28 marzo 2008

Se l'europa è piena di poveri è perchè è ricca!


Viviamo nelle contraddizioni, ragioniamo sempre dimenticandole. Loro, sono dentro di noi, ma usarle solo con occhiali a tinte positive non è facile.
Se vi dicessi che c'è in Europa un Paese dove non esiste la disoccupazione, non esiste il lavoro precario, non esiste il problema dei pendolari, non esiste l'inflazione, dove le tasse sono al 10%, dove ognuno possiede una casa e quanto basta per vivere e quindi non ci sono poveri, mi prendereste per matto. E avreste ragione. Perchè questo è il Paese che non c'è. Ma è esistito. E' esistito un mondo fatto così. E si chiama Medioevo Europeo.

La disoccupazione appare, come fenomeno sociale, con la Rivoluzione industriale. Prima, con una popolazione formata al 90/95% da agricoltori e artigiani, ognuno, o quasi, viveva sul suo e del suo, aveva, nelle forme della proprietà o del possesso perpetuo, una casa e un terreno da coltivare. E anche i famigerati 'servi della gleba' (i servi casati), comunque una realtà marginale, se è vero che non possono lasciare la terra del padrone non ne possono essere nemmeno cacciati. Non esisteva il precariato perchè il contadino lavora tutta la vita sulla sua terra e l'artigiano nella sua bottega che è anche la sua casa (per questo non esiste nemmeno il pendolarismo). Il giovane apprendista non percepisce un salario, ma il Maestro ha il dovere, oltre che di insegnargli il mestiere, di fornirgli alloggio, vitto e vestiti (due, uno per la festa, l'altro per i giorni lavorativi; ma, in fondo, abbiamo davvero bisogno di più di due vestiti?).

Dopo i sette anni di apprendistato il giovane o rimarrà in bottega, pagato, o ne aprirà una propria. Senza difficoltà perchè c'è posto per tutti. Gli statuti artigiani infatti proibiscono ogni forma di concorrenza e quindi, di fatto, la formazione di posizioni oligopoliste. Per tutelare però l'acquirente (oggi diremo 'il consumatore') gli statuti stabiliscono regole rigidissime per garantire la qualità del prodotto.

Nelle campagne il fenomeno del bracciantato si creò quasi a ridosso della Rivoluzione industriale quando i grandi proprietari terrieri cominciarono a recintare i loro campi (enclosure) rompendo così il regime delle 'terre aperte' (open fields) e delle servitù comunitarie (ad uso di tutti) su cui si era retto per secoli lo straordinario ma delicato equilibrio del mondo agricolo. Per molti contadini, non avendo più il supporto delle servitù, la propria terra non era più sufficiente a sostentarli. Ma fu un fenomeno tardo. Perchè la concezione di quel mondo, contadino o artigiano, era che ogni nucleo familiare doveva avere il proprio spazio vitale. Scrive lo storico Giuseppe Felloni: "Le terre sono divise con criteri che antepongono l'equità distributiva all'efficenza economica".

Le imposte, comprendendovi quelle statali, quelle dovute al feudatario, nella forma di prelievo sul raccolto e di corvèes personali, la 'decima' alla Chiesa, non superarono mai il 10%. E' vero che anche i servizi erano minimi, ma per molti aspetti di quello che noi oggi chiamiamo 'welfare' sovveniva la Chiesa, naturalmente nei modi consentiti dai tempi.

Non esisteva l'inflazione. I prezzi rimanevano stabili per decenni. Una delle rare eccezioni fu la Spagna degli inizi del XVII secolo a causa dell'oro e dell'argento rapinati agli indios d'America. E nel suo 'Memorial' Gonzales de Collerigo scrisse con sarcastica lucidità: "Se la Spagna è povera è perchè è ricca". Che è poi la paradossale condizione in cui si trovano molti Paesi industrializzati di oggi.

In quel mondo, per quanto a noi appaia incredibile, non esistevano i poveri. Il termine 'pauperismo' nasce nell'opulenta Inghilterra degli anni '30 dell'Ottocento. Fu Alexis de Tocqueville, uno dei padri del mondo moderno, ad accorgersi per primo dello sconcertante fatto che nel Paese del massimo sforzo produttivo e industriale c'era un povero ogni sei abitanti mentre in Spagna e Portogallo, dove il processo era appena agli inizi, la proporzione era di 1 a 25 e che nei Paesi e nelle regioni non ancora toccate dalla Rivoluzione industriale non c'erano poveri. Perchè è la ricchezza dei molti, alzando il costo della vita, a rendere poveri tutti gli altri. Che è quanto sta accadendo oggi in Russia, in Cina, in Albania, in Afghanistan e persino in Italia.

Su tutto questo, credo, dovrebbero riflettere coloro che fra un mese saranno chiamati a governarci.

Massimo Fini

27 marzo 2008

La “scala mobile” ? Un effetto dell’inflazione.



La “scala mobile” era un effetto dell’inflazione, non una causa.

Una storia di qualche anno fa, quando la politica decise di far pagare gli errori ai più deboli e più numerosi. Una storia che torna attuale mentre Draghi dice che i salari sono troppo bassi e Trichet che: “guai ad alzarli! Rispunterebbe l’inflazione”

Dice la BCE : “… le variazioni dell’aggregato monetario ampio (M3), in circostanze normali, anticipano gli andamenti dei prezzi al consumo nel medio termine”.E ancora, nelle conclusioni: “C’è un ampio consenso sul fatto che, nel periodo medio-lungo, la dinamica dei prezzi abbia origini monetarie. Di conseguenza, il Consiglio direttivo della BCE ha deciso di assegnare alla moneta un ruolo di rilievo nella strategia di politica monetaria dell’Eurosistema. Tale ruolo è stato indicato dall’annuncio, da parte del Consiglio Direttivo nel dicembre 1998, di un valore di riferimento per il tasso di crescita dell’aggregato monetario ampio M3 del 4½ per cento annuo. L’individuazione di questo tasso incorpora la definizione della stabilità dei prezzi fornita dall’Eurosistema e si basa su ipotesi riguardo alla dinamica del PIL reale e della velocità di circolazione di M3 nel medio termine. Per raggiungere l’obiettivo primario della stabilità dei prezzi, è importante per l’Eurosistema analizzare attentamente l’andamento di questo aggregato monetario in relazione al valore di riferimento e tenere sotto osservazione gli altri aggregati.”

A pagina 62 della relazione annuale della Banca d’Italia per l’anno 2006 troviamo: “Nel 2006 l’andamento degli aggregati monetari e creditizi ha continuato a segnalare condizioni di liquidità espansive. La crescita della moneta M3 è stata molto sostenuta; alla fi ne dell’anno l’aumento sui dodici mesi è stato pari al 9,8 per cento, il valore più alto dall’avvio della politica monetaria unica”.

Repubblica del 28 gennaio 2008 dice: “Bce: Crescita M3 rallenta a +11,2% a dicembre da +12,3% - La crescita della massa monetaria M3 nell’Eurozona rallenta a dicembre e cresce dell’11,5% annuale, meno del previsto +12,2%, contro un rialzo del 12,3% a novembre. Nella media degli ultimi tre mesi (ottobre-dicembre) l’aggregato monetario è cresciuto del 12,1% contro il +12% dei precedenti tre mesi. I prestiti verso il settore privato sono aumentati a dicembre dell’11,1%, invariati rispetto a novembre.”

È ovvio a questo punto prevedere il futuro: i prezzi cresceranno in maniera assai sostenuta, indipendentemente dai “controlli” e dalle “strategie” di Mister Prezzi. Quest’ultimo potrà al massimo far fare più sacrifici ad alcuni piuttosto che ad altri. È inutile chiudere la stalla quando i buoi sono scappati. Non mi stupirei se venissero attuate pressioni selettive nei confronti dei beni e dei servizi presenti nel paniere con pesi maggiori, così, magistralmente, si farebbe apparire il successo dell’intervento senza in realtà aver combinato nulla. Da una persona nominata da Prodi c’è da aspettarsi di tutto. Se il governo voleva veramente fare qualcosa contro l’inflazione doveva chiedere, assai prima, ragione alla BCE della sua opera.

Faccio notare che la suddetta lievitazione di M3 avviene SENZA meccanismi automatici per la dinamica salariale tipo la “scala mobile”.

È fin troppo facile individuare le cause (2): l’irresponsabilità della BCE nella gestione della Politica Monetaria e nella NON regolamentazione degli strumenti finanziari, tutta tesa com’è a tutelare i suoi proprietari, il sistema bancario e quello speculativo.

Una volta fatta la frittata bisogna decidere fra una delle seguenti opzioni:

1. rimettere in sesto il sistema su nuove basi monetarie e regolamentari;
2. perseverare nell’errore e farlo pagare ai più deboli.

Ovviamente la scelta, in assenza di Politici, con quelli con la p minuscola tutti intenti a cercare il punto G ed a riconoscere il Kosovo, cade sulla seconda opzione.
Mentre Draghi dice che i salari degli italiani sono troppo bassi, Trichet dice: “guai ad alzarli! Rispunterebbe l’inflazione”. Come se lasciandoli bassi non ci fosse.

Trichet sbaglia e vuol far pagare i suoi errori ai più deboli, come da copione del perfetto gerarca.

Accadde la stessa cosa all’inizio degli anni ’80. Allora il capro espiatorio fu individuato furbescamente nella “scala mobile”, uno strumento automatico che adeguava parzialmente i salari all’aumento dei prezzi. Per chi ha buona memoria è facile ricordare le piazzate del Governatore della Banca d’Italia contro quello strumento. È la scala mobile che provoca l’inflazione! Tuonava.

Era vero il contrario. È la crescita dell’inflazione che fa crescere il peso della scala mobile (è stata creata proprio per questo). Le cause dell’inflazione erano in parte esogene, come l’aumento di alcune materie prime, ed in parte endogene, come ad esempio l’inadeguatezza della rete distributiva o qualche monopolio più o meno occulto/telefonico; infatti gli eccessi di domanda rispetto all’offerta provocano sempre aumenti dei prezzi ed i monopoli li aumentano a piacimento. C’era inoltre una pessima redistribuzione delle risorse; oggi è un po’ migliorata la situazione ma è ancora insufficiente. Se non chiedo i soldi a chi dovrei li devo chiedere a qualcun altro; ma se li chiedo a chi dovrei non aumenta la moneta, ma se li chiedo alla BdI, si. Con la beffa che lo Stato finanziava gli evasori che acquistavano con l’evaso i titoli del debito pubblico a tassi superiori a 20% .

È vero però che tagliando la scala mobile l’inflazione è calata! Per forza! La politica ha deciso che gli errori li dovevano pagare i più deboli, e più numerosi, e così è stato fatto. In aggiunta quando l’operazione è andata in porto ci siamo sentiti dire: “avete visto che l’inflazione è calata tagliando la scala mobile?”

È ovvio che tagliando la scala mobile la domanda di moneta è calata, ma questo non significa che era quella la causa. Ho 15 panini per un gruppo di 15 bambini “normali”; ne introduco 5 voraci, che mangiano per 3, aumentando proporzionalmente la dotazione di viveri, arrivando a 30 panini complessivi. Cosa succederà? I bambini normali mangeranno un panino e quelli voraci, cadauno, il triplo degli altri, ovvero 3. Se per risparmiare drasticamente tolgo mezzo panino ad ogni bambino cosa succederà? Quelli “normali” si dovranno accontentare di mezzo panino mentre gli altri di 2,5.
Potrò dire di essere stato bravo per aver risparmiato 10 panini? Si!
Potrò dire di essere stato equo? No!
Potrò dire che la colpa dell’eccessivo consumo di panini è dei 15 bambini “normali”? No!

Invece per la scala mobile è successo proprio questo. Si è fatto pagare il conto ai più deboli e poi si è inneggiato al fatto che qualcuno ha pagato il conto. Solo la politica può riuscire in questi virtuosismi. Questo è stato l’unico errore importante di Bettino Craxi, non so fino a che punto ingannato dal dottor sottile.

Il bello in questa faccenda è che i poveri hanno votato al referendum affinché il conto fosse portato a loro. Se questo non è un miracolo ditemi Voi cos’è.

Lino Rossi

I Magistrati vittime di poteri occulti?


Dottor Ingroia, cosa rappresenta, per lei, il caso De Magistris?
«Il caso in cui, nella maniera più emblematica, si sono evidenziati i guasti della riforma Mastella dell’ordinamento giudiziario».

Si riferisce alla richiesta di trasferimento?
«Non solo. Ha contribuito a incrementare un clima “pesante” attorno all’azione della magistratura, creando condizioni ostili all’autonomia e indipendenza della magistratura. Il provvedimento di avocazione, che ha tolto l’indagine al collega De Magistris, è un provvedimento che in altri tempi avrebbe incontrato ben altre resistenze e critiche. Evidentemente, i tempi sono cambiati».

Qual è la sua analisi in merito?
«Definirei il caso De Magistris come una vicenda emblematica di quel che accade quando un magistrato si ritrova, isolato e sovraesposto, a gestire un’indagine estremamente complessa e delicata su un grumo di intrecci, di interessi leciti e illeciti, riferibili a soggetti e ambienti diversificati, sul crinale dove s’incontrano i versanti criminali con i versanti politici e istituzionali. Come spesso accade nei territori dove operano sistemi criminali integrati. E mi riferisco, ovviamente, ai sistemi criminali riferibili alla mafia in Sicilia e alla ‘ndrangheta in Calabria».

Come giudica la posizione dell’A.N.M. rispetto al caso De Magistris?
«Timida e inadeguata. In generale, soprattutto preoccupata di far apparire il governo Prodi meno ostile nei confronti dell’autonomia e indipendenza della magistratura del governo Berlusconi».

Che mi dice dei “poteri occulti”? Influenzano la nostra democrazia?
«Purtroppo sì. Il connubio tra poteri occulti e mafia è il famoso “gioco grande” sul quale stava lavorando Giovanni Falcone. E sul quale probabilmente è morto: e i veri mandanti della strage di Capaci, in fondo, non sono mai stati trovati».

Può spiegarmi meglio cosa intende per poteri occulti?
«Intendo – genericamente – quell’intreccio fra poteri criminali, come il potere delle grandi organizzazioni criminali mafiose, e altri poteri. Intreccio che molte indagini degli anni passati, in Sicilia ma anche in Calabria, hanno messo in luce, per esempio, tra le mafie e spezzoni della massoneria, così come con settori della destra eversiva o di ambienti politico-istituzionali, compresi appartenenti ad apparati dello Stato deviati».

Quanto incidono nella magistratura?
«Non è facile rispondere. In passato, ai tempi di Falcone e Borsellino, la magistratura, soprattutto i suoi vertici, era spesso fortemente condizionata dai poteri occulti. Negli ultimi anni si sono fatti grossi passi avanti anche per la maggiore autonomia e indipendenza che la magistratura ha conquistato. Ecco perché è importante difendere lo status di autonomia e indipendenza della magistratura. Se si fanno passi indietro su questo fronte, rischiamo di ripiombare nel passato più buio della nostra democrazia (...)».

Su questi argomenti, che paiono in qualche modo pressanti, è stata mai aperta una discussione all’interno dell’A.N.M.?
«L’A.N.M. attraversa una grave crisi di rappresentanza, che è poi la stessa crisi della politica, la stessa sensazione di scollamento fra rappresentati e rappresentanti. Il dibattito interno all’A.N.M. su questo punto è aperto e la parte più sensibile a questo problema lo ha avviato con interventi interni e pubblici. Ma l’A.N.M. è ancora ben lontana dall’avere superato questa crisi».

Quanto è credibile l’ipotesi che i “poteri occulti”, secondo lei, abbiano agito, indirizzando la vicenda De Magistris?
«L’indagine di De Magistris, per quanto abbiamo potuto apprendere, andava ben al di là di ciò che è divenuto più noto. Ben oltre quindi le intercettazioni di Mastella o l’iscrizione di Prodi nel registro degli indagati. Penso che il cuore dell’indagine fosse proprio l’intreccio tra poteri criminali e altri poteri sul territorio. Credo che il suo caso non possa essere affrontato se non si tiene conto della realtà in cui De Magistris, spesso in solitudine istituzionale, ha operato. (...) E’ certo, però, che De Magistris s’è messo contro certi poteri, ed è altrettanto certo che la reazione nei suoi confronti è stata forte ...».

Una delle accuse, per De Magistris, è stata quella di aver parlato in tv. Lei che ne pensa? Purché non entrino nel merito delle indagini, i magistrati possono parlare?
«Prendiamo, per esempio, il rapporto tra Paolo Borsellino e la stampa: appartiene alla storia del nostro Paese. (...) Ricordo un’intervista storica: volle lanciare l’allarme sul calo di tensione nella lotta alla mafia. (...) Sono passati tanti anni. E credo sia stato conquistato il diritto, da parte della magistratura, d’intervenire. Fermo restando il riserbo sul contenuto delle indagini».

Parliamo dell’avocazione di Why Not a De Magistris.
«De Magistris la definisce illegittima, io la definisco impensabile. (...) La mia sensazione è che noi ci siamo trovati in una situazione in cui l’autonomia e l’indipendenza, interna ed esterna, è arrivata a un punto di rottura. Davvero siamo in un momento di crisi dello Stato di diritto».
Antonio Massari

28 marzo 2008

Se l'europa è piena di poveri è perchè è ricca!


Viviamo nelle contraddizioni, ragioniamo sempre dimenticandole. Loro, sono dentro di noi, ma usarle solo con occhiali a tinte positive non è facile.
Se vi dicessi che c'è in Europa un Paese dove non esiste la disoccupazione, non esiste il lavoro precario, non esiste il problema dei pendolari, non esiste l'inflazione, dove le tasse sono al 10%, dove ognuno possiede una casa e quanto basta per vivere e quindi non ci sono poveri, mi prendereste per matto. E avreste ragione. Perchè questo è il Paese che non c'è. Ma è esistito. E' esistito un mondo fatto così. E si chiama Medioevo Europeo.

La disoccupazione appare, come fenomeno sociale, con la Rivoluzione industriale. Prima, con una popolazione formata al 90/95% da agricoltori e artigiani, ognuno, o quasi, viveva sul suo e del suo, aveva, nelle forme della proprietà o del possesso perpetuo, una casa e un terreno da coltivare. E anche i famigerati 'servi della gleba' (i servi casati), comunque una realtà marginale, se è vero che non possono lasciare la terra del padrone non ne possono essere nemmeno cacciati. Non esisteva il precariato perchè il contadino lavora tutta la vita sulla sua terra e l'artigiano nella sua bottega che è anche la sua casa (per questo non esiste nemmeno il pendolarismo). Il giovane apprendista non percepisce un salario, ma il Maestro ha il dovere, oltre che di insegnargli il mestiere, di fornirgli alloggio, vitto e vestiti (due, uno per la festa, l'altro per i giorni lavorativi; ma, in fondo, abbiamo davvero bisogno di più di due vestiti?).

Dopo i sette anni di apprendistato il giovane o rimarrà in bottega, pagato, o ne aprirà una propria. Senza difficoltà perchè c'è posto per tutti. Gli statuti artigiani infatti proibiscono ogni forma di concorrenza e quindi, di fatto, la formazione di posizioni oligopoliste. Per tutelare però l'acquirente (oggi diremo 'il consumatore') gli statuti stabiliscono regole rigidissime per garantire la qualità del prodotto.

Nelle campagne il fenomeno del bracciantato si creò quasi a ridosso della Rivoluzione industriale quando i grandi proprietari terrieri cominciarono a recintare i loro campi (enclosure) rompendo così il regime delle 'terre aperte' (open fields) e delle servitù comunitarie (ad uso di tutti) su cui si era retto per secoli lo straordinario ma delicato equilibrio del mondo agricolo. Per molti contadini, non avendo più il supporto delle servitù, la propria terra non era più sufficiente a sostentarli. Ma fu un fenomeno tardo. Perchè la concezione di quel mondo, contadino o artigiano, era che ogni nucleo familiare doveva avere il proprio spazio vitale. Scrive lo storico Giuseppe Felloni: "Le terre sono divise con criteri che antepongono l'equità distributiva all'efficenza economica".

Le imposte, comprendendovi quelle statali, quelle dovute al feudatario, nella forma di prelievo sul raccolto e di corvèes personali, la 'decima' alla Chiesa, non superarono mai il 10%. E' vero che anche i servizi erano minimi, ma per molti aspetti di quello che noi oggi chiamiamo 'welfare' sovveniva la Chiesa, naturalmente nei modi consentiti dai tempi.

Non esisteva l'inflazione. I prezzi rimanevano stabili per decenni. Una delle rare eccezioni fu la Spagna degli inizi del XVII secolo a causa dell'oro e dell'argento rapinati agli indios d'America. E nel suo 'Memorial' Gonzales de Collerigo scrisse con sarcastica lucidità: "Se la Spagna è povera è perchè è ricca". Che è poi la paradossale condizione in cui si trovano molti Paesi industrializzati di oggi.

In quel mondo, per quanto a noi appaia incredibile, non esistevano i poveri. Il termine 'pauperismo' nasce nell'opulenta Inghilterra degli anni '30 dell'Ottocento. Fu Alexis de Tocqueville, uno dei padri del mondo moderno, ad accorgersi per primo dello sconcertante fatto che nel Paese del massimo sforzo produttivo e industriale c'era un povero ogni sei abitanti mentre in Spagna e Portogallo, dove il processo era appena agli inizi, la proporzione era di 1 a 25 e che nei Paesi e nelle regioni non ancora toccate dalla Rivoluzione industriale non c'erano poveri. Perchè è la ricchezza dei molti, alzando il costo della vita, a rendere poveri tutti gli altri. Che è quanto sta accadendo oggi in Russia, in Cina, in Albania, in Afghanistan e persino in Italia.

Su tutto questo, credo, dovrebbero riflettere coloro che fra un mese saranno chiamati a governarci.

Massimo Fini

27 marzo 2008

La “scala mobile” ? Un effetto dell’inflazione.



La “scala mobile” era un effetto dell’inflazione, non una causa.

Una storia di qualche anno fa, quando la politica decise di far pagare gli errori ai più deboli e più numerosi. Una storia che torna attuale mentre Draghi dice che i salari sono troppo bassi e Trichet che: “guai ad alzarli! Rispunterebbe l’inflazione”

Dice la BCE : “… le variazioni dell’aggregato monetario ampio (M3), in circostanze normali, anticipano gli andamenti dei prezzi al consumo nel medio termine”.E ancora, nelle conclusioni: “C’è un ampio consenso sul fatto che, nel periodo medio-lungo, la dinamica dei prezzi abbia origini monetarie. Di conseguenza, il Consiglio direttivo della BCE ha deciso di assegnare alla moneta un ruolo di rilievo nella strategia di politica monetaria dell’Eurosistema. Tale ruolo è stato indicato dall’annuncio, da parte del Consiglio Direttivo nel dicembre 1998, di un valore di riferimento per il tasso di crescita dell’aggregato monetario ampio M3 del 4½ per cento annuo. L’individuazione di questo tasso incorpora la definizione della stabilità dei prezzi fornita dall’Eurosistema e si basa su ipotesi riguardo alla dinamica del PIL reale e della velocità di circolazione di M3 nel medio termine. Per raggiungere l’obiettivo primario della stabilità dei prezzi, è importante per l’Eurosistema analizzare attentamente l’andamento di questo aggregato monetario in relazione al valore di riferimento e tenere sotto osservazione gli altri aggregati.”

A pagina 62 della relazione annuale della Banca d’Italia per l’anno 2006 troviamo: “Nel 2006 l’andamento degli aggregati monetari e creditizi ha continuato a segnalare condizioni di liquidità espansive. La crescita della moneta M3 è stata molto sostenuta; alla fi ne dell’anno l’aumento sui dodici mesi è stato pari al 9,8 per cento, il valore più alto dall’avvio della politica monetaria unica”.

Repubblica del 28 gennaio 2008 dice: “Bce: Crescita M3 rallenta a +11,2% a dicembre da +12,3% - La crescita della massa monetaria M3 nell’Eurozona rallenta a dicembre e cresce dell’11,5% annuale, meno del previsto +12,2%, contro un rialzo del 12,3% a novembre. Nella media degli ultimi tre mesi (ottobre-dicembre) l’aggregato monetario è cresciuto del 12,1% contro il +12% dei precedenti tre mesi. I prestiti verso il settore privato sono aumentati a dicembre dell’11,1%, invariati rispetto a novembre.”

È ovvio a questo punto prevedere il futuro: i prezzi cresceranno in maniera assai sostenuta, indipendentemente dai “controlli” e dalle “strategie” di Mister Prezzi. Quest’ultimo potrà al massimo far fare più sacrifici ad alcuni piuttosto che ad altri. È inutile chiudere la stalla quando i buoi sono scappati. Non mi stupirei se venissero attuate pressioni selettive nei confronti dei beni e dei servizi presenti nel paniere con pesi maggiori, così, magistralmente, si farebbe apparire il successo dell’intervento senza in realtà aver combinato nulla. Da una persona nominata da Prodi c’è da aspettarsi di tutto. Se il governo voleva veramente fare qualcosa contro l’inflazione doveva chiedere, assai prima, ragione alla BCE della sua opera.

Faccio notare che la suddetta lievitazione di M3 avviene SENZA meccanismi automatici per la dinamica salariale tipo la “scala mobile”.

È fin troppo facile individuare le cause (2): l’irresponsabilità della BCE nella gestione della Politica Monetaria e nella NON regolamentazione degli strumenti finanziari, tutta tesa com’è a tutelare i suoi proprietari, il sistema bancario e quello speculativo.

Una volta fatta la frittata bisogna decidere fra una delle seguenti opzioni:

1. rimettere in sesto il sistema su nuove basi monetarie e regolamentari;
2. perseverare nell’errore e farlo pagare ai più deboli.

Ovviamente la scelta, in assenza di Politici, con quelli con la p minuscola tutti intenti a cercare il punto G ed a riconoscere il Kosovo, cade sulla seconda opzione.
Mentre Draghi dice che i salari degli italiani sono troppo bassi, Trichet dice: “guai ad alzarli! Rispunterebbe l’inflazione”. Come se lasciandoli bassi non ci fosse.

Trichet sbaglia e vuol far pagare i suoi errori ai più deboli, come da copione del perfetto gerarca.

Accadde la stessa cosa all’inizio degli anni ’80. Allora il capro espiatorio fu individuato furbescamente nella “scala mobile”, uno strumento automatico che adeguava parzialmente i salari all’aumento dei prezzi. Per chi ha buona memoria è facile ricordare le piazzate del Governatore della Banca d’Italia contro quello strumento. È la scala mobile che provoca l’inflazione! Tuonava.

Era vero il contrario. È la crescita dell’inflazione che fa crescere il peso della scala mobile (è stata creata proprio per questo). Le cause dell’inflazione erano in parte esogene, come l’aumento di alcune materie prime, ed in parte endogene, come ad esempio l’inadeguatezza della rete distributiva o qualche monopolio più o meno occulto/telefonico; infatti gli eccessi di domanda rispetto all’offerta provocano sempre aumenti dei prezzi ed i monopoli li aumentano a piacimento. C’era inoltre una pessima redistribuzione delle risorse; oggi è un po’ migliorata la situazione ma è ancora insufficiente. Se non chiedo i soldi a chi dovrei li devo chiedere a qualcun altro; ma se li chiedo a chi dovrei non aumenta la moneta, ma se li chiedo alla BdI, si. Con la beffa che lo Stato finanziava gli evasori che acquistavano con l’evaso i titoli del debito pubblico a tassi superiori a 20% .

È vero però che tagliando la scala mobile l’inflazione è calata! Per forza! La politica ha deciso che gli errori li dovevano pagare i più deboli, e più numerosi, e così è stato fatto. In aggiunta quando l’operazione è andata in porto ci siamo sentiti dire: “avete visto che l’inflazione è calata tagliando la scala mobile?”

È ovvio che tagliando la scala mobile la domanda di moneta è calata, ma questo non significa che era quella la causa. Ho 15 panini per un gruppo di 15 bambini “normali”; ne introduco 5 voraci, che mangiano per 3, aumentando proporzionalmente la dotazione di viveri, arrivando a 30 panini complessivi. Cosa succederà? I bambini normali mangeranno un panino e quelli voraci, cadauno, il triplo degli altri, ovvero 3. Se per risparmiare drasticamente tolgo mezzo panino ad ogni bambino cosa succederà? Quelli “normali” si dovranno accontentare di mezzo panino mentre gli altri di 2,5.
Potrò dire di essere stato bravo per aver risparmiato 10 panini? Si!
Potrò dire di essere stato equo? No!
Potrò dire che la colpa dell’eccessivo consumo di panini è dei 15 bambini “normali”? No!

Invece per la scala mobile è successo proprio questo. Si è fatto pagare il conto ai più deboli e poi si è inneggiato al fatto che qualcuno ha pagato il conto. Solo la politica può riuscire in questi virtuosismi. Questo è stato l’unico errore importante di Bettino Craxi, non so fino a che punto ingannato dal dottor sottile.

Il bello in questa faccenda è che i poveri hanno votato al referendum affinché il conto fosse portato a loro. Se questo non è un miracolo ditemi Voi cos’è.

Lino Rossi

I Magistrati vittime di poteri occulti?


Dottor Ingroia, cosa rappresenta, per lei, il caso De Magistris?
«Il caso in cui, nella maniera più emblematica, si sono evidenziati i guasti della riforma Mastella dell’ordinamento giudiziario».

Si riferisce alla richiesta di trasferimento?
«Non solo. Ha contribuito a incrementare un clima “pesante” attorno all’azione della magistratura, creando condizioni ostili all’autonomia e indipendenza della magistratura. Il provvedimento di avocazione, che ha tolto l’indagine al collega De Magistris, è un provvedimento che in altri tempi avrebbe incontrato ben altre resistenze e critiche. Evidentemente, i tempi sono cambiati».

Qual è la sua analisi in merito?
«Definirei il caso De Magistris come una vicenda emblematica di quel che accade quando un magistrato si ritrova, isolato e sovraesposto, a gestire un’indagine estremamente complessa e delicata su un grumo di intrecci, di interessi leciti e illeciti, riferibili a soggetti e ambienti diversificati, sul crinale dove s’incontrano i versanti criminali con i versanti politici e istituzionali. Come spesso accade nei territori dove operano sistemi criminali integrati. E mi riferisco, ovviamente, ai sistemi criminali riferibili alla mafia in Sicilia e alla ‘ndrangheta in Calabria».

Come giudica la posizione dell’A.N.M. rispetto al caso De Magistris?
«Timida e inadeguata. In generale, soprattutto preoccupata di far apparire il governo Prodi meno ostile nei confronti dell’autonomia e indipendenza della magistratura del governo Berlusconi».

Che mi dice dei “poteri occulti”? Influenzano la nostra democrazia?
«Purtroppo sì. Il connubio tra poteri occulti e mafia è il famoso “gioco grande” sul quale stava lavorando Giovanni Falcone. E sul quale probabilmente è morto: e i veri mandanti della strage di Capaci, in fondo, non sono mai stati trovati».

Può spiegarmi meglio cosa intende per poteri occulti?
«Intendo – genericamente – quell’intreccio fra poteri criminali, come il potere delle grandi organizzazioni criminali mafiose, e altri poteri. Intreccio che molte indagini degli anni passati, in Sicilia ma anche in Calabria, hanno messo in luce, per esempio, tra le mafie e spezzoni della massoneria, così come con settori della destra eversiva o di ambienti politico-istituzionali, compresi appartenenti ad apparati dello Stato deviati».

Quanto incidono nella magistratura?
«Non è facile rispondere. In passato, ai tempi di Falcone e Borsellino, la magistratura, soprattutto i suoi vertici, era spesso fortemente condizionata dai poteri occulti. Negli ultimi anni si sono fatti grossi passi avanti anche per la maggiore autonomia e indipendenza che la magistratura ha conquistato. Ecco perché è importante difendere lo status di autonomia e indipendenza della magistratura. Se si fanno passi indietro su questo fronte, rischiamo di ripiombare nel passato più buio della nostra democrazia (...)».

Su questi argomenti, che paiono in qualche modo pressanti, è stata mai aperta una discussione all’interno dell’A.N.M.?
«L’A.N.M. attraversa una grave crisi di rappresentanza, che è poi la stessa crisi della politica, la stessa sensazione di scollamento fra rappresentati e rappresentanti. Il dibattito interno all’A.N.M. su questo punto è aperto e la parte più sensibile a questo problema lo ha avviato con interventi interni e pubblici. Ma l’A.N.M. è ancora ben lontana dall’avere superato questa crisi».

Quanto è credibile l’ipotesi che i “poteri occulti”, secondo lei, abbiano agito, indirizzando la vicenda De Magistris?
«L’indagine di De Magistris, per quanto abbiamo potuto apprendere, andava ben al di là di ciò che è divenuto più noto. Ben oltre quindi le intercettazioni di Mastella o l’iscrizione di Prodi nel registro degli indagati. Penso che il cuore dell’indagine fosse proprio l’intreccio tra poteri criminali e altri poteri sul territorio. Credo che il suo caso non possa essere affrontato se non si tiene conto della realtà in cui De Magistris, spesso in solitudine istituzionale, ha operato. (...) E’ certo, però, che De Magistris s’è messo contro certi poteri, ed è altrettanto certo che la reazione nei suoi confronti è stata forte ...».

Una delle accuse, per De Magistris, è stata quella di aver parlato in tv. Lei che ne pensa? Purché non entrino nel merito delle indagini, i magistrati possono parlare?
«Prendiamo, per esempio, il rapporto tra Paolo Borsellino e la stampa: appartiene alla storia del nostro Paese. (...) Ricordo un’intervista storica: volle lanciare l’allarme sul calo di tensione nella lotta alla mafia. (...) Sono passati tanti anni. E credo sia stato conquistato il diritto, da parte della magistratura, d’intervenire. Fermo restando il riserbo sul contenuto delle indagini».

Parliamo dell’avocazione di Why Not a De Magistris.
«De Magistris la definisce illegittima, io la definisco impensabile. (...) La mia sensazione è che noi ci siamo trovati in una situazione in cui l’autonomia e l’indipendenza, interna ed esterna, è arrivata a un punto di rottura. Davvero siamo in un momento di crisi dello Stato di diritto».
Antonio Massari