08 maggio 2008

Nibiru e, il tempio di Dendera


l Tempio di Dendera, situato a 2,4 km a sud-est della località di Dendera, sulla riva occidentale del Nilo, è uno dei tempi meglio conservati di tutto l’antico Egitto.

La città di Dendera fu il capoluogo del 6° distretto dell’Alto Egitto e nei pressi del tempio è stata anche rinvenuta una necropoli, databile tra il 3150 a.C. - 2700 a.C. (periodo arcaico) e il 2200 a.C. - 2040 a.C. (primo periodo intermedio).

L’intera area templare copre una zona di circa 40.000 mq.; è interamente circondata da un muro di mattoni a secco e comprende:
Portale nord (epoca romana)
Mammisi di epoca romana
Chiesa cristiana
Mammisi attribuito a Nectanebo II
Sanitarium
Tempio dedicato alla dea Hathor (tempio principale)
Pozzo
Lago sacro
Tempio di Iside

Al complesso templare di Dendera sono legate due dispute tra archeologia ufficiale e archeologia alternativa: lo zodiaco e le lampade di Dendera.



Lo zodiaco.

Il famoso “Zodiaco di Dendera” si trova da anni al Museo Louvre di Parigi, e al suo posto, nel tempio di Dendera, non c’è l’originale, ma solo una copia ben fatta. È la più antica nonché importante rappresentazione delle costellazioni egizie dello zodiaco. Grazie a questo reperto si riscontra chiaramente l’influenza della cultura assiro-babilonese attraverso i greci nella seconda metà del primo millennio a.C.; infatti, in esso sono disposte in cerchio le 12 costellazioni zodiacali, che hanno molto probabilmente una nascita sulle rive del Tigri e dell’Eufrate, circondate dalle costellazioni egizie illustrate sotto. Questa risulta essere la mappa più completa di tutto il cielo antico.


Recenti studi hanno rilevato come la datazione di Joseph Fourier, che esaminò lo zodiaco nel 1800, fosse esatta per quanto riguarda la concezione del cielo: lo zodiaco di Dendera riproduce abbastanza fedelmente zodiaci mesopotamici risalenti appunto al 2500 a.C. circa.
Alcuni fautori delle teorie misteriche riguardo alla civiltà egizia affermano che analizzando attraverso sistemi computerizzati i dati ricavabili dallo zodiaco di Dendera questo dovrebbe risalire almeno al 4500 a.C., ossia prima della nascita della civiltà egizia.

L’analisi di una rappresentazione egizia ci lascia assai spesso perplessi e sorpresi, constatata l’apparente mancanza di “metodo” e l’evidente difficoltà di comprensione degli elementi figurativi. Nel caso di rappresentazioni astronomiche, e dunque con l’introduzione di elementi tecnico-scientifici, l’incertezza aumenta ancor più.

Il cielo era stato suddiviso dagli antichi astrologi egizi e babilonesi in 360 gradi, grosso modo corrispondenti ai giorni di un anno; i gradi erano riuniti in trentasei decadi (o «decani») e le decadi in dodici segni zodiacali (costellazioni dello zodiaco). Ad ogni grado, decade e segno corrispondeva un «genio» (divinità o intelligenza cosmica) che determinava il carattere e il destino delle persone nate nel giorno, decade o mese corrispondente.

In questa intrigante scenografia allegorica ci sono animali e uomini che si spostano come pedine, all’interno di una scacchiera zodiacale dove sono dipinti tutti i corpi celesti: le costellazioni, il Sole, i pianeti conosciuti, e il decimo pianeta (che evidentemente l’autore conosceva). Del pianeta X o decimo pianeta si parla anche oggi, ma solo come una fantasia, un’invenzione letteraria, un mito... e questo benché molti astronomi abbiano trascorso tutta la vita a scoprire sue tracce in cielo, convinti della sua esistenza.

È ragionevole pensare che lo zodiaco raffiguri quella parte emisferica del cielo, che era visibile all’autore o all’ideatore dello schema; in altre parole, l’emisfero celeste che contiene le costellazioni circumpolari del Nord. A quanto pare, invece, lo zodiaco rappresenta le costellazioni circumpolari dell’emisfero celeste del Sud (quelle visibili dall’emisfero Sud della Terra, ossia dall’Australia, dal Brasile, ecc.)...


E dato che l’Egitto si trova nell’emisfero Nord della Terra, non è possibile che lo zodiaco di Dendera rappresenti le costellazioni circumpolari... del Sud. A meno che, e solo in quel caso, la Terra non si sia capovolta e di conseguenza il Polo Nord sia diventato Polo Sud e viceversa. Le direzioni e le posizioni delle stelle e delle costellazioni corrispondono guardando l’immagine come se fossimo davanti allo specchio, e proprio questo potrebbe dimostrare - se un’ipotesi del genere non venisse scartata a priori senza nemmeno essere presa in considerazione - che in tempi antichissimi ci sia stato un capovolgimento dell’asse terrestre.


Nell’immagine qui sopra è documentata la posizione del pianeta X - che da questo momento in poi chiameremo Nibiru - rispetto agli altri astri, così come erano visibili nel cielo all’epoca. Supponiamo che Nibiru fosse stato avvistato - ad esempio - a 25° sopra la Costellazione del Capricorno, questa posizione sarà documentata nello zodiaco di Dendera a 25° sopra il segno del capricorno in direzione verso il centro della “mappa” zodiacale. Dobbiamo ragionevolmente pensare a questi avvistamenti nelle notti primaverili e negli equinozi autunnali, ammesso che non esistessero strumenti tecnici “moderni” per scrutare il cielo come i cannocchiali (il fatto che non ne siano state trovate tracce di alcun genere in Egitto non dimostra affatto che non siano mai esistiti). Cominciando dall’esterno, il primo segno zodiacale incontrato durante la sua orbita da Nibiru, è il Leone. Ha le zampe posate su segni d’acqua: l’acqua è rappresentata dalle comete e dagli asteroidi di Keplero che formano quella nebulosa alcuni miliardi di chilometri dietro l’orbita di Plutone... scoperta soltanto alcune decine di anni fa. Ogni figura umana, segno, animale può avere più di un significato, nell’intenzione dell’ignoto autore.

Per capire di volta in volta il vero significato bisogna innanzitutto osservare la direzione del percorso, indicato con gesti delle mani, o dal movimento dei piedi, dalla parte cui volge lo sguardo il viso o da specifici dettagli presenti in altre parti di corpo. Nella parte centrale del grande zodiaco intero di Dendera non ci sono i percorsi noti dei pianeti del nostro Sistema Solare e della ruota zodiacale, cioè tutti quei modelli geometrici di forma circolare. Ci sono esclusivamente i percorsi dei corpi celesti che attraversano la parte centrale di questo grande zodiaco, nella quale si trovano le costellazioni circumpolari.

Partendo dal Leone il percorso passa per la donna, quindi per il Sagittario verso i Pesci e poi con movimento spiralico continua verso la parte centrale della raffigurazione - simbolicamente viene descritto il movimento dall’esterno verso il centro del nostro Sistema Solare - in direzione del Sagittario, che sta indicando con la freccia il percorso di Nibiru (che dipende dalle posizioni orbitali di Nettuno e Urano). Se Nettuno, Urano e Saturno sono lontani dal punto d’incrocio tra Nibiru e le loro orbite, significa che Nibiru è in rotta verso l’orbita di Giove (il cerchio con l’occhio rivolto all’atmosfera di Giove). Vicino a Giove c’è il segno d’acqua, che indica l’acqua delle comete, degli asteroidi e dei piccoli pianeti della fascia di asteroidi fra Giove e Marte (anche questa fascia, tra l’altro, è stata scoperta poco tempo fa). Verso Giove ci sono più opzioni a raffigurare le traiettorie di Nibiru.

Se Giove è lontano dall’orbita di Nibiru, allora Nibiru ha due possibili traiettorie orbitali entrambe verso l’incrocio della fascia degli asteroidi. La prima è la direzione indicata dal lungo bastone in mano dall’uomo: Nibiru, provenendo dall’orbita di Saturno, sta passando dal segno dell’Acquario e si avvicina a Giove nel segno del Sagittario, per trovarsi nella posizione dove si trova il Regulum, che è il simbolo di Venere. L’uomo continua a camminare verso Mercurio in Vergine e si espone al Sole nel segno del Leone. Quando questa figura umana è nel segno del Sagittario/Sagittario-Giove, intende dare due scelte a Nibiru. Se Giove è in orbita dietro a Nibiru, l’orbita di questo - dopo l’influenza gravitazionale di Giove - è più lenta e in direzione del Sole.

Dopo avere fatto arco intorno al Sole, Nibiru sta facendo ora un altro arco al lato opposto, dal momento che il Sole incrocia la sua orbita. Evidentemente questo accade perché la massa interna di Nibiru non è poi tanto piccola - paragonata a quella del Sole e il Sole si trova in avvicinamento a Nibiru. La forma della traiettoria di Nibiru assomiglia a una linea ondulata (percorso 3 sull’immagine Nibiru1), e assomiglia al simbolo Ynn-Yang. Se Giove - mentre arriva Nibiru - si sta avvicinando al centro del Sistema Solare precedendo Nibiru, questo evidentemente si trova a poca distanza da Giove. In tale circostanza il percorso di Nibiru deve assomigliare al percorso 2 sull’immagine Nibiru1.

Sono stati appena descritti i casi estremi, quando Nibiru - durante il suo approssimarsi alla Terra - è passato altrettanto da vicino a un pianeta più pesante. La maggior parte delle volte in cui Nibiru si avvicina alla Terra, non incontra pianeti più pesanti, né incrocia le loro orbite intorno al Sole; il percorso orbitale di Nibiru si deforma solo quando subisce l’influenza dei pianeti e del Sole e allora assomiglia a un’ellisse deformata (sguardo perpendicolare sulla metà - la croce – dell’asse principale del percorso di Nibiru). Nibiru va dal Leone alla luna del Cancro, dove la distanza fra Nibiru e la terra è minima. L’uomo qui cambia improvvisamente direzione. Il segno del Cancro, se paragonato alla posizione standard delle altre costellazioni - è spostato di oltre 30° verso l’area centrale dello zodiaco (il diametro dello zodiaco è di 180°).

Proprio questo è il punto focale, ovvero il momento in cui l’asse terrestre era girata o inclinata diversamente da ora. Potrebbe essere avvenuto questo capovolgimento a causa della forza di gravità di Nibiru. La prima inclinazione dell’asse terrestre avvenne nel segno della Bilancia, quando il percorso orbitale di Nibiru era molto vicino alla Terra. Lo spostamento fu di oltre 30°. Questi spostamenti segnano che la posizione di Nibiru nel cielo era maggiore di 30° sopra (o sotto) il piano ellittico. Nella parte seguente saranno descritti gli altri percorsi possibili di Nibiru nel nostro Sistema Solare e anche altre scoperte collegate al lo zodiaco di Dendera e ai miti di Osiride, Horus, Seth e altre divinità egizie.

Si è giunti a queste conclusioni a proposito di Nibiru dopo seri calcoli astro-fisici e matematici e dopo lo studio delle orbite dei pianeti e delle stelle binarie e triple. Ogni stella binaria è formata da due stelle le cui due orbite ruotano intorno allo stesso punto che è denominato “centro di massa del sistema”. Le leggi di Keplero insegnano che ogni stella orbita intorno al centro di massa. In questo esempio, le due stelle viaggiano su orbite ellittiche, che possono essere diverse di volta in volta.



Dopo aver capito anche solo in minima parte lo zodiaco di Dendera, si fa strada un po’ alla volta, sempre più chiaramente, che si tratta del messaggio di un’antica civiltà o di quanto ne rimaneva. I nostri predecessori hanno desiderato farci sapere che cosa aveva distrutto il loro mondo e che cosa potrebbe capitarci in futuro.

Fonte: misteria.org

07 maggio 2008

Nascita del nuovo ordine energetico mondiale


Petrolio, 110 dollari al barile. Benzina, 3,35 dollari (o più) al gallone [0,88 $/litro]. Diesel, 4 dollari al gallone [1,06 $/litro]. Padroncini forzati via dalla strada. Gasolio per il riscaldamento domestico a prezzi esorbitanti. Carburante per aerei così costoso che nelle scorse settimane tre compagnie low-cost hanno smesso di volare. Si tratta solo di un assaggio delle più recenti notizie sull’energia, a segnalare un profondo cambiamento nel modo in cui vivremo tutti noi, in questo Paese e nel resto del mondo; tendenze che, come chiunque al momento può prevedere, diventeranno via via più pronunciate con la diminuzione delle riserve energetiche e l’intensificazione della lotta globale per la loro spartizione.

Energie di ogni sorta sono state un tempo estremamente abbondanti e hanno reso possibile l’espansione economica mondiale degli ultimi sei decenni. Da questa espansione hanno tratto beneficio, su tutti, gli Stati Uniti assieme ai loro alleati del "Primo mondo" in Europa e nella regione del Pacifico. Di recente, tuttavia, un gruppo selezionato di ex paesi del "Terzo mondo" – Cina e India in particolare – hanno tentato di prendere parte a questa fonte di prosperità industrializzando le proprie economie e vendendo un’ampia gamma di merci sui mercati internazionali. Questo, di conseguenza, ha portato ad uno scatto senza precedenti nel consumo di energia globale: un aumento del 47% nei soli ultimi 20 anni, secondo il Dipartimento dell’Energia degli U.S.A.

Un tale aumento non sarebbe motivo di grave ansia se i principali fornitori di energia del mondo fossero in grado di produrre l’ulteriore quantità richiesta di combustibile. Invece siamo di fronte ad una realtà spaventosa: il marcato rallentamento nell’espansione dell’offerta energetica globale proprio mentre la domanda sale a precipizio. L’offerta non sta esattamente scomparendo – sebbene questo, prima o poi, dovrà accadere – ma la sua velocità di crescita non è sufficiente a soddisfare l’aumento vertiginoso della domanda globale.

La combinazione tra aumento della domanda, emersione di nuovi potenti consumatori energetici e contrazione dell’offerta energetica globale sta demolendo quel mondo ricco di energia che ci è familiare e sta creando al suo posto un nuovo ordine mondiale. Lo si pensi in termini di potenze che emergono/pianeta che si restringe.

Il nuovo ordine mondiale sarà caratterizzato da una feroce concorrenza internazionale per le calanti riserve di petrolio, gas naturale, carbone e uranio, nonché da un instabile spostamento del potere e del benessere da Stati in deficit di energia, come Cina, Giappone e Stati Uniti, verso Stati che dispongono di un surplus, come Russia, Arabia Saudita e Venezuela. In tale processo, sarà in un modo o nell’altro influenzata la vita di tutti, e i consumatori poveri e di classe media nei Paesi deficitarii saranno quelli che ne sperimenteranno gli effetti più aspri. Vale a dire, la maggior parte di noi e dei nostri figli, nel caso non l’aveste ancora capito bene.

Ecco, in poche parole, le cinque forze chiave di questo nuovo ordine mondiale che cambierà il nostro pianeta:

1. Intensa concorrenza tra vecchie e nuove potenze economiche per le provviste energetiche disponibili. Fino a tempi molto recenti, le potenze industriali mature di Europa, Asia e Nord America facevano la parte del leone nel consumo di energia lasciando gli scarti al mondo in via di sviluppo. Nel 1990, i membri dell’Organizzazione per la cooperazione economica e lo sviluppo (OECD) – il club delle nazioni più ricche del mondo – consumavano circa il 57% dell’energia mondiale; il blocco Unione Sovietica/Patto di Varsavia ne consumava il 14%; mentre solo il 29% era lasciato al mondo in via di sviluppo. Ma la proporzione sta cambiando: per via della forte crescita economica, i paesi in via di sviluppo consumano una percentuale di energia mondiale sempre maggiore. Si prevede che la quota di energia utilizzata dal mondo in via di sviluppo raggiungerà il 40% entro il 2010 e, se le tendenze attuali perdurano, il 47% entro il 2030.

In tutto questo, il ruolo della Cina è cruciale. Secondo le proiezioni, i Cinesi da soli consumeranno il 17% dell’energia mondiale entro il 2015 e il 20% entro il 2025. Per allora, se i trend continuano, avranno sorpassato gli Stati Uniti come primo consumatore di energia del mondo. L’India, che nel 2004 rappresentava il 3,4% dell’uso energetico mondiale, secondo le proiezioni, raggiungerà il 4,4% entro il 2025, mentre ci si aspetta che il consumo cresca anche in altre nazioni in rapida industrializzazione, come Brasile, Indonesia, Malesia, Tailandia e Turchia.

Queste dinamo economiche emergenti dovranno competere con le potenze economiche mature per l’accesso alle risorse rimanenti e non ancora sfruttate di energia esportabile, di cui in molti casi hanno fatto incetta molto tempo fa le compagnie energetiche private delle potenze mature, come Exxon Mobil, Chevron, BP, la francese Total, e Royal Dutch Shell. Di necessità, i nuovi concorrenti hanno sviluppato una potente strategia per competere con le “grandi” occidentali: hanno creato proprie società pubbliche e costruito alleanze strategiche con le compagnie petrolifere nazionali che ora controllano le riserve di petrolio e gas in molte delle principali nazioni produttrici di energia.

La compagnia cinese Sinopec, ad esempio, ha instaurato un’alleanza strategica con Saudi Aramco, il gigante nazionalizzato che un tempo era di proprietà di Chevron e Exxon Mobil, per le ricerche di gas naturale in Arabia Saudita e per la commercializzazione del greggio saudita in Cina. Similmente, la CNPC (China National Petroleum Corporation) collaborerà con Gazprom – l’enorme monopolista russa del gas naturale a controllo statale – per la costruzione di gasdotti che portino il gas russo alla Cina. Molte di queste società pubbliche, comprese la CNPC e la Natural Gas Corporation dell’India, stanno ora iniziando a collaborare con Petróleos de Venezuela S.A. per la raffinazione del greggio pesante della fascia dell’Orinoco, un tempo controllata da Chevron. In questo nuovo stadio della concorrenza energetica, i vantaggi a lungo goduti dalle grandi società energetiche occidentali sono stati erosi da vigorosi parvenu, beneficiari di assistenza statale, nel mondo in via di sviluppo.

2. Insufficienza dell’offerta energetica primaria. Si sta riducendo la capacità dell’industria energetica globale di soddisfare la domanda. Secondo tutti i resoconti, l’offerta globale di petrolio aumenterà per forse un altro lustro prima di raggiungere il picco e cominciare a diminuire, mentre quelle di gas naturale, carbone e uranio probabilmente cresceranno per un altro decennio o due prima di raggiungere il picco e iniziare il loro inevitabile declino. Nel frattempo, l’offerta globale dei combustibili esistenti si dimostrerà incapace di corrispondere agli elevati livelli della domanda.

Si prenda il petrolio. Secondo il Dipartimento dell’energia degli U.S.A. alla domanda mondiale di petrolio, che secondo le stime raggiungerà i 117,6 milioni di barili al giorno nel 2030, corrisponderà contemporaneamente un’offerta che – miracolo dei miracoli – toccherà esattamente i 117,7 milioni di barili (compresi gli idrocarburi liquidi derivati da sostanze collegate come il gas naturale e le sabbie catramose canadesi). La maggior parte degli addetti ai lavori nel campo dell’energia, comunque, considera questa stima molto irrealistica. “Cento milioni di barili rappresentano ora, dal mio punto di vista, uno scenario ottimistico" ha detto, come è tipico, il CEO di Total Christophe de Mangerie a una conferenza sul petrolio tenutasi a Londra nell’ottobre 2007. "Non si tratta della mia opinione. è l’opinione dell’industria, o l’opinione di quelli che amano parlare in modo chiaro e onesto, e non [stanno] semplicemente tentando di compiacere qualcuno”.

Allo stesso modo, gli autori del Medium-Term Oil Market Report, pubblicato nel luglio 2007 dall’Agenzia Internazionale dell’Energia, affiliata della OECD, sono giunti alla conclusione che la produzione mondiale di petrolio potrebbe toccare i 96 milioni di barili al giorno entro il 2012, ma è improbabile che si vada molto oltre con la scarsità di nuove scoperte che rendono una futura crescita impossibile.

I titoli delle pagine economiche mettono quotidianamente in rilievo un vortice di tendenze conflittuali: la domanda mondiale continua a crescere mentre centinaia di milioni di consumatori cinesi e indiani arricchitisi di recente si mettono in coda per acquistare la loro prima automobile (in alcuni casi per soli 2.500 dollari); i principali vecchi giacimenti petroliferi “elefante”, come Ghawar in Arabia Saudita e Canterell in Messico, sono già in declino o lo saranno presto; la velocità con cui vengono scoperti nuovi giacimenti precipita anno dopo anno. Quindi ci si aspetti una carenza energetica globale e che i prezzi alti siano una costante fonte di patimenti.

3. Penosa lentezza nello sviluppo di alternative energetiche. Ai governanti è chiara da molto tempo la disperata necessità di nuove risorse energetiche per compensare la futura scomparsa dei combustibili esistenti e per rallentare l’accumulo nell’atmosfera dei “gas serra” responsabili del cambiamento climatico. Infatti, in alcune parti del mondo energia eolica ed energia solare hanno preso piede in modo significativo. Alcune altre soluzioni energetiche innovative sono già state sviluppate e addirittura collaudate nei laboratori di università e aziende. Semplicemente, queste alternative, che ora contribuiscono all’offerta netta mondiale di combustibile solo per una piccolissima percentuale, non vengono sviluppate ad una velocità sufficiente a prevenire la multiforme catastrofe energetica globale che ci troviamo davanti.

Secondo il Dipartimento dell’Energia statunitense, nel 2004 i combustibili rinnovabili, comprendenti l’energia eolica, solare e idroelettrica (assieme ai combustibili "tradizionali" come legna ed escrementi), hanno fornito appena il 7,4% dell’energia globale; i biocombustibili hanno aggiunto un altro 0,3%. Al contempo, i combustibili fossili – petrolio, carbone e gas naturale – hanno fornito l’86% dell’energia mondiale, e l’energia nucleare un ulteriore 6%. Sulla base della velocità attuale di sviluppo e investimento, il Dipartimento ci offre la seguente deprimente proiezione: nel 2030 i combustibili fossili rappresenteranno ancora esattamente la stessa quota di energia mondiale che nel 2004. L’aumento previsto per le energie rinnovabili e i biocombustibili è talmente esiguo – un mero 8,1% – da essere praticamente irrilevante.

In termini di riscaldamento globale, le implicazioni sono niente meno che catastrofiche: secondo le proiezioni, il crescente affidamento sul carbone (specialmente da parte di Cina, India, e U.S.A.) comporterà un aumento del 59% delle emissioni globali di CO2 nei prossimi venticinque anni, da 26,9 a 42,9 miliardi di tonnellate. Il significato di questo dato è semplice. Se queste statistiche sono corrette, non c’è speranza di riuscire ad evitare i peggiori effetti del cambiamento climatico.

Rispetto all’offerta energetica globale, le implicazioni sono quasi altrettanto infauste. Per soddisfare la forte crescita della domanda energetica, avremmo bisogno di un enorme afflusso di combustibili alternativi che comporterebbero un investimento altrettanto enorme – nell’ordine dei trilioni di dollari – per assicurare che le nuove possibilità passino rapidamente dal laboratorio alla piena produzione; ma questo, è triste dirlo, non è verosimile. Invece, le compagnie energetiche maggiori (sostenute da generosi sussidi e agevolazioni fiscali del governo statunitense) stanno usando gli inaspettati profitti derivanti dall’aumento dei prezzi dell’energia in progetti estremamente costosi (e contestabili dal punto di vista ambientale) per l’estrazione di petrolio e gas in Alaska e nella zona Artica, o per la perforazione nelle profonde e difficili acque del Golfo del Messico e dell’Oceano Atlantico. Il risultato? Qualche barile di petrolio o metro cubo di gas naturale in più, a prezzi esorbitanti (con tanto di danno ecologico), mentre le alternative diverse dagli idrocarburi avanzano patetiche zoppicando.

4. Stabile migrazione di potere e ricchezza dalle nazioni in deficit energetico a quelle con un surplus. Vi sono alcuni Paesi – forse una dozzina in tutto – che dispongono di petrolio, gas, carbone e uranio (o una qualche combinazione di essi) sufficienti a soddisfare le proprie esigenze energetiche e fornire rilevanti surplus per l’esportazione. Non sorprende che tali Paesi saranno in grado di strappare condizioni sempre più favorevoli al gruppo molto più ampio costituito dai Paesi deficitarii che ne dipendono per le provviste vitali di energia. Tali condizioni, in primo luogo di carattere finanziario, si risolveranno in crescenti montagne di petrodollari accumulati dai più importanti produttori di petrolio, ma comprenderanno anche concessioni politiche e militari.

Per petrolio e gas naturale, i principali Paesi in surplus energetico possono essere contati sulle dita delle mani. Dieci Stati ricchi di petrolio possiedono l’82,2% delle riserve mondiali comprovate. In ordine di importanza, essi sono Arabia Saudita, Iran, Iraq, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Venezuela, Russia, Libia, Kazakistan e Nigeria. I possedimenti di gas naturale sono persino più concentrati. Tre Paesi – Russia, Iran e Qatar – ospitano uno sbalorditivo 55,8% delle provviste mondiali. Tutti questi Paesi si trovano nella invidiabile posizione di poter approfittare del sensazionale aumento dei prezzi energetici globali e strappare ai loro potenziali clienti qualsiasi concessione politica ritengano importante.

Il trasferimento della ricchezza in sé è già strabiliante. I Paesi che esportano petrolio hanno raccolto, secondo le stime, 970 miliardi di dollari tra i Paesi importatori nel 2006, e ci si aspetta che gli introiti per il 2007, una volta calcolati, risultino di gran lunga maggiori. Una percentuale rilevante di questi dollari, yen e euro sono stati depositati in "fondi sovrani di investimento" [sovereign-wealth funds](SWF), conti giganteschi di proprietà degli Stati produttori di petrolio e schierati per l’acquisizione di importanti asset in giro per il mondo. Negli ultimi mesi, gli SWF del Golfo Persico hanno approfittato della crisi finanziaria negli U.S.A. per acquistare ampi pacchetti azionari nei settori strategici dell’economia statunitense. Nel novembre 2007, ad esempio, la Abu Dhabi Investment Authority (ADIA) ha acquisito un pacchetto da 7,5 miliardi di dollari in Citigroup, la più grande società di partecipazione finanziaria d’America; in gennaio, Citigroup ha venduto un pacchetto ancora più consistente, del valore di 12,5 miliardi di dollari, alla Kuwait Investment Authority (KIA) e a parecchi altri investitori mediorientali, tra cui il Principe al-Walid bin Talal dell’Arabia Saudita. I dirigenti di ADIA e KIA insistono sul fatto che non è loro intenzione usare le loro nuove partecipazioni in Citigroup e in altre banche e aziende statunitensi per influenzare la politica economica o estera degli U.S.A., ma è difficile immaginare che uno spostamento finanziario di tale entità, che nei prossimi decenni può solo acquistare ulteriore slancio, non si traduca in una qualche forma di ascendente politico.

Questo si è già verificato nel caso della Russia, che è risorta dalle ceneri dell’Unione Sovietica come prima superpotenza energetica del mondo. La Russia è ora il primo fornitore al mondo di gas naturale, il secondo maggiore fornitore di petrolio, e uno dei maggiori produttori di carbone e uranio. Molti di questi asset erano stati privatizzati per un breve periodo durante il regno di Boris Eltsin, ma il presidente Vladimir Putin li ha riportati per la maggior parte sotto il controllo statale, in taluni casi con mezzi legali straordinariamente opinabili. Egli ha poi utilizzato tali asset nelle sue campagne di corruzione o costrizione dirette alle ex Repubbliche sovietiche al confine con la Russia e da essa dipendenti per gran parte del petrolio e del gas di cui necessitano. I Paesi dell’Unione Europea hanno talvolta espresso la propria costernazione di fronte alla tattica di Putin, ma anch’essi dipendono dalle forniture energetiche russe e quindi hanno imparato a zittire le proprie proteste per far spazio al crescente potere russo in Eurasia. Si consideri la Russia un modello del nuovo ordine energetico mondiale.

5. Crescente rischio di conflitti. Nel corso di tutta la storia, i grandi spostamenti di potere si sono normalmente accompagnati alla violenza e, in alcuni casi, a lunghi periodi di sconvolgimenti violenti. Gli Stati all’apice del potere hanno lottato per prevenire la perdita dei propri privilegi, oppure gli sfidanti hanno combattuto per rovesciare chi stava in cima. Cosa accadrà ora? Accadrà forse che gli Stati in deficit energetico lancino campagne per estorcere con la forza le riserve di petrolio e gas degli Stati in surplus – la guerra dell’amministrazione Bush in Iraq potrebbe già essere considerata come un tentativo di questo tipo – o per eliminare i concorrenti tra i loro rivali deficitarii?

Gli alti costi e rischi della guerra moderna sono noti e vi è la diffusa percezione che i problemi energetici possano essere meglio risolti attraverso mezzi economici, non mezzi militari. Tuttavia, le potenze maggiori stanno utilizzando mezzi militari nel loro sforzo di guadagnare un vantaggio nella lotta globale per l’energia, e nessuno dovrebbe lasciarsi ingannare in merito. Queste iniziative potrebbero facilmente condurre a escalation e conflitti non intenzionali.

Un evidente utilizzo di mezzi militari nella ricerca dell’energia è ovviamente la regolare cessione di armi e servizi di supporto militare operata da Stati importatori di energia verso i propri principali fornitori. Sia gli Stati Uniti sia la Cina, ad esempio, hanno incrementato le loro forniture di armi ed equipaggiamenti a Stati produttori di petrolio, come Angola, Nigeria e Sudan in Africa, e, nel bacino del Mar Caspio, Azerbaijan, Kazakistan e Kirghizistan. Gli Stati Uniti hanno posto speciale enfasi sulla repressione dell’insurrezione armata nella fondamentale regione del delta del Niger in Nigeria, dove viene prodotta la maggior parte del petrolio del Paese; Pechino ha incrementato gli aiuti in armamenti al Sudan, dove le operazioni petrolifere condotte dai Cinesi sono minacciate da rivolte sia nel meridione sia nel Darfur.

Anche la Russia sta utilizzando lo strumento della cessione di armamenti nei propri sforzi per guadagnare influenza nelle principali regioni produttrici di petrolio e gas nel bacino del Mar Caspio e nel Golfo Persico. La motivazione di questo Paese non sta nell’approvvigionamento di energia per proprio uso, ma nel dominio sul flusso di energia verso altri. In particolare, Mosca cerca di ottenere il monopolio del trasporto del gas centro-asiatico verso l’Europa attraverso la vasta rete di gasdotti Gazprom; essa vuole inoltre attingere ai mastodontici giacimenti di gas dell’Iran, rafforzando ulteriormente il controllo della Russia sul commercio di gas naturale.

Naturalmente, il pericolo è che tali iniziative moltiplicandosi nel tempo provochino corse all’armamento locali, esacerbino le tensioni regionali, ed aumentino il rischio del coinvolgimento di grandi potenze in eventuali conflitti locali. La storia ci fornisce persino troppi esempi di errori di calcolo di questo tipo che conducono a guerre che diventano presto incontrollabili. Si pensi agli anni che hanno portato alla Prima Guerra Mondiale. Infatti, la somiglianza tra l’Asia centrale e il Caspio di oggi, con i loro complessi disordini etnici e le rivalità tra grandi potenze, e i Balcani degli anni precedenti il 1914 è ben più che fugace.

La somma di questo è semplice e deve farci riflettere: si tratta della fine del mondo come lo conosciamo. Nel nuovo mondo incentrato sull’energia in cui siamo tutti entrati ora, il prezzo del petrolio governerà le nostre vite e il potere sarà nelle mani di quelli che ne controlleranno la distribuzione globale.

In questo nuovo ordine mondiale, l’energia regolerà le nostre vite in modi nuovi e ogni giorno. Determinerà quando e per quali scopi useremo la macchina; a che temperatura imposteremo il nostro termostato; quando, dove, e persino se viaggeremo; sempre più, che cibi mangeremo (visto che il prezzo della produzione e della distribuzione di molte carni e verdure è profondamente influenzato dal costo del petrolio e dal fascino esercitato dalla coltivazione del mais destinato alla produzione di etanolo); per alcuni di noi, dove vivremo; per altri, a che attività professionali ci dedicheremo; per tutti noi, quando e in che circostanze andremo in guerra o eviteremo complicazioni estere che potrebbero portare a una guerra.

Questo ci porta ad una riflessione conclusiva: la più pressante decisione che il nuovo presidente e il Congresso si troveranno ad affrontare potrebbe essere quale sia il modo migliore per accelerare la transizione da un sistema energetico basato sui combustibili fossili a un sistema basato su alternative energetiche clima-compatibili.

Michael T. Klare è professore di Studi sulla pace e la sicurezza mondiale presso lo Hampshire College e autore di "Resource Wars" [‘Guerre per le risorse’] e "Blood and Oil" [‘Sangue e petrolio’]. Questo saggio è da considerare un’anteprima del suo ultimo libro, Rising Powers, Shrinking Planet: The New Geopolitics of Energy [‘Potenze che emergono, pianeta che si restringe: la nuova geopolitica dell’energia], recentemente pubblicato da Metropolitan Books. Un breve video in cui Klare discute dei principali argomenti trattati dal suo libro può essere visto cliccando qui.

Copyright 2008 Michael T. Klare
Fonte: http://tomdispatch.com/

06 maggio 2008

Crisi Alimentare: e, il Dio-Mercato che fa?


In autunno qualcuno aveva iniziato a lanciare l'allarme: le scorte di cerali erano scese ai minimi storici, il prezzo si era impennato. Saranno guai, scrisse ad esempio Lester Brown, puntando il dito contro gli agro-carburanti, accusati di concorrere all'aggrarsi della situazione di crisi alimentare.

cereali5.jpgNel cortile Italia la discussione non c'è (ne parla invece il numero di Carta in edicola dal 2 maggio dedicando al tema la copertina e un ampio servizio), i giornali si limitano a riportare dichiarazioni che non si possono ignorare, come Bob Zoellick, direttore di Banca mondiale, e gli appelli delle agenzie dell'Onu e la gente comune non capisce se si tratta di uno dei tanti allarmi che presto svaniscono con la stessa rapidità con cui sono apprsi o se la situazione alimentare del pianeta stia davvero attraversando un periodo di rapida trasformazione.

La prima grande novità è che i prezzi dei cereali (e non solo loro) sono in rapida ascesa. Sinora il problema era diametralmente opposto, per anni ci siamo lamentati che i prezzi dei prodotti agricoli di base erano cronicamente bassi e volatili, e impedivano ai coltivatori di ottenere un reddito decente.

Non dovrebbe dunque essere un segnale positivo questa crescita del prezzo del mais, del frumento e di tanti prodotti derivati?

Purtoppo no, ma procediamo con ordine.

Nel mondo sta accadendo qualcosa di nuovio rispetto al passato e ciò rende nuova la crisi attuale. Iinnanzitutto c'è una molteplicità di cause dietro gli aumenti dei prezzi.
La popolazione aumenta, ogni anno 70 milioni di abitanti chiedono cibo. La regione asiatica vede il Pil crescere in maniera costante da anni [più 9 per cento annuo dal 2004 al 2006 ad esempio] persino l'Africa nello stesso periodo è cresciuta del 6 per cento. Questo significa che alcune fette di popolazione in questi blocchi hanno aumentato il reddito e hanno aumentato le loro esigenze alimentari, mangiano di più e in maniera diversa, ovvero meno grano e riso, più verdure, frutta, carne, latte e derivati.
L'aumento del prezzo del petrolio influisce in agricoltura in almeno due modi: attraverso il prezzo dei carburanti utilizzati dai mezzi agricoli e nei trasporti dei prodotti e nei fertilizzanti di sintesi utilizzati.
Il boom dei biocarburanti ha creato una situazione di concorrenza fra produzione agricola per alimentazione e produzione per energia, una concorrenza sleale perché i biocarburanti sono prodotti sussidiati con soldi pubblici per ridurre le emissioni di gas serra.
Il clima sta cambiando e negli ultimi anni in alcuni paesi i raccolti sono stati scarsi [ad esempio in Australia e India].
Le scorte sono ai minimi termini e le scorte sono importanti per gestire il sistema della domanda e dell'offerta e far fronte ai periodi di vacche magre, come si diceva un tempo.
Si tratta di cambiamenti che non sono momentanei, anzi, alcuni di questi avranno effetti ancor più visibili solo nei prosismi anni. E lo confermano i disordini scoppiati in molti paesi, rendendo ancora più instabile il pianeta: Tailandia, Pakistan, Egitto, Etiopia, Haiti, Indonesia, Messico, Filippine, Senegal.

Che fare?

Non vi sono risposte rapide. Al di là dell'emergenza occorre però valutare come si è arrivati a questa situazione. Veniamo da trent'anni in cui il mantra, anche in agricoltura è stato quello che i governi statali dovevano smettere di intervenire, perché il solito dio-mercato avrebbe fatto molto meglio.
Era una balla e chi lo diceva lo sapeva perché mentre attraverso i piani di aggiustamento strutturale di Banca mondiale e Fondo monetario venivano chiuse le istituzioni statali che nei «paesi in via di viluppo» gestivano e regolavano [non senza problemi e inefficienze certo] i prezzi di alcuni prodotti agricoli e gestivano la loro commercializzazione, Usa e Ue mettevano in piedi un sistema di sussidi agricoli che ormai tutti conoscono. Liberisti fuori, protezionisti in casa.

Ma non c'è stato nulla da fare, gli accordi internazionali [Icas] in vigore nel dopoguerra sono stati via via smantellati, idem per i national Commodity Boards che decidevano prezzi e facevano da acquirenti unici per i contadini evitando loro di essere ricattati dall'oligarchia dei traders internazionali.

Si parla sempre del diritto di poter scegliere liberamente dove acquistare ma deve valere lo stesso per i contadini che vendono il loro raccolto. Come si fa se [dati del 2002] a controllare il commercio mondiale dei cereali erano due sole società: Cargill e Archer Daniels Midland?

Ma al di là di tutte queste considerazioni è sbagliato il concetto che si debba imporre a un paese il dovere di importare/esportare prodotti agricoli senza prima che questo sia in grado di sfamare i propri abitanti. L'ossessione del commercio deve abbandonare l'agricoltura e la crisi di oggi lo dice chiaramente perchè beffa i paesi poveri che importano prodotti alimentari che si trovano con costi imprevisti a cui non sanno far fronte. Il che significa fame!

E gli Ogm dirà qualcuno? Non possono essere loro la soluzione? Sarebbe lungo parlarne ma tre anni di studio finanziato da sessanta governi e sostenuto persino da multinazionali come Monsanto e Syngenta [che però visti i risultati si sono ritirate] dicono che non solo loro la soluzione, esiste il modo per produrre di più e meglio senza Ogm e senza distruggere il pianeta. Del resto gli Ogm attuali in commercio sono un manciata di prodotti che resistono a qualche antiparassitario, è questa la realtà attuale.
fonte: Greenplanet

08 maggio 2008

Nibiru e, il tempio di Dendera


l Tempio di Dendera, situato a 2,4 km a sud-est della località di Dendera, sulla riva occidentale del Nilo, è uno dei tempi meglio conservati di tutto l’antico Egitto.

La città di Dendera fu il capoluogo del 6° distretto dell’Alto Egitto e nei pressi del tempio è stata anche rinvenuta una necropoli, databile tra il 3150 a.C. - 2700 a.C. (periodo arcaico) e il 2200 a.C. - 2040 a.C. (primo periodo intermedio).

L’intera area templare copre una zona di circa 40.000 mq.; è interamente circondata da un muro di mattoni a secco e comprende:
Portale nord (epoca romana)
Mammisi di epoca romana
Chiesa cristiana
Mammisi attribuito a Nectanebo II
Sanitarium
Tempio dedicato alla dea Hathor (tempio principale)
Pozzo
Lago sacro
Tempio di Iside

Al complesso templare di Dendera sono legate due dispute tra archeologia ufficiale e archeologia alternativa: lo zodiaco e le lampade di Dendera.



Lo zodiaco.

Il famoso “Zodiaco di Dendera” si trova da anni al Museo Louvre di Parigi, e al suo posto, nel tempio di Dendera, non c’è l’originale, ma solo una copia ben fatta. È la più antica nonché importante rappresentazione delle costellazioni egizie dello zodiaco. Grazie a questo reperto si riscontra chiaramente l’influenza della cultura assiro-babilonese attraverso i greci nella seconda metà del primo millennio a.C.; infatti, in esso sono disposte in cerchio le 12 costellazioni zodiacali, che hanno molto probabilmente una nascita sulle rive del Tigri e dell’Eufrate, circondate dalle costellazioni egizie illustrate sotto. Questa risulta essere la mappa più completa di tutto il cielo antico.


Recenti studi hanno rilevato come la datazione di Joseph Fourier, che esaminò lo zodiaco nel 1800, fosse esatta per quanto riguarda la concezione del cielo: lo zodiaco di Dendera riproduce abbastanza fedelmente zodiaci mesopotamici risalenti appunto al 2500 a.C. circa.
Alcuni fautori delle teorie misteriche riguardo alla civiltà egizia affermano che analizzando attraverso sistemi computerizzati i dati ricavabili dallo zodiaco di Dendera questo dovrebbe risalire almeno al 4500 a.C., ossia prima della nascita della civiltà egizia.

L’analisi di una rappresentazione egizia ci lascia assai spesso perplessi e sorpresi, constatata l’apparente mancanza di “metodo” e l’evidente difficoltà di comprensione degli elementi figurativi. Nel caso di rappresentazioni astronomiche, e dunque con l’introduzione di elementi tecnico-scientifici, l’incertezza aumenta ancor più.

Il cielo era stato suddiviso dagli antichi astrologi egizi e babilonesi in 360 gradi, grosso modo corrispondenti ai giorni di un anno; i gradi erano riuniti in trentasei decadi (o «decani») e le decadi in dodici segni zodiacali (costellazioni dello zodiaco). Ad ogni grado, decade e segno corrispondeva un «genio» (divinità o intelligenza cosmica) che determinava il carattere e il destino delle persone nate nel giorno, decade o mese corrispondente.

In questa intrigante scenografia allegorica ci sono animali e uomini che si spostano come pedine, all’interno di una scacchiera zodiacale dove sono dipinti tutti i corpi celesti: le costellazioni, il Sole, i pianeti conosciuti, e il decimo pianeta (che evidentemente l’autore conosceva). Del pianeta X o decimo pianeta si parla anche oggi, ma solo come una fantasia, un’invenzione letteraria, un mito... e questo benché molti astronomi abbiano trascorso tutta la vita a scoprire sue tracce in cielo, convinti della sua esistenza.

È ragionevole pensare che lo zodiaco raffiguri quella parte emisferica del cielo, che era visibile all’autore o all’ideatore dello schema; in altre parole, l’emisfero celeste che contiene le costellazioni circumpolari del Nord. A quanto pare, invece, lo zodiaco rappresenta le costellazioni circumpolari dell’emisfero celeste del Sud (quelle visibili dall’emisfero Sud della Terra, ossia dall’Australia, dal Brasile, ecc.)...


E dato che l’Egitto si trova nell’emisfero Nord della Terra, non è possibile che lo zodiaco di Dendera rappresenti le costellazioni circumpolari... del Sud. A meno che, e solo in quel caso, la Terra non si sia capovolta e di conseguenza il Polo Nord sia diventato Polo Sud e viceversa. Le direzioni e le posizioni delle stelle e delle costellazioni corrispondono guardando l’immagine come se fossimo davanti allo specchio, e proprio questo potrebbe dimostrare - se un’ipotesi del genere non venisse scartata a priori senza nemmeno essere presa in considerazione - che in tempi antichissimi ci sia stato un capovolgimento dell’asse terrestre.


Nell’immagine qui sopra è documentata la posizione del pianeta X - che da questo momento in poi chiameremo Nibiru - rispetto agli altri astri, così come erano visibili nel cielo all’epoca. Supponiamo che Nibiru fosse stato avvistato - ad esempio - a 25° sopra la Costellazione del Capricorno, questa posizione sarà documentata nello zodiaco di Dendera a 25° sopra il segno del capricorno in direzione verso il centro della “mappa” zodiacale. Dobbiamo ragionevolmente pensare a questi avvistamenti nelle notti primaverili e negli equinozi autunnali, ammesso che non esistessero strumenti tecnici “moderni” per scrutare il cielo come i cannocchiali (il fatto che non ne siano state trovate tracce di alcun genere in Egitto non dimostra affatto che non siano mai esistiti). Cominciando dall’esterno, il primo segno zodiacale incontrato durante la sua orbita da Nibiru, è il Leone. Ha le zampe posate su segni d’acqua: l’acqua è rappresentata dalle comete e dagli asteroidi di Keplero che formano quella nebulosa alcuni miliardi di chilometri dietro l’orbita di Plutone... scoperta soltanto alcune decine di anni fa. Ogni figura umana, segno, animale può avere più di un significato, nell’intenzione dell’ignoto autore.

Per capire di volta in volta il vero significato bisogna innanzitutto osservare la direzione del percorso, indicato con gesti delle mani, o dal movimento dei piedi, dalla parte cui volge lo sguardo il viso o da specifici dettagli presenti in altre parti di corpo. Nella parte centrale del grande zodiaco intero di Dendera non ci sono i percorsi noti dei pianeti del nostro Sistema Solare e della ruota zodiacale, cioè tutti quei modelli geometrici di forma circolare. Ci sono esclusivamente i percorsi dei corpi celesti che attraversano la parte centrale di questo grande zodiaco, nella quale si trovano le costellazioni circumpolari.

Partendo dal Leone il percorso passa per la donna, quindi per il Sagittario verso i Pesci e poi con movimento spiralico continua verso la parte centrale della raffigurazione - simbolicamente viene descritto il movimento dall’esterno verso il centro del nostro Sistema Solare - in direzione del Sagittario, che sta indicando con la freccia il percorso di Nibiru (che dipende dalle posizioni orbitali di Nettuno e Urano). Se Nettuno, Urano e Saturno sono lontani dal punto d’incrocio tra Nibiru e le loro orbite, significa che Nibiru è in rotta verso l’orbita di Giove (il cerchio con l’occhio rivolto all’atmosfera di Giove). Vicino a Giove c’è il segno d’acqua, che indica l’acqua delle comete, degli asteroidi e dei piccoli pianeti della fascia di asteroidi fra Giove e Marte (anche questa fascia, tra l’altro, è stata scoperta poco tempo fa). Verso Giove ci sono più opzioni a raffigurare le traiettorie di Nibiru.

Se Giove è lontano dall’orbita di Nibiru, allora Nibiru ha due possibili traiettorie orbitali entrambe verso l’incrocio della fascia degli asteroidi. La prima è la direzione indicata dal lungo bastone in mano dall’uomo: Nibiru, provenendo dall’orbita di Saturno, sta passando dal segno dell’Acquario e si avvicina a Giove nel segno del Sagittario, per trovarsi nella posizione dove si trova il Regulum, che è il simbolo di Venere. L’uomo continua a camminare verso Mercurio in Vergine e si espone al Sole nel segno del Leone. Quando questa figura umana è nel segno del Sagittario/Sagittario-Giove, intende dare due scelte a Nibiru. Se Giove è in orbita dietro a Nibiru, l’orbita di questo - dopo l’influenza gravitazionale di Giove - è più lenta e in direzione del Sole.

Dopo avere fatto arco intorno al Sole, Nibiru sta facendo ora un altro arco al lato opposto, dal momento che il Sole incrocia la sua orbita. Evidentemente questo accade perché la massa interna di Nibiru non è poi tanto piccola - paragonata a quella del Sole e il Sole si trova in avvicinamento a Nibiru. La forma della traiettoria di Nibiru assomiglia a una linea ondulata (percorso 3 sull’immagine Nibiru1), e assomiglia al simbolo Ynn-Yang. Se Giove - mentre arriva Nibiru - si sta avvicinando al centro del Sistema Solare precedendo Nibiru, questo evidentemente si trova a poca distanza da Giove. In tale circostanza il percorso di Nibiru deve assomigliare al percorso 2 sull’immagine Nibiru1.

Sono stati appena descritti i casi estremi, quando Nibiru - durante il suo approssimarsi alla Terra - è passato altrettanto da vicino a un pianeta più pesante. La maggior parte delle volte in cui Nibiru si avvicina alla Terra, non incontra pianeti più pesanti, né incrocia le loro orbite intorno al Sole; il percorso orbitale di Nibiru si deforma solo quando subisce l’influenza dei pianeti e del Sole e allora assomiglia a un’ellisse deformata (sguardo perpendicolare sulla metà - la croce – dell’asse principale del percorso di Nibiru). Nibiru va dal Leone alla luna del Cancro, dove la distanza fra Nibiru e la terra è minima. L’uomo qui cambia improvvisamente direzione. Il segno del Cancro, se paragonato alla posizione standard delle altre costellazioni - è spostato di oltre 30° verso l’area centrale dello zodiaco (il diametro dello zodiaco è di 180°).

Proprio questo è il punto focale, ovvero il momento in cui l’asse terrestre era girata o inclinata diversamente da ora. Potrebbe essere avvenuto questo capovolgimento a causa della forza di gravità di Nibiru. La prima inclinazione dell’asse terrestre avvenne nel segno della Bilancia, quando il percorso orbitale di Nibiru era molto vicino alla Terra. Lo spostamento fu di oltre 30°. Questi spostamenti segnano che la posizione di Nibiru nel cielo era maggiore di 30° sopra (o sotto) il piano ellittico. Nella parte seguente saranno descritti gli altri percorsi possibili di Nibiru nel nostro Sistema Solare e anche altre scoperte collegate al lo zodiaco di Dendera e ai miti di Osiride, Horus, Seth e altre divinità egizie.

Si è giunti a queste conclusioni a proposito di Nibiru dopo seri calcoli astro-fisici e matematici e dopo lo studio delle orbite dei pianeti e delle stelle binarie e triple. Ogni stella binaria è formata da due stelle le cui due orbite ruotano intorno allo stesso punto che è denominato “centro di massa del sistema”. Le leggi di Keplero insegnano che ogni stella orbita intorno al centro di massa. In questo esempio, le due stelle viaggiano su orbite ellittiche, che possono essere diverse di volta in volta.



Dopo aver capito anche solo in minima parte lo zodiaco di Dendera, si fa strada un po’ alla volta, sempre più chiaramente, che si tratta del messaggio di un’antica civiltà o di quanto ne rimaneva. I nostri predecessori hanno desiderato farci sapere che cosa aveva distrutto il loro mondo e che cosa potrebbe capitarci in futuro.

Fonte: misteria.org

07 maggio 2008

Nascita del nuovo ordine energetico mondiale


Petrolio, 110 dollari al barile. Benzina, 3,35 dollari (o più) al gallone [0,88 $/litro]. Diesel, 4 dollari al gallone [1,06 $/litro]. Padroncini forzati via dalla strada. Gasolio per il riscaldamento domestico a prezzi esorbitanti. Carburante per aerei così costoso che nelle scorse settimane tre compagnie low-cost hanno smesso di volare. Si tratta solo di un assaggio delle più recenti notizie sull’energia, a segnalare un profondo cambiamento nel modo in cui vivremo tutti noi, in questo Paese e nel resto del mondo; tendenze che, come chiunque al momento può prevedere, diventeranno via via più pronunciate con la diminuzione delle riserve energetiche e l’intensificazione della lotta globale per la loro spartizione.

Energie di ogni sorta sono state un tempo estremamente abbondanti e hanno reso possibile l’espansione economica mondiale degli ultimi sei decenni. Da questa espansione hanno tratto beneficio, su tutti, gli Stati Uniti assieme ai loro alleati del "Primo mondo" in Europa e nella regione del Pacifico. Di recente, tuttavia, un gruppo selezionato di ex paesi del "Terzo mondo" – Cina e India in particolare – hanno tentato di prendere parte a questa fonte di prosperità industrializzando le proprie economie e vendendo un’ampia gamma di merci sui mercati internazionali. Questo, di conseguenza, ha portato ad uno scatto senza precedenti nel consumo di energia globale: un aumento del 47% nei soli ultimi 20 anni, secondo il Dipartimento dell’Energia degli U.S.A.

Un tale aumento non sarebbe motivo di grave ansia se i principali fornitori di energia del mondo fossero in grado di produrre l’ulteriore quantità richiesta di combustibile. Invece siamo di fronte ad una realtà spaventosa: il marcato rallentamento nell’espansione dell’offerta energetica globale proprio mentre la domanda sale a precipizio. L’offerta non sta esattamente scomparendo – sebbene questo, prima o poi, dovrà accadere – ma la sua velocità di crescita non è sufficiente a soddisfare l’aumento vertiginoso della domanda globale.

La combinazione tra aumento della domanda, emersione di nuovi potenti consumatori energetici e contrazione dell’offerta energetica globale sta demolendo quel mondo ricco di energia che ci è familiare e sta creando al suo posto un nuovo ordine mondiale. Lo si pensi in termini di potenze che emergono/pianeta che si restringe.

Il nuovo ordine mondiale sarà caratterizzato da una feroce concorrenza internazionale per le calanti riserve di petrolio, gas naturale, carbone e uranio, nonché da un instabile spostamento del potere e del benessere da Stati in deficit di energia, come Cina, Giappone e Stati Uniti, verso Stati che dispongono di un surplus, come Russia, Arabia Saudita e Venezuela. In tale processo, sarà in un modo o nell’altro influenzata la vita di tutti, e i consumatori poveri e di classe media nei Paesi deficitarii saranno quelli che ne sperimenteranno gli effetti più aspri. Vale a dire, la maggior parte di noi e dei nostri figli, nel caso non l’aveste ancora capito bene.

Ecco, in poche parole, le cinque forze chiave di questo nuovo ordine mondiale che cambierà il nostro pianeta:

1. Intensa concorrenza tra vecchie e nuove potenze economiche per le provviste energetiche disponibili. Fino a tempi molto recenti, le potenze industriali mature di Europa, Asia e Nord America facevano la parte del leone nel consumo di energia lasciando gli scarti al mondo in via di sviluppo. Nel 1990, i membri dell’Organizzazione per la cooperazione economica e lo sviluppo (OECD) – il club delle nazioni più ricche del mondo – consumavano circa il 57% dell’energia mondiale; il blocco Unione Sovietica/Patto di Varsavia ne consumava il 14%; mentre solo il 29% era lasciato al mondo in via di sviluppo. Ma la proporzione sta cambiando: per via della forte crescita economica, i paesi in via di sviluppo consumano una percentuale di energia mondiale sempre maggiore. Si prevede che la quota di energia utilizzata dal mondo in via di sviluppo raggiungerà il 40% entro il 2010 e, se le tendenze attuali perdurano, il 47% entro il 2030.

In tutto questo, il ruolo della Cina è cruciale. Secondo le proiezioni, i Cinesi da soli consumeranno il 17% dell’energia mondiale entro il 2015 e il 20% entro il 2025. Per allora, se i trend continuano, avranno sorpassato gli Stati Uniti come primo consumatore di energia del mondo. L’India, che nel 2004 rappresentava il 3,4% dell’uso energetico mondiale, secondo le proiezioni, raggiungerà il 4,4% entro il 2025, mentre ci si aspetta che il consumo cresca anche in altre nazioni in rapida industrializzazione, come Brasile, Indonesia, Malesia, Tailandia e Turchia.

Queste dinamo economiche emergenti dovranno competere con le potenze economiche mature per l’accesso alle risorse rimanenti e non ancora sfruttate di energia esportabile, di cui in molti casi hanno fatto incetta molto tempo fa le compagnie energetiche private delle potenze mature, come Exxon Mobil, Chevron, BP, la francese Total, e Royal Dutch Shell. Di necessità, i nuovi concorrenti hanno sviluppato una potente strategia per competere con le “grandi” occidentali: hanno creato proprie società pubbliche e costruito alleanze strategiche con le compagnie petrolifere nazionali che ora controllano le riserve di petrolio e gas in molte delle principali nazioni produttrici di energia.

La compagnia cinese Sinopec, ad esempio, ha instaurato un’alleanza strategica con Saudi Aramco, il gigante nazionalizzato che un tempo era di proprietà di Chevron e Exxon Mobil, per le ricerche di gas naturale in Arabia Saudita e per la commercializzazione del greggio saudita in Cina. Similmente, la CNPC (China National Petroleum Corporation) collaborerà con Gazprom – l’enorme monopolista russa del gas naturale a controllo statale – per la costruzione di gasdotti che portino il gas russo alla Cina. Molte di queste società pubbliche, comprese la CNPC e la Natural Gas Corporation dell’India, stanno ora iniziando a collaborare con Petróleos de Venezuela S.A. per la raffinazione del greggio pesante della fascia dell’Orinoco, un tempo controllata da Chevron. In questo nuovo stadio della concorrenza energetica, i vantaggi a lungo goduti dalle grandi società energetiche occidentali sono stati erosi da vigorosi parvenu, beneficiari di assistenza statale, nel mondo in via di sviluppo.

2. Insufficienza dell’offerta energetica primaria. Si sta riducendo la capacità dell’industria energetica globale di soddisfare la domanda. Secondo tutti i resoconti, l’offerta globale di petrolio aumenterà per forse un altro lustro prima di raggiungere il picco e cominciare a diminuire, mentre quelle di gas naturale, carbone e uranio probabilmente cresceranno per un altro decennio o due prima di raggiungere il picco e iniziare il loro inevitabile declino. Nel frattempo, l’offerta globale dei combustibili esistenti si dimostrerà incapace di corrispondere agli elevati livelli della domanda.

Si prenda il petrolio. Secondo il Dipartimento dell’energia degli U.S.A. alla domanda mondiale di petrolio, che secondo le stime raggiungerà i 117,6 milioni di barili al giorno nel 2030, corrisponderà contemporaneamente un’offerta che – miracolo dei miracoli – toccherà esattamente i 117,7 milioni di barili (compresi gli idrocarburi liquidi derivati da sostanze collegate come il gas naturale e le sabbie catramose canadesi). La maggior parte degli addetti ai lavori nel campo dell’energia, comunque, considera questa stima molto irrealistica. “Cento milioni di barili rappresentano ora, dal mio punto di vista, uno scenario ottimistico" ha detto, come è tipico, il CEO di Total Christophe de Mangerie a una conferenza sul petrolio tenutasi a Londra nell’ottobre 2007. "Non si tratta della mia opinione. è l’opinione dell’industria, o l’opinione di quelli che amano parlare in modo chiaro e onesto, e non [stanno] semplicemente tentando di compiacere qualcuno”.

Allo stesso modo, gli autori del Medium-Term Oil Market Report, pubblicato nel luglio 2007 dall’Agenzia Internazionale dell’Energia, affiliata della OECD, sono giunti alla conclusione che la produzione mondiale di petrolio potrebbe toccare i 96 milioni di barili al giorno entro il 2012, ma è improbabile che si vada molto oltre con la scarsità di nuove scoperte che rendono una futura crescita impossibile.

I titoli delle pagine economiche mettono quotidianamente in rilievo un vortice di tendenze conflittuali: la domanda mondiale continua a crescere mentre centinaia di milioni di consumatori cinesi e indiani arricchitisi di recente si mettono in coda per acquistare la loro prima automobile (in alcuni casi per soli 2.500 dollari); i principali vecchi giacimenti petroliferi “elefante”, come Ghawar in Arabia Saudita e Canterell in Messico, sono già in declino o lo saranno presto; la velocità con cui vengono scoperti nuovi giacimenti precipita anno dopo anno. Quindi ci si aspetti una carenza energetica globale e che i prezzi alti siano una costante fonte di patimenti.

3. Penosa lentezza nello sviluppo di alternative energetiche. Ai governanti è chiara da molto tempo la disperata necessità di nuove risorse energetiche per compensare la futura scomparsa dei combustibili esistenti e per rallentare l’accumulo nell’atmosfera dei “gas serra” responsabili del cambiamento climatico. Infatti, in alcune parti del mondo energia eolica ed energia solare hanno preso piede in modo significativo. Alcune altre soluzioni energetiche innovative sono già state sviluppate e addirittura collaudate nei laboratori di università e aziende. Semplicemente, queste alternative, che ora contribuiscono all’offerta netta mondiale di combustibile solo per una piccolissima percentuale, non vengono sviluppate ad una velocità sufficiente a prevenire la multiforme catastrofe energetica globale che ci troviamo davanti.

Secondo il Dipartimento dell’Energia statunitense, nel 2004 i combustibili rinnovabili, comprendenti l’energia eolica, solare e idroelettrica (assieme ai combustibili "tradizionali" come legna ed escrementi), hanno fornito appena il 7,4% dell’energia globale; i biocombustibili hanno aggiunto un altro 0,3%. Al contempo, i combustibili fossili – petrolio, carbone e gas naturale – hanno fornito l’86% dell’energia mondiale, e l’energia nucleare un ulteriore 6%. Sulla base della velocità attuale di sviluppo e investimento, il Dipartimento ci offre la seguente deprimente proiezione: nel 2030 i combustibili fossili rappresenteranno ancora esattamente la stessa quota di energia mondiale che nel 2004. L’aumento previsto per le energie rinnovabili e i biocombustibili è talmente esiguo – un mero 8,1% – da essere praticamente irrilevante.

In termini di riscaldamento globale, le implicazioni sono niente meno che catastrofiche: secondo le proiezioni, il crescente affidamento sul carbone (specialmente da parte di Cina, India, e U.S.A.) comporterà un aumento del 59% delle emissioni globali di CO2 nei prossimi venticinque anni, da 26,9 a 42,9 miliardi di tonnellate. Il significato di questo dato è semplice. Se queste statistiche sono corrette, non c’è speranza di riuscire ad evitare i peggiori effetti del cambiamento climatico.

Rispetto all’offerta energetica globale, le implicazioni sono quasi altrettanto infauste. Per soddisfare la forte crescita della domanda energetica, avremmo bisogno di un enorme afflusso di combustibili alternativi che comporterebbero un investimento altrettanto enorme – nell’ordine dei trilioni di dollari – per assicurare che le nuove possibilità passino rapidamente dal laboratorio alla piena produzione; ma questo, è triste dirlo, non è verosimile. Invece, le compagnie energetiche maggiori (sostenute da generosi sussidi e agevolazioni fiscali del governo statunitense) stanno usando gli inaspettati profitti derivanti dall’aumento dei prezzi dell’energia in progetti estremamente costosi (e contestabili dal punto di vista ambientale) per l’estrazione di petrolio e gas in Alaska e nella zona Artica, o per la perforazione nelle profonde e difficili acque del Golfo del Messico e dell’Oceano Atlantico. Il risultato? Qualche barile di petrolio o metro cubo di gas naturale in più, a prezzi esorbitanti (con tanto di danno ecologico), mentre le alternative diverse dagli idrocarburi avanzano patetiche zoppicando.

4. Stabile migrazione di potere e ricchezza dalle nazioni in deficit energetico a quelle con un surplus. Vi sono alcuni Paesi – forse una dozzina in tutto – che dispongono di petrolio, gas, carbone e uranio (o una qualche combinazione di essi) sufficienti a soddisfare le proprie esigenze energetiche e fornire rilevanti surplus per l’esportazione. Non sorprende che tali Paesi saranno in grado di strappare condizioni sempre più favorevoli al gruppo molto più ampio costituito dai Paesi deficitarii che ne dipendono per le provviste vitali di energia. Tali condizioni, in primo luogo di carattere finanziario, si risolveranno in crescenti montagne di petrodollari accumulati dai più importanti produttori di petrolio, ma comprenderanno anche concessioni politiche e militari.

Per petrolio e gas naturale, i principali Paesi in surplus energetico possono essere contati sulle dita delle mani. Dieci Stati ricchi di petrolio possiedono l’82,2% delle riserve mondiali comprovate. In ordine di importanza, essi sono Arabia Saudita, Iran, Iraq, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Venezuela, Russia, Libia, Kazakistan e Nigeria. I possedimenti di gas naturale sono persino più concentrati. Tre Paesi – Russia, Iran e Qatar – ospitano uno sbalorditivo 55,8% delle provviste mondiali. Tutti questi Paesi si trovano nella invidiabile posizione di poter approfittare del sensazionale aumento dei prezzi energetici globali e strappare ai loro potenziali clienti qualsiasi concessione politica ritengano importante.

Il trasferimento della ricchezza in sé è già strabiliante. I Paesi che esportano petrolio hanno raccolto, secondo le stime, 970 miliardi di dollari tra i Paesi importatori nel 2006, e ci si aspetta che gli introiti per il 2007, una volta calcolati, risultino di gran lunga maggiori. Una percentuale rilevante di questi dollari, yen e euro sono stati depositati in "fondi sovrani di investimento" [sovereign-wealth funds](SWF), conti giganteschi di proprietà degli Stati produttori di petrolio e schierati per l’acquisizione di importanti asset in giro per il mondo. Negli ultimi mesi, gli SWF del Golfo Persico hanno approfittato della crisi finanziaria negli U.S.A. per acquistare ampi pacchetti azionari nei settori strategici dell’economia statunitense. Nel novembre 2007, ad esempio, la Abu Dhabi Investment Authority (ADIA) ha acquisito un pacchetto da 7,5 miliardi di dollari in Citigroup, la più grande società di partecipazione finanziaria d’America; in gennaio, Citigroup ha venduto un pacchetto ancora più consistente, del valore di 12,5 miliardi di dollari, alla Kuwait Investment Authority (KIA) e a parecchi altri investitori mediorientali, tra cui il Principe al-Walid bin Talal dell’Arabia Saudita. I dirigenti di ADIA e KIA insistono sul fatto che non è loro intenzione usare le loro nuove partecipazioni in Citigroup e in altre banche e aziende statunitensi per influenzare la politica economica o estera degli U.S.A., ma è difficile immaginare che uno spostamento finanziario di tale entità, che nei prossimi decenni può solo acquistare ulteriore slancio, non si traduca in una qualche forma di ascendente politico.

Questo si è già verificato nel caso della Russia, che è risorta dalle ceneri dell’Unione Sovietica come prima superpotenza energetica del mondo. La Russia è ora il primo fornitore al mondo di gas naturale, il secondo maggiore fornitore di petrolio, e uno dei maggiori produttori di carbone e uranio. Molti di questi asset erano stati privatizzati per un breve periodo durante il regno di Boris Eltsin, ma il presidente Vladimir Putin li ha riportati per la maggior parte sotto il controllo statale, in taluni casi con mezzi legali straordinariamente opinabili. Egli ha poi utilizzato tali asset nelle sue campagne di corruzione o costrizione dirette alle ex Repubbliche sovietiche al confine con la Russia e da essa dipendenti per gran parte del petrolio e del gas di cui necessitano. I Paesi dell’Unione Europea hanno talvolta espresso la propria costernazione di fronte alla tattica di Putin, ma anch’essi dipendono dalle forniture energetiche russe e quindi hanno imparato a zittire le proprie proteste per far spazio al crescente potere russo in Eurasia. Si consideri la Russia un modello del nuovo ordine energetico mondiale.

5. Crescente rischio di conflitti. Nel corso di tutta la storia, i grandi spostamenti di potere si sono normalmente accompagnati alla violenza e, in alcuni casi, a lunghi periodi di sconvolgimenti violenti. Gli Stati all’apice del potere hanno lottato per prevenire la perdita dei propri privilegi, oppure gli sfidanti hanno combattuto per rovesciare chi stava in cima. Cosa accadrà ora? Accadrà forse che gli Stati in deficit energetico lancino campagne per estorcere con la forza le riserve di petrolio e gas degli Stati in surplus – la guerra dell’amministrazione Bush in Iraq potrebbe già essere considerata come un tentativo di questo tipo – o per eliminare i concorrenti tra i loro rivali deficitarii?

Gli alti costi e rischi della guerra moderna sono noti e vi è la diffusa percezione che i problemi energetici possano essere meglio risolti attraverso mezzi economici, non mezzi militari. Tuttavia, le potenze maggiori stanno utilizzando mezzi militari nel loro sforzo di guadagnare un vantaggio nella lotta globale per l’energia, e nessuno dovrebbe lasciarsi ingannare in merito. Queste iniziative potrebbero facilmente condurre a escalation e conflitti non intenzionali.

Un evidente utilizzo di mezzi militari nella ricerca dell’energia è ovviamente la regolare cessione di armi e servizi di supporto militare operata da Stati importatori di energia verso i propri principali fornitori. Sia gli Stati Uniti sia la Cina, ad esempio, hanno incrementato le loro forniture di armi ed equipaggiamenti a Stati produttori di petrolio, come Angola, Nigeria e Sudan in Africa, e, nel bacino del Mar Caspio, Azerbaijan, Kazakistan e Kirghizistan. Gli Stati Uniti hanno posto speciale enfasi sulla repressione dell’insurrezione armata nella fondamentale regione del delta del Niger in Nigeria, dove viene prodotta la maggior parte del petrolio del Paese; Pechino ha incrementato gli aiuti in armamenti al Sudan, dove le operazioni petrolifere condotte dai Cinesi sono minacciate da rivolte sia nel meridione sia nel Darfur.

Anche la Russia sta utilizzando lo strumento della cessione di armamenti nei propri sforzi per guadagnare influenza nelle principali regioni produttrici di petrolio e gas nel bacino del Mar Caspio e nel Golfo Persico. La motivazione di questo Paese non sta nell’approvvigionamento di energia per proprio uso, ma nel dominio sul flusso di energia verso altri. In particolare, Mosca cerca di ottenere il monopolio del trasporto del gas centro-asiatico verso l’Europa attraverso la vasta rete di gasdotti Gazprom; essa vuole inoltre attingere ai mastodontici giacimenti di gas dell’Iran, rafforzando ulteriormente il controllo della Russia sul commercio di gas naturale.

Naturalmente, il pericolo è che tali iniziative moltiplicandosi nel tempo provochino corse all’armamento locali, esacerbino le tensioni regionali, ed aumentino il rischio del coinvolgimento di grandi potenze in eventuali conflitti locali. La storia ci fornisce persino troppi esempi di errori di calcolo di questo tipo che conducono a guerre che diventano presto incontrollabili. Si pensi agli anni che hanno portato alla Prima Guerra Mondiale. Infatti, la somiglianza tra l’Asia centrale e il Caspio di oggi, con i loro complessi disordini etnici e le rivalità tra grandi potenze, e i Balcani degli anni precedenti il 1914 è ben più che fugace.

La somma di questo è semplice e deve farci riflettere: si tratta della fine del mondo come lo conosciamo. Nel nuovo mondo incentrato sull’energia in cui siamo tutti entrati ora, il prezzo del petrolio governerà le nostre vite e il potere sarà nelle mani di quelli che ne controlleranno la distribuzione globale.

In questo nuovo ordine mondiale, l’energia regolerà le nostre vite in modi nuovi e ogni giorno. Determinerà quando e per quali scopi useremo la macchina; a che temperatura imposteremo il nostro termostato; quando, dove, e persino se viaggeremo; sempre più, che cibi mangeremo (visto che il prezzo della produzione e della distribuzione di molte carni e verdure è profondamente influenzato dal costo del petrolio e dal fascino esercitato dalla coltivazione del mais destinato alla produzione di etanolo); per alcuni di noi, dove vivremo; per altri, a che attività professionali ci dedicheremo; per tutti noi, quando e in che circostanze andremo in guerra o eviteremo complicazioni estere che potrebbero portare a una guerra.

Questo ci porta ad una riflessione conclusiva: la più pressante decisione che il nuovo presidente e il Congresso si troveranno ad affrontare potrebbe essere quale sia il modo migliore per accelerare la transizione da un sistema energetico basato sui combustibili fossili a un sistema basato su alternative energetiche clima-compatibili.

Michael T. Klare è professore di Studi sulla pace e la sicurezza mondiale presso lo Hampshire College e autore di "Resource Wars" [‘Guerre per le risorse’] e "Blood and Oil" [‘Sangue e petrolio’]. Questo saggio è da considerare un’anteprima del suo ultimo libro, Rising Powers, Shrinking Planet: The New Geopolitics of Energy [‘Potenze che emergono, pianeta che si restringe: la nuova geopolitica dell’energia], recentemente pubblicato da Metropolitan Books. Un breve video in cui Klare discute dei principali argomenti trattati dal suo libro può essere visto cliccando qui.

Copyright 2008 Michael T. Klare
Fonte: http://tomdispatch.com/

06 maggio 2008

Crisi Alimentare: e, il Dio-Mercato che fa?


In autunno qualcuno aveva iniziato a lanciare l'allarme: le scorte di cerali erano scese ai minimi storici, il prezzo si era impennato. Saranno guai, scrisse ad esempio Lester Brown, puntando il dito contro gli agro-carburanti, accusati di concorrere all'aggrarsi della situazione di crisi alimentare.

cereali5.jpgNel cortile Italia la discussione non c'è (ne parla invece il numero di Carta in edicola dal 2 maggio dedicando al tema la copertina e un ampio servizio), i giornali si limitano a riportare dichiarazioni che non si possono ignorare, come Bob Zoellick, direttore di Banca mondiale, e gli appelli delle agenzie dell'Onu e la gente comune non capisce se si tratta di uno dei tanti allarmi che presto svaniscono con la stessa rapidità con cui sono apprsi o se la situazione alimentare del pianeta stia davvero attraversando un periodo di rapida trasformazione.

La prima grande novità è che i prezzi dei cereali (e non solo loro) sono in rapida ascesa. Sinora il problema era diametralmente opposto, per anni ci siamo lamentati che i prezzi dei prodotti agricoli di base erano cronicamente bassi e volatili, e impedivano ai coltivatori di ottenere un reddito decente.

Non dovrebbe dunque essere un segnale positivo questa crescita del prezzo del mais, del frumento e di tanti prodotti derivati?

Purtoppo no, ma procediamo con ordine.

Nel mondo sta accadendo qualcosa di nuovio rispetto al passato e ciò rende nuova la crisi attuale. Iinnanzitutto c'è una molteplicità di cause dietro gli aumenti dei prezzi.
La popolazione aumenta, ogni anno 70 milioni di abitanti chiedono cibo. La regione asiatica vede il Pil crescere in maniera costante da anni [più 9 per cento annuo dal 2004 al 2006 ad esempio] persino l'Africa nello stesso periodo è cresciuta del 6 per cento. Questo significa che alcune fette di popolazione in questi blocchi hanno aumentato il reddito e hanno aumentato le loro esigenze alimentari, mangiano di più e in maniera diversa, ovvero meno grano e riso, più verdure, frutta, carne, latte e derivati.
L'aumento del prezzo del petrolio influisce in agricoltura in almeno due modi: attraverso il prezzo dei carburanti utilizzati dai mezzi agricoli e nei trasporti dei prodotti e nei fertilizzanti di sintesi utilizzati.
Il boom dei biocarburanti ha creato una situazione di concorrenza fra produzione agricola per alimentazione e produzione per energia, una concorrenza sleale perché i biocarburanti sono prodotti sussidiati con soldi pubblici per ridurre le emissioni di gas serra.
Il clima sta cambiando e negli ultimi anni in alcuni paesi i raccolti sono stati scarsi [ad esempio in Australia e India].
Le scorte sono ai minimi termini e le scorte sono importanti per gestire il sistema della domanda e dell'offerta e far fronte ai periodi di vacche magre, come si diceva un tempo.
Si tratta di cambiamenti che non sono momentanei, anzi, alcuni di questi avranno effetti ancor più visibili solo nei prosismi anni. E lo confermano i disordini scoppiati in molti paesi, rendendo ancora più instabile il pianeta: Tailandia, Pakistan, Egitto, Etiopia, Haiti, Indonesia, Messico, Filippine, Senegal.

Che fare?

Non vi sono risposte rapide. Al di là dell'emergenza occorre però valutare come si è arrivati a questa situazione. Veniamo da trent'anni in cui il mantra, anche in agricoltura è stato quello che i governi statali dovevano smettere di intervenire, perché il solito dio-mercato avrebbe fatto molto meglio.
Era una balla e chi lo diceva lo sapeva perché mentre attraverso i piani di aggiustamento strutturale di Banca mondiale e Fondo monetario venivano chiuse le istituzioni statali che nei «paesi in via di viluppo» gestivano e regolavano [non senza problemi e inefficienze certo] i prezzi di alcuni prodotti agricoli e gestivano la loro commercializzazione, Usa e Ue mettevano in piedi un sistema di sussidi agricoli che ormai tutti conoscono. Liberisti fuori, protezionisti in casa.

Ma non c'è stato nulla da fare, gli accordi internazionali [Icas] in vigore nel dopoguerra sono stati via via smantellati, idem per i national Commodity Boards che decidevano prezzi e facevano da acquirenti unici per i contadini evitando loro di essere ricattati dall'oligarchia dei traders internazionali.

Si parla sempre del diritto di poter scegliere liberamente dove acquistare ma deve valere lo stesso per i contadini che vendono il loro raccolto. Come si fa se [dati del 2002] a controllare il commercio mondiale dei cereali erano due sole società: Cargill e Archer Daniels Midland?

Ma al di là di tutte queste considerazioni è sbagliato il concetto che si debba imporre a un paese il dovere di importare/esportare prodotti agricoli senza prima che questo sia in grado di sfamare i propri abitanti. L'ossessione del commercio deve abbandonare l'agricoltura e la crisi di oggi lo dice chiaramente perchè beffa i paesi poveri che importano prodotti alimentari che si trovano con costi imprevisti a cui non sanno far fronte. Il che significa fame!

E gli Ogm dirà qualcuno? Non possono essere loro la soluzione? Sarebbe lungo parlarne ma tre anni di studio finanziato da sessanta governi e sostenuto persino da multinazionali come Monsanto e Syngenta [che però visti i risultati si sono ritirate] dicono che non solo loro la soluzione, esiste il modo per produrre di più e meglio senza Ogm e senza distruggere il pianeta. Del resto gli Ogm attuali in commercio sono un manciata di prodotti che resistono a qualche antiparassitario, è questa la realtà attuale.
fonte: Greenplanet