mostro giuridico.
Nessuno vorrà farlo.
Nessuna burocrazia inutile, nella storia, si è riformata da sé.
Nessuna mostruosità è mai stata spontaneamente risanata, anche quando la sua natura suicida era chiara a tutti: così come la legge sciagurata che diede al Parlamento polacco l’obbligo di decidere all’unanimità, benchè palesemente paralizzante e patologico, non fu mai sanato dai parlamentari.
Il motivo è semplice: ciascuno di loro aveva un diritto di veto, un potere demente a cui non voleva rinunziare.
La «guarigione» venne solo dall’esterno: con spartizioni della Polonia fra le potenze vicine, perdite di territorio e di indipendenza spaventevoli…
Così accadrà all’Italia.
Stiamo davvero andando verso la situazione dell’Argentina, a forza di tasse per pagare i parassiti e i loro sprechi.
Il nostro destino è già stato descritto: «Una spirale discendente a circolo vizioso, dove la debolezza della crescita economica provoca introiti fiscali in diminuzione nonostante ogni inasprimento della torchia; conseguente rialzo dei tassi a lungo termine sul debito pubblico, a cui seguiranno tasse ancora più feroci, che provocheranno un ulteriore rallentamento dell’economia e un deficit pubblico crescente dovuto a introiti fiscali ancora diminuiti».
La spirale argentina.
Nessuno ci salverà, perché lorsignori che sono al potere saranno pronti ad accusare chi proponesse le necessarie evidenti riforme di «ritorno al centralismo», di socialismo (tale è la pretesa che la cosa pubblica resti pubblica e non sia regalata ai privati), e di sospette nostalgie autoritarie antidemocratiche.
Ma la «democrazia» su cui loro presiedono e da cui ricavano le loro ricchezze è quella così definita da Gore Vidal: «il sistema che dà ai ricchi la licenza di rubare ai poveri, facendo loro credere che hanno votato per questo risultato».
La sola soluzione - come sempre quando si tratta di sbattere fuori una grossa casta di parassiti costosi - si chiama rivoluzione.
Ma chi la vuole fare?
Blondet M.

09 luglio 2007

Garibaldi: pirata, massone e ... Padre della Patria


Giuseppe Garibaldi ci è stato presentato come l'eroe dagli occhi
azzurri, biondo, alto, coraggioso, romantico, idealista; colui il quale
metteva a repentaglio la propria vita per la libertà altrui. Non esiste
città d'Italia che non gli abbia dedicato una piazza o una strada.
Garibaldi non era alto, era biondiccio e pieno di reumatismi, camminava
quasi curvo e dovevano alzarlo in due sul suo cavallo. Portava i
capelli lunghi, si dice nel sud, perché violentando una ragazza questa
gli staccò un orecchio. Questo signore non era un eroe; oggi lo si
chiamerebbe delinquente, terrorista, mercenario. Era alto 1,65, aveva
le gambe arcuate e curava molto la sua persona.

Fra il 1825 ed il 1832 fu quasi sempre imbarcato intraprendendo viaggi
nel Mediterraneo. Nel 1833, durante un viaggio a Taganrog ebbe modo di
conoscere dei rivoluzionari che lo affascinarono all'idea della
fratellanza umana ed universale e all'abolizione delle classi, idee che
si rifacevano al Saint Simon. Cominciò, pertanto, a pensare all'idea
dell'unificazione italiana da realizzare con l'abbattimento di tutte le
monarchie allora dominanti e la fondazione di una repubblica.

Accrebbe codesta convinzione quando incontrò Giuseppe Mazzini nei
sobborghi di Marsiglia e, affascinato dalle idee del genovese, si
iscrisse alla setta segreta "Giovine Italia". Nel dicembre del 1833 si
arruolò nella marina piemontese per sobillare e per praticare la
propaganda della setta tra i marinai savoiardi. Nel 1834 tentò un'
insurrezione a Genova contro il Piemonte; scoperto riuscì a fuggire in
Francia. Processato in contumacia a Genova, fu condannato a morte per
alto tradimento dal governo piemontese. Nel 1835 fuggì in Brasile,
considerato una specie d'Eldorado dagli emigranti piemontesi che in
patria non trovavano lavoro, ed erano tantissimi; da lì e dalle altre
province del nord, ogni anno un milione di emigranti raggiungevano le
terre Sudamericane.

Fra i 28 e 40 anni Garibaldi visse come un corsaro ed imitò i grandi
pirati del passato assaltando navi, saccheggiando e, come dice Denis
Mack Smith a pag. 14 "...si abituò a vedere nei grandi proprietari
delle pampas un tipo ideale di persona delle pampas". Al diavolo la
lotta di classe! il danaro era più importante - diciamo noi. A Rio de
Janeiro si iscrisse alla sezione locale della Giovine Italia. Nel 1836
chiese a Mazzini se poteva cominciare la lotta di liberazione
affondando navi piemontesi ed austriache che stazionavano a Rio.
Il rappresentante piemontese nella capitale brasiliana rapportò al
governo sabaudo che nelle case di quei rivoluzionari sventolava la
bandiera tricolore, simbolo di rivoluzione e sovversivismo. Nel maggio
del 1837, con i soldi della carboneria, Garibaldi mise in mare una
barca di 20 tonnellate per predare navi brasiliane; non a caso fu
battezzata Mazzini.

Quest'uomo, condannato a morte per alto tradimento e poi pirata e
corsaro nel fiume Rio Grande, è il nostro eroe nazionale; anzi, non lo
è più! Ora è eroe della nazione Nord. In Uruguay si batteva per
assicurare il monopolio commerciale all'Impero Britannico contrastando
l'egemonia cattolico-ispanica. Nel 1844, a Montevideo iniziò la sua
vera carriera di massone dopo l'iniziazione avuta con l'iscrizione alla
Giovine Italia del Mazzini. In Italia i pennivendoli di regime
continuano ad osannare le imprese banditesche del pirata nizzardo
offendendo la storia e la dignità delle nazioni Sudamericane.

L'indignazione della gente è racchiusa in un articolo di un giornale,
il Pais che vende 300.000 copie giornaliere e che così si è espresso
il 27-7-1995 a pag. 6: "... Garibaldi. Il presidente d'Italia è stato
nostro illustre visitante...... Disgraziatamente, in un momento della
sua visita, il presidente italiano si è riferito alla presenza di
Garibaldi nel Rio della Plata, in un momento molto speciale della
storia delle nazioni di questa parte del mondo. E, senza animo di
riaprire vecchie polemiche e aspre discussioni, diciamo al dott.
Scalfaro che il suo compatriota (ndr, Giuseppe Garibaldi) non ha
lottato per la libertà di queste nazioni come (Scalfaro) afferma.
Piuttosto il contrario". La carriera massonica di Garibaldi culminò
col 33°gr. ricevuto a Torino nel 1862, la suprema carica di Gran
Hierofante del Rito Egiziano del Menphis-Misraim nel 1881.

Il Grande Oriente di Palermo gli conferì tutti i gradi dal 4° al 33° e
a condurre il rito fu mandato Francesco Crispi accompagnato da altri
cinque fra massoni. Il mito di Garibaldi finisce quando si apprende che
la spedizione dei Mille fu finanziata dalla massoneria inglese con una
somma spaventosa di piastre turche equivalenti a milioni di dollari in
moneta attuale (2). Con tale montagna di denaro poté corrompere
generali, alti funzionari e ministri borbonici, tra i quali non pochi
erano massoni. Come poteva vincere Francesco II, se il suo primo
ministro, Don Liborio Romano era massone d'alto grado.

Appena arrivato a Palermo, Garibaldi saccheggiò il Banco di Sicilia di
ben cinque milioni di ducati come fece saccheggiare tutte le chiese e
tutto ciò che trovava sulla sua strada. In una lettera Vittorio
Emanuele II ebbe a lamentarsi con Cavour circa le ruberie del pirata
nizzardo : "Come avrete visto, ho liquidato rapidamente la
sgradevolissima faccenda Garibaldi, sebbene - siatene certo - questo
personaggio non è affatto così docile né così onesto come lo si dipinge
, e come voi stesso ritenete. Il suo talento militare è molto modesto,
come prova l'affare di Capua, e il male immenso che è stato commesso
qui, ad esempio l'infame furto di tutto il denaro dell'erario, è da
attribuirsi interamente a lui, che s'è circondato di canaglie, ne ha
seguito i cattivi consigli e ha piombato questo infelice paese in una
situazione spaventosa".

Ma erano mille i garibaldini? Certamente. Ma ogni giorno sbarcavano
sulla costa siciliana migliaia di soldati piemontesi congedati dall'
esercito sabaudo per l'occasione dall'altro massone Cavour ed arruolati
in quello del generale nizzardo. Una spedizione ben congegnata,
raffinata, scientifica, appoggiata dalla flotta inglese ed assistita
da valenti esperti internazionali. La massoneria siciliana, da anni,
stava preparando la sollevazione e mise a disposizione di Garibaldi
tutto l'apparato mafioso della Trinacria. A Bronte fece fucilare
per mano di Nino Bixio i contadini che avevano osato "usurpare" le
terre concesse agli inglesi dai Borbone.

Ecco chi era il vero Garibaldi! Amico e servo dei figli d'Albione,
assassino e criminale di guerra per aver fatto fucilare cittadini
italiani a Bronte. Il socialismo, l'uguaglianza, la libertà potevano
anche andare a farsi benedire di fronte allo sporco danaro e al suo
servilismo massonico. Suo fine non era dare libertà alle genti del Sud
ma togliere loro anche la vita. Scopo della sua missione fu quello di
distruggere la chiesa cattolica e sostituirla con quella massonica
guidata da Londra.

Garibaldi, questo avventuriero, definiva Pio IX "...un metro cubo di
letame" in quanto lo riteneva - acerrimo nemico dell'Italia e dell'
unità". Considerava il papa "...la più nociva di tutte le creature,
perché egli, più di nessun altro, è un ostacolo al progresso umano,
alla fratellanza degli uomini e dei popoli", inoltre affermò che:
"...Se sorgesse una società del demonio, che combattesse dispotismo e
preti, mi arruolerei nelle sue file" . Era chiaro l'obiettivo della
massoneria: colpire il potere della chiesa e con esso scardinare le
monarchie cattoliche per asservirle ad uno stato laico per potere
finalmente mettere le mani sui nuovi mercati, sulle loro immense
ricchezze umane, sulle loro ricche industrie, sui loro demani pubblici,
sui beni ecclesiastici, sulle riserve auree del Regno delle Due Sicilie, sulle banche.

Con la breccia di Porta Pia finì il potere temporale dei papi con
grande esultanza dei fra massoni. Roma divenne così capitale d'Italia
e della massoneria, come aveva stabilito Albert Pike, designando come
suo successore Adriano Lemmi, massimo esponente del Rito Palladio.

08 luglio 2007

2001-2006. Segreti ... ma di quale STATO?


Berlusconi fa sapere che, con le spiate del Sismi nominato dal governo Berlusconi, Berlusconi non c’entra. Del resto, se anziché spiare i terroristi islamici e nostrani, i mafiosi, i camorristi e gli ’ndranghetisti, il duo Pompa&Pollari spiava magistrati, politici d’opposizione e giornalisti ritenuti ostili a Berlusconi, chi mai potrebbe sospettare che lo facesse per conto di Berlusconi? È vero, i dossier di Spio Pompa su Prodi finivano dritti e filati su Libero per la firma di Renato Farina, intervistatore di fiducia di Berlusconi stipendiato dal Sismi. Ma Berlusconi non c’entra. I dossier su inesistenti vertici a Lugano tra magistrati italiani e stranieri ansiosi di arrestare Berlusconi finivano su Panorama di Berlusconi, sul Foglio di Berlusconi e sul Giornale di Berlusconi per la penna di Lino Jannuzzi, senatore del partito di Berlusconi, ma Berlusconi non c’entra.

Pompa e Pollari maneggiavano dossier sulla Telekom Serbia che foraggiavano l’omonima commissione creata da Berlusconi per dimostrare la corruzione degli oppositori di Berlusconi, ma Berlusconi non c’entra. Le teorie sul planetario complotto mediatico-giudiziario ai danni di Berlusconi formulate chez Pompa venivano copiate pari pari e rilanciate da Berlusconi, ma Berlusconi non c’entra. I giornalisti che scrivevano cose turpi (e dunque vere) su Berlusconi venivano pedinati da uomini del Sismi a spese dei contribuenti, ma Berlusconi non c’entra. Nei dossier di via Nazionale si progettava di «disarticolare con mezzi traumatici» i magistrati che indagavano su Berlusconi e i suoi cari, ma Berlusconi non c’entra.

Pompa nel 2001 scriveva a Berlusconi: «Sarò, se Lei vorrà, il Suo uomo fedele e leale… Desidero averLa come riferimento e esempio ponendomi da subito al lavoro. Un lavoro che vorrei concordare con Lei quando potrò, se lo riterrà opportuno, nuovamente incontrarLa… Insieme a don Luigi (Verzè, ndr) voglio impegnarmi a fondo, com’è nella tradizione contadina della mia famiglia, nella difesa della Sua straordinaria missione che scandisce la Sua esistenza», ma Berlusconi non c’entra. In un paese decente, per molto meno, si parlerebbe di regime, tantopiù se si associa il caso Sismi a quanto sta emergendo sulla «macelleria messicana» del G8 di Genova («uno a zero per noi!», esultava nel 2001 un poliziotto dopo la morte di Carlo Giuliani) e chi ha avuto responsabilità anche solo politiche in questi sporchi affari andrebbe ipso facto a casa, o forse in luoghi meno ospitali. Invece da noi la parola «regime» è stata per 5 anni vietata dalla stessa sinistra (dava l’«orticaria», come ben ricorda Furio Colombo) e non si dimette nessuno.

La classe politica, salvo rare eccezioni, guarda a questi scandali con annoiata sufficienza. Poi c’è qualche furbastro trasversale che coglie la palla al balzo per varare la tanto sospirata commissione d’inchiesta sulle intercettazioni. Naturalmente le deviazioni istituzionali del Sismi non c’entrano: le intercettazioni non le fa il Sismi, ma i magistrati, che proprio grazie alle intercettazioni hanno scoperto i dossieraggi e le complicità dei vertici del servizio militare in un sequestro di persona, prima che il governo opponesse un inesistente segreto di Stato e bloccasse il processo. Non facciano i furbi: la commissione sulle intercettazioni non è contro i dossieraggi illegali, è contro i magistrati che applicano le leggi.

Semmai, se le commissioni servissero a qualcosa, ne andrebbe creata una sulle imprese del Sismi e degli altri apparati di spionaggio abusivi con copertura istituzionali, come quello di Telecom. Invece abbiamo indagato per 5 anni su Mitrokhin, cioè sullo spionaggio sovietico, tema senz’altro stimolante se non avessimo in casa due o tre centrali di spionaggio italiano. Ma il tema non appassiona nessuno, a parte la magistratura, ostacolata in ogni modo. Sarebbe interessante conoscere il parere degl’intellettuali “liberali” che ogni due per tre intasano le prime pagine per denunciare le «invasioni di campo» della magistratura nella politica e nella privacy dei cittadini inermi.

Che ne dicono delle invasioni di campo del Sismi nella politica e nella libera informazione, spiate a spese dei contribuenti addirittura nei pubblici convegni e nelle presentazioni di libri? Come si chiamano i posti in cui avvengono queste cose, se non regimi? I Panebianchi, gli Ostellini, i Galli della Loggia e altri liberali a 24 carati staranno preparando articoli di fuoco sull’argomento. Speriamo pure di leggerli, prima o poi.
Marco Travaglio