01 luglio 2008

Ladri di notizie



Era il 2003 quando Amnesty International fu accusata di fare “terrorismo” pronosticando cinquantamila morti in seguito all'invasione dell'Iraq. A quel tempo i fautori della guerra sostenevano che si sarebbe trattato di un'operazione relativamente semplice intitolata alla diffusione della democrazia in Medio Oriente. Un milione di morti, dieci milioni di feriti e mutilati e quattro milioni di profughi iracheni dopo, sull'invasione dell'Iraq cala una cappa di silenzio a favorire lo scontato epilogo della più grande operazione criminale del nuovo secolo. Tutto sembra dimenticato ed in Iraq sembra non accada più nulla. Difficile pensare che si tratti di un caso. Cinque anni dopo l'invasione il silenzio sull'Iraq serve alla consumazione del grande furto. Il motivo reale dell'invasione dell'Iraq è il controllo degli approvvigionamenti di idrocarburi nell'area mediorientale, chi ancora lo neghi non può che essere in malafede.

Nelle ultime settimane si sono registrate due significative novità: la completa sparizione dell'Iraq dal mainstream occidentale e l'assegnazione dello sfruttamento delle risorse petrolifere irachene proprio alle compagnie occidentali che furono espropriate da Saddam quando nazionalizzò il petrolio. Dicono i soloni dei media che negli Stati Uniti l'Iraq in televisione non tira più e di conseguenza le big dell'informazione si sono adeguate e meditano un ritiro quasi completo dal fronte. Fronte sul quale restano centocinquantamila “bravi ragazzi”, quasi altrettanti mercenari, in gran parte statunitensi; tutti americani che non interessano più agli americani.

Andrew Tyndall, un consulente televisivo che osserva i palinsesti informativi serali dei tre maggiori network, ha rilevato che lo spazio dedicato all'Iraq è stato “massicciamente” ridotto nel 2008 rispetto al 2007, ultimo di una serie di anni comunque a calare. Nei primi sei mesi del 2008 sono stati complessivamente centottantuno minuti a settimana, contro i millecentocinquantasette registrati durante lo scorso anno. Quasi tutte le major ormai progettano una fuga da Baghdad dopo le elezioni americane di novembre. Si spengono le luci e l'assassino torna sul luogo del delitto. Quasi quattro decenni fa quattro grandi compagnie occidentali controllavano il petrolio iracheno.

BP, Exxon Mobil, Total e Shell erano azionisti alla pari di un consorzio anglo-franco-americano che ha controllato le risorse irachene per quasi mezzo secolo. La Turkish Petroleum Company, creata nel 1912 per impadronirsi delle riserve dell'impero ottomano in disfacimento, poi divenuta Iraq Petroleum Company. Queste quattro compagnie hanno ottenuto un accordo per “assistere” il governo iracheno nello sviluppo dei pozzi, pur non avendo competenze in proposito visto che questo genere di attività è svolto da imprese specializzate e non delle major che si occupano della sua distribuzione. Accordo che sarà remunerato in petrolio, ma soprattutto con un diritto di prelazione sui giacimenti iracheni una volta che sia stata varata la legge nazionale sugli idrocarburi.

Una truffa smaccata per scavalcare la resistenza del parlamento iracheno, che da anni come Penelope tesse e disfa la tela di una legge che nessun iracheno vuole firmare, vista la pretesa americana per un assetto che consegni il petrolio proprio a quelle compagnie. Dicono quasi tutti i media anglosassoni che questa mossa ha agitato gli arabi “sospettosi”, che si sono fatti venire in mente e alla bocca accuse di rapina colonialista a mano armata. Strano, che cattivoni questi arabi “sospettosi”.

Il fatto che gli americani abbiano protetto, unico tra tutti, il ministero del petrolio nel giorno dell'invasione, che gli Stati Uniti vogliano una legge sul petrolio terribilmente sfavorevole agli interessi iracheni, che gli Stati Uniti abbiano costruito in Iraq basi immense e un'ambasciata fortificata per millecinquecento addetti e che stiano perpetrando una truffa per scavalcare la volontà del parlamento iracheno, non ha spinto alcun commentatore anglosassone od occidentale ad andare oltre la citazione dei sospetti dei “sospettosi” e innominati arabi.

Lo assicurano fior di commentatori e di stupidi galantuomini, secondo i quali siamo andati in guerra per combattere il feroce Saladino che ci voleva sgozzare e per portare la civiltà in quelle lande desolate abitate da beduini. Il petrolio non c'entra, è un dettaglio secondario per un'amministrazione di petrolieri, sulla buona fede della quale non si possono esprimere dubbi del genere, nemmeno dopo la certificazione dell'enorme mole di fandonie propinate alle opinioni pubbliche, nemmeno dopo la rivelazione di come l'invasione dell'Iraq sia fino a qui servita per far sparire in centinaia di truffe gran parte del denaro dei contribuenti americani stanziato per il conflitto e per l'invisibile ricostruzione irachena.

Tony Blair e il suo omologo australiano Howard, sono stati denunciati da numerose associazioni occidentali per i crimini di guerra commessi in Iraq. Procedimenti a loro carico sono stati avviati al Tribunale Penale Internazionale. Molto probabilmente, vista la mole di prove a carico dei denunciati, si farà un processo con i due ex premier alla sbarra. La stessa avventura potrebbe capitare a breve al primo ministro italiano Silvio Berlusconi. A George W. Bush no, gli Stati Uniti sono tra i pochi stati che non hanno aderito alla convenzione istitutiva del TPI. Al contrario sono gli unici che con pressioni e ricatti hanno estorto trattati di esclusione di responsabilità per le truppe americane a numerosi governi.

I cattivi arabi “sospettosi” e gli occidentali minimamente smaliziati intanto potranno continuare ad assistere allibiti ed impotenti a questo massacro della realtà, traendo ben poca soddisfazione dall'esser stati facili profeti di sventura. Nessuno dei folli sostenitori dell'invasione irachena se n’è ancora dissociato, nel nostro paese l'argomento sembra un tabù inaffrontabile e il garrulo neo-ministro della difesa straparla di una escalation dell'impegno del nostro paese in Afghanistan.

Nemmeno l'evidenza di come la guerra abbia contribuito all'esplosione della speculazione energetica mondiale suscita dibattito. Il tema dell'energia è così importante che si preferisce delirare di centrali nucleari piuttosto che puntare il dito contro chi quell'energia se la vuole conquistare a mano armata e a prezzo di qualunque massacro.

Un italiano “sospettoso” potrebbe pensare che ciò sia dovuto alla mancia promessa all'ENI per la partecipazione e il supporto politico dell'Italia al conflitto, ma probabilmente si tratta solo del servilismo di una classe politica troppo occupata a depredare i propri cittadini per potersi concedere il lusso di riflettere prima di pronunciare sonori “yes!” in cambio di un misero posto a tavola.


Mazzetta

Esercito ad Acerra in missione di pace?



Questa mattina tutte le maggiori agenzie di stampa, dall’Ansa ad Adnkronos, hanno dato la notizia dell’ingresso degli uomini e dei mezzi dell’esercito all’interno dell’area del megainceneritore di Acerra che i giornalisti nostrani si ostinano a definire “termovalorizzatore” in virtù di un neologismo privo di qualunque valenza scientifica.

Circa 60 militari della Brigata Bersaglieri Garibaldi hanno occupato il sito in applicazione al decreto legge n. 90/2008 e hanno immediatamente provveduto a delimitare l’area applicando cartelli che la descrivono come “sito d’interesse strategico nazionale” protetto da sorveglianza armata e con accesso vietato.

Questa operazione militare inaugura di fatto il nuovo programma del governo che intende utilizzare il supporto dell’esercito per presidiare ed imporre, nel caso anche tramite l’uso della forza, i cantieri delle grandi opere anche quando, come nel caso di Acerra, si tratta di opere fortemente osteggiate dalle popolazioni locali. Con tutta probabilità lo stesso copione verrà replicato nel futuro cantiere della discarica di Chiaiano, nei futuri cantieri del Tav, a Vicenza quando partirà la costruzione della base militare americana Dal Molin ed ogni qualvolta occorrerà calare dall’alto una grande opera altamente impattante contro la volontà dei cittadini.

L’esercito italiano da oggi non è più solamente un veicolo deputato all’esportazione armata della “democrazia” nei Paesi scarsamente graditi all’amministrazione statunitense, ma diventa l’artefice di missioni militari sul nostro territorio, volte a contrastare ed intimidire quella parte di società in continua crescita che difende il proprio diritto ad avere un futuro opponendosi alla costruzione di quelle grandi opere che distruggono l’ambiente e scavano nuove voragini all’interno del debito pubblico, al fine di garantire profitti miliardari alla consorteria di sanguisughe che da sempre suggono denaro dalle tasche dei contribuenti.

Non risulta ancora ben chiaro se si tratterà di missioni di pace o di guerra, ma abbiamo ormai imparato guardando all’Iraq, all’Afghanistan, al Kosovo e alla Bosnia come il confine fra queste due parole sia in fondo molto labile quando come veicolo di “pace” si scelgono le armi. Senza dubbio i militari in missione in Italia incontreranno comunque qualche problema in più qualora dovessero trovarsi a fronteggiare i cittadini che protestano contro le grandi opere, sia perché si tratta di quegli stessi cittadini che ogni mese pagano loro lo stipendio, sia perché ad Acerra, a Chiaiano, in Val di Susa ed a Vicenza risulterebbe molto più complicato archiviare sotto forma di “errori” eventuali spargimenti di sangue.

Ad Acerra nel 2004 i pastori del luogo abbandonarono ai piedi del cordone di poliziotti che allora presidiavano il cantiere del megainceneritore, alcune pecore provenienti dai loro allevamenti, agonizzanti in quanto contaminate dalla diossina che infesta l’intero territorio, determinando un’incidenza altissima di patologie tumorali presso la popolazione.

Se Guido Bertolaso avesse realmente a cuore “l’interesse nazionale” potrebbe iniziare ad usare l’esercito per tentare di decontaminare l’intera area prima che l’epidemia di tumori assuma proporzioni catastrofiche, anziché inviare i militari a presidiare la costruzione di un forno inceneritore che nei prossimi anni contribuirà a peggiorare ulteriormente una situazione già oggi drammatica. Ma se qualcuno in questo Paese guardasse all’interesse nazionale non esisterebbe il decreto legge 90/2008 che identifica i cittadini italiani come potenziali nemici da combattere con l’uso dell’esercito, quasi ci trovassimo all’interno di un golpe alle isole delle Comore.

M. Cedolin

30 giugno 2008

I prossimi sei decisivi mesi


Uno scenario incredibile degno di un romanzo, ma le perplessità di Draghi e le incertezze di Bernanke stanno scrivendo questo copione che forse, supererà la realtà. Bello il finale, e l’italia? Pensiamo a fare leggi per berlusconi e le sue veline. Un contrasto peggio di un pugno nello stomaco dopo una “magnata reale”

Il semestre da luglio a dicembre 2008 sarà, per il pianeta, il tuffo nella fase d’impatto della crisi sistemica globale. E’ «l’alerte» lanciata dal Gruppo francese di analisi Europe 20/20 .

Apparentemente, la previsione si sta già avverando in USA - dove manca ogni genere di ammortizzatore sociale o economico - con il crollo del Dow Jones di oltre 30 punti, il petrolio a 140, Lehman Brothers vicina al tracollo; Goldman Sachs che dà valutazioni in discesa di Merrill Lynch e Citigroup (e Merrill Lynch che svaluta Goldman Sachs); American Express che denuncia l’accumulo di arretrati dei loro clienti nel pagare i debiti, mentre Federal Express segnala un netto rallentamento di ogni tipo di trasporto; United Airlines che licenzia 950 piloti (il 15% del totale), General Motors che ha visto un calo delle vendite del 28%, e non può più fare offerte speciali per attrarre compratori a rate, perchè la sua finanziaria, la GMAC, è schiacciata da insolvenze dei clienti che l’auto l’hanno già comprata, e non riescono a pagarla.

E sì che l’auto sta diventando la casa in cui dormono sempre più famiglie della classe media, che hanno avuto l’immobile pignorato non potendo pagare il mutuo. Nella ricca e chic Santa Barbara, California, sono già 800 i pignoramenti delle belle ville, e 800 famiglie hanno raggiunto i senza tetto nei parcheggi a loro riservati. Questa è l’America, già oggi .

E quando toccherà al resto del mondo? Europe 20/20 risponde: «E’ nel corso del semestre prossimo che convergeranno con il massimo d’intensità tutte le componenti della crisi - finanziaria, monetaria, economica, strategica, sociale, politica». E descrive i «sei fenomeni maggiori che segneranno i sei mesi futuri in modo decisivo, e orienteranno gli anni 2009-2010».

Primo: «Il dollaro a perdere (per fine 2008, 1 euro sarà eguale a 1,75 dollari). Il panico del collasso della divisa USA assilla la psicologia collettiva americana».

Secondo: «Rottura del sistema finanziario mondiale a causa dell’impossibile tutela di Washington».

Ben Bernanke, capo della Federal Reserve, ha parlato di una volontà di «rafforzare» il dollaro. Le sue parole risibili sono tutto quel che resta per ritardare la presa di coscienza collettiva, da parte di tutti i detentori di valuta USA, che Washington non ha più i mezzi per sostenere la sua moneta. Nel 2006 ancora la caduta del dollaro era una politica deliberata con lo scopo di ridurre il deficit commerciale americano e il valore reale del debito USA verso il mondo, che è ovviamente denominato in dollari. Ma ora questa tattica «si rivolta contro i suoi inizatori, e si trasforma in una fuga generalizzata verso l’uscita dagli USA».

Fra poche settimane, quando si vedrà che è impossibile organizzare a livello mondiale un’azione qualunque per stabilizzare il dollaro, in quanto l’economia USA affonderà sempre più in basso nella recessione, mentre il mondo è già ingorgato di dollari di cui nessuno sa come liberarsi, «allora il sistema finanziario globale esploderà in diversi sotto-sistemi che tenteranno di sopravvivere alla meglio, in attesa che compaia un nuovo equilibrio finanziario mondiale».

La teoria indicherebbe a Washington la via per stabilizzare il dollaro: dovrebbe rialzare nettamente i tassi d’interesse (oggi al 2%) e ridurre drasticamente la creazione di moneta dal nulla. Ma in pratica, ciò produrrebbe l’arresto immediato, in poche settimane, dell’economia americana, quella finanziaria e quella reale.

Il mercato immobiliare si ridurrebbe a zero, dato l’aumento rovinoso dei mutui a tasso variabile (altri pignoramenti a migliaia) e per mancanza di credito a basso costo; il consumo americano diventerebbe negativo, ritraendosi mese per mese; i fallimenti di imprese sarebbero esponenziali, Wall Street crollerebbe sotto il peso dei suoi debiti e sotto l’esplosione del mercato del CDS (collateralized default swaps), i derivati sempre presentati come «un’assicurazione» contro i rischi borsistici, ma che non assicureranno nessuna visto che le controparti (che dovrebbero rifondere) saranno già vaporizzate dalla crisi.

In breve, applicare la ricetta che la teoria consiglia in questi casi è, politicamente, inaccettabile per qualunque presidente USA, per i suoi effetti sociali. D’altra parte il vecchio trucco americano, farsi prestare i soldi dai suoi fornitori per poter restare il grande consumatore globale, non è più praticabile. Solo dopo un rafforzamento del dollaro, con la cura da cavallo imposta dalla teoria, la Cina e gli altri creditori tornerebbero a comprare i Buoni del Tesoro USA; siccome questo non avverrà, ciascuno farà per sè. Ecco la «rottura» del sistema globale.

Europe 20/20 ricorda, a questo proposito, che Pechino, massimo detentore di riserve in dollari (su cui ha perso, da gennaio, 75 miliardi di dollari per il calo della valuta USA), ha agito con moderazione fino ad ora, perchè vuole garantire il successo delle sue Olimpiadi. Da metà agosto, questo freno non ci sarà più: e la Cina può ricorrere ad «opzioni brutali».

Terzo fenomeno: il crollo dell’economia reale USA si manifesterà in tutta la sua evidenza.

Quarto: «Unione Europea: la periferia cade in recessione mentre il nucleo della zona euro rallenta solamente». L’Italia, è inutile dirlo, fa parte della «periferia», con Spagna, Grecia, Portogalllo, Irlanda e Francia. La disparità con i risultati della Germania sottoporrà l’euro a una tensione forse insopportabile: come si è già notato, i BOT italiani, benchè in euro, devono pagare un interesse più alto che i BOT tedeschi pure in euro.

Quinto: «L’Asia sotto il doppio colpo di bambù». Il primo colpo è l’inflazione, il secondo è il calo decisivo delle esportazioni nel principale mercato che assorbe le merci cinesi, coreane e giapponesi - gli USA - e un forte rallentamento del secondo mercato, l’Europa. Una doppietta che farà molto male a Paesi che hanno puntato tutto sulla riduzione dei costi del lavoro e sulla competitività nell’export, e che oggi vedono aumentare i costi produttivi per il rincaro delle materie prime (petrolio anzitutto) e dei salari (da inflazione, in Cina sul 10%). Si aggiunga che nei giorni scorsi il Congresso degli Stati Uniti - questi predicatori dell’apertura liberista - ha posto un dazio del 700% sull’import di acciaio cinese.

Sesto: «America latina: difficoltà crescenti, ma crescita mantenuta per gran parte della regione». Due le eccezioni: la crisi colpirà duramente il Messico, direttamente legato all’economia USA che sarà in depressione, e l’Argentina (di nuovo).

Settimo: «Mondo arabo - regimi filo-occidentali alla deriva». Europe 20/20 prevede «un miscuglio di disordini da fame (rincaro del cibo), di esplosione dell’integralismo (il prestigio di Hezbollah, di Hamas e dell’Iran), cui va aggiunta l’incapacitò di Washington e dei suoi alleati europei di una politica che non sia militare». Previsione: «60% di rischi di esplosione politico-sociale sull’asse Egitto-Marocco». Quanto alla probabilità di un attacco USA o israeliano ad ottobre, il gruppo francese la pone al 70%.

La nomination di Barak Obama non fa che aumentare il rischio: l’uscente Bush, repubblicano, potrebbe dare il via libera all’attacco fra l’eventuale vittoria di Obama su McCain, e il suo insediamento effettivo.

Ottavo: «Le banche nella collisione delle bolle». Soprattutto le banche mondiali americane e britanniche sono minacciate dall’esplosione di quattro bolle speculative convergenti.

E’ dello stesso parere emesso dalla Barclay’s Bank, per voce del suo capo della strategia azionaria, Tim Bond (3): ha avvisato i clienti a prepararsi a «una tempesta finanziaria mondiale», dato che la credibilità di Bernanke è crollata «sotto zero». «Siamo in un brutto ambiente; è entrato lo shock inflazionistico, che sarà molto negativo per gli attivi finanziari. Facciamo come le tartarughe, ritiramoci nella nostra corazza. Gli investitori si dovranno considerare fortunati se riusciranno a preservare i loro beni».

Intanto, di cosa discutiamo furiosamente in Italia? Se prendere o no le impronte digitali ai piccoli ladri zingari, che danno false generalità e non sono punibili per età, e per questo sono mandati dai cari genitori a rubare al posto loro. Oppure, ci dividiamo sulle scemenze che si dicono al telefono i ka… ni che stanno ai posti di comando, pensando a veline e TV.

Con questo dato curioso: coloro che sono contro le impronte degli zingari perchè «violano la privacy», sono gli stessi che si dichiarano a favore delle intercettazioni a tappeto, che violano molto più la privacy. Senza contare che anche gli zingari bambini e senza nome che mettono le mani nelle borsette, violano alquanto la privacy. Fortuna che in Italia abbiamo il garante della privacy.

Occorrerebbe un «garante della logica»: ma sarebbe solo una nuova poltrona a spese del contribuente e a beneficio di qualche politico trombato.

M. Blondet

01 luglio 2008

Ladri di notizie



Era il 2003 quando Amnesty International fu accusata di fare “terrorismo” pronosticando cinquantamila morti in seguito all'invasione dell'Iraq. A quel tempo i fautori della guerra sostenevano che si sarebbe trattato di un'operazione relativamente semplice intitolata alla diffusione della democrazia in Medio Oriente. Un milione di morti, dieci milioni di feriti e mutilati e quattro milioni di profughi iracheni dopo, sull'invasione dell'Iraq cala una cappa di silenzio a favorire lo scontato epilogo della più grande operazione criminale del nuovo secolo. Tutto sembra dimenticato ed in Iraq sembra non accada più nulla. Difficile pensare che si tratti di un caso. Cinque anni dopo l'invasione il silenzio sull'Iraq serve alla consumazione del grande furto. Il motivo reale dell'invasione dell'Iraq è il controllo degli approvvigionamenti di idrocarburi nell'area mediorientale, chi ancora lo neghi non può che essere in malafede.

Nelle ultime settimane si sono registrate due significative novità: la completa sparizione dell'Iraq dal mainstream occidentale e l'assegnazione dello sfruttamento delle risorse petrolifere irachene proprio alle compagnie occidentali che furono espropriate da Saddam quando nazionalizzò il petrolio. Dicono i soloni dei media che negli Stati Uniti l'Iraq in televisione non tira più e di conseguenza le big dell'informazione si sono adeguate e meditano un ritiro quasi completo dal fronte. Fronte sul quale restano centocinquantamila “bravi ragazzi”, quasi altrettanti mercenari, in gran parte statunitensi; tutti americani che non interessano più agli americani.

Andrew Tyndall, un consulente televisivo che osserva i palinsesti informativi serali dei tre maggiori network, ha rilevato che lo spazio dedicato all'Iraq è stato “massicciamente” ridotto nel 2008 rispetto al 2007, ultimo di una serie di anni comunque a calare. Nei primi sei mesi del 2008 sono stati complessivamente centottantuno minuti a settimana, contro i millecentocinquantasette registrati durante lo scorso anno. Quasi tutte le major ormai progettano una fuga da Baghdad dopo le elezioni americane di novembre. Si spengono le luci e l'assassino torna sul luogo del delitto. Quasi quattro decenni fa quattro grandi compagnie occidentali controllavano il petrolio iracheno.

BP, Exxon Mobil, Total e Shell erano azionisti alla pari di un consorzio anglo-franco-americano che ha controllato le risorse irachene per quasi mezzo secolo. La Turkish Petroleum Company, creata nel 1912 per impadronirsi delle riserve dell'impero ottomano in disfacimento, poi divenuta Iraq Petroleum Company. Queste quattro compagnie hanno ottenuto un accordo per “assistere” il governo iracheno nello sviluppo dei pozzi, pur non avendo competenze in proposito visto che questo genere di attività è svolto da imprese specializzate e non delle major che si occupano della sua distribuzione. Accordo che sarà remunerato in petrolio, ma soprattutto con un diritto di prelazione sui giacimenti iracheni una volta che sia stata varata la legge nazionale sugli idrocarburi.

Una truffa smaccata per scavalcare la resistenza del parlamento iracheno, che da anni come Penelope tesse e disfa la tela di una legge che nessun iracheno vuole firmare, vista la pretesa americana per un assetto che consegni il petrolio proprio a quelle compagnie. Dicono quasi tutti i media anglosassoni che questa mossa ha agitato gli arabi “sospettosi”, che si sono fatti venire in mente e alla bocca accuse di rapina colonialista a mano armata. Strano, che cattivoni questi arabi “sospettosi”.

Il fatto che gli americani abbiano protetto, unico tra tutti, il ministero del petrolio nel giorno dell'invasione, che gli Stati Uniti vogliano una legge sul petrolio terribilmente sfavorevole agli interessi iracheni, che gli Stati Uniti abbiano costruito in Iraq basi immense e un'ambasciata fortificata per millecinquecento addetti e che stiano perpetrando una truffa per scavalcare la volontà del parlamento iracheno, non ha spinto alcun commentatore anglosassone od occidentale ad andare oltre la citazione dei sospetti dei “sospettosi” e innominati arabi.

Lo assicurano fior di commentatori e di stupidi galantuomini, secondo i quali siamo andati in guerra per combattere il feroce Saladino che ci voleva sgozzare e per portare la civiltà in quelle lande desolate abitate da beduini. Il petrolio non c'entra, è un dettaglio secondario per un'amministrazione di petrolieri, sulla buona fede della quale non si possono esprimere dubbi del genere, nemmeno dopo la certificazione dell'enorme mole di fandonie propinate alle opinioni pubbliche, nemmeno dopo la rivelazione di come l'invasione dell'Iraq sia fino a qui servita per far sparire in centinaia di truffe gran parte del denaro dei contribuenti americani stanziato per il conflitto e per l'invisibile ricostruzione irachena.

Tony Blair e il suo omologo australiano Howard, sono stati denunciati da numerose associazioni occidentali per i crimini di guerra commessi in Iraq. Procedimenti a loro carico sono stati avviati al Tribunale Penale Internazionale. Molto probabilmente, vista la mole di prove a carico dei denunciati, si farà un processo con i due ex premier alla sbarra. La stessa avventura potrebbe capitare a breve al primo ministro italiano Silvio Berlusconi. A George W. Bush no, gli Stati Uniti sono tra i pochi stati che non hanno aderito alla convenzione istitutiva del TPI. Al contrario sono gli unici che con pressioni e ricatti hanno estorto trattati di esclusione di responsabilità per le truppe americane a numerosi governi.

I cattivi arabi “sospettosi” e gli occidentali minimamente smaliziati intanto potranno continuare ad assistere allibiti ed impotenti a questo massacro della realtà, traendo ben poca soddisfazione dall'esser stati facili profeti di sventura. Nessuno dei folli sostenitori dell'invasione irachena se n’è ancora dissociato, nel nostro paese l'argomento sembra un tabù inaffrontabile e il garrulo neo-ministro della difesa straparla di una escalation dell'impegno del nostro paese in Afghanistan.

Nemmeno l'evidenza di come la guerra abbia contribuito all'esplosione della speculazione energetica mondiale suscita dibattito. Il tema dell'energia è così importante che si preferisce delirare di centrali nucleari piuttosto che puntare il dito contro chi quell'energia se la vuole conquistare a mano armata e a prezzo di qualunque massacro.

Un italiano “sospettoso” potrebbe pensare che ciò sia dovuto alla mancia promessa all'ENI per la partecipazione e il supporto politico dell'Italia al conflitto, ma probabilmente si tratta solo del servilismo di una classe politica troppo occupata a depredare i propri cittadini per potersi concedere il lusso di riflettere prima di pronunciare sonori “yes!” in cambio di un misero posto a tavola.


Mazzetta

Esercito ad Acerra in missione di pace?



Questa mattina tutte le maggiori agenzie di stampa, dall’Ansa ad Adnkronos, hanno dato la notizia dell’ingresso degli uomini e dei mezzi dell’esercito all’interno dell’area del megainceneritore di Acerra che i giornalisti nostrani si ostinano a definire “termovalorizzatore” in virtù di un neologismo privo di qualunque valenza scientifica.

Circa 60 militari della Brigata Bersaglieri Garibaldi hanno occupato il sito in applicazione al decreto legge n. 90/2008 e hanno immediatamente provveduto a delimitare l’area applicando cartelli che la descrivono come “sito d’interesse strategico nazionale” protetto da sorveglianza armata e con accesso vietato.

Questa operazione militare inaugura di fatto il nuovo programma del governo che intende utilizzare il supporto dell’esercito per presidiare ed imporre, nel caso anche tramite l’uso della forza, i cantieri delle grandi opere anche quando, come nel caso di Acerra, si tratta di opere fortemente osteggiate dalle popolazioni locali. Con tutta probabilità lo stesso copione verrà replicato nel futuro cantiere della discarica di Chiaiano, nei futuri cantieri del Tav, a Vicenza quando partirà la costruzione della base militare americana Dal Molin ed ogni qualvolta occorrerà calare dall’alto una grande opera altamente impattante contro la volontà dei cittadini.

L’esercito italiano da oggi non è più solamente un veicolo deputato all’esportazione armata della “democrazia” nei Paesi scarsamente graditi all’amministrazione statunitense, ma diventa l’artefice di missioni militari sul nostro territorio, volte a contrastare ed intimidire quella parte di società in continua crescita che difende il proprio diritto ad avere un futuro opponendosi alla costruzione di quelle grandi opere che distruggono l’ambiente e scavano nuove voragini all’interno del debito pubblico, al fine di garantire profitti miliardari alla consorteria di sanguisughe che da sempre suggono denaro dalle tasche dei contribuenti.

Non risulta ancora ben chiaro se si tratterà di missioni di pace o di guerra, ma abbiamo ormai imparato guardando all’Iraq, all’Afghanistan, al Kosovo e alla Bosnia come il confine fra queste due parole sia in fondo molto labile quando come veicolo di “pace” si scelgono le armi. Senza dubbio i militari in missione in Italia incontreranno comunque qualche problema in più qualora dovessero trovarsi a fronteggiare i cittadini che protestano contro le grandi opere, sia perché si tratta di quegli stessi cittadini che ogni mese pagano loro lo stipendio, sia perché ad Acerra, a Chiaiano, in Val di Susa ed a Vicenza risulterebbe molto più complicato archiviare sotto forma di “errori” eventuali spargimenti di sangue.

Ad Acerra nel 2004 i pastori del luogo abbandonarono ai piedi del cordone di poliziotti che allora presidiavano il cantiere del megainceneritore, alcune pecore provenienti dai loro allevamenti, agonizzanti in quanto contaminate dalla diossina che infesta l’intero territorio, determinando un’incidenza altissima di patologie tumorali presso la popolazione.

Se Guido Bertolaso avesse realmente a cuore “l’interesse nazionale” potrebbe iniziare ad usare l’esercito per tentare di decontaminare l’intera area prima che l’epidemia di tumori assuma proporzioni catastrofiche, anziché inviare i militari a presidiare la costruzione di un forno inceneritore che nei prossimi anni contribuirà a peggiorare ulteriormente una situazione già oggi drammatica. Ma se qualcuno in questo Paese guardasse all’interesse nazionale non esisterebbe il decreto legge 90/2008 che identifica i cittadini italiani come potenziali nemici da combattere con l’uso dell’esercito, quasi ci trovassimo all’interno di un golpe alle isole delle Comore.

M. Cedolin

30 giugno 2008

I prossimi sei decisivi mesi


Uno scenario incredibile degno di un romanzo, ma le perplessità di Draghi e le incertezze di Bernanke stanno scrivendo questo copione che forse, supererà la realtà. Bello il finale, e l’italia? Pensiamo a fare leggi per berlusconi e le sue veline. Un contrasto peggio di un pugno nello stomaco dopo una “magnata reale”

Il semestre da luglio a dicembre 2008 sarà, per il pianeta, il tuffo nella fase d’impatto della crisi sistemica globale. E’ «l’alerte» lanciata dal Gruppo francese di analisi Europe 20/20 .

Apparentemente, la previsione si sta già avverando in USA - dove manca ogni genere di ammortizzatore sociale o economico - con il crollo del Dow Jones di oltre 30 punti, il petrolio a 140, Lehman Brothers vicina al tracollo; Goldman Sachs che dà valutazioni in discesa di Merrill Lynch e Citigroup (e Merrill Lynch che svaluta Goldman Sachs); American Express che denuncia l’accumulo di arretrati dei loro clienti nel pagare i debiti, mentre Federal Express segnala un netto rallentamento di ogni tipo di trasporto; United Airlines che licenzia 950 piloti (il 15% del totale), General Motors che ha visto un calo delle vendite del 28%, e non può più fare offerte speciali per attrarre compratori a rate, perchè la sua finanziaria, la GMAC, è schiacciata da insolvenze dei clienti che l’auto l’hanno già comprata, e non riescono a pagarla.

E sì che l’auto sta diventando la casa in cui dormono sempre più famiglie della classe media, che hanno avuto l’immobile pignorato non potendo pagare il mutuo. Nella ricca e chic Santa Barbara, California, sono già 800 i pignoramenti delle belle ville, e 800 famiglie hanno raggiunto i senza tetto nei parcheggi a loro riservati. Questa è l’America, già oggi .

E quando toccherà al resto del mondo? Europe 20/20 risponde: «E’ nel corso del semestre prossimo che convergeranno con il massimo d’intensità tutte le componenti della crisi - finanziaria, monetaria, economica, strategica, sociale, politica». E descrive i «sei fenomeni maggiori che segneranno i sei mesi futuri in modo decisivo, e orienteranno gli anni 2009-2010».

Primo: «Il dollaro a perdere (per fine 2008, 1 euro sarà eguale a 1,75 dollari). Il panico del collasso della divisa USA assilla la psicologia collettiva americana».

Secondo: «Rottura del sistema finanziario mondiale a causa dell’impossibile tutela di Washington».

Ben Bernanke, capo della Federal Reserve, ha parlato di una volontà di «rafforzare» il dollaro. Le sue parole risibili sono tutto quel che resta per ritardare la presa di coscienza collettiva, da parte di tutti i detentori di valuta USA, che Washington non ha più i mezzi per sostenere la sua moneta. Nel 2006 ancora la caduta del dollaro era una politica deliberata con lo scopo di ridurre il deficit commerciale americano e il valore reale del debito USA verso il mondo, che è ovviamente denominato in dollari. Ma ora questa tattica «si rivolta contro i suoi inizatori, e si trasforma in una fuga generalizzata verso l’uscita dagli USA».

Fra poche settimane, quando si vedrà che è impossibile organizzare a livello mondiale un’azione qualunque per stabilizzare il dollaro, in quanto l’economia USA affonderà sempre più in basso nella recessione, mentre il mondo è già ingorgato di dollari di cui nessuno sa come liberarsi, «allora il sistema finanziario globale esploderà in diversi sotto-sistemi che tenteranno di sopravvivere alla meglio, in attesa che compaia un nuovo equilibrio finanziario mondiale».

La teoria indicherebbe a Washington la via per stabilizzare il dollaro: dovrebbe rialzare nettamente i tassi d’interesse (oggi al 2%) e ridurre drasticamente la creazione di moneta dal nulla. Ma in pratica, ciò produrrebbe l’arresto immediato, in poche settimane, dell’economia americana, quella finanziaria e quella reale.

Il mercato immobiliare si ridurrebbe a zero, dato l’aumento rovinoso dei mutui a tasso variabile (altri pignoramenti a migliaia) e per mancanza di credito a basso costo; il consumo americano diventerebbe negativo, ritraendosi mese per mese; i fallimenti di imprese sarebbero esponenziali, Wall Street crollerebbe sotto il peso dei suoi debiti e sotto l’esplosione del mercato del CDS (collateralized default swaps), i derivati sempre presentati come «un’assicurazione» contro i rischi borsistici, ma che non assicureranno nessuna visto che le controparti (che dovrebbero rifondere) saranno già vaporizzate dalla crisi.

In breve, applicare la ricetta che la teoria consiglia in questi casi è, politicamente, inaccettabile per qualunque presidente USA, per i suoi effetti sociali. D’altra parte il vecchio trucco americano, farsi prestare i soldi dai suoi fornitori per poter restare il grande consumatore globale, non è più praticabile. Solo dopo un rafforzamento del dollaro, con la cura da cavallo imposta dalla teoria, la Cina e gli altri creditori tornerebbero a comprare i Buoni del Tesoro USA; siccome questo non avverrà, ciascuno farà per sè. Ecco la «rottura» del sistema globale.

Europe 20/20 ricorda, a questo proposito, che Pechino, massimo detentore di riserve in dollari (su cui ha perso, da gennaio, 75 miliardi di dollari per il calo della valuta USA), ha agito con moderazione fino ad ora, perchè vuole garantire il successo delle sue Olimpiadi. Da metà agosto, questo freno non ci sarà più: e la Cina può ricorrere ad «opzioni brutali».

Terzo fenomeno: il crollo dell’economia reale USA si manifesterà in tutta la sua evidenza.

Quarto: «Unione Europea: la periferia cade in recessione mentre il nucleo della zona euro rallenta solamente». L’Italia, è inutile dirlo, fa parte della «periferia», con Spagna, Grecia, Portogalllo, Irlanda e Francia. La disparità con i risultati della Germania sottoporrà l’euro a una tensione forse insopportabile: come si è già notato, i BOT italiani, benchè in euro, devono pagare un interesse più alto che i BOT tedeschi pure in euro.

Quinto: «L’Asia sotto il doppio colpo di bambù». Il primo colpo è l’inflazione, il secondo è il calo decisivo delle esportazioni nel principale mercato che assorbe le merci cinesi, coreane e giapponesi - gli USA - e un forte rallentamento del secondo mercato, l’Europa. Una doppietta che farà molto male a Paesi che hanno puntato tutto sulla riduzione dei costi del lavoro e sulla competitività nell’export, e che oggi vedono aumentare i costi produttivi per il rincaro delle materie prime (petrolio anzitutto) e dei salari (da inflazione, in Cina sul 10%). Si aggiunga che nei giorni scorsi il Congresso degli Stati Uniti - questi predicatori dell’apertura liberista - ha posto un dazio del 700% sull’import di acciaio cinese.

Sesto: «America latina: difficoltà crescenti, ma crescita mantenuta per gran parte della regione». Due le eccezioni: la crisi colpirà duramente il Messico, direttamente legato all’economia USA che sarà in depressione, e l’Argentina (di nuovo).

Settimo: «Mondo arabo - regimi filo-occidentali alla deriva». Europe 20/20 prevede «un miscuglio di disordini da fame (rincaro del cibo), di esplosione dell’integralismo (il prestigio di Hezbollah, di Hamas e dell’Iran), cui va aggiunta l’incapacitò di Washington e dei suoi alleati europei di una politica che non sia militare». Previsione: «60% di rischi di esplosione politico-sociale sull’asse Egitto-Marocco». Quanto alla probabilità di un attacco USA o israeliano ad ottobre, il gruppo francese la pone al 70%.

La nomination di Barak Obama non fa che aumentare il rischio: l’uscente Bush, repubblicano, potrebbe dare il via libera all’attacco fra l’eventuale vittoria di Obama su McCain, e il suo insediamento effettivo.

Ottavo: «Le banche nella collisione delle bolle». Soprattutto le banche mondiali americane e britanniche sono minacciate dall’esplosione di quattro bolle speculative convergenti.

E’ dello stesso parere emesso dalla Barclay’s Bank, per voce del suo capo della strategia azionaria, Tim Bond (3): ha avvisato i clienti a prepararsi a «una tempesta finanziaria mondiale», dato che la credibilità di Bernanke è crollata «sotto zero». «Siamo in un brutto ambiente; è entrato lo shock inflazionistico, che sarà molto negativo per gli attivi finanziari. Facciamo come le tartarughe, ritiramoci nella nostra corazza. Gli investitori si dovranno considerare fortunati se riusciranno a preservare i loro beni».

Intanto, di cosa discutiamo furiosamente in Italia? Se prendere o no le impronte digitali ai piccoli ladri zingari, che danno false generalità e non sono punibili per età, e per questo sono mandati dai cari genitori a rubare al posto loro. Oppure, ci dividiamo sulle scemenze che si dicono al telefono i ka… ni che stanno ai posti di comando, pensando a veline e TV.

Con questo dato curioso: coloro che sono contro le impronte degli zingari perchè «violano la privacy», sono gli stessi che si dichiarano a favore delle intercettazioni a tappeto, che violano molto più la privacy. Senza contare che anche gli zingari bambini e senza nome che mettono le mani nelle borsette, violano alquanto la privacy. Fortuna che in Italia abbiamo il garante della privacy.

Occorrerebbe un «garante della logica»: ma sarebbe solo una nuova poltrona a spese del contribuente e a beneficio di qualche politico trombato.

M. Blondet