13 marzo 2008

In memoria di Luigi Roca


Penso (e temo) che, purtroppo, il ruolo dei politici (e relativa responsabilità morale) sia oggi molto meno importante di un tempo. Gli stati hanno ormai completamente abdicato alla loro funzione, dopo essere stati comprati per un “piatto di lenticchie” e sono oramai governati solo dai potentati economico-finanziari, anche ad opera di istituzioni-fantoccio. E questo vale per lo smantellamento dello stato sociale così come per l'imposizione delle "politiche" del lavoro.

"Mi ammazzo perché insieme al lavoro ho perso la dignità". L'"ottava vittima" della Thyssen,[ Luigi Roca] 39 anni, non ha mai lavorato nella fabbrica della morte. Ma la sua azienda, la Berco di Busano Canavese, faceva parte del gruppo tedesco. E il suo contratto, interinale, non è stato rinnovato perché la Thyssen adesso ha 150 persone "da collocare", come si dice terribilmente in questi casi. Come se le persone fossero i pezzi di un incastro. Però Luigi era diventato il pezzo stagliato: di troppo, e già troppo vecchio. Trentanove anni, un'età da matusalemme se cerchi il posto fisso. Ma ci aveva creduto. Dopo quattro anni di rimbalzi, un mese, due mesi in fabbrica e poi a casa, era arrivato un impiego giusto, più solido. Durerà " .

Eventi come il suicidio di Luigi Roca, indicano quanto oggi sia grande la distanza tra la classe dirigente italiana e la realtà sociale. E non ci vuole grande dottrina sociologica per capirlo.
Da un lato abbiamo una campagna elettorale, intessuta di luoghi comuni, polemiche inutili, protagonismi imbecilli, e dall’altro un uomo di 39 anni, punta di iceberg di un malessere sociale sempre più diffuso, che si suicida, perché “insieme al lavoro ha perso la dignità”.
Il primo impulso, di chi scrive, è quello di gridare in faccia a coloro che governano (o che si apprestano a governarci) una sola parola: vergogna! Ma servirebbe a qualcosa? Chi ci legge crede che, ora, in campagna elettorale, di colpo, “il lavoro riacquisterà centralità”, come spesso si legge? Macché, tutto continuerà come prima.
Dal momento che siamo davanti a quello che si può indicare, usando un linguaggio oggi desueto, come il grande tradimento del “lavoro” da parte del "capitale". Una delle conquiste del capitalismo welfarista è stata quella di attribuire al lavoro, stabile, remunerato, una funzione di “securizzazione” sociale e di consenso democratico. Per una serie ragioni, tra le quali, in primis, la globalizzazione neoliberista, questo patto tra lavoro e capitale è venuto meno. Di qui la crescente diffusione di quella precarizzazione che ha spinto Luigi Roca, che credeva nella dignità welfarista del lavoro, al suicidio.
Perciò questa tragica morte non è frutto di contingenze individuali, ma rinvia causalmente a un preciso fenomeno strutturale. Che tuttavia, alla lunga, dal momento che il capitalismo ha necessità di lavoratori-consumatori, potrebbe innescare una crisi sistemica. Ma si tratta solo di una possibilità. Si pensi, infatti, alla crescente capacità, in particolare dell’apparato informativo e mediatico-simbolico, di raccordare, in chiave di ipocrita leggerezza post-moderna, la precarietà lavorativa a stili di vita liberi, soprattutto moralmente. E basati sulla "manna" del credito al consumo e sulle possibilità di accesso, pur ridotte, a ipnotici beni di status.
Probabilmente Luigi Roca, come lavoratore metalmeccanico, e dunque in certo senso “tradizionale”, avvertiva, come accennato, più di altri lavoratori flessibili ma istituzionalmente e culturalmente dissimili (ad esempio i lavoratori di un call center o di un supermercato), la cesura tra il vecchio mondo del “lavori” e il nuovo mondo dei “lavoretti”. Condizione che non voleva, anzi non poteva accettare. Di qui la percezione di un' assenza di "regole" lavorative certe, che ha condotto Luigi Roca a risalire gli accidentati e solitari sentieri prima della depressione e poi del suicidio.
Del quale sono moralmente responsabili quei politici, che in piena campagna elettorale, fanno finta di non vedere come molti lavoratori considerino la flessibilità (e la precarizzazione sociale che ne consegue) un vero e proprio tradimento morale, prima che economico, nei riguardi di una “dignitosa” visione del lavoro.
Certo, interna al sistema capitalistico, dunque poca cosa, ma che per Luigi Roca, e giustamente, era tutto. Luigi, in realtà, chiedeva solo un minimo di rispetto sociale. Legato a un lavoro sicuro, prima promesso e poi negato. E ora, invece, siamo qui a ricordarlo. Che tristezza.

C. Gambescia

Un crollo in 5 stadi


La nostra economia globale comincia ad avere alcuni cedimenti, troppe pezze messe con l'uso della forza, troppe pezze su pezze, la situazione è questa.
Orlov apre uno scenario, una previsione di accadimenti che possono seguire un iter, una procedura già studiata e, già successa anni fa. Un sistema per avvalorare sempre il buon GB. Vico nei suoi corsi e ricorsi storici.


Elizabeth Kübler-Ross ha definito le cinque fasi della gestione di dolore e tragedia come: negazione, collera, patteggiamento, depressione ed accettazione, e le ha applicate con un notevole successo a varie forme di perdite personali di tipo catastrofico, quali la morte di una persona cara, l’improvvisa fine della propria carriera, e così via.

Numerosi pensatori – in particolare James Howard Kunstler e, più di recente, John Michael Greer – hanno fatto notare come il modello Kübler-Ross sia accurato, in modo alquanto terrificante, anche nel rispecchiare il processo attraverso cui la società nel suo complesso (o almeno le sue parti informate e pensanti) si stia riconciliando con l’inevitabilità di un futuro discontinuo, in un momento in cui le nostre istituzioni e i nostri sistemi di supporto vitale sono insidiati da un mix di impoverimento delle risorse, alterazioni climatiche catastrofiche e impotenza politica.

Ma fino ad ora poco si è detto nello specifico della struttura più sottile di tali discontinuità. Al contrario, ci troviamo con un continuum di giudizi soggettivi, che spaziano da "una recessione grave e prolungata" (la predizione che più di frequente leggiamo nella stampa finanziaria), al suggestivo ma poco scientifico "clusterfuck" di Kunstler, al sempre popolare "crollo della civiltà occidentale", dipinto a colpi di pennello sempre più spessi.

A coloro i quali hanno già attraversato tutti gli stadi emozionali della propria riconciliazione con la prospettiva di sconvolgimenti sociali ed economici, potrebbe essere d’aiuto disporre di una terminologia più precisa che vada oltre questo tipo di espressioni caratterizzate emotivamente. La definizione di una tassonomia del crollo potrebbe dimostrarsi più che un semplice esercizio intellettuale: secondo le capacità e condizioni di ognuno, alcuni di noi potrebbero essere in grado di formulare progetti specifici per un certo stadio del crollo come fermata temporanea o persino permanente.

Anche se una società all’attuale stadio di complessità socioeconomica non sarà più possibile e anche se, come Tainter suggerisce nel suo Collapse of Complex Societies (‘Il crollo delle società complesse’), vi sono situazioni in cui il crollo si dimostra la corretta risposta adattativa, il risultato non è necessariamente la rovina della popolazione, con i sopravvissuti allo sbando trasformati in esseri umani solitari e inselvatichiti dispersi in lande selvagge la cui vita sia ridotta al livello di misera sussistenza. Il crollo può essere concepito come una ritirata ordinata ed organizzata, invece che una completa disfatta.

Per esempio, il crollo dell’Unione Sovietica – esempio più recente, da me personalmente preferito, di crollo imperialista – non è arrivato al punto della disgregazione politica delle repubbliche che la componevano, sebbene alcune di esse (Georgia, Moldavia) abbiano dovuto cedere territori ai movimenti separatisti. E sebbene gran parte dell’economia si sia temporaneamente bloccata, molte istituzioni – tra cui l’esercito, i servizi e i trasporti pubblici – hanno continuato a funzionare ininterrottamente. E sebbene si siano verificati grandi sconvolgimenti e sofferenze sociali, la società nel suo complesso non è crollata perché la maggior parte della popolazione non è rimasta priva dell’accesso a cibo, casa, medicine, né a nessun altro dei beni necessari alla sopravvivenza. La struttura di "comando e controllo" dell’economia Sovietica aveva ampiamente disaccoppiato le necessità della vita quotidiana da un qualsiasi elemento di psicologia del mercato, associandole invece ai concreti flussi di energia e al concreto accesso alle risorse. Tale situazione, come sostengo nel mio Reinventing Collapse (‘La reinvenzione del crollo’) di prossima uscita, ha permesso, senza che questo fosse intenzionale, che la popolazione Sovietica fosse più pronta al crollo di quanto non sia attualmente possibile negli Stati Uniti.

Avendo riflettuto a lungo tanto sulle differenze quanto sulle similarità tra le due superpotenze – quella che è già crollata e quella che sta crollando mentre scrivo – mi sento pronto a tentare, definendo i cinque stadi del crollo, un’audace congettura che serva da pietra miliare mentale mentre valutiamo il nostro grado di preparazione al crollo e vediamo cosa si può fare per migliorarlo.

Invece che collegare ogni fase ad una particolare emozione, come nel modello Kübler-Ross, la tassonomia che propongo collega ognuno dei cinque stadi del crollo alla violazione di uno specifico livello di fiducia, o fede, nello statu quo. Sebbene ogni stadio causi modificazioni concrete, osservabili nell’ambiente, queste possono essere graduali, mentre lo scarto mentale sarà generalmente alquanto rapido. Che nessuno (a parte un vero sciocco) voglia essere l’ultimo sciocco a credere in una menzogna è una sorta di universale culturale.

Gli stadi del crollo

Stadio 1: Crollo finanziario. è perduta la fede negli "affari come al solito". Non si parte più dall’assunto che il futuro assomigli al passato nel consentire di valutare il rischio e garantire il patrimonio finanziario. Gli istituti finanziari diventano insolventi; i risparmi sono spazzati via, e l’accesso al capitale è perduto.

Stadio 2: Crollo commerciale. è perduta la fede nel fatto che "il mercato provvederà". Il denaro è svalutato e/o scarseggia, si fa incetta di merci, si spezzano le catene di importazione e commercio al dettaglio, e la carenza diffusa dei beni di sopravvivenza diventa la norma.

Stadio 3: Crollo politico. è perduta la fede in "il governo si prenderà cura di te". Mentre i tentativi ufficiali di alleviare la diffusa perdita di accesso alle risorse commerciali di beni di sopravvivenza non riescono a migliorare la situazione, l’establishment politico perde legittimità e rilevanza.

Stadio 4:
Crollo sociale. è perduta la fede in "i tuoi si prenderanno cura di te". Nel frattempo, le istituzioni sociali locali – siano esse rappresentate da enti filantropici, leader della comunità o altri gruppi che si affrettano a riempire il vuoto di potere – esauriscono le risorse o si dissolvono a causa di conflitti interni.

Stadio 5: Crollo culturale. è perduta la fede nella bontà dell’umanità. La gente perde la propria capacità di "gentilezza, generosità, attenzione, affetto, onestà, ospitalità, compassione, carità" (Turnbull, The Mountain People [‘La gente della montagna’]). Le famiglie si disintegrano e i loro componenti competono come individui nell’accaparrarsi le scarse risorse. Il nuovo motto diventa "Possa tu morire oggi cosicché io muoia domani" (Solženicyn, The Gulag Arcipelago [‘Arcipelago Gulag’]). Potrebbero persino verificarsi episodi di cannibalismo.

Sebbene molti immaginino il crollo come una sorta di ascensore che scende all’ultimo piano sotterraneo (il nostro Stadio 5) qualsiasi pulsante si prema, non è possibile intravedere alcun siffatto meccanismo automatico. Piuttosto, per finire tutti allo Stadio 5 è necessario che si faccia uno sforzo concertato ad ognuno degli stadi precedenti. Che tutti i giocatori sembrino determinati a fare proprio uno sforzo del genere potrebbe conferire a tale crollo la forma di una tragedia classica – una consapevole ma inesorabile marcia verso la perdizione – piuttosto che quella di una farsa ("Ops! Ah, eccoci qui, Stadio 5." - "Allora, chi ci mangiamo per primo?" - "Me! Sono squisito!"). Descriviamo questo processo per sommi capi.

Il crollo finanziario, come lo stiamo osservando al momento, consiste di due componenti. Da un lato, parte della popolazione generale è costretta a trasferirsi, non potendosi più permettere la casa acquistata sulla base di valutazioni sgonfiate, redditi contraffatti e stupide aspettative di un’infinita inflazione patrimoniale. Poiché, tecnicamente, a queste persone non si sarebbe mai dovuto consentire l’acquisto di tali case, e poiché le hanno potute acquistare solamente per via di illeciti finanziari e politici, si tratta in realtà di un sviluppo salutare. La seconda componente è costituita da uomini in abiti costosi che gettano in aria fasci di carte improvvisamente divenute prive di valore, che si strappano i capelli residui, e (possibile spietata speranza di alcuni tra noi) si danno fuoco sulla gradinata della Federal Reserve. Per usare il loro stesso gergo, "hanno fatto una cazzata" e quindi anche questo avviene proprio come dovrebbe.

La reazione del governo potrebbe essere offrire utili omelie su "i salari del peccato" e aprire qualche mensa per i poveri e qualche albergaccio in vari luoghi, tra cui Wall Street. Il messaggio sarebbe: "Ex drogati del debito e giocatori d’azzardo! Come dite voi, 'avete fatto una cazzata,' e questo farà davvero male per un bel po’. Non vi permetteremo mai più di avvicinarvi a montagne di soldi. Invitatevi a cena alla mensa dei poveri, e portatevi la ciotola, perché noi non laviamo i piatti." Il risultato sarà uno stabile Stadio 1 del crollo – la Seconda Grande Depressione.

Comunque, questo è poco probabile, perché si da il caso che negli USA il governo sia il drogato del debito e giocatore d’azzardo numero uno. Come individui, potremmo essere stati virtuosi quanto volevamo, ma il governo avrà comunque accumulato debiti esorbitanti per nostro conto. Tutti i livelli governativi – dalle amministrazioni e autorità locali, che hanno bisogno dei mercati finanziari per pagare le loro opere pubbliche e i pubblici servizi, fino al governo federale, che fa affidamento sugli investimenti stranieri per finanziare le sue guerre senza fine – sono schiavi del debito pubblico. Sanno che non possono smettere di contrarre prestiti, e quindi faranno tutto ciò che è in loro potere per far sì che il gioco continui il più a lungo possibile.

L’unica cosa, o quasi, che al governo attualmente sembra opportuno fare è estendere ulteriore credito a chi è nei guai, stabilendo tassi di interesse a livelli ben inferiori all’inflazione, accettando documenti privi di valore come garanzie collaterali e pompando denaro negli istituti finanziari insolventi. Questo ha l’effetto di diluire il dollaro, indebolendone ulteriormente il valore, e a tempo debito porterà all’iperinflazione, che è negativa in qualsiasi economia, ma è particolarmente grave nel caso delle economie dominate dalle importazioni. Mentre l’import si prosciuga e le economie collegate chiudono, si passa allo Stadio 2: il crollo commerciale.

Mentre le imprese chiudono i battenti, le facciate dei negozi vengono sbarrate con le assi e la popolazione è lasciata in gran parte senza il becco di un quattrino e dipendente dalla FEMA [ l’agenzia federale per la gestione delle emergenze] e dalla beneficenza per la propria sopravvivenza, il governo forse penserebbe a cosa fare poi. Potrebbe, per esempio, riportare in patria tutte le truppe di stanza all’estero per metterle al lavoro nei progetti di opere pubbliche pensate per aiutare direttamente la popolazione. Potrebbe promuovere l’autosufficienza economica locale, per esempio stabilendo programmi agricoli sostenuti dalla comunità, erigendo sistemi di energia rinnovabile, e organizzando e addestrando forze di autodifesa locali per mantenere l’ordine pubblico. L’equipe militare degli ingegneri potrebbe ricevere l’ordine di demolire gli edifici eretti sugli ex terreni agricoli intorno ai centri cittadini, restituire la terra alla coltivazione e costruire alloggi ad energia solare e ad alta densità nei centri urbani per reinsediare gli sfollati. Nel frattempo, potrebbe ridurre la carenza di abitazioni imponendo una tassa eccessiva sulle proprietà residenziali disabitate e incanalando i proventi in sussidi per l’affitto degli indigenti. Con molta fortuna, tali misure potrebbero invertire il trend, consentendo la restaurazione delle condizioni che precedono lo Stadio 2.

A prescindere che si tratti di un piano buono o cattivo, esso è comunque alquanto irrealistico, perché gli Stati Uniti, essendo così profondamente indebitati, saranno costretti ad accondiscendere ai desideri dei loro creditori stranieri che possiedono molte risorse nazionali (terreni, edifici e imprese) e che preferirebbero vedere un popolo di Americani subordinati che lavorano come schiavi per ripagare il loro debito piuttosto che una popolazione autosufficiente che dimentichi per convenienza il fatto di aver ipotecato il futuro dei propri figli per pagare insuccessi militari, villazze, macchinoni e televisori a schermo piatto. Di conseguenza, uno scenario molto più probabile è che il governo federale (sapendo chi gli dà da mangiare) rimanga acquiescente rispetto agli interessi finanziari stranieri. Imporrà condizioni di austerità, manterrà l’ordine pubblico attraverso sistemi draconiani e contribuirà alla costruzione di città-fabbrica e piantagioni di proprietà straniera. Mentre la gente comincia a pensare che avere un governo non è poi una gran bella idea, la situazione diventa matura per lo Stadio 3.

Se allo Stadio 1 del crollo si può assistere guardando la televisione, per osservare lo Stadio 2 potrebbe essere necessario farsi un giro a piedi o in bicicletta nel centro abitato più vicino; invece, lo Stadio 3 del crollo è molto più che probabilmente visibile direttamente dalla finestra del proprio soggiorno, che a quel punto potrebbe avere ancora i vetri, o forse no. Dopo una quantità significativa di stragi sanguinose, buona parte del Paese diventa off-limits per le autorità residue. I creditori stranieri decidono che in fondo i debiti potrebbero non essere rimborsati, riducono le perdite e si affrettano ad andarsene. Il resto del mondo decide di agire come se gli Stati Uniti non esistessero, perché "nessuno ci va più". Per non rimetterci in intrattenimento, la stampa straniera continua a pubblicare sporadicamente favole sugli Americani che mangiano i loro bambini, proprio come fecero sulla Russia dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Pochi coraggiosi espatriati americani che ancora tornano in visita riportano sorprendenti storie che raccontano di una situazione diversa, ma tutti li considerano eccentrici e forse un po’ folli.

Lo Stadio 3 del crollo può talvolta essere evitato mediante l’introduzione tempestiva di peacekeeper internazionali e attraverso gli sforzi di ONG umanitarie internazionali. Nel periodo successivo allo Stadio 2, è altamente improbabile che le autorità nazionali dispongano delle risorse o della legittimazione, o persino della volontà, di fermare il crollo e riformarsi in un modo che la popolazione accetterebbe.

Mentre lo Stadio 3 del crollo segue il suo corso, il vuoto di potere lasciato dagli ora defunti governi federale, statali e locali, è riempito da varie nuove strutture di potere. Ciò che resta delle precedenti forze dell’ordine e dell’esercito, le bande urbane, le mafie etniche, i culti religiosi e i ricchi proprietari terrieri, tentano tutti di costruire i loro piccoli imperi sulle rovine del grande impero, battendosi tra loro per il controllo del territorio e dell’accesso alle risorse. Questa è l’era dei Grandi Uomini: leader carismatici, incitatori di folla, spietati prìncipi machiavelliani e signori della guerra. Nelle zone più fortunate, essi ritengono vantaggioso raggruppare le risorse e amalgamarsi in una sorta di governo locale legittimo, mentre altrove la loro contesa per il potere conduce ad una spirale di conflitto e guerra aperta.

Lo Stadio 4 del crollo si verifica quando la società diventa così caotica e impoverita da non poter più sostenere i Grandi Uomini, che diventano sempre più piccoli fino a scomparire alla vista. La società si frammenta in famiglie allargate e piccole tribù di una dozzina di famiglie, che ritengono vantaggioso associarsi per aiuto e difesa reciproci. Questa è la forma sociale esistita per oltre il 98,5% dell’esistenza dell’umanità come specie biologica, e può essere considerata il principio fondamentale dell’esistenza umana. Gli esseri umani possono esistere a questo livello di organizzazione per migliaia, forse milioni, di anni. La maggior parte delle specie di mammiferi si estingue dopo appena qualche milione d’anni, ma, per quanto ne sappiamo, l’Homo Sapiens ne ha ancora un milione o due da vivere.

Quando la società pre-crollo è troppo atomizzata, alienata ed individualista per formare famiglie allargate e tribù coese, o quando il suo ambiente fisico diventa così caotico e impoverito che la fame e la carestia diventano diffuse, allora lo Stadio 5 del crollo diventa probabile. A questo stadio, prevale un imperativo biologico più semplice: preservare la vita delle coppie che allevano figli. Le famiglie si disperdono, i vecchi sono abbandonati a se stessi e ci si occupa dei bambini solo fino ai tre anni di età. Ogni unità sociale è distrutta, e persino le coppie potrebbero disperdersi per periodi di tempo, preferendo ognuno foraggiarsi da solo e rifiutando di condividere il cibo. Questo è lo stato della società descritto dall’antropologo Colin Turnbull nel suo libro The Mountain People. Se la società precedente allo Stadio 5 del crollo può essere considerata la norma storica per gli esseri umani, lo Stadio 5 porta l’umanità sull’orlo dell’estinzione vera e propria.

Come possiamo facilmente immaginare, la conseguenza predefinita è un guasto a cascata: ogni stadio del crollo può facilmente condurre al successivo, forse persino sovrapponendosi ad esso. In Russia, il processo fu arrestato appena dopo lo Stadio 3: ci furono problemi considerevoli con le mafie etniche e persino qualche signore della guerra, ma alla fine le autorità governative trionfarono. In altri miei scritti, descrivo molto dettagliatamente le esatte condizioni che hanno involontariamente reso la società russa relativamente a prova di crollo. Qui dirò semplicemente che tali ingredienti non sono attualmente presenti negli Stati Uniti.

Mentre cercare di arrestare gli Stadi 1 e 2 del crollo probabilmente sarebbe un pericoloso spreco di energie, un tale tentativo è probabilmente conveniente per tutti nel momento in cui si puntano i piedi allo Stadio 3, e senz’altro allo Stadio 4, ed è semplicemente una questione di sopravvivenza fisica per evitare lo Stadio 5. In alcune località – quelle ad alta densità di popolazione, nonché quelle che ospitano pericolosi impianti nucleari e industriali – evitare lo Stadio 3 del crollo è molto importante, al punto da invitare truppe e governi stranieri perché mantengano l’ordine ed evitino disastri. Altre località potrebbero essere in grado di prosperare indefinitamente allo Stadio 3, e persino gli ambienti più poveri potrebbero essere in grado di sostenere una popolazione rada che sopravviva indefinitamente allo Stadio 4.

Sebbene sia possibile prepararsi direttamente per sopravvivere allo Stadio 5, questo appare come un tentativo totalmente demoralizzante. Prepararsi a sopravvivere agli Stadi 3 e 4 potrebbe sembrare in qualche modo più ragionevole, mentre puntare esplicitamente allo Stadio 3 potrebbe essere ragionevole se si ha intenzione di diventare uno dei Grandi Uomini. Sia quel che sia, devo lasciare tali preparazioni come esercizio per il lettore. La mia speranza è che queste definizioni di specifici stadi di crollo renderanno possibile una discussione più specifica e fruttuosa di quella attualmente dominata da termini così vaghi e in definitiva assurdi come "il crollo della civiltà occidentale".
DI DMITRY ORLOV

Fonte: http://cluborlov.blogspot.com

11 marzo 2008

Made in Inflazione:la vera causa


Questo articolo, fotografa la situazione italiana mettendo a fuoco i difetti e le contraddizioni della nostra società civile.

Se fossimo in campo economico si potrebbe affermare, senza timore di smentita, che la società italiana vive, da 20 anni circa, in regime di duopolio.
Infatti che perdano o vincano le elezioni, i 2 schieramenti politici si presentano ormai da quasi 20 anni con gli stessi leader (si fa per dire) e portaborse.
Non c’è paura di sconfitta: tanto o vince Prodi o vince Berlusconi.
E chi perde ora vincerà la prossima volta.
E per i cittadini non cambia nulla.

Se prendiamo le leggi di Prodi e le giriamo su Berlusconi, cambiandone il nome, e facciamo lo stesso con le leggi varate dall’altro schieramento, non se ne accorge nessuno.
Infatti che vincano gli uni o gli altri non cambia assolutamente nulla!
Regime di duopolio, appunto, dove cane non scaccia cane ma lo protegge.

Ma lo spunto di questo articolo non parte da considerazioni politiche ma da un articolo di Maurizio d’Orlando comparso su asianews.it e recentemente fatto circolare nella lista di centrofondi.it da considerarsi a dir poco profetico e premonitore della attuale situazione dei mercati finanziari.
Nell’articolo si afferma quanto segue: «A causa di una montagna di mutui fuori parametro (subprime) concessa dalle società di credito fondiario in America, molte banche stanno entrando in crisi. Si parla di giganti come Citygroup e Bank of America negli USA ed in Europa di possibile crollo per banche del calibro di Deutsche Bank, Barclys, BNP Paribas e di alcune finanziarie (AXA) e fondi pensione.Si parla di un buco di oltre 20 miliardi di dollari USA di titoli circolanti emessi nei mercati e privi di patrimonialità reale, di cui né il grande pubblico, né i professionisti di New York si erano accorti. Non si parla più di un problema di liquidità, ma di un problema di solvibilità.Il problema si è originato negli USA a partire dal 1987, quando con pressioni della lobby bancaria - mediante elargizioni costate 300 milioni di Dollari USA - si è riusciti ad ottenere, passo dopo passo, l’abolizione della legge Glass-Steagall, approvata dal parlamento americano dopo la crisi del ‘29. La completa abolizione della legge è stata ottenuta nel 1999 grazie al Presidente Bill Clinton.A suo tempo la legge era stata approvata per evitare il conflitto d’interessi tra banche e società che sottoscrivono obbligazioni ed azioni.Principale fautore di questa liberalizzazione finanziaria è stato il precedente presidente della FED, Alan Greenspan.Questi, divenuto governatore nel 1987, prima di tale nomina era stato membro del consiglio di amministrazione della J.P. Morgan, la prima banca ad usufruire della liberalizzazione.Nei 18 anni di governatorato di Greenspan si è avuta la più grande espansione della finanza speculativa della storia mondiale e la crisi più che imminente avrebbe dimensioni planetarie.In questo ultimo periodo i grandi gruppi finanziari e bancari si sono premuniti piazzando i titoli spazzatura sia in Europa che in Asia.Questi titoli sono valutati AA o addirittura AAA dalle agenzie, cosiddette indipendenti, di valutazione dei valori mobiliari, come Standard & Poors, Moody’s e Fitch…A essere esposte in prima linea dovrebbero esserci teoricamente i fondi pensione, le assicurazioni e le grandi fondazioni americane, come pure i maggiori gruppi finanziari e bancari statunitensi, che sono all’origine dell’emissione incontrollata di titoli atipici di questi lunghi decenni.

Eppure c’è da dubitare che chi ha le chiavi del potere finanziario e monetario sia chiamato a rispondere dei propri misfatti. Alla radice del problema, infatti, ci sono le Banche Centrali ed in primo luogo la FED, che da tempo aveva un chiaro quadro della situazione…».

Ed infine la ciliegina sulla torta: « Chi controlla la FED sa dunque che non può fornire la soluzione nell’ambito stesso della FED. In questo scenario… gli Stati Uniti si preparano, insieme a Canada e Messico, a lanciare una moneta unica, detta ‘Amero’. La soluzione proposta sarebbe l’abolizione del dollaro, sostituito dalla valuta dell’Unione del Nord America»…

In sintesi prima i banchieri a suon di tangenti ai politici (300 milioni di dollari dichiarati) fanno abolire le leggi a suo tempo create in USA per impedire un nuovo tracollo economico sul pianeta come quello del 1929; poi inondano il pianeta di moneta finanziaria senza valore intrinseco nell’economia reale, ma gravata comunque di interesse che l’economia reale ignara accetta e paga.

Quando l’economia reale strozzata dai debiti (soprattutto dagli interessi sui debiti) non ce la fa più, il banchiere che comanda - «colui che controlla la FED»- decide di abbandonare la barca, creare una nuova moneta (ovviamente gravata di interesse a debito) e abbandonare la società civile con in mano dollari che andranno bene solo per accendersi i sigari.
Unico problema: far fare ai politici una legge che dia corso legale alla nuova valuta.

E in questo l’articolo di Asia News ci informa che Greenspan e il CFR (Council on Foreign Relations) sono già all’opera.

Si tratta solo di avere il tempo per prezzolare i politici di turno.
A chi studia economia in una qualunque università occidentale viene insegnato che (primo esempio di globalizzazione al mondo) le Banche Centrali (Federal Riserve, BCE, Banca d’Italia, ecc.) sono state delegate dai singoli Stati nazionali a disciplinare l’emissione della moneta per evitare che questa fosse appannaggio degli appetiti elettorali dei sistemi politici.

Come può essere quindi, che siano proprio i banchieri a prezzolare i politici per fare della moneta esattamente l’uso che si voleva evitare da parte dei politici?

E come può essere che ciò riaccada dopo il 1929 quando si sapeva già, grazie a quella esperienza, come sarebbe andata a finire comportandosi in quel modo?

E come può essere che vi sia un soggetto che possiede (o decide per) la Federal Riserve e che noi non si sappia chi sia pur avendo un così grande potere?

Che è poi il potere dei poteri: quello di decidere l’emissione della moneta.

Come mai non viene mai citato in TV o sui giornali?
Come può essere che qualcuno decida di cambiare valuta senza coinvolgere le istituzioni democratiche di quel Paese in questa decisione?


E ancora: In Europa la situazione è identica o diversa?
Chi decide quanti euro ogni anno debbano essere messi in circolazione?
Chi possiede e ha potere decisionale nella BCE?
A chi rendono conto questi signori se compiono misfatti?
Quali controlli il parlamento europeo e i singoli Stati nazionali hanno sulla BCE?
E sulle banche nazionali?
A cosa è dovuta l’inflazione?
Perché se la moneta è in mano ai banchieri per evitare abuso da parte del sistema politico le monete continuano a svalutarsi?

Gli euro emessi appartengono agli Stati nazionali o alla BCE, che è un soggetto privato e che indebita gli Stati quando questi ricevono nuova moneta?
Con quali criteri e soprattutto chi decide quale interesse passivo applicare sulla moneta presa a debito dagli Stati nazionali e di conseguenza poi dai cittadini verso le banche?
Perché il parlamento italiano può decidere di occupare militarmente uno Stato straniero ma non può deliberare sulla propria moneta?
Ed infine, perché su queste tematiche c’è la totale disinformazione da parte dei mass media ufficiali?

Siamo sull’orlo di una crisi economica inevitabile salvo un miracolo.

Il sistema bancario, principale responsabile di questa crisi, se ne lava le mani e da nessuna parte viene messo sotto accusa.
Anzi i banchieri li troviamo come primi ministri o presidenti della repubblica.
Il sistema politico, occidentale in generale e italiano in particolare, ha dimostrato incompetenza e sudditanza a questo sistema.
Tutti noi sappiamo perfettamente che se anche va al governo la coalizione opposta non cambierà nulla.
Il cittadino fondamentalmente è al muro ed è impotente perché non capisce come funziona il sistema.
Non sa dove è il trucco, se trucco c’è.

Non sa cosa fare perché gli è stato fatto credere negli ultimi 70 anni che l’unico sistema economico possibile è quello occidentale, in quanto è il migliore e ha dato abbondanza e prosperità a tutti.

Non ce né un altro migliore.
L’altro possibile, cioè il comunismo, è morto da tempo perché peggiore di quello occidentale..

Ma noi sappiamo che non è così.
Sappiamo, nonostante il colpevole silenzio dei media ufficiali, che è possibile ricorrere ad un sistema monetario diverso, dove la moneta appartiene agli Stati e non a banchieri privati, senza che questo metta in discussione la società occidentale ed i suoi valori sociali, politici e democratici; sappiamo che, ad esempio, solo in Italia esistono oltre una ventina di esperimenti di moneta complementare (in Germania sono più di 100) che cercano di far sì che la spesa dei cittadini rimanga all’interno dell’economia nazionale e non se ne vada a gonfiare gli investimenti speculativi asiatici; sappiamo che il problema del deficit dello Stato italiano è collegato al debito che viene contratto dallo Stato verso banchieri privati allorché nuova moneta viene immessa in circolazione, e non solo per l’eccesso di spesa della «casta politica» rispetto alla raccolta delle imposte; sappiamo che i banchieri internazionali non vogliono che le masse siano informate su questi meccanismi, altrimenti non potrebbero più spiegare ai cittadini come mai Prodi e Letta sono stipendiati dalla Goldmann Sachs quando non hanno incarichi governativi, e che la Goldman è l’advisor (vale a dire il consulente che dice a chi vendere e a quale prezzo) per eccellenza quando lo Stato italiano vende qualche azienda pubblica; sappiamo che la scuola di pensiero dell’insigne economista Federico Caffè, misteriosamente scomparso nel 1987, che si opponeva alle distorsioni di questo sistema finanziario, non è morta con lui.

Allora riteniamo che sia giunto il momento di cominciare ad illustrare, da questo sito, quale è il trucco del capitalismo.
Che i banchieri internazionali lo vogliano o no.
Se chiedete a qualcuno quale sia la causa dell’inflazione, se il vostro interlocutore è onesto non otterrete nessuna risposta.
Se non lo è, comincerà a ripetere qualche informazione presa qui e là.
Vi parlerà dell’aumento del prezzo del petrolio (ma senza dirvi che un aumento sino a 150 $
al barile è stato deciso a tavolino più di un anno fa in una riunione del gruppo Buildenberg); oppure citerà qualche sciopero degli autotrasportatori, o parlerà della siccità.
Ma non potrà dire nulla che possa spiegare il costante, irreversibile e durevole fenomeno di perdita di valore della moneta a medio e lungo termine cui tutti siamo abituati a convivere da quando siamo nati.
Come mai?

Si è già detto nella prima parte di questo articolo (1) che nel 1987, grazie a pressioni della lobby bancaria e a Greenspan, già governatore della FED (Federal Reserve), era stato abrogato in USA
il sistema che impediva interferenze bancarie nelle aziende che chiedevano prestiti, al fine di evitare un nuovo 1929.
Tolti i vincoli alle banche, dopo qualche anno sta iniziando a succedere né più ne meno quello che è successo nel 1929.
Quello che negli USA è stato fatto da Greenspan in Italia è stato fatto da Ciampi, che nel 1993 ha abrogato la legge bancaria del ‘36.

Non deve stupire che in Italia (ed in Europa) sia avvenuto quello che è già avvenuto in USA.
Mentre Alan Greespan prima di diventare governatore della FED era membro del Consiglio di Amministrazione della J.P. Morgan, da noi molti dirigenti del ministero del Tesoro ed i vari Ciampi, Prodi, Draghi, ecc., sono stati ai vertici di Goldman Sachs, una delle principali banche d’affari del pianeta, nonché il principale advisor per la (s)vendita dell’IRI diretta proprio da Romano Prodi e indagata assieme alla stessa JP Morgan e Lehman brothers, dalla procura
di Pescara per truffa ai danni dell’erario italiano.

Anche il futuro è già stato assicurato qualunque schieramento vinca le elezioni.
E’ infatti del 18 giugno 2007 la notizia della nomina ad advisor di Goldman Sachs di Gianni Letta, già sottosegretario alla presidenza del consiglio del Governo presieduto da Silvio Berlusconi .

La lobby bancaria dunque si comporta come tutte le lobby: persegue esclusivamente il suo interesse e quello dei suoi soci.
Stupisce quindi che a questa lobby, in tutte le economie capitalistiche, sia stato trasferito dai singoli Stati nazionali il potere di emettere moneta attraverso il cosiddetto «sistema delle Banche Centrali nazionali private».
Potere che, tra l’altro, è stato trasferito in regime di monopolio, e si colloca al di sopra delle leggi e di qualsiasi possibilità di controllo degli Stati nazionali, che in qualche modo hanno, a differenza delle Banche Centrali private, organismi eletti dalla cittadinanza secondo criteri democratici.

Eppure questo sistema viene propagandato presso la società civile come il sistema monetario più progredito, anzi come «l’unico possibile» in quanto frutto dell’evoluzione naturale dei sistemi economici più efficienti e liberi.
Niente di più falso naturalmente, come vedremo in seguito.
Ma stupisce soprattutto la mancanza di critica sostanziale a questo sistema monetario da parte
della classe politica e del mondo accademico nonostante, dopo alcuni anni di soggiogamento a questo sistema monetario, emergano ovunque inevitabilmente due amare e drammatiche verità che contrastano proprio con le motivazioni e gli obiettivi che hanno portato alla costituzione dell’attuale sistema monetario basato sulle Banche Centrali private:

- l’aumento sistematico ed irreversibile dell’indebitamento da parte dei soggetti che utilizzano
la moneta nei confronti dei soggetti che emettono la moneta: paradosso che vede gli Stati nazionali e la cittadinanza intera, vale a dire l’economia reale che produce beni e servizi, sempre più indebitata nei confronti del sistema bancario, che non produce né beni né servizi;
- il perdurare dell’inflazione e della perdita di valore della moneta rispetto al sistema dei prezzi.

Nelle università di economia si insegna che è stato necessario togliere ai governi nazionali (democraticamente eletti) la sovranità monetaria (cioè il potere di decidere quanta moneta emettere, nei confronti di chi e a quali condizioni di interesse) in quanto questi utilizzavano tale strumento prevalentemente per fini politici ed elettorali.
Vale a dire stampavano troppa cartamoneta rispetto al reale fabbisogno dell’economia reale e questo creava inflazione.

L’esempio che più spesso veniva citato negli anni ‘80 era quello della repubblica tedesca di Weimar post prima guerra mondiale, e della sua iperinflazione per eccesso di cartamoneta stampata.
Da qui la necessità di pervenire ad un sistema monetario internazionale più stabile e non asservito al sistema politico o al dittatore di turno (3).

Questo percorso è stato realizzato a tappe in Europa con il trattato di Maastricht del 1992, che ha portato dapprima alla costituzione della BCE (Banca Centrale Europea), omonimo della FED
in USA, ed al sistema SEBC (Sistema Europeo delle Banche Centrali) composto dalle Banche Centrali Nazionali (BCN), e successivamente all’introduzione della moneta unica.
Il sistema SEBC ha il compito di coordinare una politica monetaria unica nei Paesi dell’euro. L’obiettivo dichiarato del neonato «Eurosistema» era ed è il mantenimento della stabilità dei prezzi.

Per questo motivo agli Stati che adottavano l’euro era richiesto da subito:
Un rapporto tra deficit pubblico e PIL non superiore al 3%;
Un rapporto tra debito pubblico e PIL non superiore al 60%.

La BCE sin dall’inizio ha mostrato di sapere bene quale sia la causa principale dell’inflazione.
Nel Bollettino mensile della BCE Febbraio 1999 alla pagina 27 si affermava infatti che «Vi è
un ampio consenso, fondato su un’evidenza empirica ragguardevole, sul fatto che la dinamica
dei prezzi nel medio-lungo periodo abbia un’origine monetaria ...» (4).
Il sistema BCE - Banche Centrali (i cui costi sono a carico nostro) aveva ed ha, pertanto, tutti
gli strumenti per operare la stabilizzazione dei prezzi all’interno del sistema euro: gli è stato conferito il monopolio dell’emissione monetaria (proprio per sottrarla alle politiche ed ai rischi inflattivi degli Stati nazionali e dei politici); opera in assoluta autonomia rispetto agli Stati nazionali; mostra di conoscere che la reale causa dell’inflazione è un problema di massa monetaria in circolazione, di cui lo stesso sistema BCE-SEBC ha il monopolio di emissione.

E allora perché non eliminano il problema?
Non avremo per caso costruito anche a livello europeo un ulteriore carrozzone mangiasoldi
che non serve a nulla?
Per entrare nell’euro ci hanno chiesto sacrifici.
E per rimanerci sopportiamo ogni anno finanziarie assurde.
Ma se tutto questo è stato fatto per stabilizzare i prezzi e difenderci dall’inflazione perché i prezzi continuano ad aumentare?
Perché la moneta che abbiamo in tasca continua a perdere di valore anno dopo anno?
Quando una cosa non viene capita da un interlocutore attento dopo che è stata ripetuta più volte, o è una bufala oppure non si vuole che sia capita.
Allora vediamo dove è il trucco, se trucco c’è.

Molti non sanno che la BCE è un soggetto privato.
Nessun organismo comunitario o nazionale può imporre direttive o controlli alla BCE. Analogamente al sistema vigente in USA con la Federal Riserve, gli unici soggetti a cui risponde
la BCE sono i suoi soci, che sono in linea di massima le Banche Centrali (BCN) degli Stati aderenti all’euro, anch’esse a suo tempo privatizzate o rese autonome dalle influenze degli Stati nazionali, con alcune inspiegabili anomalie in quanto sono soci, ad esempio, alcune Banche Centrali di Stati non aderenti all’euro come la Gran Bretagna.
I soci della BCE sono quindi privati.
E i soci dei soci della BCE anche.

La Banca d’Italia ad esempio, che ha un diritto di partecipazione in BCE del 14,57% (9), è posseduta interamente da banche ed enti privati (vi è anche l’INPS) (5).
Ma allora, se la BCE ed i suoi soci banchieri sono soggetti privati, così potenti da condizionare tutti i governi ed imporre un sistema monetario che concede solo e solo a loro di battere moneta, e di determinarne il tasso di interesse, senza alcun controllo da parte di chicchessia, non è per caso che sono loro a determinare volontariamente l’inflazione perché così ci guadagnano?
E a scapito dell’intera economia reale?

Margrit Kennedy nel suo libro «La moneta libera da inflazione e da interesse» (6) documenta esattamente una situazione analoga in Germania negli anni ‘80, dove il 90% della popolazione pagava endemicamente interessi passivi allo 0,2% della popolazione, con un 10% circa che riusciva a rimanere in una situazione di pareggio.
Trattandosi della Germania e non di una repubblica delle banane qualsiasi, non è credibile che un sistema così concepito possa essere casuale.
Né che sia frutto dell’evoluzione naturale del mercato.
Ci sarà pure un motivo se anche in periodi di congiuntura sfavorevole gli unici uffici che non si riducono mai sono (oltre a quelli pubblici) gli sportelli bancari e se alle banche appartengono i più bei palazzi in qualunque città andiate.

Secondo quanto documentato nell’interessante saggio del ricercatore indipendente Rudo de Ruijter «I segreti del denaro, dell’interesse e dell’inflazione», la principale causa dell’inflazione è data dalla facoltà concessa alle banche di immettere moneta creditizia in base al meccanismo della riserva frazionaria.
De Ruijter sottolinea che con questo meccanismo «i prestiti hanno un effetto nascosto. Quando colui che ha ricevuto il finanziamento spende i soldi, chi li riceve li deposita nella sua banca che, proprio grazie a questo deposito, può effettuare nuovi prestiti. Anche i soldi di questi nuovi finanziamenti verranno spesi e diventeranno depositi in altre banche. E così via. Naturalmente
ad ogni passaggio la banca incassa interessi. E’ un enorme girotondo che crea denaro e gonfia
la massa monetaria totale del Paese. Ogni volta che i prestiti concessi da una banca diventano depositi in un’altra banca comincia un nuovo giro di finanziamenti … Le banche creano nuova moneta, ma non possono magicamente creare nuovi beni da comprare. Se la gente dispone di più soldi ma la quantità di beni da comprare resta invariata, tutto quel che succede è che i prezzi salgano. Il valore facciale del denaro diminuisce. E’ quella che si chiama inflazione. Allora, quando le banche mettono in circolazione nuovo denaro, il valore dell’unità monetaria diminuisce…».

Ora è più chiaro su chi ci guadagna e chi no se permane un regime perenne di inflazione?
Abbiamo ceduto la sovranità monetaria ad un soggetto privato che fa esclusivamente il suo interesse e quello dei suoi soci, e lo fa a danno dell’intera economia reale.
Ma le caratteristiche dell’attuale sistema monetario comportano anche altre conseguenze, tutte
a favore delle banche e deleterie per gli altri.

Claudio Bianchini

13 marzo 2008

In memoria di Luigi Roca


Penso (e temo) che, purtroppo, il ruolo dei politici (e relativa responsabilità morale) sia oggi molto meno importante di un tempo. Gli stati hanno ormai completamente abdicato alla loro funzione, dopo essere stati comprati per un “piatto di lenticchie” e sono oramai governati solo dai potentati economico-finanziari, anche ad opera di istituzioni-fantoccio. E questo vale per lo smantellamento dello stato sociale così come per l'imposizione delle "politiche" del lavoro.

"Mi ammazzo perché insieme al lavoro ho perso la dignità". L'"ottava vittima" della Thyssen,[ Luigi Roca] 39 anni, non ha mai lavorato nella fabbrica della morte. Ma la sua azienda, la Berco di Busano Canavese, faceva parte del gruppo tedesco. E il suo contratto, interinale, non è stato rinnovato perché la Thyssen adesso ha 150 persone "da collocare", come si dice terribilmente in questi casi. Come se le persone fossero i pezzi di un incastro. Però Luigi era diventato il pezzo stagliato: di troppo, e già troppo vecchio. Trentanove anni, un'età da matusalemme se cerchi il posto fisso. Ma ci aveva creduto. Dopo quattro anni di rimbalzi, un mese, due mesi in fabbrica e poi a casa, era arrivato un impiego giusto, più solido. Durerà " .

Eventi come il suicidio di Luigi Roca, indicano quanto oggi sia grande la distanza tra la classe dirigente italiana e la realtà sociale. E non ci vuole grande dottrina sociologica per capirlo.
Da un lato abbiamo una campagna elettorale, intessuta di luoghi comuni, polemiche inutili, protagonismi imbecilli, e dall’altro un uomo di 39 anni, punta di iceberg di un malessere sociale sempre più diffuso, che si suicida, perché “insieme al lavoro ha perso la dignità”.
Il primo impulso, di chi scrive, è quello di gridare in faccia a coloro che governano (o che si apprestano a governarci) una sola parola: vergogna! Ma servirebbe a qualcosa? Chi ci legge crede che, ora, in campagna elettorale, di colpo, “il lavoro riacquisterà centralità”, come spesso si legge? Macché, tutto continuerà come prima.
Dal momento che siamo davanti a quello che si può indicare, usando un linguaggio oggi desueto, come il grande tradimento del “lavoro” da parte del "capitale". Una delle conquiste del capitalismo welfarista è stata quella di attribuire al lavoro, stabile, remunerato, una funzione di “securizzazione” sociale e di consenso democratico. Per una serie ragioni, tra le quali, in primis, la globalizzazione neoliberista, questo patto tra lavoro e capitale è venuto meno. Di qui la crescente diffusione di quella precarizzazione che ha spinto Luigi Roca, che credeva nella dignità welfarista del lavoro, al suicidio.
Perciò questa tragica morte non è frutto di contingenze individuali, ma rinvia causalmente a un preciso fenomeno strutturale. Che tuttavia, alla lunga, dal momento che il capitalismo ha necessità di lavoratori-consumatori, potrebbe innescare una crisi sistemica. Ma si tratta solo di una possibilità. Si pensi, infatti, alla crescente capacità, in particolare dell’apparato informativo e mediatico-simbolico, di raccordare, in chiave di ipocrita leggerezza post-moderna, la precarietà lavorativa a stili di vita liberi, soprattutto moralmente. E basati sulla "manna" del credito al consumo e sulle possibilità di accesso, pur ridotte, a ipnotici beni di status.
Probabilmente Luigi Roca, come lavoratore metalmeccanico, e dunque in certo senso “tradizionale”, avvertiva, come accennato, più di altri lavoratori flessibili ma istituzionalmente e culturalmente dissimili (ad esempio i lavoratori di un call center o di un supermercato), la cesura tra il vecchio mondo del “lavori” e il nuovo mondo dei “lavoretti”. Condizione che non voleva, anzi non poteva accettare. Di qui la percezione di un' assenza di "regole" lavorative certe, che ha condotto Luigi Roca a risalire gli accidentati e solitari sentieri prima della depressione e poi del suicidio.
Del quale sono moralmente responsabili quei politici, che in piena campagna elettorale, fanno finta di non vedere come molti lavoratori considerino la flessibilità (e la precarizzazione sociale che ne consegue) un vero e proprio tradimento morale, prima che economico, nei riguardi di una “dignitosa” visione del lavoro.
Certo, interna al sistema capitalistico, dunque poca cosa, ma che per Luigi Roca, e giustamente, era tutto. Luigi, in realtà, chiedeva solo un minimo di rispetto sociale. Legato a un lavoro sicuro, prima promesso e poi negato. E ora, invece, siamo qui a ricordarlo. Che tristezza.

C. Gambescia

Un crollo in 5 stadi


La nostra economia globale comincia ad avere alcuni cedimenti, troppe pezze messe con l'uso della forza, troppe pezze su pezze, la situazione è questa.
Orlov apre uno scenario, una previsione di accadimenti che possono seguire un iter, una procedura già studiata e, già successa anni fa. Un sistema per avvalorare sempre il buon GB. Vico nei suoi corsi e ricorsi storici.


Elizabeth Kübler-Ross ha definito le cinque fasi della gestione di dolore e tragedia come: negazione, collera, patteggiamento, depressione ed accettazione, e le ha applicate con un notevole successo a varie forme di perdite personali di tipo catastrofico, quali la morte di una persona cara, l’improvvisa fine della propria carriera, e così via.

Numerosi pensatori – in particolare James Howard Kunstler e, più di recente, John Michael Greer – hanno fatto notare come il modello Kübler-Ross sia accurato, in modo alquanto terrificante, anche nel rispecchiare il processo attraverso cui la società nel suo complesso (o almeno le sue parti informate e pensanti) si stia riconciliando con l’inevitabilità di un futuro discontinuo, in un momento in cui le nostre istituzioni e i nostri sistemi di supporto vitale sono insidiati da un mix di impoverimento delle risorse, alterazioni climatiche catastrofiche e impotenza politica.

Ma fino ad ora poco si è detto nello specifico della struttura più sottile di tali discontinuità. Al contrario, ci troviamo con un continuum di giudizi soggettivi, che spaziano da "una recessione grave e prolungata" (la predizione che più di frequente leggiamo nella stampa finanziaria), al suggestivo ma poco scientifico "clusterfuck" di Kunstler, al sempre popolare "crollo della civiltà occidentale", dipinto a colpi di pennello sempre più spessi.

A coloro i quali hanno già attraversato tutti gli stadi emozionali della propria riconciliazione con la prospettiva di sconvolgimenti sociali ed economici, potrebbe essere d’aiuto disporre di una terminologia più precisa che vada oltre questo tipo di espressioni caratterizzate emotivamente. La definizione di una tassonomia del crollo potrebbe dimostrarsi più che un semplice esercizio intellettuale: secondo le capacità e condizioni di ognuno, alcuni di noi potrebbero essere in grado di formulare progetti specifici per un certo stadio del crollo come fermata temporanea o persino permanente.

Anche se una società all’attuale stadio di complessità socioeconomica non sarà più possibile e anche se, come Tainter suggerisce nel suo Collapse of Complex Societies (‘Il crollo delle società complesse’), vi sono situazioni in cui il crollo si dimostra la corretta risposta adattativa, il risultato non è necessariamente la rovina della popolazione, con i sopravvissuti allo sbando trasformati in esseri umani solitari e inselvatichiti dispersi in lande selvagge la cui vita sia ridotta al livello di misera sussistenza. Il crollo può essere concepito come una ritirata ordinata ed organizzata, invece che una completa disfatta.

Per esempio, il crollo dell’Unione Sovietica – esempio più recente, da me personalmente preferito, di crollo imperialista – non è arrivato al punto della disgregazione politica delle repubbliche che la componevano, sebbene alcune di esse (Georgia, Moldavia) abbiano dovuto cedere territori ai movimenti separatisti. E sebbene gran parte dell’economia si sia temporaneamente bloccata, molte istituzioni – tra cui l’esercito, i servizi e i trasporti pubblici – hanno continuato a funzionare ininterrottamente. E sebbene si siano verificati grandi sconvolgimenti e sofferenze sociali, la società nel suo complesso non è crollata perché la maggior parte della popolazione non è rimasta priva dell’accesso a cibo, casa, medicine, né a nessun altro dei beni necessari alla sopravvivenza. La struttura di "comando e controllo" dell’economia Sovietica aveva ampiamente disaccoppiato le necessità della vita quotidiana da un qualsiasi elemento di psicologia del mercato, associandole invece ai concreti flussi di energia e al concreto accesso alle risorse. Tale situazione, come sostengo nel mio Reinventing Collapse (‘La reinvenzione del crollo’) di prossima uscita, ha permesso, senza che questo fosse intenzionale, che la popolazione Sovietica fosse più pronta al crollo di quanto non sia attualmente possibile negli Stati Uniti.

Avendo riflettuto a lungo tanto sulle differenze quanto sulle similarità tra le due superpotenze – quella che è già crollata e quella che sta crollando mentre scrivo – mi sento pronto a tentare, definendo i cinque stadi del crollo, un’audace congettura che serva da pietra miliare mentale mentre valutiamo il nostro grado di preparazione al crollo e vediamo cosa si può fare per migliorarlo.

Invece che collegare ogni fase ad una particolare emozione, come nel modello Kübler-Ross, la tassonomia che propongo collega ognuno dei cinque stadi del crollo alla violazione di uno specifico livello di fiducia, o fede, nello statu quo. Sebbene ogni stadio causi modificazioni concrete, osservabili nell’ambiente, queste possono essere graduali, mentre lo scarto mentale sarà generalmente alquanto rapido. Che nessuno (a parte un vero sciocco) voglia essere l’ultimo sciocco a credere in una menzogna è una sorta di universale culturale.

Gli stadi del crollo

Stadio 1: Crollo finanziario. è perduta la fede negli "affari come al solito". Non si parte più dall’assunto che il futuro assomigli al passato nel consentire di valutare il rischio e garantire il patrimonio finanziario. Gli istituti finanziari diventano insolventi; i risparmi sono spazzati via, e l’accesso al capitale è perduto.

Stadio 2: Crollo commerciale. è perduta la fede nel fatto che "il mercato provvederà". Il denaro è svalutato e/o scarseggia, si fa incetta di merci, si spezzano le catene di importazione e commercio al dettaglio, e la carenza diffusa dei beni di sopravvivenza diventa la norma.

Stadio 3: Crollo politico. è perduta la fede in "il governo si prenderà cura di te". Mentre i tentativi ufficiali di alleviare la diffusa perdita di accesso alle risorse commerciali di beni di sopravvivenza non riescono a migliorare la situazione, l’establishment politico perde legittimità e rilevanza.

Stadio 4:
Crollo sociale. è perduta la fede in "i tuoi si prenderanno cura di te". Nel frattempo, le istituzioni sociali locali – siano esse rappresentate da enti filantropici, leader della comunità o altri gruppi che si affrettano a riempire il vuoto di potere – esauriscono le risorse o si dissolvono a causa di conflitti interni.

Stadio 5: Crollo culturale. è perduta la fede nella bontà dell’umanità. La gente perde la propria capacità di "gentilezza, generosità, attenzione, affetto, onestà, ospitalità, compassione, carità" (Turnbull, The Mountain People [‘La gente della montagna’]). Le famiglie si disintegrano e i loro componenti competono come individui nell’accaparrarsi le scarse risorse. Il nuovo motto diventa "Possa tu morire oggi cosicché io muoia domani" (Solženicyn, The Gulag Arcipelago [‘Arcipelago Gulag’]). Potrebbero persino verificarsi episodi di cannibalismo.

Sebbene molti immaginino il crollo come una sorta di ascensore che scende all’ultimo piano sotterraneo (il nostro Stadio 5) qualsiasi pulsante si prema, non è possibile intravedere alcun siffatto meccanismo automatico. Piuttosto, per finire tutti allo Stadio 5 è necessario che si faccia uno sforzo concertato ad ognuno degli stadi precedenti. Che tutti i giocatori sembrino determinati a fare proprio uno sforzo del genere potrebbe conferire a tale crollo la forma di una tragedia classica – una consapevole ma inesorabile marcia verso la perdizione – piuttosto che quella di una farsa ("Ops! Ah, eccoci qui, Stadio 5." - "Allora, chi ci mangiamo per primo?" - "Me! Sono squisito!"). Descriviamo questo processo per sommi capi.

Il crollo finanziario, come lo stiamo osservando al momento, consiste di due componenti. Da un lato, parte della popolazione generale è costretta a trasferirsi, non potendosi più permettere la casa acquistata sulla base di valutazioni sgonfiate, redditi contraffatti e stupide aspettative di un’infinita inflazione patrimoniale. Poiché, tecnicamente, a queste persone non si sarebbe mai dovuto consentire l’acquisto di tali case, e poiché le hanno potute acquistare solamente per via di illeciti finanziari e politici, si tratta in realtà di un sviluppo salutare. La seconda componente è costituita da uomini in abiti costosi che gettano in aria fasci di carte improvvisamente divenute prive di valore, che si strappano i capelli residui, e (possibile spietata speranza di alcuni tra noi) si danno fuoco sulla gradinata della Federal Reserve. Per usare il loro stesso gergo, "hanno fatto una cazzata" e quindi anche questo avviene proprio come dovrebbe.

La reazione del governo potrebbe essere offrire utili omelie su "i salari del peccato" e aprire qualche mensa per i poveri e qualche albergaccio in vari luoghi, tra cui Wall Street. Il messaggio sarebbe: "Ex drogati del debito e giocatori d’azzardo! Come dite voi, 'avete fatto una cazzata,' e questo farà davvero male per un bel po’. Non vi permetteremo mai più di avvicinarvi a montagne di soldi. Invitatevi a cena alla mensa dei poveri, e portatevi la ciotola, perché noi non laviamo i piatti." Il risultato sarà uno stabile Stadio 1 del crollo – la Seconda Grande Depressione.

Comunque, questo è poco probabile, perché si da il caso che negli USA il governo sia il drogato del debito e giocatore d’azzardo numero uno. Come individui, potremmo essere stati virtuosi quanto volevamo, ma il governo avrà comunque accumulato debiti esorbitanti per nostro conto. Tutti i livelli governativi – dalle amministrazioni e autorità locali, che hanno bisogno dei mercati finanziari per pagare le loro opere pubbliche e i pubblici servizi, fino al governo federale, che fa affidamento sugli investimenti stranieri per finanziare le sue guerre senza fine – sono schiavi del debito pubblico. Sanno che non possono smettere di contrarre prestiti, e quindi faranno tutto ciò che è in loro potere per far sì che il gioco continui il più a lungo possibile.

L’unica cosa, o quasi, che al governo attualmente sembra opportuno fare è estendere ulteriore credito a chi è nei guai, stabilendo tassi di interesse a livelli ben inferiori all’inflazione, accettando documenti privi di valore come garanzie collaterali e pompando denaro negli istituti finanziari insolventi. Questo ha l’effetto di diluire il dollaro, indebolendone ulteriormente il valore, e a tempo debito porterà all’iperinflazione, che è negativa in qualsiasi economia, ma è particolarmente grave nel caso delle economie dominate dalle importazioni. Mentre l’import si prosciuga e le economie collegate chiudono, si passa allo Stadio 2: il crollo commerciale.

Mentre le imprese chiudono i battenti, le facciate dei negozi vengono sbarrate con le assi e la popolazione è lasciata in gran parte senza il becco di un quattrino e dipendente dalla FEMA [ l’agenzia federale per la gestione delle emergenze] e dalla beneficenza per la propria sopravvivenza, il governo forse penserebbe a cosa fare poi. Potrebbe, per esempio, riportare in patria tutte le truppe di stanza all’estero per metterle al lavoro nei progetti di opere pubbliche pensate per aiutare direttamente la popolazione. Potrebbe promuovere l’autosufficienza economica locale, per esempio stabilendo programmi agricoli sostenuti dalla comunità, erigendo sistemi di energia rinnovabile, e organizzando e addestrando forze di autodifesa locali per mantenere l’ordine pubblico. L’equipe militare degli ingegneri potrebbe ricevere l’ordine di demolire gli edifici eretti sugli ex terreni agricoli intorno ai centri cittadini, restituire la terra alla coltivazione e costruire alloggi ad energia solare e ad alta densità nei centri urbani per reinsediare gli sfollati. Nel frattempo, potrebbe ridurre la carenza di abitazioni imponendo una tassa eccessiva sulle proprietà residenziali disabitate e incanalando i proventi in sussidi per l’affitto degli indigenti. Con molta fortuna, tali misure potrebbero invertire il trend, consentendo la restaurazione delle condizioni che precedono lo Stadio 2.

A prescindere che si tratti di un piano buono o cattivo, esso è comunque alquanto irrealistico, perché gli Stati Uniti, essendo così profondamente indebitati, saranno costretti ad accondiscendere ai desideri dei loro creditori stranieri che possiedono molte risorse nazionali (terreni, edifici e imprese) e che preferirebbero vedere un popolo di Americani subordinati che lavorano come schiavi per ripagare il loro debito piuttosto che una popolazione autosufficiente che dimentichi per convenienza il fatto di aver ipotecato il futuro dei propri figli per pagare insuccessi militari, villazze, macchinoni e televisori a schermo piatto. Di conseguenza, uno scenario molto più probabile è che il governo federale (sapendo chi gli dà da mangiare) rimanga acquiescente rispetto agli interessi finanziari stranieri. Imporrà condizioni di austerità, manterrà l’ordine pubblico attraverso sistemi draconiani e contribuirà alla costruzione di città-fabbrica e piantagioni di proprietà straniera. Mentre la gente comincia a pensare che avere un governo non è poi una gran bella idea, la situazione diventa matura per lo Stadio 3.

Se allo Stadio 1 del crollo si può assistere guardando la televisione, per osservare lo Stadio 2 potrebbe essere necessario farsi un giro a piedi o in bicicletta nel centro abitato più vicino; invece, lo Stadio 3 del crollo è molto più che probabilmente visibile direttamente dalla finestra del proprio soggiorno, che a quel punto potrebbe avere ancora i vetri, o forse no. Dopo una quantità significativa di stragi sanguinose, buona parte del Paese diventa off-limits per le autorità residue. I creditori stranieri decidono che in fondo i debiti potrebbero non essere rimborsati, riducono le perdite e si affrettano ad andarsene. Il resto del mondo decide di agire come se gli Stati Uniti non esistessero, perché "nessuno ci va più". Per non rimetterci in intrattenimento, la stampa straniera continua a pubblicare sporadicamente favole sugli Americani che mangiano i loro bambini, proprio come fecero sulla Russia dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Pochi coraggiosi espatriati americani che ancora tornano in visita riportano sorprendenti storie che raccontano di una situazione diversa, ma tutti li considerano eccentrici e forse un po’ folli.

Lo Stadio 3 del crollo può talvolta essere evitato mediante l’introduzione tempestiva di peacekeeper internazionali e attraverso gli sforzi di ONG umanitarie internazionali. Nel periodo successivo allo Stadio 2, è altamente improbabile che le autorità nazionali dispongano delle risorse o della legittimazione, o persino della volontà, di fermare il crollo e riformarsi in un modo che la popolazione accetterebbe.

Mentre lo Stadio 3 del crollo segue il suo corso, il vuoto di potere lasciato dagli ora defunti governi federale, statali e locali, è riempito da varie nuove strutture di potere. Ciò che resta delle precedenti forze dell’ordine e dell’esercito, le bande urbane, le mafie etniche, i culti religiosi e i ricchi proprietari terrieri, tentano tutti di costruire i loro piccoli imperi sulle rovine del grande impero, battendosi tra loro per il controllo del territorio e dell’accesso alle risorse. Questa è l’era dei Grandi Uomini: leader carismatici, incitatori di folla, spietati prìncipi machiavelliani e signori della guerra. Nelle zone più fortunate, essi ritengono vantaggioso raggruppare le risorse e amalgamarsi in una sorta di governo locale legittimo, mentre altrove la loro contesa per il potere conduce ad una spirale di conflitto e guerra aperta.

Lo Stadio 4 del crollo si verifica quando la società diventa così caotica e impoverita da non poter più sostenere i Grandi Uomini, che diventano sempre più piccoli fino a scomparire alla vista. La società si frammenta in famiglie allargate e piccole tribù di una dozzina di famiglie, che ritengono vantaggioso associarsi per aiuto e difesa reciproci. Questa è la forma sociale esistita per oltre il 98,5% dell’esistenza dell’umanità come specie biologica, e può essere considerata il principio fondamentale dell’esistenza umana. Gli esseri umani possono esistere a questo livello di organizzazione per migliaia, forse milioni, di anni. La maggior parte delle specie di mammiferi si estingue dopo appena qualche milione d’anni, ma, per quanto ne sappiamo, l’Homo Sapiens ne ha ancora un milione o due da vivere.

Quando la società pre-crollo è troppo atomizzata, alienata ed individualista per formare famiglie allargate e tribù coese, o quando il suo ambiente fisico diventa così caotico e impoverito che la fame e la carestia diventano diffuse, allora lo Stadio 5 del crollo diventa probabile. A questo stadio, prevale un imperativo biologico più semplice: preservare la vita delle coppie che allevano figli. Le famiglie si disperdono, i vecchi sono abbandonati a se stessi e ci si occupa dei bambini solo fino ai tre anni di età. Ogni unità sociale è distrutta, e persino le coppie potrebbero disperdersi per periodi di tempo, preferendo ognuno foraggiarsi da solo e rifiutando di condividere il cibo. Questo è lo stato della società descritto dall’antropologo Colin Turnbull nel suo libro The Mountain People. Se la società precedente allo Stadio 5 del crollo può essere considerata la norma storica per gli esseri umani, lo Stadio 5 porta l’umanità sull’orlo dell’estinzione vera e propria.

Come possiamo facilmente immaginare, la conseguenza predefinita è un guasto a cascata: ogni stadio del crollo può facilmente condurre al successivo, forse persino sovrapponendosi ad esso. In Russia, il processo fu arrestato appena dopo lo Stadio 3: ci furono problemi considerevoli con le mafie etniche e persino qualche signore della guerra, ma alla fine le autorità governative trionfarono. In altri miei scritti, descrivo molto dettagliatamente le esatte condizioni che hanno involontariamente reso la società russa relativamente a prova di crollo. Qui dirò semplicemente che tali ingredienti non sono attualmente presenti negli Stati Uniti.

Mentre cercare di arrestare gli Stadi 1 e 2 del crollo probabilmente sarebbe un pericoloso spreco di energie, un tale tentativo è probabilmente conveniente per tutti nel momento in cui si puntano i piedi allo Stadio 3, e senz’altro allo Stadio 4, ed è semplicemente una questione di sopravvivenza fisica per evitare lo Stadio 5. In alcune località – quelle ad alta densità di popolazione, nonché quelle che ospitano pericolosi impianti nucleari e industriali – evitare lo Stadio 3 del crollo è molto importante, al punto da invitare truppe e governi stranieri perché mantengano l’ordine ed evitino disastri. Altre località potrebbero essere in grado di prosperare indefinitamente allo Stadio 3, e persino gli ambienti più poveri potrebbero essere in grado di sostenere una popolazione rada che sopravviva indefinitamente allo Stadio 4.

Sebbene sia possibile prepararsi direttamente per sopravvivere allo Stadio 5, questo appare come un tentativo totalmente demoralizzante. Prepararsi a sopravvivere agli Stadi 3 e 4 potrebbe sembrare in qualche modo più ragionevole, mentre puntare esplicitamente allo Stadio 3 potrebbe essere ragionevole se si ha intenzione di diventare uno dei Grandi Uomini. Sia quel che sia, devo lasciare tali preparazioni come esercizio per il lettore. La mia speranza è che queste definizioni di specifici stadi di crollo renderanno possibile una discussione più specifica e fruttuosa di quella attualmente dominata da termini così vaghi e in definitiva assurdi come "il crollo della civiltà occidentale".
DI DMITRY ORLOV

Fonte: http://cluborlov.blogspot.com

11 marzo 2008

Made in Inflazione:la vera causa


Questo articolo, fotografa la situazione italiana mettendo a fuoco i difetti e le contraddizioni della nostra società civile.

Se fossimo in campo economico si potrebbe affermare, senza timore di smentita, che la società italiana vive, da 20 anni circa, in regime di duopolio.
Infatti che perdano o vincano le elezioni, i 2 schieramenti politici si presentano ormai da quasi 20 anni con gli stessi leader (si fa per dire) e portaborse.
Non c’è paura di sconfitta: tanto o vince Prodi o vince Berlusconi.
E chi perde ora vincerà la prossima volta.
E per i cittadini non cambia nulla.

Se prendiamo le leggi di Prodi e le giriamo su Berlusconi, cambiandone il nome, e facciamo lo stesso con le leggi varate dall’altro schieramento, non se ne accorge nessuno.
Infatti che vincano gli uni o gli altri non cambia assolutamente nulla!
Regime di duopolio, appunto, dove cane non scaccia cane ma lo protegge.

Ma lo spunto di questo articolo non parte da considerazioni politiche ma da un articolo di Maurizio d’Orlando comparso su asianews.it e recentemente fatto circolare nella lista di centrofondi.it da considerarsi a dir poco profetico e premonitore della attuale situazione dei mercati finanziari.
Nell’articolo si afferma quanto segue: «A causa di una montagna di mutui fuori parametro (subprime) concessa dalle società di credito fondiario in America, molte banche stanno entrando in crisi. Si parla di giganti come Citygroup e Bank of America negli USA ed in Europa di possibile crollo per banche del calibro di Deutsche Bank, Barclys, BNP Paribas e di alcune finanziarie (AXA) e fondi pensione.Si parla di un buco di oltre 20 miliardi di dollari USA di titoli circolanti emessi nei mercati e privi di patrimonialità reale, di cui né il grande pubblico, né i professionisti di New York si erano accorti. Non si parla più di un problema di liquidità, ma di un problema di solvibilità.Il problema si è originato negli USA a partire dal 1987, quando con pressioni della lobby bancaria - mediante elargizioni costate 300 milioni di Dollari USA - si è riusciti ad ottenere, passo dopo passo, l’abolizione della legge Glass-Steagall, approvata dal parlamento americano dopo la crisi del ‘29. La completa abolizione della legge è stata ottenuta nel 1999 grazie al Presidente Bill Clinton.A suo tempo la legge era stata approvata per evitare il conflitto d’interessi tra banche e società che sottoscrivono obbligazioni ed azioni.Principale fautore di questa liberalizzazione finanziaria è stato il precedente presidente della FED, Alan Greenspan.Questi, divenuto governatore nel 1987, prima di tale nomina era stato membro del consiglio di amministrazione della J.P. Morgan, la prima banca ad usufruire della liberalizzazione.Nei 18 anni di governatorato di Greenspan si è avuta la più grande espansione della finanza speculativa della storia mondiale e la crisi più che imminente avrebbe dimensioni planetarie.In questo ultimo periodo i grandi gruppi finanziari e bancari si sono premuniti piazzando i titoli spazzatura sia in Europa che in Asia.Questi titoli sono valutati AA o addirittura AAA dalle agenzie, cosiddette indipendenti, di valutazione dei valori mobiliari, come Standard & Poors, Moody’s e Fitch…A essere esposte in prima linea dovrebbero esserci teoricamente i fondi pensione, le assicurazioni e le grandi fondazioni americane, come pure i maggiori gruppi finanziari e bancari statunitensi, che sono all’origine dell’emissione incontrollata di titoli atipici di questi lunghi decenni.

Eppure c’è da dubitare che chi ha le chiavi del potere finanziario e monetario sia chiamato a rispondere dei propri misfatti. Alla radice del problema, infatti, ci sono le Banche Centrali ed in primo luogo la FED, che da tempo aveva un chiaro quadro della situazione…».

Ed infine la ciliegina sulla torta: « Chi controlla la FED sa dunque che non può fornire la soluzione nell’ambito stesso della FED. In questo scenario… gli Stati Uniti si preparano, insieme a Canada e Messico, a lanciare una moneta unica, detta ‘Amero’. La soluzione proposta sarebbe l’abolizione del dollaro, sostituito dalla valuta dell’Unione del Nord America»…

In sintesi prima i banchieri a suon di tangenti ai politici (300 milioni di dollari dichiarati) fanno abolire le leggi a suo tempo create in USA per impedire un nuovo tracollo economico sul pianeta come quello del 1929; poi inondano il pianeta di moneta finanziaria senza valore intrinseco nell’economia reale, ma gravata comunque di interesse che l’economia reale ignara accetta e paga.

Quando l’economia reale strozzata dai debiti (soprattutto dagli interessi sui debiti) non ce la fa più, il banchiere che comanda - «colui che controlla la FED»- decide di abbandonare la barca, creare una nuova moneta (ovviamente gravata di interesse a debito) e abbandonare la società civile con in mano dollari che andranno bene solo per accendersi i sigari.
Unico problema: far fare ai politici una legge che dia corso legale alla nuova valuta.

E in questo l’articolo di Asia News ci informa che Greenspan e il CFR (Council on Foreign Relations) sono già all’opera.

Si tratta solo di avere il tempo per prezzolare i politici di turno.
A chi studia economia in una qualunque università occidentale viene insegnato che (primo esempio di globalizzazione al mondo) le Banche Centrali (Federal Riserve, BCE, Banca d’Italia, ecc.) sono state delegate dai singoli Stati nazionali a disciplinare l’emissione della moneta per evitare che questa fosse appannaggio degli appetiti elettorali dei sistemi politici.

Come può essere quindi, che siano proprio i banchieri a prezzolare i politici per fare della moneta esattamente l’uso che si voleva evitare da parte dei politici?

E come può essere che ciò riaccada dopo il 1929 quando si sapeva già, grazie a quella esperienza, come sarebbe andata a finire comportandosi in quel modo?

E come può essere che vi sia un soggetto che possiede (o decide per) la Federal Riserve e che noi non si sappia chi sia pur avendo un così grande potere?

Che è poi il potere dei poteri: quello di decidere l’emissione della moneta.

Come mai non viene mai citato in TV o sui giornali?
Come può essere che qualcuno decida di cambiare valuta senza coinvolgere le istituzioni democratiche di quel Paese in questa decisione?


E ancora: In Europa la situazione è identica o diversa?
Chi decide quanti euro ogni anno debbano essere messi in circolazione?
Chi possiede e ha potere decisionale nella BCE?
A chi rendono conto questi signori se compiono misfatti?
Quali controlli il parlamento europeo e i singoli Stati nazionali hanno sulla BCE?
E sulle banche nazionali?
A cosa è dovuta l’inflazione?
Perché se la moneta è in mano ai banchieri per evitare abuso da parte del sistema politico le monete continuano a svalutarsi?

Gli euro emessi appartengono agli Stati nazionali o alla BCE, che è un soggetto privato e che indebita gli Stati quando questi ricevono nuova moneta?
Con quali criteri e soprattutto chi decide quale interesse passivo applicare sulla moneta presa a debito dagli Stati nazionali e di conseguenza poi dai cittadini verso le banche?
Perché il parlamento italiano può decidere di occupare militarmente uno Stato straniero ma non può deliberare sulla propria moneta?
Ed infine, perché su queste tematiche c’è la totale disinformazione da parte dei mass media ufficiali?

Siamo sull’orlo di una crisi economica inevitabile salvo un miracolo.

Il sistema bancario, principale responsabile di questa crisi, se ne lava le mani e da nessuna parte viene messo sotto accusa.
Anzi i banchieri li troviamo come primi ministri o presidenti della repubblica.
Il sistema politico, occidentale in generale e italiano in particolare, ha dimostrato incompetenza e sudditanza a questo sistema.
Tutti noi sappiamo perfettamente che se anche va al governo la coalizione opposta non cambierà nulla.
Il cittadino fondamentalmente è al muro ed è impotente perché non capisce come funziona il sistema.
Non sa dove è il trucco, se trucco c’è.

Non sa cosa fare perché gli è stato fatto credere negli ultimi 70 anni che l’unico sistema economico possibile è quello occidentale, in quanto è il migliore e ha dato abbondanza e prosperità a tutti.

Non ce né un altro migliore.
L’altro possibile, cioè il comunismo, è morto da tempo perché peggiore di quello occidentale..

Ma noi sappiamo che non è così.
Sappiamo, nonostante il colpevole silenzio dei media ufficiali, che è possibile ricorrere ad un sistema monetario diverso, dove la moneta appartiene agli Stati e non a banchieri privati, senza che questo metta in discussione la società occidentale ed i suoi valori sociali, politici e democratici; sappiamo che, ad esempio, solo in Italia esistono oltre una ventina di esperimenti di moneta complementare (in Germania sono più di 100) che cercano di far sì che la spesa dei cittadini rimanga all’interno dell’economia nazionale e non se ne vada a gonfiare gli investimenti speculativi asiatici; sappiamo che il problema del deficit dello Stato italiano è collegato al debito che viene contratto dallo Stato verso banchieri privati allorché nuova moneta viene immessa in circolazione, e non solo per l’eccesso di spesa della «casta politica» rispetto alla raccolta delle imposte; sappiamo che i banchieri internazionali non vogliono che le masse siano informate su questi meccanismi, altrimenti non potrebbero più spiegare ai cittadini come mai Prodi e Letta sono stipendiati dalla Goldmann Sachs quando non hanno incarichi governativi, e che la Goldman è l’advisor (vale a dire il consulente che dice a chi vendere e a quale prezzo) per eccellenza quando lo Stato italiano vende qualche azienda pubblica; sappiamo che la scuola di pensiero dell’insigne economista Federico Caffè, misteriosamente scomparso nel 1987, che si opponeva alle distorsioni di questo sistema finanziario, non è morta con lui.

Allora riteniamo che sia giunto il momento di cominciare ad illustrare, da questo sito, quale è il trucco del capitalismo.
Che i banchieri internazionali lo vogliano o no.
Se chiedete a qualcuno quale sia la causa dell’inflazione, se il vostro interlocutore è onesto non otterrete nessuna risposta.
Se non lo è, comincerà a ripetere qualche informazione presa qui e là.
Vi parlerà dell’aumento del prezzo del petrolio (ma senza dirvi che un aumento sino a 150 $
al barile è stato deciso a tavolino più di un anno fa in una riunione del gruppo Buildenberg); oppure citerà qualche sciopero degli autotrasportatori, o parlerà della siccità.
Ma non potrà dire nulla che possa spiegare il costante, irreversibile e durevole fenomeno di perdita di valore della moneta a medio e lungo termine cui tutti siamo abituati a convivere da quando siamo nati.
Come mai?

Si è già detto nella prima parte di questo articolo (1) che nel 1987, grazie a pressioni della lobby bancaria e a Greenspan, già governatore della FED (Federal Reserve), era stato abrogato in USA
il sistema che impediva interferenze bancarie nelle aziende che chiedevano prestiti, al fine di evitare un nuovo 1929.
Tolti i vincoli alle banche, dopo qualche anno sta iniziando a succedere né più ne meno quello che è successo nel 1929.
Quello che negli USA è stato fatto da Greenspan in Italia è stato fatto da Ciampi, che nel 1993 ha abrogato la legge bancaria del ‘36.

Non deve stupire che in Italia (ed in Europa) sia avvenuto quello che è già avvenuto in USA.
Mentre Alan Greespan prima di diventare governatore della FED era membro del Consiglio di Amministrazione della J.P. Morgan, da noi molti dirigenti del ministero del Tesoro ed i vari Ciampi, Prodi, Draghi, ecc., sono stati ai vertici di Goldman Sachs, una delle principali banche d’affari del pianeta, nonché il principale advisor per la (s)vendita dell’IRI diretta proprio da Romano Prodi e indagata assieme alla stessa JP Morgan e Lehman brothers, dalla procura
di Pescara per truffa ai danni dell’erario italiano.

Anche il futuro è già stato assicurato qualunque schieramento vinca le elezioni.
E’ infatti del 18 giugno 2007 la notizia della nomina ad advisor di Goldman Sachs di Gianni Letta, già sottosegretario alla presidenza del consiglio del Governo presieduto da Silvio Berlusconi .

La lobby bancaria dunque si comporta come tutte le lobby: persegue esclusivamente il suo interesse e quello dei suoi soci.
Stupisce quindi che a questa lobby, in tutte le economie capitalistiche, sia stato trasferito dai singoli Stati nazionali il potere di emettere moneta attraverso il cosiddetto «sistema delle Banche Centrali nazionali private».
Potere che, tra l’altro, è stato trasferito in regime di monopolio, e si colloca al di sopra delle leggi e di qualsiasi possibilità di controllo degli Stati nazionali, che in qualche modo hanno, a differenza delle Banche Centrali private, organismi eletti dalla cittadinanza secondo criteri democratici.

Eppure questo sistema viene propagandato presso la società civile come il sistema monetario più progredito, anzi come «l’unico possibile» in quanto frutto dell’evoluzione naturale dei sistemi economici più efficienti e liberi.
Niente di più falso naturalmente, come vedremo in seguito.
Ma stupisce soprattutto la mancanza di critica sostanziale a questo sistema monetario da parte
della classe politica e del mondo accademico nonostante, dopo alcuni anni di soggiogamento a questo sistema monetario, emergano ovunque inevitabilmente due amare e drammatiche verità che contrastano proprio con le motivazioni e gli obiettivi che hanno portato alla costituzione dell’attuale sistema monetario basato sulle Banche Centrali private:

- l’aumento sistematico ed irreversibile dell’indebitamento da parte dei soggetti che utilizzano
la moneta nei confronti dei soggetti che emettono la moneta: paradosso che vede gli Stati nazionali e la cittadinanza intera, vale a dire l’economia reale che produce beni e servizi, sempre più indebitata nei confronti del sistema bancario, che non produce né beni né servizi;
- il perdurare dell’inflazione e della perdita di valore della moneta rispetto al sistema dei prezzi.

Nelle università di economia si insegna che è stato necessario togliere ai governi nazionali (democraticamente eletti) la sovranità monetaria (cioè il potere di decidere quanta moneta emettere, nei confronti di chi e a quali condizioni di interesse) in quanto questi utilizzavano tale strumento prevalentemente per fini politici ed elettorali.
Vale a dire stampavano troppa cartamoneta rispetto al reale fabbisogno dell’economia reale e questo creava inflazione.

L’esempio che più spesso veniva citato negli anni ‘80 era quello della repubblica tedesca di Weimar post prima guerra mondiale, e della sua iperinflazione per eccesso di cartamoneta stampata.
Da qui la necessità di pervenire ad un sistema monetario internazionale più stabile e non asservito al sistema politico o al dittatore di turno (3).

Questo percorso è stato realizzato a tappe in Europa con il trattato di Maastricht del 1992, che ha portato dapprima alla costituzione della BCE (Banca Centrale Europea), omonimo della FED
in USA, ed al sistema SEBC (Sistema Europeo delle Banche Centrali) composto dalle Banche Centrali Nazionali (BCN), e successivamente all’introduzione della moneta unica.
Il sistema SEBC ha il compito di coordinare una politica monetaria unica nei Paesi dell’euro. L’obiettivo dichiarato del neonato «Eurosistema» era ed è il mantenimento della stabilità dei prezzi.

Per questo motivo agli Stati che adottavano l’euro era richiesto da subito:
Un rapporto tra deficit pubblico e PIL non superiore al 3%;
Un rapporto tra debito pubblico e PIL non superiore al 60%.

La BCE sin dall’inizio ha mostrato di sapere bene quale sia la causa principale dell’inflazione.
Nel Bollettino mensile della BCE Febbraio 1999 alla pagina 27 si affermava infatti che «Vi è
un ampio consenso, fondato su un’evidenza empirica ragguardevole, sul fatto che la dinamica
dei prezzi nel medio-lungo periodo abbia un’origine monetaria ...» (4).
Il sistema BCE - Banche Centrali (i cui costi sono a carico nostro) aveva ed ha, pertanto, tutti
gli strumenti per operare la stabilizzazione dei prezzi all’interno del sistema euro: gli è stato conferito il monopolio dell’emissione monetaria (proprio per sottrarla alle politiche ed ai rischi inflattivi degli Stati nazionali e dei politici); opera in assoluta autonomia rispetto agli Stati nazionali; mostra di conoscere che la reale causa dell’inflazione è un problema di massa monetaria in circolazione, di cui lo stesso sistema BCE-SEBC ha il monopolio di emissione.

E allora perché non eliminano il problema?
Non avremo per caso costruito anche a livello europeo un ulteriore carrozzone mangiasoldi
che non serve a nulla?
Per entrare nell’euro ci hanno chiesto sacrifici.
E per rimanerci sopportiamo ogni anno finanziarie assurde.
Ma se tutto questo è stato fatto per stabilizzare i prezzi e difenderci dall’inflazione perché i prezzi continuano ad aumentare?
Perché la moneta che abbiamo in tasca continua a perdere di valore anno dopo anno?
Quando una cosa non viene capita da un interlocutore attento dopo che è stata ripetuta più volte, o è una bufala oppure non si vuole che sia capita.
Allora vediamo dove è il trucco, se trucco c’è.

Molti non sanno che la BCE è un soggetto privato.
Nessun organismo comunitario o nazionale può imporre direttive o controlli alla BCE. Analogamente al sistema vigente in USA con la Federal Riserve, gli unici soggetti a cui risponde
la BCE sono i suoi soci, che sono in linea di massima le Banche Centrali (BCN) degli Stati aderenti all’euro, anch’esse a suo tempo privatizzate o rese autonome dalle influenze degli Stati nazionali, con alcune inspiegabili anomalie in quanto sono soci, ad esempio, alcune Banche Centrali di Stati non aderenti all’euro come la Gran Bretagna.
I soci della BCE sono quindi privati.
E i soci dei soci della BCE anche.

La Banca d’Italia ad esempio, che ha un diritto di partecipazione in BCE del 14,57% (9), è posseduta interamente da banche ed enti privati (vi è anche l’INPS) (5).
Ma allora, se la BCE ed i suoi soci banchieri sono soggetti privati, così potenti da condizionare tutti i governi ed imporre un sistema monetario che concede solo e solo a loro di battere moneta, e di determinarne il tasso di interesse, senza alcun controllo da parte di chicchessia, non è per caso che sono loro a determinare volontariamente l’inflazione perché così ci guadagnano?
E a scapito dell’intera economia reale?

Margrit Kennedy nel suo libro «La moneta libera da inflazione e da interesse» (6) documenta esattamente una situazione analoga in Germania negli anni ‘80, dove il 90% della popolazione pagava endemicamente interessi passivi allo 0,2% della popolazione, con un 10% circa che riusciva a rimanere in una situazione di pareggio.
Trattandosi della Germania e non di una repubblica delle banane qualsiasi, non è credibile che un sistema così concepito possa essere casuale.
Né che sia frutto dell’evoluzione naturale del mercato.
Ci sarà pure un motivo se anche in periodi di congiuntura sfavorevole gli unici uffici che non si riducono mai sono (oltre a quelli pubblici) gli sportelli bancari e se alle banche appartengono i più bei palazzi in qualunque città andiate.

Secondo quanto documentato nell’interessante saggio del ricercatore indipendente Rudo de Ruijter «I segreti del denaro, dell’interesse e dell’inflazione», la principale causa dell’inflazione è data dalla facoltà concessa alle banche di immettere moneta creditizia in base al meccanismo della riserva frazionaria.
De Ruijter sottolinea che con questo meccanismo «i prestiti hanno un effetto nascosto. Quando colui che ha ricevuto il finanziamento spende i soldi, chi li riceve li deposita nella sua banca che, proprio grazie a questo deposito, può effettuare nuovi prestiti. Anche i soldi di questi nuovi finanziamenti verranno spesi e diventeranno depositi in altre banche. E così via. Naturalmente
ad ogni passaggio la banca incassa interessi. E’ un enorme girotondo che crea denaro e gonfia
la massa monetaria totale del Paese. Ogni volta che i prestiti concessi da una banca diventano depositi in un’altra banca comincia un nuovo giro di finanziamenti … Le banche creano nuova moneta, ma non possono magicamente creare nuovi beni da comprare. Se la gente dispone di più soldi ma la quantità di beni da comprare resta invariata, tutto quel che succede è che i prezzi salgano. Il valore facciale del denaro diminuisce. E’ quella che si chiama inflazione. Allora, quando le banche mettono in circolazione nuovo denaro, il valore dell’unità monetaria diminuisce…».

Ora è più chiaro su chi ci guadagna e chi no se permane un regime perenne di inflazione?
Abbiamo ceduto la sovranità monetaria ad un soggetto privato che fa esclusivamente il suo interesse e quello dei suoi soci, e lo fa a danno dell’intera economia reale.
Ma le caratteristiche dell’attuale sistema monetario comportano anche altre conseguenze, tutte
a favore delle banche e deleterie per gli altri.

Claudio Bianchini