06 aprile 2008

L'ordine 11.110 fine del signoraggio americano


Il 4 giugno 1963, il presidente nordamericano John Fitzgerald Kennedy
firmò l'ordine esecutivo numero 11.110 che dava allo Stato il potere di
emettere moneta senza doverla "chiedere in prestito" alla Federal Reserve.

Kennedy scelse come riserva monetaria l'argento.

La moneta nel progetto di Kennedy aveva costo zero per lo Stato
(invece che indebitarsi verso la Fed) in quanto i certificati d'argento
erano dollari Usa, non le attuali obbligazioni sulle quali lo Stato paga e
pagava gli interessi.

Infatti la moneta della Fed era prestata al governo applicando un
tasso di interesse (il signoraggio) usuraio. Diversamente dalla moneta della
Fed, era poi una moneta convertibile. Con il provvedimento, il Tesoro
statunitense, tornava ad emettere moneta come era avvenuto dalla fine della
guerra di secessione fino agli anni '30 (nonostante l'avvenuta costituzione,
già nel 1913, della "privata istituzione" Federal Reserve, fondata dalle
banche Rothschild "europee", dalla Lazard Brothers, dalla Israel Moses Sieff
bank, della Warburg, dalla Kuhn Loeb, dalla Goldman Sachs e dalla Chase
Manhattan bank della famiglia Rockefeller).
Questo voleva dire che per ogni oncia di argento presente nelle
riserve Usa, lo Stato poteva mettere in circolazione nuova moneta. In tutto,
Kennedy mise in circolazione banconote per 4,3 miliardi di dollari. Le
conseguenze furono enormi. Kennedy stava per mettere fuori gioco la Federal
Reserve Bank di New York. Se fosse entrata in circolazione una quantità
sufficiente di questi certificati basati sull'argento, questa avrebbe
eliminato la domanda di banconote della Federal Reserve.

L'ordine esecutivo 11.110 avrebbe probabilmente impedito il lievitare
del debito pubblico che ha raggiunto i record attuali, poiché avrebbe dato
al governo di Washington la possibilità di ripagare il debito pubblico senza
essere gravato dall'interesse richiesto da questa banca privata, la Fed, per
la creazione di nuova moneta (tasso di sconto).
Come si sa, infatti, il debito cresce in quanto gli Stati chiedono
nuovi prestiti di moneta non solo per le necessità correnti, ma per ripagare
gli interessi (il tasso di sconto). Kennedy fu assassinato a Dallas dopo
appena cinque mesi dall'emanazione dell'ordine esecutivo 11.110 (come per
Calvi, come per Schleyer, anche in quel caso "non si sa da chi"... forse dai
Frati Neri) e non vennero più emessi certificati garantiti da argento od
oro. Poi venne Nixon e la definitiva fuoriuscita del dollaro dal sistema
delle parità fisse convertibili nei metalli preziosi.
Dedichiamo quanto sopra, come fonte di informazione, all'esimio
direttore della Rai nonché Arbiter Politicorum per eccellenza, Bruno Vespa.
Che , nel suo "Porta a Porta" dell'altro ieri, mercoledì 26, oltre a
sottolineare - di fatto e "democraticamente" - l'inutilità delle presenze
delle liste di altri candidati premier rispetto ai quattro maggiori da lui
da sempre coccolati (tra l'altro almeno alcune di quelle liste erano in
possesso di un passato storico imprescrittibile), ha trattato da deficienti
i navigatori di internet e dei blog e da ignorante il rappresentante di "No
euro" che cercava di dimostrare che il signoraggio usuraio - il "tasso di
sconto" - applicato dalle banche centrali ("private") era ed è la fonte
primaria dell'indebitamento dello Stato e quindi della grande rapina in atto
ai danni di tutti i cittadini e dei loro redditi.
Se sui ludi elettorali in corso nel BelPaese la nostra posizione è più
che chiara, e cioè il boicottaggio, riteniamo ancora più gravi le sortite di
disinformazione - ignoranti o coscienti - dei giornalisti embedded che ci
propinano la loro scienza - si fa per dire - per omologare tutti alla
servitù di massa.
di Ugo Gaudenzi

05 aprile 2008

Copiare per innovare


In una lucida analisi Blondet traccia la situazione senza una via d'uscita e, si appella alla storia dove alcuni Italiani si sono distinti permettendo non solo il loro sviluppo ma, anche quella del loro paese.Però dimentica sempre quel vecchio detto ' si può fare tutto, ma solo col consenso della mamma'. Teoria dei bamboccioni? No, solo teoria di madre patria.

La bolla immobiliare spagnola è scoppiata. I prezzi delle case sono scesi del 5-7%, e c’è chi prevede che caleranno del 25% . Gli investitori stranieri stanno svendendo in fretta le obbligazioni iberiche sostenute nei mutui. Ismael Clemente, il capo della branca della Deutsche Bank che si occupa di immobiliare, ha ammesso che lui e gli altri speculatori esteri stanno vendendo i titoli dei mutui ispanici col 40% di sconto.

Naturalmente questo accelera il precipizio. Le vendite di auto sono crollate del 28% a marzo. Ma cosa fa il governo spagnolo?

Ha stanziato 20 miliardi di euro per finanziare grandi opere pubbliche, anzitutto nuove ferrovie ad alta velocità, in funzione anticiclica. Una misura keynesiana. Ad effetto immediato, senza lungaggini. E con uno stanziamento enorme, nonostante la crisi certo non prometta risorse tributarie aggiuntive. Il confronto con la «politica» e l’amministrazione pubblica italiana è schiacciante.

Da noi, lo Stato non è mai stato rapido a stanziare 20 miliardi di euro per contrastare una recessione; da sempre, è rapidissimo solo a «prendere» 20 o 30 miliardi di euro dalle tasche dei cittadini, con ogni nuova finanziaria. Forse gli spagnoli non hanno i verdi e gli ecologisti e i localisti fanatici che impediscono ogni opera pubblica, sia l’alta velocità siano gli inceneritori.

E già che parliamo di ambientalismo, ecco un’informazione per i nostri Pecorari Scanii che parlano a vanvera di energie rinnovabili: sabato scorso, giornata di vento forte, i generatori a vento spagnoli hanno generato 9.862 megawatt, pari al 40,8% del consumo di elettricità totale di un giorno . Nei giorni più calmi, i super-mulini a vento iberici coprono il 28-30% del fabbisogno di energia elettrica. Sabato la forza del vento ha superato quella idroelettrica, per la prima volta.

In giugno il governo di Madrid ha varato un decreto che porterà alla costruzione di «parchi del vento» galleggianti off-shore lungo la costa, più costosi dei mulini a terra ma capaci di profittare di brezze più potenti e costanti. La Spagna, apprendiamo, è con la Danimarca e la Germania il Paese che più produce energia dal vento, e conta di triplicare la produzione entro il 2020.

I nostri ecologisti ambientalisti e pecorari, se non erro, hanno bloccato l’installazione di pochi generatori a vento in Liguria, avendo scoperto (maguarda!) che sono anti-estetici (pardon, pongono problemi di «impatto ambientale»); del resto basta aver viaggiato in Sicilia e Sardegna per aver visto quelle torri con le pale per lo più ferme, per mancanza di manutenzione. Evidentemente, una tecnologia troppo complicata per neander(i)taliani.

I nostri verdi sono così: no al nucleare, no al vento, no a tutto. Per loro, è energia «pulita» solo quella che brucia gas, la più costosa e preziosa delle materie prime energetiche. Signorini del mondo.

E’ stato detto che per l’Expo universale del 1998, il Portogallo ha costruito il ponte più lungo d’Europa, 18 chilometri, oltre che l’acquario più grande del mondo e reti di metropolitane. Il timore è che l’Expo a Milano porti orrori architettonici, colate di cemento e speculazione mafioso-edilizia firmata Ligresti; forse però alla fin fine nemmeno quello, perché da noi i politici promettono, ma sono poi incapaci di mantenere.

Prodi ordinò che la spazzatura da Napoli sparisse «entro 48 ore», e s’è visto. Berlusconi promise il Ponte di Messina e la riduzione delle aliquote, ed abbiamo visto.

Oggi, promettono tutto: salvare Alitalia, asili-nido, riduzione della burocrazia, stroncamento della mafia, fiscalità dignitosa, snellimento, deregulation… la verità è che dobbiamo pagare una tassa sugli assegni che emettiamo, obbligatoriamente renderli non-trasferibili, e persino comunicare il nostro codice fiscale al farmacista se vogliamo poter detrarre qualche medicinale dal 740. La burocrazia, specie quella fiscale, diventa ogni giorno più asfissiante.

Tutto il resto è inefficiente: il numero delle badanti (moldave, ucraine e romene) ha superato il numero dei dipendenti della Sanità, gli italiani con vecchi a carico pagano due volte, una i fancazzisti «nazionali», l’altra le romene e ucraine. Perché i nostri politici hanno «i loro metodi» per fare le cose, la nostra burocrazia ha «i suoi metodi», ed è questo il problema.

In tutti gli altri Paesi vigono metodi completamente diversi, e tutto funziona meglio. In Inghilterra, ma anche in Spagna, quando si compra una casa non occorre pagare un notaio privato a percentuale sul valore dell’immobile (assurdo), basta rivolgersi all’ufficio del registro e pagare 60 euro.
In Gran Bretagna non si conosce lo scontrino fiscale; eppure l’evasione non è un fenomeno nazionale né il pianto greco continuo del potere. In Francia, gli studi di settore funzionano benissimo, senza suscitare rivolte tra i contribuenti.

Dovunque il sistema giudiziario funziona più rapido e soddisfacente che da noi, spesso con un numero di giudici e di avvocati dieci volte inferiore. Come fanno? Come ci riescono, gli altri?

Per saperlo, bisogna andare a studiare. Andare a vedere, e adottare i metodi e i regolamenti che usano gli altri. Non c’è niente di umiliante in questo, anzi, proprio le nazioni che nella storia hanno avuto uno scatto di orgoglio hanno copiato i Paesi migliori.

Quando la Turchia divenne repubblica, decisa a superare la vecchia arretratezza, assoldò giuristi tedeschi per farsi scrivere i codici civile, penale e commerciale (e i codici turchi sono praticamente quelli germanici), ufficiali tedeschi per la riforma delle forze armate, persino linguisti tedeschi per trasferire i fonemi della lingua turca nei caratteri latini, che Ataturk aveva deciso dovessero sostituire la scrittura araba.

Nella seconda metà dell’Ottocento la classe dirigente nipponica capì che, se non non modernizzava velocemente il Paese, sarebbe caduta nelle mani degli occidentali, colonizzata. Nel 1869 l’imperatore emanò un proclama in cui invitò il popolo ad «attingere il sapere da tutto
il mondo così da rafforzare le fondamenta dell’impero». Migliaia di funzionari, politici, uomini d’affari e studiosi furono spediti in Europa e in America a studiare «le leggi e i regolamenti fiscali, le Borse, il debito pubblico, le compagnie d’assicurazione, le fabbriche d’ogni tipo, le società commerciali».

Tra il 1870 e il 1890 il solo ministero dell’Industria giapponese ebbe alle sue dipendenze oltre 500 tecnici occidentali, in un Paese dove pochi anni prima tenere rapporti con uno straniero era punito con la morte. Sulla base dei modelli occidentali fu introdotta la coscrizione obbligatoria, fu creato un sistema scolastico moderno; i samurai furono incitati a diventare imprenditori, ad assumersi il carico di industrie create con fondi pubblici e, appena avviate, cedute ai privati (3).

Anche in Cina non mancarono tentativi di questo genere. Vi furono esponenti riformisti, consci della necessità di modernizzare il Paese perché non cadesse sotto il dominio straniero, che incitarono a copiare quel che si faceva all’estero: «Quando mai avete avuto una vera comprensione della cultura dei popoli stranieri?», diceva un esponente del movimento ai suoi connazionali: «Voi li identificate con quello che vedete e toccate, con le navi a vapore, le linee telegrafiche, i treni e i fucili, cannoni, macchine tessili. Mai potrete immaginare la bellezza e la perfezione delle istituzioni e del diritto occidentali». In Europa, diceva un altro, «il commercio è retto da norme precise e dignitose e condotto con metodi esatti». La vera forza dell’Inghilterra, sta nel fatto «che vi è là mutua simpatia tra i governanti e i governati».

I riformisti, attorno al giovane imperatore Kuang-hsu, cercarono di trasformare la Cina come i giapponesi avevano trasformato il Giappone. Furono i «Cento giorni della riforma». Perché il tentativo durò esattamente 110 giorni; poi i mandarini, ossia la burocrazia tradizionale, i calligrafi, i funzionari abituati a secoli di corruzione sbatterono fuori i riformisti, ne giustiziarono parecchi con raffinate torture, e cacciarono l’imperatore.

Noi siamo così.

La nostra burocrazia, come i mandarini e i calligrafi di ideogrammi, sono affezionati ai loro metodi (fancazzismo), sono ammanicati a politici che hanno i loro metodi e ne traggono il dovuto tornaconto in clientelismo: il tutto costa, secondo l’economista Ricolfi (di sinistra), 80 miliardi di euro in sciali, sprechi, inefficienze e mazzette, ma quei soldi ingrassano un ceto che detiene il potere e le sue leve. E che ha sempre resistito vittoriosamente.

La Dc scacciò il suo fondatore, don Sturzo, quando questi cominciò a denunciare le «tre male bestie italiane», ossia statalismo, partitocrazia e abuso di pubblico denaro. Eppure c’è stato un esempio, persino da noi, di gente che è andata a copiare all’estero. Milano, 1830.

L’alta borghesia, arricchita dalle filande e seterie (agro-industriali), si accorge che in Germania e Francia stanno esplodendo nuove industrie, la chimica, l’elettromeccanica, la metallurgia avanzata. Se ne accorge perché vede i suoi pochi settori manifatturieri dipendenti da industrie straniere per ogni novità tecnologica, che bisognava comprare all’estero. Allora il direttore del Politecnico, Giuseppe Colombo, manda a studiare al politecnico di Zurigo un giovane laureato, Franco Tosi, che poi fonderà la ditta omonima; suggerisce ad uno studente, tale Giovanni Battista Pirelli, di andare a studiare in Germania e Francia l’industria della gomma, che pareva avere un grande futuro; consiglia ad un altro neo-ingegnere, di nome Ernesto Breda, di andare a studiare in Germania, Olanda e Danimarca le innovazioni nell’industria siderurgico-meccanica.

Il Colombo a volte paga di tasca sua i viaggi di questi studenti promettenti; altre volte, a pagare sono i ricchi milanesi, che capiscono la necessità d’innovazione industriale. Non solo: questi imprenditori capiscono che bisogna «adeguare il sistema di istruzione superiore alle nuove caratteristiche che va assumendo lo sviluppo economico-industriale della città». Occorrono operai moderni e tecnici.

Il signor Carlo Erba, molto ricco, sborsa 400 mila lire di allora di tasca sua per fondare la Scuola speciale di elettrotecnica, e poi volge un appello agli altri ricchi, che facciano altrettanto, che sostengano la ricerca applicata all’industria. Nascono così la Società Chimica Milanese, il Laboratorio di Geodesia, l’Associazione Elettrotecnica Italiana, il Laboratorio Sperimentale di Ricerche sulla Carta.

Già molti anni prima, su finanziamenro di privati, e sul modello francese, era sorta la Società di Incoraggiamento Arti e Mestieri, da cui usciranno operai capaci di diventare imprenditori, come tale Ercole Marelli. Per questo, e non per chissà quali misteriose doti naturali, Milano è stata per un secolo e mezzo la capitale industriale italiana e il centro delle innovazioni: per volontarismo, per «simpatia fra governanti e governati», per una decisione rapidamente presa. E per ambizione, Milano è andata a imparare all’estero, umilmente, come far meglio.

Oggi manca l’ambizione e, insieme, l’umiltà. Abbiamo i nostri metodi. Il metodo Mastella, il metodo Berlusconi, il metodo Visco, il metodo Bassolino. Loro sanno come si fa, hanno imparato anche già troppo.
fonte: M. Blondet

Berlusconeide massonica


Quando qualcuno è ridicolo ha 2 strade:
  1. si nasconde e, aspetta che il tempo sia galantuomo;
  2. fa finta di niente e, attacca che osa dubitare della sua onestà.
Questo è il caso del nostro leader supremo. Una lotta impari, quando denaro e potere si incrociano in poteri e complotti legati da una scia di suicidi.
Tutti in piedi quando entra il professore. E' un segno di rispetto e di buona educazione" ha dichiarato Berlusconi alla videochat del Corriere. Certo che il Cavaliere ha davvero una bella faccia tosta ed è forse per questo che piace tanto a molti italiani. Chi in una riunione in Spagna di tutti i premier europei è stato pescato a fare le corna dietro la testa di un collega come uno scolaretto discolo nella foto di gruppo dell'ultimo giorno di scuola? Solo che se una birichinata del genere la fa un ragazzino, a scuola, in un giorno che è ormai di vacanza e siamo vicini al 'rompete le righe', è una cosa, se lo fa in un consesso internazionale un presidente del Consiglio, che rappresenta il suo Paese, è un'altra .

L'altra sera l'onorevole Fini lamentava, naturalmente in Tv (che è la principale responsabile dello sfacelo culturale del nostro Paese) che il 90% degli studenti non sa dove sia Matera. Ma chi, parlando dei mitici fondatori di Roma, li ha chiamati Romolo e Remolo? Una cosa che nella pur sgangherata scuola italiana, usata dalla nostra classe politica come area di parcheggio per precari, costerebbe a un alunno di quinta elementare un giro dietro la lavagna con un cappello con la scritta 'asino'?



Che lezioni di buona educazione e di buon gusto possono venire da un signore che al premier norvegese Rasmussen, in visita ufficiale, fa una battuta trucida sulla propria moglie o che in quelle festicciole che la Tv organizza per autocelebrarsi fa il cicisbeo con vallette e vallettine fra le quali ci sono quelle piazzate in qualche fiction per il piacer suo o dei suoi amici?
Che credibilità può avere un signore che anche i suoi amici descrivono come bugiardo patologico ("un simpatico bugiardello", Tiziana Maiolo; "un adorabile bugiardo", Casini) e che, soprattutto, la Corte d'Appello di Venezia, nel maggio del 1990, quando nessun 'accanimento giudiziario' era ipotizzabile, ha dichiarato 'testimone spergiuro' (cioè ha giurato il falso in Tribunale) e che è poi stato salvato da un'amnistia voluta dai comunisti per non essere processati per i finanziamenti avuti dall'Urss?
Che rispetto per le Istituzioni e per il proprio Paese ci può insegnare un presidente del Consiglio che in terra di Spagna, davanti a tutta la stampa internazionale' ha definito 'Mani Pulite', cioè inchieste e sentenze, anche definitive, della magistratura italiana "una guerra civile" e che ha delegittimato, di volta in volta, oltre la magistratura ordinaria, la Corte dei Conti, il Presidente della Repubblica?

Che senso della legalità, che 'tolleranza zero' può pretendere un signore che ha avuto decine di processi, che ne ha in corso uno per 'corruzione di testimone', che da quattro è uscito non per aver commesso il fatto ma perchè la prescrizione ha estinto il reato e che nei casi in cui non poteva proprio scapolarla ha abolito, per legge, il reato di cui era imputato come il falso in bilancio che negli Stati Uniti può costare 30 anni di reclusione?
Che coerenza dobbiamo attribuire a un signore che afferma che lui non attacca mai personalmente, dio guardi, gli avversari politici e poi definisce ripetutamente Antonio Di Pietro "un uomo che mi fa orrore"? E gli fa orrore per lo stesso motivo per cui lo fa a buona parte della classe dirigente , di destra e di sinistra: perchè, insieme al pool dei magistrati di Milano, osò richiamare per la prima volta anche la classe dirigente a quel rispetto della legge cui tutti noialtri cittadini siamo tenuti senza se e senza ma.

Il lettore dirà che sono un comunista. Io sono sempre stato anticomunista, quando i comunisti esistevano e molti di quelli che oggi se la dan da anticomunisti erano iscritti al Pci o militavano nella sinistra extraparlamentare e mi aspettavano sotto casa per darmi una lezioncina a colpi di spranga. Sono semplicemente un cittadino italiano che, passati i 60, è stufo di essere preso in giro da questa gente. Non sono gli studenti che devono alzarsi quando entra il professore, sono i nostri uomini politici che dovrebbero mettersi in ginocchio davanti al popolo italiano per averlo ridotto come l'han ridotto, in campo economico, previdenziale, sociale, morale e per avergli tolto ogni senso di onestà, di lealtà, di correttezza e persino quella buona educazione che oggi si invoca dai ragazzi.

Massimo Fini
Fonte: www.ilgazzettino.it

06 aprile 2008

L'ordine 11.110 fine del signoraggio americano


Il 4 giugno 1963, il presidente nordamericano John Fitzgerald Kennedy
firmò l'ordine esecutivo numero 11.110 che dava allo Stato il potere di
emettere moneta senza doverla "chiedere in prestito" alla Federal Reserve.

Kennedy scelse come riserva monetaria l'argento.

La moneta nel progetto di Kennedy aveva costo zero per lo Stato
(invece che indebitarsi verso la Fed) in quanto i certificati d'argento
erano dollari Usa, non le attuali obbligazioni sulle quali lo Stato paga e
pagava gli interessi.

Infatti la moneta della Fed era prestata al governo applicando un
tasso di interesse (il signoraggio) usuraio. Diversamente dalla moneta della
Fed, era poi una moneta convertibile. Con il provvedimento, il Tesoro
statunitense, tornava ad emettere moneta come era avvenuto dalla fine della
guerra di secessione fino agli anni '30 (nonostante l'avvenuta costituzione,
già nel 1913, della "privata istituzione" Federal Reserve, fondata dalle
banche Rothschild "europee", dalla Lazard Brothers, dalla Israel Moses Sieff
bank, della Warburg, dalla Kuhn Loeb, dalla Goldman Sachs e dalla Chase
Manhattan bank della famiglia Rockefeller).
Questo voleva dire che per ogni oncia di argento presente nelle
riserve Usa, lo Stato poteva mettere in circolazione nuova moneta. In tutto,
Kennedy mise in circolazione banconote per 4,3 miliardi di dollari. Le
conseguenze furono enormi. Kennedy stava per mettere fuori gioco la Federal
Reserve Bank di New York. Se fosse entrata in circolazione una quantità
sufficiente di questi certificati basati sull'argento, questa avrebbe
eliminato la domanda di banconote della Federal Reserve.

L'ordine esecutivo 11.110 avrebbe probabilmente impedito il lievitare
del debito pubblico che ha raggiunto i record attuali, poiché avrebbe dato
al governo di Washington la possibilità di ripagare il debito pubblico senza
essere gravato dall'interesse richiesto da questa banca privata, la Fed, per
la creazione di nuova moneta (tasso di sconto).
Come si sa, infatti, il debito cresce in quanto gli Stati chiedono
nuovi prestiti di moneta non solo per le necessità correnti, ma per ripagare
gli interessi (il tasso di sconto). Kennedy fu assassinato a Dallas dopo
appena cinque mesi dall'emanazione dell'ordine esecutivo 11.110 (come per
Calvi, come per Schleyer, anche in quel caso "non si sa da chi"... forse dai
Frati Neri) e non vennero più emessi certificati garantiti da argento od
oro. Poi venne Nixon e la definitiva fuoriuscita del dollaro dal sistema
delle parità fisse convertibili nei metalli preziosi.
Dedichiamo quanto sopra, come fonte di informazione, all'esimio
direttore della Rai nonché Arbiter Politicorum per eccellenza, Bruno Vespa.
Che , nel suo "Porta a Porta" dell'altro ieri, mercoledì 26, oltre a
sottolineare - di fatto e "democraticamente" - l'inutilità delle presenze
delle liste di altri candidati premier rispetto ai quattro maggiori da lui
da sempre coccolati (tra l'altro almeno alcune di quelle liste erano in
possesso di un passato storico imprescrittibile), ha trattato da deficienti
i navigatori di internet e dei blog e da ignorante il rappresentante di "No
euro" che cercava di dimostrare che il signoraggio usuraio - il "tasso di
sconto" - applicato dalle banche centrali ("private") era ed è la fonte
primaria dell'indebitamento dello Stato e quindi della grande rapina in atto
ai danni di tutti i cittadini e dei loro redditi.
Se sui ludi elettorali in corso nel BelPaese la nostra posizione è più
che chiara, e cioè il boicottaggio, riteniamo ancora più gravi le sortite di
disinformazione - ignoranti o coscienti - dei giornalisti embedded che ci
propinano la loro scienza - si fa per dire - per omologare tutti alla
servitù di massa.
di Ugo Gaudenzi

05 aprile 2008

Copiare per innovare


In una lucida analisi Blondet traccia la situazione senza una via d'uscita e, si appella alla storia dove alcuni Italiani si sono distinti permettendo non solo il loro sviluppo ma, anche quella del loro paese.Però dimentica sempre quel vecchio detto ' si può fare tutto, ma solo col consenso della mamma'. Teoria dei bamboccioni? No, solo teoria di madre patria.

La bolla immobiliare spagnola è scoppiata. I prezzi delle case sono scesi del 5-7%, e c’è chi prevede che caleranno del 25% . Gli investitori stranieri stanno svendendo in fretta le obbligazioni iberiche sostenute nei mutui. Ismael Clemente, il capo della branca della Deutsche Bank che si occupa di immobiliare, ha ammesso che lui e gli altri speculatori esteri stanno vendendo i titoli dei mutui ispanici col 40% di sconto.

Naturalmente questo accelera il precipizio. Le vendite di auto sono crollate del 28% a marzo. Ma cosa fa il governo spagnolo?

Ha stanziato 20 miliardi di euro per finanziare grandi opere pubbliche, anzitutto nuove ferrovie ad alta velocità, in funzione anticiclica. Una misura keynesiana. Ad effetto immediato, senza lungaggini. E con uno stanziamento enorme, nonostante la crisi certo non prometta risorse tributarie aggiuntive. Il confronto con la «politica» e l’amministrazione pubblica italiana è schiacciante.

Da noi, lo Stato non è mai stato rapido a stanziare 20 miliardi di euro per contrastare una recessione; da sempre, è rapidissimo solo a «prendere» 20 o 30 miliardi di euro dalle tasche dei cittadini, con ogni nuova finanziaria. Forse gli spagnoli non hanno i verdi e gli ecologisti e i localisti fanatici che impediscono ogni opera pubblica, sia l’alta velocità siano gli inceneritori.

E già che parliamo di ambientalismo, ecco un’informazione per i nostri Pecorari Scanii che parlano a vanvera di energie rinnovabili: sabato scorso, giornata di vento forte, i generatori a vento spagnoli hanno generato 9.862 megawatt, pari al 40,8% del consumo di elettricità totale di un giorno . Nei giorni più calmi, i super-mulini a vento iberici coprono il 28-30% del fabbisogno di energia elettrica. Sabato la forza del vento ha superato quella idroelettrica, per la prima volta.

In giugno il governo di Madrid ha varato un decreto che porterà alla costruzione di «parchi del vento» galleggianti off-shore lungo la costa, più costosi dei mulini a terra ma capaci di profittare di brezze più potenti e costanti. La Spagna, apprendiamo, è con la Danimarca e la Germania il Paese che più produce energia dal vento, e conta di triplicare la produzione entro il 2020.

I nostri ecologisti ambientalisti e pecorari, se non erro, hanno bloccato l’installazione di pochi generatori a vento in Liguria, avendo scoperto (maguarda!) che sono anti-estetici (pardon, pongono problemi di «impatto ambientale»); del resto basta aver viaggiato in Sicilia e Sardegna per aver visto quelle torri con le pale per lo più ferme, per mancanza di manutenzione. Evidentemente, una tecnologia troppo complicata per neander(i)taliani.

I nostri verdi sono così: no al nucleare, no al vento, no a tutto. Per loro, è energia «pulita» solo quella che brucia gas, la più costosa e preziosa delle materie prime energetiche. Signorini del mondo.

E’ stato detto che per l’Expo universale del 1998, il Portogallo ha costruito il ponte più lungo d’Europa, 18 chilometri, oltre che l’acquario più grande del mondo e reti di metropolitane. Il timore è che l’Expo a Milano porti orrori architettonici, colate di cemento e speculazione mafioso-edilizia firmata Ligresti; forse però alla fin fine nemmeno quello, perché da noi i politici promettono, ma sono poi incapaci di mantenere.

Prodi ordinò che la spazzatura da Napoli sparisse «entro 48 ore», e s’è visto. Berlusconi promise il Ponte di Messina e la riduzione delle aliquote, ed abbiamo visto.

Oggi, promettono tutto: salvare Alitalia, asili-nido, riduzione della burocrazia, stroncamento della mafia, fiscalità dignitosa, snellimento, deregulation… la verità è che dobbiamo pagare una tassa sugli assegni che emettiamo, obbligatoriamente renderli non-trasferibili, e persino comunicare il nostro codice fiscale al farmacista se vogliamo poter detrarre qualche medicinale dal 740. La burocrazia, specie quella fiscale, diventa ogni giorno più asfissiante.

Tutto il resto è inefficiente: il numero delle badanti (moldave, ucraine e romene) ha superato il numero dei dipendenti della Sanità, gli italiani con vecchi a carico pagano due volte, una i fancazzisti «nazionali», l’altra le romene e ucraine. Perché i nostri politici hanno «i loro metodi» per fare le cose, la nostra burocrazia ha «i suoi metodi», ed è questo il problema.

In tutti gli altri Paesi vigono metodi completamente diversi, e tutto funziona meglio. In Inghilterra, ma anche in Spagna, quando si compra una casa non occorre pagare un notaio privato a percentuale sul valore dell’immobile (assurdo), basta rivolgersi all’ufficio del registro e pagare 60 euro.
In Gran Bretagna non si conosce lo scontrino fiscale; eppure l’evasione non è un fenomeno nazionale né il pianto greco continuo del potere. In Francia, gli studi di settore funzionano benissimo, senza suscitare rivolte tra i contribuenti.

Dovunque il sistema giudiziario funziona più rapido e soddisfacente che da noi, spesso con un numero di giudici e di avvocati dieci volte inferiore. Come fanno? Come ci riescono, gli altri?

Per saperlo, bisogna andare a studiare. Andare a vedere, e adottare i metodi e i regolamenti che usano gli altri. Non c’è niente di umiliante in questo, anzi, proprio le nazioni che nella storia hanno avuto uno scatto di orgoglio hanno copiato i Paesi migliori.

Quando la Turchia divenne repubblica, decisa a superare la vecchia arretratezza, assoldò giuristi tedeschi per farsi scrivere i codici civile, penale e commerciale (e i codici turchi sono praticamente quelli germanici), ufficiali tedeschi per la riforma delle forze armate, persino linguisti tedeschi per trasferire i fonemi della lingua turca nei caratteri latini, che Ataturk aveva deciso dovessero sostituire la scrittura araba.

Nella seconda metà dell’Ottocento la classe dirigente nipponica capì che, se non non modernizzava velocemente il Paese, sarebbe caduta nelle mani degli occidentali, colonizzata. Nel 1869 l’imperatore emanò un proclama in cui invitò il popolo ad «attingere il sapere da tutto
il mondo così da rafforzare le fondamenta dell’impero». Migliaia di funzionari, politici, uomini d’affari e studiosi furono spediti in Europa e in America a studiare «le leggi e i regolamenti fiscali, le Borse, il debito pubblico, le compagnie d’assicurazione, le fabbriche d’ogni tipo, le società commerciali».

Tra il 1870 e il 1890 il solo ministero dell’Industria giapponese ebbe alle sue dipendenze oltre 500 tecnici occidentali, in un Paese dove pochi anni prima tenere rapporti con uno straniero era punito con la morte. Sulla base dei modelli occidentali fu introdotta la coscrizione obbligatoria, fu creato un sistema scolastico moderno; i samurai furono incitati a diventare imprenditori, ad assumersi il carico di industrie create con fondi pubblici e, appena avviate, cedute ai privati (3).

Anche in Cina non mancarono tentativi di questo genere. Vi furono esponenti riformisti, consci della necessità di modernizzare il Paese perché non cadesse sotto il dominio straniero, che incitarono a copiare quel che si faceva all’estero: «Quando mai avete avuto una vera comprensione della cultura dei popoli stranieri?», diceva un esponente del movimento ai suoi connazionali: «Voi li identificate con quello che vedete e toccate, con le navi a vapore, le linee telegrafiche, i treni e i fucili, cannoni, macchine tessili. Mai potrete immaginare la bellezza e la perfezione delle istituzioni e del diritto occidentali». In Europa, diceva un altro, «il commercio è retto da norme precise e dignitose e condotto con metodi esatti». La vera forza dell’Inghilterra, sta nel fatto «che vi è là mutua simpatia tra i governanti e i governati».

I riformisti, attorno al giovane imperatore Kuang-hsu, cercarono di trasformare la Cina come i giapponesi avevano trasformato il Giappone. Furono i «Cento giorni della riforma». Perché il tentativo durò esattamente 110 giorni; poi i mandarini, ossia la burocrazia tradizionale, i calligrafi, i funzionari abituati a secoli di corruzione sbatterono fuori i riformisti, ne giustiziarono parecchi con raffinate torture, e cacciarono l’imperatore.

Noi siamo così.

La nostra burocrazia, come i mandarini e i calligrafi di ideogrammi, sono affezionati ai loro metodi (fancazzismo), sono ammanicati a politici che hanno i loro metodi e ne traggono il dovuto tornaconto in clientelismo: il tutto costa, secondo l’economista Ricolfi (di sinistra), 80 miliardi di euro in sciali, sprechi, inefficienze e mazzette, ma quei soldi ingrassano un ceto che detiene il potere e le sue leve. E che ha sempre resistito vittoriosamente.

La Dc scacciò il suo fondatore, don Sturzo, quando questi cominciò a denunciare le «tre male bestie italiane», ossia statalismo, partitocrazia e abuso di pubblico denaro. Eppure c’è stato un esempio, persino da noi, di gente che è andata a copiare all’estero. Milano, 1830.

L’alta borghesia, arricchita dalle filande e seterie (agro-industriali), si accorge che in Germania e Francia stanno esplodendo nuove industrie, la chimica, l’elettromeccanica, la metallurgia avanzata. Se ne accorge perché vede i suoi pochi settori manifatturieri dipendenti da industrie straniere per ogni novità tecnologica, che bisognava comprare all’estero. Allora il direttore del Politecnico, Giuseppe Colombo, manda a studiare al politecnico di Zurigo un giovane laureato, Franco Tosi, che poi fonderà la ditta omonima; suggerisce ad uno studente, tale Giovanni Battista Pirelli, di andare a studiare in Germania e Francia l’industria della gomma, che pareva avere un grande futuro; consiglia ad un altro neo-ingegnere, di nome Ernesto Breda, di andare a studiare in Germania, Olanda e Danimarca le innovazioni nell’industria siderurgico-meccanica.

Il Colombo a volte paga di tasca sua i viaggi di questi studenti promettenti; altre volte, a pagare sono i ricchi milanesi, che capiscono la necessità d’innovazione industriale. Non solo: questi imprenditori capiscono che bisogna «adeguare il sistema di istruzione superiore alle nuove caratteristiche che va assumendo lo sviluppo economico-industriale della città». Occorrono operai moderni e tecnici.

Il signor Carlo Erba, molto ricco, sborsa 400 mila lire di allora di tasca sua per fondare la Scuola speciale di elettrotecnica, e poi volge un appello agli altri ricchi, che facciano altrettanto, che sostengano la ricerca applicata all’industria. Nascono così la Società Chimica Milanese, il Laboratorio di Geodesia, l’Associazione Elettrotecnica Italiana, il Laboratorio Sperimentale di Ricerche sulla Carta.

Già molti anni prima, su finanziamenro di privati, e sul modello francese, era sorta la Società di Incoraggiamento Arti e Mestieri, da cui usciranno operai capaci di diventare imprenditori, come tale Ercole Marelli. Per questo, e non per chissà quali misteriose doti naturali, Milano è stata per un secolo e mezzo la capitale industriale italiana e il centro delle innovazioni: per volontarismo, per «simpatia fra governanti e governati», per una decisione rapidamente presa. E per ambizione, Milano è andata a imparare all’estero, umilmente, come far meglio.

Oggi manca l’ambizione e, insieme, l’umiltà. Abbiamo i nostri metodi. Il metodo Mastella, il metodo Berlusconi, il metodo Visco, il metodo Bassolino. Loro sanno come si fa, hanno imparato anche già troppo.
fonte: M. Blondet

Berlusconeide massonica


Quando qualcuno è ridicolo ha 2 strade:
  1. si nasconde e, aspetta che il tempo sia galantuomo;
  2. fa finta di niente e, attacca che osa dubitare della sua onestà.
Questo è il caso del nostro leader supremo. Una lotta impari, quando denaro e potere si incrociano in poteri e complotti legati da una scia di suicidi.
Tutti in piedi quando entra il professore. E' un segno di rispetto e di buona educazione" ha dichiarato Berlusconi alla videochat del Corriere. Certo che il Cavaliere ha davvero una bella faccia tosta ed è forse per questo che piace tanto a molti italiani. Chi in una riunione in Spagna di tutti i premier europei è stato pescato a fare le corna dietro la testa di un collega come uno scolaretto discolo nella foto di gruppo dell'ultimo giorno di scuola? Solo che se una birichinata del genere la fa un ragazzino, a scuola, in un giorno che è ormai di vacanza e siamo vicini al 'rompete le righe', è una cosa, se lo fa in un consesso internazionale un presidente del Consiglio, che rappresenta il suo Paese, è un'altra .

L'altra sera l'onorevole Fini lamentava, naturalmente in Tv (che è la principale responsabile dello sfacelo culturale del nostro Paese) che il 90% degli studenti non sa dove sia Matera. Ma chi, parlando dei mitici fondatori di Roma, li ha chiamati Romolo e Remolo? Una cosa che nella pur sgangherata scuola italiana, usata dalla nostra classe politica come area di parcheggio per precari, costerebbe a un alunno di quinta elementare un giro dietro la lavagna con un cappello con la scritta 'asino'?



Che lezioni di buona educazione e di buon gusto possono venire da un signore che al premier norvegese Rasmussen, in visita ufficiale, fa una battuta trucida sulla propria moglie o che in quelle festicciole che la Tv organizza per autocelebrarsi fa il cicisbeo con vallette e vallettine fra le quali ci sono quelle piazzate in qualche fiction per il piacer suo o dei suoi amici?
Che credibilità può avere un signore che anche i suoi amici descrivono come bugiardo patologico ("un simpatico bugiardello", Tiziana Maiolo; "un adorabile bugiardo", Casini) e che, soprattutto, la Corte d'Appello di Venezia, nel maggio del 1990, quando nessun 'accanimento giudiziario' era ipotizzabile, ha dichiarato 'testimone spergiuro' (cioè ha giurato il falso in Tribunale) e che è poi stato salvato da un'amnistia voluta dai comunisti per non essere processati per i finanziamenti avuti dall'Urss?
Che rispetto per le Istituzioni e per il proprio Paese ci può insegnare un presidente del Consiglio che in terra di Spagna, davanti a tutta la stampa internazionale' ha definito 'Mani Pulite', cioè inchieste e sentenze, anche definitive, della magistratura italiana "una guerra civile" e che ha delegittimato, di volta in volta, oltre la magistratura ordinaria, la Corte dei Conti, il Presidente della Repubblica?

Che senso della legalità, che 'tolleranza zero' può pretendere un signore che ha avuto decine di processi, che ne ha in corso uno per 'corruzione di testimone', che da quattro è uscito non per aver commesso il fatto ma perchè la prescrizione ha estinto il reato e che nei casi in cui non poteva proprio scapolarla ha abolito, per legge, il reato di cui era imputato come il falso in bilancio che negli Stati Uniti può costare 30 anni di reclusione?
Che coerenza dobbiamo attribuire a un signore che afferma che lui non attacca mai personalmente, dio guardi, gli avversari politici e poi definisce ripetutamente Antonio Di Pietro "un uomo che mi fa orrore"? E gli fa orrore per lo stesso motivo per cui lo fa a buona parte della classe dirigente , di destra e di sinistra: perchè, insieme al pool dei magistrati di Milano, osò richiamare per la prima volta anche la classe dirigente a quel rispetto della legge cui tutti noialtri cittadini siamo tenuti senza se e senza ma.

Il lettore dirà che sono un comunista. Io sono sempre stato anticomunista, quando i comunisti esistevano e molti di quelli che oggi se la dan da anticomunisti erano iscritti al Pci o militavano nella sinistra extraparlamentare e mi aspettavano sotto casa per darmi una lezioncina a colpi di spranga. Sono semplicemente un cittadino italiano che, passati i 60, è stufo di essere preso in giro da questa gente. Non sono gli studenti che devono alzarsi quando entra il professore, sono i nostri uomini politici che dovrebbero mettersi in ginocchio davanti al popolo italiano per averlo ridotto come l'han ridotto, in campo economico, previdenziale, sociale, morale e per avergli tolto ogni senso di onestà, di lealtà, di correttezza e persino quella buona educazione che oggi si invoca dai ragazzi.

Massimo Fini
Fonte: www.ilgazzettino.it