27 marzo 2008

La “scala mobile” ? Un effetto dell’inflazione.



La “scala mobile” era un effetto dell’inflazione, non una causa.

Una storia di qualche anno fa, quando la politica decise di far pagare gli errori ai più deboli e più numerosi. Una storia che torna attuale mentre Draghi dice che i salari sono troppo bassi e Trichet che: “guai ad alzarli! Rispunterebbe l’inflazione”

Dice la BCE : “… le variazioni dell’aggregato monetario ampio (M3), in circostanze normali, anticipano gli andamenti dei prezzi al consumo nel medio termine”.E ancora, nelle conclusioni: “C’è un ampio consenso sul fatto che, nel periodo medio-lungo, la dinamica dei prezzi abbia origini monetarie. Di conseguenza, il Consiglio direttivo della BCE ha deciso di assegnare alla moneta un ruolo di rilievo nella strategia di politica monetaria dell’Eurosistema. Tale ruolo è stato indicato dall’annuncio, da parte del Consiglio Direttivo nel dicembre 1998, di un valore di riferimento per il tasso di crescita dell’aggregato monetario ampio M3 del 4½ per cento annuo. L’individuazione di questo tasso incorpora la definizione della stabilità dei prezzi fornita dall’Eurosistema e si basa su ipotesi riguardo alla dinamica del PIL reale e della velocità di circolazione di M3 nel medio termine. Per raggiungere l’obiettivo primario della stabilità dei prezzi, è importante per l’Eurosistema analizzare attentamente l’andamento di questo aggregato monetario in relazione al valore di riferimento e tenere sotto osservazione gli altri aggregati.”

A pagina 62 della relazione annuale della Banca d’Italia per l’anno 2006 troviamo: “Nel 2006 l’andamento degli aggregati monetari e creditizi ha continuato a segnalare condizioni di liquidità espansive. La crescita della moneta M3 è stata molto sostenuta; alla fi ne dell’anno l’aumento sui dodici mesi è stato pari al 9,8 per cento, il valore più alto dall’avvio della politica monetaria unica”.

Repubblica del 28 gennaio 2008 dice: “Bce: Crescita M3 rallenta a +11,2% a dicembre da +12,3% - La crescita della massa monetaria M3 nell’Eurozona rallenta a dicembre e cresce dell’11,5% annuale, meno del previsto +12,2%, contro un rialzo del 12,3% a novembre. Nella media degli ultimi tre mesi (ottobre-dicembre) l’aggregato monetario è cresciuto del 12,1% contro il +12% dei precedenti tre mesi. I prestiti verso il settore privato sono aumentati a dicembre dell’11,1%, invariati rispetto a novembre.”

È ovvio a questo punto prevedere il futuro: i prezzi cresceranno in maniera assai sostenuta, indipendentemente dai “controlli” e dalle “strategie” di Mister Prezzi. Quest’ultimo potrà al massimo far fare più sacrifici ad alcuni piuttosto che ad altri. È inutile chiudere la stalla quando i buoi sono scappati. Non mi stupirei se venissero attuate pressioni selettive nei confronti dei beni e dei servizi presenti nel paniere con pesi maggiori, così, magistralmente, si farebbe apparire il successo dell’intervento senza in realtà aver combinato nulla. Da una persona nominata da Prodi c’è da aspettarsi di tutto. Se il governo voleva veramente fare qualcosa contro l’inflazione doveva chiedere, assai prima, ragione alla BCE della sua opera.

Faccio notare che la suddetta lievitazione di M3 avviene SENZA meccanismi automatici per la dinamica salariale tipo la “scala mobile”.

È fin troppo facile individuare le cause (2): l’irresponsabilità della BCE nella gestione della Politica Monetaria e nella NON regolamentazione degli strumenti finanziari, tutta tesa com’è a tutelare i suoi proprietari, il sistema bancario e quello speculativo.

Una volta fatta la frittata bisogna decidere fra una delle seguenti opzioni:

1. rimettere in sesto il sistema su nuove basi monetarie e regolamentari;
2. perseverare nell’errore e farlo pagare ai più deboli.

Ovviamente la scelta, in assenza di Politici, con quelli con la p minuscola tutti intenti a cercare il punto G ed a riconoscere il Kosovo, cade sulla seconda opzione.
Mentre Draghi dice che i salari degli italiani sono troppo bassi, Trichet dice: “guai ad alzarli! Rispunterebbe l’inflazione”. Come se lasciandoli bassi non ci fosse.

Trichet sbaglia e vuol far pagare i suoi errori ai più deboli, come da copione del perfetto gerarca.

Accadde la stessa cosa all’inizio degli anni ’80. Allora il capro espiatorio fu individuato furbescamente nella “scala mobile”, uno strumento automatico che adeguava parzialmente i salari all’aumento dei prezzi. Per chi ha buona memoria è facile ricordare le piazzate del Governatore della Banca d’Italia contro quello strumento. È la scala mobile che provoca l’inflazione! Tuonava.

Era vero il contrario. È la crescita dell’inflazione che fa crescere il peso della scala mobile (è stata creata proprio per questo). Le cause dell’inflazione erano in parte esogene, come l’aumento di alcune materie prime, ed in parte endogene, come ad esempio l’inadeguatezza della rete distributiva o qualche monopolio più o meno occulto/telefonico; infatti gli eccessi di domanda rispetto all’offerta provocano sempre aumenti dei prezzi ed i monopoli li aumentano a piacimento. C’era inoltre una pessima redistribuzione delle risorse; oggi è un po’ migliorata la situazione ma è ancora insufficiente. Se non chiedo i soldi a chi dovrei li devo chiedere a qualcun altro; ma se li chiedo a chi dovrei non aumenta la moneta, ma se li chiedo alla BdI, si. Con la beffa che lo Stato finanziava gli evasori che acquistavano con l’evaso i titoli del debito pubblico a tassi superiori a 20% .

È vero però che tagliando la scala mobile l’inflazione è calata! Per forza! La politica ha deciso che gli errori li dovevano pagare i più deboli, e più numerosi, e così è stato fatto. In aggiunta quando l’operazione è andata in porto ci siamo sentiti dire: “avete visto che l’inflazione è calata tagliando la scala mobile?”

È ovvio che tagliando la scala mobile la domanda di moneta è calata, ma questo non significa che era quella la causa. Ho 15 panini per un gruppo di 15 bambini “normali”; ne introduco 5 voraci, che mangiano per 3, aumentando proporzionalmente la dotazione di viveri, arrivando a 30 panini complessivi. Cosa succederà? I bambini normali mangeranno un panino e quelli voraci, cadauno, il triplo degli altri, ovvero 3. Se per risparmiare drasticamente tolgo mezzo panino ad ogni bambino cosa succederà? Quelli “normali” si dovranno accontentare di mezzo panino mentre gli altri di 2,5.
Potrò dire di essere stato bravo per aver risparmiato 10 panini? Si!
Potrò dire di essere stato equo? No!
Potrò dire che la colpa dell’eccessivo consumo di panini è dei 15 bambini “normali”? No!

Invece per la scala mobile è successo proprio questo. Si è fatto pagare il conto ai più deboli e poi si è inneggiato al fatto che qualcuno ha pagato il conto. Solo la politica può riuscire in questi virtuosismi. Questo è stato l’unico errore importante di Bettino Craxi, non so fino a che punto ingannato dal dottor sottile.

Il bello in questa faccenda è che i poveri hanno votato al referendum affinché il conto fosse portato a loro. Se questo non è un miracolo ditemi Voi cos’è.

Lino Rossi

I Magistrati vittime di poteri occulti?


Dottor Ingroia, cosa rappresenta, per lei, il caso De Magistris?
«Il caso in cui, nella maniera più emblematica, si sono evidenziati i guasti della riforma Mastella dell’ordinamento giudiziario».

Si riferisce alla richiesta di trasferimento?
«Non solo. Ha contribuito a incrementare un clima “pesante” attorno all’azione della magistratura, creando condizioni ostili all’autonomia e indipendenza della magistratura. Il provvedimento di avocazione, che ha tolto l’indagine al collega De Magistris, è un provvedimento che in altri tempi avrebbe incontrato ben altre resistenze e critiche. Evidentemente, i tempi sono cambiati».

Qual è la sua analisi in merito?
«Definirei il caso De Magistris come una vicenda emblematica di quel che accade quando un magistrato si ritrova, isolato e sovraesposto, a gestire un’indagine estremamente complessa e delicata su un grumo di intrecci, di interessi leciti e illeciti, riferibili a soggetti e ambienti diversificati, sul crinale dove s’incontrano i versanti criminali con i versanti politici e istituzionali. Come spesso accade nei territori dove operano sistemi criminali integrati. E mi riferisco, ovviamente, ai sistemi criminali riferibili alla mafia in Sicilia e alla ‘ndrangheta in Calabria».

Come giudica la posizione dell’A.N.M. rispetto al caso De Magistris?
«Timida e inadeguata. In generale, soprattutto preoccupata di far apparire il governo Prodi meno ostile nei confronti dell’autonomia e indipendenza della magistratura del governo Berlusconi».

Che mi dice dei “poteri occulti”? Influenzano la nostra democrazia?
«Purtroppo sì. Il connubio tra poteri occulti e mafia è il famoso “gioco grande” sul quale stava lavorando Giovanni Falcone. E sul quale probabilmente è morto: e i veri mandanti della strage di Capaci, in fondo, non sono mai stati trovati».

Può spiegarmi meglio cosa intende per poteri occulti?
«Intendo – genericamente – quell’intreccio fra poteri criminali, come il potere delle grandi organizzazioni criminali mafiose, e altri poteri. Intreccio che molte indagini degli anni passati, in Sicilia ma anche in Calabria, hanno messo in luce, per esempio, tra le mafie e spezzoni della massoneria, così come con settori della destra eversiva o di ambienti politico-istituzionali, compresi appartenenti ad apparati dello Stato deviati».

Quanto incidono nella magistratura?
«Non è facile rispondere. In passato, ai tempi di Falcone e Borsellino, la magistratura, soprattutto i suoi vertici, era spesso fortemente condizionata dai poteri occulti. Negli ultimi anni si sono fatti grossi passi avanti anche per la maggiore autonomia e indipendenza che la magistratura ha conquistato. Ecco perché è importante difendere lo status di autonomia e indipendenza della magistratura. Se si fanno passi indietro su questo fronte, rischiamo di ripiombare nel passato più buio della nostra democrazia (...)».

Su questi argomenti, che paiono in qualche modo pressanti, è stata mai aperta una discussione all’interno dell’A.N.M.?
«L’A.N.M. attraversa una grave crisi di rappresentanza, che è poi la stessa crisi della politica, la stessa sensazione di scollamento fra rappresentati e rappresentanti. Il dibattito interno all’A.N.M. su questo punto è aperto e la parte più sensibile a questo problema lo ha avviato con interventi interni e pubblici. Ma l’A.N.M. è ancora ben lontana dall’avere superato questa crisi».

Quanto è credibile l’ipotesi che i “poteri occulti”, secondo lei, abbiano agito, indirizzando la vicenda De Magistris?
«L’indagine di De Magistris, per quanto abbiamo potuto apprendere, andava ben al di là di ciò che è divenuto più noto. Ben oltre quindi le intercettazioni di Mastella o l’iscrizione di Prodi nel registro degli indagati. Penso che il cuore dell’indagine fosse proprio l’intreccio tra poteri criminali e altri poteri sul territorio. Credo che il suo caso non possa essere affrontato se non si tiene conto della realtà in cui De Magistris, spesso in solitudine istituzionale, ha operato. (...) E’ certo, però, che De Magistris s’è messo contro certi poteri, ed è altrettanto certo che la reazione nei suoi confronti è stata forte ...».

Una delle accuse, per De Magistris, è stata quella di aver parlato in tv. Lei che ne pensa? Purché non entrino nel merito delle indagini, i magistrati possono parlare?
«Prendiamo, per esempio, il rapporto tra Paolo Borsellino e la stampa: appartiene alla storia del nostro Paese. (...) Ricordo un’intervista storica: volle lanciare l’allarme sul calo di tensione nella lotta alla mafia. (...) Sono passati tanti anni. E credo sia stato conquistato il diritto, da parte della magistratura, d’intervenire. Fermo restando il riserbo sul contenuto delle indagini».

Parliamo dell’avocazione di Why Not a De Magistris.
«De Magistris la definisce illegittima, io la definisco impensabile. (...) La mia sensazione è che noi ci siamo trovati in una situazione in cui l’autonomia e l’indipendenza, interna ed esterna, è arrivata a un punto di rottura. Davvero siamo in un momento di crisi dello Stato di diritto».
Antonio Massari

26 marzo 2008

Per chi vota la mafia


La mafia esiste e sta diventando sempre più protagonista della politica e delle campagne elettorali. Complici i media, complici ignari di collegamenti e amicizie la politica si fa con la mafia. Quanto la politica è attendibile per questo?

L'amico del killer che uccise Falcone, i notabili sotto processo o assolti per cavilli, i parenti stretti dei padrini. Tutti i nomi nelle liste di Udc, Pdl e Pd. Ecco il peso dei boss nelle elezioni

Se le cose andranno come devono andare, se in Sicilia l'Udc supererà la soglia dell'8 per cento dei voti, nel prossimo Senato siederà un uomo che Giovanni Brusca, il capomafia killer del giudice Giovanni Falcone, considerava "un amico personale". Si chiama Salvatore Cintola, ha 67 anni, è laureato in lingue e in vita sua è stato prima repubblicano, poi socialdemocratico e quindi socialista. Per qualche settimana ha anche militato in Sicilia Libera, un movimento indipendentista creato nel '93 per volere del boss Luchino Bagarella. Ma alla fine ha scoperto una vocazione per il centro ed è passato alla corte di Totò Cuffaro diventando deputato regionale sull'onda di migliaia di preferenze (17.028 nel 2006). Due anni fa ad Altofonte, raccontano le intercettazioni, la sua campagna elettorale era stata condotta pure dagli uomini d'onore, ma farsi votare dalla mafia non è un reato. Frequentare i boss neppure. E così la posizione di Cintola, iscritto per ben quattro volte nel giro di 15 anni sul registro degli indagati della procura di Palermo, è stata come sempre archiviata.

Cintola, numero quattro del partito di Casini nella corsa a Palazzo Madama, può insomma tentare liberamente il gran salto in Parlamento. E se ce la farà si troverà in compagnia di una foltissima pattuglia di amici, parenti, soci, complici veri, o presunti, di mafiosi, 'ndranghetisti e camorristi. Sì perché mentre Confindustria espelle non solo i collusi, ma persino chi paga il pizzo (persone cioè che codice alla mano non commettono un reato, ma lo subiscono), Udc, Pdl, e, in misura minore, il Pd, di fronte al rischio mafia chiudono gli occhi.

Nelle tre regioni del sud, Sicilia, Calabria e Campania, quello della criminalità è infatti un voto organizzato, al pari di quello delle associazioni dei precari (voti in cambio dei rinnovi dei contratti pubblici)
o del volontariato (voti contro finanziamenti). Quanto pesi dipende dalle zone. In alcuni comuni della Calabria, ha spiegato il pm Nicola Gratteri, sposta fino al 20 per cento dei consensi. Numeri analoghi li fornisce a Napoli il sociologo Amato Lamberti che parla di una "joint venture criminale tra camorristi, imprenditori spregiudicati e e politici affaristi, in grado di orientare su tutta la regione il 10 per cento dell'elettorato". Mentre a Palermo, il vicepresidente della commissione antimafia Beppe Lumia (Pd), spiega: "I voti che Cosa nostra controlla sono circa 150mila. Sono una sorta di utilità marginale che, indipendentemente dai sistemi elettorali, serve per raggiungere gli obiettivi: o la quota dell'8 per cento al Senato, o la vittoria complessiva in caso di testa a testa. Solo alla fine della campagna elettorale, comunque, chi opera sul territorio può rendersi conto delle scelte delle cosche. È a quel punto che i mafiosi lanciano segnali: sanno di essere forti e lo fanno pesare".

Il palazzo di giustizia di Palermo
Già, i segnali, ma quali? I colloqui intercettati durante le ultime consultazioni narrano che Cosa nostra, quando si vede richiedere il voto, sceglie spesso la linea dell'understatement. "Allora noi ci muoviamo. Però con riservatezza, come merita lui, con molta pacatezza, capisci (altrimenti) gli facciamo danno", dicevano nel 2001 i mafiosi di Trabia a chi domandava loro un appoggio per la candidatura di Nino Mormino, l'ex vice-presidente della commissione Giustizia della Camera, oggi lasciato in panchina dal Pdl. Non è insomma più epoca di evidenti passeggiate sotto braccio con il capomafia del paese. E a Palermo, per accorgerti di cosa sta succedendo, devi saper identificare i nomi e i volti di chi distribuisce manifestini o santini elettorali.

Per le politiche del 2006, per esempio, tra ragazzi del motore azzurro, l'organizzazione voluta da Marcello Dell'Utri (condannato in primo grado per concorso esterno e in secondo per tentata estorsione), figurava tutta la famiglia di Rosario Parisi, il braccio destro del boss Nino Rotolo, a cui era stato pure delegato il compito di curare uno dei tanti gazebo berlusconiani. Nel quartiere popolare della Kalsa, invece, fino a venti giorni prima delle amministrative non si vedeva un manifesto. Poi, una bella mattina,sulla saracinesca del negozio vuoto del più importante latitante della zona qualcuno aveva appeso un' immagine del sindaco Diego Cammarata (verosimilmente all'oscuro di tutto). Era il via libera. Mezz'ora dopo i muri dell'intero quartiere, come gli abitanti, parlavano solo di lui.

Auto rubate e distrutte
sul lungomare di Palermo
Non deve stupire: la mafia, anzi le mafie, sono ormai laiche, non sono a prescindere di destra o di sinistra, e prima della chiamata alle urne fanno dei sondaggi. Come ha raccontato il pentito Nino Giuffrè l'organizzazione ha uomini ovunque in grado di percepire gli umori dell'elettorato. Poi, quando diventa chiaro chi può vincere, stringe accordi con chi è disponibile al dialogo. O imponendo candidature, o offrendo voti in cambio di soldi, appalti o favori. Anche per questo, e non solo per distrazione, nelle liste oggi c'è finito di tutto. In Sicilia, per esempio, presentare Cuffaro, condannato in primo grado a 5 anni per favoreggiamento, è stato come segnare una svolta.

Cintola a parte, l'Udc fa correre alla camera Francesco Saverio Romano, tutt'ora indagato per concorso esterno; Calogero Mannino, imputato davanti alla corte d'appello di Palermo; e Giusy Savarino, che solo un mese fa ha visto il Tribunale inviare, al termine del processo 'Alta Mafia', alcuni atti che la riguardano alla procura. Secondo i giudici dalle intercettazioni e dai verbali emerge come nel 2001 lo scontro sulla sua candidatura alle regionali tra suo padre, Armado Savarino, e l'ex assessore Udc, Salvatore Lo Giudice, poi condannato a 16 anni di reclusione, sia stato risolto dalla mediazione del boss di Canicattì, Calogero Di Caro.

Certo, si può benissimo concordare con Pier Ferdinando Casini, il quale di fronte alle polemiche, fin qui limitate al nome di Cuffaro, ripete "non è giusto che le liste le faccia la magistratura". Resta però il fatto che il numero di suoi candidati risultati in rapporti con uomini di Cosa nostra, o coinvolti a vario titolo in indagini per mafia, è altissimo. Troppi per ritenere che le accuse lanciate dai pentiti, secondo i quali il voto per il partito di Cuffaro negli ultimi anni sarebbe stato compatto, siano del tutto campate in aria. In questa situazione, con la magistratura che non può intervenire perché per arrivare al processo ci vuole (giustamente) la prova dell'accordo con i mafiosi, a denunciare e bonificare ci dovrebbe pensare la politica.

Il tentativo della commissione Antimafia di far approvare, per iniziativa del senatore di Forza Italia Carlo Vizzini, un codice etico che impedisse la presentazione di candidati collusi almeno alle amministrative del 2007 è però rimasto lettera morta. Al primo febbraio del 2008 su 103 prefetture, solo 86 avevano inviato alla commissione una fotografia di quello che era accaduto nelle urne sei mesi prima. E stando a quanto risulta dai documenti che 'L'espresso' ha letto, mancavano, tra l'altro, all'appello le risposte delle provincie di Avellino, Caltanissetta, Enna, Messina, Palermo, Reggio Calabria, Taranto e Trapani. I partiti avversari poi tacciono tutti. Il Pdl, nonostante le polemiche contro il "cuffarismo e il clientelismo", è prudentissimo. Anche perché gli azzurri in lista non si sono limitati a ricandidare il senatore Pino Firrarello, condannato in primo grado per turbativa d'asta aggravata e ora sotto inchiesta per concorso esterno, o l'ex sottosegretario Antonio D'Alì, ex datore di lavoro del superlatitante Matteo Messina Denaro, e oggi accusato dall'ex prefetto di Trapani Fulvio Sodano di aver voluto il suo trasferimento per fare un piacere a Cosa nostra (sulla vicenda è in corso un'indagine e un processo per diffamazione).

Negli elenchi fa capolino pure la new entry Gabriella Giammanco, ex aspirante velina, volto giovane del Tg4,(vedi i commenti), ma soprattutto nipote di Vincenzo Giammanco, definitivamente condannato come socio e prestanome di Bernardo Provenzano. E poi ci sono tutti gli altri. A partire da Gaspare Giudice, assolto in primo grado dalle accuse di mafia con una sentenza in cui il tribunale sostiene di aver però "verificato con assoluta certezza" l'appoggio datogli da Cosa nostra nel 1996 e "con grandissima probabilità" anche nel 2001. Per arrivare a Renato Schifani, considerato in pole position dal 'Giornale' come futuro ministro degli Interni, sebbene negli anni '80 sia stato a lungo socio, assieme all'ex ministro Enrico La Loggia, della Siculabrokers: una compagnia in cui figuravano anche Nino Mandalà, futuro boss di Villabate, e Benny d'Agostino, imprenditore legato per sua ammissione al celebre capo di tutti i capi, Michele Greco.

Insomma, meglio non discutere di mafia. Un po' come fa il Pd messo in imbarazzo dalle proteste di Beppe Grillo e della Confindustria, quando con un colpo di mano aveva tentato di escludere dalle liste Beppe Lumia. Dietro a quella scelta non è difficile vedere l'ombra del grande avversario di Lumia, il dalemiano Mirello Crisafulli, filmato mentre discuteva, dopo averlo baciato, di appalti e favori con i boss di Enna, Raffaele Bevilacqua. Da quando nel 2007 Lumia, condannato a morte da Cosa nostra, aveva definito la sua candidatura inopportuna, Crisafulli, grande amico di Cuffaro, non lo salutava più. Poi in lista c'era finito solo Crisafulli e Lumia era stato recuperato come numero uno al Senato solo quando era diventato chiaro che stava per passare con Di Pietro. In compenso tra gli aspiranti deputati del Pd è comparso Bartolo Cipriano, ex sindaco e poi consigliere del comune messinese di Terme Vigliatore, sciolto per mafia nel 2005.

Meglio vanno le cose in Calabria, dove le liste di Veltroni, capeggiate dall'ex prefetto De Sena sono in buona parte pulite (al contrario di quanto era accaduto con le regionali quando la 'ndrangheta votò per il centrosinistra). Tra i democratici suscita qualche perplessità principalmente il nome di Maria Grazia Laganà, la vedova di Francesco Fortugno, il vice-presidente della regione ucciso dai clan, sotto inchiesta per truffa ai danni dello Stato nell'ambito delle indagini sulle infiltrazioni mafiose alla Asl di Locri. Qui, come in Campania, la battaglia con il centrodestra si profila in ogni caso all'ultimo voto. E il Pdl candida al Senato (decimo posto) addirittura Franco Iona, cugino primo del boss Guirino Iona, capo dell'omonima cosca crotonese ora in carcere dopo anni di latitanza. Nel 2005 Iona non aveva potuto correre per le amministrative con l'Udeur proprio a causa della sua ingombrante parentela. Ora, nonostante le proteste del presidente della commissione Antimafia Francesco Forgione, Iona si dà da fare per raccogliere voti e ribadisce di essere incensurato.

Difficile comunque che ce la faccia, al contrario di Gaetano Rao, numero 17 del partito di Berlusconi e Fini alla Camera, e soprattutto nipote di don Peppino Pesce, vecchio boss dell'omonima e potentissima cosca di Rosarno. Per uno strano scherzo del destino Rao si ritrova candidato assieme ad Angela Napoli (An), membro della commissione Antimafia e feroce avversaria della 'ndrangheta. La Napoli, insomma, ingoia amaro anche perché con lei sono candidati Pasquale Scaramuzzino, l'ex sindaco di Lamezia Terme, un comune sciolto nel 2002 dal governo per mafia in seguito a una sua battaglia, e Giuseppe 'Pino' Galati, allora leader del Ccd: un partito che l'attaccava a tutto spiano.

Anche in Campania, dove solo nella provincia di Napoli, sono stati sciolti 15 comuni (in prevalenza di centrosinistra) dal 2001 a oggi, c'è incertezza. Alle prese con l'emergenza rifiutiil Pd pare essersi mosso con relativa cautela, anche perché scottato dalle indagini sul clan Misso e i suoi rapporti con la Margherita. Tutt'altra storia sono invece le liste degli avversari. In Parlamento entrerà Sergio De Gregorio, l'ex dipietrista subito convertito a Berlusconi, indagato per riciclaggio dopo che sono stati scoperti suoi assegni in mano a Rocco Cafiero detto ''o capriariello', un contrabbandiere considerato organico al clan Nuvoletta. Con lui ci sarà Mario Landolfi (An), ora costretto a fronteggiare l'accusa di essere stato appoggiato nel 2006 da un manipolo di camorristi. E c'è pure Nicola Cosentino, uno che la mafia se l'è trovata suo malgrado in casa, visto che uno dei suoi fratelli ha sposato la sorella del boss, detenuto al 41 bis, Peppe Russo, detto 'o padrino'. Insomma, c'è da stare tranquilli. Comunque finiranno le cose il 13 aprile avremo un Parlamento specchio del paese. Peccato solo che a essere riflessa, almeno nel sud, sarà anche la parte peggiore.


Peter Gomez

27 marzo 2008

La “scala mobile” ? Un effetto dell’inflazione.



La “scala mobile” era un effetto dell’inflazione, non una causa.

Una storia di qualche anno fa, quando la politica decise di far pagare gli errori ai più deboli e più numerosi. Una storia che torna attuale mentre Draghi dice che i salari sono troppo bassi e Trichet che: “guai ad alzarli! Rispunterebbe l’inflazione”

Dice la BCE : “… le variazioni dell’aggregato monetario ampio (M3), in circostanze normali, anticipano gli andamenti dei prezzi al consumo nel medio termine”.E ancora, nelle conclusioni: “C’è un ampio consenso sul fatto che, nel periodo medio-lungo, la dinamica dei prezzi abbia origini monetarie. Di conseguenza, il Consiglio direttivo della BCE ha deciso di assegnare alla moneta un ruolo di rilievo nella strategia di politica monetaria dell’Eurosistema. Tale ruolo è stato indicato dall’annuncio, da parte del Consiglio Direttivo nel dicembre 1998, di un valore di riferimento per il tasso di crescita dell’aggregato monetario ampio M3 del 4½ per cento annuo. L’individuazione di questo tasso incorpora la definizione della stabilità dei prezzi fornita dall’Eurosistema e si basa su ipotesi riguardo alla dinamica del PIL reale e della velocità di circolazione di M3 nel medio termine. Per raggiungere l’obiettivo primario della stabilità dei prezzi, è importante per l’Eurosistema analizzare attentamente l’andamento di questo aggregato monetario in relazione al valore di riferimento e tenere sotto osservazione gli altri aggregati.”

A pagina 62 della relazione annuale della Banca d’Italia per l’anno 2006 troviamo: “Nel 2006 l’andamento degli aggregati monetari e creditizi ha continuato a segnalare condizioni di liquidità espansive. La crescita della moneta M3 è stata molto sostenuta; alla fi ne dell’anno l’aumento sui dodici mesi è stato pari al 9,8 per cento, il valore più alto dall’avvio della politica monetaria unica”.

Repubblica del 28 gennaio 2008 dice: “Bce: Crescita M3 rallenta a +11,2% a dicembre da +12,3% - La crescita della massa monetaria M3 nell’Eurozona rallenta a dicembre e cresce dell’11,5% annuale, meno del previsto +12,2%, contro un rialzo del 12,3% a novembre. Nella media degli ultimi tre mesi (ottobre-dicembre) l’aggregato monetario è cresciuto del 12,1% contro il +12% dei precedenti tre mesi. I prestiti verso il settore privato sono aumentati a dicembre dell’11,1%, invariati rispetto a novembre.”

È ovvio a questo punto prevedere il futuro: i prezzi cresceranno in maniera assai sostenuta, indipendentemente dai “controlli” e dalle “strategie” di Mister Prezzi. Quest’ultimo potrà al massimo far fare più sacrifici ad alcuni piuttosto che ad altri. È inutile chiudere la stalla quando i buoi sono scappati. Non mi stupirei se venissero attuate pressioni selettive nei confronti dei beni e dei servizi presenti nel paniere con pesi maggiori, così, magistralmente, si farebbe apparire il successo dell’intervento senza in realtà aver combinato nulla. Da una persona nominata da Prodi c’è da aspettarsi di tutto. Se il governo voleva veramente fare qualcosa contro l’inflazione doveva chiedere, assai prima, ragione alla BCE della sua opera.

Faccio notare che la suddetta lievitazione di M3 avviene SENZA meccanismi automatici per la dinamica salariale tipo la “scala mobile”.

È fin troppo facile individuare le cause (2): l’irresponsabilità della BCE nella gestione della Politica Monetaria e nella NON regolamentazione degli strumenti finanziari, tutta tesa com’è a tutelare i suoi proprietari, il sistema bancario e quello speculativo.

Una volta fatta la frittata bisogna decidere fra una delle seguenti opzioni:

1. rimettere in sesto il sistema su nuove basi monetarie e regolamentari;
2. perseverare nell’errore e farlo pagare ai più deboli.

Ovviamente la scelta, in assenza di Politici, con quelli con la p minuscola tutti intenti a cercare il punto G ed a riconoscere il Kosovo, cade sulla seconda opzione.
Mentre Draghi dice che i salari degli italiani sono troppo bassi, Trichet dice: “guai ad alzarli! Rispunterebbe l’inflazione”. Come se lasciandoli bassi non ci fosse.

Trichet sbaglia e vuol far pagare i suoi errori ai più deboli, come da copione del perfetto gerarca.

Accadde la stessa cosa all’inizio degli anni ’80. Allora il capro espiatorio fu individuato furbescamente nella “scala mobile”, uno strumento automatico che adeguava parzialmente i salari all’aumento dei prezzi. Per chi ha buona memoria è facile ricordare le piazzate del Governatore della Banca d’Italia contro quello strumento. È la scala mobile che provoca l’inflazione! Tuonava.

Era vero il contrario. È la crescita dell’inflazione che fa crescere il peso della scala mobile (è stata creata proprio per questo). Le cause dell’inflazione erano in parte esogene, come l’aumento di alcune materie prime, ed in parte endogene, come ad esempio l’inadeguatezza della rete distributiva o qualche monopolio più o meno occulto/telefonico; infatti gli eccessi di domanda rispetto all’offerta provocano sempre aumenti dei prezzi ed i monopoli li aumentano a piacimento. C’era inoltre una pessima redistribuzione delle risorse; oggi è un po’ migliorata la situazione ma è ancora insufficiente. Se non chiedo i soldi a chi dovrei li devo chiedere a qualcun altro; ma se li chiedo a chi dovrei non aumenta la moneta, ma se li chiedo alla BdI, si. Con la beffa che lo Stato finanziava gli evasori che acquistavano con l’evaso i titoli del debito pubblico a tassi superiori a 20% .

È vero però che tagliando la scala mobile l’inflazione è calata! Per forza! La politica ha deciso che gli errori li dovevano pagare i più deboli, e più numerosi, e così è stato fatto. In aggiunta quando l’operazione è andata in porto ci siamo sentiti dire: “avete visto che l’inflazione è calata tagliando la scala mobile?”

È ovvio che tagliando la scala mobile la domanda di moneta è calata, ma questo non significa che era quella la causa. Ho 15 panini per un gruppo di 15 bambini “normali”; ne introduco 5 voraci, che mangiano per 3, aumentando proporzionalmente la dotazione di viveri, arrivando a 30 panini complessivi. Cosa succederà? I bambini normali mangeranno un panino e quelli voraci, cadauno, il triplo degli altri, ovvero 3. Se per risparmiare drasticamente tolgo mezzo panino ad ogni bambino cosa succederà? Quelli “normali” si dovranno accontentare di mezzo panino mentre gli altri di 2,5.
Potrò dire di essere stato bravo per aver risparmiato 10 panini? Si!
Potrò dire di essere stato equo? No!
Potrò dire che la colpa dell’eccessivo consumo di panini è dei 15 bambini “normali”? No!

Invece per la scala mobile è successo proprio questo. Si è fatto pagare il conto ai più deboli e poi si è inneggiato al fatto che qualcuno ha pagato il conto. Solo la politica può riuscire in questi virtuosismi. Questo è stato l’unico errore importante di Bettino Craxi, non so fino a che punto ingannato dal dottor sottile.

Il bello in questa faccenda è che i poveri hanno votato al referendum affinché il conto fosse portato a loro. Se questo non è un miracolo ditemi Voi cos’è.

Lino Rossi

I Magistrati vittime di poteri occulti?


Dottor Ingroia, cosa rappresenta, per lei, il caso De Magistris?
«Il caso in cui, nella maniera più emblematica, si sono evidenziati i guasti della riforma Mastella dell’ordinamento giudiziario».

Si riferisce alla richiesta di trasferimento?
«Non solo. Ha contribuito a incrementare un clima “pesante” attorno all’azione della magistratura, creando condizioni ostili all’autonomia e indipendenza della magistratura. Il provvedimento di avocazione, che ha tolto l’indagine al collega De Magistris, è un provvedimento che in altri tempi avrebbe incontrato ben altre resistenze e critiche. Evidentemente, i tempi sono cambiati».

Qual è la sua analisi in merito?
«Definirei il caso De Magistris come una vicenda emblematica di quel che accade quando un magistrato si ritrova, isolato e sovraesposto, a gestire un’indagine estremamente complessa e delicata su un grumo di intrecci, di interessi leciti e illeciti, riferibili a soggetti e ambienti diversificati, sul crinale dove s’incontrano i versanti criminali con i versanti politici e istituzionali. Come spesso accade nei territori dove operano sistemi criminali integrati. E mi riferisco, ovviamente, ai sistemi criminali riferibili alla mafia in Sicilia e alla ‘ndrangheta in Calabria».

Come giudica la posizione dell’A.N.M. rispetto al caso De Magistris?
«Timida e inadeguata. In generale, soprattutto preoccupata di far apparire il governo Prodi meno ostile nei confronti dell’autonomia e indipendenza della magistratura del governo Berlusconi».

Che mi dice dei “poteri occulti”? Influenzano la nostra democrazia?
«Purtroppo sì. Il connubio tra poteri occulti e mafia è il famoso “gioco grande” sul quale stava lavorando Giovanni Falcone. E sul quale probabilmente è morto: e i veri mandanti della strage di Capaci, in fondo, non sono mai stati trovati».

Può spiegarmi meglio cosa intende per poteri occulti?
«Intendo – genericamente – quell’intreccio fra poteri criminali, come il potere delle grandi organizzazioni criminali mafiose, e altri poteri. Intreccio che molte indagini degli anni passati, in Sicilia ma anche in Calabria, hanno messo in luce, per esempio, tra le mafie e spezzoni della massoneria, così come con settori della destra eversiva o di ambienti politico-istituzionali, compresi appartenenti ad apparati dello Stato deviati».

Quanto incidono nella magistratura?
«Non è facile rispondere. In passato, ai tempi di Falcone e Borsellino, la magistratura, soprattutto i suoi vertici, era spesso fortemente condizionata dai poteri occulti. Negli ultimi anni si sono fatti grossi passi avanti anche per la maggiore autonomia e indipendenza che la magistratura ha conquistato. Ecco perché è importante difendere lo status di autonomia e indipendenza della magistratura. Se si fanno passi indietro su questo fronte, rischiamo di ripiombare nel passato più buio della nostra democrazia (...)».

Su questi argomenti, che paiono in qualche modo pressanti, è stata mai aperta una discussione all’interno dell’A.N.M.?
«L’A.N.M. attraversa una grave crisi di rappresentanza, che è poi la stessa crisi della politica, la stessa sensazione di scollamento fra rappresentati e rappresentanti. Il dibattito interno all’A.N.M. su questo punto è aperto e la parte più sensibile a questo problema lo ha avviato con interventi interni e pubblici. Ma l’A.N.M. è ancora ben lontana dall’avere superato questa crisi».

Quanto è credibile l’ipotesi che i “poteri occulti”, secondo lei, abbiano agito, indirizzando la vicenda De Magistris?
«L’indagine di De Magistris, per quanto abbiamo potuto apprendere, andava ben al di là di ciò che è divenuto più noto. Ben oltre quindi le intercettazioni di Mastella o l’iscrizione di Prodi nel registro degli indagati. Penso che il cuore dell’indagine fosse proprio l’intreccio tra poteri criminali e altri poteri sul territorio. Credo che il suo caso non possa essere affrontato se non si tiene conto della realtà in cui De Magistris, spesso in solitudine istituzionale, ha operato. (...) E’ certo, però, che De Magistris s’è messo contro certi poteri, ed è altrettanto certo che la reazione nei suoi confronti è stata forte ...».

Una delle accuse, per De Magistris, è stata quella di aver parlato in tv. Lei che ne pensa? Purché non entrino nel merito delle indagini, i magistrati possono parlare?
«Prendiamo, per esempio, il rapporto tra Paolo Borsellino e la stampa: appartiene alla storia del nostro Paese. (...) Ricordo un’intervista storica: volle lanciare l’allarme sul calo di tensione nella lotta alla mafia. (...) Sono passati tanti anni. E credo sia stato conquistato il diritto, da parte della magistratura, d’intervenire. Fermo restando il riserbo sul contenuto delle indagini».

Parliamo dell’avocazione di Why Not a De Magistris.
«De Magistris la definisce illegittima, io la definisco impensabile. (...) La mia sensazione è che noi ci siamo trovati in una situazione in cui l’autonomia e l’indipendenza, interna ed esterna, è arrivata a un punto di rottura. Davvero siamo in un momento di crisi dello Stato di diritto».
Antonio Massari

26 marzo 2008

Per chi vota la mafia


La mafia esiste e sta diventando sempre più protagonista della politica e delle campagne elettorali. Complici i media, complici ignari di collegamenti e amicizie la politica si fa con la mafia. Quanto la politica è attendibile per questo?

L'amico del killer che uccise Falcone, i notabili sotto processo o assolti per cavilli, i parenti stretti dei padrini. Tutti i nomi nelle liste di Udc, Pdl e Pd. Ecco il peso dei boss nelle elezioni

Se le cose andranno come devono andare, se in Sicilia l'Udc supererà la soglia dell'8 per cento dei voti, nel prossimo Senato siederà un uomo che Giovanni Brusca, il capomafia killer del giudice Giovanni Falcone, considerava "un amico personale". Si chiama Salvatore Cintola, ha 67 anni, è laureato in lingue e in vita sua è stato prima repubblicano, poi socialdemocratico e quindi socialista. Per qualche settimana ha anche militato in Sicilia Libera, un movimento indipendentista creato nel '93 per volere del boss Luchino Bagarella. Ma alla fine ha scoperto una vocazione per il centro ed è passato alla corte di Totò Cuffaro diventando deputato regionale sull'onda di migliaia di preferenze (17.028 nel 2006). Due anni fa ad Altofonte, raccontano le intercettazioni, la sua campagna elettorale era stata condotta pure dagli uomini d'onore, ma farsi votare dalla mafia non è un reato. Frequentare i boss neppure. E così la posizione di Cintola, iscritto per ben quattro volte nel giro di 15 anni sul registro degli indagati della procura di Palermo, è stata come sempre archiviata.

Cintola, numero quattro del partito di Casini nella corsa a Palazzo Madama, può insomma tentare liberamente il gran salto in Parlamento. E se ce la farà si troverà in compagnia di una foltissima pattuglia di amici, parenti, soci, complici veri, o presunti, di mafiosi, 'ndranghetisti e camorristi. Sì perché mentre Confindustria espelle non solo i collusi, ma persino chi paga il pizzo (persone cioè che codice alla mano non commettono un reato, ma lo subiscono), Udc, Pdl, e, in misura minore, il Pd, di fronte al rischio mafia chiudono gli occhi.

Nelle tre regioni del sud, Sicilia, Calabria e Campania, quello della criminalità è infatti un voto organizzato, al pari di quello delle associazioni dei precari (voti in cambio dei rinnovi dei contratti pubblici)
o del volontariato (voti contro finanziamenti). Quanto pesi dipende dalle zone. In alcuni comuni della Calabria, ha spiegato il pm Nicola Gratteri, sposta fino al 20 per cento dei consensi. Numeri analoghi li fornisce a Napoli il sociologo Amato Lamberti che parla di una "joint venture criminale tra camorristi, imprenditori spregiudicati e e politici affaristi, in grado di orientare su tutta la regione il 10 per cento dell'elettorato". Mentre a Palermo, il vicepresidente della commissione antimafia Beppe Lumia (Pd), spiega: "I voti che Cosa nostra controlla sono circa 150mila. Sono una sorta di utilità marginale che, indipendentemente dai sistemi elettorali, serve per raggiungere gli obiettivi: o la quota dell'8 per cento al Senato, o la vittoria complessiva in caso di testa a testa. Solo alla fine della campagna elettorale, comunque, chi opera sul territorio può rendersi conto delle scelte delle cosche. È a quel punto che i mafiosi lanciano segnali: sanno di essere forti e lo fanno pesare".

Il palazzo di giustizia di Palermo
Già, i segnali, ma quali? I colloqui intercettati durante le ultime consultazioni narrano che Cosa nostra, quando si vede richiedere il voto, sceglie spesso la linea dell'understatement. "Allora noi ci muoviamo. Però con riservatezza, come merita lui, con molta pacatezza, capisci (altrimenti) gli facciamo danno", dicevano nel 2001 i mafiosi di Trabia a chi domandava loro un appoggio per la candidatura di Nino Mormino, l'ex vice-presidente della commissione Giustizia della Camera, oggi lasciato in panchina dal Pdl. Non è insomma più epoca di evidenti passeggiate sotto braccio con il capomafia del paese. E a Palermo, per accorgerti di cosa sta succedendo, devi saper identificare i nomi e i volti di chi distribuisce manifestini o santini elettorali.

Per le politiche del 2006, per esempio, tra ragazzi del motore azzurro, l'organizzazione voluta da Marcello Dell'Utri (condannato in primo grado per concorso esterno e in secondo per tentata estorsione), figurava tutta la famiglia di Rosario Parisi, il braccio destro del boss Nino Rotolo, a cui era stato pure delegato il compito di curare uno dei tanti gazebo berlusconiani. Nel quartiere popolare della Kalsa, invece, fino a venti giorni prima delle amministrative non si vedeva un manifesto. Poi, una bella mattina,sulla saracinesca del negozio vuoto del più importante latitante della zona qualcuno aveva appeso un' immagine del sindaco Diego Cammarata (verosimilmente all'oscuro di tutto). Era il via libera. Mezz'ora dopo i muri dell'intero quartiere, come gli abitanti, parlavano solo di lui.

Auto rubate e distrutte
sul lungomare di Palermo
Non deve stupire: la mafia, anzi le mafie, sono ormai laiche, non sono a prescindere di destra o di sinistra, e prima della chiamata alle urne fanno dei sondaggi. Come ha raccontato il pentito Nino Giuffrè l'organizzazione ha uomini ovunque in grado di percepire gli umori dell'elettorato. Poi, quando diventa chiaro chi può vincere, stringe accordi con chi è disponibile al dialogo. O imponendo candidature, o offrendo voti in cambio di soldi, appalti o favori. Anche per questo, e non solo per distrazione, nelle liste oggi c'è finito di tutto. In Sicilia, per esempio, presentare Cuffaro, condannato in primo grado a 5 anni per favoreggiamento, è stato come segnare una svolta.

Cintola a parte, l'Udc fa correre alla camera Francesco Saverio Romano, tutt'ora indagato per concorso esterno; Calogero Mannino, imputato davanti alla corte d'appello di Palermo; e Giusy Savarino, che solo un mese fa ha visto il Tribunale inviare, al termine del processo 'Alta Mafia', alcuni atti che la riguardano alla procura. Secondo i giudici dalle intercettazioni e dai verbali emerge come nel 2001 lo scontro sulla sua candidatura alle regionali tra suo padre, Armado Savarino, e l'ex assessore Udc, Salvatore Lo Giudice, poi condannato a 16 anni di reclusione, sia stato risolto dalla mediazione del boss di Canicattì, Calogero Di Caro.

Certo, si può benissimo concordare con Pier Ferdinando Casini, il quale di fronte alle polemiche, fin qui limitate al nome di Cuffaro, ripete "non è giusto che le liste le faccia la magistratura". Resta però il fatto che il numero di suoi candidati risultati in rapporti con uomini di Cosa nostra, o coinvolti a vario titolo in indagini per mafia, è altissimo. Troppi per ritenere che le accuse lanciate dai pentiti, secondo i quali il voto per il partito di Cuffaro negli ultimi anni sarebbe stato compatto, siano del tutto campate in aria. In questa situazione, con la magistratura che non può intervenire perché per arrivare al processo ci vuole (giustamente) la prova dell'accordo con i mafiosi, a denunciare e bonificare ci dovrebbe pensare la politica.

Il tentativo della commissione Antimafia di far approvare, per iniziativa del senatore di Forza Italia Carlo Vizzini, un codice etico che impedisse la presentazione di candidati collusi almeno alle amministrative del 2007 è però rimasto lettera morta. Al primo febbraio del 2008 su 103 prefetture, solo 86 avevano inviato alla commissione una fotografia di quello che era accaduto nelle urne sei mesi prima. E stando a quanto risulta dai documenti che 'L'espresso' ha letto, mancavano, tra l'altro, all'appello le risposte delle provincie di Avellino, Caltanissetta, Enna, Messina, Palermo, Reggio Calabria, Taranto e Trapani. I partiti avversari poi tacciono tutti. Il Pdl, nonostante le polemiche contro il "cuffarismo e il clientelismo", è prudentissimo. Anche perché gli azzurri in lista non si sono limitati a ricandidare il senatore Pino Firrarello, condannato in primo grado per turbativa d'asta aggravata e ora sotto inchiesta per concorso esterno, o l'ex sottosegretario Antonio D'Alì, ex datore di lavoro del superlatitante Matteo Messina Denaro, e oggi accusato dall'ex prefetto di Trapani Fulvio Sodano di aver voluto il suo trasferimento per fare un piacere a Cosa nostra (sulla vicenda è in corso un'indagine e un processo per diffamazione).

Negli elenchi fa capolino pure la new entry Gabriella Giammanco, ex aspirante velina, volto giovane del Tg4,(vedi i commenti), ma soprattutto nipote di Vincenzo Giammanco, definitivamente condannato come socio e prestanome di Bernardo Provenzano. E poi ci sono tutti gli altri. A partire da Gaspare Giudice, assolto in primo grado dalle accuse di mafia con una sentenza in cui il tribunale sostiene di aver però "verificato con assoluta certezza" l'appoggio datogli da Cosa nostra nel 1996 e "con grandissima probabilità" anche nel 2001. Per arrivare a Renato Schifani, considerato in pole position dal 'Giornale' come futuro ministro degli Interni, sebbene negli anni '80 sia stato a lungo socio, assieme all'ex ministro Enrico La Loggia, della Siculabrokers: una compagnia in cui figuravano anche Nino Mandalà, futuro boss di Villabate, e Benny d'Agostino, imprenditore legato per sua ammissione al celebre capo di tutti i capi, Michele Greco.

Insomma, meglio non discutere di mafia. Un po' come fa il Pd messo in imbarazzo dalle proteste di Beppe Grillo e della Confindustria, quando con un colpo di mano aveva tentato di escludere dalle liste Beppe Lumia. Dietro a quella scelta non è difficile vedere l'ombra del grande avversario di Lumia, il dalemiano Mirello Crisafulli, filmato mentre discuteva, dopo averlo baciato, di appalti e favori con i boss di Enna, Raffaele Bevilacqua. Da quando nel 2007 Lumia, condannato a morte da Cosa nostra, aveva definito la sua candidatura inopportuna, Crisafulli, grande amico di Cuffaro, non lo salutava più. Poi in lista c'era finito solo Crisafulli e Lumia era stato recuperato come numero uno al Senato solo quando era diventato chiaro che stava per passare con Di Pietro. In compenso tra gli aspiranti deputati del Pd è comparso Bartolo Cipriano, ex sindaco e poi consigliere del comune messinese di Terme Vigliatore, sciolto per mafia nel 2005.

Meglio vanno le cose in Calabria, dove le liste di Veltroni, capeggiate dall'ex prefetto De Sena sono in buona parte pulite (al contrario di quanto era accaduto con le regionali quando la 'ndrangheta votò per il centrosinistra). Tra i democratici suscita qualche perplessità principalmente il nome di Maria Grazia Laganà, la vedova di Francesco Fortugno, il vice-presidente della regione ucciso dai clan, sotto inchiesta per truffa ai danni dello Stato nell'ambito delle indagini sulle infiltrazioni mafiose alla Asl di Locri. Qui, come in Campania, la battaglia con il centrodestra si profila in ogni caso all'ultimo voto. E il Pdl candida al Senato (decimo posto) addirittura Franco Iona, cugino primo del boss Guirino Iona, capo dell'omonima cosca crotonese ora in carcere dopo anni di latitanza. Nel 2005 Iona non aveva potuto correre per le amministrative con l'Udeur proprio a causa della sua ingombrante parentela. Ora, nonostante le proteste del presidente della commissione Antimafia Francesco Forgione, Iona si dà da fare per raccogliere voti e ribadisce di essere incensurato.

Difficile comunque che ce la faccia, al contrario di Gaetano Rao, numero 17 del partito di Berlusconi e Fini alla Camera, e soprattutto nipote di don Peppino Pesce, vecchio boss dell'omonima e potentissima cosca di Rosarno. Per uno strano scherzo del destino Rao si ritrova candidato assieme ad Angela Napoli (An), membro della commissione Antimafia e feroce avversaria della 'ndrangheta. La Napoli, insomma, ingoia amaro anche perché con lei sono candidati Pasquale Scaramuzzino, l'ex sindaco di Lamezia Terme, un comune sciolto nel 2002 dal governo per mafia in seguito a una sua battaglia, e Giuseppe 'Pino' Galati, allora leader del Ccd: un partito che l'attaccava a tutto spiano.

Anche in Campania, dove solo nella provincia di Napoli, sono stati sciolti 15 comuni (in prevalenza di centrosinistra) dal 2001 a oggi, c'è incertezza. Alle prese con l'emergenza rifiutiil Pd pare essersi mosso con relativa cautela, anche perché scottato dalle indagini sul clan Misso e i suoi rapporti con la Margherita. Tutt'altra storia sono invece le liste degli avversari. In Parlamento entrerà Sergio De Gregorio, l'ex dipietrista subito convertito a Berlusconi, indagato per riciclaggio dopo che sono stati scoperti suoi assegni in mano a Rocco Cafiero detto ''o capriariello', un contrabbandiere considerato organico al clan Nuvoletta. Con lui ci sarà Mario Landolfi (An), ora costretto a fronteggiare l'accusa di essere stato appoggiato nel 2006 da un manipolo di camorristi. E c'è pure Nicola Cosentino, uno che la mafia se l'è trovata suo malgrado in casa, visto che uno dei suoi fratelli ha sposato la sorella del boss, detenuto al 41 bis, Peppe Russo, detto 'o padrino'. Insomma, c'è da stare tranquilli. Comunque finiranno le cose il 13 aprile avremo un Parlamento specchio del paese. Peccato solo che a essere riflessa, almeno nel sud, sarà anche la parte peggiore.


Peter Gomez