27 agosto 2007

11 9 : Mistero della Fede o ...un sogno ?


L'undici settembre è successo un evento che ha cambiato e, sta cambiando i nostri usi, costumi mentalità e libertà individuali.
Le ipotesi di complotto o casualità vengono pubblicate con "facilità" disarmante. Ognuno dice la sua e, aggiungo la mia.
Nel giugno del 2001 mi trovavo in una località sperduta dell'appennino toscano-romagnolo per un aggiornamento. Il posto, isolato è dire poco. Circa due ore di saliscendi per un gruppo di case dove elettricità e fonti elettromagnetiche non erano presenti. Pannelli fotovoltaici, un gruppo su una sorgente le uniche fonti
di energia visibili. Ebbene, in questo contesto, mi ricordo molto bene quello che una "medium" predisse. Davanti ad un gruppo di persone disinteressate all'argomento parlò di forze del bene e del male che si stanno scontrando e, a settembre di quest'anno (2001) ci sarà un evento che cambierà il nostro status, le nostre vite. Tale evento sarà il risultato delle forza del Male e, in base alla forza dell'evento dovremo preoccuparci. Questo evento traccerà un solco molto profondo tra passato e futuro.
Altre cose predisse ma, ho dimenticato molto presto. A distanza di anni ricordo l'evento con un centinaio di presenti da ogni parte d'Italia.
Sul web, invece le stranezze per coprire l'evento o dire che non è successo niente non mancano. Il caso delle American Airlines la più esposta con opzioni di vendita.
Un dubbio che nessuno ha ancora sciolto.
La pagina di Wikipedia in inglese dedicata all’American Airlines è stata modificata nella parte che riguarda i dirottamenti dell’11 settembre 2001.
Sentite un po’.

La versione originale (ultima revisione: 23 aprile 2006, ore 13.29) era la seguente (traduco):
“Due aerei della American Airlines vennero dirottati e si schiantarono nel corso degli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001: il volo American Airlines 77 (un Boeing 757) e il volo American Airlines 11 (un Boeing 767)”.

Per chi non lo ricordasse: il volo 77 era quello che, secondo la leggenda, si sarebbe schiantato sul Pentagono, mentre il volo 11 era l’aereo schiantatosi contro la Torre Nord del WTC.
Bene. La pagina di Wikipedia è stata modificata il 25 aprile 2006 e attualmente vi si legge:
“Due aerei della American Airlines vennero dirottati e si schiantarono nel corso degli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001: il volo American Airlines 77 (un Boeing 757) e il volo American Airlines 11 (un Boeing 767). Benché questi voli fossero partenze giornaliere prima dell’11 settembre 2001 e anche il mese successivo, tuttavia né il volo 11 né il volo 77 erano programmati per l’11 settembre 2001. I registri curati dal Bureau of Transportation Statistics (www.bts.gov/gis/) non elencano, per quel giorno, nessuno dei due voli”.
Capito? Gli aerei che si schiantarono contro il WTC e contro il Pentagono non erano in programma per l’11 settembre 2001 e secondo il BoTS non sono mai decollati. A questo punto sorge la legittima curiosità di chiedere ai curatori di Wikipedia – nonché al BoTS - che cosa, esattamente, abbia colpito, secondo loro, le torri e il Pentagono in quel giorno fatidico.
Si dirà che Wikipedia è un’enciclopedia “aperta” ed è tristemente nota per le manipolazioni incontrollate (o poco controllate) che chiunque può eseguire sulle sue voci.
Ma qui viene il bello.
Stando ad una ricerca eseguita dai curatori, la modifica in questione è stata effettuata dall’indirizzo IP 144.9.8.21, che è situato presso gli uffici della stessa American Airlines. Perché la AA ha eseguito queste modifiche? Davvero al Bureau of Transportation Statistics quei voli non risultano in programma per l’11 settembre? Ci siamo sognati tutto?

25 agosto 2007

Gli effetti "benefici" del crack finanziario


«Il bilancio militare di Israele è stato tagliato, in un solo colpo e improvvisamente, di un impressionante 10 per cento. La ragione: Washington ha comunicato a Gerusalemme che non avrebbe proceduto alla solita e attesa infusione di aiuti militari, perché lo zio Sam non ha soldi».
Così rende noto la rivista giudaica Forward, in una analisi dal titolo significativo: «I mutui e la questione ebraica» (15 agosto 2007).
E’ dunque lo stesso Forward a collegare una improvvisa crisi dell’onnipotenza bellica israeliana al crach tipo 1929 innescato dalla crisi dei mutui «subprime».
«C’è un piccolo angolo del mondo che è terrificato dalla debolezza dell’America», scrive testualmente.
La questione ha un lato ironico.
La «crisi dei mutui» e la conseguente «mancanza di liquidità» non indica solo il crepuscolo del sistema finanziario USA: prelude al naufragio dell’ultimo esperimento sociale imposto al mondo da uno speciale gruppo umano.
Come non si stanca di rilevare il candidato repubblicano Ron Paul, i neoconservatori ebraico-americani sono di formazione trozkisti: ossia tra gli artefici del grande e sanguinoso esperimento sociale che consistette nell’imporre l’ideologia «scientifica» del marxismo nel modo più dogmaticamente puro, senza scendere a compromessi con la realtà, e senza alcuna pietà per il suo costo umano.
La dottrina prima di tutto.
Fallito l’esperimento in ragione della sua stessa purezza di applicazione (l’essenza del marxismo «nemica dell’esistenza»: più rigorosamente viene applicata, più strangola la realtà sottostante), i trotzkisti hanno cambiato cavallo ideologico, ma con lo stesso furore dogmatico.
La nota lobby ha approfittato del temporaneo status di «unica superpotenza rimasta» degli Stati Uniti per imporre l’ideologia del liberismo «americano» con la stessa purezza ideologica: l’ideologia del «mercato» e del profitto allo stato chimicamente puro, ossia senza alcuna infusione di socialità pubblica né di solidarietà collettiva.

Lo riconosce a malincuore la stessa rivista Forward.
L’economia di purissimo mercato finanziario, ammette, non è un fatto naturale.
E’ stato reso possibile «in parte dalla deregulation del sistema bancario e finanziario, in parte dalle riforme fiscali» (gli enormi tagli alle tasse sulla ricchezza finanziaria) ad aver instaurato, con il declino «dell’economia basata sull’industria» in USA e in tutto l’Occidente, il nuovo sistema: consistente «nella impressionante crescita di servizi finanziari, ossia di prestare e indebitarsi per profitto, ormai la parte maggiore della nostra economia».
Ciò è visibile «nella incessante pubblicità che ci invita a indebitarci: con l’offerta di nuove carte di credito, di sempre più facili mutui, di rifinanziare i nostri debiti personali per riprendere a consumare. Le istituzioni finanziarie, sotto pressione continua a crescere, hanno continuamente abbassato le condizioni per il credito al consumo».
Fra le offerte, Forward cita la più rovinosa, non certo ignota ai debitori italiani: i mutui a tasso variabile.
«Presentati inizialmente come convenienti, basati sul denaro prestato a basso costo, essi promettevano futuri aumenti, un giorno o l’altro, in futuro. Quel giorno è arrivato».
Come il marxismo «scientifico», anche la teoria del monetarismo «scientifico» e senza compromessi ha una falla logica.
Come i trozkisti hanno sempre ignorato che l’esproprio della proprietà privata, la statalizzazione totale dei mezzi di produzione, tagliava alla radice la capacità e volontà di produrre così i monetaristi (a cominciare dal Nobel ed ebreo Milton Friedman, della Chicago School) hanno sempre ignorato il peso che il debito accumulava sull’economia reale.
Per i dottrinari, la quantità di debito è irrilevante, fintanto che il costo dell’indebitamento (tassi d’interesse) è basso.
Così, hanno creduto che non solo gli individui, ma la «sola superpotenza rimasta» potesse continuare a dominare il mondo producendo sempre meno e indebitandosi sempre più. Demandando alla Cina la fabbricazione di merci, e prendendo in prestito dalla Cina o soldi per comprare le merci cinesi.

Naturalmente il dogma sottovalutava l’effetto cumulativo degli interessi, basti dire questo: in USA, nel 1950, un dollaro di debito innescava 4 dollari di attività economica.
Nel 2000, un dollaro preso a prestito rendeva solo 20 centesimi.
Nel 2005, solo 10 centesimi.
Oggi, praticamente, più nulla, secondo i dati forniti da Paul Kasriel, direttore delle ricerche economiche della Northern Trust.
Gli interessi cumulati si mangiano il profitto, e anche lo slancio produttivo occidentale.
Come nel caso del comunismo, l’esperimento sociale del monetarismo globale sta fallendo, con seguito di miserie e sofferenze.
«In tutto il paese la famiglie scoprono che i loro mutui si gonfiano come palloni mentre i loro redditi declinano, dato che le fabbriche sono fuggite, e non possono più pagare. Le istituzioni di prestito si trovano così a corto di liquido, e non possono pagare i loro investitori. I fondi d’investimento basati sull’acquisto di debito (che prometteva grandi profitti, se i debitori pagavano) stanno cadendo nel vuoto. L’industria immobiliare, massimo motore della crescita USA, sta perdendo quota. L’economia rallenta. Il dollaro perciò si deprezza sui mercati mondiali. E così gli americani, i consumatori e lo Zio Sam stesso, possono comprare meno di prima».
«Ma il peggio, la bomba, è che i fondi esteri che hanno investito nel credito americano, specialmente nei mutui, stanno crollando. Due grandi banche tedesche hanno chiuso gli scambi a luglio per prevenire vendite da panico. Una delle maggiori banche francesi ha chiuso tre dei suoi fondi per lo stesso motivo. La banca centrale europea perciò ha iniettato 130 miliardi di dollari per sostenere le banche rimaste senza liquido, perché i loro investimenti americani n on rendono più nulla».
«Di conseguenza, gli investitori stranieri si liberano dei dollari. Ciò deprezza ulteriormente il dollaro. E soprattutto, aumenta il prezzo che il nostro governo - che ha preferito indebitarsi anziché tassare - deve pagare per fornirsi di denaro per le sue spese».

A cominciare dalle spese belliche: gli USA sono trasformati, per volontà degli ideologici trotzkisti neocon, da «welfare state» in «warfare state», lo stato della guerra permanente, della rivoluzione permanente per diffondere la «democrazia».
Tra queste spese belliche primeggiano gli «aiuti», almeno 3 miliardi di dollari l’anno, per il bellicismo insaziabile israeliano.
Ora, mancano i soldi persino per Giuda e il suo «regno» del terrore e della minaccia.
Finalmente un effetto collaterale benefico della grande crisi incombente.
E alquanto ironico.

Maurizio Blondet

19 agosto 2007

I furbetti delle Camere: il loro eldorado.



Fare il ragioniere alla Camera è affare certamente impegnativo. E non a caso ci vuole una laurea triennale per accedere al rango. Dall'alto di questa mansione si istruiscono le pratiche per i rimborsi elettorali dei partiti, si preparano le buste paga dei parlamentari, si cura l'amministrazione di Montecitorio. Giusto che si riceva uno stipendio adeguato alle responsabilità del mestiere. Ma fare il presidente della Repubblica, è certamente compito più delicato e importante per le sorti del Paese. E il trattamento economico, soprattutto in tempi nei quali si predica tanto la meritocrazia, dovrebbe tenerne conto. Cosa dicono invece le buste paga degli interessati? Che con i suoi 237 mila 560 euro lordi annui (rivalutati ogni 12 mesi) maturati dopo 35 anni di servizio, il ragioniere di Montecitorio guadagna quasi 20 mila euro in più del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il cui appannaggio, congelato ai valore del 1999 per le difficoltà dei conti pubblici, è fermo a 218 mila euro lordi l'anno. E come non restare ammirati di fronte agli stenografi del Senato? Sono 60 in tutto e compilano i resoconti dei lavori dell'aula e delle varie commissioni. Svolgono un lavoro ormai in estinzione per via delle nuove tecnologie, ma all'apice della carriera arrivano a guadagnare 253 mila 700 euro lordi l'anno. Molto di più non solo del presidente Napolitano, ma anche del capo del governo Romano Prodi che, tra indennità parlamentare (145 mila 626 euro), stipendio da premier (54 mila 710) e indennità di funzione (11 mila 622), arriva a 212 mila euro lordi l'anno. E di ministri titolati come Massimo D'Alema (Esteri), che riscuote 189 mila 847 euro, e Tommaso Padoa-Schioppa (Economia), che ogni anno incassa 203 mila 394 euro lordi (è la paga dei ministri non parlamentari). Tutti abbondantemente distanziati dallo stenografo e dal ragioniere e addirittura umiliati al cospetto dei compensi dei segretari generali di Senato e Camera, Antonio Malaschini e Ugo Zampetti, che a fine anno arriveranno a incassare rispettivamente 485 mila e 483 mila euro lordi.


Ecco le sorprese che spuntano esaminando i dati sul trattamento economico dei dipendenti di Camera e Senato. E non sono le sole: barbieri ('operatori tecnici') che possono arrivare a guadagnare oltre 133 mila euro lordi l'anno a fronte dei circa 98 mila di un magistrato d'appello con 13 anni di anzianità. E collaboratori tecnici operai che dall'alto dei loro 152 mila euro se la ridono dei professori universitari ordinari a tempo pieno inchiodati, dopo vari anni di carriera, a circa 80 mila euro lordi l'anno. Retribuzioni da favola, insomma, che non hanno uguali nell'universo del pubblico impiego e che si accompagnano a trattamenti pensionistici di assoluto favore perfettamente allineati, in tema di privilegi, ai criticatissimi vitalizi di deputati e senatori. Ma quanti sono questi fortunati dipendenti parlamentari? Quanto guadagnano esattamente? E attraverso quali meccanismi riescono ad ottenere trattamenti economici così favorevoli?

Stipendi d'oro I dipendenti di Camera e Senato (vengono assunti solo per concorso) sono in tutto 2.908, di cui 1.850 a Montecitorio e 1.058 a Palazzo Madama. I primi (dati dei bilanci 2006) costano complessivamente circa 370 milioni di euro, i secondi 198; molto di più di deputati (287) e senatori (133 milioni). Per ambedue i rami del Parlamento le voci che pesano di più nei capitoli di spesa per il personale sono gli stipendi e le pensioni. Per quanto riguarda le retribuzioni, la Camera sborsa ogni anno 210 milioni di euro a fronte dei 130 milioni del Senato. I costi delle pensioni assorbono invece 158 milioni nel bilancio di Montecitorio e 70 milioni a Palazzo Madama. La prima cosa che salta agli occhi, sia alla Camera che al Senato, sono le singolari regole di calcolo di stipendi e pensioni, regole tanto sorprendenti da trasformare i due palazzi in autentiche isole del privilegio. A fissarle, godendo le due strutture dell'autonomia amministrativa garantita agli organi costituzionali, sono stati in passato i due uffici di presidenza di Camera e Senato, composti dai rispettivi presidenti (i predecessori di Fausto Bertinotti e Franco Marini), i loro vice e tre parlamentari-questori.
Per quanto riguarda Montecitorio, i dipendenti sono distribuiti in sei categorie retributive. Da cosa sono costitute esattamente le retribuzioni? Dallo stipendio tabellare (paga base); dalla indennità integrativa speciale (la vecchia contingenza, bloccata al 1996) e da altre voci come gli assegni di anzianità che vengono elargiti nella misura del 10 per cento della paga tabellare al diciassettesimo e al ventitreesimo anno di servizio. Tutte voci che, insieme a una strana "indennità pensionabile, pari al 2,5 per cento delle competenze lorde annue dell'anno precedente", contribuiscono a dare uno straordinaro slancio agli stipendi.

Due commessi sistemano il microfono a
Fausto Bertinotti
Che hanno altre caratteristiche singolari: sono onnicomprensivi (sommano straordinari e lavoro notturno) e vengono pagati per 15 mensilità. Con un riconoscimento aggiuntivo per alcuni incarichi: al segretario generale e ai suoi vice, ai capi ufficio e a tutti coloro che hanno responsabilità di coordinamento, spetta anche un'indennità di funzione (tabella a pag. 51) che varia dagli oltre 46 mila euro lordi l'anno (pari a un netto di 2.206 al mese per 12 mensilità) spettanti al segretario generale Zampetti, ai 7.300 (346 euro netti al mese) assegnati al vice assistente superiore. Di assoluto favore anche le norme che regolano la progressione retributiva all'interno di ciascun fascia, scandita da scatti biennali che variano tra il 2,5 e il 5 per cento. Ma soprattutto dai balzi economici connessi ai passaggi di livello, riconosciuti dopo il superamento di periodiche verifiche di professionalità.

Per quanto riguarda le fasce retributive della Camera (tabella in alto), la prima è costituita dagli operatori tecnici. Ne fanno parte gli addetti alle officine, gli operai, i barbieri, gli autisti e gli inservienti della buvette. Costoro entrano nei ruoli con uno stipendio lordo annuo iniziale di 32 mila 483 euro per arrivare a riscuotere, con 35 anni di servizio, la bellezza di 133 mila 375 euro (pari a 8.675 euro lordi al mese). Davvero ragguardevole se si considera che le loro mansioni sono esclusivamente manuali. Nella seconda categoria sono inquadrati invece gli assistenti, i famosi commessi in divisa e gli addetti alla vigilanza, che iniziano con una paga annuale di 36 mila 876 euro e concludono la carriera con lo stesso stipendio degli operatori tecnici. Il terzo gradino retributivo è rappresentato dai collaboratori tecnici, il gotha del proletariato parlamentare: vi sono compresi gli ex operai che hanno spuntato una qualifica superiore per il fatto di svolgere mansioni più complesse, come quelle relative "alla gestione degli impianti di riscaldamento e condizionamento" del Palazzo: questa aristocrazia operaia inizia con uno stipendio lordo annuo di 32 mila 753 euro e corona la carriera con 152 mila 790 euro (al mese, 9.937 euro lordi). Più su nella scala ci sono i segretari che supportano il lavoro dei funzionari negli uffici e nelle commissioni: ricevono un compenso di oltre 37 mila euro l'anno all'ingresso e se ne vanno dopo 35 anni con oltre 156 mila euro lordi (10.164 euro mensili). Un tetto retributivo d'eccellenza, ma pur sempre modesto se si guarda a quello che avviene nei piani alti della nomenklatura di Montecitorio.

Spulciando il trattamento della fascia superiore, cioè dei dipendenti del cosidetto IV livello, quello dei documentaristi, tecnici e ragionieri (le loro mansioni prevedono"l'istruttoria di elaborati documentali e contabili e attività di ricerca"), ci si imbatte in un balzo prodigioso delle retribuzioni: entrano alla Camera con una paga di 41 mila 432 euro l'anno per andarsene, dopo 35 anni, con 237 mila 560 euro (15.451 euro mensili lordi). Che sono tanti, ma che impallidiscono a fronte dei compensi dei consiglieri parlamentari, il gradino più alto dell'ordinamento del personale di Montecitorio. Sono tutti laureati, svolgono funzioni di organizzazione e direzione amministrativa, oltre che di supporto giuridico-legale agli organi della Camera e ai suoi componenti. Vero che sono sottoposti a due verifiche di professionalità dopo tre e nove anni di servizio (devono tra l'altro "predisporre un eleborato relativo a temi attinenti all'esperienza professionale maturata"), ma i loro stipendi sono di assoluto riguardo: iniziano con una retribuzione annuale di oltre 68 mila euro lordi per toccare, con il massimo dell'anzianità, 356 mila 788 euro, pari a 23.206 euro lordi al mese.
E al Senato? Qui si trattano ancora meglio. Nessuno riesce a spiegarne il motivo, ma le paghe di Palazzo Madama (tabella a pag. 49), per funzioni più o meno analoghe a quelle del personale della Camera, sono da sempre più alte. Pressoché identiche le voci della retribuzione (stipendio tabellare, indennità integrativa speciale, eccetera), unica differenza è lo sviluppo su 36 anni della carriera invece che sui 35 di Montecitorio. Dopodiché è il solito assalto al cielo delle retribuzioni: gli assistenti parlamentari (svolgono mansioni di vigilanza, tecniche e manuali) arrivano a riscuotere oltre 141 mila euro lordi l'anno (pari a 5.222 euro netti mensili); icoadiutori (mansioni di segreteria e archivistica) 170 mila, per uno stipendio netto di 6.194 euro; i segretari parlamentari (istruiscono "eleaborati documentali, tecnici e contabilili che richiedono attività di ricerca e progettazione") superano i 227 mila (8.120 euro netti mensili); gli stenografi (resocontano le sedute e le riunioni degli organi del Senato) saltano a quasi 254 mila (al mese, 9.018 euro netti); mentre i consiglieri possono arrivare a riscuotere a fine carriera la stratosferica cifra di 368 mila euro lordi l'anno (per un mensile netto di 12.871), oltre 12 mila euro in più dei loro pari grado della Camera.

Una commessa parlamentare
porta l'urna per le votazioni in aula
I baby nababbi
A retribuzioni tanto ricche non potevano non corrispondere trattamenti pensionistici altrettanto privilegiati. Ma quale riforma Dini, ma quale scalone di Maroni, ma quale innalzamento a 58 anni dell'età pensionabile come predica Prodi. I dipendenti di Camera e Senato non hanno mai temuto tagli per i loro trattamenti. A Montecitorio e Palazzo Madama continuano a prosperare le pensioni-baby soppresse per tutti gli altri dipendenti pubblici: si lascia il lavoro anche a 50 anni e con modalità di calcolo dell'assegno straordinariamente vantaggiose.

Cominciamo dalla Camera. Qui, per la pensione di vecchiaia, a partire dal 2000 l'età necessaria è stata progressivamente elevata a 65 anni allineandola a quella richiesta a tutti gli altri lavoratori. Per quanto riguarda invece le pensioni di anzianità dei dipendenti in servizio fino al gennaio 2001 (per quelli arrivati dopo si sta discutendo un diverso inquadramento), la situazione si fa più favorevole: è vero che si richiedono 35 anni di contribuzione e 57 anni di età come per gli altri lavoratori dipendenti, ma aggrappandosi alle pieghe del regolamento si può andare a riposo ben prima (dal 1992 a oggi l'età media di pensionamento per anzianità è di 52,9). Avendo prestato almeno20 anni di servizio effettivo (il cosidetto scalpettìo), basta pagare una modesta penalizzazione pari al 2 per cento (il cosidetto décalage) per ogni anno mancante ai 57 e il gioco è fatto. Tenendo conto che nel calcolo della contribuzione vanno considerati anche i riscatti universitari, quelli per il servizio militare e soprattutto i due bienni contributivi generosamente concessi ai dipendenti in occasione dell'anniversario dell'Unità d'Italia e della presa di Porta Pia (dichiarati validi l'ultima volta nel '92 per i dipendenti in servizio dall'allora presidente della Camera Nilde Iotti) ecco che è possibile riscuotere la pensione anche a 50 anni . E con criteri di conteggio di sfacciato favore.

Al posto del sistema contributivo (pensione commisurata ai contributi effettivamente versati) introdotto a partire dal 1995 per il resto dell'universo lavorativo, alla Camera vige ancora un sistema rigorosamente retributivo: pensione commisurata all'ultimo stipendio riscosso. In quale percentuale? Sicuramente il 90 per cento delle competenze tabellari (gli altri lavoratori pubblici si devono accontentare di circa l'80 per cento). Con una ulteriore, graziosa concessione: la cosidetta clausola d'oro che, sebbene eliminata per i miglioramenti relativi allo stato giuridico del personale in carica, aggancia ancora le pensioni degli ex dipendenti agli altri adeguamenti spettanti ai pari grado in servizio.

Ancora più generoso il trattamento di quiescienza riservato ai dipendenti del Senato. A costoro, per andare in pensione, basta raggiungere un parametro denominato quota 109, dietro il quale non si nascondono certo difficoltose asperità, ma piuttosto facilitazioni tanto comode quanto ingiustificate. Cos'è esattamente questa quota? La somma dell'età anagrafica, degli anni di servizio effettivamente svolto, dell'anzianità contributiva che, anche a Palazzo Madama, comprende gli anni riscattati per la laurea, il servizio militare e due bienni figurativi elargiti in passato da vari presidenti del Senato. È proprio applicando questi criteri chequalsiasi dipendente di 53 anni (l'età minima fissata) può chiedere e ottenere l'agognata pensione. Per scalare la fatidica quota 109 gli è sufficente sommare al requisito dell'età 25 anni di servizio effettivo e 31 di contribuzione, facilmente raggiungibili grazie ai riscatti e ai bienni figurativi (non a caso a Palazzo Madama l'età media dei pensionati per anzianità dal '92 a oggi è di 54,8). Ma non è finita: utilizzando la contribuzione figurativa (tra riscatti e bienni, nove anni in tutto), quello stesso dipendente può ottenere la pensione anche a 50 anni con una irrisoria penalizzazione: l'1,5 per cento di riduzione del trattamento complessivo per ognuno dei tre anni mancanti ai 53. Ma nessuna paura: la riduzione non si applica nel caso in cui si possa contare su una anzianità superiore ai 35 anni. Con la solita, importante garanzia per il futuro: la sicurezza di non vedere mai svalutato l'agognato assegno come il resto dei lavoratori dipendenti. Anche al Senato infatti la clausola d'oro manifesta ancora i suoi magici effetti e, nonostante alcune limitazioni introdotte negli ultimi anni, adegua automaticamente le pensioni agli stipendi dei parigrado in servizio.
tratto da l'espresso

27 agosto 2007

11 9 : Mistero della Fede o ...un sogno ?


L'undici settembre è successo un evento che ha cambiato e, sta cambiando i nostri usi, costumi mentalità e libertà individuali.
Le ipotesi di complotto o casualità vengono pubblicate con "facilità" disarmante. Ognuno dice la sua e, aggiungo la mia.
Nel giugno del 2001 mi trovavo in una località sperduta dell'appennino toscano-romagnolo per un aggiornamento. Il posto, isolato è dire poco. Circa due ore di saliscendi per un gruppo di case dove elettricità e fonti elettromagnetiche non erano presenti. Pannelli fotovoltaici, un gruppo su una sorgente le uniche fonti
di energia visibili. Ebbene, in questo contesto, mi ricordo molto bene quello che una "medium" predisse. Davanti ad un gruppo di persone disinteressate all'argomento parlò di forze del bene e del male che si stanno scontrando e, a settembre di quest'anno (2001) ci sarà un evento che cambierà il nostro status, le nostre vite. Tale evento sarà il risultato delle forza del Male e, in base alla forza dell'evento dovremo preoccuparci. Questo evento traccerà un solco molto profondo tra passato e futuro.
Altre cose predisse ma, ho dimenticato molto presto. A distanza di anni ricordo l'evento con un centinaio di presenti da ogni parte d'Italia.
Sul web, invece le stranezze per coprire l'evento o dire che non è successo niente non mancano. Il caso delle American Airlines la più esposta con opzioni di vendita.
Un dubbio che nessuno ha ancora sciolto.
La pagina di Wikipedia in inglese dedicata all’American Airlines è stata modificata nella parte che riguarda i dirottamenti dell’11 settembre 2001.
Sentite un po’.

La versione originale (ultima revisione: 23 aprile 2006, ore 13.29) era la seguente (traduco):
“Due aerei della American Airlines vennero dirottati e si schiantarono nel corso degli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001: il volo American Airlines 77 (un Boeing 757) e il volo American Airlines 11 (un Boeing 767)”.

Per chi non lo ricordasse: il volo 77 era quello che, secondo la leggenda, si sarebbe schiantato sul Pentagono, mentre il volo 11 era l’aereo schiantatosi contro la Torre Nord del WTC.
Bene. La pagina di Wikipedia è stata modificata il 25 aprile 2006 e attualmente vi si legge:
“Due aerei della American Airlines vennero dirottati e si schiantarono nel corso degli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001: il volo American Airlines 77 (un Boeing 757) e il volo American Airlines 11 (un Boeing 767). Benché questi voli fossero partenze giornaliere prima dell’11 settembre 2001 e anche il mese successivo, tuttavia né il volo 11 né il volo 77 erano programmati per l’11 settembre 2001. I registri curati dal Bureau of Transportation Statistics (www.bts.gov/gis/) non elencano, per quel giorno, nessuno dei due voli”.
Capito? Gli aerei che si schiantarono contro il WTC e contro il Pentagono non erano in programma per l’11 settembre 2001 e secondo il BoTS non sono mai decollati. A questo punto sorge la legittima curiosità di chiedere ai curatori di Wikipedia – nonché al BoTS - che cosa, esattamente, abbia colpito, secondo loro, le torri e il Pentagono in quel giorno fatidico.
Si dirà che Wikipedia è un’enciclopedia “aperta” ed è tristemente nota per le manipolazioni incontrollate (o poco controllate) che chiunque può eseguire sulle sue voci.
Ma qui viene il bello.
Stando ad una ricerca eseguita dai curatori, la modifica in questione è stata effettuata dall’indirizzo IP 144.9.8.21, che è situato presso gli uffici della stessa American Airlines. Perché la AA ha eseguito queste modifiche? Davvero al Bureau of Transportation Statistics quei voli non risultano in programma per l’11 settembre? Ci siamo sognati tutto?

25 agosto 2007

Gli effetti "benefici" del crack finanziario


«Il bilancio militare di Israele è stato tagliato, in un solo colpo e improvvisamente, di un impressionante 10 per cento. La ragione: Washington ha comunicato a Gerusalemme che non avrebbe proceduto alla solita e attesa infusione di aiuti militari, perché lo zio Sam non ha soldi».
Così rende noto la rivista giudaica Forward, in una analisi dal titolo significativo: «I mutui e la questione ebraica» (15 agosto 2007).
E’ dunque lo stesso Forward a collegare una improvvisa crisi dell’onnipotenza bellica israeliana al crach tipo 1929 innescato dalla crisi dei mutui «subprime».
«C’è un piccolo angolo del mondo che è terrificato dalla debolezza dell’America», scrive testualmente.
La questione ha un lato ironico.
La «crisi dei mutui» e la conseguente «mancanza di liquidità» non indica solo il crepuscolo del sistema finanziario USA: prelude al naufragio dell’ultimo esperimento sociale imposto al mondo da uno speciale gruppo umano.
Come non si stanca di rilevare il candidato repubblicano Ron Paul, i neoconservatori ebraico-americani sono di formazione trozkisti: ossia tra gli artefici del grande e sanguinoso esperimento sociale che consistette nell’imporre l’ideologia «scientifica» del marxismo nel modo più dogmaticamente puro, senza scendere a compromessi con la realtà, e senza alcuna pietà per il suo costo umano.
La dottrina prima di tutto.
Fallito l’esperimento in ragione della sua stessa purezza di applicazione (l’essenza del marxismo «nemica dell’esistenza»: più rigorosamente viene applicata, più strangola la realtà sottostante), i trotzkisti hanno cambiato cavallo ideologico, ma con lo stesso furore dogmatico.
La nota lobby ha approfittato del temporaneo status di «unica superpotenza rimasta» degli Stati Uniti per imporre l’ideologia del liberismo «americano» con la stessa purezza ideologica: l’ideologia del «mercato» e del profitto allo stato chimicamente puro, ossia senza alcuna infusione di socialità pubblica né di solidarietà collettiva.

Lo riconosce a malincuore la stessa rivista Forward.
L’economia di purissimo mercato finanziario, ammette, non è un fatto naturale.
E’ stato reso possibile «in parte dalla deregulation del sistema bancario e finanziario, in parte dalle riforme fiscali» (gli enormi tagli alle tasse sulla ricchezza finanziaria) ad aver instaurato, con il declino «dell’economia basata sull’industria» in USA e in tutto l’Occidente, il nuovo sistema: consistente «nella impressionante crescita di servizi finanziari, ossia di prestare e indebitarsi per profitto, ormai la parte maggiore della nostra economia».
Ciò è visibile «nella incessante pubblicità che ci invita a indebitarci: con l’offerta di nuove carte di credito, di sempre più facili mutui, di rifinanziare i nostri debiti personali per riprendere a consumare. Le istituzioni finanziarie, sotto pressione continua a crescere, hanno continuamente abbassato le condizioni per il credito al consumo».
Fra le offerte, Forward cita la più rovinosa, non certo ignota ai debitori italiani: i mutui a tasso variabile.
«Presentati inizialmente come convenienti, basati sul denaro prestato a basso costo, essi promettevano futuri aumenti, un giorno o l’altro, in futuro. Quel giorno è arrivato».
Come il marxismo «scientifico», anche la teoria del monetarismo «scientifico» e senza compromessi ha una falla logica.
Come i trozkisti hanno sempre ignorato che l’esproprio della proprietà privata, la statalizzazione totale dei mezzi di produzione, tagliava alla radice la capacità e volontà di produrre così i monetaristi (a cominciare dal Nobel ed ebreo Milton Friedman, della Chicago School) hanno sempre ignorato il peso che il debito accumulava sull’economia reale.
Per i dottrinari, la quantità di debito è irrilevante, fintanto che il costo dell’indebitamento (tassi d’interesse) è basso.
Così, hanno creduto che non solo gli individui, ma la «sola superpotenza rimasta» potesse continuare a dominare il mondo producendo sempre meno e indebitandosi sempre più. Demandando alla Cina la fabbricazione di merci, e prendendo in prestito dalla Cina o soldi per comprare le merci cinesi.

Naturalmente il dogma sottovalutava l’effetto cumulativo degli interessi, basti dire questo: in USA, nel 1950, un dollaro di debito innescava 4 dollari di attività economica.
Nel 2000, un dollaro preso a prestito rendeva solo 20 centesimi.
Nel 2005, solo 10 centesimi.
Oggi, praticamente, più nulla, secondo i dati forniti da Paul Kasriel, direttore delle ricerche economiche della Northern Trust.
Gli interessi cumulati si mangiano il profitto, e anche lo slancio produttivo occidentale.
Come nel caso del comunismo, l’esperimento sociale del monetarismo globale sta fallendo, con seguito di miserie e sofferenze.
«In tutto il paese la famiglie scoprono che i loro mutui si gonfiano come palloni mentre i loro redditi declinano, dato che le fabbriche sono fuggite, e non possono più pagare. Le istituzioni di prestito si trovano così a corto di liquido, e non possono pagare i loro investitori. I fondi d’investimento basati sull’acquisto di debito (che prometteva grandi profitti, se i debitori pagavano) stanno cadendo nel vuoto. L’industria immobiliare, massimo motore della crescita USA, sta perdendo quota. L’economia rallenta. Il dollaro perciò si deprezza sui mercati mondiali. E così gli americani, i consumatori e lo Zio Sam stesso, possono comprare meno di prima».
«Ma il peggio, la bomba, è che i fondi esteri che hanno investito nel credito americano, specialmente nei mutui, stanno crollando. Due grandi banche tedesche hanno chiuso gli scambi a luglio per prevenire vendite da panico. Una delle maggiori banche francesi ha chiuso tre dei suoi fondi per lo stesso motivo. La banca centrale europea perciò ha iniettato 130 miliardi di dollari per sostenere le banche rimaste senza liquido, perché i loro investimenti americani n on rendono più nulla».
«Di conseguenza, gli investitori stranieri si liberano dei dollari. Ciò deprezza ulteriormente il dollaro. E soprattutto, aumenta il prezzo che il nostro governo - che ha preferito indebitarsi anziché tassare - deve pagare per fornirsi di denaro per le sue spese».

A cominciare dalle spese belliche: gli USA sono trasformati, per volontà degli ideologici trotzkisti neocon, da «welfare state» in «warfare state», lo stato della guerra permanente, della rivoluzione permanente per diffondere la «democrazia».
Tra queste spese belliche primeggiano gli «aiuti», almeno 3 miliardi di dollari l’anno, per il bellicismo insaziabile israeliano.
Ora, mancano i soldi persino per Giuda e il suo «regno» del terrore e della minaccia.
Finalmente un effetto collaterale benefico della grande crisi incombente.
E alquanto ironico.

Maurizio Blondet

19 agosto 2007

I furbetti delle Camere: il loro eldorado.



Fare il ragioniere alla Camera è affare certamente impegnativo. E non a caso ci vuole una laurea triennale per accedere al rango. Dall'alto di questa mansione si istruiscono le pratiche per i rimborsi elettorali dei partiti, si preparano le buste paga dei parlamentari, si cura l'amministrazione di Montecitorio. Giusto che si riceva uno stipendio adeguato alle responsabilità del mestiere. Ma fare il presidente della Repubblica, è certamente compito più delicato e importante per le sorti del Paese. E il trattamento economico, soprattutto in tempi nei quali si predica tanto la meritocrazia, dovrebbe tenerne conto. Cosa dicono invece le buste paga degli interessati? Che con i suoi 237 mila 560 euro lordi annui (rivalutati ogni 12 mesi) maturati dopo 35 anni di servizio, il ragioniere di Montecitorio guadagna quasi 20 mila euro in più del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il cui appannaggio, congelato ai valore del 1999 per le difficoltà dei conti pubblici, è fermo a 218 mila euro lordi l'anno. E come non restare ammirati di fronte agli stenografi del Senato? Sono 60 in tutto e compilano i resoconti dei lavori dell'aula e delle varie commissioni. Svolgono un lavoro ormai in estinzione per via delle nuove tecnologie, ma all'apice della carriera arrivano a guadagnare 253 mila 700 euro lordi l'anno. Molto di più non solo del presidente Napolitano, ma anche del capo del governo Romano Prodi che, tra indennità parlamentare (145 mila 626 euro), stipendio da premier (54 mila 710) e indennità di funzione (11 mila 622), arriva a 212 mila euro lordi l'anno. E di ministri titolati come Massimo D'Alema (Esteri), che riscuote 189 mila 847 euro, e Tommaso Padoa-Schioppa (Economia), che ogni anno incassa 203 mila 394 euro lordi (è la paga dei ministri non parlamentari). Tutti abbondantemente distanziati dallo stenografo e dal ragioniere e addirittura umiliati al cospetto dei compensi dei segretari generali di Senato e Camera, Antonio Malaschini e Ugo Zampetti, che a fine anno arriveranno a incassare rispettivamente 485 mila e 483 mila euro lordi.


Ecco le sorprese che spuntano esaminando i dati sul trattamento economico dei dipendenti di Camera e Senato. E non sono le sole: barbieri ('operatori tecnici') che possono arrivare a guadagnare oltre 133 mila euro lordi l'anno a fronte dei circa 98 mila di un magistrato d'appello con 13 anni di anzianità. E collaboratori tecnici operai che dall'alto dei loro 152 mila euro se la ridono dei professori universitari ordinari a tempo pieno inchiodati, dopo vari anni di carriera, a circa 80 mila euro lordi l'anno. Retribuzioni da favola, insomma, che non hanno uguali nell'universo del pubblico impiego e che si accompagnano a trattamenti pensionistici di assoluto favore perfettamente allineati, in tema di privilegi, ai criticatissimi vitalizi di deputati e senatori. Ma quanti sono questi fortunati dipendenti parlamentari? Quanto guadagnano esattamente? E attraverso quali meccanismi riescono ad ottenere trattamenti economici così favorevoli?

Stipendi d'oro I dipendenti di Camera e Senato (vengono assunti solo per concorso) sono in tutto 2.908, di cui 1.850 a Montecitorio e 1.058 a Palazzo Madama. I primi (dati dei bilanci 2006) costano complessivamente circa 370 milioni di euro, i secondi 198; molto di più di deputati (287) e senatori (133 milioni). Per ambedue i rami del Parlamento le voci che pesano di più nei capitoli di spesa per il personale sono gli stipendi e le pensioni. Per quanto riguarda le retribuzioni, la Camera sborsa ogni anno 210 milioni di euro a fronte dei 130 milioni del Senato. I costi delle pensioni assorbono invece 158 milioni nel bilancio di Montecitorio e 70 milioni a Palazzo Madama. La prima cosa che salta agli occhi, sia alla Camera che al Senato, sono le singolari regole di calcolo di stipendi e pensioni, regole tanto sorprendenti da trasformare i due palazzi in autentiche isole del privilegio. A fissarle, godendo le due strutture dell'autonomia amministrativa garantita agli organi costituzionali, sono stati in passato i due uffici di presidenza di Camera e Senato, composti dai rispettivi presidenti (i predecessori di Fausto Bertinotti e Franco Marini), i loro vice e tre parlamentari-questori.
Per quanto riguarda Montecitorio, i dipendenti sono distribuiti in sei categorie retributive. Da cosa sono costitute esattamente le retribuzioni? Dallo stipendio tabellare (paga base); dalla indennità integrativa speciale (la vecchia contingenza, bloccata al 1996) e da altre voci come gli assegni di anzianità che vengono elargiti nella misura del 10 per cento della paga tabellare al diciassettesimo e al ventitreesimo anno di servizio. Tutte voci che, insieme a una strana "indennità pensionabile, pari al 2,5 per cento delle competenze lorde annue dell'anno precedente", contribuiscono a dare uno straordinaro slancio agli stipendi.

Due commessi sistemano il microfono a
Fausto Bertinotti
Che hanno altre caratteristiche singolari: sono onnicomprensivi (sommano straordinari e lavoro notturno) e vengono pagati per 15 mensilità. Con un riconoscimento aggiuntivo per alcuni incarichi: al segretario generale e ai suoi vice, ai capi ufficio e a tutti coloro che hanno responsabilità di coordinamento, spetta anche un'indennità di funzione (tabella a pag. 51) che varia dagli oltre 46 mila euro lordi l'anno (pari a un netto di 2.206 al mese per 12 mensilità) spettanti al segretario generale Zampetti, ai 7.300 (346 euro netti al mese) assegnati al vice assistente superiore. Di assoluto favore anche le norme che regolano la progressione retributiva all'interno di ciascun fascia, scandita da scatti biennali che variano tra il 2,5 e il 5 per cento. Ma soprattutto dai balzi economici connessi ai passaggi di livello, riconosciuti dopo il superamento di periodiche verifiche di professionalità.

Per quanto riguarda le fasce retributive della Camera (tabella in alto), la prima è costituita dagli operatori tecnici. Ne fanno parte gli addetti alle officine, gli operai, i barbieri, gli autisti e gli inservienti della buvette. Costoro entrano nei ruoli con uno stipendio lordo annuo iniziale di 32 mila 483 euro per arrivare a riscuotere, con 35 anni di servizio, la bellezza di 133 mila 375 euro (pari a 8.675 euro lordi al mese). Davvero ragguardevole se si considera che le loro mansioni sono esclusivamente manuali. Nella seconda categoria sono inquadrati invece gli assistenti, i famosi commessi in divisa e gli addetti alla vigilanza, che iniziano con una paga annuale di 36 mila 876 euro e concludono la carriera con lo stesso stipendio degli operatori tecnici. Il terzo gradino retributivo è rappresentato dai collaboratori tecnici, il gotha del proletariato parlamentare: vi sono compresi gli ex operai che hanno spuntato una qualifica superiore per il fatto di svolgere mansioni più complesse, come quelle relative "alla gestione degli impianti di riscaldamento e condizionamento" del Palazzo: questa aristocrazia operaia inizia con uno stipendio lordo annuo di 32 mila 753 euro e corona la carriera con 152 mila 790 euro (al mese, 9.937 euro lordi). Più su nella scala ci sono i segretari che supportano il lavoro dei funzionari negli uffici e nelle commissioni: ricevono un compenso di oltre 37 mila euro l'anno all'ingresso e se ne vanno dopo 35 anni con oltre 156 mila euro lordi (10.164 euro mensili). Un tetto retributivo d'eccellenza, ma pur sempre modesto se si guarda a quello che avviene nei piani alti della nomenklatura di Montecitorio.

Spulciando il trattamento della fascia superiore, cioè dei dipendenti del cosidetto IV livello, quello dei documentaristi, tecnici e ragionieri (le loro mansioni prevedono"l'istruttoria di elaborati documentali e contabili e attività di ricerca"), ci si imbatte in un balzo prodigioso delle retribuzioni: entrano alla Camera con una paga di 41 mila 432 euro l'anno per andarsene, dopo 35 anni, con 237 mila 560 euro (15.451 euro mensili lordi). Che sono tanti, ma che impallidiscono a fronte dei compensi dei consiglieri parlamentari, il gradino più alto dell'ordinamento del personale di Montecitorio. Sono tutti laureati, svolgono funzioni di organizzazione e direzione amministrativa, oltre che di supporto giuridico-legale agli organi della Camera e ai suoi componenti. Vero che sono sottoposti a due verifiche di professionalità dopo tre e nove anni di servizio (devono tra l'altro "predisporre un eleborato relativo a temi attinenti all'esperienza professionale maturata"), ma i loro stipendi sono di assoluto riguardo: iniziano con una retribuzione annuale di oltre 68 mila euro lordi per toccare, con il massimo dell'anzianità, 356 mila 788 euro, pari a 23.206 euro lordi al mese.
E al Senato? Qui si trattano ancora meglio. Nessuno riesce a spiegarne il motivo, ma le paghe di Palazzo Madama (tabella a pag. 49), per funzioni più o meno analoghe a quelle del personale della Camera, sono da sempre più alte. Pressoché identiche le voci della retribuzione (stipendio tabellare, indennità integrativa speciale, eccetera), unica differenza è lo sviluppo su 36 anni della carriera invece che sui 35 di Montecitorio. Dopodiché è il solito assalto al cielo delle retribuzioni: gli assistenti parlamentari (svolgono mansioni di vigilanza, tecniche e manuali) arrivano a riscuotere oltre 141 mila euro lordi l'anno (pari a 5.222 euro netti mensili); icoadiutori (mansioni di segreteria e archivistica) 170 mila, per uno stipendio netto di 6.194 euro; i segretari parlamentari (istruiscono "eleaborati documentali, tecnici e contabilili che richiedono attività di ricerca e progettazione") superano i 227 mila (8.120 euro netti mensili); gli stenografi (resocontano le sedute e le riunioni degli organi del Senato) saltano a quasi 254 mila (al mese, 9.018 euro netti); mentre i consiglieri possono arrivare a riscuotere a fine carriera la stratosferica cifra di 368 mila euro lordi l'anno (per un mensile netto di 12.871), oltre 12 mila euro in più dei loro pari grado della Camera.

Una commessa parlamentare
porta l'urna per le votazioni in aula
I baby nababbi
A retribuzioni tanto ricche non potevano non corrispondere trattamenti pensionistici altrettanto privilegiati. Ma quale riforma Dini, ma quale scalone di Maroni, ma quale innalzamento a 58 anni dell'età pensionabile come predica Prodi. I dipendenti di Camera e Senato non hanno mai temuto tagli per i loro trattamenti. A Montecitorio e Palazzo Madama continuano a prosperare le pensioni-baby soppresse per tutti gli altri dipendenti pubblici: si lascia il lavoro anche a 50 anni e con modalità di calcolo dell'assegno straordinariamente vantaggiose.

Cominciamo dalla Camera. Qui, per la pensione di vecchiaia, a partire dal 2000 l'età necessaria è stata progressivamente elevata a 65 anni allineandola a quella richiesta a tutti gli altri lavoratori. Per quanto riguarda invece le pensioni di anzianità dei dipendenti in servizio fino al gennaio 2001 (per quelli arrivati dopo si sta discutendo un diverso inquadramento), la situazione si fa più favorevole: è vero che si richiedono 35 anni di contribuzione e 57 anni di età come per gli altri lavoratori dipendenti, ma aggrappandosi alle pieghe del regolamento si può andare a riposo ben prima (dal 1992 a oggi l'età media di pensionamento per anzianità è di 52,9). Avendo prestato almeno20 anni di servizio effettivo (il cosidetto scalpettìo), basta pagare una modesta penalizzazione pari al 2 per cento (il cosidetto décalage) per ogni anno mancante ai 57 e il gioco è fatto. Tenendo conto che nel calcolo della contribuzione vanno considerati anche i riscatti universitari, quelli per il servizio militare e soprattutto i due bienni contributivi generosamente concessi ai dipendenti in occasione dell'anniversario dell'Unità d'Italia e della presa di Porta Pia (dichiarati validi l'ultima volta nel '92 per i dipendenti in servizio dall'allora presidente della Camera Nilde Iotti) ecco che è possibile riscuotere la pensione anche a 50 anni . E con criteri di conteggio di sfacciato favore.

Al posto del sistema contributivo (pensione commisurata ai contributi effettivamente versati) introdotto a partire dal 1995 per il resto dell'universo lavorativo, alla Camera vige ancora un sistema rigorosamente retributivo: pensione commisurata all'ultimo stipendio riscosso. In quale percentuale? Sicuramente il 90 per cento delle competenze tabellari (gli altri lavoratori pubblici si devono accontentare di circa l'80 per cento). Con una ulteriore, graziosa concessione: la cosidetta clausola d'oro che, sebbene eliminata per i miglioramenti relativi allo stato giuridico del personale in carica, aggancia ancora le pensioni degli ex dipendenti agli altri adeguamenti spettanti ai pari grado in servizio.

Ancora più generoso il trattamento di quiescienza riservato ai dipendenti del Senato. A costoro, per andare in pensione, basta raggiungere un parametro denominato quota 109, dietro il quale non si nascondono certo difficoltose asperità, ma piuttosto facilitazioni tanto comode quanto ingiustificate. Cos'è esattamente questa quota? La somma dell'età anagrafica, degli anni di servizio effettivamente svolto, dell'anzianità contributiva che, anche a Palazzo Madama, comprende gli anni riscattati per la laurea, il servizio militare e due bienni figurativi elargiti in passato da vari presidenti del Senato. È proprio applicando questi criteri chequalsiasi dipendente di 53 anni (l'età minima fissata) può chiedere e ottenere l'agognata pensione. Per scalare la fatidica quota 109 gli è sufficente sommare al requisito dell'età 25 anni di servizio effettivo e 31 di contribuzione, facilmente raggiungibili grazie ai riscatti e ai bienni figurativi (non a caso a Palazzo Madama l'età media dei pensionati per anzianità dal '92 a oggi è di 54,8). Ma non è finita: utilizzando la contribuzione figurativa (tra riscatti e bienni, nove anni in tutto), quello stesso dipendente può ottenere la pensione anche a 50 anni con una irrisoria penalizzazione: l'1,5 per cento di riduzione del trattamento complessivo per ognuno dei tre anni mancanti ai 53. Ma nessuna paura: la riduzione non si applica nel caso in cui si possa contare su una anzianità superiore ai 35 anni. Con la solita, importante garanzia per il futuro: la sicurezza di non vedere mai svalutato l'agognato assegno come il resto dei lavoratori dipendenti. Anche al Senato infatti la clausola d'oro manifesta ancora i suoi magici effetti e, nonostante alcune limitazioni introdotte negli ultimi anni, adegua automaticamente le pensioni agli stipendi dei parigrado in servizio.
tratto da l'espresso