18 marzo 2008

Crisi americana annunciata dai politici!



Il popolo americano viene e continuerà ad essere divorato vivo dai grandi squali bianchi finanziari di dimensioni gargantuali, e le distrazioni Michael Jackson/Britney Spears dei media principali, che si concentrano sugli inetti candidati politici, non sono altro che distrazioni di strabiliante irrilevanza al cospetto della carneficina che si sta verificando. Questo è l’equivalente del 21 secolo del “panem et circenses” per ammansire le masse mentre l’impero crolla nella pattumiera della storia. – CAROLYN BAKER

Ormai lo sapete. Hillary Clinton è diventata la nuova rosa gialla del Texas, con un doppio passo nella strada verso le elezioni, dando una sferzata al suo avversario. Ha preso anche l’Ohio e Rhode Island. Barack Obama si è acchiappato il Vermont, dice di essere in testa per delegati. McCain ha vinto tutto, è il candidato del GOP [partito repubblicano]. Ron Paul si tiene stretto il suo posto nel Congresso.

Più notizie dopo lo spazio pubblicitario!

Le guerre partigiane si intensificheranno con le reti televisive che pregano perché si protraggano per tutta l’estate e oltre, per continuare a far salire gli indici di gradimento e gli incassi.

Ma cos’è che non sappiamo?

La storia che mette in ombra tutto questo, la storia che sta avendo un impatto su ciascun votante e ciascun cittadino viene tuttora relegata per lo più alle ultime pagine della sezione economica, come se la nostra vita e il nostro futuro riguardasse solo il commercio.

Termini come “recessione” - di cui pochi conoscono il significato tecnico - vengono sbattuti a destra e a manca mentre l’economia continua a scivolare con pochi candidati o media rispettabili che si adoperino molto per far luce sul dove tutto questo ci sta portando. Doveva essere un miliardario come Warren Buffet a dire che naturalmente, siamo in recessione. Lo chiama “senso comune”. Certo che lo è.

I telegiornali prediligono fare la cronaca delle campagne elettorali. Lo fanno da anni e sanno contare. Ci giocano come con una corsa di cavalli, con notizie spesso nascoste. Adorano montare qualsiasi scandalo o fatto negativo per rinfacciarlo ai candidati. Obama è andato dalle stelle alle stalle dopo che i comici di Saturday Night Live hanno ironizzato sulla presentazione delle notizie principali. Gli esperti praticamente telefonano con le domande: Chi ha parlato male? Chi nasconde cosa? Più è intenso il dibattito, meglio è per gli indici di gradimento. Il calore attrae sempre più della luce. Vale ancora una volta la legge dell’“elecotainment” [ndt. “elezione-intrattenimento”].

Sul fronte economico, l’approccio sembra essere al contrario. Lì si va alla ricerca di qualsiasi buona notizia, dando letteralmente il via libero alle affermazioni del governo e molto spazio durante le trasmissioni agli esperti che rinforzano la fiducia, anche quando le loro predizioni fanno fiasco.

Non c’è da meravigliarsi che, secondo quanto detto dall’Economic Trends Institute, c’è una grossa spaccatura tra quello che viene riportato e quello che succede realmente.

“L’economia degli Stati Uniti è in fase di dissolvimento. Il panico del 2008, l’inizio della peggior crisi finanziaria che abbia mai colpito l’america moderna è in corso.

Ma nonostante le dosi giornaliere di terribili dati economici che indicano il disastro, i media non riportano quanto sia realmente grave (se anche lo riportano), mentre Wall Street e Washington negano che si avvicini una recessione… o proclamano che, se ne dovesse arrivare una, l’impatto economico sarebbe lieve”.

Leggete i blog finanziari e proverete solo disprezzo per le affermazioni del governo e la sua indoratura della verità. Questo è tratto da The Ledge del Wall Street Examiner:

‘Oggi il termine propagandistico “contenuto” è stato archiviato nel profondo delle viscere della macchina parlascrivi del Ministero della Verità. L’infezione di CF [ndt. Capitale Fittizio] si è propagata quasi dappertutto fatta eccezione per i mercati del dipartimento del tesoro del governo, che accanto all’ente governativo per l’edilizia, massicciamente distorto dalle banche centrali straniere, sta, secondo me, per scoppiare come popcorn nel microonde’.

Popcorn nel microonde?

Passate come faccio io, a siti web credibili come MI-implode.com che monitora le ipoteche e i pignoramenti, e dove c’è a mala pena uno spiraglio di luce.

Questi erano i titoli principali all’inizio di serata.

●Indagine trova che i pignoramenti sono ancora l’esito più comune per i mutuatari – [2008-03-04]

●Aumentano i rischi delle obbligazioni delle società mentre peggiorano le perdite delle banche speculatrici – [2008-03-04]

●Carte di credito e un altro debito sono la nuova preoccupazione per le banche – [2008-03-04]

●La Citygroup potrebbe aver bisogno di liquidità mentre aumentano le perdite, dice Dubai – [2008-03-04]

●Bernanke: più ipoteche, nuovi guai in arrivo per le case –[2008]

●Gli esuberi della Citygroup potrebbero superare i 30,000 –[2008-03-04]

●Interviene la polizia per metter fine a lite in una casa pignorata – [2008-03-04]

Se vedete tutto questo in un’unica ottica, congiungete i puntini e indagate più a fondo, apprenderete che 76 banche potrebbero fallire, il 52% in più rispetto all’anno scorso, e capirete che il Titanic, o magari si tratta della “good ship lollipop” [bella nave leccalecca ], potrebbe affondare ancora.

Mentre leggete queste storie potreste pensare di non esserne coinvolti, ma certo il declino economico vuol dire maggiore disoccupazione e inflazione. Questa piaga sta dilagando, il sistema è “infetto”. Lo chiamano “contagio”. Nessuno è immune tranne i super ricchi.

Prendete queste storie e raffrontatele con quello che viene fatto, o che viene persino proposto di fare e diventa ancora più temibile. Potrebbe essere perché tutti sono distratti dall’euforia delle elezioni, ma i nostri politici assomigliano sempre più a dei daini sotto i fari, paralizzati dalla paura e dall’incertezza.

Riferisce Reuters: questo è un fallimento bipartisan.

“WASHINGTON (Reuters) – Poco viene fatto nel Congresso, o nell’amministrazione Bush, per riparare al crollo di fiducia nei mercati di titoli di credito privati che sta minacciando altri settori oltre la propria origine nella crisi dei mutui subprime.

I prestiti per gli studenti sono colpiti duramente, come pure i mercati delle obbligazioni valutate all’asta che vengono largamente usati dai governi comunali per aiutare a finanziare progetti quotidiani di vitale importanza quali le strade, le scuole e i parchi.

Secondo alcuni economisti e legislatori il congelamento del capitale in questi mercati, e possibilmente in altri, potrebbe causare danni nel lungo termine al sistema finanziario e all’economia.

Mentre il Congresso e la Casa Bianca si concentrano sui passi nel breve termine per proteggere gli Americani dall’aumento dei pignoramenti e sono più rigorosi con gli intermediari per mutui ipotecari, non viene proposta alcuna legislazione sostanziale per gestire in modo esplicito la disfunzione dilagante nei mercati di capitale”.

Bisogna scuotere il capo quando ci si rende conto che non si tratta più solo della bolla immobiliare, ma di una bolla più grande di ottusa negazione. E quel che è peggio è che gli sforzi dei media indipendenti di puntare l’attenzione su tali questioni vengono bocciati.

Ho cercato di far trasmettere il mio film “In Debt We Trust” sulle reti televisive principali. (è stato trasmesso in tutto il mondo) Una rete mi ha detto che è “troppo pesante”. Un altro canale che voleva trasmetterlo e il cui responsabile mi aveva detto che avevo anticipato la svolta, e che la questione è molto importante, ora non ne è più così sicuro. Temono quello che la trasmissione potrebbe fare alla loro immagine e alla loro identità. Forse le reti hanno paura di far scappare via chi pubblicizza i mutui e le carte di credito.

Negli ultimi dieci anni ho scritto, ho pubblicato 8 libri su svariati argomenti. Come giornalista di indagine, ho scritto su questa crisi affermando che questa implosione ha potuto aver luogo grazie all’ingordigia finanziaria criminale, ad un grande insuccesso di regolamentazione e all’indifferenza dei media. Di recente, ho aggiornato e riscritto la precedente versione del mio e-book, avendolo ora ribattezzato “SIAMO FREGATI: Come i capitalisti stanno facendo cadere il capitalismo”.

Ho un’agente fantastico che cerca di promuoverlo, ma fino ad ora abbiamo collezionato solo dei “no”. Perché? È presumibilmente poco “incisivo”. Traduzione: non si concentra solo su un aspetto del problema, ma offre un’analisi più ampia. È qualcosa di male?

Un esempio: critico la carenza di informazione decente da parte dei media. Forse il fatto che la gran parte delle società editoriali sono di proprietà dei conglomerati mediatici ha a che fare in qualche modo con tutti quegli editori che “passano la mano”? Un editore “progressista”mi ha persino detto, proprio mentre l’inflazione cresce e si perdono più posti di lavoro, che non è “pertinente” o necessario. Eh?

Forse sono in discussione le mie credenziali? Ho prodotto una delle prime storie sullo scandalo della S&L [Savings and Loan] per la ABC News. Molti siti web pubblicano i miei articoli su questa crisi e che hanno aiutato, a un certo livello forse, a evidenziare la questione. Molte università, organizzazioni e chiese mi hanno invitato a parlare. Ho persino una laurea della London School of Economics. Non importa niente.

Se non sei regolarmente sul CNBC o Bloomberg o la facoltà a Harvard, non sei ammesso al dibattito. Sono certo che questa non è solo un’opinione personale. Non si rendono conto che se i fatti sono importanti, altrettanto lo sono le diverse interpretazioni? Non puoi spiegare come siamo arrivati a questo caos con le congetture o gli slogan. È un problema di istituzioni, non solo di individui.

Gli “esperti” che hanno guardato dall’altra parte per anni non dovrebbero essere gli stessi su cui facciamo affidamento per apprendere la questione reale. Pensano che tutto questo se ne andrà se non lo sappiamo?
Danny Schechter

16 marzo 2008

Le nostre elezioni sono più libere che in Russia?


La domanda potrebbe essere banale, ma non lo è. Come paragonare la nostra democrazia con quella russa? Come credere, che le nostre elezioni siamo esenti da brogli? Lo vanno dicendo ognuno degli opposti schieramenti, un fondo di verità penso ci sia. E allora? Punto.
Si pone la domanda Justin Raimondo, famoso blogger-giornalista .
Si sa, viene indicata come strisciante tendenza al totalitarismo il fatto che Putin resti al potere, ora da primo ministro, mentre il suo successore alla presidenza, Medvedev, riceverà ordini da Putin.
Ma è poi davvero diverso in America, dove si sospetta che Bill Clinton farà da suggeritore ad Hillary, se questa vincerà le elezioni?
Almeno in Russia manca l’elemento dinastico, diventato tipico della «democrazia» americana: Putin almeno non ha dato la presidenza a suo figlio, come Bush senior ha comprato la presidenza a Bush junior.
Praticamente, la terra delle libertà è piena di famiglie reali: «i» Bush, «i» Clinton, «i» Kennedy...
Gli elettori russi non avevano una vera scelta tra partiti, dicono gli accusatori di Putin.
I comitati elettorali hanno rifiutato di registrare certi candidati invisi al Cremlino.
D’accordo, ma in USA nessuno da decenni riesce mai a fondare un terzo partito, e con questo arrivare a sottoporsi al giudizio delle urne.
Se le TV di Mosca non danno notizie sul candidato Kasparov, le libere TV americane non fanno menzione di Ron Paul, e dei suoi primi buoni piazzamenti alle primarie: Ron Paul è una non-persona.
Nonostante tutte le restrizioni alle candidature nel regime putiniano, i russi hanno avuto più scelta degli americani.
Il che vale anche per noi italiani, se ci si pensa.
Possiamo scegliere fra due partiti quasi identici fin nel nome (PD e PDL) con programmi quasi uguali.
Nemmeno possiamo esercitare le preferenze: andranno in Parlamento i primi nomi che appaiono nelle liste, lo vogliate o no.
E l’ordine dei nomi nelle liste l’hanno deciso Veltrusconi e Beltroni.
Sono loro che decidono per chi dovete votare.
Impagabile la critica che gli «osservatori» europei hanno diretto alle elezioni russe: i media sono «pregiudizialmente» orientati, hanno detto.
Manca la libertà di stampa.
E in USA?
Mica erano giornalisti russi quei famosi anchormen che aprivano i TG, ai tempi dell’invasione dell’Iraq, esibendo all’occhiello il distintivo patriottico a stelle e strisce.
Mica è russa Judith Miller, famosa giornalista del New York Times, che sul New York Times, il più grosso e indipendente dei giornali americani, raccontò come Saddam, avesse le armi di distruzione di massa, panzana fedelmente ripetuta da tutti quanti i media americani ed europei; poi si è scoperto che la Miller (ebrea) prendeva l’imbeccata su quel che doveva scrivere direttamente da Cheney e da Bush.
I media «indipendenti» occidentali demonizzano chi contesta la versione ufficiale sull’11 settembre, lo definiscono «negazionista e antisemita» (chissà perché), gli negano la parola.
I media occidentali hanno incolpato senza prove Putin di essere il mandante di assassinii vari (la Politkovskaya, uccisa in realtà da gangster ceceni) e l’ex-spia Litvinenko; ancora due giorni fa m’è capitato personalmente di sentire un giornalista italiota accusare Putin della strage nella scuola di Beslan, perpetrata da terroristi ceceni al soldo dell’oligarca Berezovski.
E ovviamente, se l’Ucraina, per una contestazione sul prezzo con Gazprom, minaccia di far mancare all’Europa il gas proveniente dalla Russia, la colpa è di Putin - anche se l’Ucraina ha un obbligo contrattuale a far passare il gas, essendo pagata per questo con ricche royalty.
Insomma, Putin è aggressivo.
Ma allora come definire il presidente Bush, che ha decretato l’invasione di Afghanistan ed Iraq, occupati da sei e quattro anni da truppe USA, che manda a bombardare villaggi in Somalia (in Somalia!), che vuole installare missili a ridosso della Russia in Polonia, i cui commandos si preparano a fare incursioni in Pakistan per impadronirsi delle testate nucleari di quel Paese, le cui flotte belliche assediano minacciosamente le coste iraniane, e il cui massimo alleato (la sola democrazia del Medio Oriente) ha aggredito tre nazioni negli ultimi tre anni, Libano nel 2006, Siria nel 2007, Gaza nel 2008.
Bisogna riconoscere che c’è un certo disordine nel nuovo ordine mondiale: Israele bombarda le famiglie a Gaza dopo averle affamate, la Turchia compie incursioni in profondità in Iraq, la Colombia compie incursioni armate in Ecuador, sicchè sta per scoppiare una guerra fra la Colombia da una parte e l’Ecuador e il Venezuela dall’altra; tutto il mondo si riarma freneticamente (la Cina ha aumentato decisamente le sue spese militari), la NATO progetta di fornirsi di testate atomiche adatte ad un attacco nucleare preventivo.
Ma se il mondo si riarma non è perché ha paura di Putin; lo fa perché ha paura dell’America e della sua attitudine all’aggressione preventiva e non provocata, e alla sua decisione di «diffondere la democrazia» e «fare la guerra globale al terrorismo».
E’ l’America che ha schedato come sospette di «terrorismo» o simpatie per il terrorismo 700 mila persone, non solo stranieri ma cittadini americani; e a queste persone nega il visto d’entrata, e vieta persino di salire su un aereo di linea.
Non è la Russia ad essersi data un nuovo ministero che si chiama «Dipartimento per la Sicurezza della Terra Patria» (Homeland Security), né che ha legalizzato la tortura per interrogare dei sospetti.
E che dire dell’Europa?
Gli osservatori europei che hanno fatto le pulci alle elezioni russe hanno poi dovuto concludere che i risultati «riflettono la volontà di un elettorato il cui potenziale democratico purtroppo resta inespresso».
Potessimo dire lo stesso noi europei degli osservatori europei: membri di un Parlamento Europeo di cui vi sfido a ricordare i nomi di dieci membri (l’abbiamo votato? Sì, ma sono stati i partiti a decidere chi dei loro doveva «andare in Europa»), un parlamento del resto che ha solo poteri consultivi, mentre il potere di governo appartiene alla Commissione, che mai si sottopone ad elezioni.
E’ un’Europa che evita in tutti i modi di sottoporre a referendum la Costituzione (cosiddetta) europea, per non vedersela bocciare.
Sicchè possiamo dire che anche in Europa «il potenziale democratico dell’elettorato resta purtroppo inespresso», ma - al contrario dei russi - non possiamo dire che «i risultati riflettono la volontà dell’elettorato» medesimo.
O forse avete scelto voi Solana, Frattini, Trichet, perché vi piacciono?
I russi, Putin, se lo sono scelto e lo vogliono tenere dov’è.
Forse perché Putin ha tirato fuori la Russia dall’abisso economico-sociale, ha recuperato dal saccheggio degli «oligarchi» finanziati da Wall Stret e dalla City che s’erano accaparrati le materie prime nazionali, e l’ha liberata dalle ricette liberiste suggerite dalla Scuola di Chicago, che l’avevano portata al collasso («liberalizzazione» costata sei milioni di morti, soprattutto fra i pensionati, e il sorgere di una criminalità ferocissima e ricchissima).
Sotto il non-democratico Putin, la Russia è cresciuta economicamente al ritmo del 7% annuo (8,1% nel 2007), mentre i democratici Stati Uniti stanno crollando in una depressione storica a forza di debiti e fantasie finanziarie, con 2 milioni di famiglie che probabilmente nel 2008 perderanno la casa ipotecata.
La Russia, sotto Putin, ha pagato in anticipo tutti i suoi debiti, ed ora ha riserve per 480 miliardi di dollari (nel 1998 le sue riserve erano zero); ha un attivo di bilancio pari al 6% del PIL (l’Italia ha un passivo di… lasciamo perdere); in Russia, l’imposta sul reddito è del 13% (in Italia del 43%, più IVA 20%) .
E non è vero, come ripetono i soliti maestri di democrazia, che la Russia è un’economia basata sul petrolio come l’Arabia Saudita.
La sua industria edilizia cresce del 16% annuo, le vendite al dettaglio del 13%, gli investimenti interni del 20% (Putin sta rinnovando le vecchie cadenti infrastrutture sovietiche).
Il suo settore scientifico-tecnologico è di prim’ordine, deve essere solo messo a profitto nel civile, cosa che prima o poi accadrà.
Vero che ci sono inconvenienti (inflazione, corruzione, poca trasparenza, commistione del politico con l’economico).
Vero anche che lo slancio iniziale per la ripresa Putin l’ha tratto da una decisione di aumentare del 50% la produzione annuale di greggio.
Ma questo è stato un vantaggio anche per noi europei: se avesse bloccato la produzione, rifiutandosi come fa l’OPEC di aumentarla e magari associandosi all’OPEC, oggi il petrolio ci costerebbe 150, non 100 dollari al barile.
L’Italia però ha la democrazia.
Forse per questo era la quarta economia mondiale ai tempi di Craxi, ed è oggi la settima.
Sarà perché ancora 15 anni fa il 70% dell’economia italiana era controllata dallo Stato - o meglio dai partiti, siamo in democrazia - ed ancor oggi le privatizzazioni ci hanno dato aziende come Alitalia, Trenitalia e Telecom, dei monopoli più inefficienti e avidi di prima, più incapaci di fornire servizi, solo coi «manager» pagati il triplo di prima, perché ora questi marpioni messi a quelle poltrone da Prodi sono «dirigenti privati».
L’Italia è una democrazia, e perciò l’intrusione dello Stato è moltiplicata con l’intrusione delle Regioni, delle Province, dei Comuni e dei consigli di zona; le università sono moltiplicate in relazione diretta con l’ignoranza generale; la produttività è diminuita, la precarietà aumentata, e per trovare lavoro non ci si rivolge al libero mercato, ma alle raccomandazioni e alle tessere di partito, a Mastella e a De Mita o a Formigoni.
Pensate se al posto di Prodi ci fosse Putin: che rischio per la monnezza di Napoli!
Invece, la democrazia italiana è orgogliosa di poter dire al mondo che la sua terza città è sepolta nella sua stessa spazzature da sei mesi, senza soluzione in vista, grazie al fatto che nessuno esercita l’autoritarismo per costringere a lavorare i 20 mila spazzini-camorristi napoletani, o a costruire gli inceneritori contro la volontà dei numerosi verdi pro-monnezza.
Una splendida democrazia.
Che l’ISN di Zurigo (International Relations and Security Network) ha descritto ai suoi lettori così: «Le agenzie di rating hanno abbassato il debito pubblico a due punti al disopra dei junk-bond; i livelli di disoccupazione nel sud del Paese sono i più alti dell’Europa occidentale; le statistiche pubbliche sono notoriamente inaffidabili; le speranze dei cittadini nel governo sono al livello più basso della storia; la criminalità organizzata controlla vaste zone del territorio nazionale; il sistema giudiziario è privo di autorità; e le prospettive economiche sono di declino» .
E ancora: «In politica come in economia compaiono e ricompaiono le stesse facce e le stesse idee che sono in giro da anni».
«In aprile gli italiani andranno al voto con poca possibilità di eleggere un governo che duri per tutto il mandato».
«Non è un segreto che l’Italia ha da anni bisogno di un ampio ventaglio di cambiamenti strutturali, ma che non ha mai avuto un governo con la stabilità e il mandato per imporre questi cambiamenti».
«I problemi economici sono tutti assolutamente dovuti alla politica» (la Casta).
«L’Italia è da troppo anni una nazione ingovernabile come poche altre nel mondo».
L’Italia, prevede l’ISN, è sulla via di diventare un «failed state», uno Stato fallito.
Uno Stato fallito è «uno Stato in cui il governo centrale è troppo incapace (ineffective)
per esercitare il controllo pratico sul suo territorio».
La lista dei failed states ne comprende 32, con in testa «Sudan, Iraq e Somalia».
Ma noi, con le tasse più esose d’Europa, la legislazione più punitiva per gli onesti e più accomodante per i delinquenti, i servizi peggiori, il settore pubblico più pletorico e più pagato del mondo: uno Stato fallito pieno di «ricchi di Stato».
E’ il trionfo della democrazia secessionista permanente.
Mica siamo come i russi, che si tengono l’autoritario, il non-democratico Putin.

M. Blondet

15 marzo 2008

Se tuo voto vale 50 euro, tu quanto vali?


Fin quando nessuno vivrà il terrore delle proprie azioni tutto rimarrà immobile. Nessuno si rende conto della violenza dell'immobilismo un movimento gandhiano in modo inverso. Queste elezioni, inutili, anticostituzionali ed altro accresceranno il divario fra realtà e privilegi barocchi. Qualcuno interverrà? Ne dubito.

NESSUNO vincerà le elezioni in Italia. Nessuno. Perché finora tutti sembrano ignorare una questione fondamentale che si chiama "organizzazioni criminali" e ancor più "economia criminale". Non molto tempo fa il rapporto di Confesercenti valutò il fatturato delle mafie intorno a 90 miliardi di euro, pari al 7 per cento del Pil, l'equivalente di cinque manovre finanziarie. Il titolo "La mafia s. p. a. è la più grande impresa italiana" fece il giro di tutti i giornali del mondo, eppure in campagna elettorale nessuno ne ha parlato ancora.

E nessuna parte politica sino a oggi è riuscita a prescindere dalla relazione con il potere economico dei clan. Mettersi contro di loro significa non solo perdere consenso e voti, ma anche avere difficoltà a realizzare opere pubbliche.

Non le vincerà nessuno, queste elezioni. Perché se non si affronta subito la questione delle mafie le vinceranno sempre loro. Indipendentemente da quale schieramento governerà il paese. Sono già pronte, hanno già individuato con quali politici accordarsi, in entrambi i schieramenti. Non c'è elezione in Italia che non si vinca attraverso il voto di scambio, un'arma formidabile al sud dove la disoccupazione è alta e dopo decenni ricompare persino l'emigrazione verso l'estero. E' cosa risaputa ma che nessuno osa affrontare.

Quando ero ragazzino il voto di scambio era più redditizio. Un voto: un posto di lavoro. Alle poste, ai ministeri, ma anche a scuola, negli ospedali, negli uffici comunali. Mentre crescevo il voto è stato venduto per molto meno. Bollette del telefono e della luce pagate per i due mesi precedenti alle elezioni e per il mese successivo. Nelle penultime la novità era il cellulare. Ti regalavano un telefonino modificato per fotografare la scheda in cabina senza far sentire il click. Solo i più fortunati ottenevano un lavoro a tempo determinato.

Alle ultime elezioni il valore del voto era sceso a 50 euro. Quasi come al tempo di Achille Lauro, l'imprenditore sindaco di Napoli che negli anni cinquanta regalava pacchi di pasta e la scarpa sinistra di un paio nuovo di zecca, mentre la destra veniva recapitata dopo la vittoria. Oggi si ottengono voti per poco, per pochissimo. La disperazione del meridione che arriva a svendere il proprio voto per 50 euro sembra inversamente proporzionale alla potenza della più grande impresa italiana che lo domina.

Mai come in questi anni la politica in Italia viene unanimemente disprezzata. Dagli italiani è percepita come prosecuzione di affari privati nella sfera pubblica. Ha perso la sua vocazione primaria: creare progetti, stabilire obiettivi, mettere mano con determinazione alla risoluzione dei problemi. Nessuno pretende che possa rigenerarsi nell'arco di una campagna elettorale.

Ma nel vuoto di potere in cui si è fatta serva di maneggi e interessate miopie prevalgono poteri incompatibili con una democrazia avanzata. E' una democrazia avanzata quella in cui 172 amministrazioni comunali negli ultimi anni sono stati sciolti per infiltrazione mafiosa? O dove dal '92 a oggi, le organizzazioni hanno ucciso più di 3.100 persone? Più che a Beirut? Se vuole essere davvero nuovo, il Partito Democratico di Walter Veltroni non abbia paura di cambiare. Non scenda a compromessi per paura di perdere.

Il governo Prodi è caduto in terra di camorra. Ha forse sottovalutato non tanto Clemente Mastella, il leader del piccolo partito Udeur, ma i rischi che comportava l'inserimento nelle liste di una parte dei suoi uomini. Personaggi sconosciuti all'opinione pubblica, ma che negli atti di alcuni magistrati vengono descritti come cerniera tra pubblica amministrazione e criminalità organizzata. Nel frattempo il governo ha permesso al governatore della Campania Bassolino di galleggiare nonostante il suo fallimento nella gestione dell'emergenza rifiuti. E non ha capito che quella situazione rappresenta solo l'esempio più clamoroso di quel che può accadere quando il cedimento anche solo passivo della politica ad interessi criminali porta allo scacco.

Tutto questo mentre il centrodestra guidato da Silvio Berlusconi assisteva muto o giustificatorio ai festeggiamenti del governatore della Sicilia Cuffaro per una condanna che confermava i suoi favori a vantaggio di un boss, limitandosi a scagionarlo dall'accusa di essere lui stesso un mafioso vero e proprio.

La questione della trasparenza tocca tutti i partiti e il paese intero. Inoltre molta militanza antimafiosa si forma nei gruppi di giovani cattolici i cui voti non sempre vanno al centrosinistra. Anche questi elettori dovrebbero pretendere che non siano candidate soubrette o personaggi capaci solo di difendere il proprio interesse. Pretendano gli elettori di centrodestra che non ci siano solo soubrette e a sud esponenti di consorterie imprenditoriali. E mi vengono in mente le parole che Giovanni Paolo II il 9 maggio del 1993 rivolse dalla collina di Agrigento alla Sicilia e all'Italia ferita dalle stragi di mafia: "Questo popolo... talmente attaccato alla vita, che ama la vita, che dà la vita, non può vivere sempre sotto la pressione di una civiltà contraria, civiltà della morte... Mi rivolgo ai responsabili... Un giorno verrà il giudizio di Dio". Parole che avrebbero dovuto crescere nelle coscienze.

È tempo di rendersi conto che la richiesta di candidati non compromessi va ben oltre la questione morale. Strappare la politica al suo connubio con la criminalità organizzata non è una scelta etica, ma una necessità di vitale autodifesa.

Io non entrerò in politica. Il mio mestiere è quello di scrittore. E fin quando riuscirò a scrivere, continuerò a considerare questo lo strumento di impegno più forte che possiedo. Racconto il potere, ma non riuscirei a gestirlo. Non si tratta di rinunciare ad assumersi la propria responsabilità, ma considerarla parte del proprio lavoro. Tentare di impedire che il chiasso delle polemiche distolga l'attenzione verso problemi che meno fanno rumore, più fanno danno. O che le disquisizioni morali coprano le scelte concrete a cui sono chiamati tutti i partiti. È questo il compito che a mio avviso resta nelle mani di un intellettuale. Credo sia giunto il momento di non permettere più che un voto sia comprabile con pochi spiccioli. Che futuri ministri, assessori, sindaci, consiglieri comunali possano ottenere consenso promettendo qualche misero favore. Forse è arrivato il momento di non accontentarci.

Nel 1793 la Costituzione francese aveva previsto il diritto all'insurrezione: forse è il momento di far valere in Italia il diritto alla non sopportazione. A non svendere il proprio voto. A dare ancora un senso alla scelta democratica, scegliendo di non barattare il proprio destino con un cellulare o la luce pagata per qualche mese.
Roberto Saviano

18 marzo 2008

Crisi americana annunciata dai politici!



Il popolo americano viene e continuerà ad essere divorato vivo dai grandi squali bianchi finanziari di dimensioni gargantuali, e le distrazioni Michael Jackson/Britney Spears dei media principali, che si concentrano sugli inetti candidati politici, non sono altro che distrazioni di strabiliante irrilevanza al cospetto della carneficina che si sta verificando. Questo è l’equivalente del 21 secolo del “panem et circenses” per ammansire le masse mentre l’impero crolla nella pattumiera della storia. – CAROLYN BAKER

Ormai lo sapete. Hillary Clinton è diventata la nuova rosa gialla del Texas, con un doppio passo nella strada verso le elezioni, dando una sferzata al suo avversario. Ha preso anche l’Ohio e Rhode Island. Barack Obama si è acchiappato il Vermont, dice di essere in testa per delegati. McCain ha vinto tutto, è il candidato del GOP [partito repubblicano]. Ron Paul si tiene stretto il suo posto nel Congresso.

Più notizie dopo lo spazio pubblicitario!

Le guerre partigiane si intensificheranno con le reti televisive che pregano perché si protraggano per tutta l’estate e oltre, per continuare a far salire gli indici di gradimento e gli incassi.

Ma cos’è che non sappiamo?

La storia che mette in ombra tutto questo, la storia che sta avendo un impatto su ciascun votante e ciascun cittadino viene tuttora relegata per lo più alle ultime pagine della sezione economica, come se la nostra vita e il nostro futuro riguardasse solo il commercio.

Termini come “recessione” - di cui pochi conoscono il significato tecnico - vengono sbattuti a destra e a manca mentre l’economia continua a scivolare con pochi candidati o media rispettabili che si adoperino molto per far luce sul dove tutto questo ci sta portando. Doveva essere un miliardario come Warren Buffet a dire che naturalmente, siamo in recessione. Lo chiama “senso comune”. Certo che lo è.

I telegiornali prediligono fare la cronaca delle campagne elettorali. Lo fanno da anni e sanno contare. Ci giocano come con una corsa di cavalli, con notizie spesso nascoste. Adorano montare qualsiasi scandalo o fatto negativo per rinfacciarlo ai candidati. Obama è andato dalle stelle alle stalle dopo che i comici di Saturday Night Live hanno ironizzato sulla presentazione delle notizie principali. Gli esperti praticamente telefonano con le domande: Chi ha parlato male? Chi nasconde cosa? Più è intenso il dibattito, meglio è per gli indici di gradimento. Il calore attrae sempre più della luce. Vale ancora una volta la legge dell’“elecotainment” [ndt. “elezione-intrattenimento”].

Sul fronte economico, l’approccio sembra essere al contrario. Lì si va alla ricerca di qualsiasi buona notizia, dando letteralmente il via libero alle affermazioni del governo e molto spazio durante le trasmissioni agli esperti che rinforzano la fiducia, anche quando le loro predizioni fanno fiasco.

Non c’è da meravigliarsi che, secondo quanto detto dall’Economic Trends Institute, c’è una grossa spaccatura tra quello che viene riportato e quello che succede realmente.

“L’economia degli Stati Uniti è in fase di dissolvimento. Il panico del 2008, l’inizio della peggior crisi finanziaria che abbia mai colpito l’america moderna è in corso.

Ma nonostante le dosi giornaliere di terribili dati economici che indicano il disastro, i media non riportano quanto sia realmente grave (se anche lo riportano), mentre Wall Street e Washington negano che si avvicini una recessione… o proclamano che, se ne dovesse arrivare una, l’impatto economico sarebbe lieve”.

Leggete i blog finanziari e proverete solo disprezzo per le affermazioni del governo e la sua indoratura della verità. Questo è tratto da The Ledge del Wall Street Examiner:

‘Oggi il termine propagandistico “contenuto” è stato archiviato nel profondo delle viscere della macchina parlascrivi del Ministero della Verità. L’infezione di CF [ndt. Capitale Fittizio] si è propagata quasi dappertutto fatta eccezione per i mercati del dipartimento del tesoro del governo, che accanto all’ente governativo per l’edilizia, massicciamente distorto dalle banche centrali straniere, sta, secondo me, per scoppiare come popcorn nel microonde’.

Popcorn nel microonde?

Passate come faccio io, a siti web credibili come MI-implode.com che monitora le ipoteche e i pignoramenti, e dove c’è a mala pena uno spiraglio di luce.

Questi erano i titoli principali all’inizio di serata.

●Indagine trova che i pignoramenti sono ancora l’esito più comune per i mutuatari – [2008-03-04]

●Aumentano i rischi delle obbligazioni delle società mentre peggiorano le perdite delle banche speculatrici – [2008-03-04]

●Carte di credito e un altro debito sono la nuova preoccupazione per le banche – [2008-03-04]

●La Citygroup potrebbe aver bisogno di liquidità mentre aumentano le perdite, dice Dubai – [2008-03-04]

●Bernanke: più ipoteche, nuovi guai in arrivo per le case –[2008]

●Gli esuberi della Citygroup potrebbero superare i 30,000 –[2008-03-04]

●Interviene la polizia per metter fine a lite in una casa pignorata – [2008-03-04]

Se vedete tutto questo in un’unica ottica, congiungete i puntini e indagate più a fondo, apprenderete che 76 banche potrebbero fallire, il 52% in più rispetto all’anno scorso, e capirete che il Titanic, o magari si tratta della “good ship lollipop” [bella nave leccalecca ], potrebbe affondare ancora.

Mentre leggete queste storie potreste pensare di non esserne coinvolti, ma certo il declino economico vuol dire maggiore disoccupazione e inflazione. Questa piaga sta dilagando, il sistema è “infetto”. Lo chiamano “contagio”. Nessuno è immune tranne i super ricchi.

Prendete queste storie e raffrontatele con quello che viene fatto, o che viene persino proposto di fare e diventa ancora più temibile. Potrebbe essere perché tutti sono distratti dall’euforia delle elezioni, ma i nostri politici assomigliano sempre più a dei daini sotto i fari, paralizzati dalla paura e dall’incertezza.

Riferisce Reuters: questo è un fallimento bipartisan.

“WASHINGTON (Reuters) – Poco viene fatto nel Congresso, o nell’amministrazione Bush, per riparare al crollo di fiducia nei mercati di titoli di credito privati che sta minacciando altri settori oltre la propria origine nella crisi dei mutui subprime.

I prestiti per gli studenti sono colpiti duramente, come pure i mercati delle obbligazioni valutate all’asta che vengono largamente usati dai governi comunali per aiutare a finanziare progetti quotidiani di vitale importanza quali le strade, le scuole e i parchi.

Secondo alcuni economisti e legislatori il congelamento del capitale in questi mercati, e possibilmente in altri, potrebbe causare danni nel lungo termine al sistema finanziario e all’economia.

Mentre il Congresso e la Casa Bianca si concentrano sui passi nel breve termine per proteggere gli Americani dall’aumento dei pignoramenti e sono più rigorosi con gli intermediari per mutui ipotecari, non viene proposta alcuna legislazione sostanziale per gestire in modo esplicito la disfunzione dilagante nei mercati di capitale”.

Bisogna scuotere il capo quando ci si rende conto che non si tratta più solo della bolla immobiliare, ma di una bolla più grande di ottusa negazione. E quel che è peggio è che gli sforzi dei media indipendenti di puntare l’attenzione su tali questioni vengono bocciati.

Ho cercato di far trasmettere il mio film “In Debt We Trust” sulle reti televisive principali. (è stato trasmesso in tutto il mondo) Una rete mi ha detto che è “troppo pesante”. Un altro canale che voleva trasmetterlo e il cui responsabile mi aveva detto che avevo anticipato la svolta, e che la questione è molto importante, ora non ne è più così sicuro. Temono quello che la trasmissione potrebbe fare alla loro immagine e alla loro identità. Forse le reti hanno paura di far scappare via chi pubblicizza i mutui e le carte di credito.

Negli ultimi dieci anni ho scritto, ho pubblicato 8 libri su svariati argomenti. Come giornalista di indagine, ho scritto su questa crisi affermando che questa implosione ha potuto aver luogo grazie all’ingordigia finanziaria criminale, ad un grande insuccesso di regolamentazione e all’indifferenza dei media. Di recente, ho aggiornato e riscritto la precedente versione del mio e-book, avendolo ora ribattezzato “SIAMO FREGATI: Come i capitalisti stanno facendo cadere il capitalismo”.

Ho un’agente fantastico che cerca di promuoverlo, ma fino ad ora abbiamo collezionato solo dei “no”. Perché? È presumibilmente poco “incisivo”. Traduzione: non si concentra solo su un aspetto del problema, ma offre un’analisi più ampia. È qualcosa di male?

Un esempio: critico la carenza di informazione decente da parte dei media. Forse il fatto che la gran parte delle società editoriali sono di proprietà dei conglomerati mediatici ha a che fare in qualche modo con tutti quegli editori che “passano la mano”? Un editore “progressista”mi ha persino detto, proprio mentre l’inflazione cresce e si perdono più posti di lavoro, che non è “pertinente” o necessario. Eh?

Forse sono in discussione le mie credenziali? Ho prodotto una delle prime storie sullo scandalo della S&L [Savings and Loan] per la ABC News. Molti siti web pubblicano i miei articoli su questa crisi e che hanno aiutato, a un certo livello forse, a evidenziare la questione. Molte università, organizzazioni e chiese mi hanno invitato a parlare. Ho persino una laurea della London School of Economics. Non importa niente.

Se non sei regolarmente sul CNBC o Bloomberg o la facoltà a Harvard, non sei ammesso al dibattito. Sono certo che questa non è solo un’opinione personale. Non si rendono conto che se i fatti sono importanti, altrettanto lo sono le diverse interpretazioni? Non puoi spiegare come siamo arrivati a questo caos con le congetture o gli slogan. È un problema di istituzioni, non solo di individui.

Gli “esperti” che hanno guardato dall’altra parte per anni non dovrebbero essere gli stessi su cui facciamo affidamento per apprendere la questione reale. Pensano che tutto questo se ne andrà se non lo sappiamo?
Danny Schechter

16 marzo 2008

Le nostre elezioni sono più libere che in Russia?


La domanda potrebbe essere banale, ma non lo è. Come paragonare la nostra democrazia con quella russa? Come credere, che le nostre elezioni siamo esenti da brogli? Lo vanno dicendo ognuno degli opposti schieramenti, un fondo di verità penso ci sia. E allora? Punto.
Si pone la domanda Justin Raimondo, famoso blogger-giornalista .
Si sa, viene indicata come strisciante tendenza al totalitarismo il fatto che Putin resti al potere, ora da primo ministro, mentre il suo successore alla presidenza, Medvedev, riceverà ordini da Putin.
Ma è poi davvero diverso in America, dove si sospetta che Bill Clinton farà da suggeritore ad Hillary, se questa vincerà le elezioni?
Almeno in Russia manca l’elemento dinastico, diventato tipico della «democrazia» americana: Putin almeno non ha dato la presidenza a suo figlio, come Bush senior ha comprato la presidenza a Bush junior.
Praticamente, la terra delle libertà è piena di famiglie reali: «i» Bush, «i» Clinton, «i» Kennedy...
Gli elettori russi non avevano una vera scelta tra partiti, dicono gli accusatori di Putin.
I comitati elettorali hanno rifiutato di registrare certi candidati invisi al Cremlino.
D’accordo, ma in USA nessuno da decenni riesce mai a fondare un terzo partito, e con questo arrivare a sottoporsi al giudizio delle urne.
Se le TV di Mosca non danno notizie sul candidato Kasparov, le libere TV americane non fanno menzione di Ron Paul, e dei suoi primi buoni piazzamenti alle primarie: Ron Paul è una non-persona.
Nonostante tutte le restrizioni alle candidature nel regime putiniano, i russi hanno avuto più scelta degli americani.
Il che vale anche per noi italiani, se ci si pensa.
Possiamo scegliere fra due partiti quasi identici fin nel nome (PD e PDL) con programmi quasi uguali.
Nemmeno possiamo esercitare le preferenze: andranno in Parlamento i primi nomi che appaiono nelle liste, lo vogliate o no.
E l’ordine dei nomi nelle liste l’hanno deciso Veltrusconi e Beltroni.
Sono loro che decidono per chi dovete votare.
Impagabile la critica che gli «osservatori» europei hanno diretto alle elezioni russe: i media sono «pregiudizialmente» orientati, hanno detto.
Manca la libertà di stampa.
E in USA?
Mica erano giornalisti russi quei famosi anchormen che aprivano i TG, ai tempi dell’invasione dell’Iraq, esibendo all’occhiello il distintivo patriottico a stelle e strisce.
Mica è russa Judith Miller, famosa giornalista del New York Times, che sul New York Times, il più grosso e indipendente dei giornali americani, raccontò come Saddam, avesse le armi di distruzione di massa, panzana fedelmente ripetuta da tutti quanti i media americani ed europei; poi si è scoperto che la Miller (ebrea) prendeva l’imbeccata su quel che doveva scrivere direttamente da Cheney e da Bush.
I media «indipendenti» occidentali demonizzano chi contesta la versione ufficiale sull’11 settembre, lo definiscono «negazionista e antisemita» (chissà perché), gli negano la parola.
I media occidentali hanno incolpato senza prove Putin di essere il mandante di assassinii vari (la Politkovskaya, uccisa in realtà da gangster ceceni) e l’ex-spia Litvinenko; ancora due giorni fa m’è capitato personalmente di sentire un giornalista italiota accusare Putin della strage nella scuola di Beslan, perpetrata da terroristi ceceni al soldo dell’oligarca Berezovski.
E ovviamente, se l’Ucraina, per una contestazione sul prezzo con Gazprom, minaccia di far mancare all’Europa il gas proveniente dalla Russia, la colpa è di Putin - anche se l’Ucraina ha un obbligo contrattuale a far passare il gas, essendo pagata per questo con ricche royalty.
Insomma, Putin è aggressivo.
Ma allora come definire il presidente Bush, che ha decretato l’invasione di Afghanistan ed Iraq, occupati da sei e quattro anni da truppe USA, che manda a bombardare villaggi in Somalia (in Somalia!), che vuole installare missili a ridosso della Russia in Polonia, i cui commandos si preparano a fare incursioni in Pakistan per impadronirsi delle testate nucleari di quel Paese, le cui flotte belliche assediano minacciosamente le coste iraniane, e il cui massimo alleato (la sola democrazia del Medio Oriente) ha aggredito tre nazioni negli ultimi tre anni, Libano nel 2006, Siria nel 2007, Gaza nel 2008.
Bisogna riconoscere che c’è un certo disordine nel nuovo ordine mondiale: Israele bombarda le famiglie a Gaza dopo averle affamate, la Turchia compie incursioni in profondità in Iraq, la Colombia compie incursioni armate in Ecuador, sicchè sta per scoppiare una guerra fra la Colombia da una parte e l’Ecuador e il Venezuela dall’altra; tutto il mondo si riarma freneticamente (la Cina ha aumentato decisamente le sue spese militari), la NATO progetta di fornirsi di testate atomiche adatte ad un attacco nucleare preventivo.
Ma se il mondo si riarma non è perché ha paura di Putin; lo fa perché ha paura dell’America e della sua attitudine all’aggressione preventiva e non provocata, e alla sua decisione di «diffondere la democrazia» e «fare la guerra globale al terrorismo».
E’ l’America che ha schedato come sospette di «terrorismo» o simpatie per il terrorismo 700 mila persone, non solo stranieri ma cittadini americani; e a queste persone nega il visto d’entrata, e vieta persino di salire su un aereo di linea.
Non è la Russia ad essersi data un nuovo ministero che si chiama «Dipartimento per la Sicurezza della Terra Patria» (Homeland Security), né che ha legalizzato la tortura per interrogare dei sospetti.
E che dire dell’Europa?
Gli osservatori europei che hanno fatto le pulci alle elezioni russe hanno poi dovuto concludere che i risultati «riflettono la volontà di un elettorato il cui potenziale democratico purtroppo resta inespresso».
Potessimo dire lo stesso noi europei degli osservatori europei: membri di un Parlamento Europeo di cui vi sfido a ricordare i nomi di dieci membri (l’abbiamo votato? Sì, ma sono stati i partiti a decidere chi dei loro doveva «andare in Europa»), un parlamento del resto che ha solo poteri consultivi, mentre il potere di governo appartiene alla Commissione, che mai si sottopone ad elezioni.
E’ un’Europa che evita in tutti i modi di sottoporre a referendum la Costituzione (cosiddetta) europea, per non vedersela bocciare.
Sicchè possiamo dire che anche in Europa «il potenziale democratico dell’elettorato resta purtroppo inespresso», ma - al contrario dei russi - non possiamo dire che «i risultati riflettono la volontà dell’elettorato» medesimo.
O forse avete scelto voi Solana, Frattini, Trichet, perché vi piacciono?
I russi, Putin, se lo sono scelto e lo vogliono tenere dov’è.
Forse perché Putin ha tirato fuori la Russia dall’abisso economico-sociale, ha recuperato dal saccheggio degli «oligarchi» finanziati da Wall Stret e dalla City che s’erano accaparrati le materie prime nazionali, e l’ha liberata dalle ricette liberiste suggerite dalla Scuola di Chicago, che l’avevano portata al collasso («liberalizzazione» costata sei milioni di morti, soprattutto fra i pensionati, e il sorgere di una criminalità ferocissima e ricchissima).
Sotto il non-democratico Putin, la Russia è cresciuta economicamente al ritmo del 7% annuo (8,1% nel 2007), mentre i democratici Stati Uniti stanno crollando in una depressione storica a forza di debiti e fantasie finanziarie, con 2 milioni di famiglie che probabilmente nel 2008 perderanno la casa ipotecata.
La Russia, sotto Putin, ha pagato in anticipo tutti i suoi debiti, ed ora ha riserve per 480 miliardi di dollari (nel 1998 le sue riserve erano zero); ha un attivo di bilancio pari al 6% del PIL (l’Italia ha un passivo di… lasciamo perdere); in Russia, l’imposta sul reddito è del 13% (in Italia del 43%, più IVA 20%) .
E non è vero, come ripetono i soliti maestri di democrazia, che la Russia è un’economia basata sul petrolio come l’Arabia Saudita.
La sua industria edilizia cresce del 16% annuo, le vendite al dettaglio del 13%, gli investimenti interni del 20% (Putin sta rinnovando le vecchie cadenti infrastrutture sovietiche).
Il suo settore scientifico-tecnologico è di prim’ordine, deve essere solo messo a profitto nel civile, cosa che prima o poi accadrà.
Vero che ci sono inconvenienti (inflazione, corruzione, poca trasparenza, commistione del politico con l’economico).
Vero anche che lo slancio iniziale per la ripresa Putin l’ha tratto da una decisione di aumentare del 50% la produzione annuale di greggio.
Ma questo è stato un vantaggio anche per noi europei: se avesse bloccato la produzione, rifiutandosi come fa l’OPEC di aumentarla e magari associandosi all’OPEC, oggi il petrolio ci costerebbe 150, non 100 dollari al barile.
L’Italia però ha la democrazia.
Forse per questo era la quarta economia mondiale ai tempi di Craxi, ed è oggi la settima.
Sarà perché ancora 15 anni fa il 70% dell’economia italiana era controllata dallo Stato - o meglio dai partiti, siamo in democrazia - ed ancor oggi le privatizzazioni ci hanno dato aziende come Alitalia, Trenitalia e Telecom, dei monopoli più inefficienti e avidi di prima, più incapaci di fornire servizi, solo coi «manager» pagati il triplo di prima, perché ora questi marpioni messi a quelle poltrone da Prodi sono «dirigenti privati».
L’Italia è una democrazia, e perciò l’intrusione dello Stato è moltiplicata con l’intrusione delle Regioni, delle Province, dei Comuni e dei consigli di zona; le università sono moltiplicate in relazione diretta con l’ignoranza generale; la produttività è diminuita, la precarietà aumentata, e per trovare lavoro non ci si rivolge al libero mercato, ma alle raccomandazioni e alle tessere di partito, a Mastella e a De Mita o a Formigoni.
Pensate se al posto di Prodi ci fosse Putin: che rischio per la monnezza di Napoli!
Invece, la democrazia italiana è orgogliosa di poter dire al mondo che la sua terza città è sepolta nella sua stessa spazzature da sei mesi, senza soluzione in vista, grazie al fatto che nessuno esercita l’autoritarismo per costringere a lavorare i 20 mila spazzini-camorristi napoletani, o a costruire gli inceneritori contro la volontà dei numerosi verdi pro-monnezza.
Una splendida democrazia.
Che l’ISN di Zurigo (International Relations and Security Network) ha descritto ai suoi lettori così: «Le agenzie di rating hanno abbassato il debito pubblico a due punti al disopra dei junk-bond; i livelli di disoccupazione nel sud del Paese sono i più alti dell’Europa occidentale; le statistiche pubbliche sono notoriamente inaffidabili; le speranze dei cittadini nel governo sono al livello più basso della storia; la criminalità organizzata controlla vaste zone del territorio nazionale; il sistema giudiziario è privo di autorità; e le prospettive economiche sono di declino» .
E ancora: «In politica come in economia compaiono e ricompaiono le stesse facce e le stesse idee che sono in giro da anni».
«In aprile gli italiani andranno al voto con poca possibilità di eleggere un governo che duri per tutto il mandato».
«Non è un segreto che l’Italia ha da anni bisogno di un ampio ventaglio di cambiamenti strutturali, ma che non ha mai avuto un governo con la stabilità e il mandato per imporre questi cambiamenti».
«I problemi economici sono tutti assolutamente dovuti alla politica» (la Casta).
«L’Italia è da troppo anni una nazione ingovernabile come poche altre nel mondo».
L’Italia, prevede l’ISN, è sulla via di diventare un «failed state», uno Stato fallito.
Uno Stato fallito è «uno Stato in cui il governo centrale è troppo incapace (ineffective)
per esercitare il controllo pratico sul suo territorio».
La lista dei failed states ne comprende 32, con in testa «Sudan, Iraq e Somalia».
Ma noi, con le tasse più esose d’Europa, la legislazione più punitiva per gli onesti e più accomodante per i delinquenti, i servizi peggiori, il settore pubblico più pletorico e più pagato del mondo: uno Stato fallito pieno di «ricchi di Stato».
E’ il trionfo della democrazia secessionista permanente.
Mica siamo come i russi, che si tengono l’autoritario, il non-democratico Putin.

M. Blondet

15 marzo 2008

Se tuo voto vale 50 euro, tu quanto vali?


Fin quando nessuno vivrà il terrore delle proprie azioni tutto rimarrà immobile. Nessuno si rende conto della violenza dell'immobilismo un movimento gandhiano in modo inverso. Queste elezioni, inutili, anticostituzionali ed altro accresceranno il divario fra realtà e privilegi barocchi. Qualcuno interverrà? Ne dubito.

NESSUNO vincerà le elezioni in Italia. Nessuno. Perché finora tutti sembrano ignorare una questione fondamentale che si chiama "organizzazioni criminali" e ancor più "economia criminale". Non molto tempo fa il rapporto di Confesercenti valutò il fatturato delle mafie intorno a 90 miliardi di euro, pari al 7 per cento del Pil, l'equivalente di cinque manovre finanziarie. Il titolo "La mafia s. p. a. è la più grande impresa italiana" fece il giro di tutti i giornali del mondo, eppure in campagna elettorale nessuno ne ha parlato ancora.

E nessuna parte politica sino a oggi è riuscita a prescindere dalla relazione con il potere economico dei clan. Mettersi contro di loro significa non solo perdere consenso e voti, ma anche avere difficoltà a realizzare opere pubbliche.

Non le vincerà nessuno, queste elezioni. Perché se non si affronta subito la questione delle mafie le vinceranno sempre loro. Indipendentemente da quale schieramento governerà il paese. Sono già pronte, hanno già individuato con quali politici accordarsi, in entrambi i schieramenti. Non c'è elezione in Italia che non si vinca attraverso il voto di scambio, un'arma formidabile al sud dove la disoccupazione è alta e dopo decenni ricompare persino l'emigrazione verso l'estero. E' cosa risaputa ma che nessuno osa affrontare.

Quando ero ragazzino il voto di scambio era più redditizio. Un voto: un posto di lavoro. Alle poste, ai ministeri, ma anche a scuola, negli ospedali, negli uffici comunali. Mentre crescevo il voto è stato venduto per molto meno. Bollette del telefono e della luce pagate per i due mesi precedenti alle elezioni e per il mese successivo. Nelle penultime la novità era il cellulare. Ti regalavano un telefonino modificato per fotografare la scheda in cabina senza far sentire il click. Solo i più fortunati ottenevano un lavoro a tempo determinato.

Alle ultime elezioni il valore del voto era sceso a 50 euro. Quasi come al tempo di Achille Lauro, l'imprenditore sindaco di Napoli che negli anni cinquanta regalava pacchi di pasta e la scarpa sinistra di un paio nuovo di zecca, mentre la destra veniva recapitata dopo la vittoria. Oggi si ottengono voti per poco, per pochissimo. La disperazione del meridione che arriva a svendere il proprio voto per 50 euro sembra inversamente proporzionale alla potenza della più grande impresa italiana che lo domina.

Mai come in questi anni la politica in Italia viene unanimemente disprezzata. Dagli italiani è percepita come prosecuzione di affari privati nella sfera pubblica. Ha perso la sua vocazione primaria: creare progetti, stabilire obiettivi, mettere mano con determinazione alla risoluzione dei problemi. Nessuno pretende che possa rigenerarsi nell'arco di una campagna elettorale.

Ma nel vuoto di potere in cui si è fatta serva di maneggi e interessate miopie prevalgono poteri incompatibili con una democrazia avanzata. E' una democrazia avanzata quella in cui 172 amministrazioni comunali negli ultimi anni sono stati sciolti per infiltrazione mafiosa? O dove dal '92 a oggi, le organizzazioni hanno ucciso più di 3.100 persone? Più che a Beirut? Se vuole essere davvero nuovo, il Partito Democratico di Walter Veltroni non abbia paura di cambiare. Non scenda a compromessi per paura di perdere.

Il governo Prodi è caduto in terra di camorra. Ha forse sottovalutato non tanto Clemente Mastella, il leader del piccolo partito Udeur, ma i rischi che comportava l'inserimento nelle liste di una parte dei suoi uomini. Personaggi sconosciuti all'opinione pubblica, ma che negli atti di alcuni magistrati vengono descritti come cerniera tra pubblica amministrazione e criminalità organizzata. Nel frattempo il governo ha permesso al governatore della Campania Bassolino di galleggiare nonostante il suo fallimento nella gestione dell'emergenza rifiuti. E non ha capito che quella situazione rappresenta solo l'esempio più clamoroso di quel che può accadere quando il cedimento anche solo passivo della politica ad interessi criminali porta allo scacco.

Tutto questo mentre il centrodestra guidato da Silvio Berlusconi assisteva muto o giustificatorio ai festeggiamenti del governatore della Sicilia Cuffaro per una condanna che confermava i suoi favori a vantaggio di un boss, limitandosi a scagionarlo dall'accusa di essere lui stesso un mafioso vero e proprio.

La questione della trasparenza tocca tutti i partiti e il paese intero. Inoltre molta militanza antimafiosa si forma nei gruppi di giovani cattolici i cui voti non sempre vanno al centrosinistra. Anche questi elettori dovrebbero pretendere che non siano candidate soubrette o personaggi capaci solo di difendere il proprio interesse. Pretendano gli elettori di centrodestra che non ci siano solo soubrette e a sud esponenti di consorterie imprenditoriali. E mi vengono in mente le parole che Giovanni Paolo II il 9 maggio del 1993 rivolse dalla collina di Agrigento alla Sicilia e all'Italia ferita dalle stragi di mafia: "Questo popolo... talmente attaccato alla vita, che ama la vita, che dà la vita, non può vivere sempre sotto la pressione di una civiltà contraria, civiltà della morte... Mi rivolgo ai responsabili... Un giorno verrà il giudizio di Dio". Parole che avrebbero dovuto crescere nelle coscienze.

È tempo di rendersi conto che la richiesta di candidati non compromessi va ben oltre la questione morale. Strappare la politica al suo connubio con la criminalità organizzata non è una scelta etica, ma una necessità di vitale autodifesa.

Io non entrerò in politica. Il mio mestiere è quello di scrittore. E fin quando riuscirò a scrivere, continuerò a considerare questo lo strumento di impegno più forte che possiedo. Racconto il potere, ma non riuscirei a gestirlo. Non si tratta di rinunciare ad assumersi la propria responsabilità, ma considerarla parte del proprio lavoro. Tentare di impedire che il chiasso delle polemiche distolga l'attenzione verso problemi che meno fanno rumore, più fanno danno. O che le disquisizioni morali coprano le scelte concrete a cui sono chiamati tutti i partiti. È questo il compito che a mio avviso resta nelle mani di un intellettuale. Credo sia giunto il momento di non permettere più che un voto sia comprabile con pochi spiccioli. Che futuri ministri, assessori, sindaci, consiglieri comunali possano ottenere consenso promettendo qualche misero favore. Forse è arrivato il momento di non accontentarci.

Nel 1793 la Costituzione francese aveva previsto il diritto all'insurrezione: forse è il momento di far valere in Italia il diritto alla non sopportazione. A non svendere il proprio voto. A dare ancora un senso alla scelta democratica, scegliendo di non barattare il proprio destino con un cellulare o la luce pagata per qualche mese.
Roberto Saviano