27 gennaio 2008

Prigionieri del MOSTRO/DEBITO


Il bravo Pierluigi Paoletti affronta la questione crisi italiana e globale guardando solo i numeri. Un mostro che cresce in modo spaventoso, con la delicatezza, di un elefante in un negozio di swarovski.

Il debito è stata la molla con la quale si è scelto di far crescere il mondo occidentale.
Attraverso la necessità di restituire più di quanto si è ricevuto in prestito le persone, le imprese hanno ricevuto lo stimolo per fare sempre di più, ingegnandosi per mettere a frutto i propri investimenti. Questo artificio, almeno nel dopoguerra, ha messo in moto la ricostruzione ed ha premiato chiunque abbia intrapreso un’attività imprenditoriale, ma anche i lavoratori dipendenti sono stati promossi dal sistema a “consumatori” http://www.centrofondi.it/articoli/commercio_anima.htm e quindi hanno visto il proprio reddito
aumentare e di conseguenza anche il loro tenore di vita.
Il debito nel dopoguerra è stato un poderoso stimolo all’economia drenando il denaro e mettendo in moto quel meccanismo virtuoso di crescita economica.
Il perché è intuitivo, dopo una guerra ci sono tantissime cose da (ri)costruire, mercati
vergini da sviluppare, portare una classe operaia e impiegatizia a consumare in modo da alimentare e rendere duraturo e stabile l’intero meccanismo ecc.
In una situazione del genere il debito viene assorbito benissimo anche se gli enormi proventi da questo generati entrano in tasche private, leggi banche.
In quegli anni un dollaro di debito generava oltre 4 dollari e questo è accaduto, ovviamente con alti e bassi, fino agli anni ’80 -’90.
La questione si è complicata quando il debito ha iniziato l’ascesa esponenziale che ha
portato il livello di indebitamento ai livelli attuali erodendo enormi fette di reddito
necessarie per il normale ed equilibrato andamento della vita economica, come abbiamo avuto modo di vedere nell’ultimo report sulla funzione sociale delle banche.
Nella situazione in cui siamo, un dollaro di debito non produce più niente e ci si deveindebitare anche per vivere e questo non è più sostenibile. Uno studio pubblicato ieri della Confcommercio ha evidenziato come gli stipendi siano rimasti ai livelli del 1992, mentre iprezzi sappiamo che sono praticamente raddoppiati e quindi il potere di acquisto dimezzato.
Come si può uscire da questo incubo in cui la fine è annunciata? Adottando l’unica possibile soluzione ovvero una moratoria dei debiti o addirittura un azzeramento dell’intero debito.
Conoscendo i meccanismi di creazione del denaro e sapendo come quei debiti sianoillegittimi, noi propendiamo ovviamente per la seconda ipotesi.
Non esiste altra soluzione.
E non è che gli antichi non conoscessero i danni e la pericolosità del meccanismo degli interessi composti, infatti nella più famosa preghiera cristiana, il Padre Nostro, si recita: dacci oggi il nostro pane quotidiano e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, e appare così chiara la funzione del Giubileo che azzerava ogni 50 anni idebiti, spirituali e materiali (oggi solo quelli spirituali).
Ma anche l’anno Sabbatico, ogni 7 anni, del popolo ebraico ha la stessa funzione pratica e non è un caso che l’Islam abbia messo al bando l’usura e la pratica di richiedere interessi.
Pio XI nel 1931 nella Quadragesimo Anno scrisse: «E in primo luogo ciò che ferisce gli occhi è che ai nostri tempi non vi è solo concentrazione di ricchezza, ma l'accumularsi altresì di una potenza enorme, di unadispotica padronanza dell'economia in mano di pochi, e questi sovente neppure proprietari, ma solo depositari e amministratori del capitale, di cui essi però dispongono a loro grado e piacimento. Questo potere diviene poi più che mai dispotico in quelli che, tenendo in pugnoil danaro, la fanno da padroni; onde sono in qualche modo i distributori del sangue stesso,
di cui vive l'organismo economico, e hanno in mano, per così dire, l'anima dell'economia, sicché nessuno, contro la loro volontà, potrebbe nemmeno respirare. (…) Nell'ordine poi delle relazioni internazionali, da una stessa fonte sgorgò… non meno funesto ed esecrabile,
l'imperialismo internazionale del denaro, per cui la patria è dove si sta bene» (numero 105- 106 - 109).
Adesso però il Moloch che è stato creato, vive di vita propria e sta dando i suoi colpi
violenti che una classe dirigente impotente, ignora.
Classe politica IMPOTENTE perché grazie ad i vari passaggi giuridici, trattato di Maastricht, riforma costituzionale ed altre piccolezze del genere, ha messo nelle mani di organi sovranazionali imposti e non eletti da nessuno, come la commissione europea, il
WTO, il FMI, la Banca Mondiale, la BCE, La Banca dei Regolamenti ecc., è assolutamente impotente e non può altro che spartirsi le ricchezze di uno stato, ma consoliamoci che in tutto il mondo ormai allo sfascio,accade la stessa cosa.
Nuove elezioni quindi non potranno fare assolutamente NIENTE se non far continuare il banchetto agli avvoltoi che si spartiscono la carcassa. E qui destra sinistra e centro sono allo
stesso modo complici e colpevoli di questo stato di cose.
In questo momento il Moloch sta tirando colpi che mettono in ginocchio ogni tipo di potere che ha permesso di arrivare a questo punto, sia esso politico, economico o addirittura religioso.
In pratica il mostro sta seguendo la strada della creatura creata dallo scienziato Victor
Frankenstein (Bankestein per Marco Saba) che si vendica contro chi lo ha generato.
Oggi il potere nel suo insieme non ha alternative e se non prenderà in considerazione un suo ravvedimento sarà vittima della propria ingordigia.
Il ravvedimento, è bene precisare che richiede molta intelligenza e sinceramente è una qualità che oggi è scomparsa letteralmente chi ha una qualche responsabilità di governo, Prodi, Fini, Veltroni, Padoa Schioppa, Berlusconi, Bondi, Dini, Draghi, Trichet, Bernanke, Bush, Hilary Clinton&C, Sarkozy ecc. al massimo possono fare gli interpreti principali di un varietà o i pagliacci di un circo.
E allora, cari amici, solo noi abbiamo la possibilità di venire fuori da questa palude di sabbie mobili, rendendoci conto che nelle nostre mani è il futuro nostro e di chi verrà dopo di noi.
Bisogna mettere da parte la stanchezza ed il pessimismo di vivere e farci restituire il potere che ci appartiene di decidere le nostre sorti.
Nessun altro potrà fare questo lavoro al posto nostro e quindi, come oramai facciamo damolto tempo, incoraggiamo a rimboccarci le maniche e attuare quel cambiamento che le istituzioni ci negano. Il futuro è quello che riusciamo a costruirci da ora in poi mettendoci a costruire insieme una rete di rapporti e collaborazioni che a grandi passi ci indicheranno la strada da seguire. Se vi fa piacere saperlo molti lo stanno già facendo e vi invitiamo a vedere domani rai due dalle 11.00 in poi dove saremo con i ragazzi di Napoli ad illustrare il nostro progetto sui Buoni Locali SCEC (la Solidarietà ChE Cammina).
La FED intanto inietta morfina al malato terminale abbassando i tassi in modo preoccupante che fa intravedere la pericolosità della situazione. Alla Fed si contrappone una BCE cheminacciando di aumentare i tassi, farebbe sbellicare dal ridere se avessimo ancora la forza dell’ironia. La realtà è che la bce cerca di agevolare in tutti i modi l’operazione recupero americana per dargli slancio per le elezioni.

26 gennaio 2008

Cioccolatini indigesti?



Adesso è il tempo delle dimissioni. Ce n'è per tutti belli e/o brutti .
Dopo aver festeggiato alla palermitana, qualcosa sarà andata di traverso, forse la crema sapeva troppo di rhum, oppure, alcuni cioccolatini, i famosi fiat, non avevano un buon retrogusto
.

Il vicerè di Sicilia, Totò Cuffaro si dimette. E’ il trionfo dei cannoli. Più cannoli per tutti. Cannoli in famiglia per salutare il ritorno in famiglia del figliol prodigo. Cannoli in piazza per l’opposizione guidata da Rita Borsellino che aveva organizzato una manifestazione per chiederne le dimissioni. Le dimissioni ci sono state, in aula, e l’assemblea regionale è stata sciolta. La parola passa ai cittadini che dovranno votare entro tre mesi per eleggere il nuovo presidente e il nuovo parlamento.
«Mio fratello si dimette da governatore». Poco prima dell'intervento di Salvatore Cuffaro, era stato il fratello del presidente della Regione Sicilia a rompere gli indugi. «Si dimetterà, ce lo ha detto. Non poteva fare altrimenti, questo accanimento giudiziario ma anche politico non poteva andare avanti». «Lo accoglieremo in famiglia per dargli la serenità che merita - ha aggiunto Silvio Cuffaro -. Ora sì che vale la pena di fare festa con i cannoli».
Una festa in piazza è stata organizzata dal centrosinistra e da diverse associazioni della società civile. «L'iniziativa resta. Se prima aveva il senso di una richiesta di dimissioni, adesso assume il valore di una presa d'atto che punta a chiedere un rilancio dell'isola libera da ogni condizionamento in una regione in cui, dopo le prese di posizioni degli imprenditori, anche la politica ha il compito di fare la sua parte» ha spiegato la leader dell'Unione all'Ars Rita Borsellino.
«Ci saremo e saremo in migliaia e con noi porteremo 100 chili di cannoli che sono un simbolo della Sicilia pulita e migliore e non di coloro che pensano soltanto a fare affari e a difendere il proprio potere» ha aggiunto uno degli organizzatori, Pietro Galluccio.
Le principesche dimissioni del vicerè favoreggiatore di singoli mafiosi non di Cosa Nostra nel suo complesso. "Francamente preferisco la via dell'umiltà. Lo faccio per non tradire quegli ideali ai quali sono stato educato, lo faccio per la mia famiglia e lo faccio come ultimo atto di rispetto verso i siciliani, che in questi anni ho servito con dedizione, semplicità e con quella onestà che sono certo mi verrà completamente riconosciuta". Ha detto il presidente della Regione siciliana, Salvatore Cuffaro, in aula all'Assemblea regionale siciliana durante l'annuncio delle sue dimissioni. "Fino a quando non ci sarà una sentenza definitiva -aggiunge il governatore-, ci sarà una verità processuale e una verità sostanziale. Con la mia decisione rispetterò la prima".
Peccato che la verità dei fatti narra di incontri nel retrobottega di un elegante negozio di lingerie tra l viceré e un imprenditore-politico-mafioso per parlare di notizie riservate. Totò lo ha sempre affermato, non ha favorito la mafia ma singoli mafiosi. Ah, meno male. Che galantuomo.
Totò, il vicerè, avrà almeno comprato una ghepierre?
"Già al momento della sentenza sentivo dentro di me il dovere di compiere questo passo, ma ho deciso di attendere fino all'approvazione del bilancio e della legge Finanziaria per senso di responsabilità verso una terra che continuerò ad amare e che in questi anni ho servito fedelmente". Ha detto ancora il presidente della Regione Sicilia, Salvatore Cuffaro, intervenendo in aula per annunciare le sue dimissioni irrevocabili. "Non potevo lasciare -ha detto ancora- che ogni mia decisione fosse assunta senza conoscere la volontà dell'assemblea regionale. Le dimissioni non sono dunque frutto di alcun automatismo ma costituiscono una scelta personale assunta per ragioni umane e politiche".
Scelte umane, come quella di festeggiare con i cannoli, la condanna in primo grado a cinque anni e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Ogni uomo è un’isola…

''Prendo atto della decisione del Presidente della Regione e annuncio che si procederà entro i successivi tre mesi all'elezione del nuovo presidente''. Ha detto il presidente dell'Assemblea regionale siciliana, Gianfranco Miccichè, intervenendo in aula subito dopo l'annuncio delle dimissioni. Ogni isola ha i suoi uomini. E ogni umo i suoi piatti preferiti. Totò i cannoli, Micciché… insisto, meglio gli arancini di Montalbano.
Ed ogni isola festeggia le condanne a modo suo. Al suo ingresso a palazzo dei Normanni, il vicerè, era stato accolto da uno scrosciante applauso di molti deputati della maggioranza. «Tutti i gruppi parlamentari del centrodestra hanno fatto a Cuffaro una richiesta affettuosa e istituzionale di restare al suo posto. Tutti i gruppi hanno ribadito il senso della fiducia votata giovedì scorso» aveva detto il capogruppo di An all'Assemblea regionale, Salvino Caputo. Insomma, la moratoria sulla pena di mrte ha avuto i suoi effetti anche sugli ex forcaioli di An.
Il presidente dell'Assemblea Gianfranco Miccichè, di Forza Italia, ha commentato: «Tutti apprezzino il senso di responsabilità di Cuffaro. Nella mia pur breve vita politica non mi era mai capitato di assistere all'assunzione di scelte, sia dal punto di vista umano che politico, così difficili». Anche se poi non così, tempestive. Ci permettiamo di aggiungere. Peccato che i politici siciliani non curino meglio le persone che frequentano. A Palermo come a Roma, ministero delle Finanze incluso.
Nel chiudere la seduta dell'Ars Miccichè ha ricordato che «le elezioni saranno indette entro tre mesi dallo scioglimento come previsto dalla legge. Nelle more il governatore e gli assessori manterranno i poteri per l'ordinaria amministrazione». È la prima volta nella storia dell'autonomia siciliana che viene sciolta l'Assemblea regionale. Era ora.
Il leader dell'Udc Casini esprime «un profondo apprezzamento per il suo senso delle istituzioni e per il suo amore per la Sicilia». «La polemica mafia-antimafia non si può fare sulla pelle di Cuffaro e dell'Udc anche da parte di chi, in questi giorni, ha avuto un po' troppe amnesie - ha detto il leader dell’Udc - . Sono certo che tra qualche mese, quando Cuffaro sarà assolto da tutte le accuse, tanti sciacalli di queste ore saranno in prima fila a chiedergli scusa». Vedremo.
Duro il commento di Antonio Di Pietro: «Non si dimette per scelta personale e senso di responsabilità, bensì per evitare un provvedimento che lo avrebbe obbligato a rassegnarle. Cuffaro anticipa una decisione dettata dall'ordinamento vigente, come ho ampiamente argomentato nella lettera che inviai giorni fa al presidente Prodi e ai ministri Lanzillotta e Amato. Le dimissioni di Cuffaro, quindi sono ben altro che un atto etico e morale. La grave condanna riportata e le motivazioni della sentenza non lasciano dubbi: le dimissioni erano e sono l'unica strada da prendere».
Ma ai cannoli no, la famiglia dei vicerè non rinuncia. E sia. Più cannoli per tutti.
Pino Finocchiaro

24 gennaio 2008

De Magistris lascia l'ANM



Era nell'aria, ma gli avvenimenti stanno precipitando in una lenta ma inesorabile successione di eventi.
Ecco la lettera con la quale il pm Luigi De Magistris si dimette dall'Associazione nazionale magistrati (come già aveva fatto la collega Ilda Boccassini due settimane fa), dopo la decisione del Csm di rimuoverlo dalla sede di Catanzaro e dall'ufficio di pm.


Già da alcuni mesi avevo deciso - seppur con grande rammarico - di dimettermi dall'Associazione nazionale magistrati. I successivi eventi che mi hanno riguardato, le priorità dettate dai tempi di un processo disciplinare tanto rapido quanto sommario, ingiusto ed iniquo, mi hanno imposto di soprassedere.
Adesso è il tempo che 'tutti i nodi vengano al pettine'.

Vado via da un'associazione che non solo non è più in grado di rappresentare adeguatamente i magistrati che quotidianamente esercitano le funzioni, spesso in condizioni proibitive, ma sta - con le condotte ed i comportamenti di questi anni - portando, addirittura, all'affievolimento ed all'indebolimento di quei valori costituzionali che dovrebbero essere il punto di riferimento principale della sua azione.

L'Anm - che storicamente aveva avuto il ruolo di contribuire a concretizzare i valori di indipendenza interna ed esterna della magistratura - negli ultimi anni, con prassi e condotte censurabili ormai sotto gli occhi di tutti, ha contribuito al consolidamento di una magistratura 'normalizzata' non sapendo e non volendo 'stare vicino' ai tanti colleghi (sicuramente i più 'bisognosi') che dovevano essere sostenuti nelle loro difficili azioni quotidiane spesso in contesti di forte isolamento; ha fatto proprie tendenze e pratiche di lottizzazione attraverso il sistema delle cosiddette correnti; ha contribuito - di fatto - a rendere sempre più arduo l'esercizio di una giurisdizione indipendente che abbia come principale baluardo il principio costituzionale che impone che tutti i cittadini siano uguali di fronte alla legge.



L'Anm è divenuta, con il tempo, un luogo di esercizio del potere, con scambi di ruoli tra magistrati che oggi ricoprono incarichi associativi, domani siedono al Csm, dopodomani ai vertici del ministero e poi, magari, finito il 'giro', si trovano a ricoprire posti apicali ai vertici degli uffici giudiziari. È uno spettacolo che per quanto mi riguarda è divenuto riprovevole.

Anche io, per un periodo, ho pensato, lottando non poco come tutti i miei colleghi sanno, di poter contribuire a cambiare, dall'interno, l'associazionismo giudiziario, ma non è possibile non essendoci più alcun margine. Lascio, pertanto, l'Anm, donando il contributo ad associazioni che, nell'impegno quotidiano antimafia, cercano di garantire l'indipendenza concreta della magistratura molto meglio dell'associazionismo giudiziario.

Non vi è dubbio che anche il Consiglio superiore della magistratura, composto da membri laici, espressione dei partiti, e membri togati, espressione delle correnti, non può, quindi, non risentire dello stato attuale della politica e della magistratura associata.

I magistrati debbono avere nel cuore e nella mente e praticare nelle loro azioni i principi costituzionali ed essere soggetti solo alla legge.

So bene che all'interno di tutte le correnti dell'Anm vi sono colleghi di prim'ordine, ma questo sistema di funzionamento dell'autogoverno della magistratura lo considero non più tollerabile. Il Csm deve essere il luogo in cui tutti i magistrati si sentano, effettivamente, garantiti e tutelati dalle costanti minacce alla loro indipendenza.

Non è possibile assistere ad indegne omissioni o interventi inaccettabili dell'Anm, come ad esempio negli ultimi mesi, su vicende gravissime che hanno coinvolto magistrati che, in prima linea, cercano di adempiere solo alle loro funzioni: da ultimo, quello che è accaduto ai colleghi di Santa Maria Capua Vetere.

Non parlo delle azioni ed omissioni riprovevoli - da parte anche di magistrati, non solo operanti in Calabria - sulla mia vicenda perché di quello ho riferito alla magistratura ordinaria competente e sono fiducioso che, prima o poi, tutto sarà più chiaro.
Certo, lo spettacolo che mi ha visto in questi giorni protagonista, in un processo disciplinare che mi ha lasciato senza parole, ha contribuito a radicare in me la convinzione che questo sistema ormai è divenuto inaccettabile per tutti quei magistrati che ancora sentono e amano profondamente questo mestiere e che siamo ormai al capolinea.

Io sono orgoglioso - sembrerà paradossale - che questo Csm mi abbia inflitto la censura con trasferimento d'ufficio. Era proprio quello che mi aspettavo. Ed anche scritto, in tempi non sospetti. Ho già detto, ad un mio amico antiquario, di farmi una bella cornice: dovrò mettere il dispositivo della sentenza dietro la scrivania del mio ufficio ed indicare a tutti quelli che me lo chiederanno le vere ragioni del mio trasferimento.

La mia condanna disciplinare è grave e infondata, nei confronti della stessa farò ricorso alle sezioni unite civili della Suprema Corte di Cassazione confidando in giudici sereni, onesti, imparziali, in poche parole giusti. La condanna è, poi, talmente priva di fondamento, da ogni punto di vista, che la considero anche inaccettabile.

Mi viene inflitta la censura, devo lasciare Catanzaro ed abbandonare le funzioni di pubblico ministero in sostanza perché non ho informato i miei superiori in alcune circostanze e perché ho secretato un atto solo ed esclusivamente per salvaguardare le indagini ed evitare che vi fossero propalazioni esterne che danneggiassero le inchieste; senza, peraltro, tenere conto delle gravissime ragioni che hanno necessariamente ispirato alcune mie condotte. Troppo zelo, troppi scrupoli, troppo amore per questo mestiere. Del resto il procuratore generale che rappresentava l'accusa in giudizio, nel rimproverarmi, definendomi anche birichino, ha detto che concepisco le mie funzioni come una missione.

Ebbene, questa decisione, a mio umile avviso, contribuisce ad affievolire l'indipendenza della magistratura, conduce ad indebolire i valori ed i principi costituzionali, ci trascina verso una magistratura burocratizzata ed impaurita sotto il maglio e la clava del processo disciplinare.

Il rappresentante della Procura generale della Cassazione in udienza, il dr. Vito D'Ambrosio, ex politico, il quale per circa dieci anni è stato anche presidente della giunta della Regione Marche, ha sostenuto, durante il processo, sostanzialmente, che non rappresento, in modo adeguato, il modello di magistrato.

Ed invero, il modello di magistrato al quale mi sono ispirato è quello rappresentato da mio nonno magistrato (che ha subito anche due attentati durante l'espletamento delle funzioni), da mio padre (che ha condotto processi penali di estrema importanza in materia di terrorismo, criminalità organizzata e corruzione), dai miei magistrati affidatari durante il tirocinio, dai tanti colleghi bravi e onesti conosciuti in questi anni, da quello che ho potuto apprendere ed imparare, sulla mia pelle in contesti ambientali anche molto difficili, dall'esperienza professionale nell'esercizio di un mestiere al quale ho dedicato, praticamente, gran parte della mia vita. Il mio modello è la Costituzione repubblicana, nata dalla resistenza. Il modello 'castale' e del magistrato 'burocrate' non mi interessa e non mi apparterrà mai, nessuna 'quarantena' in altri uffici, nessun 'trattamento di recupero' nelle pur nobili funzioni giudicanti, potrà mutare i miei valori, né potrà far flettere, nemmeno di un centimetro, la mia schiena. Sarò sempre lo stesso, forse, debbo a questo appunto ammetterlo, un magistrato che per il 'sistema' è 'deviato ed eversivo'.

Pertanto, questa sentenza è, per me, la conferma di quello che ho visto in questi anni ed un importante riscontro professionale alla bontà del mio lavoro. Certo è una sentenza che nella sua profonda ingiustizia è anche intrinsecamente mortificante. Imporre ad un pubblico ministero, che si sa che ha sempre professato e praticato l'amore immenso per quel mestiere, di non poterlo più fare - sol perché ha 'osato', in pratica, indagare un sistema devastante di corruzione e cercato di evitare che una 'rete collusiva' ostacolasse il proprio lavoro e, quindi, condannandolo per avere, in definitiva, rispettato la legge - è un po' come dire ad un chirurgo che non può più operare, ad un giornalista di inchiesta che deve occuparsi di fiere in campagna, ad un investigatore di polizia giudiziaria che deve pensare ai servizi amministrativi. Farò di tutto, con passione ed entusiasmo intatti, nei prossimi mesi, per dimostrare quanto ingiusta e grave sia stata questa sentenza e che danno immane abbia prodotto per l'indipendenza e l'autonomia dei magistrati, ed anche e soprattutto per la Calabria, una terra (che continuerò sempre ad amare comunque finisca questa 'storia') che aveva bisogno di ben altri 'segnali' istituzionali.
Lavorerò ancor più alacremente nei prossimi mesi - prima del mio probabile allontanamento 'coatto' dalla Calabria - presso la Procura della Repubblica di Catanzaro per condurre a termine le indagini più delicate pendenti.

Non mi sottrarrò ad eventuali dibattiti pubblici anche tra i lavoratori, tra gli operai, tra gli studenti, nei luoghi in cui vi è sofferenza di diritti, per contribuire - da cittadino e da magistrato, con la mia forza interiore - al consolidamento di una coscienza civile e per la realizzazione di un tessuto connettivo sinceramente democratico.

Il Paese deve, comunque, sapere che vi sono ancora magistrati che con onore e dignità offrono una garanzia per la tutela dei diritti di tutti (dei forti e dei deboli allo stesso modo) e che non si faranno né intimidire, né condizionare, da alcun tipo di potere, da nessuna casta, esercitando le funzioni con piena indipendenza ed autonomia, in una tensione ideale e morale costituzionalmente orientata, in ossequio, in primo luogo, all'art. 3 della Costituzione repubblicana.

fonte:espresso

27 gennaio 2008

Prigionieri del MOSTRO/DEBITO


Il bravo Pierluigi Paoletti affronta la questione crisi italiana e globale guardando solo i numeri. Un mostro che cresce in modo spaventoso, con la delicatezza, di un elefante in un negozio di swarovski.

Il debito è stata la molla con la quale si è scelto di far crescere il mondo occidentale.
Attraverso la necessità di restituire più di quanto si è ricevuto in prestito le persone, le imprese hanno ricevuto lo stimolo per fare sempre di più, ingegnandosi per mettere a frutto i propri investimenti. Questo artificio, almeno nel dopoguerra, ha messo in moto la ricostruzione ed ha premiato chiunque abbia intrapreso un’attività imprenditoriale, ma anche i lavoratori dipendenti sono stati promossi dal sistema a “consumatori” http://www.centrofondi.it/articoli/commercio_anima.htm e quindi hanno visto il proprio reddito
aumentare e di conseguenza anche il loro tenore di vita.
Il debito nel dopoguerra è stato un poderoso stimolo all’economia drenando il denaro e mettendo in moto quel meccanismo virtuoso di crescita economica.
Il perché è intuitivo, dopo una guerra ci sono tantissime cose da (ri)costruire, mercati
vergini da sviluppare, portare una classe operaia e impiegatizia a consumare in modo da alimentare e rendere duraturo e stabile l’intero meccanismo ecc.
In una situazione del genere il debito viene assorbito benissimo anche se gli enormi proventi da questo generati entrano in tasche private, leggi banche.
In quegli anni un dollaro di debito generava oltre 4 dollari e questo è accaduto, ovviamente con alti e bassi, fino agli anni ’80 -’90.
La questione si è complicata quando il debito ha iniziato l’ascesa esponenziale che ha
portato il livello di indebitamento ai livelli attuali erodendo enormi fette di reddito
necessarie per il normale ed equilibrato andamento della vita economica, come abbiamo avuto modo di vedere nell’ultimo report sulla funzione sociale delle banche.
Nella situazione in cui siamo, un dollaro di debito non produce più niente e ci si deveindebitare anche per vivere e questo non è più sostenibile. Uno studio pubblicato ieri della Confcommercio ha evidenziato come gli stipendi siano rimasti ai livelli del 1992, mentre iprezzi sappiamo che sono praticamente raddoppiati e quindi il potere di acquisto dimezzato.
Come si può uscire da questo incubo in cui la fine è annunciata? Adottando l’unica possibile soluzione ovvero una moratoria dei debiti o addirittura un azzeramento dell’intero debito.
Conoscendo i meccanismi di creazione del denaro e sapendo come quei debiti sianoillegittimi, noi propendiamo ovviamente per la seconda ipotesi.
Non esiste altra soluzione.
E non è che gli antichi non conoscessero i danni e la pericolosità del meccanismo degli interessi composti, infatti nella più famosa preghiera cristiana, il Padre Nostro, si recita: dacci oggi il nostro pane quotidiano e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, e appare così chiara la funzione del Giubileo che azzerava ogni 50 anni idebiti, spirituali e materiali (oggi solo quelli spirituali).
Ma anche l’anno Sabbatico, ogni 7 anni, del popolo ebraico ha la stessa funzione pratica e non è un caso che l’Islam abbia messo al bando l’usura e la pratica di richiedere interessi.
Pio XI nel 1931 nella Quadragesimo Anno scrisse: «E in primo luogo ciò che ferisce gli occhi è che ai nostri tempi non vi è solo concentrazione di ricchezza, ma l'accumularsi altresì di una potenza enorme, di unadispotica padronanza dell'economia in mano di pochi, e questi sovente neppure proprietari, ma solo depositari e amministratori del capitale, di cui essi però dispongono a loro grado e piacimento. Questo potere diviene poi più che mai dispotico in quelli che, tenendo in pugnoil danaro, la fanno da padroni; onde sono in qualche modo i distributori del sangue stesso,
di cui vive l'organismo economico, e hanno in mano, per così dire, l'anima dell'economia, sicché nessuno, contro la loro volontà, potrebbe nemmeno respirare. (…) Nell'ordine poi delle relazioni internazionali, da una stessa fonte sgorgò… non meno funesto ed esecrabile,
l'imperialismo internazionale del denaro, per cui la patria è dove si sta bene» (numero 105- 106 - 109).
Adesso però il Moloch che è stato creato, vive di vita propria e sta dando i suoi colpi
violenti che una classe dirigente impotente, ignora.
Classe politica IMPOTENTE perché grazie ad i vari passaggi giuridici, trattato di Maastricht, riforma costituzionale ed altre piccolezze del genere, ha messo nelle mani di organi sovranazionali imposti e non eletti da nessuno, come la commissione europea, il
WTO, il FMI, la Banca Mondiale, la BCE, La Banca dei Regolamenti ecc., è assolutamente impotente e non può altro che spartirsi le ricchezze di uno stato, ma consoliamoci che in tutto il mondo ormai allo sfascio,accade la stessa cosa.
Nuove elezioni quindi non potranno fare assolutamente NIENTE se non far continuare il banchetto agli avvoltoi che si spartiscono la carcassa. E qui destra sinistra e centro sono allo
stesso modo complici e colpevoli di questo stato di cose.
In questo momento il Moloch sta tirando colpi che mettono in ginocchio ogni tipo di potere che ha permesso di arrivare a questo punto, sia esso politico, economico o addirittura religioso.
In pratica il mostro sta seguendo la strada della creatura creata dallo scienziato Victor
Frankenstein (Bankestein per Marco Saba) che si vendica contro chi lo ha generato.
Oggi il potere nel suo insieme non ha alternative e se non prenderà in considerazione un suo ravvedimento sarà vittima della propria ingordigia.
Il ravvedimento, è bene precisare che richiede molta intelligenza e sinceramente è una qualità che oggi è scomparsa letteralmente chi ha una qualche responsabilità di governo, Prodi, Fini, Veltroni, Padoa Schioppa, Berlusconi, Bondi, Dini, Draghi, Trichet, Bernanke, Bush, Hilary Clinton&C, Sarkozy ecc. al massimo possono fare gli interpreti principali di un varietà o i pagliacci di un circo.
E allora, cari amici, solo noi abbiamo la possibilità di venire fuori da questa palude di sabbie mobili, rendendoci conto che nelle nostre mani è il futuro nostro e di chi verrà dopo di noi.
Bisogna mettere da parte la stanchezza ed il pessimismo di vivere e farci restituire il potere che ci appartiene di decidere le nostre sorti.
Nessun altro potrà fare questo lavoro al posto nostro e quindi, come oramai facciamo damolto tempo, incoraggiamo a rimboccarci le maniche e attuare quel cambiamento che le istituzioni ci negano. Il futuro è quello che riusciamo a costruirci da ora in poi mettendoci a costruire insieme una rete di rapporti e collaborazioni che a grandi passi ci indicheranno la strada da seguire. Se vi fa piacere saperlo molti lo stanno già facendo e vi invitiamo a vedere domani rai due dalle 11.00 in poi dove saremo con i ragazzi di Napoli ad illustrare il nostro progetto sui Buoni Locali SCEC (la Solidarietà ChE Cammina).
La FED intanto inietta morfina al malato terminale abbassando i tassi in modo preoccupante che fa intravedere la pericolosità della situazione. Alla Fed si contrappone una BCE cheminacciando di aumentare i tassi, farebbe sbellicare dal ridere se avessimo ancora la forza dell’ironia. La realtà è che la bce cerca di agevolare in tutti i modi l’operazione recupero americana per dargli slancio per le elezioni.

26 gennaio 2008

Cioccolatini indigesti?



Adesso è il tempo delle dimissioni. Ce n'è per tutti belli e/o brutti .
Dopo aver festeggiato alla palermitana, qualcosa sarà andata di traverso, forse la crema sapeva troppo di rhum, oppure, alcuni cioccolatini, i famosi fiat, non avevano un buon retrogusto
.

Il vicerè di Sicilia, Totò Cuffaro si dimette. E’ il trionfo dei cannoli. Più cannoli per tutti. Cannoli in famiglia per salutare il ritorno in famiglia del figliol prodigo. Cannoli in piazza per l’opposizione guidata da Rita Borsellino che aveva organizzato una manifestazione per chiederne le dimissioni. Le dimissioni ci sono state, in aula, e l’assemblea regionale è stata sciolta. La parola passa ai cittadini che dovranno votare entro tre mesi per eleggere il nuovo presidente e il nuovo parlamento.
«Mio fratello si dimette da governatore». Poco prima dell'intervento di Salvatore Cuffaro, era stato il fratello del presidente della Regione Sicilia a rompere gli indugi. «Si dimetterà, ce lo ha detto. Non poteva fare altrimenti, questo accanimento giudiziario ma anche politico non poteva andare avanti». «Lo accoglieremo in famiglia per dargli la serenità che merita - ha aggiunto Silvio Cuffaro -. Ora sì che vale la pena di fare festa con i cannoli».
Una festa in piazza è stata organizzata dal centrosinistra e da diverse associazioni della società civile. «L'iniziativa resta. Se prima aveva il senso di una richiesta di dimissioni, adesso assume il valore di una presa d'atto che punta a chiedere un rilancio dell'isola libera da ogni condizionamento in una regione in cui, dopo le prese di posizioni degli imprenditori, anche la politica ha il compito di fare la sua parte» ha spiegato la leader dell'Unione all'Ars Rita Borsellino.
«Ci saremo e saremo in migliaia e con noi porteremo 100 chili di cannoli che sono un simbolo della Sicilia pulita e migliore e non di coloro che pensano soltanto a fare affari e a difendere il proprio potere» ha aggiunto uno degli organizzatori, Pietro Galluccio.
Le principesche dimissioni del vicerè favoreggiatore di singoli mafiosi non di Cosa Nostra nel suo complesso. "Francamente preferisco la via dell'umiltà. Lo faccio per non tradire quegli ideali ai quali sono stato educato, lo faccio per la mia famiglia e lo faccio come ultimo atto di rispetto verso i siciliani, che in questi anni ho servito con dedizione, semplicità e con quella onestà che sono certo mi verrà completamente riconosciuta". Ha detto il presidente della Regione siciliana, Salvatore Cuffaro, in aula all'Assemblea regionale siciliana durante l'annuncio delle sue dimissioni. "Fino a quando non ci sarà una sentenza definitiva -aggiunge il governatore-, ci sarà una verità processuale e una verità sostanziale. Con la mia decisione rispetterò la prima".
Peccato che la verità dei fatti narra di incontri nel retrobottega di un elegante negozio di lingerie tra l viceré e un imprenditore-politico-mafioso per parlare di notizie riservate. Totò lo ha sempre affermato, non ha favorito la mafia ma singoli mafiosi. Ah, meno male. Che galantuomo.
Totò, il vicerè, avrà almeno comprato una ghepierre?
"Già al momento della sentenza sentivo dentro di me il dovere di compiere questo passo, ma ho deciso di attendere fino all'approvazione del bilancio e della legge Finanziaria per senso di responsabilità verso una terra che continuerò ad amare e che in questi anni ho servito fedelmente". Ha detto ancora il presidente della Regione Sicilia, Salvatore Cuffaro, intervenendo in aula per annunciare le sue dimissioni irrevocabili. "Non potevo lasciare -ha detto ancora- che ogni mia decisione fosse assunta senza conoscere la volontà dell'assemblea regionale. Le dimissioni non sono dunque frutto di alcun automatismo ma costituiscono una scelta personale assunta per ragioni umane e politiche".
Scelte umane, come quella di festeggiare con i cannoli, la condanna in primo grado a cinque anni e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Ogni uomo è un’isola…

''Prendo atto della decisione del Presidente della Regione e annuncio che si procederà entro i successivi tre mesi all'elezione del nuovo presidente''. Ha detto il presidente dell'Assemblea regionale siciliana, Gianfranco Miccichè, intervenendo in aula subito dopo l'annuncio delle dimissioni. Ogni isola ha i suoi uomini. E ogni umo i suoi piatti preferiti. Totò i cannoli, Micciché… insisto, meglio gli arancini di Montalbano.
Ed ogni isola festeggia le condanne a modo suo. Al suo ingresso a palazzo dei Normanni, il vicerè, era stato accolto da uno scrosciante applauso di molti deputati della maggioranza. «Tutti i gruppi parlamentari del centrodestra hanno fatto a Cuffaro una richiesta affettuosa e istituzionale di restare al suo posto. Tutti i gruppi hanno ribadito il senso della fiducia votata giovedì scorso» aveva detto il capogruppo di An all'Assemblea regionale, Salvino Caputo. Insomma, la moratoria sulla pena di mrte ha avuto i suoi effetti anche sugli ex forcaioli di An.
Il presidente dell'Assemblea Gianfranco Miccichè, di Forza Italia, ha commentato: «Tutti apprezzino il senso di responsabilità di Cuffaro. Nella mia pur breve vita politica non mi era mai capitato di assistere all'assunzione di scelte, sia dal punto di vista umano che politico, così difficili». Anche se poi non così, tempestive. Ci permettiamo di aggiungere. Peccato che i politici siciliani non curino meglio le persone che frequentano. A Palermo come a Roma, ministero delle Finanze incluso.
Nel chiudere la seduta dell'Ars Miccichè ha ricordato che «le elezioni saranno indette entro tre mesi dallo scioglimento come previsto dalla legge. Nelle more il governatore e gli assessori manterranno i poteri per l'ordinaria amministrazione». È la prima volta nella storia dell'autonomia siciliana che viene sciolta l'Assemblea regionale. Era ora.
Il leader dell'Udc Casini esprime «un profondo apprezzamento per il suo senso delle istituzioni e per il suo amore per la Sicilia». «La polemica mafia-antimafia non si può fare sulla pelle di Cuffaro e dell'Udc anche da parte di chi, in questi giorni, ha avuto un po' troppe amnesie - ha detto il leader dell’Udc - . Sono certo che tra qualche mese, quando Cuffaro sarà assolto da tutte le accuse, tanti sciacalli di queste ore saranno in prima fila a chiedergli scusa». Vedremo.
Duro il commento di Antonio Di Pietro: «Non si dimette per scelta personale e senso di responsabilità, bensì per evitare un provvedimento che lo avrebbe obbligato a rassegnarle. Cuffaro anticipa una decisione dettata dall'ordinamento vigente, come ho ampiamente argomentato nella lettera che inviai giorni fa al presidente Prodi e ai ministri Lanzillotta e Amato. Le dimissioni di Cuffaro, quindi sono ben altro che un atto etico e morale. La grave condanna riportata e le motivazioni della sentenza non lasciano dubbi: le dimissioni erano e sono l'unica strada da prendere».
Ma ai cannoli no, la famiglia dei vicerè non rinuncia. E sia. Più cannoli per tutti.
Pino Finocchiaro

24 gennaio 2008

De Magistris lascia l'ANM



Era nell'aria, ma gli avvenimenti stanno precipitando in una lenta ma inesorabile successione di eventi.
Ecco la lettera con la quale il pm Luigi De Magistris si dimette dall'Associazione nazionale magistrati (come già aveva fatto la collega Ilda Boccassini due settimane fa), dopo la decisione del Csm di rimuoverlo dalla sede di Catanzaro e dall'ufficio di pm.


Già da alcuni mesi avevo deciso - seppur con grande rammarico - di dimettermi dall'Associazione nazionale magistrati. I successivi eventi che mi hanno riguardato, le priorità dettate dai tempi di un processo disciplinare tanto rapido quanto sommario, ingiusto ed iniquo, mi hanno imposto di soprassedere.
Adesso è il tempo che 'tutti i nodi vengano al pettine'.

Vado via da un'associazione che non solo non è più in grado di rappresentare adeguatamente i magistrati che quotidianamente esercitano le funzioni, spesso in condizioni proibitive, ma sta - con le condotte ed i comportamenti di questi anni - portando, addirittura, all'affievolimento ed all'indebolimento di quei valori costituzionali che dovrebbero essere il punto di riferimento principale della sua azione.

L'Anm - che storicamente aveva avuto il ruolo di contribuire a concretizzare i valori di indipendenza interna ed esterna della magistratura - negli ultimi anni, con prassi e condotte censurabili ormai sotto gli occhi di tutti, ha contribuito al consolidamento di una magistratura 'normalizzata' non sapendo e non volendo 'stare vicino' ai tanti colleghi (sicuramente i più 'bisognosi') che dovevano essere sostenuti nelle loro difficili azioni quotidiane spesso in contesti di forte isolamento; ha fatto proprie tendenze e pratiche di lottizzazione attraverso il sistema delle cosiddette correnti; ha contribuito - di fatto - a rendere sempre più arduo l'esercizio di una giurisdizione indipendente che abbia come principale baluardo il principio costituzionale che impone che tutti i cittadini siano uguali di fronte alla legge.



L'Anm è divenuta, con il tempo, un luogo di esercizio del potere, con scambi di ruoli tra magistrati che oggi ricoprono incarichi associativi, domani siedono al Csm, dopodomani ai vertici del ministero e poi, magari, finito il 'giro', si trovano a ricoprire posti apicali ai vertici degli uffici giudiziari. È uno spettacolo che per quanto mi riguarda è divenuto riprovevole.

Anche io, per un periodo, ho pensato, lottando non poco come tutti i miei colleghi sanno, di poter contribuire a cambiare, dall'interno, l'associazionismo giudiziario, ma non è possibile non essendoci più alcun margine. Lascio, pertanto, l'Anm, donando il contributo ad associazioni che, nell'impegno quotidiano antimafia, cercano di garantire l'indipendenza concreta della magistratura molto meglio dell'associazionismo giudiziario.

Non vi è dubbio che anche il Consiglio superiore della magistratura, composto da membri laici, espressione dei partiti, e membri togati, espressione delle correnti, non può, quindi, non risentire dello stato attuale della politica e della magistratura associata.

I magistrati debbono avere nel cuore e nella mente e praticare nelle loro azioni i principi costituzionali ed essere soggetti solo alla legge.

So bene che all'interno di tutte le correnti dell'Anm vi sono colleghi di prim'ordine, ma questo sistema di funzionamento dell'autogoverno della magistratura lo considero non più tollerabile. Il Csm deve essere il luogo in cui tutti i magistrati si sentano, effettivamente, garantiti e tutelati dalle costanti minacce alla loro indipendenza.

Non è possibile assistere ad indegne omissioni o interventi inaccettabili dell'Anm, come ad esempio negli ultimi mesi, su vicende gravissime che hanno coinvolto magistrati che, in prima linea, cercano di adempiere solo alle loro funzioni: da ultimo, quello che è accaduto ai colleghi di Santa Maria Capua Vetere.

Non parlo delle azioni ed omissioni riprovevoli - da parte anche di magistrati, non solo operanti in Calabria - sulla mia vicenda perché di quello ho riferito alla magistratura ordinaria competente e sono fiducioso che, prima o poi, tutto sarà più chiaro.
Certo, lo spettacolo che mi ha visto in questi giorni protagonista, in un processo disciplinare che mi ha lasciato senza parole, ha contribuito a radicare in me la convinzione che questo sistema ormai è divenuto inaccettabile per tutti quei magistrati che ancora sentono e amano profondamente questo mestiere e che siamo ormai al capolinea.

Io sono orgoglioso - sembrerà paradossale - che questo Csm mi abbia inflitto la censura con trasferimento d'ufficio. Era proprio quello che mi aspettavo. Ed anche scritto, in tempi non sospetti. Ho già detto, ad un mio amico antiquario, di farmi una bella cornice: dovrò mettere il dispositivo della sentenza dietro la scrivania del mio ufficio ed indicare a tutti quelli che me lo chiederanno le vere ragioni del mio trasferimento.

La mia condanna disciplinare è grave e infondata, nei confronti della stessa farò ricorso alle sezioni unite civili della Suprema Corte di Cassazione confidando in giudici sereni, onesti, imparziali, in poche parole giusti. La condanna è, poi, talmente priva di fondamento, da ogni punto di vista, che la considero anche inaccettabile.

Mi viene inflitta la censura, devo lasciare Catanzaro ed abbandonare le funzioni di pubblico ministero in sostanza perché non ho informato i miei superiori in alcune circostanze e perché ho secretato un atto solo ed esclusivamente per salvaguardare le indagini ed evitare che vi fossero propalazioni esterne che danneggiassero le inchieste; senza, peraltro, tenere conto delle gravissime ragioni che hanno necessariamente ispirato alcune mie condotte. Troppo zelo, troppi scrupoli, troppo amore per questo mestiere. Del resto il procuratore generale che rappresentava l'accusa in giudizio, nel rimproverarmi, definendomi anche birichino, ha detto che concepisco le mie funzioni come una missione.

Ebbene, questa decisione, a mio umile avviso, contribuisce ad affievolire l'indipendenza della magistratura, conduce ad indebolire i valori ed i principi costituzionali, ci trascina verso una magistratura burocratizzata ed impaurita sotto il maglio e la clava del processo disciplinare.

Il rappresentante della Procura generale della Cassazione in udienza, il dr. Vito D'Ambrosio, ex politico, il quale per circa dieci anni è stato anche presidente della giunta della Regione Marche, ha sostenuto, durante il processo, sostanzialmente, che non rappresento, in modo adeguato, il modello di magistrato.

Ed invero, il modello di magistrato al quale mi sono ispirato è quello rappresentato da mio nonno magistrato (che ha subito anche due attentati durante l'espletamento delle funzioni), da mio padre (che ha condotto processi penali di estrema importanza in materia di terrorismo, criminalità organizzata e corruzione), dai miei magistrati affidatari durante il tirocinio, dai tanti colleghi bravi e onesti conosciuti in questi anni, da quello che ho potuto apprendere ed imparare, sulla mia pelle in contesti ambientali anche molto difficili, dall'esperienza professionale nell'esercizio di un mestiere al quale ho dedicato, praticamente, gran parte della mia vita. Il mio modello è la Costituzione repubblicana, nata dalla resistenza. Il modello 'castale' e del magistrato 'burocrate' non mi interessa e non mi apparterrà mai, nessuna 'quarantena' in altri uffici, nessun 'trattamento di recupero' nelle pur nobili funzioni giudicanti, potrà mutare i miei valori, né potrà far flettere, nemmeno di un centimetro, la mia schiena. Sarò sempre lo stesso, forse, debbo a questo appunto ammetterlo, un magistrato che per il 'sistema' è 'deviato ed eversivo'.

Pertanto, questa sentenza è, per me, la conferma di quello che ho visto in questi anni ed un importante riscontro professionale alla bontà del mio lavoro. Certo è una sentenza che nella sua profonda ingiustizia è anche intrinsecamente mortificante. Imporre ad un pubblico ministero, che si sa che ha sempre professato e praticato l'amore immenso per quel mestiere, di non poterlo più fare - sol perché ha 'osato', in pratica, indagare un sistema devastante di corruzione e cercato di evitare che una 'rete collusiva' ostacolasse il proprio lavoro e, quindi, condannandolo per avere, in definitiva, rispettato la legge - è un po' come dire ad un chirurgo che non può più operare, ad un giornalista di inchiesta che deve occuparsi di fiere in campagna, ad un investigatore di polizia giudiziaria che deve pensare ai servizi amministrativi. Farò di tutto, con passione ed entusiasmo intatti, nei prossimi mesi, per dimostrare quanto ingiusta e grave sia stata questa sentenza e che danno immane abbia prodotto per l'indipendenza e l'autonomia dei magistrati, ed anche e soprattutto per la Calabria, una terra (che continuerò sempre ad amare comunque finisca questa 'storia') che aveva bisogno di ben altri 'segnali' istituzionali.
Lavorerò ancor più alacremente nei prossimi mesi - prima del mio probabile allontanamento 'coatto' dalla Calabria - presso la Procura della Repubblica di Catanzaro per condurre a termine le indagini più delicate pendenti.

Non mi sottrarrò ad eventuali dibattiti pubblici anche tra i lavoratori, tra gli operai, tra gli studenti, nei luoghi in cui vi è sofferenza di diritti, per contribuire - da cittadino e da magistrato, con la mia forza interiore - al consolidamento di una coscienza civile e per la realizzazione di un tessuto connettivo sinceramente democratico.

Il Paese deve, comunque, sapere che vi sono ancora magistrati che con onore e dignità offrono una garanzia per la tutela dei diritti di tutti (dei forti e dei deboli allo stesso modo) e che non si faranno né intimidire, né condizionare, da alcun tipo di potere, da nessuna casta, esercitando le funzioni con piena indipendenza ed autonomia, in una tensione ideale e morale costituzionalmente orientata, in ossequio, in primo luogo, all'art. 3 della Costituzione repubblicana.

fonte:espresso