24 ottobre 2007

Torta a torta



A Porta a Porta, si cucinavano torte e altri dolciumi. La puntata, inaspettatamente, non riguardava Cogne, né Garlasco, né Rignano, ma il caro-vita. Insieme al fornaio e al panettiere, ne discutevano Lorena Bianchetti e altri squisiti ospiti. Ieri Bruno Vespa si è recato in Vigilanza per raccogliere gli applausi degli uomini dei partiti, che nei giorni scorsi avevano tentato di processare Michele Santoro per aver raccontato una storia vera, cioè il caso De Magistris, anzi Mastella. Solo Beppe Giulietti si é astenuto dalla simpatica cerimonia, tutta inchini e riverenze, quadriglie e minuetti tra l’insetto e i suoi “editori di riferimento”, come ebbe a definirli ai tempi d’oro della Dc di Forlani e Andreotti.

Come già Mastella collegato dal Columbus Day, anche il presidente Mario Landolfi - che passò un bigliettino a Gad Lerner per segnalare una sua protetta al neodirettore del Tg1 - si è molto complimentato per la proverbiale imparzialità e il leggendario pluralismo di cui è campione l’insetto. Da quando, nel 1969, annunciò dalla questura di Milano che Pietro Valpreda era il mostro di Piazza Fontana. “Se tutte le trasmissioni fossero come Porta a Porta - ha flautato Landolfi - la Vigilanza potrebbe abbassare la saracinesca”.

Poi è intervenuto il suo vice, il margherito Giorgio Merlo, entusiasta per la visita dell’insetto che “ha confermato come la salvaguardia del pluralismo e il rigoroso rispetto delle regole rappresentano (il congiuntivo non è il suo forte, ndr) i postulati essenziali per i conduttori del servizio pubblico... a prescindere dalle solidarietà corporative e sindacali nei confronti dei vari conduttori”. Allusione agli interventi dei sindacati della stampa a difesa di Floris e Santoro.

Poi ha parlato Vespa: “Preferisco che gli interlocutori siate voi”, ha detto ai suoi santi protettori, “tremo all’idea che il Tg1 debba essere portatore di interessi altrui” cioè, eventualmente, dei cittadini L’importante è che continuino a comandare i partiti, altrimenti 4 sere a settimana se le scorda. Poi ha confidato di scegliere “i temi sull’attualità quando sono caldi”: un po’ come le torte sfornate l’altra sera dai cuochi di redazione, che avevano rimpiazzato il plastico della villetta di Cogne e la bicicletta di Garlasco con un grande forno a microonde. Naturalmente, ha sottolineato, “non ho mai avuto condizionamenti né dall’azienda né dalla politica”: infatti obbedisce da solo, prima che arrivino gli ordini. Due le sue stelle polari: “ferreo controllo delle notizie che diamo” e “assoluto equilibrio dei servizi”.

Qualcuno minimamente informato - non è il caso della commissione di Vigilanza - avrebbe potuto domandare a chi avesse affidato il controllo ferreo della notizia (falsa) dell’assoluzione definitiva di Andreotti: a un cuoco? Qualcun altro potrebbe ricordare quando Vespa lesse una mail anonima che “testimoniava” l’innocenza degli agenti arrestati a Napoli per le violenze contro i no-global, e domandare se l’avesse fatta controllare da un pasticciere.

Quando poi ha sostenuto di aver “vinto tutte le cause in 10 anni”, qualcuno con un minimo di memoria avrebbe potuto rammentargli i 260 milioni pagati dalla Rai a Scattone e Ferraro (gli assassini di Marta Russo) per un’intervista esclusiva al Tg1 e una a Porta a Porta nel giugno ’99: la famiglia Russo fece causa, visto che i due non avevano pagato i danni a cui erano stati condannati, e scopri che il “servizio pubblico” diretto da Agostino Saccà aveva appoggiato il versamento sul conto di un prestanome per aggirare il blocco dei beni disposto dal tribunale; la Rai, per uscire dalla causa dovette sborsare altri 200 milioni.

L’anno scorso Vespa è stato condannato a pagare 82 mila euro a Roberto Zaccaria per aver inventato - in un libro Rai-Eri - un complotto dell’allora presidente Rai contro Berlusconi con Biagi, Luttazzi e Santoro. Tutte balle. Ieri l’insetto ha molto lacrimato per la serata che dovrà cedere a Benigni.

In effetti, 3 sere sono poche. Perché non dargli anche venerdì, sabato e domenica?

Marco Travaglio


23 ottobre 2007

L’impero del meno male: La decrescita


Mi convinco sempre sempre di più che la sinistra abbia sottovalutato la forza del liberismo e la sua forza anche nella sinistra stessa. Soprattutto ha sottovalutato il fatto che il mito della crescita ha un posto centrale sia nel dispositivo del liberalismo che in quello del capitalismo. Su questo punto dobbiamo dire che purtroppo Marx si è sbagliato. Ha pensato che fosse possibile, sostituire all’«accumulazione» cattiva del capitale [accumulazione è il nome marxista della crescita], quella buona di un altro sistema. Questo non è vero, l’accumulazione del capitale è sempre legata all’economia di mercato. Da questo punto di vista, i cosiddetti socialisti utopisti, come per esempio William Morris di «News from Nowhere», avevano capito meglio di Marx il carattere perverso della crescita, il fatto che essa sia legata al sistema termoindustriale, e quindi ai rapporti capitalistici. Oggi dobbiamo fare i conti con questa eredità.

Uno scienziato francese, Hubert Reeves, molti anni fa raccontava questa favola. Un giorno un vecchio pianeta nelle sue divagazioni incontra la Terra che non aveva visto da alcuni milioni di anni. Allora dice: «Come stai?». La Terra risponde: «Non mi sento molto bene, credo di avere una malattia mortale». «E come si chiama questa malattia?». «Si chiama umanità». «Ah – conclude il vecchio pianeta –, anch’io l’avevo presa alcuni milioni di anni fa. Ma guarisce da sola, si autodistrugge».

E’ vero che oggi sembra che l’umanità rischia di sparire. Abbiamo molti segnali che lo confermano quasi ogni giorno. Sappiamo che stiamo vivendo la sesta estinzione delle specie, la quinta è quella che ha avuto luogo 65 milioni di anni fa, quella che ha visto sparire i dinosauri. Solo che ci sono tre differenze tra la quinta e la sesta: questa è organizzata dall’uomo e procede a una velocità terrificante. Per fortuna la natura ha una vitalità straordinaria e una capacità di adattarsi sorprendente, ma quando i cambiamenti sono così veloci è impossibile per la natura adattarsi.
Un’altra importante differenza è che anche l’umanità potrebbe essere la vittima di questa sesta estinzione. Lo sarà sicuramente se non facciamo niente.

La scommessa della decrescita è diversa. Non pensiamo che l’umanità sia una specie votata al suicidio, o che non ci sia speranza. Pensiamo infatti che il suicidio faccia parte dell’essenza della società della crescita, ma non di tutte le società umane. Che la nostra società, la società moderna, sia candidata al suicidio ma non l’umanità in quanto tale. La decrescita scommette che sia possibile salvare l’umanità, ma solo a condizione di uscire dal paradigma della modernità, della società della crescita.
Che cos’é quindi una società come la nostra? È una società che ha per unico fine la crescita senza limiti. È un’idea assurda per questa idea si deve consumare sempre di più, produrre ancora di più rifiuti e profitti. Per promuovere questa idea ci sono tre grandi strumenti: la pubblicità che ci invita sempre a consumare cose di cui non abbiamo veramente bisogno; l’obsolescenza programmata e il credito.

La scommessa della decrescita è l’umanità possa fare una rivoluzione culturale, uscire dalla società di crescita, di deglobalizzarsi e ritrovare il locale, di uscire dal capitalismo e quindi dall’accumulazione illimitata, sotto l’impulso di due forze, una forza positiva e una forza negativa.
La forza positiva è l’aspirazione all’ideale che vivremmo meglio se vivessimo in un altro modo. Questa è la grande lezione del mio maestro Ivan Illich, che per quarant’anni ha predicato nel deserto. Invece di prendere come slogan, come fa il governo francese attuale, «lavorare di più per guadagnare di più» diceva «lavorare di meno per vivere meglio». Di sicuro lavorando meno si produrrebbe meno o si distruggerebbe meno il pianeta e avremmo più tempo per godere della vita, per ritrovare il senso della vita. Forse meno ricchezze in termini di prodotto interno lordo ma più ricchezze in termini di vita, di ricerca del piacere e della felicità. E consumare meglio è possibile.

Il grande, uno dei grandi precursori della decrescita, che recentemente è morto in Francia, l’amico André Gorz, negli anni ’70 e ‘80 aveva descritto degli scenari per dimostrare come era possibile allo stesso tempo ridurre il tempo di lavoro, diminuire la disoccupazione e aumentare la felicità.
Oggi siamo tossicodipendenti di consumismo. Lo siamo tutti. E allora dobbiamo intraprendere una terapia, dobbiamo liberarci da questa dipendenza, ma non è facile. Naturalmente l’aspirazione a un’ideale, a un mondo più giusto, a un mondo più sostenibile ha un ruolo importante ma non basterà. Questo è il motore positivo. Il motore negativo invece è la pedagogia delle catastrofi. È per questo che paradossalmente sono molto ottimista, perché sono certo che ci saranno catastrofi.

Il progetto di costruire una società della decrescita dunque è un’utopia, un’utopia nel senso concreto e positivo della parola che è un altro mondo possibile. Ho proposto di realizzare questo progetto attraverso uno schema delle otto «R»: Rivalutare, Riconcettualizzare, Ristrutturare, Ridistribuire, Rilocalizzare, Ridurre, Riutilizzare, Riciclare. Ogni volta che faccio una conferenza c’é qualcuno nella sala che mi dice: «Lei ha dimenticato una R molto importante, si deve anche reinventare la democrazia». Un altro mi dice: «Si deve ri-cittadinare». Il concorso è aperto, si possono aggiungere molte altre R.

Questa proposta non é un programma politico perché non sono un politico, sono uno scienziato, un intellettuale, non è il mio lavoro fare un programma politico. Ma è un progetto politico, l’utopia di una società autonoma. Il progetto della decrescita non è nuovo, la cosa nuova è che la parola decrescita parla all’immaginario. Questo ‘de’ crea un colpo, come è possibile rimettere in questione il fondamento della nostra società, di tutto il nostro mondo. E allora questo crea una reazione molto forte. Alcuni che avevano dubbi sul nostro mondo, sulla società, dicono: “Sì, bastava pensarci, ha ragione, abbiamo trovato alla fine la cosa importante”. E altri dicono “Ma è impossibile. Come parlare di decrescita?”. Se non parliamo di decrescita andiamo verso la catastrofe e l’apocalisse.

Ora vorrei in alcune parole spiegare come opporre l’utopia concreta alla altra grande utopia dell’occidente che è il liberismo. Il liberismo è anche un grande progetto, un progetto che ha strutturato l’occidente per secoli. Dobbiamo prendere coscienza che in questo progetto la cosa più importante è il mito della crescita. Nella sinistra c’è la tentazione di separare il liberalismo buono dal liberismo cattivo. Fondamentalmente, però, sono come dottor Jekyll e mister Hide, due facce della medesima medaglia, strettamente legate anche se diverse.
E’ un progetto fantastico, il liberismo, nato nel medioevo in reazione all’orrore per le guerre, soprattutto quelle civili. E’ un progetto grandioso, il liberismo, e precisamente è l’utopia di una società autonoma. Una società autonoma che si basa sull’individualismo, sull’emancipazione dell’umanità, sul progetto della modernità, della liberazione dalla trascendenza, dalla tradizione, della religione e dalla gerarchia.
Il problema di questo progetto è nelle sue aporie: l’aporia della libertà è la libertà di sfruttare gli altri. L’individualismo è un progetto autodistruttivo e l’uguaglianza ancora di più. L’uguaglianza assoluta è impossibile perché per natura non siamo uguali, quindi la strada che il liberismo ha trovato, soprattutto attraverso il suo aspetto economico, è di reinventare un’eteronomia che permette il funzionamento della società moderna: l’eteronomia della mano invisibile.

Se c’é la mano invisibile allora nessuno può rimpiangere della sua povertà, nessuno è responsabile delle disuguaglianze, sono le leggi del mercato. Basta leggerlo su tutti i giornali: se i popoli del sud sono più poveri la colpa, in fondo, è loro. Non è colpa più delle grandi imprese o dei governi, è la legge del mercato, la stessa legge per tutti. Una legge che funziona benissimo e che funziona perfino meglio se c’é la continua fuga in avanti della crescita infinita. Che ha come corollario l’idea che se l’uguaglianza non è realizzata oggi, almeno domani le disuguaglianze saranno minori. Se oggi non possiamo comprare l’ultimo modello di automobile, certamente potremo farlo domani, grazie alla crescita.
Questo meccanismo ha funzionato per tanti anni gloriosi tra il 1945 e il 1975. E’ vero che gli operai hanno potuto comprare una macchina, un frigorifero. E’ vero che le cose che prima erano riservate ai ricchi sono diventate delle comuni. Questo permette alla società liberista di funzionare.

Un amico, un filosofo, ha scritto recentemente un bel libro che si intitola «L’impero del meno male». Sono riusciti a creare, con il liberismo e la crescita, l’impero del meno male, ma oggi questo non basta più. Perché il problema è che oggi ci si confronta con l’autodistruzione sociale perché l’ingiustizia, aporia strutturale di questo stesso meccanismo, è diventata senza limite.
SERGE LATOUCHE

Le nuove SS: Blackwater


Nel corso della conferenza stampa data il 3 ottobre a Baghdad, il Primo ministro iracheno Nuri Al-Maliki ha affermato che le prove contro Blackwater sono così abbondanti che la nota società di mercenari “non è idonea” a continuare ad operare in Iraq, paese in cui vanta contratti per la sicurezza nell'ordine delle centinaia di milioni di dollari. Maliki ha parlato dopo che l'on. Henry Waxman aveva rilasciato al Congresso USA un documento di 15 cartelle che riferisce di oltre 200 sparatorie della Blackwater contro civili iracheni, in cui i mercenari hanno aperto il fuoco senza essere seriamente provocati. Dopo il più noto di questi incidenti verificatosi il 16 settembre, in cui rimasero vittima, a seconda delle versioni, dagli 11 ai 20 civili inermi, Al-Maliki mise subito al bando Blackwater, ma dovette poi concedere un differimento del foglio di via per attendere il completamento delle inchieste aperte sul caso dalle autorità USA (In Iraq i dipendenti di imprese di sicurezza privata non sono sottoposti alle leggi del paese). Nell'ultima conferenza stampa Al-Maliki ha ribadito che Blackwater deve sloggiare subito.
“Si tratta di un'organizzazione modellata sulle SS”, ha detto Lyndon LaRouche, in riferimento alla nota formazione della milizia privata finanziata dai grandi sponsor di Himmler. “Il Congresso dovrebbe ammetterlo e trarne le conseguenze. Sono le SS di Felix Rohatyn e di George Shultz. Ma ce l'ha il fegato di dire che questi killer sono le SS di Rohatyn? La politica di fondo della Blackwater è stata messa a punto nel Middlebury College, di cui Rohatyn è il guru”. Il dibattito politico sulla privatizzazione della difesa USA in effetti si svolse nel 2004 soprattutto al Middlebury College, sotto l'egida del Centro per gli Affari Internazionali di Rohatyn.
LaRouche sottolinea inoltre che un altro modello di fondo della Blackwater è la Compagnia delle Indie Orientali britannica. Un nuovo libro sulla Blackwater scritto da Jeremy Scahill porta come sottotitolo “L'ascesa del più potente esercito mercenario del mondo” ma, secondo LaRouche, la definizione “è sbagliata. Sono gli inglesi, sono essi ad avere i più potenti eserciti mercenari”. In effetti, compagnie inglesi come la AEGIS ed altre contano in Iraq oltre 21.000 mercenari, mentre la Blackwater ne conta meno di 10.000. Al vertice di Aegis Defence Services figura Tim Spicer, ex direttore delle famigerate imprese di mercenari Executive Outcome e Sandline. Il più grande contratto per la sicurezza privata in Iraq è stato accordato alla Aegis dal Pentagono.
Dalle prime indagine condotte dall'EIR sul conto di Blackwater risulta che essa recluta presso le basi paramilitari dei nostalgici di Pinochet in Cile. Interessante anche la figura di Edgar Prince, padre di Erik Prince, attuale amministratore delegato di Blackwater. Edgar era vice presidente del Council for National Policy, un gruppo segreto della destra religiosa che il 28 settembre ha ospitato Dick Cheney a Salt Lake City per discutere il bombardamento nucleare dell'Iran. Edgar è anche stato uno sponsor del destrorso Gary Bauer e il principale finanziatore del Family Research Council, la base di Bauer e di James Dobson.

24 ottobre 2007

Torta a torta



A Porta a Porta, si cucinavano torte e altri dolciumi. La puntata, inaspettatamente, non riguardava Cogne, né Garlasco, né Rignano, ma il caro-vita. Insieme al fornaio e al panettiere, ne discutevano Lorena Bianchetti e altri squisiti ospiti. Ieri Bruno Vespa si è recato in Vigilanza per raccogliere gli applausi degli uomini dei partiti, che nei giorni scorsi avevano tentato di processare Michele Santoro per aver raccontato una storia vera, cioè il caso De Magistris, anzi Mastella. Solo Beppe Giulietti si é astenuto dalla simpatica cerimonia, tutta inchini e riverenze, quadriglie e minuetti tra l’insetto e i suoi “editori di riferimento”, come ebbe a definirli ai tempi d’oro della Dc di Forlani e Andreotti.

Come già Mastella collegato dal Columbus Day, anche il presidente Mario Landolfi - che passò un bigliettino a Gad Lerner per segnalare una sua protetta al neodirettore del Tg1 - si è molto complimentato per la proverbiale imparzialità e il leggendario pluralismo di cui è campione l’insetto. Da quando, nel 1969, annunciò dalla questura di Milano che Pietro Valpreda era il mostro di Piazza Fontana. “Se tutte le trasmissioni fossero come Porta a Porta - ha flautato Landolfi - la Vigilanza potrebbe abbassare la saracinesca”.

Poi è intervenuto il suo vice, il margherito Giorgio Merlo, entusiasta per la visita dell’insetto che “ha confermato come la salvaguardia del pluralismo e il rigoroso rispetto delle regole rappresentano (il congiuntivo non è il suo forte, ndr) i postulati essenziali per i conduttori del servizio pubblico... a prescindere dalle solidarietà corporative e sindacali nei confronti dei vari conduttori”. Allusione agli interventi dei sindacati della stampa a difesa di Floris e Santoro.

Poi ha parlato Vespa: “Preferisco che gli interlocutori siate voi”, ha detto ai suoi santi protettori, “tremo all’idea che il Tg1 debba essere portatore di interessi altrui” cioè, eventualmente, dei cittadini L’importante è che continuino a comandare i partiti, altrimenti 4 sere a settimana se le scorda. Poi ha confidato di scegliere “i temi sull’attualità quando sono caldi”: un po’ come le torte sfornate l’altra sera dai cuochi di redazione, che avevano rimpiazzato il plastico della villetta di Cogne e la bicicletta di Garlasco con un grande forno a microonde. Naturalmente, ha sottolineato, “non ho mai avuto condizionamenti né dall’azienda né dalla politica”: infatti obbedisce da solo, prima che arrivino gli ordini. Due le sue stelle polari: “ferreo controllo delle notizie che diamo” e “assoluto equilibrio dei servizi”.

Qualcuno minimamente informato - non è il caso della commissione di Vigilanza - avrebbe potuto domandare a chi avesse affidato il controllo ferreo della notizia (falsa) dell’assoluzione definitiva di Andreotti: a un cuoco? Qualcun altro potrebbe ricordare quando Vespa lesse una mail anonima che “testimoniava” l’innocenza degli agenti arrestati a Napoli per le violenze contro i no-global, e domandare se l’avesse fatta controllare da un pasticciere.

Quando poi ha sostenuto di aver “vinto tutte le cause in 10 anni”, qualcuno con un minimo di memoria avrebbe potuto rammentargli i 260 milioni pagati dalla Rai a Scattone e Ferraro (gli assassini di Marta Russo) per un’intervista esclusiva al Tg1 e una a Porta a Porta nel giugno ’99: la famiglia Russo fece causa, visto che i due non avevano pagato i danni a cui erano stati condannati, e scopri che il “servizio pubblico” diretto da Agostino Saccà aveva appoggiato il versamento sul conto di un prestanome per aggirare il blocco dei beni disposto dal tribunale; la Rai, per uscire dalla causa dovette sborsare altri 200 milioni.

L’anno scorso Vespa è stato condannato a pagare 82 mila euro a Roberto Zaccaria per aver inventato - in un libro Rai-Eri - un complotto dell’allora presidente Rai contro Berlusconi con Biagi, Luttazzi e Santoro. Tutte balle. Ieri l’insetto ha molto lacrimato per la serata che dovrà cedere a Benigni.

In effetti, 3 sere sono poche. Perché non dargli anche venerdì, sabato e domenica?

Marco Travaglio


23 ottobre 2007

L’impero del meno male: La decrescita


Mi convinco sempre sempre di più che la sinistra abbia sottovalutato la forza del liberismo e la sua forza anche nella sinistra stessa. Soprattutto ha sottovalutato il fatto che il mito della crescita ha un posto centrale sia nel dispositivo del liberalismo che in quello del capitalismo. Su questo punto dobbiamo dire che purtroppo Marx si è sbagliato. Ha pensato che fosse possibile, sostituire all’«accumulazione» cattiva del capitale [accumulazione è il nome marxista della crescita], quella buona di un altro sistema. Questo non è vero, l’accumulazione del capitale è sempre legata all’economia di mercato. Da questo punto di vista, i cosiddetti socialisti utopisti, come per esempio William Morris di «News from Nowhere», avevano capito meglio di Marx il carattere perverso della crescita, il fatto che essa sia legata al sistema termoindustriale, e quindi ai rapporti capitalistici. Oggi dobbiamo fare i conti con questa eredità.

Uno scienziato francese, Hubert Reeves, molti anni fa raccontava questa favola. Un giorno un vecchio pianeta nelle sue divagazioni incontra la Terra che non aveva visto da alcuni milioni di anni. Allora dice: «Come stai?». La Terra risponde: «Non mi sento molto bene, credo di avere una malattia mortale». «E come si chiama questa malattia?». «Si chiama umanità». «Ah – conclude il vecchio pianeta –, anch’io l’avevo presa alcuni milioni di anni fa. Ma guarisce da sola, si autodistrugge».

E’ vero che oggi sembra che l’umanità rischia di sparire. Abbiamo molti segnali che lo confermano quasi ogni giorno. Sappiamo che stiamo vivendo la sesta estinzione delle specie, la quinta è quella che ha avuto luogo 65 milioni di anni fa, quella che ha visto sparire i dinosauri. Solo che ci sono tre differenze tra la quinta e la sesta: questa è organizzata dall’uomo e procede a una velocità terrificante. Per fortuna la natura ha una vitalità straordinaria e una capacità di adattarsi sorprendente, ma quando i cambiamenti sono così veloci è impossibile per la natura adattarsi.
Un’altra importante differenza è che anche l’umanità potrebbe essere la vittima di questa sesta estinzione. Lo sarà sicuramente se non facciamo niente.

La scommessa della decrescita è diversa. Non pensiamo che l’umanità sia una specie votata al suicidio, o che non ci sia speranza. Pensiamo infatti che il suicidio faccia parte dell’essenza della società della crescita, ma non di tutte le società umane. Che la nostra società, la società moderna, sia candidata al suicidio ma non l’umanità in quanto tale. La decrescita scommette che sia possibile salvare l’umanità, ma solo a condizione di uscire dal paradigma della modernità, della società della crescita.
Che cos’é quindi una società come la nostra? È una società che ha per unico fine la crescita senza limiti. È un’idea assurda per questa idea si deve consumare sempre di più, produrre ancora di più rifiuti e profitti. Per promuovere questa idea ci sono tre grandi strumenti: la pubblicità che ci invita sempre a consumare cose di cui non abbiamo veramente bisogno; l’obsolescenza programmata e il credito.

La scommessa della decrescita è l’umanità possa fare una rivoluzione culturale, uscire dalla società di crescita, di deglobalizzarsi e ritrovare il locale, di uscire dal capitalismo e quindi dall’accumulazione illimitata, sotto l’impulso di due forze, una forza positiva e una forza negativa.
La forza positiva è l’aspirazione all’ideale che vivremmo meglio se vivessimo in un altro modo. Questa è la grande lezione del mio maestro Ivan Illich, che per quarant’anni ha predicato nel deserto. Invece di prendere come slogan, come fa il governo francese attuale, «lavorare di più per guadagnare di più» diceva «lavorare di meno per vivere meglio». Di sicuro lavorando meno si produrrebbe meno o si distruggerebbe meno il pianeta e avremmo più tempo per godere della vita, per ritrovare il senso della vita. Forse meno ricchezze in termini di prodotto interno lordo ma più ricchezze in termini di vita, di ricerca del piacere e della felicità. E consumare meglio è possibile.

Il grande, uno dei grandi precursori della decrescita, che recentemente è morto in Francia, l’amico André Gorz, negli anni ’70 e ‘80 aveva descritto degli scenari per dimostrare come era possibile allo stesso tempo ridurre il tempo di lavoro, diminuire la disoccupazione e aumentare la felicità.
Oggi siamo tossicodipendenti di consumismo. Lo siamo tutti. E allora dobbiamo intraprendere una terapia, dobbiamo liberarci da questa dipendenza, ma non è facile. Naturalmente l’aspirazione a un’ideale, a un mondo più giusto, a un mondo più sostenibile ha un ruolo importante ma non basterà. Questo è il motore positivo. Il motore negativo invece è la pedagogia delle catastrofi. È per questo che paradossalmente sono molto ottimista, perché sono certo che ci saranno catastrofi.

Il progetto di costruire una società della decrescita dunque è un’utopia, un’utopia nel senso concreto e positivo della parola che è un altro mondo possibile. Ho proposto di realizzare questo progetto attraverso uno schema delle otto «R»: Rivalutare, Riconcettualizzare, Ristrutturare, Ridistribuire, Rilocalizzare, Ridurre, Riutilizzare, Riciclare. Ogni volta che faccio una conferenza c’é qualcuno nella sala che mi dice: «Lei ha dimenticato una R molto importante, si deve anche reinventare la democrazia». Un altro mi dice: «Si deve ri-cittadinare». Il concorso è aperto, si possono aggiungere molte altre R.

Questa proposta non é un programma politico perché non sono un politico, sono uno scienziato, un intellettuale, non è il mio lavoro fare un programma politico. Ma è un progetto politico, l’utopia di una società autonoma. Il progetto della decrescita non è nuovo, la cosa nuova è che la parola decrescita parla all’immaginario. Questo ‘de’ crea un colpo, come è possibile rimettere in questione il fondamento della nostra società, di tutto il nostro mondo. E allora questo crea una reazione molto forte. Alcuni che avevano dubbi sul nostro mondo, sulla società, dicono: “Sì, bastava pensarci, ha ragione, abbiamo trovato alla fine la cosa importante”. E altri dicono “Ma è impossibile. Come parlare di decrescita?”. Se non parliamo di decrescita andiamo verso la catastrofe e l’apocalisse.

Ora vorrei in alcune parole spiegare come opporre l’utopia concreta alla altra grande utopia dell’occidente che è il liberismo. Il liberismo è anche un grande progetto, un progetto che ha strutturato l’occidente per secoli. Dobbiamo prendere coscienza che in questo progetto la cosa più importante è il mito della crescita. Nella sinistra c’è la tentazione di separare il liberalismo buono dal liberismo cattivo. Fondamentalmente, però, sono come dottor Jekyll e mister Hide, due facce della medesima medaglia, strettamente legate anche se diverse.
E’ un progetto fantastico, il liberismo, nato nel medioevo in reazione all’orrore per le guerre, soprattutto quelle civili. E’ un progetto grandioso, il liberismo, e precisamente è l’utopia di una società autonoma. Una società autonoma che si basa sull’individualismo, sull’emancipazione dell’umanità, sul progetto della modernità, della liberazione dalla trascendenza, dalla tradizione, della religione e dalla gerarchia.
Il problema di questo progetto è nelle sue aporie: l’aporia della libertà è la libertà di sfruttare gli altri. L’individualismo è un progetto autodistruttivo e l’uguaglianza ancora di più. L’uguaglianza assoluta è impossibile perché per natura non siamo uguali, quindi la strada che il liberismo ha trovato, soprattutto attraverso il suo aspetto economico, è di reinventare un’eteronomia che permette il funzionamento della società moderna: l’eteronomia della mano invisibile.

Se c’é la mano invisibile allora nessuno può rimpiangere della sua povertà, nessuno è responsabile delle disuguaglianze, sono le leggi del mercato. Basta leggerlo su tutti i giornali: se i popoli del sud sono più poveri la colpa, in fondo, è loro. Non è colpa più delle grandi imprese o dei governi, è la legge del mercato, la stessa legge per tutti. Una legge che funziona benissimo e che funziona perfino meglio se c’é la continua fuga in avanti della crescita infinita. Che ha come corollario l’idea che se l’uguaglianza non è realizzata oggi, almeno domani le disuguaglianze saranno minori. Se oggi non possiamo comprare l’ultimo modello di automobile, certamente potremo farlo domani, grazie alla crescita.
Questo meccanismo ha funzionato per tanti anni gloriosi tra il 1945 e il 1975. E’ vero che gli operai hanno potuto comprare una macchina, un frigorifero. E’ vero che le cose che prima erano riservate ai ricchi sono diventate delle comuni. Questo permette alla società liberista di funzionare.

Un amico, un filosofo, ha scritto recentemente un bel libro che si intitola «L’impero del meno male». Sono riusciti a creare, con il liberismo e la crescita, l’impero del meno male, ma oggi questo non basta più. Perché il problema è che oggi ci si confronta con l’autodistruzione sociale perché l’ingiustizia, aporia strutturale di questo stesso meccanismo, è diventata senza limite.
SERGE LATOUCHE

Le nuove SS: Blackwater


Nel corso della conferenza stampa data il 3 ottobre a Baghdad, il Primo ministro iracheno Nuri Al-Maliki ha affermato che le prove contro Blackwater sono così abbondanti che la nota società di mercenari “non è idonea” a continuare ad operare in Iraq, paese in cui vanta contratti per la sicurezza nell'ordine delle centinaia di milioni di dollari. Maliki ha parlato dopo che l'on. Henry Waxman aveva rilasciato al Congresso USA un documento di 15 cartelle che riferisce di oltre 200 sparatorie della Blackwater contro civili iracheni, in cui i mercenari hanno aperto il fuoco senza essere seriamente provocati. Dopo il più noto di questi incidenti verificatosi il 16 settembre, in cui rimasero vittima, a seconda delle versioni, dagli 11 ai 20 civili inermi, Al-Maliki mise subito al bando Blackwater, ma dovette poi concedere un differimento del foglio di via per attendere il completamento delle inchieste aperte sul caso dalle autorità USA (In Iraq i dipendenti di imprese di sicurezza privata non sono sottoposti alle leggi del paese). Nell'ultima conferenza stampa Al-Maliki ha ribadito che Blackwater deve sloggiare subito.
“Si tratta di un'organizzazione modellata sulle SS”, ha detto Lyndon LaRouche, in riferimento alla nota formazione della milizia privata finanziata dai grandi sponsor di Himmler. “Il Congresso dovrebbe ammetterlo e trarne le conseguenze. Sono le SS di Felix Rohatyn e di George Shultz. Ma ce l'ha il fegato di dire che questi killer sono le SS di Rohatyn? La politica di fondo della Blackwater è stata messa a punto nel Middlebury College, di cui Rohatyn è il guru”. Il dibattito politico sulla privatizzazione della difesa USA in effetti si svolse nel 2004 soprattutto al Middlebury College, sotto l'egida del Centro per gli Affari Internazionali di Rohatyn.
LaRouche sottolinea inoltre che un altro modello di fondo della Blackwater è la Compagnia delle Indie Orientali britannica. Un nuovo libro sulla Blackwater scritto da Jeremy Scahill porta come sottotitolo “L'ascesa del più potente esercito mercenario del mondo” ma, secondo LaRouche, la definizione “è sbagliata. Sono gli inglesi, sono essi ad avere i più potenti eserciti mercenari”. In effetti, compagnie inglesi come la AEGIS ed altre contano in Iraq oltre 21.000 mercenari, mentre la Blackwater ne conta meno di 10.000. Al vertice di Aegis Defence Services figura Tim Spicer, ex direttore delle famigerate imprese di mercenari Executive Outcome e Sandline. Il più grande contratto per la sicurezza privata in Iraq è stato accordato alla Aegis dal Pentagono.
Dalle prime indagine condotte dall'EIR sul conto di Blackwater risulta che essa recluta presso le basi paramilitari dei nostalgici di Pinochet in Cile. Interessante anche la figura di Edgar Prince, padre di Erik Prince, attuale amministratore delegato di Blackwater. Edgar era vice presidente del Council for National Policy, un gruppo segreto della destra religiosa che il 28 settembre ha ospitato Dick Cheney a Salt Lake City per discutere il bombardamento nucleare dell'Iran. Edgar è anche stato uno sponsor del destrorso Gary Bauer e il principale finanziatore del Family Research Council, la base di Bauer e di James Dobson.