
Si parla spesso di Antipolitica come di una cosa qualunquista o distante dai palazzi della democrazia, ma è veramente così?
Si può ricordare che la protesta fiscale è il germe da cui sono nate le democrazie (il saccheggio del thè inglese in America fu una rivolta fiscale), e la rivolta contro le classi parassitarie il fondamento delle repubbliche, a cominciare dalla francese: dunque è «politica» al più alto grado, o se vogliamo al grado più elementare e fondamentale.
E' il popolo che chiede conto ai suoi governanti divenuti sfruttatori costosi e parassiti inutili.
La rivoluzione francese fu l'eliminazione di una casta dominante che, sempre più costosa, aveva da tempo superato la sua utilità sociale, la difesa del suolo, compito della nobiltà medievale.
Veneziani, correggendosi e dando ragione a Stella, ha detto allora la cosa giustissima: la classe politica italiana governa sempre meno, perché le decisioni vere e gravi sono prese sopra la sua testa da entità sovrannazionali e oligarchiche (dalla UE al Fondo Monetario, dal WTO all'ONU), a cui ha ceduto la sovranità ricevuta dal popolo, e questo spiega l'esasperazione popolare verso i suoi lussi.
Infatti è questo il tema centrale della «politica», oggi.
L'esproprio della democrazia da parte di oligarchie e parassiti.
Una classe politica che governa sempre meno ma costa sempre di più, che non gestisce quasi più nulla ma si paga privilegi sempre più gravosi per la popolazione contribuente, è la definizione stessa di «classe parassitaria».
La stessa che si applicò, nel 1789, all'aristocrazia francese che viveva tra sfarzi e balli a Versailles, dimentica dei suoi compiti antichi.
La società italiana lo sente, e protesta; ma la sua protesta è inarticolata, perché non è riflessiva, e gli intellettuali non prestano ad essa la parola.
Ma oggi, la domanda deve essere più articolata.
Versailles era un centro di spesa unico e solitario.
Oggi, i centri della cosiddetta «democrazia» inadempiente sono prodigiosamente moltiplicati: Stato, regioni, province, consigli di zona (i cui presidenti a Milano già prendono 2 mila euro mensili), consigli di amministrazione, enti autonomi, consulenze, comunità montane (spesso sulle spiagge)… com'è accaduto che una classe politica che gestisce poco o nulla, abbia moltiplicato a tal punto gli strati di decisione «politica», asseritamente «democratica»?
Ovviamente, tutti vedono - anche se nessuno ne parla - che questa proliferazione cancerosa di strati «democratici» non rafforza affatto la democrazia, ma la ammala e falsifica.
I problemi di una quartiere urbano hanno davvero bisogno di un «consiglio» politico, ossia di un luogo dove la decisione è presa da un micro-parlamento in cui sono rappresentate maggioranza e opposizione?
Per rispondere, bisognerebbe aver chiaro a che cosa serve la politica nelle repubbliche.
Serve a decidere su grandi problemi la cui natura è «opinabile», ossia soggetta a discussione.
La Regione è più lontana ai cittadini dello Stato.
Di questo, i giornali nazionali parlano, bene o male è sotto l'occhio dell'opinione pubblica (anche se i «politici» fanno tutto per affumicare la «casa di vetro»): proprio la visibilità della politica di Stato è uno degli argomenti a favore della ri-centralizzazione.
Di ciò che si fa in Regione, pochissimo sanno.
Le Regioni sono un colossale moltiplicato centro di clientelismo e costi indebiti.
Lo ripeto: sono un fallimento.
Lo devo ripetere perché - fatto singolare - nessuno lo dice.
Non i politici (e si capisce: 12 mila euro mensili ai consiglieri regionali, autoblù agli assessori, miliardi di consulenze agli amichetti di parte, sinecure ai trombati), ma nemmeno gli intellettuali, i giornalisti, i giuristi.
Pare che le Regioni siano un sacro tabù.
L'argomento retorico è che si è portata la «democrazia», o «la partecipazione», più vicina ai cittadini.
E' falsissimo dogma della sinistra ideologica.
L'antipolitica non è la rabbia contro i miliardari pubblici; l'antipolitica è quello che fanno lorsignori.
E la loro incapacità di auto-riformarsi, di rinunciare ai loro privilegi come fece l'aristocrazia francese - in ritardo fatale - alla Pallacorda.
Cova la rivoluzione anche da noi?
Gli antipolitici che noi paghiamo sempre di più, coi nostri salari sempre più piccoli, perché si godano le loro Versailles e discutano di «alleanze» e simili coglionate a Telese.
A Telese!
Già questo dice lo stato della «democrazia»: il feudo del capataz Mastella diventa il palco della «politica nazionale».
Ma almeno, sempre meno gente si scappella quando i capataz passano, come facevano i contadini di sua maestà; e invece, sempre più gente rumoreggia, li minaccia col pugno, li vuole morti o appesi a Loreto.
Non è già un segno politico, questo?
Io credo di sì.
Un segnale importante, minaccioso.
Il popolo vuole di nuovo far paura ai suoi sfruttatori.
«El pueblo unido», come dicono a sinistra certi marpioni del Manifesto, che quando il popolo si unisce trovano da ridire spocchiosi e snob.
Il popolo è stufo dei parassiti: il momento è storico, guevaristi da superattico: non vi perdete almeno questa rivoluzione possibile.
fonte Maurizio Blondet