16 gennaio 2008

Anche il mondo ci vede a rischio



L’assenza di una valida legge sul conflitto d’interessi è la principale ragione per la quale l’Italia nel 2007 è stata relegata al 35esimo posto nella classifica mondiale sulla libertà di stampa stilata ogni anno da Reporters sans Frontières e dalla Freedom House americana. Sul piano internazionale siamo considerati fortemente a rischio, indietro addirittura rispetto a paesi privi di istituzioni democratiche, percorsi da ondate repressive o con un bassissimo livello di sviluppo civile.

Niente fa pensare peraltro che la situazione possa significativamente migliorare quest’anno, se consideriamo che fra i fattori che condizionano una vera libertà di stampa è entrato in gioco l’avanzato tentativo di impedire, con durissime sanzioni amministrative e perfino penali contro i giornalisti, la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche anche quando, come prevede l’attuale normativa, siano liberate dal segreto istruttorio perché rese note agli imputati. Se pensiamo che la Camera dei deputati approvò il progetto di legge Mastella con solo sette deputati contrari (fra i quali, a suo onore, Beppe Giulietti) e che a niente valsero gli scioperi indetti dalla FNSI e il motivato parere contrario dell’Unione Europea, tanto che la battaglia è ancora incombente, c’è da pensare con un brivido alla suscettibilità della politica italiana su questo tema e al distacco nei confronti dell’opinione pubblica, che ha il diritto democratico di vedere illuminati tutti gli angoli bui del potere.
A riprova di questa inquietante divaricazione e dei guasti prodotti dall’enorme conflitto d’interessi ancora aperto, sono recentemente venute le reazioni alle rivelazioni sulle esplicite telefonate intercorse fra i vertici operativi di Mediaset e i dirigenti legati direttamente a Berlusconi all’interno della Rai, con particolare riferimento a Deborah Bergamini e a Saccà.
In queste due occasioni si è avverata l’antica metafora sullo stolto che quando il dito indica la luna si limita a guardare il dito…Una miriade di esponenti politici, di opposizione come della maggioranza, ha scatenato una campagna sulla responsabilità professionale ed etica della stampa e di singoli giornalisti, sottovalutando o ignorando totalmente il contenuto delle intercettazioni. E’ così passato in secondo piano prima la gravità del “golpe” tentato e in buona parte riuscito sul Servizio Pubblico da parte dell’azienda televisiva di proprietà dell’allora capo del governo, attraverso una sorta di “quinta colonna” che ha alterato per anni funzioni, autonomia, capacità competitiva, scelte editoriali e produttive. Come tanti altri dirigenti della Rai, io stesso, allora Direttore di Rai News 24, ho personalmente avvertito sulla pelle della Testata l’evidente anomalia e la sopraffazione in corso sugli interessi generali e le prospettive aziendali. Poi il tentativo, sempre mediante vincoli di “sudditanza” politica e personale di personaggi che tradivano il mandato, di usare la Rai come mezzo di pressione per influenzare il voto di esponenti politici dello schieramento di governo. Non sappiamo ovviamente se e in quale misura queste vicende assumeranno peso giudiziario e come influiranno sui disastrati e instabili equilibri di gestione del Servizio Pubblico, ma siamo assolutamente certi della loro rilevanza morale e politica, del diritto dei cittadini a conoscerle fino in fondo e del conseguente dovere dell’informazione di descriverle ed analizzarle. Allo stesso tempo si può non coglierne l’ulteriore urgenza di una legislazione che spezzi il perpetuarsi del conflitto d’interessi e che cambi allo stesso tempo profondamente la normativa del Servizio Pubblico, mettendolo in condizione di reale autonomia dal potere politico e rinnovandone la missione culturale?
Voglio però sottolineare che, quando parliamo di conflitto d’interessi, non possiamo riferirci esclusivamente alla posizione dominante di Silvio Berlusconi, certo centrale e decisiva per qualsiasi futuro assetto politico come per determinare equilibri e opportunità di un mercato editoriale competitivo, dotato di regole condivise e all’altezza di una democrazia matura.
Su questo punto il governo deve senza ulteriori indugi aprire sul serio il confronto in Parlamento, facendo sì – come giustamente sottolinea Giulietti – che la fondamentale trattativa per arrivare a definire una nuova, corretta legge elettorale, non ponga in alcun modo in secondo piano il confronto legislativo sul conflitto d’interessi e sul sia pur timido progetto Gentiloni per la riforma della Rai.
Sia per l’uno che per l’altro aspetto, così evidentemente diversi e distanti, è infatti in gioco la democrazia.
Partiamo dunque da qui, ma non dimentichiamo che l’Italia è ormai immersa in una inquietante deriva nella quale fattori di crisi investono tutti i poteri previsti dalla Costituzione, che vedono ciascuno la presenza di piccoli o macroscopici conflitti d’interesse e comportamenti al di fuori o al di sopra di ogni regola, che tradiscono il mandato e le competenze istituzionali dei gruppi e di singoli rappresentanti… Si potrebbero elencare a lungo le contraddizioni, le deviazioni, i condizionamenti, le interferenze, gli interessi corporativi e di casta – intrisi di sottopotere ed arrivismo se non in alcuni casi di arricchimento personale – che costellano i percorsi legislativi e parlamentari, del governo, della stessa magistratura (come dimostrano le recenti polemiche innescate dalla dura denuncia di Ilda Boccassini). Per non parlare della società italiana, che appare
a ogni livello frammentata in interessi di parte, in angusti egoismi di consorterie, in individualismi anarcoidi, ben al di fuori dal rispetto degli altri e dall’osservanza di regole e leggi certe per tutti, sempre più priva di principi etici validi al di fuori del ristretto confine del giardino di casa, del proprio tavolo di ufficio, della propria autovettura.
E’ contro questa deriva che continuano a combattere spezzoni della società civile, sia ben chiaro insieme con tante persone oneste e motivate in ogni settore, a partire ovviamente da quello delle responsabilità politiche e amministrative, sempre però in posizioni di minoranza, come un esercito assediato e diviso che stenta a tenere il campo, a riconoscersi in obiettivi e sedi collegate di comando, a mantenere un solo schieramento di fronte alle multiformi “invasioni barbariche”.
E ancora una volta l’informazione è contaminata e partecipe in vari modi della deriva invece che della resistenza alla devastazione, venendo molto spesso meno a quell’impegno di illuminazione e conoscenza critica della realtà, che consentirebbe di saldare fronti comuni più vasti e consapevoli, di ripristinare una scala corretta di ideali, di modelli positivi, di capacità critica, di comportamenti pubblici e privati nello spirito della Costituzione.
Se il personaggio e il ruolo assunti da Berlusconi sono ormai divenuti totalizzanti nella vita e nell’immaginario del Paese, parametro insostituibile di antitetiche scelte politiche, come di quelle civili, sociali e culturali, traiamone almeno un esempio emblematico di ciò che è divenuta e di ciò che invece non dovrebbe essere la realtà, a partire da quella dell’informazione.

Due mesi fa, l’11 Novembre 2007, dal palco di Montecatini, dinanzi ai Comitati del Buon Governo costruiti da Marcello Dell’Utri, Berlusconi si mise al fianco il senatore siciliano, un braccio fraternamente attorno alle spalle e inscenò una sua strenua e dettagliata difesa, in attesa del verdetto di secondo grado dopo la condanna in Assise per partecipazione esterna all’organizzazione mafiosa. Ovviamente silenzio su questa sentenza, su altre di natura penale già passate in giudicato, su notissime circostanze di conoscenze e frequentazioni mafiose. Non contento di questo gesto di considerazione e amicizia, che a suo tempo si era ben guardato di fare pubblicamente nei confronti del suo avvocato Cesare Previti, il Cavaliere ha esteso la difesa al ricordo del capo-mafia Vittorio Mangano, a suo tempo per anni fattore dei possedimenti ad Arcore e in stretti rapporti con lo stesso Dell’Utri.

Mangano, morto di malattia mentre scontava in carcere una definitiva condanna per partecipazione a omicidi, traffici di droga, racket, estorsioni e che il giudice Paolo Borsellino definì nell’ultima intervista televisiva come uno dei capi-fila della mafia al Nord, è stato ricordato da Berlusconi solo come un buon uomo vittima di magistrati feroci. Inutilmente – sono parole testuali – questi magistrati cercarono di suggerirgli “accuse inventate” contro Marcello Dell’Utri e contro lui stesso. Insomma, possiamo tranquillamente dire, il ritratto lusinghiero di un vero “ uomo d’onore”, dipinto con un linguaggio e un racconto, al di là delle omissioni e delle evidenti menzogne, davvero degni di Cosa Nostra…
Cosa sarebbe accaduto nella stampa e nelle televisioni di mezzo mondo, se un ex-premier potentissimo e leader dell’opposizione si fosse lasciato andare a questo sfogo pubblico, evidentemente calcolato e probabilmente da qualcuno richiesto? E cosa si sarebbe mosso in Parlamento e nell’opinione pubblica? Da noi non è avvenuto alcunché: due giorni di smilza cronaca, qualche raro commento dei “soliti fogli comunisti”, l’indignazione di pochi siti pervicacemente contestatori (per fortuna almeno il sonoro originale è ascoltabile sul salvifico You Tube).
Questa è oggi l’Italia e non solo quella dell’informazione.

di Roberto Morrione

15 gennaio 2008

Un paese a rischio di regime mediatico



Berlusconi, al di là delle smentite che non smentiscono nulla, ha proposto un baratto tra una nuova legge elettorale e l’integrale tutela del suo interesse privato. Non basta più respingere l’indecente proposta (e vorrei vedere il contrario!), ma è necessario aggiungere che una nuova legge elettorale che non venisse accompagnata dalla contestuale risoluzione dell’anomalia italiana in materia di conflitto d’interessi e di assetto dei media, ci condannerebbe a restare una democrazia dimezzata, un paese a rischio di “regime mediatico” per usare una espressione cara ad Umberto Eco... I ripetuti appelli del presidente Napolitano, le tante iniziative promosse da forze politiche, sociali, sindacali, religiose,stanno contribuendo a creare una nuova coscienza attorno al dramma delle morti sul lavoro. A questo positivo processo ha contribuito anche il silenzioso e quotidiano lavoro che è stato svolto dallo spazio che questo sito ha voluto dedicare a simili temi e che è stato impostato e gestito con grande rigore da Raffaelle Siniscalchi e da Diego Alhaique.
Il carteggio che qui pubblichiamo tra le organizzazioni sindacali e i vertici della Fsni dimostrano che forse è giunto il momento propizio per promuovere un appuntamento nazionale che metta insieme il mondo della comunicazione e quello del lavoro per arrivare all’approvazione di una campagna nazionale che faccia della cultura della prevenzione, della sicurezza e della lotta senza quartiere contro le morti bianche, un’autentica priorità nazionale. Se almeno un centesimo del tempo che viene dedicato dalle tv a spiare la vita degl’altri dal buco della serratura venisse dedicata alla rappresentazione della vita, e delle vite reali, ci sarebbero tempo e spazio sufficienti per programmare un’ efficace campagna mediatica.
La triste realtà, tuttavia, è che quasi tutte le tv, salvo le poche lodevoli eccezioni che spesso citiamo, sono ormai in mano ai signori degli appalti che sempre più spesso preparano e vendono programmi dove la realtà è ricostruita secondo i moduli dello spettacolo e della finzione, con tanto di ospiti pagati a tariffa, un tanto a lacrima.
Siamo arrivati al punto che, come ha acutamente scritto Norma Rangeri nel suo ultimo libro “Chi l’ha vista”, nella stessa serata e nello stesso orario, sulle reti della Rai e di Mediaset, si siano affrontati due programmi prodotti dalla solita Endemol, per altro ora controllata dalla medesima Mediaset che, in questo modo, vive anche nei palinsesti della Rai. Vi possiamo assicurare che per rilevare tale stranezza non è stato necessario ricorrere ad alcuna intercettazione telefonica….
Gli ospiti non a pagamento e i cittadini che fanno le domande ed esigono le risposte non sono più graditi. Adesso tutti hanno scoperto la “monnezza” ma quando Michele Santoro, Sandro Ruotolo, Milena Gabbanelli, per citare i casi più clamorosi, indagarono sulla discariche della Campania e sui loschi traffici che vi fiorivano furono accolti da invettive traversali. Allo stesso modo quando le famiglie degli operai di Torino o le mogli e le madri dei lavoratori morti a Monfalcone, urlano la loro rabbia, c’è sempre qualcuno che si risente per i loro eccessi e per l’ indebita amplificazione prodotta dai media. Questo club di “indignati speciali” non ha mai trovato il tempo e la voglia per indignarsi nei confronti di quelle trasmissioni dove si assiste alla più indecente mercificazione del dolore, degli affetti e si pratica il più inverecondo ossequio nei confronti degli “amici degli amici” persino quando si tratta di condannati per associazione mafiosa o per aver corrotto i magistrati.
L’Italia che continua a reclamare la legalità e a contrastare i poteri criminali non è stata mai invitata nei salotti a pagamento non appassiona le signore e i signori che producono i programmi dedicati ai grandi fratelli e ai piccoli cugini.
Dal servizio pubblico (ma non solo dal servizio pubblico) da tutti gli operatori dell’informazione, ci attendiamo uno scatto d’orgoglio, uno scontro aperto e dichiarato tra i custodi degli appalti e delle logge della conservazione e chi vorrebbe ridare forza, autonomia e dignità all’idea stessa d’impresa pubblica come ebbero a scrivere proprio su questo sito Enzo Biagi e Loris Mazzetti. Se questo non accadrà i signori delle logge e degli appalti continueranno a dominare e a tentare di mettere sotto il loro tallone, non solo l’intero mondo dei media, ma anche tanta parte della politica.
La Rai in queste ore è stata ulteriormente calpestata ed umiliata e nuovamente sottomessa alla logica del conflitto d’interesse. La destra sta facendo il suo mestiere con la consueta determinazione e spietatezza, ma noi, cosiddetti progressisti,cosa stiamo facendo? E’ inutile essere ipocriti le reazioni sono state deboli ed inefficaci. Non sempre, neppure noi di Articolo 21, abbiamo risposto con la necessaria durezza. Troppi trasversalismi deteriori sono stati tollerati. Troppi atteggiamenti equivoci sono stati condivisi, ma soprattutto non si è contrastata a tutti i livelli la logica della omologazione, della cancellazione di ogni differenza,della superficialità,del modello produttivo e organizzativo nel quale la finzione si è mangiata la realtà. Di fronte a quello che sta accadendo le unità corporative e gli unanimismi di facciata non servono più, anzi servono a renderci tutti complici e conniventi.
In questi ultimi mesi, per fortuna, qualcosa e qualcuno ha cominciato a rialzare la testa. Le organizzazioni sindacali, dall’Usigrai alla Cgil, stanno urlando il oro no alla svendita di quello che ancora resta della Rai. Gli autori del cinema, della televisione, della fiction, stanno tentando di rimettere insieme tutto il mondo degli autori (come ci hanno raccontato su questo stesso sito Santo della Volpe , Daniele Lucchetti, Michele Conforti e tanti altri).
La Fsni e le organizzazioni dei lavoratori stanno tentando una nuova alleanza non solo sui temi legati alla contrattazione,ma anche sulle questioni relative alla legalità, alla sicurezza, alla lotta contro le morti bianche.
L’Associazione Libera, coordinata da Don Luigi Ciotti, sta promuovendo iniziative ovunque per favorire una rinnovata attenzione dei media sul tema della lotta alla criminalità e ai poteri mafiosi.
La Tavola della Pace ha deciso d’indire un anno d’iniziative dedicate al tema della tutela dei diritti umani e civili e tra questi ha significativamente inserito il diritto individuale e collettivo, non solo a ricevere ma anche a produrre informazione.
Negli anni scorsi quest’associazione sotto la decisiva spinta di Enzo Biagi, di Sergio Lepri, del nostro presidente Federico Orlando,ha dato vita , insieme a decine di altre associazioni al “comitato per la libertà d’informazione” che si pose il compito di contrastare le leggi ad personam e di denunciare i guasti provocati dall’irrisolto conflitto d’interesse. Quel comitato riuscì persino a proporre e a far approvare una clamorosa risoluzione nella sede del Parlamento europeo.
Adesso è giunto il momento di rimetterlo in funzione per reclamare non solo il superamento della leggi vergogna ma anche soprattutto per sollecitare anche in questo campo l’approvazione di norme serie, rigorose, di tipo europeo, quali sono anche le pacatissime riforme avanzate dal ministro Gentiloni.
Silvio Berlusconi, al di là delle smentite che non smentiscono nulla, ha proposto un baratto tra una nuova legge elettorale e l’integrale tutela del suo interesse privato. Non basta più respingere l’indecente proposta (e vorrei vedere il contrario!),ma è necessario aggiungere che una nuova legge elettorale che non venisse accompagnata dalla contestuale risoluzione dell’anomalia italiana in materia di conflitto d’interessi e di assetto dei media, ci condannerebbe a restare una democrazia dimezzata, un paese a rischio di “regime mediatico” per usare una espressione cara ad Umberto Eco. Le condizioni di una possibile riproposizione di quel regime ci sono ancora e non mancano neppure le viltà, gli opportunismi di singoli e di piccoli gruppi all’interno della stessa maggioranza.
Per queste ragioni l’Associazione Articolo21 chiederà a tutte le forze associative, professionali e sindacali del settore della comunicazione di riprendere il cammino interrotto e di promuovere una campagna nazionale per richiedere a gran forza l’immediato rispetto degli impegni assunti in materia di conflitto d’interesse e di riforma della tv pubblica e privata che erano contenuti nel programma del centro- sinistra e che sino ad oggi non sono stati rispettati.
Per quanto ci riguarda proseguiremo su questa strada con grande spirito unitario ma anche con grande vigore e se questo dovesse comportare qualche polemica e persino qualche rottura con alcuni amici e compagni, sarà sempre preferibile al rischio che i ricatti e le minacce di Berlusconi possano far prevalere quel trasversalismo degli affari e delle logge che già tanti guasti ha provocato alla democrazia italiana.
G. Giulietti

14 gennaio 2008

Un'accelerazione della "deflazione" o depressione?


La gente tornerà a fare shopping abbastanza presto?
«Per altri tre-quattro mesi non sarà chiaro a quanto arriverà il rallentamento», dicono gli analisti di Shore Capital.
Lo chiamano rallentamento.
Pudico eufemismo.
Il processo che quegli analisti descrivono - prezzi bassi ma nessuno compra, aspettando che abbassino ancora - si chiama «deflazione» ed è il segno che la recessione sta per diventare «depressione».
Qualcosa del genere sta avvenendo anche in Italia nel settore immobiliare.
Nei modi rallentati propri di un mercato ingessato, come il nostro, da vincoli di locazione, tasse e spese notarili.
Ma il segnale che il boom della case sta cedendo viene da un breve articolo apparso su 24 Ore e segnalatoci da un lettore: «Arrivano i saldi immobiliari. La sede italiana del gruppo americano Remax ha presentato a Milano una maxi operazione di sconti che riguarda 500 tra i 10mila immobili detenuti in portafoglio e pubblicati online. Il motivo è il riconoscimento che il mercato immobiliare sta rallentando: il numero di compravendite nel 2008 è previsto in calo del 7% (fonte: Scenari immobiliari), il tempo medio di attesa è salito a 5 mesi (fonte: Nomisma)».
La Remax è un’agenzia immobiliare, tipo una grossa Tecnocasa.
Ecco come ha fatto: «Lo scorso 15 ottobre Remax Italia ha stampato i prezzi di tutti gli immobili presenti sul proprio sito; ha consegnato l’elenco al notaio; ha chiamato tutti i proprietari chiedendo loro se volevano partecipare all’iniziativa e ha registrato la percentuale di sconto che i proprietari interessati erano disposti a fare».
La manovra è ragionevole.
In Italia, i proprietari che hanno messo in vendita la casa tengono duro chiedendo prezzi da boom, ormai irrealisti, anche perché questi proprietari-venditori di solito non hanno un mutuo da pagare su quella casa, e dunque possono aspettare.
Ma i compratori non si fanno avanti, anche perché loro il mutuo devono accenderlo, se non vedono prezzi più bassi.
Il mercato è dunque immobile, cinque mesi per vendere un appartamento, calo delle compravendite del 7%.
La Remax tenta giustamente di rimettere in moto il mercato (se no lei non vede le grasse commissioni) chiedendo ai venditori di aderire volontariamente a ribassi, più realistici.
Ed ecco il risultato secondo 24 Ore: «Ha aderito all'iniziativa il 5% dei proprietari che in media ha scontato il prezzo dell’immobile dell’8,8% (Milano 8%, a Roma 12%, a Novara 25%). Meno dell’11,3% di sconto medio previsto da Nomisma per quest’anno, ma pur sempre una base di partenza della trattativa a un prezzo più basso».
«Si tratta di immobili di 220 località diverse proveniente per il 55% da Lombardia e Piemonte. Il valore medio dell’immobile scontato è di 268mila, superiore alla media di 250mila del valore degli immobili compravenduti riscontrata da Nomisma nel secondo semestre 2007 (per gli immobili acquistati con mutuo). Il picco massimo degli sconti (-47%) è stato raggiunto a Torino con un immobile che da una richiesta di 38mila euro è sceso a 20mila euro. Il valore degli immobili, che saranno online lunedì (i ‘saldi’ andranno avanti fino al 29 febbraio), va da 40mila a 4 milioni di euro».
Dunque: saldi di case in regioni «ricche» e assetate di tetto, Piemonte e Lombardia.
Tipici buoni appartamenti da 3-4 locali.
Lasciando perdere la super-offerta dell’immobile di Torino offerto col 47% di sconto (sarà un garage umido…), sembra conveniente.
Si può pensare che parecchi corrano a comprare con lo sconto di fine stagione.
Invece no.
Lo consiglia anche 24 Ore: «Lasciarsi ingolosire dall’offerta conviene davvero? Se si acquista con uno sconto del 10% oggi, in effetti, si corre il rischio che a fine anno il calo del mercato risulti analogo. Il rendimento dell’investimento da rivalutazione dell’immobile, in questo caso, sarebbe di fatto nullo. Insomma, chi può rimandare l’acquisto farebbe bene ad aspettare da qualche mese a fine anno per capire dove va davvero il mercato».
Dunque anche il giornale della Confindustria consiglia: aspettate a comprare casa, fra qualche mese i prezzi saranno ancora più bassi.
E’ il meccanismo psicologico che porta alla deflazione.
E presto coinvolgerà tutti gli acquisti che possono essere rimandati, con le conseguenze storiche della deflazione.
Presto offriranno sconti su auto, computer, elettrodomestici, iPod, telefonici ed altre carabattole elettroniche, poi scarpe e vestiario.
Non dite: bello, finalmente i prezzi calano!
Se potessimo mangiare computer e iPod sarebbe bello, ma mangiamo grano e carne e latte, che rincarano su scala mondiale, e vengono trasportati dal petrolio, che rincara e rincarerà per la domanda crescente dei nuovi consumatori-giganti, Cina e India.
Per le imprese, non sarà bello per niente.
Perché le imprese sono indebitate, e se non vendono non servono il debito con le banche.
Dapprima offriranno sconti; poiché la gente aspetta altri ribassi, i loro magazzini e piazzali si affolleranno di invenduto, e costeranno di più.
Arriva il punto in cui i profitti, limati, non bastano a pagare le rate dei fidi.
Cominceranno a fallire, con perdita di esportazioni, produzione, lavoro, profitti, disoccupazione crescente.
Per l’Italia, il processo sarà aggravato non primariamente - come in Gran Bretagna e in USA - dalle follie della finanza speculativa e dai consumatori stra-indebitati, ma dalla tassazione spoliatrice di Visco, peggiorata dalla truffa dell’IVA.
Lo Stato non paga i crediti IVA alle imprese, è noto.
Visco ha abolita la norma che consentiva di defalcare i crediti IVA compensandoli con altri contributi dovuti (altre tasse, contributi INPS, eccetera).
I piccoli imprenditori devono pagare l’IVA che non devono (e che non si sa se rivedranno mai restituita), e pagare anche le tasse e i balzelli più esosi d’Europa, mentre vendono meno e con profitti minori.
Aggrediti da tutti i lati, dallo Stato e dal mercato, soccomberanno presto.
La restituzione dell’IVA diventa cruciale per le piccole imprese, per quelle marginali: è il denaro liquido che serve loro per continuare ad operare.
Siccome Visco se lo trattiene, le imprese devono procurarsi denaro in banca, ad interessi che non scenderanno certo.
Visco dà il colpo di grazia ad un’economia reale che già arranca, sfiancata e meno produttiva delle altre europee.
Dunque ecco il futuro: avremo deflazione (prezzi calanti) per auto e iPod, di cui possiamo fare a meno, ma inflazione dei beni necessari ogni giorno, cibo, carburante, riscaldamento.
Naturalmente Visco dovrebbe accelerare almeno i rimborsi IVA.
Pensate lo farà?
Nemmeno per sogno.
Lui e l’altro complice Padoa Schioppa hanno appena ricevuto le lodi di Almunia, l’eurocretino: bravi, avete ridotto il debito pubblico all’1,3% del PIL.
Trichet, il governatore della Banca Centrale Europea, ha aggiunto: state solo attenti all’inflazione e ai prezzi.
Trichet si preoccupa dell’inflazione, mentre ci sono segni di delazione (in certi prezzi).
Anche la Federal Reserve di Chicago, nel 1929, si preoccupava dell’inflazione, mentre la deflazione era in pieno corso (2).
La FED rialzò i tassi d’interesse per due volte nel 1931.
Trichet sta facendo lo stesso.
Incompetenti, contabili e non economisti.
Ad Almunia non importa un fico che il «risanamento» sia stato ottenuto non con la riduzione della spesa pubblica corrente (anzi, aumentata quasi del 4%), né con la riduzione degli interessi sul debito (aumentati del 12,2%), bensì esclusivamente con l’ipertassazione: più 13% dalle imposte dirette (chi di voi ha guadagnato il 13% in più, l’anno scorso?), aggravio delle imposte indirette (più 4%), dei contributi sociali (più 5,8%, con pari aumento del costo del lavoro) e addirittura un aggravio del 40,6% delle imposte in conto capitale (praticamente raddoppiate: e sono imposte che intaccano non il reddito dei contribuenti ma il loro patrimonio o capitale, quindi la capacità di azione imprenditoriale).
Ad Almunia non interessa il trucco del mancato pagamento dell’IVA, vera truffa di Stato a danno dei cittadini.
E nemmeno l’altro trucco nei conti di Padoa Schioppa: le minori uscite sono dovute in grande parte al blocco degli «investimenti pubblici».
Lo Stato smette di spendere in infrastrutture pubbliche che servono all’economia, ma non smette di spendere per i suoi stipendi, auto blu ed aerei.
Anzi la spesa corrente sta per aumentare di nuovo perché pende il contratto del pubblico impiego: gli statali vogliono i loro 4-5 miliardi di euro di aumento complessivo, più il recupero dell’inflazione.
Lo vogliono da noi contribuenti che non abbiamo aumenti, e men che meno il recupero dell’inflazione.
Il «risanamento» lodato di Padoa Schioppa è dunque insostenibile nel tempo.
Quando gli statali avranno i loro aumenti, già non ci sarà più.
E i contribuenti dovranno pagare forse un 10 miliardi aggiuntivi.
Ce la faremo?
Alla fine, calerà anche l’introito tributario, per forza: i falliti non pagano tante tasse, e nemmeno i disoccupati.
E nemmeno i proprietari di case invendute pagano più le super-imposte sugli immobili, imposte in conto capitale, quelle che sono raddoppiate.
Come dice Tremonti: «E’ l’economia che determina i conti pubblici, non il contrario».
Visco e Padoa Schioppa credono giusto l’opposto, che i conti pubblici siano una variabile indipendente dall’economia, e che si possa «risanare» il debito pubblico a forza di tasse spoliatrici mentre i produttori smettono di produrre per la depressione mondiale.
Vedremo chi ha ragione.

fonte:tratto da M. Blondet

16 gennaio 2008

Anche il mondo ci vede a rischio



L’assenza di una valida legge sul conflitto d’interessi è la principale ragione per la quale l’Italia nel 2007 è stata relegata al 35esimo posto nella classifica mondiale sulla libertà di stampa stilata ogni anno da Reporters sans Frontières e dalla Freedom House americana. Sul piano internazionale siamo considerati fortemente a rischio, indietro addirittura rispetto a paesi privi di istituzioni democratiche, percorsi da ondate repressive o con un bassissimo livello di sviluppo civile.

Niente fa pensare peraltro che la situazione possa significativamente migliorare quest’anno, se consideriamo che fra i fattori che condizionano una vera libertà di stampa è entrato in gioco l’avanzato tentativo di impedire, con durissime sanzioni amministrative e perfino penali contro i giornalisti, la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche anche quando, come prevede l’attuale normativa, siano liberate dal segreto istruttorio perché rese note agli imputati. Se pensiamo che la Camera dei deputati approvò il progetto di legge Mastella con solo sette deputati contrari (fra i quali, a suo onore, Beppe Giulietti) e che a niente valsero gli scioperi indetti dalla FNSI e il motivato parere contrario dell’Unione Europea, tanto che la battaglia è ancora incombente, c’è da pensare con un brivido alla suscettibilità della politica italiana su questo tema e al distacco nei confronti dell’opinione pubblica, che ha il diritto democratico di vedere illuminati tutti gli angoli bui del potere.
A riprova di questa inquietante divaricazione e dei guasti prodotti dall’enorme conflitto d’interessi ancora aperto, sono recentemente venute le reazioni alle rivelazioni sulle esplicite telefonate intercorse fra i vertici operativi di Mediaset e i dirigenti legati direttamente a Berlusconi all’interno della Rai, con particolare riferimento a Deborah Bergamini e a Saccà.
In queste due occasioni si è avverata l’antica metafora sullo stolto che quando il dito indica la luna si limita a guardare il dito…Una miriade di esponenti politici, di opposizione come della maggioranza, ha scatenato una campagna sulla responsabilità professionale ed etica della stampa e di singoli giornalisti, sottovalutando o ignorando totalmente il contenuto delle intercettazioni. E’ così passato in secondo piano prima la gravità del “golpe” tentato e in buona parte riuscito sul Servizio Pubblico da parte dell’azienda televisiva di proprietà dell’allora capo del governo, attraverso una sorta di “quinta colonna” che ha alterato per anni funzioni, autonomia, capacità competitiva, scelte editoriali e produttive. Come tanti altri dirigenti della Rai, io stesso, allora Direttore di Rai News 24, ho personalmente avvertito sulla pelle della Testata l’evidente anomalia e la sopraffazione in corso sugli interessi generali e le prospettive aziendali. Poi il tentativo, sempre mediante vincoli di “sudditanza” politica e personale di personaggi che tradivano il mandato, di usare la Rai come mezzo di pressione per influenzare il voto di esponenti politici dello schieramento di governo. Non sappiamo ovviamente se e in quale misura queste vicende assumeranno peso giudiziario e come influiranno sui disastrati e instabili equilibri di gestione del Servizio Pubblico, ma siamo assolutamente certi della loro rilevanza morale e politica, del diritto dei cittadini a conoscerle fino in fondo e del conseguente dovere dell’informazione di descriverle ed analizzarle. Allo stesso tempo si può non coglierne l’ulteriore urgenza di una legislazione che spezzi il perpetuarsi del conflitto d’interessi e che cambi allo stesso tempo profondamente la normativa del Servizio Pubblico, mettendolo in condizione di reale autonomia dal potere politico e rinnovandone la missione culturale?
Voglio però sottolineare che, quando parliamo di conflitto d’interessi, non possiamo riferirci esclusivamente alla posizione dominante di Silvio Berlusconi, certo centrale e decisiva per qualsiasi futuro assetto politico come per determinare equilibri e opportunità di un mercato editoriale competitivo, dotato di regole condivise e all’altezza di una democrazia matura.
Su questo punto il governo deve senza ulteriori indugi aprire sul serio il confronto in Parlamento, facendo sì – come giustamente sottolinea Giulietti – che la fondamentale trattativa per arrivare a definire una nuova, corretta legge elettorale, non ponga in alcun modo in secondo piano il confronto legislativo sul conflitto d’interessi e sul sia pur timido progetto Gentiloni per la riforma della Rai.
Sia per l’uno che per l’altro aspetto, così evidentemente diversi e distanti, è infatti in gioco la democrazia.
Partiamo dunque da qui, ma non dimentichiamo che l’Italia è ormai immersa in una inquietante deriva nella quale fattori di crisi investono tutti i poteri previsti dalla Costituzione, che vedono ciascuno la presenza di piccoli o macroscopici conflitti d’interesse e comportamenti al di fuori o al di sopra di ogni regola, che tradiscono il mandato e le competenze istituzionali dei gruppi e di singoli rappresentanti… Si potrebbero elencare a lungo le contraddizioni, le deviazioni, i condizionamenti, le interferenze, gli interessi corporativi e di casta – intrisi di sottopotere ed arrivismo se non in alcuni casi di arricchimento personale – che costellano i percorsi legislativi e parlamentari, del governo, della stessa magistratura (come dimostrano le recenti polemiche innescate dalla dura denuncia di Ilda Boccassini). Per non parlare della società italiana, che appare
a ogni livello frammentata in interessi di parte, in angusti egoismi di consorterie, in individualismi anarcoidi, ben al di fuori dal rispetto degli altri e dall’osservanza di regole e leggi certe per tutti, sempre più priva di principi etici validi al di fuori del ristretto confine del giardino di casa, del proprio tavolo di ufficio, della propria autovettura.
E’ contro questa deriva che continuano a combattere spezzoni della società civile, sia ben chiaro insieme con tante persone oneste e motivate in ogni settore, a partire ovviamente da quello delle responsabilità politiche e amministrative, sempre però in posizioni di minoranza, come un esercito assediato e diviso che stenta a tenere il campo, a riconoscersi in obiettivi e sedi collegate di comando, a mantenere un solo schieramento di fronte alle multiformi “invasioni barbariche”.
E ancora una volta l’informazione è contaminata e partecipe in vari modi della deriva invece che della resistenza alla devastazione, venendo molto spesso meno a quell’impegno di illuminazione e conoscenza critica della realtà, che consentirebbe di saldare fronti comuni più vasti e consapevoli, di ripristinare una scala corretta di ideali, di modelli positivi, di capacità critica, di comportamenti pubblici e privati nello spirito della Costituzione.
Se il personaggio e il ruolo assunti da Berlusconi sono ormai divenuti totalizzanti nella vita e nell’immaginario del Paese, parametro insostituibile di antitetiche scelte politiche, come di quelle civili, sociali e culturali, traiamone almeno un esempio emblematico di ciò che è divenuta e di ciò che invece non dovrebbe essere la realtà, a partire da quella dell’informazione.

Due mesi fa, l’11 Novembre 2007, dal palco di Montecatini, dinanzi ai Comitati del Buon Governo costruiti da Marcello Dell’Utri, Berlusconi si mise al fianco il senatore siciliano, un braccio fraternamente attorno alle spalle e inscenò una sua strenua e dettagliata difesa, in attesa del verdetto di secondo grado dopo la condanna in Assise per partecipazione esterna all’organizzazione mafiosa. Ovviamente silenzio su questa sentenza, su altre di natura penale già passate in giudicato, su notissime circostanze di conoscenze e frequentazioni mafiose. Non contento di questo gesto di considerazione e amicizia, che a suo tempo si era ben guardato di fare pubblicamente nei confronti del suo avvocato Cesare Previti, il Cavaliere ha esteso la difesa al ricordo del capo-mafia Vittorio Mangano, a suo tempo per anni fattore dei possedimenti ad Arcore e in stretti rapporti con lo stesso Dell’Utri.

Mangano, morto di malattia mentre scontava in carcere una definitiva condanna per partecipazione a omicidi, traffici di droga, racket, estorsioni e che il giudice Paolo Borsellino definì nell’ultima intervista televisiva come uno dei capi-fila della mafia al Nord, è stato ricordato da Berlusconi solo come un buon uomo vittima di magistrati feroci. Inutilmente – sono parole testuali – questi magistrati cercarono di suggerirgli “accuse inventate” contro Marcello Dell’Utri e contro lui stesso. Insomma, possiamo tranquillamente dire, il ritratto lusinghiero di un vero “ uomo d’onore”, dipinto con un linguaggio e un racconto, al di là delle omissioni e delle evidenti menzogne, davvero degni di Cosa Nostra…
Cosa sarebbe accaduto nella stampa e nelle televisioni di mezzo mondo, se un ex-premier potentissimo e leader dell’opposizione si fosse lasciato andare a questo sfogo pubblico, evidentemente calcolato e probabilmente da qualcuno richiesto? E cosa si sarebbe mosso in Parlamento e nell’opinione pubblica? Da noi non è avvenuto alcunché: due giorni di smilza cronaca, qualche raro commento dei “soliti fogli comunisti”, l’indignazione di pochi siti pervicacemente contestatori (per fortuna almeno il sonoro originale è ascoltabile sul salvifico You Tube).
Questa è oggi l’Italia e non solo quella dell’informazione.

di Roberto Morrione

15 gennaio 2008

Un paese a rischio di regime mediatico



Berlusconi, al di là delle smentite che non smentiscono nulla, ha proposto un baratto tra una nuova legge elettorale e l’integrale tutela del suo interesse privato. Non basta più respingere l’indecente proposta (e vorrei vedere il contrario!), ma è necessario aggiungere che una nuova legge elettorale che non venisse accompagnata dalla contestuale risoluzione dell’anomalia italiana in materia di conflitto d’interessi e di assetto dei media, ci condannerebbe a restare una democrazia dimezzata, un paese a rischio di “regime mediatico” per usare una espressione cara ad Umberto Eco... I ripetuti appelli del presidente Napolitano, le tante iniziative promosse da forze politiche, sociali, sindacali, religiose,stanno contribuendo a creare una nuova coscienza attorno al dramma delle morti sul lavoro. A questo positivo processo ha contribuito anche il silenzioso e quotidiano lavoro che è stato svolto dallo spazio che questo sito ha voluto dedicare a simili temi e che è stato impostato e gestito con grande rigore da Raffaelle Siniscalchi e da Diego Alhaique.
Il carteggio che qui pubblichiamo tra le organizzazioni sindacali e i vertici della Fsni dimostrano che forse è giunto il momento propizio per promuovere un appuntamento nazionale che metta insieme il mondo della comunicazione e quello del lavoro per arrivare all’approvazione di una campagna nazionale che faccia della cultura della prevenzione, della sicurezza e della lotta senza quartiere contro le morti bianche, un’autentica priorità nazionale. Se almeno un centesimo del tempo che viene dedicato dalle tv a spiare la vita degl’altri dal buco della serratura venisse dedicata alla rappresentazione della vita, e delle vite reali, ci sarebbero tempo e spazio sufficienti per programmare un’ efficace campagna mediatica.
La triste realtà, tuttavia, è che quasi tutte le tv, salvo le poche lodevoli eccezioni che spesso citiamo, sono ormai in mano ai signori degli appalti che sempre più spesso preparano e vendono programmi dove la realtà è ricostruita secondo i moduli dello spettacolo e della finzione, con tanto di ospiti pagati a tariffa, un tanto a lacrima.
Siamo arrivati al punto che, come ha acutamente scritto Norma Rangeri nel suo ultimo libro “Chi l’ha vista”, nella stessa serata e nello stesso orario, sulle reti della Rai e di Mediaset, si siano affrontati due programmi prodotti dalla solita Endemol, per altro ora controllata dalla medesima Mediaset che, in questo modo, vive anche nei palinsesti della Rai. Vi possiamo assicurare che per rilevare tale stranezza non è stato necessario ricorrere ad alcuna intercettazione telefonica….
Gli ospiti non a pagamento e i cittadini che fanno le domande ed esigono le risposte non sono più graditi. Adesso tutti hanno scoperto la “monnezza” ma quando Michele Santoro, Sandro Ruotolo, Milena Gabbanelli, per citare i casi più clamorosi, indagarono sulla discariche della Campania e sui loschi traffici che vi fiorivano furono accolti da invettive traversali. Allo stesso modo quando le famiglie degli operai di Torino o le mogli e le madri dei lavoratori morti a Monfalcone, urlano la loro rabbia, c’è sempre qualcuno che si risente per i loro eccessi e per l’ indebita amplificazione prodotta dai media. Questo club di “indignati speciali” non ha mai trovato il tempo e la voglia per indignarsi nei confronti di quelle trasmissioni dove si assiste alla più indecente mercificazione del dolore, degli affetti e si pratica il più inverecondo ossequio nei confronti degli “amici degli amici” persino quando si tratta di condannati per associazione mafiosa o per aver corrotto i magistrati.
L’Italia che continua a reclamare la legalità e a contrastare i poteri criminali non è stata mai invitata nei salotti a pagamento non appassiona le signore e i signori che producono i programmi dedicati ai grandi fratelli e ai piccoli cugini.
Dal servizio pubblico (ma non solo dal servizio pubblico) da tutti gli operatori dell’informazione, ci attendiamo uno scatto d’orgoglio, uno scontro aperto e dichiarato tra i custodi degli appalti e delle logge della conservazione e chi vorrebbe ridare forza, autonomia e dignità all’idea stessa d’impresa pubblica come ebbero a scrivere proprio su questo sito Enzo Biagi e Loris Mazzetti. Se questo non accadrà i signori delle logge e degli appalti continueranno a dominare e a tentare di mettere sotto il loro tallone, non solo l’intero mondo dei media, ma anche tanta parte della politica.
La Rai in queste ore è stata ulteriormente calpestata ed umiliata e nuovamente sottomessa alla logica del conflitto d’interesse. La destra sta facendo il suo mestiere con la consueta determinazione e spietatezza, ma noi, cosiddetti progressisti,cosa stiamo facendo? E’ inutile essere ipocriti le reazioni sono state deboli ed inefficaci. Non sempre, neppure noi di Articolo 21, abbiamo risposto con la necessaria durezza. Troppi trasversalismi deteriori sono stati tollerati. Troppi atteggiamenti equivoci sono stati condivisi, ma soprattutto non si è contrastata a tutti i livelli la logica della omologazione, della cancellazione di ogni differenza,della superficialità,del modello produttivo e organizzativo nel quale la finzione si è mangiata la realtà. Di fronte a quello che sta accadendo le unità corporative e gli unanimismi di facciata non servono più, anzi servono a renderci tutti complici e conniventi.
In questi ultimi mesi, per fortuna, qualcosa e qualcuno ha cominciato a rialzare la testa. Le organizzazioni sindacali, dall’Usigrai alla Cgil, stanno urlando il oro no alla svendita di quello che ancora resta della Rai. Gli autori del cinema, della televisione, della fiction, stanno tentando di rimettere insieme tutto il mondo degli autori (come ci hanno raccontato su questo stesso sito Santo della Volpe , Daniele Lucchetti, Michele Conforti e tanti altri).
La Fsni e le organizzazioni dei lavoratori stanno tentando una nuova alleanza non solo sui temi legati alla contrattazione,ma anche sulle questioni relative alla legalità, alla sicurezza, alla lotta contro le morti bianche.
L’Associazione Libera, coordinata da Don Luigi Ciotti, sta promuovendo iniziative ovunque per favorire una rinnovata attenzione dei media sul tema della lotta alla criminalità e ai poteri mafiosi.
La Tavola della Pace ha deciso d’indire un anno d’iniziative dedicate al tema della tutela dei diritti umani e civili e tra questi ha significativamente inserito il diritto individuale e collettivo, non solo a ricevere ma anche a produrre informazione.
Negli anni scorsi quest’associazione sotto la decisiva spinta di Enzo Biagi, di Sergio Lepri, del nostro presidente Federico Orlando,ha dato vita , insieme a decine di altre associazioni al “comitato per la libertà d’informazione” che si pose il compito di contrastare le leggi ad personam e di denunciare i guasti provocati dall’irrisolto conflitto d’interesse. Quel comitato riuscì persino a proporre e a far approvare una clamorosa risoluzione nella sede del Parlamento europeo.
Adesso è giunto il momento di rimetterlo in funzione per reclamare non solo il superamento della leggi vergogna ma anche soprattutto per sollecitare anche in questo campo l’approvazione di norme serie, rigorose, di tipo europeo, quali sono anche le pacatissime riforme avanzate dal ministro Gentiloni.
Silvio Berlusconi, al di là delle smentite che non smentiscono nulla, ha proposto un baratto tra una nuova legge elettorale e l’integrale tutela del suo interesse privato. Non basta più respingere l’indecente proposta (e vorrei vedere il contrario!),ma è necessario aggiungere che una nuova legge elettorale che non venisse accompagnata dalla contestuale risoluzione dell’anomalia italiana in materia di conflitto d’interessi e di assetto dei media, ci condannerebbe a restare una democrazia dimezzata, un paese a rischio di “regime mediatico” per usare una espressione cara ad Umberto Eco. Le condizioni di una possibile riproposizione di quel regime ci sono ancora e non mancano neppure le viltà, gli opportunismi di singoli e di piccoli gruppi all’interno della stessa maggioranza.
Per queste ragioni l’Associazione Articolo21 chiederà a tutte le forze associative, professionali e sindacali del settore della comunicazione di riprendere il cammino interrotto e di promuovere una campagna nazionale per richiedere a gran forza l’immediato rispetto degli impegni assunti in materia di conflitto d’interesse e di riforma della tv pubblica e privata che erano contenuti nel programma del centro- sinistra e che sino ad oggi non sono stati rispettati.
Per quanto ci riguarda proseguiremo su questa strada con grande spirito unitario ma anche con grande vigore e se questo dovesse comportare qualche polemica e persino qualche rottura con alcuni amici e compagni, sarà sempre preferibile al rischio che i ricatti e le minacce di Berlusconi possano far prevalere quel trasversalismo degli affari e delle logge che già tanti guasti ha provocato alla democrazia italiana.
G. Giulietti

14 gennaio 2008

Un'accelerazione della "deflazione" o depressione?


La gente tornerà a fare shopping abbastanza presto?
«Per altri tre-quattro mesi non sarà chiaro a quanto arriverà il rallentamento», dicono gli analisti di Shore Capital.
Lo chiamano rallentamento.
Pudico eufemismo.
Il processo che quegli analisti descrivono - prezzi bassi ma nessuno compra, aspettando che abbassino ancora - si chiama «deflazione» ed è il segno che la recessione sta per diventare «depressione».
Qualcosa del genere sta avvenendo anche in Italia nel settore immobiliare.
Nei modi rallentati propri di un mercato ingessato, come il nostro, da vincoli di locazione, tasse e spese notarili.
Ma il segnale che il boom della case sta cedendo viene da un breve articolo apparso su 24 Ore e segnalatoci da un lettore: «Arrivano i saldi immobiliari. La sede italiana del gruppo americano Remax ha presentato a Milano una maxi operazione di sconti che riguarda 500 tra i 10mila immobili detenuti in portafoglio e pubblicati online. Il motivo è il riconoscimento che il mercato immobiliare sta rallentando: il numero di compravendite nel 2008 è previsto in calo del 7% (fonte: Scenari immobiliari), il tempo medio di attesa è salito a 5 mesi (fonte: Nomisma)».
La Remax è un’agenzia immobiliare, tipo una grossa Tecnocasa.
Ecco come ha fatto: «Lo scorso 15 ottobre Remax Italia ha stampato i prezzi di tutti gli immobili presenti sul proprio sito; ha consegnato l’elenco al notaio; ha chiamato tutti i proprietari chiedendo loro se volevano partecipare all’iniziativa e ha registrato la percentuale di sconto che i proprietari interessati erano disposti a fare».
La manovra è ragionevole.
In Italia, i proprietari che hanno messo in vendita la casa tengono duro chiedendo prezzi da boom, ormai irrealisti, anche perché questi proprietari-venditori di solito non hanno un mutuo da pagare su quella casa, e dunque possono aspettare.
Ma i compratori non si fanno avanti, anche perché loro il mutuo devono accenderlo, se non vedono prezzi più bassi.
Il mercato è dunque immobile, cinque mesi per vendere un appartamento, calo delle compravendite del 7%.
La Remax tenta giustamente di rimettere in moto il mercato (se no lei non vede le grasse commissioni) chiedendo ai venditori di aderire volontariamente a ribassi, più realistici.
Ed ecco il risultato secondo 24 Ore: «Ha aderito all'iniziativa il 5% dei proprietari che in media ha scontato il prezzo dell’immobile dell’8,8% (Milano 8%, a Roma 12%, a Novara 25%). Meno dell’11,3% di sconto medio previsto da Nomisma per quest’anno, ma pur sempre una base di partenza della trattativa a un prezzo più basso».
«Si tratta di immobili di 220 località diverse proveniente per il 55% da Lombardia e Piemonte. Il valore medio dell’immobile scontato è di 268mila, superiore alla media di 250mila del valore degli immobili compravenduti riscontrata da Nomisma nel secondo semestre 2007 (per gli immobili acquistati con mutuo). Il picco massimo degli sconti (-47%) è stato raggiunto a Torino con un immobile che da una richiesta di 38mila euro è sceso a 20mila euro. Il valore degli immobili, che saranno online lunedì (i ‘saldi’ andranno avanti fino al 29 febbraio), va da 40mila a 4 milioni di euro».
Dunque: saldi di case in regioni «ricche» e assetate di tetto, Piemonte e Lombardia.
Tipici buoni appartamenti da 3-4 locali.
Lasciando perdere la super-offerta dell’immobile di Torino offerto col 47% di sconto (sarà un garage umido…), sembra conveniente.
Si può pensare che parecchi corrano a comprare con lo sconto di fine stagione.
Invece no.
Lo consiglia anche 24 Ore: «Lasciarsi ingolosire dall’offerta conviene davvero? Se si acquista con uno sconto del 10% oggi, in effetti, si corre il rischio che a fine anno il calo del mercato risulti analogo. Il rendimento dell’investimento da rivalutazione dell’immobile, in questo caso, sarebbe di fatto nullo. Insomma, chi può rimandare l’acquisto farebbe bene ad aspettare da qualche mese a fine anno per capire dove va davvero il mercato».
Dunque anche il giornale della Confindustria consiglia: aspettate a comprare casa, fra qualche mese i prezzi saranno ancora più bassi.
E’ il meccanismo psicologico che porta alla deflazione.
E presto coinvolgerà tutti gli acquisti che possono essere rimandati, con le conseguenze storiche della deflazione.
Presto offriranno sconti su auto, computer, elettrodomestici, iPod, telefonici ed altre carabattole elettroniche, poi scarpe e vestiario.
Non dite: bello, finalmente i prezzi calano!
Se potessimo mangiare computer e iPod sarebbe bello, ma mangiamo grano e carne e latte, che rincarano su scala mondiale, e vengono trasportati dal petrolio, che rincara e rincarerà per la domanda crescente dei nuovi consumatori-giganti, Cina e India.
Per le imprese, non sarà bello per niente.
Perché le imprese sono indebitate, e se non vendono non servono il debito con le banche.
Dapprima offriranno sconti; poiché la gente aspetta altri ribassi, i loro magazzini e piazzali si affolleranno di invenduto, e costeranno di più.
Arriva il punto in cui i profitti, limati, non bastano a pagare le rate dei fidi.
Cominceranno a fallire, con perdita di esportazioni, produzione, lavoro, profitti, disoccupazione crescente.
Per l’Italia, il processo sarà aggravato non primariamente - come in Gran Bretagna e in USA - dalle follie della finanza speculativa e dai consumatori stra-indebitati, ma dalla tassazione spoliatrice di Visco, peggiorata dalla truffa dell’IVA.
Lo Stato non paga i crediti IVA alle imprese, è noto.
Visco ha abolita la norma che consentiva di defalcare i crediti IVA compensandoli con altri contributi dovuti (altre tasse, contributi INPS, eccetera).
I piccoli imprenditori devono pagare l’IVA che non devono (e che non si sa se rivedranno mai restituita), e pagare anche le tasse e i balzelli più esosi d’Europa, mentre vendono meno e con profitti minori.
Aggrediti da tutti i lati, dallo Stato e dal mercato, soccomberanno presto.
La restituzione dell’IVA diventa cruciale per le piccole imprese, per quelle marginali: è il denaro liquido che serve loro per continuare ad operare.
Siccome Visco se lo trattiene, le imprese devono procurarsi denaro in banca, ad interessi che non scenderanno certo.
Visco dà il colpo di grazia ad un’economia reale che già arranca, sfiancata e meno produttiva delle altre europee.
Dunque ecco il futuro: avremo deflazione (prezzi calanti) per auto e iPod, di cui possiamo fare a meno, ma inflazione dei beni necessari ogni giorno, cibo, carburante, riscaldamento.
Naturalmente Visco dovrebbe accelerare almeno i rimborsi IVA.
Pensate lo farà?
Nemmeno per sogno.
Lui e l’altro complice Padoa Schioppa hanno appena ricevuto le lodi di Almunia, l’eurocretino: bravi, avete ridotto il debito pubblico all’1,3% del PIL.
Trichet, il governatore della Banca Centrale Europea, ha aggiunto: state solo attenti all’inflazione e ai prezzi.
Trichet si preoccupa dell’inflazione, mentre ci sono segni di delazione (in certi prezzi).
Anche la Federal Reserve di Chicago, nel 1929, si preoccupava dell’inflazione, mentre la deflazione era in pieno corso (2).
La FED rialzò i tassi d’interesse per due volte nel 1931.
Trichet sta facendo lo stesso.
Incompetenti, contabili e non economisti.
Ad Almunia non importa un fico che il «risanamento» sia stato ottenuto non con la riduzione della spesa pubblica corrente (anzi, aumentata quasi del 4%), né con la riduzione degli interessi sul debito (aumentati del 12,2%), bensì esclusivamente con l’ipertassazione: più 13% dalle imposte dirette (chi di voi ha guadagnato il 13% in più, l’anno scorso?), aggravio delle imposte indirette (più 4%), dei contributi sociali (più 5,8%, con pari aumento del costo del lavoro) e addirittura un aggravio del 40,6% delle imposte in conto capitale (praticamente raddoppiate: e sono imposte che intaccano non il reddito dei contribuenti ma il loro patrimonio o capitale, quindi la capacità di azione imprenditoriale).
Ad Almunia non interessa il trucco del mancato pagamento dell’IVA, vera truffa di Stato a danno dei cittadini.
E nemmeno l’altro trucco nei conti di Padoa Schioppa: le minori uscite sono dovute in grande parte al blocco degli «investimenti pubblici».
Lo Stato smette di spendere in infrastrutture pubbliche che servono all’economia, ma non smette di spendere per i suoi stipendi, auto blu ed aerei.
Anzi la spesa corrente sta per aumentare di nuovo perché pende il contratto del pubblico impiego: gli statali vogliono i loro 4-5 miliardi di euro di aumento complessivo, più il recupero dell’inflazione.
Lo vogliono da noi contribuenti che non abbiamo aumenti, e men che meno il recupero dell’inflazione.
Il «risanamento» lodato di Padoa Schioppa è dunque insostenibile nel tempo.
Quando gli statali avranno i loro aumenti, già non ci sarà più.
E i contribuenti dovranno pagare forse un 10 miliardi aggiuntivi.
Ce la faremo?
Alla fine, calerà anche l’introito tributario, per forza: i falliti non pagano tante tasse, e nemmeno i disoccupati.
E nemmeno i proprietari di case invendute pagano più le super-imposte sugli immobili, imposte in conto capitale, quelle che sono raddoppiate.
Come dice Tremonti: «E’ l’economia che determina i conti pubblici, non il contrario».
Visco e Padoa Schioppa credono giusto l’opposto, che i conti pubblici siano una variabile indipendente dall’economia, e che si possa «risanare» il debito pubblico a forza di tasse spoliatrici mentre i produttori smettono di produrre per la depressione mondiale.
Vedremo chi ha ragione.

fonte:tratto da M. Blondet